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Evoluzione - Altervista
Evoluzione Concetto di specie È la più diffusa, usata in zoologia. Dalla definizione di Dobzhansky e Mayr, la specie è rappresentata da quegli individui che incrociandosi tra loro generano potenzialmente una prole illimitatamente feconda. Ovviamente, come si amplierà più sotto, il termine, si basa su un modello necessariamente artificiale, e non è valido per tutti i casi di organismi in cui sia assente la riproduzione sessuale. In questi casi, tipici ad esempio in microbiologia, la definizione è più articolata, ed è reperibile su testi di tassonomia batterica. Il concetto di illimitatamente e feconda è a fondamento della classificazione artificiale attuata dall'uomo che, come tale, lascia aperto il campo a molte eccezioni di ibridi interspecifici o intergenerici sani e fecondi. È noto a tutti che l'asino e la cavalla generano il mulo, che è sterile; non così però l'incrocio, ad esempio, del grizzly con l'orso polare, che pure continuano ad essere considerate due specie diverse nonostante la loro prole sia fertile. In linea generale, il fatto che gli ibridi nati in condizioni di cattività siano fertili non può essere di per sé considerata un'evidenza invalidante della sussistenza di due specie separate, nel caso in cui una barriera riproduttiva sia effettivamente presente in natura. Tale conclusione può essere tratta dall'affermazione formulata da Ernst Mayr, secondo il quale le specie animali "non si incrociano in condizioni naturali". Ciò non esclude dunque la possibilità che possano farlo, e con esiti positivi, in condizioni artificiali. Gli accoppiamenti che sono il risultato della deliberata azione dell'uomo, così come il caso più generale di specie che sarebbero fisiologicamente in grado di generare prole ma che per vari motivi non lo fanno in natura, non possono rappresentare evidenze a sostegno di una supposta impossibilità di elevare due popolazioni al rango di specie separate. L'idea dunque che specie differenti non possano incrociarsi o che la prole di un tale incrocio debba essere in tutti i casi sterile rappresenta un travisamento del concetto di Specie biologica formulato da Ernst Mayr nel 1942 D'altra parte, la generazione di prole fertile come risultato dell'incrocio di due specie rappresenta un'evidenza della vicinanza filogenetica delle stesse. In accordo con Mayr, l'elemento chiave per la definizione di una Specie biologica sarebbe dunque la sussistenza di un isolamento riproduttivo in natura rispetto ad altre popolazioni, assieme ad una coesione riproduttiva interna alla popolazione stessa. La necessità dell'analisi scientifica di gerarchizzare, categorizzare, e dividere in unità tassonomiche il vivente non è che uno strumento utile alla comprensione dei fenomeni. L'evoluzione della vita è un fenomeno senza soluzione di continuità, dove l'unità elementare è il singolo organismo. Questo fatto spiega la velocità di cambiamento delle classificazioni di alcuni gruppi, in fattispecie ai livelli più bassi della scala evolutiva, dove il concetto di specie è necessariamente più fluido, in particolare in assenza di riproduzione sessuale. Nonostante la singolarità indubbia dell'individuo biologico, al di là di ogni teoria, si definisce speciazione, o evoluzione di una nuova specie il fenomeno per cui una popolazione diventa riproduttivamente isolata dagli altri membri della stessa specie, e quindi il suo pool genico (l’insieme degli alleli di tutti i geni presenti in una popolazione) si diversifica a tal punto da generare caratteristiche adattative uniche. Teorie evolutive contrapposte (del gradualismo filetico e degli equilibri punteggiati) che probabilmente coesistono in natura, cercano di definirne i meccanismi. Lo studio delle popolazioni e delle loro condizioni di equilibrio genetico sono gli oggetti su cui si basa la legge di Hardy-Weinberg, (dal matematico inglese G. H. Hardy e il medico tedesco W. Weinberg) che permette di prevedere se in una popolazione si verificheranno mutamenti evolutivi. Questi avverranno se: intervengono mutazioni (e qui abbiamo la verifica sperimentale dell'evoluzione con il caso della poliploidia vegetale) intervengono migrazioni le dimensioni numeriche sono ridotte (deriva genetica) gli accoppiamenti non sono casuali agisce la selezione naturale Darwin La teoria dell'evoluzione delle specie è un pilastro fondamentale della biologia moderna, sostenuta validamente dall'osservazione sperimentale. Si basa su prove paleontologiche, embriologiche di comparazione anatomica e di caratteristiche biochimiche degli organismi. Scientificamente possiamo dire che per quanto ora noto la vita biologica esiste soltanto sul pianeta Terra, terzo del Sistema solare, adatto per temperatura, pressione e