Vincenzo Lorenzini - Associazione Italiana di Valutazione
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Vincenzo Lorenzini - Associazione Italiana di Valutazione
Il ruolo degli Organismi indipendenti: la valutazione della performance individuale. Vincenzo Lorenzini. Portavoce GT Valutazione delle performance AIV Riassunto Con questa relazione si vuole segnalare un’esperienza già impiantata in numerose aziende sanitarie, dove il dirigente del centro di responsabilità (CdR) ha come compito istituzionale l’impegno di spingere al massimo sui propri collaboratori affinché contribuiscano, ognuno coi propri “talenti”, al raggiungimento degli obiettivi della struttura in cui prestano servizio. Sta al dirigente concordare fin dall’inizio dell’anno con quali criteri si valorizza la “flessibilità” di ogni componente del team: orari e mansioni da svolgere, interscambiabilità nei compiti, oltre, ovviamente, gli effettivi carichi di lavoro da sopportare. E’ fondamentale, però, che il tutto venga stabilito attraverso forme di condivisione gestite in autonomia (livello micro), senza eccessivi vincoli formali e nella massima armonia, in una logica di ottimizzazione del lavoro delle equipe che vengono individuate ex ante in base alla loro omogeneità di funzioni. L’O.I.V. svolge una funzione di autorevole garanzia di terzietà nei riguardi dei soggetti in campo: l’amministrazione, il soggetto valutato ed il dirigente valutatore. Per tale ragione gli esperti che lo compongono devono essere selezionati in base a criteri opportunamente individuati in funzione delle esperienze maturate nel campo della gestione delle risorse umane e della contrattualistica pubblica. In vista dell’approvazione della legge delega sulla Riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (DDL Madia/2014), ci siamo fatti carico di riportare all’attenzione dei Parlamentari e degli Amministratori pubblici una soluzione concreta per ottenere una netta ripresa del Sistema PA grazie alla valorizzazione del lavoro dei dipendenti pubblici: stiamo parlando di un approccio centrato sulla capacità del “capo” di motivare e coinvolgere i propri collaboratori organizzati in equipe. In alcune specifiche realtà nazionali questa innovazione ha dato buonissimi frutti. 1 Stiamo sostenendo che, anche negli enti pubblici, si lavora sempre di più in team; da soli non si raggiungono mai risultati rilevanti in quanto ciascuno può contribuire in modo personale ed in misura diversa, ma ci sono metodi piuttosto semplici e poco dispendiosi per stimolare la flessibilità lavorativa dei singoli coinvolgendoli adeguatamente nell’organizzazione del lavoro (livello micro). Gli Organismi indipendenti della Valutazione, sulla crescita della produttività hanno un ruolo a dir poco “catalizzante”: con la loro azione abbassano l’energia di attivazione della crescita del lavoro pubblico. Come possono ottenere questo risultato è la finalità essenziale delle sperimentazioni adottate in numerose realtà del SSN; da anni siamo stati in grado di attivare dei veri e propri Laboratori della performance dove si raccordano strettamente le due forme: la performance organizzativa e quella individuale. Le due forme hanno modalità di Valutazione diverse ma devono strettamente connesse: non è dato mai che la produttività collettiva non sia conseguenza diretta dell’impegno dei singoli componenti del team nel perseguire obiettivi e realizzare valore di “servizio pubblico”. Hanno un bel discutere alcuni “burocrati” che la valutazione della performance di un ente ha una propria utilità e che, per questa ragione, deve essere affidata ad agenzie e soggetti “esterni”. La valutazione dei singoli operatori, essi sostengono, è cosa assai differente ed essendo legata a possibili intese contrattate col soggetto datoriale, può essere svolta a prescindere dall’organizzazione data. La prima questione da risolvere è di tipo semantico; esistono distinti oggetti della valutazione che occorre tenere ben distinte: la valutazione dei risultati e la valutazione dell’apporto del singolo componente del team lavorativo, sono forme assolutamente diverse dal terzo tipo della valutazione, quella che attiene i comportamenti e le competenze individuali. Mai confondere queste valutazioni; una proposta di ricorrere a termini diversi. 