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storia economica dell`eta` contemporanea

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storia economica dell`eta` contemporanea
Storia economica dell’età
contemporanea, 2015-2016
Dai “miracoli economici” del
dopoguerra
alla
stagnazione:
l’Europa
dalla
ricostruzione
postbellica al XXI secolo
Durata prevista dal 18 nov. al 18 dicembre
2015; dal 24 febbraio al 28 aprile 2016.
Testi di riferimento obbligatori.
(1) Barry Eichengreen, La nascita dell’economia europea.
Dalla svolta del 1945 alla sfida dell’innovazione, Il
Saggiatore, Milano, 2009;
Il testo vuole spiegare la specificità dell’esperienza
europea in campo economico-sociale e intende
verificare se ci sia una relazione tra questa e il
rallentamento economico che interessa l’Europa più
degli USA fra i paesi sviluppati.
(2) Andrew Glyn, Capitalismo scatenato. Globalizzazione,
competitività e welfare, Francesco Brioschi editore,
Milano, 2007
Si concentra sulla svolta in campo economico e di
politica economica intervenuta dagli anni 80. Dedica
attenzione alle trasformazioni della domanda di lavoro e
alle nuove relazioni di lavoro, alla concentrazione della
ricchezza e alle conseguenze macroeconomiche della
sperequazione dei redditi.
Testi di riferimento a scelta : uno tra le 8
monografie seguenti (1)
 Manuel Castells, Volgere
EGEA, 2003 [20082].
di
millennio,
Milano,
 Luciano Gallino, Finanzcapitalismo. La civiltà del
denaro in crisi, Torino, Einaudi, 2011.
 Ha-Joon Chang, Cattivi samaritani. Il mito del
libero mercato e l’economia mondiale, Milano,
EGEA, 20142.
 David Harvey, Breve storia
Milano, Il Saggiatore, 2007.
del
neoliberismo,
Testi di riferimento a scelta : uno tra le 8
monografie seguenti
 Peter Marsh, Fabbricare il futuro. La nuova
rivoluzione industriale, Torino, Codice edizioni,
2014.
 Richard A Posner, Un fallimento del capitalismo. La
crisi finanziaria e la seconda Grande depressione,
Torino, Codice edizioni, 2011.
 Richard A Posner, La crisi della
capitalista, Milano, EGEA, 20142.
democrazia
 Daniel Yergin, Joseph Stanislaw, La Grande guerra
dell’economia (1950-2000). La lotta tra Stato e
imprese per il controllo dei mercati, Milano,
Garzanti, 2000.
Due guerre mondiali e due dopoguerra: lezioni di un
passato fallimentare e ricerca di nuove soluzioni




La gestione economica e finanziaria della prima guerra
mondiale aveva rappresentato una novità che aveva colto
pressoché del tutto impreparati stati e operatori economici.
Altrettanto era stato per il difficile dopoguerra e la gestione di
una fase di drammatica instabilità economica, sociale e politica
che aveva interessato tutta l’Europa: (1) dislocazione del
commercio mondiale e (2) crisi del preesistente sistema di
pagamenti internazionali imperniato su Londra e la £; (3) fine
della stabilità valutaria; (4) pesante inflazione in molti stati,
con (5) la ridistribuzione di redditi che essa comportava, (6)
dilatazione del ruolo dello stato.
Riaffermazione di politiche economiche di ispirazione liberista
come reazione, nel tentativo di restaurare il passato.
L’esperienza compiuta nel 1914-18 e nel primo dopoguerra
sono largamente utilizzate nel 1939-45 e nel secondo
dopoguerra per evitare gli errori che avevano favorito (1)
l’instabilità valutaria; (2) la drastica riduzione dei rapporti
economici e finanziari internazionali durante la grande crisi e la
depressione degli anni Trenta; (3) la diffusa e persistente
disoccupazione.
Nuovi obiettivi e strumenti di politica economica.
In particolare sono attentamente valutate l’esperienza
 del ristagno economico sofferto già negli anni 1920 da
paesi come UK e Italia a causa di politiche di cambio
errate (rivalutazioni eccessive e non concordate);
 e soprattutto quella della gravissima recessione degli
anni 30 e delle soluzioni che avevano consentito in
alcuni sistemi economici di limitare i guasti.
Le lezioni tratte dagli anni 30 portano a elaborare nuovi
indirizzi di politica economica.
Amministrazioni
statali
ormai
investite
di
ampie
responsabilità in campo economico applicano misure di
stabilizzazione
congiunturale
mediante
(1)
politiche
monetarie ed eventualmente fiscali e (2) politiche di
investimento per favorire la ricostruzione e l’occupazione ed
eventualmente (3) riqualificare i sistemi produttivi (v. UK,
TVA).
.
L’ispirazione keynesiana nelle politiche
economiche
Le proposte di John Maynard Keynes si erano imposte
nel mondo accademico anglosassone. L’affermazione fu
accompagnata dal ruolo inedito che gli economisti
svolsero come consulenti dei governi di UK, Canada e
USA durante la guerra. Inoltre vi contribuì il grande
prestigio che lo stesso Keynes aveva acquisito per doti
personali e grazie al suo ruolo:
 nel dibattito politico e culturale fra le due guerre;
 come consigliere del primo ministro e della Treasury
britannica dal 1940;
 come principale negoziatore internazionale per il
governo britannico tra 1941 e 1945.
Progressivamente, tardi (dal 1940) e in modo non
omogeneo, esse ispirarono i responsabili della politica
economica britannica e di stati europei continentali.
L’evoluzione delle concezioni di Keynes dalla
vigilia della prima guerra mondiale al 1930:
un cenno
Keynes rivolse particolare attenzione ai problemi monetari per tutta
la prima parte della sua attività, da Indian currency (1913) al
Treatise on money (1930). Negli anni 20, in disaccordo con la
maggior parte degli economisti contemporanei, propose di
stabilizzare i prezzi interni piuttosto che i cambi, e di frenare
l’inflazione evitando una rigorosa deflazione. L’effetto
ridistributivo di entrambe era ingiusto e minava la stabilità
sociale.
Da metà anni Venti concentrò l’attenzione sul rapporto tra tasso
d’interesse e investimenti, mentre raccomandava politiche di
sostegno all’occupazione attraverso lavori pubblici, come
chiedevano Lloyd George e il partito liberale britannico nella
campagna elettorale del 1929.
Partecipò attivamente alle discussioni sulla dole e polemizzò con la
Treasury, secondo cui bisognava contrarre la spesa pubblica
per superare le difficoltà dell’economia britannica (1929-1931),
nella convinzione che ciò che lo stato spendeva era sottratto
alle risorse del settore privato.
.
La Teoria generale suggerisce soluzioni non
ortodosse per rimediare alla crisi.


Nel 1936 pubblicò la sua opera più innovativa, The general
theory of employment, interest and money. Essa proponeva
ricette innovative di politica economica in condizioni di parziale
impiego delle risorse disponibili (disoccupazione diffusa,
sottoutilizzo della capacità produttiva degli impianti). Per
stimolare l’economia occorreva aumentare il volume della
spesa per aumentare il reddito distribuito e stimolare la
domanda effettiva. L’aumento della spesa pubblica in deficit è
la soluzione più semplice ed efficace disponibile.
Si trattava di posizioni non ortodosse. Tuttavia Keynes preferì
agevolare l’affermazione delle sue idee inserendole in un
quadro analitico familiare agli economisti formatisi nel quadro
teorico dell’economia neoclassica.
Le scuole keynesiane



Keynes non le sviluppò ulteriormente perché prima fu
colpito da un attacco di cuore (1937) e poi fu assorbito
dalla collaborazione con la Treasury e il governo fino al
21 aprile 1946.
Solo in How to pay for the war (1940) affrontò il
problema dell’inflazione in condizioni di pieno impiego,
fornendo idee per il controllo dei redditi in condizioni si
pressione inflazionistica associata al
pieno impiego
delle forze produttive disponibili. Era una questione
rilevante in guerra, tornata attuale negli anni 60.
Nel
dopoguerra
riuscì
facilmente
a
prevalere
un’interpretazione
del
pensiero
di
Keynes
che
trascurava il potenziale più innovativo delle sue analisi
sull’instabilità finanziaria. Questo è l’indirizzo dominante
fino agli anni 1970 in USA e UK.
.
Il lascito della guerra: le distruzioni nei
territori occupati dalla Germania





I paesi direttamente o indirettamente coinvolti nella
guerra passano per esperienze anche molto diverse, a
cominciare dalla natura e dall’entità delle sollecitazioni a
cui la guerra sottopone le loro strutture economiche e
sociali, eventualmente in conseguenza del rapporto con
la Germania.
I paesi dell’Est occupati furono saccheggiati per
consentire un livello di vita relativamente alto alla
popolazione tedesca e limitare il suo coinvolgimento
nello sforzo produttivo di guerra. Fu limitato al massimo
l’impiego di donne tedesche nel lavoro industriale.
In Polonia fu distrutto il 62% dell’industria e 84% delle
infrastrutture; fu ucciso il 16,7% della popolazione. I
danni furono il 350% del reddito naz. 1938.
In URSS risultarono distrutte 17m città e 70m villaggi.
25 mln di morti; 1/3 della ricchezza nazionale distrutto.
Con l’Europa occidentale la Germania cercò di realizzare
un’integrazione economica.
Distruzioni prodotte dall’offensiva alleata e
dalla resistenza tedesca.






Secondo il governo francese il paese perse in guerra il
45% della ricchezza nazionale.
In Italia la perdita era stimata di 1/3 della ricchezza.
Alla fine del conflitto in Germania risulta danneggiato o
distrutto il 90% del patrimonio residenziale.
L’apparato produttivo però era solo parzialmente
distrutto,
anche
se
non
riusciva
ad
essere
immediatamente riattivato. Le infrastrutture erano state
pesantemente danneggiate dai bombardamenti.
Durante l’occupazione militare sovietica, a titolo di
riparazioni fu trasferita in URSS una parte consistente
dell’apparato produttivo industriale, dei mezzi di
trasporto e del bestiame. Il trattato di Potsdam trasferì
all’URSS beni e investimenti tedeschi in Ungheria e
Romania.
Riparazioni all’URSS erano previste da parte di Bulgaria,
Romania e Ungheria. Riparazioni dovevano essere
pagate anche a Cecoslovacchia (dall’Ungh.), Grecia e
Jugoslavia (dalla Bulgaria e dall’Italia).
Morti complessive in relazione alle perdite di guerra
(000 omessi).
Militari
22.000
Civili morti in campi di concentramento
12.000
Civili morti sotto bombardamenti
1.500
Civili morti in Europa per altre cause di guerra
7.000
Civili morti in Cina per altre cause di guerra
7.500
Totale
28.000
Perdite complessive
50.000
Fonte: voce Demography of the war, in Oxford companion of the Second World
War, OUP, Oxford 1995.
Altre conseguenze demografiche della seconda
guerra mondiale



La mobilitazione e le perdite militari modificano il
rapporto quantitativo fra i sessi in molti popoli. In
particolare nell’URRS. Calano drammaticamente i tassi di
nuzialità e fertilità durante il conflitto.
A guerra conclusa il recupero è rapido. Si verifica in
diversi paesi (a cominciare dagli USA) un baby boom
capace di influire fortemente sulla disponibilità di
popolazione attiva alla fine degli anni 1950 e agli inizi
degli anni 60. I tassi di natalità superano 20‰; calano
nettamente da metà anni 1960 (13‰ OCSE, 1993).
Nella CEE (1962) la fertilità è 2,8‰ contro 1,5 nel 1993.
Cala drasticamente la mortalità (fino a 10 ‰, anni 90).
I movimenti di popolazione si ripercuotono sulla
composizione etnica e di nazionalità in molte regioni,
creando un potenziale di tensioni e conflitti politicosociali che si trascinano a lungo. Condizionano
pesantemente la gestione della politica in alcuni stati.
Es.: i profughi dei Sudeti nella RFT.
Gli spostamenti di popolazione: i profughi [000]
1939-1945
1946-47
Dentro
Fuori
Saldo netto
Dentro
Fuori
Germania
7.500
4.600
7.200
600
9.500
Italia
1.400
1.500
680
350
230
Romania
450
700
80
-
-170
Austria
385
150
310
33
512
9.927
7.134
8.471
1.211
10.053
UK
-
500
-
413
87
Jugoslavia
-
350
90
180
-440
15
1.025
160
1.915
-2.765
Polonia
-
6.900
1.500
2.300
-7.700
Francia
3.900
3.710
282
50
422
Totale
Alleati
4.201
12.835
2.300
4.988
-10.322
408
200
93
219
-82
Totale Asse
Cecoslov.
Totale altri
URSS
20.000
Il lascito della guerra: lo stimolo a crescere
in paesi non industrializzati
I paesi produttori di materie prime e i paesi coinvolti come
retrovie del conflitto in Asia, Australia e Medio Oriente
ricevono un forte impulso alla crescita perché favoriti
dalle spese degli alleati.
Il reddito monetario insolitamente alto creato da
esportazioni verso i belligeranti e/o dalla spesa di
truppe stanziate sul loro territorio fornisce abbondanti
risorse valutarie. Raramente possono essere spese
immediatamente. Soprattutto i conti in £ (i più
consistenti) sono bloccati dalle disposizioni valutarie
britanniche.
La chiusura del mercato internazionale favorisce l’avvio di
produzioni manifatturiere locali prima ostacolate dalla
concorrenza di economie industriali.
I benefici ottenuti non sono permanenti. Raramente i paese
interessati riescono a consolidare la propria economia.
V. l’Argentina.
Gli USA rafforzano il loro primato economico e finanziario.
Il commercio estero USA, 1939-1945 [mln $]
1939
1940
1941
1942
1943
1944
1945
Importazio
ni
Esportazio
ni
Lend-lease
2.361
2.599
3.269
2.821
3.418
3.911
4.125
3.138
3.938
5.026
8.005
12.872
14.288
9.676
-
-
999
4.525
8.659
9.967
3.781
Ind.Import
.
Ind.Esport.
100,00
110,08
138,46
119,48
144,77
165,65
174,71
100,00
125,49
160,17
255,10
410,20
455,32
308,35
19,88
56,53
67,27
69,76
39,08
56,86
87,29
91,59
96,05
68,11
Lendlease/
esportazio
ni
Lendlease/
saldo
comm.
L’erogazione degli aiuti USA durante la seconda
guerra mondiale
Nel concedere aiuti ai paesi impegnati nella guerra contro Germania
e Italia l’amministrazione Roosevelt è vincolata da 2 leggi,
frutto del forte isolazionismo che caratterizza il Congresso.
Sono
(1) il Johnson Act emanato dall’ammin. Coolidge nel 1924 per
vietare crediti a chi non avesse rimborsato i debiti della prima
guerra mondiale;
(2) i Neutrality Acts emanati nel 1936-37 per impedire il
coinvolgimento degli USA in guerre. Stabiliscono che eventuali
forniture a paesi belligeranti devono essere regolate in
contanti; e vietano l’impiego di navi americane nel trasporto.
 La grave situazione della Gran Bretagna che si profila dal
maggio 1940 fa auspicare a Roosevelt il superamento delle
limitazioni poste dal Congresso.
 Nel marzo 1941, dopo un approfondito dibattito parlamentare
che serve a far accogliere il principio dell’appoggio economico
ai nemici dell’Asse, è approvato il Lend lease Act. Il presidente
può fornire mezzi ritenuti indispensabili allo sforzo di guerra;
valuterà a sua discrezione a quali condizioni finanziarie.
 Varata la legge, il Dipartimento di Stato cerca di scambiare
forniture contro basi militari (specie in Centro America).
Gli aiuti lend-lease degli USA agli alleati, importi
mensili tra il gennaio 1943 e il giugno 1945 e
valore cumulativo dal marzo 1941 [mln. $].
1.800
45.000
1.600
40.000
1.400
35.000
1.200
30.000
1.000
25.000
800
20.000
600
15.000
400
10.000
200
5.000
0
0
Totale cumulativo da mar.41
Importi mensili in mln $
Aiuti lend lease, genn. 1943-giu.1945
La tenuta della produzione tedesca di armamenti
fino all’ultima fase della guerra. Indice della
produzione di armamenti, 1° bimestre 1942=100
Produz.
Armi
Carri
arm
Aerei
Muniz.
totale
1941
98
106
81
97
102
1942
142
137
130
133
166
1943
222
234
330
216
247
1944
277
348
536
277
306
gen-45
227
284
557
231
226
Fonte: R. Wagenfuhr, Die deutsche Industrie im Kriege 1939-1945, pp. 178-81.
La guerra stimola l’incremento dello stock di
macchine utensili di 5 paesi belligeranti,
1938-45 (000 di unità]
1938
1940
1945
900
1.178
1.737-1.233
Id. taglio e
modellamento
metalli
1.281
1.577
2.316-1.776
Id. ogni lavoraz.
di metalli
1.614
n.d.
2.594-2.143
UK taglio e
modellamento
metalli
n.d.
700
800
Francia ogni
lavoraz. di metalli
550
n.d.
600
Italia ogni
lavoraz. di metalli
207
n.d.
290
USA:taglio metalli
n.d.
942
1.883
Germania:taglio
metalli
Le conseguenze finanziarie della guerra: debiti
pubblici, scarsità di riserve, inflazione.
Per molti stati la guerra produce un netto peggioramento della bilancia
dei pagamenti; alcuni sono appesantiti da un consistente debito
estero (per es. UK: £ 16 mld).
Praticamente in tutti i paesi coinvolti la guerra lascia una pesante
eredità in termini di spinte inflazioniste. Perché (1) la spesa
pubblica ha incrementato enormemente la liquidità, (2) i saldi attivi
delle bilance dei pagamenti, specie nei paesi neutrali, hanno avuto
conseguenze simili, benché di minor portata.
L’inflazione può avere un forte impatto sulle società; può risultarne una
forte disorganizzazione economica, per esempio cancellando la
capacità di finanziare nuovi investimenti (dopo una fase iniziale in
cui, invece, può favorirli). L’inflazione modifica profondamente la
ripartizione dei patrimoni e sollecita comportamenti molto
destabilizzanti a quanti cercano di mettersi al riparo dalle sue
conseguenze per redditi e patrimoni.
Sono quasi generali gravi carenze di approvvigionamenti alimentari,
aggravate da cattivi raccolti. La produzione agricola europea nel
1945 è 50% del 1938; quella industriale è 33%. La carenza di merci
aggrava le spinte inflazioniste.
La ripresa commerciale è gravemente ostacolata dal Dollar gap. Esso è
aggravato dalla revoca dell’Accordo Lend lease il 15.8.1945 che si
chiude con l’erogazione di $ 42 mld, tra marzo 1941-giugno 1945,
89% merci; ca. 50% a UK e Impero.
La flotta mondiale in 000 t, 1939-1947. Una
distribuzione per stati che aumenta le difficoltà
delle bilance dei pagamenti dei paesi debitori
1939
USA (meno flotta dei Grandi Laghi)
1947
9.000
27.000
0
11.000
21.000
17.500
Giappone
5.600
1.000
Norvegia
4.800
3.400
Germania
4.500
700
Italia
3.400
700
Olanda
3.000
1.900
Francia
2.900
1.700
Grecia
1.800
700
URSS
1.300
1.200
Danimarca
1.200
700
di cui in riserva
Impero Britannico
L’eredità tecnologica della guerra: qualche esempio.
Esiti: ricerca dell’efficienza; maggiore produttività;
abbattimento dei costi; diversificazione e
ampliamento dell’offerta