irraggiamento elettromagnetico alla stabilità fisicochimica delle molecole organiche che sono alla base di tutte le forme di vita biologica finora conosciute ed alla contemporanea possibilità di essere coinvolte in reazioni chimiche di trasformazione delle stesse. Nulla si oppone teoricamente alla vita biologica in altre regioni dell'universo, se fisicamente adatte. Nulla si oppone ad un concetto più esteso, se fondato sulle leggi fisiche, di vita come un sistema altamente organizzato, in grado di contrastare l'aumento di entropia del proprio sistema, potenzialmente in grado di evolvere, e di riprodurre se stesso... Nessuna osservazione sperimentale allo stato attuale conferma per adesso l'estensione delle teorie. Charles Robert Darwin (Shrewsbury, 12 febbraio 1809 – Londra, 19 aprile 1882) è stato un naturalista britannico, celebre per aver formulato la teoria dell'evoluzione delle specie animali e vegetali per selezione naturale agente sulla variabilità dei caratteri (origine delle specie), e per aver teorizzato la discendenza di tutti i primati (uomo compreso) da un antenato comune (origine dell'uomo). Pubblicò la sua teoria sull'evoluzione delle specie nel libro L'origine delle specie (1859), che è rimasto il suo lavoro più noto. Raccolse molti dei dati su cui basò la sua teoria durante un viaggio intorno al mondo sulla nave HMS Beagle, e in particolare durante la sua sosta alle Isole Galápagos. Nel suo viaggio visitò le isole di Capo Verde, le Isole Falkland (o Isole Malvinas), la costa del Sud America, le Isole Galápagos e l'Australia. Di ritorno nel 1836, Darwin analizzò campioni di specie animali e vegetali, che aveva raccolto, e notò somiglianze tra fossili e specie viventi della stessa area geografica. In particolare, notò che ogni isola dell'arcipelago delle Galápagos aveva proprie forme di tartarughe e specie di uccelli differenti per aspetto, dieta, eccetera, ma per altri versi simili. Il viaggio del Beagle Le isole Galapagos Nella primavera del 1837 ornitologi del British Museum informarono Darwin che le numerose e piuttosto differenti specie che egli aveva raccolto alle Galápagos appartenevano tutte a un gruppo di specie della sottofamiglia Geospizinae, all'interno della famiglia Fringillidae, cui appartengono anche i comuni fringuelli. Ciò, unitamente alla rilettura del saggio del 1798 di Thomas Malthus sulla popolazione, innescò una catena di pensieri che culminarono nella teoria dell'evoluzione per selezione naturale e sessuale. Darwin ipotizzò che, ad esempio, le differenti tartarughe avessero avuto origine da un'unica specie e si fossero diversamente adattate nelle diverse isole. 1) La lucertola più presente è quella con la coda intermedia 2) Gli esemplari di destra e di sinistra sono i più presenti: la specie è destinata a formare nuove sottospecie 3) Mentre un tempo gli esemplari a collo corto erano i più presenti, oggi c’è un incremento numerico di quelli a collo lungo Teorie Sulla base di tali riflessioni, ed in sintonia con i Principi di geologia di Charles Lyell e il Saggio sui principi della popolazione di Malthus (in cui si teorizzava il concetto di disponibilità di risorse alimentari intesa come limite alla numerosità delle popolazioni animali), Darwin scrisse gli Appunti sulla trasformazione delle specie. Ben consapevole dell'impatto che la sua ipotesi avrebbe avuto sul mondo scientifico, Darwin si mise ad indagare attivamente alla ricerca di eventuali errori, facendo esperimenti con piante e piccioni e consultando esperti selezionatori di diverse specie animali. Nel 1842 stese un primo abbozzo della sua teoria, e nel 1844 iniziò a redigere un saggio di 240 pagine in cui esponeva una versione più articolata della sua idea originale sulla selezione naturale. Fino al 1858 (anno in cui Darwin si sarebbe presentato alla Linnean Society di Londra) non smise mai di limare e perfezionare la sua teoria. Con la teoria evoluzionistica Darwin dimostrò che l'evoluzione è l'elemento comune, il filo conduttore della diversità della vita. Secondo una visione evolutiva della vita, i membri dello stesso gruppo si assomigliano perché si sono evoluti da un antenato comune. Secondo l'opinione di Darwin, le specie nascono mediante un processo di “discendenza con variazione”. Fatto ancora più importante, nel suo trattato sull'origine delle specie, Darwin oppose la teoria della selezione naturale per spiegare con quali meccanismi avviene l'evoluzione. La teoria evoluzionistica di Darwin si basa su tre presupposti fondamentali: Riproduzione: tutti gli organismi viventi si riproducono con un ritmo tale che, in breve tempo, il numero di individui di ogni specie potrebbe non essere più in equilibrio con le risorse alimentari e l'ambiente messo loro a disposizione. Variazioni: tra gli individui della stessa specie