1 - La performance organizzativa si misura, si stima, in percentuale rispetto agli obiettivi concordati e verificati; l’espressione della performance è possibile ricorrendo a valori attesi pari al 100% degli obiettivi raggiunti; 2 2 – La performance individuale ha un senso se si utilizza il termine convenzionale di “valorizzazione” dell’apporto del singolo alla produttività della struttura di appartenenza; il suo valore è un differenziale possibile tra due estremi della “flessibilità” condivisa ex ante e verificata a fine esercizio; 3 – La capacità profusa ed i comportamenti professionali del singolo dipendente, infine, con riferimento specifico a soggetti ad alta responsabilità nell’organizzazione danno consistenza al concetto della “valutazione in senso stretto”; si tratta di un risultato “binario”, Positivo o Negativo, altro non è dato. Mentre le prime due forme sono oggettivabili, misurabili e determinabili in un punteggio a varie/infinite soluzioni, l’ultima valutazione è particolarmente delicata ed in effetti risente in modo assai rilevante della discrezionalità del valutatore. Dato atto che l’esperienza maturata nel SSN ci consente di ridurre al minimo il contenzioso, la valutazione di tipo 3 ha necessità di garanzie e di spazi di conciliazione, anche perché va ad intaccare drammaticamente l’autonomia professionale e manageriale dei soggetti cui tale valutazione è imposta per norma di legge. Ecco che si parla espressamente di proposta di valutazione e di valutazione di 2^ istanza o di garanzia, finalizzata a ridurre ogni possibile spazio di conflittualità o di patologie di lavoro (mobbing, bossing, conflitti interpersonali e fumus persecutionis). Attraverso regolamenti ormai ben sperimentati, anche questa forma di valutazione, la più difficile e delicata, si può dire risolta e consolidata. 3 Qui entra in discussione il ruolo dell’OIV, il soggetto terzo ed autorevole che gestisce le procedure di “audizione”, di istruttoria ed giudizi a seguito di procedure di anali a confronto (con definizione del valore soglia) di cui abbiamo raccolto vari riscontri esperienziali. Una prassi assai diffusa La condizione da assicurare è la presenza di dirigenti veri, capaci di essere dei capi credibili, cioè in grado di dedicare tempo ed energie alla gestione manageriale del proprio personale. Ogni Ente è costituito da decine e centinaia di piccoli team che seguono un piano della performance articolato in una rete di strutture definite, impegnate a condurre un Ciclo annuale di tipo budgetario dove si ricerca la massima flessibilità. Valutare e valorizzare i collaboratori è una specifica funzione del dirigente pubblico. Ciò detto, non condividiamo visioni basate su impostazioni di tipo gerarchico rigidamente governate secondo schemi unici ed inamovibili; per questo non si accettano valutazioni della performance svolte “ex post”, secondo logiche rigide e poco conosciute dai destinatari e, soprattutto, attraverso l’espressione di giudizi dei “capi” con giudizi espressi di tipo meramente discrezionale. Ancor peggio è l’idea di poter collegare queste valutazioni calate dall’alto alla distribuzione del salario di risultato; questo tipo di valutazioni forse può funzionare nel mondo privato, anche se non lo si accetta a cuor leggero, ma negli uffici pubblici – dove la proprietà ed i mezzi di produzione sono pubblici - c’è un sostanziale rifiuto di questo strumento: se l’incentivo non viene erogato in modo trasparente, per tutti si pretende il giudizio massimo; così succede assai di frequente che, dove si agisce d’autorità, viene meno ogni possibile rapporto fra il capo ed i suoi collaboratori. In alcuni casi si ha notizia di veri e propri conflitti con relativo contenzioso legale: è una modalità velleitaria. Imporla – com’è accaduto nelle prime linee guida del D.Lgs 150/09 - è un problema molto serio. In gran parte degli enti pubblici, purtroppo, volendo adempiere ad un mero indirizzo normativo, le schede di valutazione topo down hanno preso piede e molti OIV si sono adattati validando sic et simpliciter questo approccio e si sono adeguati a consentire tale visione “autoritaria”. 