Agricoltura: meccanizzazione e concimi; riduzione degli addetti.
Siderurgia: maggiore diffusione dei laminati di acciaio.
Metallurgia: accresciuto impiego dell’alluminio.
Meccanica ed elettromeccanica: prodotti più numerosi e
sofisticati; accentuazione della standardizzazione produttiva.
Trasporti:
nuove
tecniche
produttive
per
le
navi
(standardizzazione e saldatura); trasformazione degli aerei e
del loro processo di costruzione. Sviluppo della logistica.
Chimica: la conversione al petrolio come componente decisiva
della produzione energetica e come materia prima. I prodotti
sintetici (gomma e
benzina, nylon, teflon). I medicinali
(pennicillina prodotta industrialmente; trasfusioni di sangue).
Elettronica: comunicazione a distanza e strumenti di
rilevazione. La produzione di nuovi strumenti di calcolo.
Progressivo controllo sulla reazione nucleare e successiva
trasposizione dall’impiego militare alla produzione di energia.
Da produzioni limitate e costose a processi industriali.
Crescente sofisticazione del controllo dei processi di produzione
e delle innovazioni gestionali, riprendendo le tecniche di
direzione aziendale concepite negli USA e le soluzioni
istituzionali sperimentate nelle grandi imprese americane.
Ricostruzione economica e riqualificazione
produttiva. L’industrializzazione come strumento di
sviluppo e di costruzione nazionale
Forte esigenza di industrializzazione per garantire un livello di
reddito più elevato (1) nei paesi già industrializzati (ma
preoccupati di combattere la disoccupazione che minaccia la
stabilità sociale) e (2) in quelli non industrializzati.
Si vuole rimediare alle distruzioni e riqualificare sistemi produttivi
rimasti separati dal flusso di rinnovamento tecnologico più
recente perché le restrizioni valutarie avevano ostacolato la
loro acquisizione.
La spinta all’industrializzazione é collegata alla formazione di stati
indipendenti partendo da paesi che erano stati a lungo colonie
o comunque subordinati, politicamente ed economicamente, a
potenze europee (UK, Olanda, Belgio e Francia).
Diversi paesi dell’Asia, già colpiti dalla drammatica caduta delle
esportazioni negli anni 20 e 30, che era stata aggravata da
un’evoluzione a loro danno delle ragioni di scambio, diventano
finalmente indipendenti.
L’industrializzazione é in diversi casi un mezzo per costruire le basi
politiche dei nuovi stati: l’avvio di politiche di sviluppo,
favorisce il consolidamento di borghesie nazionali e il varo di
campagne di lotta alla miseria. Simile la situazione europea,
secondo Alan Milward: così si supera la crisi degli stati
evidenziata dallo scoppio della guerra e dal suo primo tempo.
L’industrializzazione dei nuovi stati socialisti
In Europa dell’Est e in URSS, più tardi in Cina, l’industrializzazione
è
strumento di trasformazioni strutturali che devono consentire
l’indipendenza nazionale e l’organizzazione di un’economia socialista.
Si adotta in quasi tutti i paesi la pianificazione centralizzata che ricalca quella
varata in URSS nel 1928: (1) rigida e volontarista anziché attenta alle
compatibilità di una crescita integrata dei diversi settori produttivi. (2)
Si assume che i prezzi non debbano essere in relazione con i costi. (3)
Non ci si preoccupa di trovare mezzi per adattare offerta e esigenze
espresse dalla domanda. (4) E di assicurare la qualità delle merci.
Prevale il criterio di raggiungere gli obiettivi quantitativi fissati dal piano,
senza attenzione per l’efficienza nell’impiego delle risorse.
Si mette molto impegno nelle produzioni di base funzionali all’incremento
degli investimenti e alla difesa. Si trascura la produzione di beni di
consumo e l’edilizia residenziale (dove fanno premio criteri di
costruzione che mirano soprattutto alle economie di scala).
L’agricoltura presenta livelli di produzione spesso inadeguati, come in URSS,
dopo la collettivizzazione.
L’integrazione economica è limitata alle economie socialiste e viene gestita
spesso come strumento delle alleanze politico-militari nel “blocco
sovietico”. Non necessariamente con vantaggio economico per l’URSS.
Ricostruzione economica e riqualificazione
produttiva. L’articolazione delle industrie per
settori e per dimensione tra 800 e 900
I sistemi industriali sono diversi, ma per molto tempo la loro
composizione ricalca modelli relativamente simili. I settori
produttivi attivati riflettono (1) le risorse locali disponibili, (2)
l’eventuale specifica capacità di specializzarsi in alcuni tipi di
produzioni, (3) l’esistenza di sbocchi commerciali per i prodotti,
sul mercato interno o su quello internazionale. I livelli di
reddito influiscono perciò sui percorsi di industrializzazione.
Ci sono industrie leggere e pesanti; industrie dei beni di consumo e
industrie di base o di beni d’investimento. Richiedono strutture
di gestione e quantità di capitale diversi. Anche il rapporto con
il mercato è spesso molto diverso secondo i settori produttivi, e
secondo che si producano beni di consumo venduti
direttamente ai fruitori finali (condizione che garantisce flussi
di cassa più pronti) o che si producano beni intermedi e beni
d’investimento per altre imprese. Cartelli e intese sono
utilizzati per rimediare alle rigidezze di produzioni dove sono
decisive le di economie di scala.
Piccola e grande impresa: sono legate da rapporti di
complementarità
e
subordinazione;
presentano
modelli
organizzativi diversi. La piccola impresa spesso vanta una
maggiore flessibilità, mentre la grande può mobilitare maggiori
risorse
finanziarie
e
può
risultare
più
dinamica
nell’innovazione.
Il ruolo economico dello stato nel dopoguerra: nuovi
compiti, dilatazione della spesa, gestione di politiche di
stabilizzazione monetaria (1)



Durante il conflitto i compiti economici dello stato nella
produzione e distribuzione del reddito si dilatano.
Comportano un appesantimento della spesa pubblica che solo in
parte viene affrontato, nelle economie di mercato, con incrementi
del prelievo fiscale. Cresce l’indebitamento e cresce la creazione
di liquidità attraverso emissioni di moneta fiduciaria che crea
pressioni
inflazionistiche
(eventualmente
nascoste
da
disposizioni restrittive su prezzi e distribuzione delle merci e dei
servizi che sono adottate durante la guerra e possono durare nel
dopoguerra).
Le pressioni inflazionistiche comportano un’instabilità (più o
meno accentuata) per gli assetti monetari dei diversi stati.
Tendono a cancellare il valore reale delle posizioni debitorie, a
cominciare da quella dello stato. L’onere del debito pubblico cala,
se esso non viene ulteriormente alimentato, mentre l’inflazione
erode il potere d’acquisto della moneta. Purché il debito non sia
costituito prevalentemente da titoli a breve scadenza che
debbano essere rinnovati a tassi d’interesse crescenti.
Il ruolo economico dello stato nel dopoguerra:
ricostruzione e stabilizzazione sociale, riqualificazione
produttiva, decolonizzazione (2)



La transizione del dopoguerra, nonostante le pressioni per
ridimensionare l’azione dello stato (garanzia di contenimento della
pressione tributaria) richiede di confermarla (1) per la ricostruzione
di infrastrutture, (2) per interventi di stabilizzazione sociale, (3)
eventualmente per la riconversione dell’apparato produttivo.
L’accentuata propensione egualitaria che accompagna l’esperienza di
guerra porta ad attribuire alle amministrazioni statali maggiori
compiti di tipo ridistributivo e previdenziale.
Inoltre si accelera nel 1945-46, cominciando in Asia, il processo di
decolonizzazione; provoca reazioni diverse da parte degli stati
dominanti, ma impone spese: per contrastare militarmente la
decolonizzazione o per reinserire i colonizzatori costretti al rientro in
patria. In Africa un processo simile si avvia nei primi anni 1950.
Continua a lungo, anche nei paesi ad economia di mercato, il
coinvolgimento diretto delle amministrazioni statali nella gestione
dell’economia (v. ERP). Le nazionalizzazioni, motivate richiamandosi
all’efficacia economica e/o alla giustizia sociale, sono ricorrenti in
diversi paesi occidentali. Si prolungano inoltre nel dopoguerra, pur fra
tensioni e discussioni, scelte di partecipazione diretta dello stato
all’attività produttiva compiute negli anni 1930, come in Italia.
Indipendentemente dall’estensione delle economie pianificate di tipo
socialista o comunista.
Riallineamento dei cambi, applicazione di cambi rigidi
e relativa stabilità dei prezzi: le acquisizioni del
sistema di Bretton Woods per le economie dell’Europa
occidentale.



Condizioni specifiche permettono di limitare fortemente
le
spinte
inflazionistiche
nei
paesi
dell’Europa
occidentale dopo le sistemazioni monetarie che
intervengono fra 1947 e 1949, grazie anche al sistema di
parità di cambio relativamente rigide emerso dal trattato
di Bretton Woods. Giocano un ruolo positivo (1) gli aiuti
statunitensi, (2) la capacità di rapida ripresa dei sistemi
produttivi esistenti
Il trattato crea un nuovo sistema di rapporti finanziari
internazionali, frutto di un articolato progetto di
profonda riorganizzazione elaborato durante la seconda
guerra mondiale.
Esso è il risultato di una dura contrattazione fra i 2 paesi
che disponevano delle principali monete usate come
mezzo di pagamento internazionale alla vigilia della
seconda guerra mondiale: £ e $. Parteciperanno anche
altri interlocutori, ma senza ruoli determinanti.
Bretton Woods è parte di un nuovo assetto
istituzionale internazionale imperniato sull’azione
di organismi sovranazionali; i membri condividono
un patrimonio politico-ideale.


Diversamente dal 1919, il governo USA sceglie di
impegnarsi formalmente nell’assetto politico del mondo
uscito dalla seconda guerra mondiale. Prima
tappa
l’Atlantic Charter del 14 agosto 1941, elaborato da
Roosevelt e Churchill; viene firmato il 1.1.1942 da Cina,
UK, USA e URSS (cui si aggiungono 22 altri joint
declarers e 19 altri firmatari che ne accettano gli
impegni). Compare la definizione Nazioni Unite.
10
obiettivi di principio:
(1) niente ingrandimenti territoriali; (2) niente
cambiamenti territoriali contro la volontà dei popoli; (3)
autodeterminazione; (4) restaurazione dell’autogoverno
dove era stato cancellato; (5) riduzione delle restrizioni
commerciali; (6) cooperazione economica globale per
assicurare migliori condizioni economiche e sociali per
tutti; (7) libertà da paura e bisogno; (8) libertà di
navigazione; (9) Abbandono dell’uso della forza; (10)
disarmo degli stati aggressori.
Impegni successivi sugli obiettivi di principio
degli Alleati

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

30.10.1943, a Mosca, dichiarazione delle 4 potenze (USA, UK,
URSS, Cina) conferma gli impegni del gennaio 1942.
Conferenza
di
Dumbarton
Oaks
21.8-28.9.1944,
28.97.10.1944: 39 paesi elaborano il quadro di un’organizzazione di
sicurezza mondiale sulla base della dichiarazione delle 4
potenze. Linee guida delle Nazioni Unite (Assemblea e
Consiglio), del loro Segretariato, della Corte internazionale di
giustizia. L’URSS avrà 17 seggi?
Conferenza di San Francisco, 25.4-26.6.1945: 50 stati
partecipano
alla
Conferenza
delle
Nazioni
Unite
sull’organizzazione internazionale. Firma dello UN Security
Charter. Disaccordo con URSS
(seggio Polonia; veto nel
Consiglio di sicurezza). UNRRA (1945-1947).
Bretton Woods: UN Monetary and Financial Conference, 122.7.1944: 44 stati. Funzionerà da dicembre 1945 con 22
aderenti. Banca Internazionale per la ricostruzione e lo
sviluppo.
Gli scopi del FMI: l’art. 1 della carta istitutiva







Promuovere la cooperazione monetaria internazionale
fornendo
strumento di consultazione e collaborazione.
Facilitare espansione e crescita bilanciata del commercio internazionale,
contribuendo a promuovere e mantenere un alto livello di occupazione e
reddito reale e allo sviluppo delle risorse produttive di tutti i membri.
Promuovere la stabilità dei cambi, mantenere
rapporti di cambio
ordinati fra i membri ed evitare le svalutazioni competitive.
Aiutare a stabilire un sistema multilaterale di pagamenti nelle
transazioni correnti fra i membri, eliminando le restrizioni sui cambi
esteri che ostacolano la crescita del commercio mondiale.
Dare fiducia ai membri rendendo le risorse generali del Fondo
temporaneamente disponibili con adeguate salvaguardie, per correggere
squilibri della bilancia dei pagamenti senza ricorrere a misure che
distruggano la prosperità nazionale e internazionale.
Abbreviare la durata e ridurre la portata degli squilibri di bilancia dei
pagamenti dei membri.
Il fondo ha l’autorità legale di sovrintendere l’adeguamento dei membri a
politiche economiche coerenti con gli obbiettivi del Fondo. E’ l’unico
organismo al mondo con questo diritto.
Il Fondo monetario internazionale (1)




Deve consentire di risolvere alcune delle peggiori difficoltà
emerse dopo la prima guerra mondiale nella riorganizzazione
del sistema di pagamenti internazionali.
Afferma il principio che le parità di cambio tra monete (1)
possono fluttuare solo entro margini molto ristretti (± 1%);
(2) ogni modifica che si renda necessaria per rimediare a uno
squilibrio strutturale della bilancia dei pagamenti di uno dei
paesi aderenti deve essere autorizzata preliminarmente dal
Fondo.
Esso deve essere uno strumento sovranazionale (comprende
inizialmente 44 stati membri) che ha come scopo favorire la
collaborazione economica e finanziaria internazionale per
evitare le svalutazioni competitive delle monete, spesso
utilizzate negli anni 1930 per rimediare agli squilibri delle
bilance dei pagamenti.
Dovrebbe diventare lo strumento fondamentale per rendere
possibile la ripresa e lo sviluppo del commercio internazionale.
Non dispone, però, di risorse adeguate al compito, specie in una
congiuntura connotata dal dollar gap.
Il Fondo monetario internazionale (2)



(1) I tassi di cambio definiti nel quadro del FMI
devono essere armonizzati: la parità diretta tra lira e
franco francese, per es. deve corrispondere alla
parità che si otterrebbe se il passaggio da una
all’altra moneta avvenisse tramite una terza valuta,
per es. il dollaro. Questa pratica sposta i flussi
commerciali spingendo a utilizzare di più una valuta.
(2) I tassi di cambio devono essere unici: non è
permesso applicare tassi diversi a seconda del tipo di
transazione a cui si riferiscono (v. lira e franco fr.).
(3) La moneta di riferimento internazionale è il
dollaro degli Stati Uniti, ma le parità di cambio sono
determinate in termini di once (o grammi) d’oro. Non
c’è più circolazione monetaria in oro e il ricorso
all’oro è limitato ai pagamenti internazionali in caso
di necessità, utilizzando lingotti e non metallo
monetato. Le diverse valute non sono in realtà
convertibili direttamente in oro da parte di privati,
tranne poche. Tra queste è fondamentale il $.
Il modo di operare del Fmi (1)



Il Fmi concede crediti ai paesi che ne hanno bisogno per
assicurare la stabilità del proprio cambio. Sono crediti di
importo relativamente limitato, sulla base della loro
quota di partecipazione al capitale del Fondo, costituito
da versamenti in monete nazionali integrate da una
frazione in oro. Il credito deve essere restituito al
massimo entro 2 anni.
Il cumulo delle quote consente di concedere credito ai
debitori per mettere in atto le misure necessarie
all’assestamento delle rispettive bilance dei pagamenti.
In
linea
di
principio
l’aggiustamento
tocca
prevalentemente ai debitori, quindi mediante le
tradizionali politiche deflazioniste. Viene tuttavia
introdotta una clausola che prevede l’eventuale
correzione di parità e misure riequilibratrici da parte di
un paese che risultasse strutturalmente creditore.
Il modo di operare del Fmi (2)




Il fondo dispone di un capitale relativamente limitato:
inizialmente poco più di 8 mld. di $.
Le decisioni sono votate sulla base del numero di quote
sottoscritte. Già nella configurazione iniziale gli Stati
Uniti dispongono di fatto di un diritto di veto perché
dispongono della quota senza la quale non si ottiene la
maggioranza qualificata necessaria per decidere.
Il Fondo divenne operante nel marzo 1947, dopo la
ratifica dei parlamenti della decisione di aderire
espressa dai firmatari dell’accordo del luglio 1944. Non
aderirono
URSS,
democrazie
popolari,
Svizzera,
Portogallo e Nuova Zelanda.
La stabilità dei cambi rende più facile l’incremento del
commercio internazionale. L’uso del $ non comporta
limitazioni nella produzione di liquidità internazionale e
per quasi 20 anni essa cresce senza rischi di deflazione.
Aumentano i rischi di inflazione in rapporto con
l’evoluzione della bilancia dei pagamenti USA
Crediti ottenuti dal Fmi come percentuale delle
importazioni mondiali 1948-1992
Fmi e movimenti di capitali (1)
 Già nelle trattative che preparano l’accordo di
Bretton Woods emerge un giudizio negativo nei
confronti dei movimenti internazionali di capitali,
sulla base degli effetti destabilizzanti che avevano
avuto nel corso degli anni 1920 e, in particolare,
nella crisi finanziaria del 1930-1931. Gli ampi
spostamenti di capitali, che hanno contribuito alla
trasmissione internazionale della crisi, hanno (1)
impedito agli stati di realizzare politiche monetarie
stabili, (2) minacciato la stabilità dei cambi, (3)
messo a rischio la stabilizzazione finanziaria.
 Non sarebbe possibile mobilitare riserve valutarie
adeguate se, oltre alle risorse necessarie per le
esigenze commerciali e le altre transazioni
ordinarie, fosse necessario fronteggiare movimenti
di capitali.
Fmi e movimenti di capitali (2)




Serve un controllo preventivo sui movimenti di capitali:
non devono cessare gli investimenti esteri, ma sono
sottoposti al controllo degli stati e ad accordi
internazionali.
Il Fmi recepisce e legittima sul piano internazionale tali
controlli; essi attenuano il collegamento fra condizioni
finanziarie interne e internazionali senza pregiudicare la
stabilità del cambio.
Il mercato finanziario nell’immediato dopoguerra è di
modesta entità: i controlli non entrano in forte conflitto
con le esigenze degli operatori finanziari.
L’azione
internazionale
delle
imprese
è
ancora
relativamente ristretta, anche se diversi fattori spingono
in quella direzione. Fondamentale l’esperienza dei
grandi produttori di petrolio e derivati.
La Banca internazionale per la ricostruzione e lo
sviluppo: uno strumento per favorire la crescita (1)


Diventa operativa nel maggio 1946, ma il primo credito
($ 250 mln alla Francia) viene concesso nel maggio
1947. Ha come obiettivo a breve finanziare la
ricostruzione; solo più tardi si occuperà di sviluppo. I
primi esercizi vedono un impiego molto cauto e limitato
delle risorse.
Si tratta di una banca intergovernativa: è controllata
dagli stati aderenti che forniscono il suo patrimonio e
concede credito agli stati. Ottiene le risorse necessarie
collocando
obbligazioni
sul
mercato
finanziario,
prevalentemente New York. E offre garanzie sui crediti
concessi da finanziatori privati. La cautela dimostrata
dalla Banca riflette l’esigenza di ottenere un’alta
notazione sul mercato per contenere il costo del
collocamento delle obbligazioni. Finanzia progetti di
investimento in infrastrutture e impianti che aumentino
la capacità produttiva dei debitori e sceglie progetti che
paiono redditizi. I crediti sono concessi per periodi
lunghi, a tassi d’interesse dipendenti da quelli di
mercato.
La Banca internazionale per la ricostruzione e lo
sviluppo: uno strumento per favorire la crescita (2)



Dopo la metà degli anni 1950 cresce l’attenzione per l’esigenza
di finanziare lo sviluppo. Un cambiamento decisivo viene
realizzato nel 1960 con la fondazione dell’International
Development Association (IDA) che estende l’ambito operativo
del “gruppo” della Banca al finanziamento di progetti agricoli,
idrici, di educazione e formazione. L’IDA non valuta
rigidamente la convenienza diretta dei progetti in cui investe
come la Banca. A partire dalla presidenza Dell’ex segretario di
stato USA Robert McNamara (1968-1979) il tema della lotta alla
povertà e quello dello sviluppo diventano prevalenti.
La Banca si trasforma nel 1970 in Banca mondiale. Si
specializza nell’erogazione di crediti a economie con basso
livello di reddito pro capite. Condiziona i crediti all’elaborazione
di progetti specifici, alla cui preparazione contribuisce
fattivamente. Subordina i crediti anche a scelte di politica
economica da parte degli stati debitori giudicate adeguate,
contribuendo efficacemente alla costruzione di un indirizzo di
politica economica più sensibile alla oculatezza e al rigore nella
gestione dei finanziamenti che alle ricadute sociali delle scelte .
Negli anni 1980 svolge un ruolo importante nella gestione della
crisi dei paesi debitori.
Prestiti della Banca mondiale,1946-95: impegni medi
annui in valore assoluto in $ correnti e costanti (1995) e
ripartizione geografica in %
1946-49
1950-59
1960-69
1970-79
1980-89
1990-95
Impegni (medie annuali)
Mld $ correnti
0,22
0,39
1,05
5,36
15,69
22,03
Mld $ 1995
1,19
2,37
5,52
12,09
22,24
23,66
Africa
0
15
12
14
15
15
Asia
0
38
40
38
43
37
Europa
81
20
12
12
9
16
America Latina
19
22
28
24
26
25
0
5
7
11
7
7
Distribuzione % per
regione
Medio Oriente-Nord Africa
Prestiti della Banca mondiale,1946-95: ripartizione
per settore e tipo di credito in %
Distribuzione % per
settore
1946-49
1950-59
1960-69
1970-79
1980-89
1990-95
Agricoltura
0
4
13
28
24
16
Finanza e industria
2
13
12
16
18
11
21
61
64
36
29
24
0
0
4
13
15
26
76
22
8
8
15
24
76
21
6
5
18
20
Investimenti specifici
2
53
67
56
46
60
Altro (e)
0
2
11
17
16
80
Infrastrutture (a)
Sociale (b)
Altro (c)
Distribuzione % tipo di
prest.
Programmi e aggiustamenti
(d)
Legenda della tab. sui prestiti della Banca
mondiale, 1946-1995.
(a) telecomunicazioni, trasporti, elettricità e altre energie.
(b) educazione, ambiente, popolazione, sviluppo urbano, acqua e
fognature.
(c) Petrolio, gas, miniere e attività estrattive, gestione del settore
pubblico, turismo, attività polisettoriali e settori non determinati.
(d) Ricostruzione, aggiustamento di settore, aggiustamento strutturale,
prestiti su altri programmi.
(e) Rimborsi, ripresa di emergenza, intermediazione finanziaria,
assistenza tecnica.
Istituzioni finanziarie internazionali attive dopo il
1945: BRI, Eximbank, banche internazionali
regionali.