esiste un'ampia variabilità dei caratteri; ve ne sono di più lenti e di più veloci, di più chiari e di più scuri, e così via. Selezione: esiste una lotta continua per la sopravvivenza all'interno della stessa specie e anche all'esterno. Nella lotta sopravvivono gli individui più favoriti, cioè quelli meglio strutturati per giungere alle risorse naturali messe loro a disposizione, ottenendo un vantaggio riproduttivo sugli individui meno adatti. La selezione naturale La selezione naturale avviene quando variazioni ereditabili vengono esposte a fattori ambientali che favoriscono il processo riproduttivo di alcuni individui rispetto ad altri. Egli affermò che l'evoluzione di nuove specie deriva da un accumulo graduale di piccoli cambiamenti. Ciascuna specie presenta una propria serie di adattamenti, ossia di caratteristiche che si sono evolute mediante la selezione naturale; comprendere in che modo gli adattamenti si sono evoluti per selezione naturale è di estrema importanza nello studio della vita quindi nella biologia. La selezione naturale, concetto introdotto da Charles Darwin nel 1859 nel libro L'origine delle specie, è il meccanismo con cui avviene l'evoluzione delle specie e secondo cui, nell'ambito della diversità genetica delle popolazioni, si ha un progressivo (e cumulativo) aumento della frequenza degli individui con caratteristiche ottimali (fitness) per l'ambiente di vita. In riferimento alla competizione tra individui, Darwin descrisse il concetto di "lotta per l’esistenza", che si basava sull’osservazione che gli organismi, moltiplicandosi con un ritmo troppo elevato, producono una progenie quantitativamente superiore a quella che le limitate risorse naturali possono sostenere, e di conseguenza sono costretti a una dura competizione per raggiungere lo stato adulto e riprodursi. Gli individui di una stessa specie si differenziano l'uno dall'altro per caratteristiche genetiche e fenotipiche. La teoria della selezione naturale prevede che all'interno di tale variabilità, derivante da mutazioni genetiche casuali, nel corso delle generazioni successive al manifestarsi della mutazione, vengano favorite ("selezionate") quelle mutazioni che portano gli individui ad avere caratteristiche più vantaggiose in date condizioni ambientali, determinandone, cioè, un vantaggio adattativo (migliore adattamento) in termini di sopravvivenza e riproduzione. Gli individui meglio adattati ad un certo habitat si procureranno più facilmente il cibo e si accoppieranno più facilmente degli altri individui della stessa specie che non presentano tali caratteristiche. In altre parole, è l'ambiente a selezionare le mutazioni secondo il criterio di vantaggiosità sopra descritto: i geni forieri di vantaggio adattativo potranno così essere trasmessi, attraverso la riproduzione, alle generazioni successive e con il susseguirsi delle generazioni si potrà avere una progressiva affermazione dei geni buoni a discapito dei geni inutili o dannosi. La specie potrà evolversi progressivamente grazie allo sviluppo di caratteristiche che la renderanno meglio adattata all'ambiente, sino ad una situazione di equilibrio tra ambiente e popolazione che persisterà finché un cambiamento ambientale non innescherà un nuovo fenomeno evolutivo. I principi fondamentali su cui si basa la selezione naturale sono: il principio della variazione, che afferma che tra gli individui di una popolazione esiste una variabilità dei caratteri; il principio dell’adattamento, secondo il quale alcuni individui (i "più adatti" all'ambiente) presentano caratteri che offrono un vantaggio di sopravvivenza e di riproduzione e, di conseguenza, i loro tratti fenotipici diventano prevalenti nella popolazione; il principio dell’ereditarietà, che localizza nei geni l'origine della variabilità delle caratteristiche fenotipiche trasmissibili ai discendenti per mezzo della riproduzione. Esempio di mimetismo criptico difensivo: il camaleonte Il concetto della selezione naturale sviluppato da Charles Darwin nel libro The Origin of species, pubblicato nella sua prima edizione nel 1859, è stato successivamente integrato con la genetica mendeliana nel libro pubblicato da Ronald Fisher nel 1930, The Genetical theory of natural selection, che è considerato uno dei più importanti documenti della Moderna sintesi dell’evoluzione. Le variazioni del fenotipo all'interno di una popolazione derivano da variazioni del genotipo, ma possono a volte essere influenzate dall'ambiente e dalle interazioni gene/ambiente. Un gene per un determinato carattere può esistere, all’interno di una popolazione, sotto forma di versioni diverse, denominate alleli. Il mimetismo Con mimetismo si intende la capacità di ingannare per trarne un vantaggio evolutivo, che può essere: - nascondersi da un predatore