4 Ma ciò ha creato un rifiuto sostanziale da parte dei Sindacati dello strumento della valutazione, soprattutto se questa viene utilizzata per l’erogazione dei premi individuali previsti dai Contratti collettivi (CCNL) secondo Contratti integrativi siglati a livello di ente. Come detto, molte amministrazioni hanno vissuto la questione come un mero adempimento: concluso il ciclo della performance per distribuire il salario di risultato ai dipendenti, si chiede al capo di compilare queste “maledette” schede di valutazione. Ma ciò provoca due effetti negativi, sia quando i dirigenti, per evitare rischi di tensioni, valutano tutti al massimo (100%), ma anche quando, magari stimolati e convinti di saper gestire le proprie valutazioni, credendo giusto incidere sul salario di risultato dei collaboratori, esprimono giudizi apodittici, senza alcuna dimostrazione e con fare assolutamente discrezionale. Ambedue questi modi di procedere hanno allontanato ogni possibilità di collaborazione tra le persone impegnate nel lavoro; nel primo caso i dirigenti non hanno saputo o voluto riconoscere i talenti dei migliori (con l’effetto di un totale appiattimento dei premi); nel secondo, invece, ove il dirigente ha dimostrato coraggio ed orgoglio nel differenziare i giudizi, i dipendenti si risentono e, soprattutto, non accettano di venir “esaminati” da un’autorità che agisce in totale discrezionalità, quindi considerano la valutazione iniqua e discriminante, come frutto di strapotere ingiustificato ed invadente del dirigente. La valorizzazione dell’apporto dei singoli alla produttività del team di lavoro (equipe omogenea). La valorizzazione differenziale di cui si parla in questa relazione1, è stata accolta in modo assolutamente favorevole; val la pesa soffermarsi a comprendere quali sono le motivazioni di questo successo. Si tratta di una modalità che sfrutta la sensibilità psicologica (la leadership) del “capo”, il quale più che valutare i comportamenti lavorativi, si pone nella condizione di rilevare la “flessibilità lavorativa del singolo dipendente inserito in un’equipe omogenea, opportunamente identificata ex ante”. Nelle Aziende e negli Enti pubblici il Ciclo della performance annuale si attiva in ogni CdR: tutti sono impegnati a raggiungere gli obiettivi negoziati tra l’amministrazione ed il dirigente. Per ottenere i risultati attesi, ogni ufficio, ogni equipe di lavoro, deve adattarsi esprimendo la propria flessibilità lavorativa 1 Lʼargomento è stato pubblicato in due lavori: “Così si valorizza il merito” ”; Pubblicato su: “Il sole 24 ore Sanità” del 07-13 Luglio 2009; . “Il merito per ogni dottore”; Pubblicato su: “Il sole 24 ore Sanità” del 18-24 gennaio 2011. 5 attraverso i migliori “talenti” (si tratta di carichi di lavoro, d’impegno e di esperienze messe a frutto degli altri). I singoli agiscono in una logica di equipe: ciascuno ha un proprio punteggio che esprime il valore della sua flessibilità Come si procede: tutti i dipendenti posseggono dei “talenti”, serve un metodo con cui trasformare questa capacità di lavoro in un valore oggettivo: il risultato, quindi, è il punteggio di “flessibilità” individuale. In sostanza, se le differenze fra gli addetti sono reali ed accertate, il premio può essere differenziato, meglio dire “valorizzato”. Naturalmente non si può escludere che persone diversamente impegnate sull’operatività, possano ottenere lo stesso punteggio di flessibilità. E’ auspicabile, anzi, che tutti si propongano per dare il loro miglior contributo possibile; ad evitare comportamenti opportunistici e sleali, tale punteggio ottenuto ad inizio d’anno verrà verificato a fine anno, grazie ad un procedimento di condivisione ulteriore col quale si cementa ancor più il team e si esalta il ruolo del dirigente come team leader. Per questo motivo è fondamentale che, sotto la vigilanza del capo, tutti partecipano alla definizione di una “griglia valutativa” ricorrendo a modalità assolutamente trasparenti e partecipate fin dall’inizio del Ciclo della performance. La griglia è condivisa ex ante, scegliendo fino a 10 criteri caratteristici ben correlati agli obiettivi da raggiungere; ciascun criterio si incrocia con un proprio livello di flessibilità oggettivo che stanno su una scala a 5 gradini. Il punteggio complessivo del singolo operatore – se i criteri sono 10 esso oscilla tra un minimo (10) ed un massimo (50) - viene condiviso dai componenti dell’equipe grazie ad un approccio trasparente e partecipativo, messo in atto