La Banca dei regolamenti internazionali venne fondata nel 1930 per
curare i trasferimenti fra stati derivanti dalle riparazioni delle
potenze sconfitte nella prima guerra mondiale e regolati in modo
definitivo dal Piano Young del 1929. Ha svolto le funzioni di banca
centrale delle grandi banche centrali, mantenendo i contatti fra loro
anche durante la seconda guerra mondiale. Ha assunto un ruolo
importante di raccolta di informazioni sui flussi finanziari e di punto
di osservazione sui mercati finanziari.
La Import-Export Bank statunitense venne creata come società
dall’amministrazione Roosevelt nel 1934 per concedere prestiti a
operatori esteri allo scopo di agevolare le esportazioni dagli USA e
sostenere l’occupazione. Nel 1945 fu trasformata in ente
governativo per agevolare le esportazioni di operatori privati
fornendo crediti e garanzie assicurative.
Oltre alla Banca mondiale si sono sviluppate altre banche regionali
che finanziano programmi di sviluppo: in particolare la Asian
Development Bank, dove prevale l’influenza della Bank of Japan; la
Inter-American Development Bank, dove sono forti gli interessi dei
paesi debitori; la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo,
impegnata nel sostegno dei paesi dell’Europa dell’Est.
Il Piano Marshall e l’ERP: i preliminari.



Cerca di rimediare al dollar gap che diventa particolarmente
acuto nel primo semestre 1947, in seguito (1) al
peggioramento della situazione alimentare in Europa e (2)
all’impennata dei prezzi di merci e servizi degli Stati Uniti.
Questa è seguita alla brusca liberalizzazione adottata
dall’amministrazione Truman in presenza di una forte
domanda nazionale e internazionale.
L’annunzio di un programma di aiuti è dato dal segretario di
stato George Marshall il 5.6.1947. Il programma è operativo
nel 1948, dopo un duro confronto nell’amministrazione su chi
dovesse gestirlo (Tesoro o Dipartimento di stato). La
responsabilità toccherà al Presidente che si varrà di
un’agenzia apposita posta sotto la sua autorità.
C’è anche un teso dibattito parlamentare sull’opportunità di
sacrificare i contribuenti americani a vantaggio di stranieri, e
sull’entità degli aiuti. L’approvazione del programma è
favorita dalla crescente preoccupazione per la diffusione del
comunismo in Europa occidentale, favorito dalle difficoltà
economiche. Il Congresso impone la verifica annuale del
programma e che le risorse siano votate annualmente. Sono
nettamente ridimensionate le cifre inizialmente indicate come
ammontare complessivo degli aiuti ($ 22, poi 17 mld).
Il Piano Marshall e l’ERP: condizioni e
obiettivi.



Gli Stati Uniti chiedono ai beneficiari di coordinare le
loro politiche economiche e di unirsi in un organo
rappresentativo che collabori alla ripartizione degli
aiuti. Sarà l’OECE. Avrà sede a Parigi.
Destinatari sono 16 paesi europei da cui sono esclusi
URSS e democrazie popolari che non vogliono
accettare
di
dare
informazioni
sulla
propria
economia. È’ un passo decisivo nel confermare la
divisione economica e politica dell’Europa.
La 2. Conferenza economica di Parigi dell’aprile 1948
fissa gli obiettivi: (1) aumentare la produzione, (2)
utilizzare meglio la manodopera, (3) assicurare la
stabilità monetaria e finanziaria, (4) intensificare gli
scambi di merci e di servizi. Le politiche dei paesi
aderenti devono essere coordinate e vanno controllati
i rispettivi programmi nazionali di produzione,
importazione ed esportazione. Si intende favorire la
cooperazione economica fra stati.
Le modalità di funzionamento dell’ERP (1)
 Il primo esercizio ERP durerà 15 mesi dall’inizio di
aprile 1948. Sarà prorogato al 30 giugno 1950 e
successivamente al 30 giugno 1951. Nel 1951 gli
aiuti arriveranno nell’ambito del Mutual Security
Act. Cesseranno il 30 giugno 1952.
 Gli aiuti sono dati come grants (doni) per il 90% e
loans (prestiti, gestiti attraverso la Export-Import
Bank) per il 10%. Sono finanziati dal bilancio
federale USA. Permettono di comperare merci e
servizi (trasporto) prevalentemente da produttori
americani per cederle ai governi membri dell’ERP.
 Questi ricevono gli aiuti in natura e possono
venderli agli operatori economici e agli enti che ne
fanno richiesta contro pagamento nelle diverse
monete nazionali. In questo modo i bilanci statali
ricevono entrate di natura non fiscale che possono
finanziare spese utili a ricostruzione e sviluppo.
 L’ERP assicura circa ¼ delle importazioni europee
fra 1947 e 1950.
Le modalità di funzionamento dell’ERP (2)



Gli importi pagati affluiscono ai “conti di contropartita” a favore
delle rispettive amministrazioni statali, integrandone il bilancio.
Sono utilizzati in diverso modo: dal finanziamento di lavori
pubblici (senza accendere prestiti o appesantire il prelievo
fiscale) all’accumulazione di riserve. Gli effetti in termini di
stimolazione dell’economia e dell’occupazione sono diversi.
L’ECA (European Cooperation Agency) nel 1949 criticherà i
governi troppo cauti nell’utilizzare i fondi di contropartita per
finanziare investimenti.
Nei primi 15 mesi arrivano in Europa soprattutto cereali,
carbone e materie prime per l’industria. Successivamente
vengono forniti soprattutto macchinari e impianti. Questo è il
contributo diretto dell’ERP all’ammodernamento dei processi di
produzione e alla riduzione del divario tecnologico rispetto agli
Stati Uniti.
L’ERP promuove direttamente la formazione di tecnici e
imprenditori alle tecniche moderne attraverso visite a imprese
americane e apposite missioni di consulenza in Europa. Anche
in questo modo si favorisce l’applicazione di soluzioni più
avanzate nei processi produttivi dell’industria europea.
Bilancio federale USA negli anni
dell’amministrazione Truman, 1945-1952.
Mld $ correnti
Eccedenza o
deficit totale
in % del Pil
Avanzo o
disavanzo
Pagamenti
totale Incassi totali
totali
Pil
1945
-0,2
226
-46,1
43,8
89,9
1946
-0,1
228
-13,7
33,9
47,6
1947
1.7
239
3,2
29,9
26,7
1948
4.5
262
8,7
30,5
21,8
1949
0.2
277
0,4
28,9
28,5
1950
-1.1
279
-2,3
28,7
31,0
1951
1.9
327
4,2
35,2
31,0
1952
-0.4
358
-1,0
44,1
45,1
Fonte: http//federal-budget-findthebest.com/d/d/Harry-S.-Truman
Le erogazioni ERP [mld $ correnti]
Importi
1948
4,300
1949 (30.4-30.6)
1,150
1949-1950
4,300
1950-1951
2,700
Totale
12,400
Di cui all’ Europa
93,0%
All’Unione Europea dei pagamenti
2,8%
A paesi orientali
4,2%
I crediti accordati dall’ERP, 3.4.1948-3.4.1951
[$ 000]: ripartizione merceologica, valore e
quota percentuale
%
Materie prime per l’industria
5.032.119
45,35
Alimentari e prodotti agricoli
4.884627
44,02
725.829
6,54
47.334
0,43
350.000
3,15
56.000
0,05
11.095.919
99,54
Noli oceanici
Servizi tecnici
Unione europea dei pagamenti
Conto ECA prepagato
Totale
I crediti accordati dall’ERP, 3.4.19483.4.1951 [$ 000]: ripartizione per paese
UK
2.703.049
25,29
Norvegia
218.659
2,05
Francia e suoi
territori
2.223.880
20,80
Irlanda
146.200
1,37
Italia
1.213.059
11,35
Turchia
117.262
1,10
Germania occ.
1.188.757
11,12
Svezia
116.334
1,09
Olanda
949.779
8,88
Portogallo
45.745
0,43
BelgioLussemburgo
529.765
4,96
Trieste
33.247
0,31
Austria
513.978
4,81
Islanda
18.419
0,17
Grecia
432.516
4,05
Totale
Danimarca
239.270
2,23
10.689.910
Stima dell’incidenza dei fondi ERP in % del PNL
1949 di 5 paesi
Tasso di cambio anteriore
al 19 sett. 1949
Tasso di cambio posteriore
al 19 sett. 1949
Francia
9,9
11,5
Italia
8,8
9,6
16,1
23,1
UK
5,2
7,5
Germania occidentale
4,7
5,9
Olanda
Le sistemazioni monetarie del dopoguerra:
pressioni inflazioniste e primi tentativi di
stabilizzazione (1)


I cambi nel secondo dopoguerra vengono mantenuti fissi
(diversamente dal primo dopoguerra). Sono frequenti
però: (1) rapporti bilaterali, (2) tassi incrociati non
allineati, (3) pratiche multivalutarie. Per rimediare alla
carenza di $ molti paesi mantengono controlli
discriminatori sui pagamenti verso l’area del $. I timori
per la scarsità di $ durano ancora negli anni Cinquanta.
3 paesi (di cui uno solo europeo) rivalutano per evitare
che il saldo attivo della loro bilancia dei pagamenti
faccia aumentare la liquidità interna e aggravi le
pressioni inflazioniste: Canada e Svezia nel luglio 1946;
la Nuova Zelanda nell’agosto 1948. La maggior parte
degli
altri
sembra
destinata
alla
svalutazione,
accompagnata da misure deflazioniste per limitare
l’aumento dei prezzi e permettere di stabilizzare i cambi.
Il deficit pubblico è spesso indicato come causa
principale delle pressioni inflazioniste; in realtà agiscono
anche l’espansione del credito e gli alti prezzi delle
importazioni.
Le sistemazioni monetarie del dopoguerra:
blocco dell’inflazione e nuovi, durevoli,
allineamenti di cambio (2)


Nel 1947-1948 si moltiplicano gli sforzi per rimediare ai fattori
di instabilità monetaria. Le difficoltà valutarie minacciano la
ripresa economica europea perché costringono a mantenere
scambi bilaterali, accordi di pagamento e controlli. Il Fmi avvia
le operazioni, mentre fallisce il tentativo di convertibilità della
£. E prevede un periodo transitorio di 5 anni prima della piena
applicazione delle sue regole ai paesi membri. Viene fatto un
primo tentativo per favorire la ripresa dei pagamenti
multilaterali in Europa occidentale. Ma occorrono l’avvio
dell’ERP e la riforma monetaria tedesca (giugno 1948: drastica
riduzione della liquidità e ampia liberalizzazione dei prezzi) per
consolidare la riorganizzazione del sistema monetario europeo.
Nel 1949 una nuova, grave crisi della £ porta a un’ondata
mondiale di svalutazioni: le nuove parità di cambio si
conserveranno quasi tutte fino al 1971 proprio grazie al
riassestamento avviato nel ‘48.
Solo il $ canadese tra le valute di economie importanti fluttua
dal 1950. I paesi occidentali applicano progressivamente nel
decennio 1950 le prescrizioni fondamentali di Bretton Woods
sui cambi. Il risultato è agevolato dal mantenimento di molti
controlli valutari.
Le sistemazioni monetarie del dopoguerra:
un aiuto dal Fmi, ma l’ERP e soprattutto
l’EPU svolgono il ruolo decisivo (3)



Periodicamente si manifestano crisi valutarie che
vengono affrontate con strumenti diversi, fra cui i crediti
di stabilizzazione del Fmi. Si afferma la collaborazione
fra banche centrali come strumento che aiuta la
conservazione del sistema.
L’ERP attenua le difficoltà grazie anche alla decisione di
consentire l’uso dei doni per pagare importazioni da
paesi diversi da USA limitatamente a 1/15 degli aiuti,
corrispondente al 3% del valore del commercio
intereuropeo. L’ECA prevede l’erogazione di doni
condizionali per i paesi creditori, ma un meccanismo
difettoso non permette un uso efficace e produce forti
differenze fra stati. Quando a fine 1949 si profila la fine
dell’ERP occorre una nuova soluzione.
Sarà l’EPU che nel 1958, dopo 8 anni circa di buon
funzionamento,
che
permetterà
di
ristabilire
la
convertibilità relativa al conto corrente della bilancia dei
pagamenti.
La via verso l’Unione Europea dei pagamenti,
1947-1950.



Nel 1948 gli accordi bilaterali che avevano consentito la ripresa
del commercio internazionale in Europa nell’immediato
dopoguerra sembrano non più rinnovabili: diversi paesi debitori
hanno esaurito le disponibilità valutarie; alcuni paesi (come UK
e Belgio) continuano ad avere un surplus rispetto al resto
d’Europa (comprese Svizzera e Svezia), e i paesi debitori
cercano di limitare le importazioni provenienti dai creditori. Il
commercio intereuropeo minaccia di bloccarsi.
Dal 1947 si era tentato di correggere parzialmente gli effetti
degli accordi bilaterali, ma con scarso successo perché i
creditori erano preoccupati delle conseguenze che potevano
derivare dal fatto che in paesi importanti continuava
l’inflazione. Essa rendeva anormalmente alte le importazioni e
anormalmente basse le esportazioni. Nel novembre 1947
Belgio, Lussemburgo, Olanda, Francia e Italia raggiungono un
accordo per la reciproca compensazione dei saldi esistenti, ma
senza accordarsi nuovi crediti. Vengono compensati solo $ 5
mln su 762,1.
Nell’ottobre 1948 un accordo impegna tutti i paesi OECE alla
cancellazione multilaterale dei debiti, senza nuovi prestiti. E’
applicato fino al luglio 1950 e non dà risultati rilevanti (solo
4% dei debiti sono compensati). Poi la UEP dà una soluzione.
Come funziona l’Unione europea dei
pagamenti 1950-1958 (1)


Ogni stato membro alla fine del mese trasferiva alla
Banca dei regolamenti internazionali (BRI) i suoi saldi
con tutti gli altri stati. La Banca provvedeva alla
compensazione. I saldi restanti sono consolidati su base
multilaterale: non come debiti o crediti verso un paese,
ma verso l’Unione. Così cessava l’esigenza di
discriminare fra paesi in relazione alla posizione
valutaria reciproca. I debiti netti potevano essere
finanziati.
Ogni paese disponeva di una quota pari a 15% del suo
commercio totale con i membri EPU. Se il debito restava
<20% della quota, era finanziato interamente e
diventava un credito della BRI. Se era >20%, doveva
essere rimborsato in oro (o $) per l’importo percentuale
corrispondente alla quota del debito. Se si superava la
quota attribuita al paese membro, l’intero debito andava
rimborsato in oro o $. I debiti cumulati erano rimborsati
allo stesso modo.
Come funziona l’Unione europea dei pagamenti,
1950-1958 (2)



I paesi creditori trovano conveniente il dispositivo perché
ricevevano una quota di rimborso in oro o $ > di quella
chiesta ai debitori, grazie all’uso di un fondo di $ 350 mln
dato dall’ECA. Inoltre un consiglio di esperti finanziari
indipendenti consigliava ai paesi debitori come rimediare al
debito, facendo pressione sui debitori perché correggessero
lo squilibrio. Infine l’EPU comporta la liberalizzazione delle
restrizioni sul commercio (feb. 1951), cominciando col
dimezzare i dazi e i vincoli quantitativi esistenti per ridurli
successivamente fino al 75%.
Tra 1950 e 1959 il commercio intraeuropeo cresce da $ 10
mld a 23 mld; le importazioni dal Nord America passano da
4 a 6 mld. Il commercio estero cresce più rapidamente della
produzione.
I risultati ottenuti permettono già nel 1954 di imporre ai
debitori di saldare più sollecitamente la loro esposizione e i
creditori ottengono una quota > di oro o $. La rimozione dei
controlli quantitativi da parte dei paesi dell’EPU
sulle
rispettive importazioni viene estesa agli USA: è il segnale di
una riduzione delle difficoltà create dal dollar gap.
Le regolazioni fatte dall’Unione europea dei
pagamenti, 1950-1958 [mld $ correnti]
Compensazioni
multilaterali
20,0
prorogate
12,6
regolazioni speciali e aggiustamenti
Saldo regolato in oro e $
Saldo regolato a credito
0,4
10,7
2,7
Saldo da regolare
13,4
Totale delle posizioni bilaterali (deficits +
surplus)
46,4
L’eredità della guerra, valutata al termine della
ricostruzione: modifiche nella ripartizione del reddito e
riflessi sugli investimenti.



La guerra non produce solo distruzioni: può stimolare anche la
crescita economica, in particolare industriale, se è possibile
dedicare risorse alla produzione nonostante il conflitto e ricavare
profitti da tale produzione (com’è stato possibile nella 2. guerra
mondiale, cedendo le merci ai governi o a privati).
Le particolari condizioni monetarie che accompagnano un
conflitto basato su un grande sforzo produttivo possono favorire
l’accumulazione di consistenti risorse
finanziarie capaci di
alimentare un significativo flusso di investimenti. Nei primi anni
della seconda guerra gli investimenti furono molto intensi anche
in Europa oltre che negli USA e in Giappone. Solo dal 1944 la
maggior parte dei paesi comincia a limitare l’incremento della
capacità produttiva. Difficile però valutare il risultato complessivo
ottenuto perché occorre tenere conto delle distruzioni, la cui
stima è spesso falsata dalla possibilità di ottenere risarcimenti.
Esse sono comunque rilevanti soprattutto nelle infrastrutture, nel
patrimonio edilizio, nell’agricoltura e allevamento.
La guerra provoca cambiamenti significativi nella ripartizione del
reddito a favore delle imprese e di alcune categorie di operatori
che possono trarre vantaggio dalle condizioni dei mercati durante
il conflitto e nell’immediato dopoguerra: per es. aggirando i
controlli amministrativi sui prezzi e i rifornimenti.
L’eredità della guerra: modifica degli assetti
produttivi, trasformazione dei rapporti economici e
finanziari internazionali; sviluppo di politiche
sociali per la stabilizzazione del reddito.