confondendosi cromaticamente nello sfondo ambientale (mimetismo criptico difensivo); - nascondersi alla preda durante l'avvicinamento, confondendosi cromaticamente nello sfondo ambientale (mimetismo criptico offensivo). - dissuadere un predatore, imitando animali o esseri viventi o parti di animali o altri esseri viventi che possano incutere timore per la loro nota pericolosità o che permettano di non essere individuati (mimetismo batesiano); - imitare un'altra specie pericolosa o disgustosa per dimezzare le predazioni. Ad esempio le vespe imitano le api, così un predatore prederà solamente la metà degli individui di ogni specie, anche se il numero di predazioni totali rimarrà, logicamente, uguale (mimetismo mülleriano). Nel caso di alcune orchidee, favorire l'impollinazione, imitando l'addome della femmina della vespa, affinché il maschio intinga il proprio corpo nel polline. Sirfide e salamandra Due esempi di mimetismo batesiano Il mimetismo può essere prodotto attraverso cellule specializzate della pelle, ma anche particolari forme del corpo possono permettere di confondersi con l'ambiente. Perché il mimetismo abbia successo evolutivo devono verificarsi due condizioni: il soggetto deve essere cromaticamente simile allo sfondo e l'efficienza della vista del soggetto da ingannare dev'essere scarsa. Il mimetismo si è gradualmente evoluto migliorandosi, ma anche negli stadi intermedi di evoluzione sortisce gli effetti desiderati, perché una mimetizzazione scarsa viene bilanciata da una vista scarsa che non riesce a riconoscere distinguerla da lontano, con certi angoli di visuale e con luce scarsa. Il meccanismo di selezione naturale ha poi selezionato di volta in volta gli organismi mimeticamente perfezionati. kalima grillo Si parla di mimetismo criptico per indicare l'assunzione di forme, colori e comportamenti tali da rendere l'individuo simile all’ambiente circostante o a parti di esso; di mimetismo fanerico (o di ostentazione) per indicare l'imitazione di un'altra specie, tossica o pericolosa, dotata di colori aposematici. Un esempio di mimetismo fanerico è il mimetismo batesiano, dal nome di Henry Bates, il naturalista inglese del XIX secolo che lo ha descritto per la prima volta. In questo caso un animale innocuo e appetibile presenta l'aspetto di un altro aggressivo o disgustoso, evitato dai predatori. In natura esiste anche il fenomeno contrario. Alcuni animali hanno sviluppato una forma opposta al mimetismo criptico, il mimetismo aggressivo, che consiste nel farsi notare. In genere questi animali sono velenosi o hanno un sapore o un odore sgradevoli. Gli autori anglosassoni in genere limitano il termine "mimetismo" al mimetismo fanerico (in inglese mimicry) o mimetismo in senso stretto, mentre il mimetismo criptico viene indicato come "camuffamento" (in inglese camouflage). Il mimetismo batesiano si verifica quando una specie animale, innocua e inerme di fronte ai predatori, sfrutta la sua somiglianza con una specie aposematica che vive nello stesso territorio, arrivando a imitarne colorazione e comportamenti. In questo modo nella mente dei predatori la specie batesiana viene associata a quella aposematica e quindi aumenta le proprie possibilità di sopravvivenza. Condizione necessaria per lo sviluppo del mimetismo batesiano è che la specie inerme condivida lo stesso tipo di predatori di quella aposematica. È stato inoltre osservato che le specie batesiane sono meno numerose e vivono meno a lungo di quelle aposematiche che occupano lo stesso ambiente. Si ritiene che anche questa sia una strategia sviluppata dagli animali batesiani per ridurre statisticamente le probabilità di essere mangiati per sbaglio da predatori inesperti. Esempi di mimetismo batesiano sono rappresentati da diverse specie tropicali di farfalle diurne delle famiglie Papilionidae e Nymphalidae, che comprendono sia specie aposematiche sia specie innocue che le imitano; anche tra le Epicopeiidae vi sono specie batesiane, mentre tra le specie aposematiche che vengono imitate si annoverano molte Danainae e Uraniinae. I lepidotteri Sesiidae, del tutto innocui e diffusi anche nelle zone temperate, imitano nell'aspetto diverse specie di Imenotteri. Questi ultimi vengono imitati anche da altri insetti floricoli: diversi ditteri e alcuni cerambicidi delle sottofamiglie Cerambycinae e Lepturinae. Tra i ditteri la specie Rhagoletis zephyria imita i ragni saltatori. Non mancano esempi di mimetismo batesiano anche nei vertebrati: tra i serpenti Lampropeltis triangulum, non velenoso, imita il serpente corallo; tra i pesci l'innocuo Plesiops imita il murenide mortale Gymnothorax moringa. Mimetismo mülleriano Due o più specie lontane filogeneticamente, tutte inappetibili, si imitano a vicenda e perciò condividono la stessa colorazione aposematica. Questo