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La maledizione di Didone

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La maledizione di Didone
Eneide libro IV
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Appena la regina
vide da un'alta torre biancheggiare la luce
e allontanarsi la flotta a vele spiegate, e il lido
deserto e il porto vuoto, senza più marinai,
si percosse il bel petto con le mani, furente,
tre volte, quattro, si strappò i biondi capelli:
"O Giove - disse - Enea se ne andrà, uno straniero
si sarà preso gioco impunemente di me
e del mio regno? Nessuno in tutta la città
impugnerà le armi per inquisirlo, nessuno
farà uscire le navi dagli arsenali? Andate,
miei fedeli, correte, portate veloci le fiamme,
munitevi di frecce, fate forza sui remi!
Ma cosa dico, dove sono? Quale pazzia
ti sconvolge la mente o infelice Didone?
Soltanto adesso ti offendono i mali che hai commesso?
Sarebbe stato assai meglio che ti fossi sentita
offesa così nell'ora in cui gli affidavi lo scettro.
Eccola la lealtà di uno che dicono rechi
con se i patrii Penati, di uno che avrebbe portato
sulle spalle, pietoso, il padre vinto dagli anni!
Sarebbe stato meglio che lo avessi ammazzato
e fatto a pezzi, gettando quei pezzi nel mare;
meglio sarebbe stato gli avessi ucciso i compagni,
gli avessi fatto mangiare il corpo di suo figlio.
Dura la lotta, d'esito incerto? Tanto meglio:
che cosa potevo temere dovendo morire? Avrei dato
fuoco all'accampamento, avrei riempito di fiamme
le navi, ucciso padre, figlio, tutta la stirpe,
e su quei morti io stessa sarei caduta morta!
O sole, tu che illumini coi raggi le opere tutte
del mondo, e tu Giunone che conosci e sei complice
di questi duri affanni, e tu Ecate chiamata
con lunghe grida, a notte, nei trivi cittadini,
e voi vendicatrici Furie, e voi Dei protettori
della morente Elissa, ascoltate e esaudite
le mie preghiere, volgendo sui Teucri la vostra potenza.
Se è scritto nel destino che quell'infame tocchi
terra ed approdi in porto, se Giove vuole così,
se la sua sorte è questa: oh, almeno sia incalzato
in guerra dalle armi di gente valorosa
e, in bando dal paese, strappato all'abbraccio di Iulo,
implori aiuto e veda la morte indegna dei suoi,
né, dopo aver firmato un trattato di pace
iniquo, si goda il regno e la desiderata
luce, ma muoia, in età ancora giovane,
rimanga insepolto su un'arida sabbia!
Questo prego, quest'ultima voce esalo col sangue.
E infine voi, miei Tiri, perseguitate la stirpe
di lui, tutta la sua discendenza futura
con odio inestinguibile: offrite questo dono
alla mia povera cenere. Nessun amore ci sia
mai tra i nostri due popoli, nessun patto. Ah, sorga,
sorga dalle mie ossa un vendicatore, chiunque
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egli sia, e perseguiti i coloni troiani
col ferro e col fuoco, adesso, in avvenire, sempre
finché ci siano forze! Io maledico, e prego
che i lidi siano nemici ai lidi, i flutti ai flutti,
le armi alle armi: combattano loro e i loro nipoti."
Così disse, pensando a tante cose, cercando
come morire al più presto. E si rivolse a Barce
nutrice di Sicheo (poiché la propria nutrice
era rimasta, ormai nera cenere, laggiù a Sidone):
"Ti prego, cara nutrice, corri da Anna, che venga
la mia dolce sorella, e dille che in gran fretta
si lavi con acqua di fiume e porti con sé
le vittime pel sacrificio, le offerte stabilite.
Tu stessa cingi le tempie di benda votiva.
Voglio sacrificare a Giove Stigio, come
è d'uso, porre fine a tutti i miei dolori
ardendo insieme al rogo il ritratto di Enea."
Barce accelerò il passo con affanno senile.
Allora Didone, tremante, esasperata
per il suo scellerato disegno, volgendo
attorno gli occhi iniettati di sangue, le gote sparse
di livide macchie e pallida della prossima morte,
irrompe nelle stanze interne della casa
e sale furibonda l'alto rogo, sguaina
la spada dardania, regalo non chiesto per simile scopo.
Dopo aver guardato le vesti lasciate da Enea
e il noto letto, dopo aver indugiato un poco
in lagrime e pensieri, si gettò su quel letto
lunga distesa e disse poche, estreme, parole:
"O reliquie, che foste così dolci finché
lo permettevano i Fati e un Dio: ora accogliete
quest'anima, scioglietemi da tutti i miei tormenti.
Vissi, ho compiuto il cammino concessomi dalla Fortuna,
e adesso un'immagine grande di me andrà sottoterra.
Fondai una grande città, vidi sorgerne alte le mura,
vendicai mio marito, inflissi al fratello nemico
giuste pene: felice, ahi, troppo felice se solo
non fossero mai arrivate ai nostri lidi sabbiosi
navi dardanie!" Disse e premé la bocca sul letto.
"Moriamo senza vendetta - riprese - Ma moriamo.
Così, anche così giova scendere alle Ombre.
Il crudele Troiano vedrà dall'alto mare
il fuoco e trarrà funesti presagi dalla mia morte."
Tra queste parole le ancelle la vedono abbandonarsi
sul ferro e vedon la lama spumante di sangue,
vedono sporche di sangue le mani.
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