La guerra favorisce importanti cambiamenti della struttura produttiva di
diversi stati combattenti e anche di diversi neutrali, interessati da
politiche di sostituzione delle importazioni e/o da forniture ai
belligeranti.
Sul piano produttivo la trasformazione dell’industria comporta
l’applicazione di significative innovazioni di prodotti e di processi
produttivi, eventualmente estendendo al settore civile acquisizioni legate
alle produzioni militari.
In parte grazie a questi processi, in parte a causa delle modalità di con
cui si creano interdipendenze fra le economie dei paesi belligeranti, la
guerra provoca modifiche profonde nei rapporti economici e finanziari
internazionali. Si creano nuovi creditori e nuovi debitori; le loro posizioni
possono essere relativamente stabili (per es. gli USA) o instabili (per es.
l’Argentina). Tra 1939 e 1945 vengono poste le basi di un indebolimento
irreversibile del Commonwealth e all’area della £.
In alcuni stati vengono introdotte riforme importanti delle provvidenze
sociali, sotto la spinta di forti esigenze egualitarie. Le riforme
permettono di stabilizzare il reddito di categorie sociali numericamente
ampie e spesso esposte all’incertezza; ma consolidano anche il reddito di
classi medie, a cui garantiscono inoltre opportunità maggiori di
avanzamento sociale. Ne deriva un > dinamismo nelle società del
dopoguerra che accompagna e rafforza quello derivante dai processi di
ridistribuzione patrimoniale connessi alla guerra.
La crescita accelerata in Europa nel
dopoguerra: recupero [catching-up] e
convergenza.


1.
2.
3.

La crescita del dopoguerra avviene recuperando la perdita di produzione
e la distruzione di capacità produttiva provocata dalla guerra. Alla fine
degli anni 1940 lo stock di capitale era < ai livelli di equilibrio. Se
l’Europa avesse continuato a crescere fra 1938 e 1946 al tasso medio
annuo composto del 2,2%, la produzione e lo stock di capitale sarebbero
stati del 20% > al 1938 entro la fine degli anni 1940. E l’occupazione
sarebbe stata >. C’è quindi spazio e opportunità per aumentare lo stock
di capitale e si può ottenere una crescita rapida rimettendo al lavoro i
molti disoccupati. La crescita rapida è, all’inizio, un ritorno alla
normalità.
La convergenza si riferisce alla crescita aggiuntiva ottenuta riducendo lo
scarto di efficienza rispetto agli USA che da fine 800 avevano conquistato
un altro livello di produttività (indicato dall’altro Pil pro capite), grazie:
all’uso delle risorse disponibili,
alla pionieristica adozione di metodi di produzione di massa,
alla costituzione di un ampio mercato nazionale unitario.
Le 3 condizioni permettono di adottare l’organizzazione multidivisionale
delle grandi imprese, guadagnando efficienza di gestione, di ottenere
economie di scala, e integrare le produzioni, consentendo sia
rifornimenti sicuri di materie prime e semilavorati, sia l’accesso a
condizioni convenienti a mercati locali lontani. I costi ridotti permettono
alle imprese americane di diventare produttrici su scala mondiale. Ne
deriva un ulteriore stimolo allo sviluppo del sistema di produzione di
massa che caratterizza l’economia USA.
Recupero e convergenza: le condizioni
per realizzarli.





Negli anni 1950 la divaricazione tra il Pil pro capite di
USA e Europa è alta; c’è spazio per un rapido aumento di
produttività tramite il recupero del ritardo accumulato.
La liberalizzazione degli scambi commerciali e degli
investimenti permette di superare i limiti dei mercati
nazionali.
C’è disponibilità illimitata di mano d’opera per diversi
anni. L’automazione agevola l’uso di addetti non
qualificati.
Il prezzo dell’energia e di molte materie prime resta
comparativamente basso per anni, salvo impennate di
durata relativamente breve (in particolare per la guerra
in Corea). Le ragioni di scambio sono favorevoli ai
manufatti piuttosto che ai prodotti grezzi.
Diverse condizioni istituzionali agevolano il processo di
sviluppo.
Riguardano
il
sistema
dei
pagamenti
internazionali,
le
relazioni
industriali,
l’azione
economica delle amministrazioni pubbliche.
Politiche monetarie e manovre del cambio in
Europa occidentale negli anni 1950: obiettivi
interni e prescrizioni del Fmi




Nel secondo dopoguerra la maggior parte degli stati dell’Europa
occidentale dà molta importanza alla crescita economica e a
livelli di occupazione alti. Questi obiettivi hanno la priorità
soprattutto per il governo laburista britannico. Che applica
sistematicamente una politica di bassi tassi di interesse.
L’adesione a un sistema di cambi fissi comporta però il ricorso
a variazioni del tasso di sconto per correggere squilibri della
bilancia dei pagamenti (deficit), facendo rallentare la crescita e
la riduzione dell’impiego delle risorse per assicurare la stabilità
valutaria.
Il controllo del tasso di cambio continua a essere un obiettivo
fondamentale. Oltre alla manovra del tasso di sconto si
applicano controlli sui cambi, eventualmente accompagnati da
un aumento delle imposte per frenare i consumi interni.
Obiettivo: contenere le importazioni, come nel 1950-1951
durante la crisi che colpì la Germania occidentale. Il ritorno alla
stabilità è agevolato eventualmente da prestiti.
Più tardi, quando sarà riassorbita la disoccupazione, come in
UK dove fu <1,8% fra 1953 e 1958, sotto governi conservatori,
si ricorrere a frequenti variazioni dei tassi d’interesse per
stimolare o contenere la domanda effettiva (stop and go).
Il potenziale rischio del sistema di Bretton Woods
(stabilità valutaria e deflazione o instabilità e crisi
valutaria) viene eluso negli anni 50 grazie alle
caratteristiche e all’intensità della crescita economica


L’accumulo di $ nell’economia internazionale non crea problemi
(anzi) finché non ci sono dubbi sulla possibilità di convertirli in oro.
La certezza svanisce quando i conti esteri delle principali economie
presentano sistematicamente consistenti disponibilità di $ che nel
1960 superano l’entità delle riserve auree statunitensi. Nel 1963 il
debito USA verso l’estero supera quello interno. La richiesta di
conversione di $ in oro avrebbe avuto effetti analoghi a una crisi di
liquidità di una banca e avrebbe cancellato il ruolo del $ nel sistema
internazionale dei pagamenti.
Se il governo USA avesse inteso contrastare questa situazione
assicurando il tasso di cambio in vigore fra oro e $, avrebbe dovuto
applicare misure deflazionistiche che avrebbero sottratto liquidità al
mercato internazionale ed esercitato una vigorosa azione
deflazionistica generalizzata. Tutti i sistemi economici avrebbero
dovuto applicare misure simili per difendere le rispettive monete. Si
sarebbe riprodotta la situazione degli anni 1930. Esigenze interne
agli Stati Uniti fecero preferire l’incremento
sistematico della
liquidità, cercando soluzioni diverse per assicurare il ruolo del $ e il
funzionamento del sistema internazionale degli scambi.
L’evoluzione del quadro economico internazionale tra
anni ‘50 e ‘60 (1)



La bilancia dei pagamenti USA si modifica: il dollar gap scompare e la
liquidità internazionale cresce nettamente preparando una situazione
nuova che emerge entro l’inizio degli anni 1960. La massa di $ in
circolazione nel mondo è nettamente > a qualunque possibilità di
conversione se qualche stato decidesse di chiederla. La Francia di De Gaulle
ne dà una dimostrazione con la lunga contesa sulla conversione dei $ in oro
sviluppata fra 1961 e 1964.
L’incremento degli scambi internazionali ha fatto consistenti progressi. La
costruzione di aree di integrazione commerciale regionale risulta decisiva
in Europa dove si affermano 2 diversi tipi di mercati integrati: il Mercato
comune europeo (imperniato su Francia e Germania) e lo European Free
Trade Agreement, imperniato su UK. Vengono trovate soluzioni specifiche
per mantenere rapporti di > vantaggio con i paesi tropicali ex coloniali
rispettivamente di Francia e UK. Particolari problemi emergono nella
formulazione e gestione di politiche agricole per i paesi europei a partire
dal 1964: bisogna conciliare (1) la garanzia di prezzi agricoli remunerativi
per le agricolture nazionali con (2) l’esigenza di limitare rincari di beni
salario e con (3) quella di offrire sbocchi alle produzioni agricole (in
prevalenza tropicali) di paesi ex coloniali.
Il ruolo internazionale della £ e del mercato finanziario londinese viene
confermato ma ridimensionato e con aspetti nuovi. Londra diventa la
prima piazza per trattare eurodollari, cioè $ che possono essere ottenuti da
banche che non operano negli USA, consentendo di disporre della
principale valuta mondiale, suscettibile di ampia circolazione, senza
doversi adattare ai vincoli e alle prescrizioni delle autorità monetarie USA.
L’evoluzione del quadro economico internazionale tra
anni ‘50 e ’60. Le prime preoccupazioni per
l’inflazione (2)




La crescita della domanda di materie prime e il progressivo
avvicinamento al limite del pieno impiego delle risorse disponibili
(in particolare manodopera e materie prime) favorisce l’incremento
dei prezzi. L’elevata liquidità internazionale facilita questo esito.
L’incremento dei prezzi è diverso fra paesi, in funzione (1) delle
rispettive strutture economiche, (2) delle rispettive istituzioni
finanziarie e monetarie, e (3) delle diverse capacità di realizzare
avanzamenti di produttività che permettano di mitigare l’aumento
dei prezzi.
Benché le monete dei paesi occidentali siano quasi tutte legate da
cambi fissi, alcune tendono ad apprezzarsi e altre a svalutarsi. Nel
corso degli anni 1960 si verifica un indebolimento del potere di
acquisto del $ che si traduce in fragilità del cambio. Le banche
centrali sviluppano un’intensa e sofisticata attività di intervento sul
mercato dei cambi e di collaborazione.
Si sviluppa però un’offensiva teorica in favore dei cambi flessibili,
considerati più efficaci per frenare le spinte inflazionistiche.
L’inflazione deve essere combattuta anche riducendo la spesa
pubblica, tanto più che essa è considerata, quasi ontologicamente,
fonte di spreco e inefficienza, mentre il mercato avrebbe la capacità
di autoregolarsi.
Commercio estero totale degli USA e
commercio con l'Europa, 1944-1970, medie
pluriennali [mld. $ correnti]
Esp.
Tot.
Imp.
Tot.
Saldo
tot.
Esp. a
EU
Imp. da
EU
Saldo
EU
%X
%M
1944-48
12.616
6.192
6.424
2.008
710
1.298
16
11
1949-53
13.947
10.057
3.891
772
1.783
-1.010
6
18
1954-58
17.759
12.280
5.479
973
2.797
-1.825
5
23
1959-63
21.150
15.859
5.291
1.226
4.490
-3.263
6
28
1964-68
30.976
25.273
5.704
1.827
7.604
-5.777
6
30
1969-70
40.642
38.234
2.408
2.436
10.865
-8.429
6
28
Fonte: US Dpt. of Commerce, Bureau of the Census, Historical Statistics of the US, Colonial
Times to 1970, Washington, 1975, vol. 1, pp. 884, 903, 905.
Investimenti USA all’estero e dell’estero in
USA, 1945-1970, medie quinquennali e 1970
[mld $ correnti]
Investimenti esteri USA (a)
Tot.
privati
gov.
Investim. dell'estero in USA (b)
Tot.
lungo
breve
b/a*100
1945-49
46,20
15,26
30,94
15,04
7,14
7,94
32,55
1950-54
58,50
22,58
35,92
20,80
9,48
11,36
35,56
1955-59
74,74
37,06
37,66
32,50
15,18
17,36
43,48
1960-64
98,54
61,50
37,06
48,32
21,56
26,72
49,04
1965-69
137,04
94,88
42,14
72,18
33,38
38,82
52,67
1970
166,90
120,20
46,70
97,70
48,70
49,00
58,54
Fonte: elab. da US Dpt. of Commerce, Bureau of the Census, Historical statistics of
the US, colonial times to 1970, Washington, 1975, pp. 868-869.
Investimenti diretti USA, 1945-1970, medie
quinquennali e 1970 [mln. $ corr.].
Totale
Canada
Am. Lat.
Eur. Occ.
Dipendenze
Altri paesi
emisf. occ.
1950-54
14.674
4.716
5.190
2.179
159
2.431
1955-59
24.906
8.621
7.240
4.122
549
4.373
1960-64
37.815
12.363
8.379
9.166
1.086
6.821
1965-69
59.953
18.220
10.463
17.840
1.812
11.618
1970
78.178
22.790
12.252
24.516
2.508
16.113
1950-54
100,00
32,14
35,36
14,85
1,08
16,57
1955-59
100,00
34,61
29,07
16,55
2,21
17,56
1960-64
100,00
32,69
22,16
24,24
2,87
18,04
1965-69
100,00
30,39
17,45
29,76
3,02
19,38
1970
100,00
29,15
15,67
31,36
3,21
20,61
Fonte: US Dpt. of Commerce, Bureau of the Census, Historical statistics cit., p. 870.
L’evoluzione della bilancia dei pagamenti USA, 1946-1959
.
Bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti, 1950-1974.
Medie pluriennali e dati annuali. Valori correnti in mld $.
1950-59
1960-64
1965-69
Esportazioni
14,80
21,70
31,30
42,00
142,80
48,80
70,30
Importazioni
-11,80
-16,20
-28,50
-39,80
-45,50
-55,80
-69,80
Transazioni militari
-2,30
-2,40
-2,90
-3,40
-2,90
-3,60
-2,20
Viaggi, noli
-0,30
-1,10
-1,60
-2,10
-2,30
-3,10
-2,70
2,10
3,90
5,70
6,30
8,00
7,90
8,50
Altri servizi e trasferimenti
-0,50
-0,60
-0,70
-0,80
-1,90
-1,80
-1,70
Trasferimenti non militari del governo USA
-2,00
-1,90
-1,70
-1,70
-2,00
-2,20
-1,90
Saldo della bilancia corrente
-0,10
3,30
1,40
0,40
-3,80
-9,80
0,50
Flussi di capitale a lungo termine pubblici
-0,40
-1,00
-1,90
-2,00
-2,40
-1,30
-1,50
Id. privati
-1,30
-2,90
-1,80
-1,40
-4,40
-0,10
0,10
Saldo della bilancia di base
-1,90
-0,70
-2,30
-3,10
-10,60
-11,20
-0,90
Flussi di capitale privato a breve termine
0,30
-0,50
3,10
-6,50
-10,10
2,00
-1,80
Errori e omissioni
0,30
-1,00
-0,90
-1,20
-9,80
-1,80
-2,60
0,90
0,70
0,70
-9,80
-29,80
-10,40
Reddito di investimenti, diritti e altre competenze
Attribuzione di DSP
Variazione delle riserve ufficiali
-1,30
-2,20
Fonte: L. B. Yeager, International monetary relations, New York, 1976, p. 568.
0,00
1970
1971
1972
1973
-5,30
Evoluzione delle riserve valutarie mondiali, 1950-1971,
in mld $.
1950
Ripartiz.
%
1971
Ripartiz.
%
Incremento
Riserve mondiali
48,7
100,00
118,8
100,00
243,9
Riserve fuori degli USA
25,9
53,18
106,7
89,81
412,0
Di cui oro
12,0
24,64
39,6
33,33
330,0
4,4
9,03
50,6
42,59
1.150,0
Di cui $
Fonte:André Gauthier, L'economia mondiale dal 1945 a oggi, Bologna, Mulino, 1998, p. 80.
L’evoluzione della bilancia dei pagamenti USA negli
anni ’60 e l’esigenza di aumentare la liquidità
internazionale limitando il rischio di conversione dei $





Nella prima metà degli anni 1960 la bilancia commerciale USA
non costituisce un problema serio.
Le fonti maggiori di preoccupazione sono le spese dello stato
all’estero, prevalentemente per esigenze militari, e i movimenti
di capitale privato.
Gli USA però attraggono dall’estero fondi a breve termine. Così
la loro posizione è riequilibrata. Parte del fabbisogno europeo
di capitali investiti a lungo termine proviene dagli USA, sotto
forma di acquisto di titoli a interesse fisso (obbligazioni, titoli
pubblici) o come investimenti diretti, dal momento che il
mercato finanziario statunitense è interessato a questo tipo di
impieghi per partecipare a un mercato in espansione e protetto
e trarre vantaggi dall’eventuale rivalutazione di alcune monete.
In Europa invece è rilevante la preferenza per impieghi liquidi.
Trasferire capitali a breve sul mercato finanziario USA soddisfa
questa esigenza e attribuisce alle istituzioni finanziarie
americane il ruolo di banchieri del mondo: prendono a prestito
a breve e prestano a lungo termine.
É una situazione rischiosa. Il rischio può essere limitato
creando liquidità. Oppure rivalutando l’oro. Se ne parla già
sotto Eisenhower, ma Kennedy teme le conseguenze
inflazioniste.
La ricerca di soluzioni alternative all’intervento del
Fmi da parte degli USA negli anni ’60 (1)


Per difendere il $ le amministrazioni USA seguono strategie
diverse. Tutte hanno in comune lo scavalcamento del Fmi. Man
mano che il problema si aggrava, si rafforza l’intenzione di
agire autonomamente, senza tenere conto dei dispositivi
previsti dal sistema.
Vanno in questa direzione gli accordi fra banche centrali che
permettono di tamponare tensioni e disfunzioni nel sistema
internazionale dei pagamenti e di attenuare la pressione sul $
negli anni ’60. In particolare le banche centrali di 10 paesi
stipulano un General Agreement to Borrow (operante dal 1962)
e assicurano un ammontare predeterminato di crediti reciproci
a breve termine che contrastino movimenti di capitali
destabilizzanti che interessino singole valute. Previsto un
impegno per 6 mld $. Se la £ si indebolisce rispetto al $, per es.,
la Federal Reserve Bank di NY mette a disposizione della Bank
of England un certo quantitativo di $ per sostenere la £. A fine
1962 il fondo è di 900 mln $; nel 1978 è di 30 mld. Ma il
dispositivo funziona solo in crisi limitate.
La ricerca di soluzioni alternative all’intervento del
Fmi da parte degli USA negli anni 60 (2). L’azione per
stabilizzare il prezzo dell’oro e il cambio del $




Nel 1961 viene varato dalla FRBNY e da 7 delle principali
banche centrali (B, F, BRD, UK, I, NL, CH) il pool dell’oro per
operare sul mercato di Londra. L’impegno è integrato nel 1962
e consente di tentare la stabilizzazione del prezzo dell’oro sul
mercato internazionale (fino al 1967) attraverso operazioni di
compravendita.
L’azione non è risolutiva e nel 1968, data la crescente domanda
di oro, si decide di applicare un doppio prezzo all’oro: (1) tra
banche centrali e autorità monetarie e (2) tra altri operatori.
Per diminuire la pressione sul cambio del $ vengono utilizzati
degli
swaps: le banche centrali possono utilizzare valute
diverse dal $ per regolare le transazioni reciproche. Allo stesso
scopo mirano le obbligazioni Roosa (1962), titoli del Tesoro
USA acquistati in $, rimborsati in franchi svizzeri.
Per integrare i mezzi di pagamento internazionali senza
ricorrere al $ si decide che il Fmi emetta dei Diritti speciali di
prelievo.
Compensazioni
per
le
spese
militari,
interventi sulle banche USA per limitare i
flussi in uscita di capitale a breve




Dal 1960 gli USA chiedono compensazioni per le spese militari
all’estero sotto forma di depositi di fondi a medio termine che
compensino il deflusso di pagamenti. Operano allo stesso modo
le vendite di armamenti.
I paesi che vedono affluire troppi capitali dall’estero adottano
contromisure: dal 1964 le banche tedesche devono depositare
alla Bundesbank, senza interessi,somme proporzionali a ciò che
avevano ricevuto. Il prezzo del denaro estero sale e il suo uso è
disincentivato.
Nel 1963 gli USA introducono la Interest Equalization Tax
sull’acquisto di azioni e obbligazioni estere per controbilanciare
gli incentivi fiscali prima attribuiti all’acquisto di tali titoli.
Nel febbraio 1965 chiesto alle banche USA di limitare
volontariamente i crediti all’estero. Dal 1968 la Federal Reserve
è autorizzata a limitare le operazioni all’estero delle banche.
La Francia negli anni 50: il complicato percorso della
seconda potenza industriale europea. Instabilità del
franco, difficoltà finanziarie e instabilità politica




In Francia si deve ricorrere a restrizioni commerciali per
rimediare a una forte instabilità del franco, conseguenza
dell’alto livello di spesa
pubblica
(spese
militari,
investimenti pubblici, sussidi all’edilizia), mentre è difficile
aumentare le entrate tributarie.
La bilancia dei pagamenti si presenta fragile. Tra 1956 e
1957 (Suez) si ricorre al deposito anticipato del valore delle
importazioni autorizzate per frenarne la crescita, prima del
25%, poi del 50%. La misura è introdotta dopo una crisi
valutaria che interviene dopo la decisione di aumentare le
pensioni, appesantendo ulteriormente la spesa statale.
Agosto 1957: le transazioni in cambi presentano un aggio
del 20% sulle compravendite di valuta.
Austerità finanziaria e fine della IV Repubblica: il ritorno al
potere di Charles De Gaulle favorisce l’adozione di un
maggior prelievo fiscale e di tagli alla spesa pubblica,
insieme con la svalutazione del 17% del franco. Entro il
1959 la bilancia dei pagamenti francesi torna attiva; pochi
anni dopo la Francia potrà sostenere l’opportunità di
rivedere il ruolo internazionale del $ per tornare all’oro.
La contestazione francese del ruolo del $ come valuta
di riserva, 1965.