avvantaggia tutte le coleottero specie interessate, dato che i predatori devono imparare un unico segnale di avvertimento, anziché uno diverso per ogni ape specie, e di conseguenza il numero di individui di ogni specie sacrificati per consentire questo apprendimento diminuisce. Ad esempio il lepidottero Zygaenidae Zygaena ephialtes imita l'Arctiidae Amata phegea e altre specie dello stesso genere. Negli insetti le specie coinvolte possono appartenere anche a ordini diversi: le stesse colorazioni aposematiche rosse e nere sono condivise ad esempio da numerose specie di lepidotteri del genere Zygaena ma anche dal coleottero Cleridae Trichodes apiarius e dall'omottero Cercopis sanguinea. sfecide vespa Mosca sirfide falena Mimetismo emsleyano o mertensiano Se però esistono altre specie, non letali come quella aposematica, ma che Questo particolare mimetismo descrive comunque possono nuocere al l'insolito caso in cui una preda dal veleno predatore (es. un veleno moderato; un letale imita una specie meno pericolosa. morso doloroso), quest'ultimo può Venne proposto da Emsley come possibile imparare a riconoscere quei colori come soluzione all'enigma del mimetismo del un segnale di pericolosità ed evitare serpente corallo. La ricerca venne portata avanti dal biologo tedesco Wolfgang Wickler, quell'animale. Una specie letale quindi avrebbe più vantaggi ad imitare un che lo battezzò col nome dell'erpetologo organismo aposematico meno tedesco Robert Mertens. pericoloso, rispetto a quelli garantiti ad In altri tipi di mimetismo solitamente è la specie più pericolosa ad essere presa come esempio da un mimetismo criptico. modello da imitare. Ma se un predatore muore, come può imparare a riconoscere un segnale di pericolosità, come ad esempio certi colori sgargianti? In altre parole, non c'è alcun vantaggio nell'essere aposematici per un organismo in grado di uccidere qualunque suo predatore; paradossalmente, dovrebbe essere più vantaggioso per lui possedere un mimetismo criptico. Micrurus serpente mortale Il più celebre esempio di questo tipo di mimetismo è rappresentato proprio dal sopra citato serpente corallo (gen. Micrurus). L'imitazione da parte di certi serpenti innocui (ad es. varie sottospecie del colubride Lampropeltis triangulum) della livrea del letale elapide Micrurus è un esempio classico di mimetismo batesiano. Il Micrurus, però, a sua volta imita la livrea di un colubride meno velenoso (gen. Erythrolamprus), rappresentando così un caso di mimetismo mertensiano. Erythrolamprus Lampropeltis elapsoides – serpente innocuo Alcuni punti fondamentali nella teoria darwiniana La teoria evoluzionistica di Darwin si basa su alcuni presupposti: 1. Il simile genera il simile. 2. Nelle popolazioni si verificano delle variazioni alcune delle quali sono ereditarie. 3. In una specie il numero degli individui che riescono a sopravvivere fino all’età riproduttiva è molto piccolo rispetto a quelli generati. 4. Quale individuo debba sopravvivere o morire è determinato dall’adattamento (selezione naturale). 5. Dopo un certo periodo di tempo la selezione naturale fa accumulare dei cambiamenti tali da differenziare i gruppi in organismi. La teoria non riusciva a spiegare i meccanismi ereditari. Darwin non riusciva a spiegare, in particolare, tre problemi: 1. Come vengono trasmesse le caratteristiche ereditarie? 2. Perché queste caratteristiche ereditarie non si mescolano ma possono scomparire per riapparire alla successiva generazione? 3. In che modo appaiono le variazioni dovute alla selezione naturale? Con la nascita della genetica, nasce anche una nuova branca della biologia: la genetica di popolazione. Una popolazione è definita come un gruppo di organismi della stessa specie che si riproducono tra di loro in un certo ambiente e in un certo tempo. Ciò che caratterizza una popolazione è il proprio pool genico che è dato dalla somma di tutti alleli dei geni di tutti gli individui della popolazione. Per quanto riguarda il singolo individuo, invece, viene definito fitness il numero di discendenti relativi a quell’individuo. Consideriamo il primo punto della teoria evoluzionistica di Darwin: “il simile genera il simile”. Ciò accade perché il DNA di un individuo viene trasmesso, a seguito di una duplicazione, alle cellule del figlio in maniera estremamente precisa. Tuttavia, affinché ci sia una reale evoluzione, è necessario che compaiono delle variazioni nell’individuo; in questo modo egli potrà adattarsi meglio all’ambiente che lo circonda. Per tale motivo è importante che il genetista di popolazione riesca a determinare l’ampiezza della variabilità genetica. Ciò serve a capire quali variazioni vengono mantenute o favorite nel pool. I metodi utilizzati a tale scopo sono: 1. La selezione artificiale (mette in evidenza la variabilità latente). 