dal capo, il quale chiede a tutti il loro impegno massimo; lo deve fare in quanto è il primo responsabile dei risultati della struttura nel suo complesso, quindi ha interesse a gestire rapporti solidali all’interno di ciascuna equipe omogenea (team building). Il principio metodologico è semplicissimo: ogni equipe concorda col proprio dirigente una “griglia” personalizzata. Ciascun dipendente riempie la sua scheda marcando una crocetta in corrispondenza dei vari criteri quale livello di flessibilità egli s’impegna a svolgere; da questo processo “democratico” di 6 autovalutazione (preventiva e verificata a fine anno) dipende la crescita della produttività dell’intera struttura dirigenziale. Come selezionare i criteri di misurazione della flessibilità in modo oggettivo Per rispondere alla legittima richiesta del sindacato di vederci chiaro, comprensibilmente preoccupato dell’equità ed oggettività del procedimento di valorizzazione, la differenziazione dell’accesso ai premi deve essere misurabile ricorrendo a criteri scelti secondo modalità condivise ad inizio d’anno. Segue una griglia che contiene un certo numero di criteri collegati ad altrettanti possibili livelli di produttività oggettivi, cioè idonei a caratterizzare l’apporto produttivo che verrà messo in atto per raggiungere gli obiettivi dell’intera struttura (performance organizzativa). Nell’esempio didattico, alcuni criteri non sono presenti in quanto si tratta di una “griglia prototipo” ancora da attivare. L’attivazione è effettiva allorchè sono stati definiti tutti i criteri concordati dall’equipe. Criteri di VALORIZZAZIONE Livello 1 livello 2 livello 3 livello 4 livello 5 Criterio n. 1 - impegno nell'apprendimento (ore formaz./anno) 10 20 30 40 50 Criterio n. 2 - Numero giorni/mese dedicati ad attività ambulatoriale 1-2 3-4 5-6 7-8 >9 Criterio n. 3 - Grado di operatività in autonomia 10%20% 21%40% 41%-60% 61%80% 81%100% Criterio n. 4 - Grado di interscambiabilità nei compiti assegnati Minimo Basso Medio Alto Totale 3-5 7-9 10-12 13-15 > 16 Criterio n. 5 Criterio n. 6 - Disponibilità per attività ambulatoriale sabato (n. sabati/anno) Criterio n. 7 Criterio n. 8 Criterio n. 9 Criterio n. 10 - Per attivare/varare la griglia esemplificativa, il dirigente, di concerto con la propria equipe, la completa in ragione di tutti i possibili 10 criteri, condividendo i corrispondenti livelli che ritiene siano necessari a migliorare la produttività del CdR. Ogni collaboratore ha una copia cartacea della griglia: decide 7 liberamente di porre una “x” sul livello d’impegno che ritiene di potersi assumere, concorda il contenuto con i colleghi ed il capo, poi firma tale scheda. Vediamo un esempio di un criterio che attiene ad un servizio ambulatoriale da potenziare aumentando l’offerta di attività il sabato mattina: Criteri di VALORIZZAZIONE Criterio n. 6 - Disponibilità per attività ambulatoriale al sabato. (n. sabati/anno) Livello 1 livello 2 livello 3 livello 4 livello 5 3-5 6-8 9-11 12-15 > 16 Come detto, il livello minimo corrisponde ad 1 punto, il massimo a 5 punti. Di conseguenza il 3 livello (3 punti) corrisponde indicativamente alla metà dell’impegno posto nel tratto che va dal livello 1 al livello 5. Nel caso in esame, il punteggio complessivo della flessibilità del singolo operatore oscilla tra un minimo di 10 ed un massimo di 50. Questo specifico criterio, nel concreto, può essere correlato all’obiettivo concordato tra l’amministrazione ed il dirigente/capo di potenziare la produttività ambulatoriale del proprio Reparto, quindi mira a spingere sul numero di giornate di sabato (52 perché tante sono le settimane di un anno); così si garantisce una precisa attività ambulatoriale in un giorno comodo per l’utenza, magari disagiato per i dipendenti (che quel giorno preferiscono evitare quell’impegno): il massimo richiesto è > a 16 sabati all’anno, mentre il minimo corrisponde a 3-5 turni di servizi svolti il sabato. Ribadiamo che questa ipotesi metodologica è stata accolta con favore in oltre 50 realtà; sono stati definiti dei “protocolli applicativi” da allegare al Contratto integrativo aziendale e tutto ha funzionato al meglio! Si tratta di un approccio strutturato e, riteniamo, abbastanza semplice da gestire attraverso una semplice scheda di calcolo Excel. Firenze 3 Aprile 2015. 8