Charles De Gaulle, nella conferenza stampa del 4 febbraio 1965
dichiarò: “La convenzione che conferisce al $ un valore
straordinario come valuta internazionale non si fonda più sul
presupposto iniziale, e cioè che l’America possiede le maggiori
riserve auree del mondo. Il fatto che molti paesi accettino il $
come equivalente dell’oro per sanare i deficit della bilancia dei
pagamenti americana ha conferito agli Stati Uniti il privilegio di
indebitarsi gratuitamente con l’estero”.
La Francia avvia la conversione in oro di riserve in $.
Queste calano da $ 284 a 112 mln tra fine 1964 e 1966.
L’evoluzione delle potenzialità del Fmi tra anni ’60 e ’70.




A partire dal 1959, dopo l’introduzione della convertibilità
parziale delle monete dei paesi aderenti all’UEP, il sistema di
pagamenti previsto da Bretton Woods diventa realmente
operativo.
Le risorse del FMI vengono progressivamente aumentate. Il
loro adeguamento doveva avvenire ogni 5 anni. Il primo
aumento è realizzato nel 1960, incrementando le quote del
50% (da 8,8 a 13,2 mld $); il secondo avviene nel 1965
(+25%) e il terzo nel 1970 (+36%), nel tentativo di aumentare
le disponibilità valutarie internazionali per fronteggiare crisi di
pagamento di fronte a un’economia mondiale in rapida e
intensa espansione.
Nel 1970 le quote del FMI sono salite a 29,220 $ mld.
Nell’ottobre 1969 gli accordi di Bretton Woods sono emendati
per creare i Diritti speciali di prelievo, moneta addizionale
utilizzabile nei pagamenti internazionali. Un DSP = US$ 1. I
membri del FMI possono utilizzarli in relazione al loro peso nel
Fondo. Assegnati in 3 rate.
L’assegnazione dei Diritti speciali di prelievo, 1970-1972.
1 gennaio 1970
3,40
1 gennaio 1971
2,95
1 gennaio 1972
2,95
Fonte: A. Gauthier, L'economia mondiale cit., p. 81.
Verso la fine di Bretton Woods





I DSP arrivano tardi e sono resi inutili, come fonte di liquidità
internazionale,
dall’esplosione
di
liquidità
creata
unilateralmente dagli USA dal 1970.
Non contribuiscono a creare fiducia nella convertibilità del $
limitando l’erosione delle riserve auree statunitensi perché la
quantità di $ creati attraverso il passivo della bilancia dei
pagamenti USA era elevata.
I DSP hanno un ruolo marginale nel funzionamento del sistema
internazionale dei pagamenti e non riescono a porlo su nuove
basi.
Con l’amministrazione repubblicana emersa dall’elezione di
Richard Nixon alla presidenza USA prevale la scelta di
restituire piena autonomia in campo valutario agli USA. Viene
revocata la convertibilità aurea del $ il 15 agosto 1971.
La gestione del sistema di pagamenti internazionale emersa nel
1944 soccombe; i paesi sono in reciproco disaccordo sugli
aggiustamenti.
L’evoluzione dei diritti speciali di prelievo e
le ragioni della loro limitata importanza
come riserva valutaria




Dal 1972 i DSP svolgono il ruolo di moneta di conto per il Fmi. Sono poco
significativi come strumento per creare riserve valutarie. I paesi
sviluppati, che ne hanno la quota maggiore, non li utilizzano, mentre
quelli non sviluppati li considerano una linea di credito relativamente
poco costosa. Possono essere utilizzati solo cambiandoli contro una
valuta e sono accettati solo nell’ambito del Fmi e di poche altre
istituzioni autorizzate dal Fondo. Perciò non si possono impiegare
direttamente per intervenire sul mercato e fornire liquidità o agire sui
cambi per mantenere la competitività delle esportazioni.
Inoltre sono relativamente scarsi: nel 2011 rappresentavano meno del
4% delle attività complessive in riserve valutarie. Perciò sono poco
liquidi. Nel 1979, nel pieno di una crisi di fiducia nel $, ne furono emessi
12 mld in 4 anni; ma anche questa volta il rovesciamento della politica
monetaria USA ne limitò l’efficacia.
Hanno invece avuto una forte espansione durante la crisi finanziaria
2007-2010. Entro il 2011 ne furono collocati 203,4 mld.
Dal luglio 1974 al dicembre 1980 il valore è stato definito sulla base di
16 valute. Di 5 dal 1981 al 1999, quando DM e Ffr sono stati sostituiti
dall’€. Nel 2011-2015: 41,9% $, 37,4% €, 9,4% Y, 11,3% £.
Variazione percentuale media annua dei
prezzi al consumo in economie Ocse, 19511973
1951-55
1956-60
1961-65
1966-70
1971-73
USA
2,6
2,7
1,6
4,3
4,6
Giappone
6,2
3,6
5,1
5,7
7,4
Germania
3,2
2,7
3,5
3,5
5,9
Francia
6,8
6,5
4,2
4,5
6,3
UK
4,9
3,2
3,6
4,8
8,6
Ocse
3,5
3,2
2,6
4,4
5,9
Fonte:A. Gauthier, L'economia mondiale dal 1945 a oggi, Bologna, 1998, p 77.
L’aumento dell’inflazione nel quarto di secolo
di intenso sviluppo. Spiegazioni in conflitto o
complementari





Per i fautori della teoria monetarista che va aumentando la sua influenza
negli anni 1960-70 l’inflazione è il frutto di una crescita eccessiva della
liquidità. Per evitarla bisognerebbe regolare abilmente l’incremento di
offerta di liquidità. Corollario: è vitale in particolare controllare con
rigore la spesa pubblica come specifica responsabile di spinte
inflazioniste.
Per gli economisti influenzati da J.M.Keynes quell’inflazione è il risultato
di uno squilibrio fra offerta e domanda; cioè una domanda da parte di
imprese e famiglie superiore alla disponibilità di risorse. Va corretta con
misure che modifichino il livello dei redditi e quello dell’offerta (sul breve
periodo, per es., importando di più; su tempi più lunghi aumentando la
produzione e il reddito).
Le rigidezze nella ripartizione del reddito fra detentori del capitale e
lavoratori dipendenti possono alimentare l’inflazione.
Inflazione deriva anche da tendenza all’aumento dei costi di produzione
associati
all’aumento
dei
prezzi
dei
prodotti
di
base
e
dall’appesantimento degli oneri salariali e sociali sulle imprese.
La dimensione e le caratteristiche delle imprese (così come la loro
posizione di maggiore o minor peso sul mercato) influiscono sulla loro
capacità di controllare lo scarto fra costi e prezzi.
I cicli di trattative del GATT, 1947-1967
Ciclo
data
luogo
stati
Concessioni
Valore in
partecipanti
tariffarie
mld $
1° round
ot 47-giu 48
Ginevra
23
45.000
2° round
ap-ago 49
Annecy
13
5.000
3° round
set 50-apr 51
Torquay
38
8.700
4° round
gen-mag 51
Ginevra
26
Dillon r.
set 60-lug 61
Ginevra
26
Kennedy r.
mag 64-giu 67
Ginevra
62
10,0
-25%
2,5
4.400
4,9
40,0
Il Kennedy Round comporta l’impegno di ridurre i dazi industriali CEE, USA, UK e Giappone del 35% in 5
anni (1.1.1972). Adozione di un codice antidumping da parte di 19 paesi. Restano molti ostacoli
extratariffari. L’amministrazione Nixon crea una nuova situazione colpendo col 10% le importazioni.
Fonte:A. Gauthier, L'economia mondiale dal 1945 a oggi, Bologna, 1998, p 81.
La crescita dell’integrazione economica internazionale.
% delle esportazioni sul Pil [prezzi 1990], 1950-1992
1950
1973
1992
Francia
7,7
15,4
22,9
Germania
6,2
23,8
32,6
Olanda
12,5
41,7
55,3
UK
11,4
14,0
21,4
Totale Europa occidentale
9,4
20,9
29,7
Spagna
1,6
5,0
13,4
URSS/Russia
1,3
3,8
5,1
Australia
9,1
11,2
16,9
13,0
19,9
27,2
3
5,0
8,2
Totale America Latina
6,2
4,6
6,2
Cina
1,9
1,1
2,3
India
2,6
2,0
1,7
Indonesia
3,3
5,0
7,4
Giappone
2,3
7,9
12,4
Corea
1,0
8,2
17,8
Taiwan
2,5
10,2
34,4
Tailandia
7,0
4,5
11,4
Totale Asia
2,3
4,4
7,2
Mondo
7,0
11,2
13,5
Canada
USA
Valori delle esportazioni di 56 paesi a
prezzi correnti, in $, 1870-1992
1870
1913
1929
1950
1973
1992
2.841
9.352
13.186
19.439
243.830
1.549.810
Paesi extraeuropei di recente
insediamento
571
3.295
7.149
15.484
109.996
634.586
Paesi europei del sud
154
338
910
1.027
11.944
127.472
Paesi dell'Europa orientale
259
1.025
1.944
4.113
47.066
98.704
Paesi dell'America latina
218
1.236
2.328
4.866
19.926
109.690
Paesi dell'Asia
439
1.802
3.929
4.823
61.631
679.543
86
560
993
2.824
14.921
52.512
Totale
4.568
17.608
30.439
52.576
509.314
3.252.317
Indice
100
385
666
1.151
11.150
71.198
56.247
236.330
334.408
375.765
1.797.199
3.785.619
100
420
595
668
3.195
6.730
Valori assoluti
Paesi europei industrializzati
Paesi dell'Africa
Valore di esp. mondiali in mln. $ 1990
Indice id.
Fonte: A. Maddison, L'économie mondiale 1820-1992. Analyse et Statistiques, OCDE, Paris, 1995, pp.152252,257.
Ripartizione percentuale delle esportazioni di
56 paesi a prezzi correnti, in $, 1870-1992
1870
1913
1929
1950
1973
1992
Paesi europei industrializzati
62,19
53,11
43,32
36,97
47,87
47,65
Paesi extraeuropei di recente
insediamento
12,50
18,71
23,49
29,45
21,60
19,51
Paesi europei del sud
3,37
1,92
2,99
1,95
2,35
3,92
Paesi dell'Europa orientale
5,67
5,82
6,39
7,82
9,24
3,03
Paesi dell'America latina
4,77
7,02
7,65
9,26
3,91
3,37
Paesi dell'Asia
9,61
10,23
12,91
9,17
12,10
20,89
Paesi dell'Africa
1,88
3,18
3,26
5,37
2,93
1,61
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
Totale
Fonte: A. Maddison, L'économie mondiale 1820-1992. Analyse et Statistiques, OCDE, Paris, 1995, pp.152252, 257.
Distribuzione per zone del commercio mondiale
(esportazioni), 1950, 1970, 1980
1950
1970
1980
CEE
23,3
28,4
33,3
EFTA
14,5
13,1
5,8
Resto di Europa occ.
2,5
2,9
1,6
Giappone
3,2
6,2
6,5
Canada
4,3
5,4
3,2
16,0
13,7
10,2
3,1
2,6
2,0
Economie a pianificazione centrale
11,8
10,6
8,9
Paesi in sviluppo
21,3
17,1
27,9
USA
Australia, Nuova Zel., Unione Sud Afr.
Fonte: H. van der Wee, Prosperity and upheaval, Harmondsworth, 1986, p. 263.
Distribuzione geografica delle esportazioni
mondiali di manufatti, in percentuale, 19631976
1963
1973
1976
2,61
4,16
3,32
17,24
12,58
Giappone
5,98
Francia
Canada
USA
Repubb.Fed. Tedesca
Italia
UK
Spagna
1963
1973
1976
Brazile
0,05
0,35
0,41
13,55
Messico
0,17
0,64
0,51
9,92
11,38
Jugoslavia
0,40
0,55
0,60
6,99
7,26
7,41
Hong Kong
0,76
1,05
1,15
15,53
16,98
15,81
Corea del Sud
0,05
0,78
1,20
4,73
5,30
5,49
Taiwan
0,16
1,04
1,23
11,14
7,00
6,59
Singapore
0,38
0,46
0,52
1,07
Tot. paesi recente
sviluppo
2,59
6,29
7,12
2,70
2,34
1,55
0,28
0,92
Portogallo
1,30
0,35
0,21
Altri paesi in via di
svil.
Grecia
0,04
0,15
0,22
Blocco orientale
13,35
10,00
9,65
Altri paesi OCSE
15,65
17,63
17,71
Totale mondiale
100,0
100,00
100,0
Totale OCSE
Fonte: H. van der wee, Prosperity
and upheaval, cit. , p. 265.
80,49
82,25
82,76
Produzione e esportazioni mondiali, 19531982: valori correnti, mld $, e indici
(1963=100)
1953
Esportazioni mondiali, valore totale
Id. prodotti primari agricoli
Id. prodotti minerari
Manufatti
Esport. mond., valore unitario, tot.
Id. prodotti primari agricoli
Id. prodotti minerari
Manufatti
Esportazioni mond., volume, totale
Id. prodotti primari agricoli
Id. prodotti minerari
Manufatti
Produzione mondiale, volume,
totale
Id. prodotti primari agricoli
Id. prodotti minerari
Manufatti
78
42
1958
1963
1968
1973
1977
1980
1982
105
50
154
45
240
54
574
121
1.125
288
1.990
299
1.845
272
55
100
103
26
82
100
100
41
140
105
100
96
347
161
185
266
648
271
255
567
1.095
423
330
493
1.049
403
292
98
70
74
100
100
100
100
111
104
149
121
192
152
231
147
550
232
269
166
1.200
337
305
203
1.254
314
300
209
44
66
100
100
144
166
195
280
188
344
185
400
153
410
60
77
74
88
100
100
133
115
180
128
205
139
224
146
223
154
69
100
100
129
141
171
197
191
227
196
253
183
249
36
100
107
94
52
60
54
Fonte: H. van der wee, Prosperity and upheaval, cit. Le cifre relative ai prodotti agricoli si riferiscono anche ai minerali nel 1953-58
Composizione merceologica delle esportazioni mondiali
(% del totale), 1950-1980
Cambiamenti strutturali nei flussi
commerciali internazionali e riflessi sul
sistema dei pagamenti tra anni ’60 e ‘70




Il
commercio
internazionale
è
aumentato
più
velocemente della produzione mondiale: il valore delle
esportazioni di 56 paesi, in $ 1990, quintuplica fra 1950
e 1973; fra 1973 e 1992 raddoppia; tra 1950 e 1992 il
valore è più che decuplicato.
Cambia la composizione merceologica. Nel 1955 i
manufatti rappresentavano il 49,2% delle esportazioni
mondiali; 11,1% erano i combustibili e il 38,4% gli
alimentari e le materie prime. Nel 1973 le proporzioni
erano 61,5, 19,4 e ancora 19,4.
Cambia di conseguenza anche la ripartizione geografica
dei flussi commerciali.
Chi ha ampi saldi attivi teme di importare inflazione. I
produttori di combustibili (specie petrolio) concentrano
dal 1974 abbondanti disponibilità di valuta, da usare
per impieghi finanziari.
La svolta degli anni 1970: l’instabilità dei cambi (1)





La divaricazione dei tassi d’inflazione tra economie diverse
rende sempre più difficile dalla fine degli anni 60 mantenere il
sistema di cambi quasi fissi. Nel 1967-1969 £, franco francese,
DM subiscono variazioni di cambio.
Non si vara un aggiustamento generalizzato perché avrebbe
liberato gli USA da ogni vincolo di politica monetaria,
aggravando la minaccia rappresentata dall’elevata liquidità in
$, proprio allora in forte aumento.
L’incertezze sui tassi di cambio, in un contesto di crescente
integrazione commerciale e di > opportunità di speculazione
finanziaria, favoriscono l’incremento di movimenti di capitale a
breve per approfittare di eventuali variazioni di cambio. I rischi
di destabilizzazione aumentano.
L’attenzione alle opportunità speculative che emergono dalla
necessità di allineare su parità diverse i cambi si è rafforzata
dal 1961, in occasione della prima rivalutazione del DM.
Lo sviluppo del commercio, l’espansione delle imprese
multinazionali e le maggiori opportunità di comunicazione
agevolano la speculazione e ostacolano controlli efficaci sui
movimenti di capitali.
La svolta degli anni 1970: tensioni inflazioniste legate alla
dinamica espansiva dell’economia e a modificazioni
strutturali nella forza lavoro (2)





Il lungo periodo di alti tassi d’investimento (nei paesi industrializzati e in
quelli in via d’industrializzazione) spinge in alto i prezzi di prodotti
energetici e materie prime.
L’aumento è sostenuto dal carattere non omogeneo dei processi di crescita.
Si verificano
disfunzioni fra settori che hanno differenti capacità di
sviluppo; ne derivano tensioni dei prezzi, oltre che minore produttività. Per
es., tra 1950 e primi anni 1970 l’arretratezza del sistema commerciale di
distribuzione provocò aumenti dei prezzi al consumo superiori a quelli dei
prezzi all’ingrosso, rafforzando la richiesta di incrementi salariali.
I salari, con il procedere della lunga congiuntura di espansione, tendono a
crescere per il progressivo avvicinarsi a condizioni di pieno impiego, anche
se operano a lungo specifiche condizioni che permettono di attenuare le
tensioni salariali: (1) flussi migratori da nuovi bacini di lavoro
sottoutilizzato; (2) aumento della produttività favorito dall’accumulo degli
investimenti pubblici (infrastrutturali ) e privati.
L’aumento di produttività consente anche il recupero più o meno integrale
degli incrementi di retribuzione e compensa la riduzione del numero di ore
di lavoro. Dalla metà degli anni 1960 crescono però, in Europa occidentale,
le tensioni nelle relazioni industriali e nei salari. Concorrono a questo esito
sia fattori legati al mercato del lavoro, sia condizioni sociali che possono
favorire i conflitti industriali: (1) rinnovo generazionale e sociale degli
occupati, (2) effetti della concentrazione urbana, (3) irrigidimento dei
processi di produzione e tendenza all’uso intensivo di soluzioni tayloriste.
\+++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++D
La svolta degli anni 1970: tensioni inflazioniste
legate all’aumento delle spese pubbliche (3)


Le trasformazioni strutturali intervenute nella società
europee industrializzate comportano incrementi della
spesa pubblica per finanziare (1) una burocrazia più
estesa e complessa che svolge compiti più sofisticati, (2)
infrastrutture indispensabili all’efficienza del sistema
produttivo, (3) il potenziamento di servizi sociali, per
rispondere a pressioni demografiche, all’ incremento dei
redditi individuali, a esigenze poste da dinamiche sociali
in atto. (4) Bisogna anche tenere conto di casi di
irrigidimento delle spese militari (UK) o del loro
aumento (Francia) e (5) di costosi interventi di
ristrutturazione di settori produttivi diventati obsoleti o
non profittevoli (dalle miniere di carbone alla
navalmeccanica, al tessile).
Non sempre le entrate tributarie riescono a coprire
l’aumento delle spese. Ne deriva un aumento di liquidità
mal controllabile dei sistemi economici; cresce la
capacità di spesa delle amministrazioni pubbliche non
bilanciata da limitazioni di quella privata prodotte dalla
tassazione.
Crescono
le
tensioni
inflazioniste
e
peggiorano le bilance dei pagamenti.
La svalutazione del $ e l’abbandono dei cambi fissi:
contrasto di posizioni fra paesi CEE e USA