2. Gli studi sperimentali sugli incroci. 3. Il metodo Hubby-Lewontin (analisi degli enzimi). Il secondo problema che Darwin con la sua teoria non riusciva a spiegare può essere così integrato: Perchè i dominanti non eliminano i recessivi? A tale domanda fu data una risposta da un matematico inglese, G.H. Hardy, e da un medico tedesco, G. Weinberg. Secondo i loro studi le ricombinazioni genetiche non modificano la composizione globale del pool genico (insomma vi è equilibrio). Ciò è vero solo se una popolazione (ideale) soddisfa cinque condizioni: 1. Non si verificano mutazioni. 2. Nella popolazione non si verifica l’emigrazione o l’immigrazione di individui verso o dall’esterno. 3. La popolazione è sufficientemente grande. 4. L’accoppiamento è casuale. 5. Tutti i discendenti nati hanno uguali possibilità di sopravvivere. L’equilibrio è espresso da queste equazioni: p+q=1 dove p = frequenza di un allele nella popolazione q = frequenza di un altro allele nella popolazione Per cui, essendo (p+q)2=1 p2+2pq+q2=1 p2,q2 = frequenza individui omozigoti nella popolazione 2pq = frequenza individui eterozigoti nella popolazione L’equilibrio H.W. si verifica in una popolazione ideale che soddisfa le cinque condizioni sopraindicate. In realtà le frequenze alleliche delle popolazioni reali vengono modificate dalla selezione naturale. Fattori che possono modificare la frequenza allelica sono le mutazioni. Queste si verificano per caso e possono essere provocate da agenti quali Raggi X, Raggi UV, composti radioattivi e alcune sostanze chimiche. Cosa molto importante da considerare è che le mutazioni sono indipendenti dall’ambiente; quest’ultimo però ne può influenzare la velocità. Per un genetista le mutazioni consistono in cambiamenti ereditari del genotipo. Altri fattori che modificano la frequenza allelica sono il flusso genico, la deriva genica e gli accoppiamenti non casuali. Il flusso genico è il movimento di alleli verso l’interno o l’esterno di una popolazione a causa dell’immigrazione o dell’emigrazione di individui in età riproduttiva. La deriva genica, invece, si verifica nelle piccole popolazioni e consiste nel cambiamento del pool genico per azione del caso. Vi sono altri esempi di deriva genica che si verificano con più facilità nelle popolazioni molto piccole: L’effetto del fondatore: Si verifica quando una piccola popolazione, che si separa da una più grande, ha un pool genico differente da quella del gruppo originario. Collo di bottiglia: Si verifica quando una popolazione viene drasticamente ridotta di numero da eventi non collegati con la selezione naturale. Per quanto riguarda gli accoppiamenti non casuali, questi provocano cambiamenti nelle frequenze genotipiche, ma possono non influire sulle frequenze alleliche. Vi sono alcuni meccanismi che permettono invece di mantenere o incrementare la variabilità. La variabilità genetica nelle popolazioni viene garantita dalla riproduzione sessuata e dai meccanismi che favoriscono l’esoincrocio come gli alleli per l’autosterilità e gli elementi anatomici che impediscono l’autofecondazione nelle piante e il comportamento negli animali. La variabilità viene mantenuta, invece, dalla diploidia, che preserva gli alleli recessivi rari dalla selezione naturale e dai casi di superiorità dell’eterozigote dove questi ultimi hanno un maggiore successo riproduttivo rispetto agli omozigoti. Per quanto riguarda la selezione naturale questa può contribuire ad incrementare o a mantenere la variabilità. La selezione naturale agisce sull’intero fenotipo il quale è determinato dall’interazione del genotipo con l’ambiente in cui l’individuo vive. I processi selettivi possono essere raggruppati in cinque categorie : Selezione stabilizzante Consiste nell’eliminazione degli individi di una popolazione che presentano caratteri estremi. Selezione divergente In una popolazione aumenta la frequenza dei caratteri estremi a spese di quelli intermedi. Selezione direzionale Tende a sostituire nel pool genico un allele (o un gruppo di alleli) con un altro. Selezione frequenza dipendente Tende a ridurre la frequenza dei fenotipi più comuni per aumentare la frequenza di quelli meno comuni. Selezione sessuale Consiste nella lotta tra membri di un sesso (di solito maschile) per la conquista dell’altro sesso. Questo tipo di selezione genera il dimorfismo sessuale fenomeno che riguarda le differenze tra maschi e femmine nella modalità di procurarsi un compagno (diversa modalità di “attirare l’attenzione”). L’effetto della selezione naturale è l’adattamento. L’adattamento è: 1. Condizione di sintonia con l’ambiente. 2. Una caratteristica fisica dell’individuo che contribuisce alla sua integrazione con l’ambiente. 3. Un processo evolutivo che genera individui in armonia con l’ambiente circostante. Prove che confermano l’adattamento dell’individuo all’ambiente fisico che lo circonda possono essere osservate nelle variazioni fenotipiche graduali, dette cline, le quali seguono una distribuzione geografica. Se una specie occupa habitat differenti può apparire lievemente diversa in ognuno di questi. Ciascun gruppo di fenotipi distinti è detto ecotipo. Quando l’adattamento dipende da forze selettive esercitate da organismi interagenti si parla di coevoluzione. Un esempio citabile è quello dell’interazione tra le asclepiadi e la farfalla monaca. Questa interazione ha come effetto vantaggioso per la farfalla monaca e per le sue forme imitatrici il mimetismo batesiano e mulleriano. La selezione naturale, vista da una prospettiva più ampia, produce differenti tipi di evoluzione: 1. Si parla di evoluzione convergente quando organismi, che vivono in ambienti simili, si somigliano. 2. Si parla di evoluzione divergente quando una popolazione, separandosi dal resto della specie, segue un proprio percorso evolutivo. Durante il suo viaggio sul brigantino Beagle, Darwin ebbe modo di conoscere nuove specie mai viste prima. Secondo la concezione classica ogni specie era stata creata separatamente ed era distinta dalle altre. Queste specie erano state create e collocate nel luogo a loro più adatto da una “forza divina”. Dalla scoperta di un numero impressionante di nuove specie e dall’analisi della loro distribuzione geografica Darwin cominciò a dubitare seriamente della validità di questa teoria. Ma che cos’è una specie? Come ha origine? Una specie è un gruppo di popolazioni i cui membri si incrociano tra di loro e non si incrociano con i membri di altri gruppi. Questo comportamento determina un isolamento genetico. Quando dei piccoli gruppi si isolano dal resto della popolazione e si riproducono tra di loro, possono accumulare dei cambiamenti tali da trasformarsi in una nuova specie. Quando questo processo si verifica si parla di speciazione. La speciazione è allopatrica quando vi è una separazione geografica (dovuta alla presenza di barriere naturali) di piccoli gruppi di organismi dal resto della specie. Questi gruppi successivamente seguiranno dei percorsi evolutivi che li trasformeranno in nuove specie. La speciazione si dice simpatrica quando, pur non essendoci separazione geografica, si verifica la poliploidia. Quest’ultima consiste nell’aumento del numero di cromosomi rispetto all’assetto 2n (diploide) a causa della non disgiunzione del corredo cromosomico durante la meiosi o la mitosi. La nascita di una nuova specie può dipendere anche dal fatto che il numero dei cromosomi di un individuo ibrido raddoppia. In questo caso otteniamo degli individui sterili. Se però alla formazione degli ibridi segue la poliploidia, l’individuo sarà fecondo. Precedentemente abbiamo parlato di isolamento genetico; ebbene la domanda che sorge spontanea è: quali fattori permettono l’isolamento genetico nelle specie strettamente imparentate? Questi meccanismi possono essere di due tipi: prezigotico e postzigotico. I meccanismi di isolamento prezigotico consistono molto spesso in rituali comportamentali, in segnali visivi, uditivi o nell’utilizzo di sostanze chimiche. Nelle piante questi meccanismi possono essere ad esempio i diversi periodi di fioritura di due specie diverse. Per quanto riguarda, invece, i meccanismi di isolamento postzigotico, questi servono a mantenere l’isolamento genetico anche se due individui di specie diverse si accoppiano. Meccanismi di isolamento postzigotico sono ad esempio: le differenze anatomiche dei genitali, gli spermatozoi incapaci di fondersi con quella cellula uovo, nascita di individui sterili, mancato sviluppo della cellula uovo, etc. Le prove a favore della teoria evolutiva di Darwin sono da ricercare nei reperti fossili. Dallo studio di tali reperti si ha un quadro dell’evoluzione di una specie; si parte da organismi semplici sino ad arrivare a quelli più complessi. Secondo Darwin la diversità degli organismi è il risultato di tre grossi modelli di speciazione : Cambiamento filetico Sotto pressioni selettive direzionali una specie gradualmente si trasforma in una nuova specie. Cladogenesi Consiste nella suddivisione di una linea evolutiva in due o più linee distinte. Radiazione adattativa è considerata come l’effetto combinato del cambiamento filetico e della cladogenesi. È la formazione di molte nuove specie a partire da un antenato comune. Vi è infine un ultimo modello evolutivo che ci viene messo in evidenza dallo studio dei reperti fossili: gli equilibri intermittenti. Secondo questo modello le nuove specie si formano per improvvisa speciazione di piccoli gruppi isolati di individui. Le nuove specie che si vengono a formare prendono il sopravvento sulle altre (che si estinguono) e