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

Nella CEE si guarda con preoccupazione alla crescita
della liquidità in $. Nel 1969-70 i suoi dirigenti politici
progettano un’unione economica e monetaria che riduca
i margini di fluttuazione fra le rispettive monete entro
un decennio e offra un riparo ai rischi della crescita
incontrollata della quantità di $ (Rapporto Werner).
Nel Fmi nello stesso periodo cresce il timore che diventi
sempre più difficile mantenere il sistema esistente: si
discute di cambi più flessibili che agevolino gli
aggiustamenti [crawling peg].
Aumenta, specie negli USA, l’attenzione per cambi liberi
di fluttuare, come raccomandava Milton Friedman.
Anche in Germania la Bundesbank e economisti
accademici cominciano a considerare con favore questa
scelta, benché i governi in carica smentiscano
nettamente l’intenzione di modificare la parità di
cambio. Ma nell’ottobre 1969 il governo SPD di Willy
Brandt rivaluta di oltre il 9,29 % il DM dopo 4 settimane
di fluttuazione.
Gli accordi di Washington (Smithsonian
agreement), una soluzione provvisoria,
dicembre 1971





Un incontro allo Smithsonian Institute di Washington fra i
rappresentanti di 10 paesi (USA, Canada, Giappone, Europa dei
6, UK) affronta le conseguenze negative per il sistema
internazionale della decisione di Nixon. Accetta la modifica del
valore dell’oro (da 35 a 38 $/oz, una svalutazione di 8,57%) e
una serie di modifiche delle parità di cambio fra le monete.
Viene ampliato il margine di fluttuazione consentito: da 1 a
2,25% rispetto al $. Lo scarto massimo fra le altre monete può
dunque raggiungere in un momento dto 4,5% se una si è
rivalutata al massimo possibile contro il $ e l’altra si è svalutata
al massimo. Col tempo lo scarto fra 2 monete può salire al 9%
rispetto alla posizione iniziale. Così si rafforza la funzione
internazionale del $ che assicura fluttuazioni minori.
Lo scarto fra quotazioni minime e massime è “il tunnel”.
La convertibilità in oro del $ è definitivamente revocata.
La svalutazione del $ rispetto alle monete dei 2 principali
concorrenti (Germania e Giappone) aumenta la competitività
degli USA in campo commerciale.
Accordi monetari di Washington: la
svalutazione del $ rispetto ad altre 7 monete
Vecchia parità
Nuova parità
Ribasso
ufficiale
ufficiale
% del $
Yen
360,0000
308,0000
-16,88
DM
3,6600
3,2230
-13,57
Fiorino ol.
3,6200
3,2450
-11,57
50,0000
44,8100
-11,57
£
0,4166
0,3838
-8,57
Ff
5,5540
5,1160
-8,57
Lit
625,0000
581,5000
-7,49
Fbelga
Fonte:A. Gauthier, L'economia mondiale dal 1945 a oggi, Bologna, 1998, p. 89.
La svalutazione del $ e l’abbandono dei cambi fissi:
gli obiettivi dell’amministrazione Nixon e il
fallimento dei tentativi di riforma a causa
dell’irrigidimento USA


L’amministrazione repubblicana USA sceglie di revocare la
convertibilità aurea del $ per aumentare i propri margini di
manovra nella gestione della politica monetaria, in relazione a
(1) un alto livello di spesa pubblica militare; (2) alle esigenze
di un’onerosa riqualificazione del sistema industriale in calo di
produttività e competitività; (3) all’intenzione di stimolare la
ripresa delle esportazioni grazie a un cambio svalutato e (4) di
limitare le importazioni. (5) Le restrizioni all’esportazione di
capitali imposte in forme diverse negli anni 60, inoltre,
ostacolavano gli investimenti all’estero. La decisione è
unilaterale. La posizione USA è forte, istituzionalmente, perché
il paese ha di fatto diritto di veto nel Fmi. In particolare può
bloccare l’emissione dei diritti speciali di prelievo con cui si
spera di rimediare alla contraddizione fra bisogno di
incrementare
la
liquidità
internazionale
e
crescente
inaffidabilità del $.
Per circa 2 anni e mezzo (1971-73) si tenta di elaborare una
riforma del sistema di pagamenti che allarghi i margini di
fluttuazione rendendo il sistema di pagamenti più flessibile, pur
tenendo in considerazione le preoccupazioni dei molti paesi
ostili a cambi liberamente fluttuanti. Nel 1973 il sistema di
cambi quasi fissi introdotto da Bretton Woods è formalmente
abbandonato.
Le reazioni europee alla svalutazione del $ e alla sua
fluttuazione: l’accordo di Basilea del marzo 1972 e la
difficoltà di mantenere un’area valutaria europea



Diversi paesi con un’alto grado di apertura internazionale si
considerano particolarmente esposti ai rischi derivanti dalla forte
liquidità in $ e dalla fluttuazione del cambio; possono adattarsi alla
nuova situazione cercando di aumentare i propri margini di
autonomia nella gestione delle politiche dell’occupazione e della
protezione sociale in una fase congiunturale che è carica di
incertezze e sfide.
Nella CEE i cambi flessibili e la tendenza degli USA a non curarsi dei
rischi connessi all’aumento di $ ormai inconvertibili in circolazione
inducono a preferire accordi valutari che permettano di stabilizzare
i cambi. Tanto più che la fluttuazione complica la gestione delle
sovvenzioni previste dalla politica agricola comune, destinataria
della > parte del bilancio comunitario. Nel marzo 1972 i membri
della CEE danno vita al “serpente monetario”, cui aderiscono anche
UK, Irlanda e Danimarca, che stanno per entrare nella CEE. Prevede
fluttuazione di ± 1,25%. Il serpente, organizzato attorno al DM,
fallisce perché i tassi di crescita delle diverse economie sono molto
diversi, così come il livello dei loro prezzi; le politiche monetarie e
finanziarie che ciascuna conduce indeboliscono il serpente perché le
differenze strutturali fra economie impediscono di conciliarle. É
facile speculare sulle valute del “serpente”.
L’uscita dal “serpente” della £ comporta la fine dell’area della £.
Solo 12 su 65 aderenti continuano a farne parte. Chi usava la £
come valuta di riserva l’abbandona. Con UK escono Eire e Dk.
Il tentativo fallito di un accordo multilaterale nel 1973
e la fluttuazione dei cambi. La limitata eccezione del
“serpente monetario europeo”, mentre le bilance dei
pagamenti devono riassorbire l’aumento del petrolio


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


Un Comitato interinale di 20 paesi dal settembre 1972 discute
del riassetto del sistema di pagamenti: la Francia chiede
l’aggancio all’oro e le parità fisse, gli USA rifiutano il ritorno
all’oro e vogliono cambi fluttuanti.
Nel febbraio 1973 il $ è svalutato ancora 10% (oncia d’oro a
42,22 $). Il dollaro fluttua liberamente e il “tunnel” scompare.
2 gg. dopo l’Italia esce dal “serpente”; la Francia ne esce nel
gennaio 1974, ma rientra, volontaristicamente, nel luglio 1975
per essere nuovamente costretta a uscire nel marzo 1976.
Nel 1975 solo 7 paesi restano nel “serpente”, grazie
all’ingresso della Svezia: aderiscono anche D, Dk (rientrata
nell’ott. 1973), Nl, B, Lux, Norvegia.
Dal 1 giugno 1974 il FMI usa come moneta di conto i DSP ormai
equiparati a un paniere di valute dei paesi che partecipano al
commercio mondiale con una quota > 1%. Il $, ancora la
moneta dominante (33% degli scambi), è quotato giorno per
giorno.
L’incontro di Rambouillet, del dicembre 1975, fra le 6 maggiori
economie nazionali sancisce la vittoria della posizione USA a
favore di cambi fluttuanti sganciati dall’oro.
Gli accordi della Giamaica (1976) e l’epilogo
di Bretton Woods. L’abbandono dell’oro come
strumento di pagamento





Nel gennaio 1976 una conferenza riunita a Kingston introduce
la seconda modifica degli statuti del FMI.
Cessa
la
quotazione
ufficiale
dell’oro,
totalmente
demonetizzato. Il FMI può cedere 1/3 delle sue 4.650 t di oro:
metà le restituirà ai membri in proporzione delle quote; metà
andranno a un fondo fiduciario per la vendita in 4 anni. Il
ricavato servirà a finanziare i paesi in cui il Pil pro capite è < $
350.
L’oro residuo potrà essere venduto grazie all’attribuzione di
nuovi poteri al fondo.
I DSP sostituiscono l’oro come riferimento. I criteri per
determinarne il valore possono essere modificati solo da una
maggioranza dell’85%. Quindi gli USA (16% circa dei diritti di
voto) mantengono un diritto di veto.
I membri del FMI possono scegliere, in linea di principio, il loro
regime di cambio. Gli USA vedono sancita una totale autonomia.
Ma nel 1984 ancora il 62% delle economie avevano cambi fissi;
solo nel 1994 i paesi che hanno cambi fissi si sono ridotti al
38%.
L’indebolimento del $ e le reazioni dei paesi
OPEC per aumentare il ricavo che ottengono
dal petrolio fino all’estate 1973

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

Il $ è debole ed è soggetto a pressioni speculative che ne
accentuano la svalutazione. Ne deriva il miglioramento della
bilancia dei pagamenti USA e, dopo un certo tempo, persino un
relativo apprezzamento del $, prima di un declino nel 1977. Il $
resta valuta di regolazione internazionale in un regime di cambi
fluttuanti.
La svalutazione del $ determina una forte reazione da parte dei
paesi aderenti all’OPEC nel 1973.
L’Organizzazione è stata fondata nel 1960; i suoi membri
obbediscono a lungo a esigenze diverse. Contrattano nei primi
anni ’70 migliori condizioni:
nel 1971 l’OPEC ottiene un aumento dei prezzi ufficiali dalle
compagnie petrolifere. Altri aumenti, nel 1972 e nel giugno
1973 sono stati ottenuti per contrastare la svalutazione del $; il
prezzo del petrolio viene indicizzato sulla quotazione del $
rispetto a 11 valute. Tra 1970 e 1973 diversi stati (Libia,
Algeria, Iraq, Iran) nazionalizzano le risorse petrolifere.
Nel 1973 i membri OPEC riescono a intendersi sulla riduzione
dell’offerta di petrolio per provocare un netto aumento del
prezzo. Allora controllano il 54% della produzione, il 70% delle
riserve, l’81% delle esportazioni mondiali di greggio.
Il progressivo incremento del prezzo del
petrolio, 1973-1980 e la divaricazione dei
prezzi applicati dai paesi produttori





Dopo la guerra del Kippur l’Arab Organization of Arab Exporting
Countries decide l’embargo sulle consegne di petrolio a Olanda, USA,
Giappone, considerati sostenitori di Israele, e decide l’aumento
unilaterale del prezzo del greggio ceduto alle compagnie petrolifere. Il
16 ottobre 1973 i prezzi vengono aumentati del 70%.
Il 22 dicembre l’OPEC decide un ulteriore aumento del 130%. Il prezzo
del barile di Arabian Light sale da 3 $ (inizi ottobre 1973) a 5,18 a fine
ottobre e a 11,65 a fine dicembre.
Tra 1974 e 1978 l’OPEC aumenta 3 volte il prezzo del petrolio. Ma nel
dicembre 1976 i paesi OPEC non si accordano sulle scelte: Arabia Saudita
e Emirati Arabi Uniti vogliono limitare l’aumento dei prezzi dal 1.1.1977
al 5% mentre altri 11 membri vogliono il 15% entro il luglio 1977. Solo
in quella data i prezzi sono nuovamente unificati, con un aumento
complessivo del 10% rispetto al 1976.
Nel dicembre 1978 deciso l’aumento progressivo del 14,5% per il 1979:
in ottobre il barile di petrolio saudiano sarebbe costato $ 14.546. Viene
introdotto un premio di maggiorazione che poteva essere di $ 1,20.
28 giugno 1979: l’OPEC porta a $ 21 il prezzo, ma ammette differenze di
prezzo fra i membri. Algeria, Libia e Nigeria applicano $ 23,50. Una
domanda sostenuta permette di arrivare a $ 24 (Arabia Saud.) e a 30
(Libia). Nell’ultimo trimestre 1980 i prezzi salgono ancora: il prezzo
medio OPEC diventa $ 36. La conferenza di Bali fissa un nuovo massimo
a $ 41.
Andamento del prezzo medio annuale in $
USA corr. di 3 varietà di petrolio, 1970-2015
Conseguenze del rincaro del petrolio grezzo
del 1973



La fine del basso prezzo del petrolio causa una severa
recessione e impone una profonda riorganizzazione
dell’economia mondiale (1) per rimediare agli squilibri di
bilancia dei pagamenti e (2) ridurre l’impatto degli alti
prezzi del petrolio sui sistemi produttivi nazionali.
Viene trovata una via d’uscita per realizzare un
risanamento relativamente veloce delle bilance dei
pagamenti dei paesi industrializzati che avevano
sofferto del rincaro del petrolio. I paesi OPEC
controllano ormai grandi disponibilità finanziarie che
sono usate solo in misura limitata per aumentare le
importazioni. Soprattutto gli stati del Golfo Persico e
l’Arabia Saudita, con popolazione scarsa ed enormi
surplus
di
bilancia
dei
pagamenti,
realizzano
investimenti di portafoglio e consistenti investimenti
diretti nelle economie industrializzate.
Contribuiscono così anche ad aumentare la liquidità dei
sistemi bancari e dei mercati finanziari di alcune delle
principali economie industrializzate.
La bilancia dei pagamenti corrente dei paesi
importatori di petrolio, in mld $, 1973-81
1973
1974-78
1979-81
Bilancia commerciale
OCSE
8,2
-57,0
-143,0
-7,5
-124,0
-154,0
OCSE
-9,7
71,0
85,0
Paesi in via di sviluppo
-5,5
-47,0
-63,0
OCSE
-8,2
-68,0
-69,0
Paesi in via di sviluppo
-6,0
41,0
35,0
9,5
-54,0
-126,0
-7,0
-130,0
-182,0
Paesi in via di sviluppo
Trasferimenti privati
Trasferimenti pubblici
Bilancia corrente
OCSE
Paesi in via di sviluppo
Fonte:A. Gauthier, L'economia mondiale dal 1945 a oggi, Bologna, 1998, p. 101.
Aumento dei prezzi al consumo nei maggiori paesi
OCSE, 1967-1982: tassi medi annui e tassi massimi e
minimi
1967-1973
1974-1982
massimo
anno
USA
4,6
9,0
13,5
1980
5,7
1976
Giappone
6,4
8,4
23,2
1974
2,7
1982
Germania
3,9
5,0
7,0
1974
2,7
1978
Francia
5,4
11,5
13,7
1974
9,1
1978
UK
6,4
14,7
24,3
1975
8,3
1978
OCSE
5,0
10,1
13,3
1974
7,8
1978
Fonte:A. Gauthier, L'economia mondiale dal 1945 a oggi, Bologna, 1998, p. 110.
minimo
anno
Dall’inflazione alla deflazione. Conseguenze negative
delle politiche di stabilizzazione del 1974-1975 e il
rallentamento della crescita .




Dopo la minaccia dell’inflazione, nei paesi sviluppati si profila il rischio di
deflazione dovuto (1) a un eccessivo indebitamento di imprese e famiglie
che (2) suggerisce alle banche di contrarre il credito per evitare
insolvenze. Rallenta la crescita economica e di riflesso rallenta la crescita
dei prezzi; gli operatori economici vedono diminuire i loro margini
rispetto ai costi e tentano di contrarre la spesa per i salari; bloccano il
turn over; licenziano. Così si verificano una riduzione dei redditi e il calo
dei consumi e degli investimenti, con effetti cumulativi
Se il processo cumulativo continuasse si arriverebbe alla depressione.
C’è un correttivo possibile: l’espansione del commercio mondiale, dal
momento che esso cresce più velocemente della produzione anche dopo
il 1973. Ma nel 1975 e nel 1982 il volume degli scambi mondiali si
contrae del 3%: l’efficacia della sua azione stimolante viene limitata.
Inoltre
lo
scambio
avviene
in
condizioni
di
maggiore
concorrenza;l’incremento annuo del commercio fra 1973 e 1994 è
minore rispetto al 1963-1972.
Ritorna il dumping, nonostante il bando del Kennedy Round del GATT
(1968). Crescono le sovvenzioni statali alle industrie e all’agricoltura. Si
teme il ritorno del protezionismo: le tariffe doganali sono scese fra i
membri GATT a 4%, ma crescono le restrizioni non tariffarie e le
compensazioni bilaterali [countertrade] entro la fine degli anni 1980.
Incrementi medi annuali dei prezzi al consumo nei
maggiori paesi OCSE, 1981-94: l’inflazione è vinta
entro metà anni 80 ed è sotto controllo agli inizi degli
anni 90.
1981-1985
1986-1988
1989-1992
1993
1994
USA
3,7
3,2
4,3
3,0
2,7
Giappone
2,1
0,5
2,6
1,3
0,7
Germania
2,6
0,4
3,3
4,1
2,3
Francia
7,6
2,8
3,2
2,1
1,6
UK
5,2
4,2
6,7
1,6
2,9
OCSE
5,0
3,2
5,1
3,6
2,3
Fonte:A. Gauthier, L'economia mondiale dal 1945 a oggi, Bologna, 1998, p. 110.
Il rallentamento dell’inflazione dopo il 1983:
nuova politica monetaria USA e riduzione del
prezzo del petrolio




Dal 1983 l’inflazione nei paesi OCSE rallenta nettamente. Germania e
Giappone sono i paesi in cui l’aumento dei prezzi è più limitato; entro la
fine del decennio 1980 anche Francia e Italia riescono a limitarlo. Gli
scarti tra i tassi di incremento dei diversi paesi si attenuano.
Paul Volcker, presidente della Fed, tra 1979 e 1982 adotta una politica di
restrizione monetaria. Per riflesso i grandi paesi industrializzati
applicano programmi imperniati sulla lotta all’inflazione.
La riduzione del tasso d’inflazione è agevolata dalla caduta del prezzo del
petrolio. La contrazione della domanda di petrolio genera un surplus di
produzione di grezzo e costringe l’OPEC a calare il prezzo ufficiale del
barile da $ 34 a $ 29. Tanto più che si sono sviluppati nuovi centri di
produzione che non aderiscono all’Organizzazione. Si cercano fonti
energetiche alternative.
L’OPEC è resa durevolmente più fragile dalla guerra tra Iran e Iraq
(1980-1988); dall’invasione irakena del Kuweit (1990); dall’acutizzarsi
del conflitto di orientamenti tra Arabia Saudita, Algeria e Nigeria. Risulta
impossibile limitare la produzione. Nel 1985 l’Arabia Saudita decide di
aumentare la propria produzione; entro il luglio 1986 il barile è a $ 7: in
termini reali vale la metà degli anni 1950. Nell’estate 1990 il petrolio
valeva sostanzialmente come prima dell’ottobre 1973 in termini reali.
L’esigenza di una riorganizzazione produttiva imposta
dal rincaro del petrolio: limitare l’incidenza dei costi fissi,
decentramento e diverso impiego della manodpera






Il rincaro delle materie prime e soprattutto dei prodotti
energetici insieme con la maggior rigidezza del mercato del
lavoro sollecitano la riorganizzazione produttiva dei paesi
industrializzati. L’esperienza delle imprese giapponesi di beni di
consumo durevoli [auto in particolare] offre delle soluzioni
considerate efficaci:
(1) il coordinamento delle fasi del processo di produzione per
abbattere gli immobilizzi legati alla gestione tradizionale del
magazzino;
(2) il ricorso sistematico al decentramento delle produzioni di
semilavorati presso produttori a cui è richiesto di abbattere i
costi del loro prodotto grazie alla specializzazione e alle
economie di scala;
(3) la regolazione dei rapporti con i fornitori (che sono spesso
in posizione di dipendenza) per migliorare la tesoreria delle
imprese committenti;
(4) la richiesta ai propri dipendenti di svolgere il lavoro di
montaggio accoppiandolo con il controllo della qualità dei
prodotti per migliorare per aumentare la redditività del
processo produttivo.
È la produzione snella [lean production] che caratterizza il
toyotismo.
L’esigenza di una riorganizzazione produttiva
imposta dal rincaro del petrolio: la ricerca di
maggiore flessibilità produttiva


I principi dell’organizzazione della produzione e del modo di
compensare il lavoro secondo criteri fordisti restano
largamente in uso, eventualmente conciliati con il
toyotismo. Accanto alle produzioni di massa, spesso
insostituibili, si avviano produzioni in piccola serie
concepite per soddisfare segmenti di mercato più esigenti
che richiedono prodotti meglio rispondenti alle richieste
della clientela. Per questo scopo si sfruttano innovazioni
tecniche che aumentano la flessibilità dei processi (per es.
le macchine a controllo numerico, disponibili da metà anni
‘60).
Il decentramento produttivo e la specializzazione delle
produzioni per distretti favoriscono in alcuni sistemi
economici lo sviluppo di imprese medie e piccole, coordinate
su base territoriale, come aveva constatato Alfred Marshall
a fine 800. Dimensioni ridotte delle imprese e radicamento
locale modificano profondamente le relazioni industriali,
possono limitare la sindacalizzazione della manodopera e
soprattutto le rivendicazioni conflittuali; aumentano la
flessibilità in termini di tempi di lavoro e mansioni.
La tendenza al rallentamento
dell’occupazione nei paesi OCSE, 1970-1994
[variazioni medie annuali]
1970-73
1974-75
1976-79
1980-82
1983-1990
1991-1994
USA
2,3
0,5
3,6
0,2
2,1
1,1
Giappone
1,1
-0,4
1,2
0,9
1,3
0,9
Germania
0,4
-2,0
0,4
0,6
0,8
-0,4
Francia
1,0
0,0
0,5
-0,1
0,3
-0,4
UK
0,1
-0,2
0,4
-2,1
1,5
-1,6
CEE
0,5
-0,2
0,3
-0,5
0,9
-1,0
OCSE
1,2
0,2
1,6
0,2
1,5
0,1
Fonte:A. Gauthier, L'economia mondiale dal 1945 a oggi, Bologna, 1998, p. 107.
La disoccupazione nei paesi OCSE in
percentuale della popolazione attiva, 19671994
1967-73
1975
1982
1993
1994
Max.
anno
USA
4,6
8,3
9,7
6,8
6,1
9,7
1982
Giappone
0,9
1,9
2,3
2,5
2,9
2,9
1994
Germania
1,0
3,1
5,0
8,8
9,6
9,6
1994
Francia
2,5
4,2
8,2
11,7
12,6
12,6
1994
UK
2,5
3,7
10,4
10,2
9,4
11,8
1986
CEE
2,6
4,2
9,4
11,2
11,8
11,8
1994
OCSE
3,3
5,2
8,4
8,0
8,2
8,6
1983
Fonte:A. Gauthier, L'economia mondiale dal 1945 a oggi, Bologna, 1998, p. 106.
Sovvenzioni statali alle industrie nei paesi
OCSE,
1970-1989
per
favorire
la
riorganizzazione produttiva [in % del Pil]
1970-74
1975-79
1980-84
1985-89
USA
0,5
0,4
0,5
0,7
Giappone
1,2
1,3
1,4
1,1
Germania
1,8
2,1
2,0
2,2
Francia
2,1
2,5
2,8
3,0
UK
2,2
2,7
2,3
1,7
OCSE
1,2
1,5
1,6
1,6
Fonte:A. Gauthier, L'economia mondiale dal 1945 a oggi, Bologna, 1998, p. 117.
Riorganizzazione finanziaria delle imprese e modifica dei
sistemi finanziari nazionali tra anni ’70 e ’80 (1)



Negli anni 1980 si moltiplicano accorpamenti e fusioni fra
grandi imprese. Offrono un ampio campo di lucroso lavoro alle
banche d’investimento che curano per i clienti queste
operazioni e spesso vi partecipano direttamente assumendo
partecipazioni in proprio da liquidare successivamente. Sfuma
la separazione tra banche generaliste e banche d’affari.
I conglomerati industriali godono per alcuni anni di grande
prestigio perché la diversificazione delle attività promette una
migliore tutela contro le minacce di crisi e gli imprevisti che
caratterizzano l’economia dopo il 1973. I risultati di un settore
possono compensare quelli di un’altro.
Si sviluppa anche la pratica di rilevare imprese in difficoltà per
aggregarle in nuovi complessi o smembrarle e rivenderle. Sono
operazioni che permettono profitti finanziari di grande entità;
nel
valutare
la
convenienza
dell’operazione
diventano
trascurabili sia
la vitalità industriale delle imprese, sia le
conseguenze sul piano dell’occupazione dei processi di
riorganizzazione. L’inflazione elevata gonfia le quotazioni dei
titoli azionari e contribuisce ad aprire prospettive favorevoli per
lo sviluppo di pratiche finanziarie nuove con una forte
componente speculativa. Per es. il leveraged buy out, l’acquisto
attraverso l’indebitamento. Con risorse relativamente limitate
si possono ottenere alti profitti.
Riorganizzazione finanziaria delle imprese e modifica dei
sistemi finanziari nazionali tra anni ’70 e ’80 (2). Nuovi
operatori e criteri operativi diversi dal consueto



Si affermano nuovi tipi di operatori finanziari, non bancari, che
dispongono di risorse abbondanti; la loro novità fa sì che siano libere da
vincoli legali e si muovano con grande agilità fornendo servizi finanziari
adatti a nuovi profili di investitori: per es. i fondi d’investimento.
Lavorano con capitali propri, anche relativamente modesti, gestiscono
patrimoni
(a partire da soglie minime piuttosto alte) e possono
assicurare profitti elevati rispetto agli impieghi diretti dei titolari dei
patrimoni. In cambio ottengono elevate commissioni. I fondi
pensionistici
affermatisi
nei
paesi
anglosassoni
e
cresciuti
particolarmente dove è limitata la tutela assicurata da schemi pubblici
spiccano perché dispongono di molte risorse; per proteggersi
dall’erosione dei patrimoni dovuta all’inflazione devono cercare
investimenti profittevoli e con un’ottica solo finanziaria.
La crisi fiscale di diversi stati fornisce ulteriori stimoli allo sviluppo dei
mercati finanziari attraverso la creazione di grandi quantità di debito
pubblico con cui si finanziano livelli elevati di spesa, evitando revisioni
politicamente pericolose dei sistemi di prelievo fiscale. Le spese
alimentano in alcuni casi costosi programmi di investimenti
infrastrutturali; in altri coprono alte spese ordinarie e i trasferimenti con
cui si affrontano ristrutturazioni produttive ed esigenze di natura sociale,
dalle provvidenze contro la disoccupazione all’estensione della
scolarizzazione e delle tutele sanitarie monetarie e finanziarie.
Questa evoluzione si verifica in un contesto di forte instabilità valutaria,
accentuata dal comportamento del $, che condiziona pesantemente le
scelte di politica finanziaria e monetaria anche in Europa.
Il deprezzamento del $, 1976-1980: accordi
con i paesi creditori e il collocamento
all’estero di parte del debito federale USA

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


Sotto la presidenza di Jimmy Carter il $ si indebolisce perché
aumenta il deficit commerciale USA, si aggrava l’inflazione, il
Congresso resiste alle proposte di legge dell’amministrazione
per risparmiare energia e contenere l’importazione di petrolio.
Inizi di novembre 1978: piano di salvataggio del $ elaborato
con i paesi a moneta forte. Prevista la creazione di un Fondo
d’intervento con $ 30 mld per combattere la speculazione con
acquisti correttivi sul mercato. 1/3 era sottoscritto mediante
prestiti in divise (DM, CHF, ¥).
L’amministrazione statunitense colloca buoni del tesoro presso
investitori esteri: 15 mld nel 1970, 105 nel 1979, grazie al ruolo
internazionale del $. Il collocamento di titoli pubblici all’estero
non subisce limitazioni a causa della revoca della convertibilità.
Esso permette di compensare il deficit commerciale USA; la
sottoscrizione di titoli diventa strumento per frenare la
rivalutazione delle monete forti rispetto al $.
Questa esigenza è particolarmente avvertita in Giappone che
finiscecol diventareil principale creditore estero degli USA.
L’apprezzamento del $, 1980-1985: benefici
per l’economia USA, difficoltà per i paesi
sviluppati che pagano le importazioni in $

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

Nella fase conclusiva dell’amministrazione Carter il nuovo presidente
della Fed, Paul Volcker, esercita un controllo rigido sulla creazione di
moneta e cerca di rialzare il tasso d’interesse. Grazie a questo indirizzo
ottiene un aumento della quotazione del $ a partire dal 1980. L’arrivo di
R. Reagan alla presidenza e il suo impegno per restituire forza e capacità
d’iniziativa agli USA contribuisce a diffondere fiducia nella ripresa del $.
E affluiscono capitali dall’estero, sostenendo il $.
Il grave indebitamento dei paesi sottosviluppati accentua la domanda di
liquidità, che cresce più della disponibilità di nuovi $. Il $ torna a essere
moneta cara e rara.
L’economia statunitense deve, come contropartita, accettare il netto
peggioramento della bilancia commerciale. Ma la politica monetaria della
Fed mette in difficoltà i paesi industrializzati: il $ caro e gli alti interessi
del mercato finanziario americano sottraggono capitali agli altri mercati
sviluppati. Per limitare l’esportazione di capitali le economie sviluppate
devono mantenere alti tassi di interesse o alzarli, a scapito del
finanziamento degli investimenti.
Inoltre cresce l’onere delle importazioni i cui prezzi sono determinati in
$: Giappone e Europa occidentale non riescono perciò a trarre
completamente vantaggio dalla riduzione del prezzo del petrolio. Le loro
economie continuano a essere minacciate da pressioni inflazionistiche a
cui le rispettive autorità monetarie reagiscono con politiche restrittive.
La politica finanziaria dell’amministrazione
Reagan e l’incremento del debito federale

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
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La riduzione del prelievo fiscale introdotta nei primi anni 80 in USA
(drastica riduzione dell’aliquota marginale massima, limitazione della
progressività; esaltazione di una flat rate per la tassazione dei redditi)
aumenta le disponibilità per impiego delle imprese e dei proprietari di
grandi patrimoni.
Viene
stimolato
l’afflusso
di
risorse
al
mercato
finanziario,
eventualmente attraverso gli hedge funds attivi negli USA.
La riduzione del prelievo fiscale non è accompagnata da un’equivalente
riduzione della spesa pubblica.
Comincia ad accumularsi un consistente debito pubblico statunitense che
è collocato in parte presso sottoscrittori esteri. Da una media annuale di
$ 48 mld di debito pubblico tra 1979 e 1981 si passa a 212 nel 1985. I
sottoscrittori esteri appartengono a paesi con bilance dei pagamenti
attivi e monete forti; in primo luogo il Giappone. Esportando capitale
correggono la posizione creditrice del proprio conto corrente e
contrastano i rischi di rivalutazione. Così, però, si possono scoraggiare
gli investimenti interni, tanto più perché i tassi d’interesse devono
essere alti.
Si profila una caratteristica della situazione finanziaria statunitense che
dura fino a oggi: l’esistenza di un doppio deficit (della bilancia dei
pagamenti e del bilancio federale), compensato dall’apporto di capitali
esteri, provenienti da economie con forti attivi della bilancia dei
pagamenti correnti. Il potenziale di instabilità che può derivarne è molto
alto. La peculiare posizione del $ influisce sul flusso di capitali impiegati
in attivi USA.
La ricaduta del $ tra 1985 e 1995
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Il $ tocca il valore massimo nel febbraio 1985. La sua
sopravvalutazione crea difficoltà a agricoltori e industriali: R.
Reagan accetta perciò di pilotare il cambio al ribasso, d’accordo
con i grandi paesi industrializzati che sono preoccupati per le
spinte protezioniste che si sviluppano negli USA.
22.9.1985: 5 paesi firmano l’accordo del Plaza per cui le
rispettive banche centrali interverranno sul mercato per
provocare una riduzione del cambio del $. Nel 1985 la riduzione
è stata del 20% rispetto alla > parte delle valute; nel 1986 ha
raggiunto il 21% su DM e ¥.
Agli inizi del 1987 viene stipulato un nuovo accordo fra i 5 + il
Canada per bloccare la discesa del $. Il 22 febbraio 1987 è
concluso l’accordo del Louvre per stabilizzare il $ alle parità
raggiunte.
Fra 1985 e 1995 il $ perde oltre metà del valore e torna a un
livello simile a quello del 1980 rispetto alle altre valute.
Nonostante il ridimensionamento continua a essere moneta
dominante.
La crescita del mercato finanziario internazionale a
partire da metà anni ’70: un orientamento fortemente
speculativo e i crediti ai paesi in difficoltà per l’alto
prezzo del petrolio
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
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Nuove opportunità di lavoro emergono in alcuni dei maggiori mercati
finanziari nazionali.
Sono favorite (1) dalla crescente perdita di incisività dei controlli sui
movimenti di capitale; (2) dalla carenza di norme internazionali sulle
riserve obbligatorie rispetto alle passività internazionali o di vincoli sul
rapporto tra risorse proprie d quantità di prestiti erogati; (3) dalla
dilatazione delle esigenze di finanziamento da parte di paesi non
industrializzati che tentano di svilupparsi.
Le grandi banche attive sui mercati internazionali cercano di impiegare le
maggiori risorse liquide di cui dispongono dopo il 1974 promuovendo
l’indebitamento delle economie emergenti, specie dell’America Latina e
in particolare nei paesi che disponevano di giacimenti petroliferi (per es.
il Messico), perché queste sono considerate una garanzia ai fini del
rimborso dei debiti.
Il debito dei paesi emergenti sale da $70 mld nel 1970 a 264 nel 1977.
Anche i paesi dell’Europa orientale si indebitano: entro il 1978 hanno $
60 mld di debito verso i paesi OCSE. Si tratta di una novità legata in
parte all’evoluzione non positiva del loro assetto produttivo e al tentativo
di ammodernare la loro economia, cercando di rimediare a forti tensioni
sociali emerse nel passaggio fra anni 1960 e 1970. La crisi polacca del
1980-1981 mette in evidenza l’inaffidabilità di uno dei principali debitori
tra i paesi dell’Europa orientale.
Ragioni strutturali degli indirizzi speculativi e
l’affermazione di nuovi operatori finanziari negli
anni ‘80
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Per ottenere rendimenti adeguati dei fondi a disposizione e non subire
danni in una congiuntura connotata (1) da spinte inflazionistiche (che
erodono i rendimenti reali e la consistenza patrimoniale degli operatori)
e (2) da elevati rischi di insolvenza della clientela, gli operatori finanziari
danno un connotato spiccatamente speculativo alle loro operazioni.
Accanto agli operatori tradizionali (banche d’affari, imprese assicurative
che hanno abbondanza di liquidità e, nei paesi anglosassoni, investitori
istituzionali che gestiscono i fondi pensionistici) si attivano fondi di
investimento che offrono ai risparmiatori pacchetti compositi di attivi
che promettono la divisione dei rischi. Si affermano anche dei fondi per
la gestione di patrimoni e liquidità secondo criteri innovativi, basati sul
calcolo delle probabilità per ricavare rendimenti particolarmente elevati.
I nuovi operatori finanziari ottengono un grande successo, specialmente
in USA e UK, riducendo il campo operativo delle banche generaliste,
rimaste importanti in Europa.
I mercati finanziari assumono connotati accentuatamente speculativi
entro gli anni ‘80. Cresce la loro volatilità e l’entità delle transazioni.
Prendono piede le operazioni in derivati (che richiedono la disponibilità
effettiva di somme relativamente limitate rispetto all’entità nominale
delle transazioni). Cresce il ricorso all’indebitamento per finanziarsi.
I cambi e i prezzi instabili offrono sia l’opportunità di speculare che
l’esigenza di farlo per ricoprirsi dai rischi, diventati maggiori rispetto agli
anni di stabilità 1950-60.
Un indirizzo spiccatamente speculativo aumenta il rischio di
inceppamenti e quindi di crisi.
La crisi finanziaria dei paesi debitori, 19821985. L’applicazione di politiche di rigida
deflazione come rimedio