persistono per lunghi periodi fino a quando a loro volta non si estinguono. Organi analoghi e omologhi Si dicono organi analoghi quegli organi di specie diverse che hanno la stessa funzione, ma diversa origine embrionale ed evolutiva. Un classico esempio di organi analoghi sono le ali di un uccello e di un insetto. Esse hanno la stessa funzione attuale, ma origine embrionale (e quindi evolutiva) completamente diversa. Si differenziano dagli organi omologhi, che hanno invece stessa origine, ma possono avere funzioni diverse. L'analogia tra organi con diversa origine può portare a fenomeni di convergenza evolutiva. Importanti sono inoltre gli organi vestigiali, organi ormai inutili nella specie ma che hanno avuto importanza in epoche remote: esempi in noi sono i denti del giudizio, il coccige, i gruppi sanguigni, l’appendice, … Evoluzione umana I primi mammiferi mostrarono una grande capacità di adattamento all'ambiente, dando origine a specie molto diverse tra loro. Alla base dell'origine umana si collocano le protoscimmie, anche detti 'primati', considerati antenati comuni dell'uomo e delle attuali scimmie. L'evoluzione ha comunque demarcato due specie ben distinte tra loro, quella delle scimmie e quella dei primi 'ominidi'. Il famoso 'anello mancante' tra uomo e scimmia non è stato però tuttora ben individuato. Il progenitore più antico della specie umana è il Ramapithecus, una scimmia vissuta 12 milioni di anni fa. Viveva sugli alberi delle foreste africane. I cambiamenti ambientali causati dalla glaciazione influenzarono l'evoluzione degli umanoidi verso una forma bipede, in grado di vivere anche sul terreno: l'Australopithecus africanus, comparso 5 milioni di anni fa. La riduzione della temperatura favorì sempre più l'evoluzione delle specie bipedi, avvantaggiate dalla libertà di movimento sul terreno per le attività di raccolta e di caccia. Per ripararsi dai pericoli e dai predatori i primi ominidi bipedi maturarono il senso della collettività. Le specie progenitrici, come il Ramaphitecus, furono invece eliminate dalla selezione naturale, incapaci di contendere il medesimo territorio di caccia ai propri discendenti più evoluti. L'Australopithecus era ancora molto lontano dall'uomo contemporaneo. Era alto un metro, pesava 30kg e aveva un volume cranico di 500 cc, tre volte inferiore al nostro. Resti dell'Australopithecus sono stati ritrovati in Sud Africa e in Africa orientale. Per le sue attività di caccia o di raccolta si serviva di strumenti naturali, come le pietre scheggiate o le ossa degli animali. L'evoluzione non si fermò, portando alla graduale comparsa dell'Homo habilis, dotato di maggiore capacità cranica, circa 750cc. Rispetto all'Australopithecus era in grado di fabbricare rudimentali strumenti come le schegge dei ciottoli e le asce. L'evoluzione dell'uomo iniziò a premiare l'intelligenza e la capacità cranica degli umanoidi divenne un fattore di supremazia nell'eterna lotta per il territorio di caccia e di raccolta.La selezione naturale iniziò a favorire nella sopravvivenza prevalentemente gli ominidi con maggiore volume cranico. Anche l'Australopithecus si estinse, lasciando il campo al suo discendente più efficiente, circa 1,5 milioni di anni fa, lasciando la scena all'Homo erectus, dotato di capacità cranica di 1200cc. La superiorità mentale gli ominidi perfezionò anche le tecniche di costruzione dei manufatti. Particolare importanza ebbe l'amigdale, uno strumento ricavato da quarzo e da selce in grado d'essere usato contemporaneamente come arma e come strumento per scuoiare le pelli animali. Le comunità di ominidi erano ancora caratterizzate da un numero ristretto di membri, alcune decine, appartenenti a poche famiglie. Circa 300 mila anni fa, l'evoluzione portò alla supremazia due diverse specie di uomini, l'Homo sapiens e l'Homo Neanderthalensis. Entrambe le specie vissero in Europa. L‘uomo di Neanderthal era basso e dotato di maggiore forza, ma più debole nell'uso della comunicazione orale. Le sue caratteristiche fisiche si mostrano particolarmente adatte al rigido clima delle glaciazioni. Con l'avvento dei climi più temperati, circa 30mila anni fa, i Neanderthal si estinsero. La supremazia dell'Homo sapiens crebbe con la temperatura del clima, era più agile e abile nella comunicazione del Neanderthal, e colonizzò in breve tempo tutti i territori di caccia europei. Le teorie a questo proposito sono comunque molte. Dalla linea dei Sapiens comparve 20 mila anni fa l'Homo sapiens sapiens e quindi l'uomo moderno così come oggi lo conosciamo. La capacità cranica raggiunse i 1500cc dando luogo a una esplosione di creatività e ingegno nel perfezionamento delle tecniche e nelle forme di comunicazione ed espressione. Il passo successivo sarebbe stato la nascita delle prime forme di civiltà.