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La prima crisi finanziaria successiva alle “crisi petrolifere” è quella dei
paesi debitori.
Le debolezze strutturali delle economie debitrici portano nel 1981-82 a
insolvenze (impossibilità di pagare le rate di ammortamento e gli
interessi sui debiti), quando la seconda crisi petrolifera del 1979
modifica ancora il quadro economico e finanziario introducendo rincari
superiori a quelli del ’73.
Vi contribuisce pesantemente la politica di alti tassi d’interesse e di
rivalutazione del $ applicata dalla Fed negli USA per bloccare l’inflazione
e rivalutare il $. Essa rende più fragile la posizione delle economie
debitrici.
I pagamenti erano più difficili se i debitori dovevano svalutare per
rimediare a difficoltà di bilance dei pagamenti passive, o se i tassi di
interesse aumentavano. La crisi colpisce in modo particolare Messico (in
seguito alla riduzione del prezzo del petrolio del 1981), Argentina,
Filippine, Polonia.
Di riflesso, vengono messe in difficoltà le banche internazionali esposte
verso tali economie. Le difficoltà sono proporzionali all’esposizione di
ciascuna banca verso debitori poco affidabili. Di riflesso le banche
riducono investimenti e prestiti nei paesi in via di sviluppo. Da $ 52 mld
nel 1981 scendono a 7 mld nel 1991.
Per i debitori si tratta di affrontare una dura deflazione. Tanto più che,
fra 1984 e 1988, essi diventano esportatori netti di capitali a causa dei
rimborsi dei prestiti e dei pagamenti degli interessi.
Crisi finanziaria e FMI: la ripresa di
importanza dell’ente e l’aumento degli stati
aderenti
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La crisi rimette al centro del sistema finanziario internazionale, dopo
anni di eclisse, il Fmi come coordinatore degli interventi e come
promotore di soluzioni di politica finanziaria per i debitori.
Il FMI gioca un ruolo nella concessione dei finanziamenti necessari per
rimediare alla crisi dei paesi debitori.
In corrispondenza con questa ripresa dell’attività, il FMI deve accrescere
le proprie risorse e in primo luogo le quote. Cresce il numero dei membri
e stati prima marginali diventano importanti (come l’Arabia Saudita)
perché dispongono di fondi abbondanti. Dai primi anni 80 diversi paesi
socialisti entrano nel FMI, alla ricerca di un’integrazione più stretta nel
sistema economico mondiale (Cina 1980, Ungheria 1982, Polonia 1986);
dal 1990 le richieste di adesione aumentano man mano che procede la
trasformazione delle economie a pianificazione centrale in economie di
mercato. Bulgaria e Cecoslovacchia aderiscono nel 1990, l’Albania nel
1991, le 15 repubbliche dell’ex URSS nel 1992. In quello stesso anno
entra anche la Svizzera.
Cambia il ruolo del FMI dopo la crisi petrolifera: si indebolisce la funzione
monetaria, mentre si sviluppa l’azione di intermediazione finanziaria fra
paesi poveri e ricchi perché eroga prestiti a tassi normalmente < a quelli
di mercato. Di qui l’esigenza di aumentare le risorse proprie e di
introdurre nuovi strumenti di finanziamento.
Le soluzioni per incrementare le risorse del
FMI a partire dagli anni 1970: DSP e crediti
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Il Fondo interviene per limitare gli effetti delle crisi utilizzando risorse
proprie, ottenute dalle quote di partecipazione e dai DSP. Il suo capitale
è passato da DSP 29 mld nel 1970 a 90 nel 1990, grazie alle nuove
ammissioni e alle periodiche revisioni delle quote. Nel 1990 è deciso
l’aumento del 50% delle quote, portandole a 135,2 mld. entro il 1992.
Nel 1993 le quote salgono a 145 mld.
Grazie a queste risorse il FMI può cedere divise convertibili contro
monete nazionali fino al 25% delle quote dei singoli membri. I membri
possono ricavarne DSP in proporzione, aumentando la disponibilità di
divise.
Nel 1978 è decisa l’emissione di DSP 12 mld in 3 anni. Nel 1992 ne
circolavano in tutto 21,4 mld. L’aumento dell’emissione serviva a
incrementare le riserve dei membri, soprattutto dei membri recenti che
non avevano potuto godere dei precedenti stanziamenti. L’aumento di
disponibilità di comporta tensioni fra i membri sia sull’entità delle
emissioni che sulla ripartizione dei DST. I paesi sottosviluppati le
contestano e giudicano insufficienti i DSP.
Il FMI concede anche prestiti, dal momento che la disponibilità di divise
convertibili attraverso le quote e i DSP risulta insufficiente e che la
richiesta di fondi, con la crisi petrolifera, diventa particolarmente
elevata.
Dopo i primi rincari del petrolio di fine 1973 sono previste agevolazioni
per i paesi di difficoltà. Vengono varati 2 prestiti: di 6,9 mld DSP nel
1974-75, rimborsato nel 1983 e 7,8 mld nel 1979, con fondi per 55%
forniti dai produttori di petrolio.
Il ricorso a fondi delle maggiori economie per
rimediare alle difficoltà dei paesi sottosviluppati fra
1981 e 1993
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Dal 1981 si prevede un aumento dei fondi che il FMI può concedere in
prestito: un membro può prelevare per 3 anni fra 90 e 110% per anno
della sua quota (in totale 270-330%). Le risorse sono fornite dai paesi
industrializzati e dall’ Arabia Saudita.
Nel 1983 viene sensibilmente aumentata la dotazione del general
arrangement to borrow: il gruppo dei 10 e la Svizzera si impegnano a
mettere a disposizione del FMI 17 mld DSP rispetto ai 6,4 del 1962,
anno in cui era stato introdotto l’arrangement (Gab).
Nello stesso anno i paesi OCSE (eccetto USA, Portogallo e Turchia)
concedono al FMI DSP 3 mld.
Nel dicembre 1986 il Giappone concede al Fondo un prestito
quadriennale di DSP 3 mld.
L’Arabia Saudita ne concede 11 nel 1981-1983 e accetta di metterne a
disposizione ancora 1,5 alle condizioni del Gab.
Nel marzo 1986 viene decisa la creazione di una facility (agevolazione)
di aggiustamento strutturale. Consente di accordare prestiti di 5-10 anni
al tasso di 0,50% ai paesi più poveri. Una facility rafforzata è prevista
per i paesi poveri che applichino politiche di risanamento delle loro
economie. Nell’aprile 1993 c’erano 89 accordi del primo tipo (FAS) e 68
del secondo tipo (FASR) per 13,5 mld DSP totali, finanziati da prestiti
elargiti da alcuni membri del FMI.
L’intervento del FMI per i paesi sottosviluppati è vitale: i prestiti bancari
a loro favore sono calati da $ 52 mld nel 1981 a 7 nel 1991.
Il controllo degli USA sul FMI e l’applicazione
di ricette liberiste in caso d’intervento
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Gli USA, con l’appoggio di un ridotto numero di paesi, mantengono una
posizione dominante nel Fmi, utilizzandolo come agenzia per
promuovere politiche di rigore monetario e finanziario che possono avere
importanti effetti recessivi sull’economia dei paesi che cercano un
sostegno nei crediti del Fondo. Promuovere la solvibilità dei debitori
significa normalmente favorire la capacità di recuperare i crediti da parte
dei creditori, spesso banche USA.
Il ruolo internazionale del $ appare senza rivali; i DSP, nonostante il loro
incremento, giocano un ruolo limitato. Grazie al $ standard le autorità
USA hanno un’ampia discrezionalità nell’aggiustare la parità di cambio in
funzione di esigenze interne all’economia statunitense.
Negli anni 1980 emergono in piena evidenza i rischi dello squilibrio
internazionale e il peso dei condizionamenti internazionali sulle
economie non sviluppate. Nel 1982 il Messico deve accettare misure
pesanti: rigore di bilancio (che porta a un saldo attivo del bilancio
federale) e monetario, privatizzazioni e apertura internazionale. Nel
1986 il Messico entra nel GATT; si accorda con USA e Canada per il
NAFTA e riduce i dazi, entra nell’OCSE nel 1994; attrae capitali esteri e
può nuovamente contare su un elevato indebitamento estero (nel 1994 $
164 mld) e un tasso di inflazione del 10% nel 1992. 1994: svalutazione
del peso e nuova crisi finanziaria.
L’esperienza valutaria europea: la ricerca di
soluzioni per l’ancoraggio dei cambi e il passaggio
dal “serpente” allo SME
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Nel luglio 1978 il Consiglio europeo della CEE accetta di sostituire il
serpente con un Sistema monetario europeo per aumentare
l’indipendenza dal $ e dalla sua volatilità, rendendo monetariamente
stabile l’Europa occidentale. Il Consiglio europeo approva ufficialmente
lo Sme nel dicembre 1978 e esso entra in vigore nel marzo 1979.
Come il vecchio sistema, si basa su parità reciproche delle diverse
monete; utilizza come riferimento una Unità di conto europea, impiegata
sul mercato delle obbligazioni e dei titoli pubblici. Il valore è definito in
base al paniere di 9 monete della CE che aderiscono al sistema.
Le diverse monete possono oscillare rispetto alla parità centrale (tasso
base) ±2,25%. All’Italia è concesso il 6%, data la fragilità dei suoi conti
con l’estero. Nei primi 4 anni si procede a 1 riallineamento ogni 8 mesi;
poi fino al gennaio 1987 I riallineamenti si riducono a 1 l’anno. Vengono
allentati i controlli sui movimenti di capitali nell’area europea.
A differenza del “serpente” lo Sme prevede che gli interventi correttivi di
eventuali squilibri non spettino solo ai paesi a valuta debole, ma anche a
quelli con valuta forte.
Ai 9 membri iniziali si aggiungeranno la Spagna nel giugno 1989; UK
nell’ottobre 1990 (per euroscetticismo); il Portogallo nell’aprile 1992.
tutti godono dell’oscillazione al 6%.
Viene preparato un piano per istituire un Fondo monetario europeo
(FME) e si ventila la riunificazione delle riserve nazionali in un solo
fondo. L’unità di conto è valuta di riserva per il FME.
La resistenza della Bundesbank al tentativo di limitare il
suo potere nella politica valutaria europea e alla
prospettiva di un’unificazione monetaria
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Lo SME era stato frutto di un accordo politico tra il presidente francese V.
Giscard d’Estaing e del cancelliere federale H. Schmidt, che cercavano un
rilancio del progetto europeo per ragioni diverse ma convergenti. La
Francia avrebbe voluto che lo SME fosse incluso nel regime istituzionale
comunitario. I cambi sarebbero stati una competenza e uno strumento
operativo della Comunità e sulla loro gestione si sarebbe esercitata
l’influenza politica francese, riducendo la preminenza della Bundesbank.
Non lo ottiene.
La Bundesbank si fa garantire dal governo tedesco di non dover
intervenire se il governo non riusciva ad accordarsi con i partners sui
piani di riallineamento valutario.
Nel 1986 la sottoscrizione dell’Atto Unico rilancia la prospettiva di
Unione economica e monetaria, perfezionata nell’accordo di Maastircht
del 1992 che istituisce l’Unione Europea.
Obiettivo è l’unione monetaria fra i 12 membri CEE in 3 tappe: (1) luglio
1990 liberalizzazione dei movimenti di capitale; (2) gennaio 1994
creazione dell’Istituto monetario europeo (IME), coordinamento delle
politiche economiche e monetarie, (3) creazione di una banca centrale
europea e adozione di una moneta unica fra gennaio 1997 e gennaio
1999.
Fissate delle regole per la convergenza delle economie interessate
riguardo a tasso di inflazione; deficit di bilancio, debito pubblico e tassi
di interesse.
La crisi dello SME, settembre 1992-maggio
1993. Difficoltà e incertezze nell’avvio verso
una moneta unica europea.






Dal settembre 1979 al settembre 1992 vengono realizzate 4 svalutazioni
del Ff; 6 rivalutazioni del DM. L’assetto valutario europeo richiede
frequenti aggiustamenti di segno diverso nei diversi paesi, benché la
frequenza degli aggiustamenti cali dopo il 1986-87.
Nel settembre 1992 precipita una drammatica crisi dei cambi in Europa
in seguito a massicci attacchi al ribasso. Lo SME pare fragile per
mancanza di coordinamento effettivo fra le politiche dei diversi membri e
per la debolezza dei conti esteri di alcuni di loro.
Peseta e lira vengono svalutate rispettivamente del 5 e 7%. La lira e la £
escono dal sistema. Per 5 mesi si succedono attacchi speculativi contro
altre valute. Il franco evita la svalutazione grazie all’aiuto della
Germania. Peseta e escudo sono ancora svalutati nel novembre 1992 e
nel maggio 1993; la lira irlandese nel febbraio 1993.
Nell’agosto 1993 viene deciso l’aumento delle fluttuazioni a ±15%
(eccetto il cambio DM-fiorino olandese).
L’incertezza sul cambio sembra fonte di distorsioni nei flussi commerciali
interni alla CE: i paesi che hanno svalutato sono stati favoriti nelle
esportazioni. L’incertezza costringe a politiche di alti tassi di interesse,
con danno degli investimenti e rallentamento dell’economia.
La
tendenza è rafforzata dall’impegno tedesco per integrare l’ex DDR.
Nel 1993 solo la Danimarca rispondeva ai criteri di convergenza di
Mastricht.
Il rallentamento dell’economia europea fra
anni 70 e fine secolo.





Tra 1973 e 1998 il Pil dell’Europa occidentale crebbe del 2,1%
l’anno rispetto al 4,8 del 1950-1973 secondo Angus Maddison.
In parte questo è il risultato di un rallentamento della crescita
della popolazione da 0,7% l’anno a 0,3%, frutto di una
generalizzata caduta delle nascite.
Inoltre crebbe massicciamente la disoccupazione (11% della
forza lavoro nel 1994-98, > agli anni 30 e 4 volte il 1950-1973).
Infine si contrasse la produttività del lavoro, cresciuta del 2,3%
l’anno in media rispetto al 4,8% del 1950-1973.
Nonostante questo rallentamento, continuò il processo di
avvicinamento agli USA anche dopo il 1973. Il livello della
produttività in Europa occidentale salì dai 2/3 di quella USA nel
1973 a 4/5 nel 1998.
L’avvicinamento della produttività fra economie
sviluppate : il rapporto del capitale fisso lordo
rispetto al Pil, 1950-1992, in 6 paesi industrializzati
USA
Francia
Germania
Olanda
UK
Giappone
Parco macchine e impianti
1950
0,64
0,21
0,39
0,27
0,31
0,74
1973
0,65
0,50
0,62
0,61
0,52
0,58
1992
0,86
0,74
0,70
0,78
0,65
1,07
Infrastrutture escluse le abitazioni
1950
1,81
1,42
1,42
1,79
0,50
1,03
1973
1,47
1,05
1,32
1,36
0,80
1,16
1992
1,57
1,52
1,63
1,53
1,17
1,95
Stock del capitale fisso per salariato, escluse le
abitazioni, 1950-1992, in 6 paesi industrializzati in
$1990
USA
Francia
Germania
Olanda
UK
Giappone
Parco macchine e impianti
1950
15.150
2.325
3.948
3.878
4.699
3.234
1973
26.259
15.778
18.513
20.394
13.893
13.287
1992
39.636
33.930
31.736
30.044
23.095
40.243
Infrastrutture escluse le abitazioni
1950
42.673
15.795
14.364
25.686
7.556
4.518
1973
59.461
33.037
39.697
45.393
21.464
26.402
1992
72.625
69.232
70.119
57.918
41.797
73.135
Stock del capitale fisso per occupato, escluse le
abitazioni, 1950-1992, in 6 paesi industrializzati in
$1990 e in % degli USA
1950
1973
1992
1950
1973
Valori assoluti
1992
USA = 100
Francia
18.120
48.815
103.162
31
57
92
Germania
18.312
58.210
101.855
32
68
91
Olanda
29.564
65.787
87.962
51
77
78
UK
12.444
35.399
64.892
22
42
58
7.752
34.777
113.376
13
41
101
57.600
85.178
112.261
100
100
100
Giappone
USA
Il rallentamento della produttività negli anni 1980
secondo Manuel Castells

“Estendendo il proprio raggio d’azione globale, integrando i mercati
e massimizzando i vantaggi comparati di localizzazione, il capitale, i
capitalisti
e
le
imprese
capitaliste
hanno
incrementato
notevolmente la propria redditività, in particolare negli anni
Novanta, ripristinando le precondizioni per l’investimento da cui
l’economia capitalista
dipende. Questa ricapitalizzazione del
capitale può in parte spiegare l’evoluzione disomogenea della
produttività. Per tutti gli anni Ottanta si assistette al massiccio
investimento nell’infrastruttura delle informazioni/comunicazioni,
che permise il movimento accoppiato di liberalizzazione dei mercati
e globalizzazione del capitale. Le imprese e le industrie colpite in
modo diretto da quella straordinaria trasformazione (come i settori
della microelettronica, dei microcomputer, delle telecomunicazioni e
della finanza) registrarono un’impennata nella produttività e nella
redditività. Intorno a questo nucleo duro formato dalle nuove
imprese capitaliste globali e dalle loro sussidiarie, gli altri strati di
aziende e di industrie o vennero integrati nel nuovo sistema
tecnologico, oppure gradualmente scomparvero. Pertanto è
possibile che il lento movimento della produttività nelle economie
nazionali
nasconda
tendenze
contraddittorie,
costituite
dall’aumento esplosivo della produttività nelle industrie leader, dal
declino delle imprese obsolete, dalla stabilità delle attività terziarie
a bassa produttività”. [La nascita della società in rete, pp. 103-4]
Europa occidentale e USA: convergenza di
produttività e Pil pro capite, 1950-1998
Pil pro capite
Pil per ora di lavoro
incremento annuale medio composto
1950-73
1973-98
1950-73
1973-98
Francia
4,1
1,6
5,0
2,5
Germania
5,0
1,6
5,9
2,4
Italia
5,0
2,1
5,8
2,3
UK
2,4
1,8
3,1
2,2
12 paesi dell'Europa occid.
3,9
1,8
4,8
2,3
Irlanda
3,0
4,0
4,3
4,1
Spagna
5,8
2,0
6,4
2,9
USA
2,5
2,0
2,8
1,5
Europa occidentale e USA: convergenza di
produttività e Pil pro capite, 1950-1998
Pil pro capite
Pil per ora di lavoro
Indice rispetto a USA = 100
1950
1973
1998
1950
1973
1998
Francia
55
79
72
46
76
98
Germania
41
72
65
32
62
77
Italia
37
64
65
35
67
81
UK
12 paesi dell'Europa
occid.
72
73
68
63
67
79
52
73
72
44
68
83
Irlanda
36
41
67
29
41
78
Spagna
25
52
52
21
46
64
Fonte: Angus Maddison, The World Economy, Paris, OECD, 2006, p. 132,
Europa occidentale e USA: convergenza di
produttività e Pil pro capite, 1950-1998
Occupazione in %
popolazione
Ore di lavoro per unità
pop.
1950
1973
1998
1950
1973
1998
Francia
47,0
41,1
38,6
905
728
580
Germania
42,0
44,9
44,0
974
811
670
Italia
40,1
41,5
42,3
800
669
637
UK
12 paesi dell'Europa
occid.
44,5
44,6
45,8
871
753
682
43,4
43,3
43,5
904
750
657
Irlanda
41,1
34,7
40,6
925
698
672
Spagna
41,8
37,4
34,0
921
805
648
USA
40,5
41,0
49,1
756
704
791
Fonte: Angus Maddison, The World Economy, Paris, OECD, 2006, p. 132,
Ritmo di crescita della produttività del lavoro (Pil per ora di
lavoro) di paesi industrializzati,1950-1992 [media annuale
composta]
1950-1973
1973-1992
Austria
5,9
2,5
Belgio
4,5
2,9
Danimarca
4,5
1,7
Finlandia
5,4
2,2
Francia
5,1
2,7
Germania
6,0
2,7
Italia
5,8
2,4
Olanda
4,8
2,2
Norvegia
4,2
3,2
Svezia
4,1
1,3
Svizzera
3,3
1,7
UK
3,1
2,2
Media aritmetica
4,7
2,3
Australia
2,9
1,5
Canada
3,0
1,5
USA
2,7
1,1
Giappone
7,7
3,1
Media aritmetica di Europa del sud
5,8
3,0
Media aritmetica di Europa
orientale
3,6
0,1
Media aritmetica di America latina
3,3
0,3
Disoccupazione nei paesi OCSE, 1950-1993 in %
della popolazione attiva
1950-1973
1974-1983
1984-1993
Austria
2,6
2,3
3,5
Belgio
3,0
8,2
9,6
Danimarca
2,6
7,6
7,8
Finlandia
1,7
4,7
7,0
Francia
2,0
5,7
10,0
Germania
2,5
4,1
6,2
Italia
5,5
7,2
11,1
Olanda
2,2
7,3
8,9
Norvegia
1,9
2,1
4,1
Svezia
1,8
2,3
3,2
Svizzera
0,0
0,4
1,0
UK
2,8
7,0
9,6
Media
2,4
4,9
6,8
Grecia
4,6
3,2
7,6
Irlanda
5,2
8,8
16,1
Portogallo
2,4
6,5
6,1
Spagna
2,9
9,1
19,0
Australia
2,1
5,9
8,4
Canada
4,7
8,1
9,6
USA
4,6
7,4
6,4
Indice dei prezzi al consumo nei paesi OCSE, 1950-1993 [media
annuale dei tassi di crescita composti]
1950-1973
1974-1983
1984-1993
Austria
4,6
6,0
3,1
Belgio
2,9
8,1
3,0
Danimarca
4,8
10,7
3,7
Finlandia
5,6
10,5
4,7
Francia
5,0
11,2
3,6
Germania
2,7
4,9
2,3
Italia
3,9
16,7
6,4
Olanda
4,1
6,5
1,8
Norvegia
4,8
9,7
5,1
Svezia
4,7
10,2
6,3
Svizzera
3,0
4,3
3,2
UK
4,6
13,5
5,2
Media
4,2
9,4
4,0
Grecia
3,7
18,8
17,5
Irlanda
4,3
15,7
3,8
Portogallo
3,2
22,6
13,2
Spagna
4,6
16,4
6,9
Australia
4,6
11,3
5,6
Canada
2,8
9,4
4,0
USA
2,7
8,2
3,8
Giappone
5,2
7,6
1,7
Il calcolo della produttività complessiva dei fattori (TFP):
uno strumento per contabilizzare la crescita (1)



Secondo l’approccio marginalista neoclassico, la crescita
economica può essere analizzata cercando di definire l’apporto di
ogni fattore di produzione alla crescita.
Per via empirica si è riscontrato che il tasso di crescita della
produzione complessiva di un sistema economico nazionale non
può essere interamente spiegato con un maggiore apporto
combinato dei fattori fisici di produzione. Resta un residuo che ha
un peso notevole nella spiegazione della crescita.
Edward Denison ha elaborato in grande dettaglio l’approccio
neoclassico alla spiegazione della crescita comparata di diversi
sistemi economici (USA, Giappone, Europa occidentale). Why
Growth Rates Differ. Postwar experience in nine western countries,
Washington 1967, ha dato un forte impulso all’applicazione di
questo metodo di ricerca. Monografie successive hanno esteso il
periodo di applicazione del metodo, compatibilmente con la
disponibilità di informazioni statistiche adeguate.
Il calcolo della produttività complessiva dei fattori (TFP):
uno strumento per contabilizzare la crescita (2)





Denison tenta di misurare il contributo dei fattori fisici della
produzione, capitale e lavoro non limitandosi alla semplice
somma dei valori aggregati complessivi; cerca di valutarlo
distinguere l’apporto delle singole componenti dei 2 fattori,
identificate in base ai loro caratteri qualitativi.
Per il lavoro tiene conto del numero medio di ore lavorate;
del diverso rendimento dei diversi tipi di lavoratori secondo
l’età
e il sesso, secondo i livelli di educazione e di
addestramento.
Per il capitale distingue 4 sottogruppi: edilizia residenziale,
edifici industriali e macchinari, scorte, investimenti esteri.
Il residuo è attribuito ai progressi della produttività.
Anch’esso e distinto in categorie diverse:
(1) guadagni di produttività realizzati con un generale
avanzamento di conoscenze tecnologiche o organizzative,
alla frontiera della conoscenza applicata;
Il calcolo della produttività complessiva dei fattori (TFP):
uno strumento per contabilizzare la crescita (3)




(2) guadagni di produttività realizzati attraverso un recupero di
conoscenza: chi è più arretrato può approfittare degli avanzamenti
altrui, copiandoli, e avvicinarsi all’ottimo conosciuto. Basta
l’applicazione di tecniche già note, senza avanzamento del
complesso delle conoscenze disponibili;
(3) guadagni realizzati attraverso la migliore allocazione dei fattori
fisici della produzione. C’è un uso ottimo quando i fattori sono
applicati a settori e regioni che assicurano il ricavo massimo.
L’allocazione può essere contrastata da forze sociali o politiche che
difendono interessi costituiti o rendite di posizione. Ogni volta che
l’attribuzione dei fattori fisici di produzione si avvicina all’ottimo, la
produttività aumenta.
Possono modificare la produttività: (a) lo spostamento di fattori
dall’agricoltura all’industria; (b) lo spostamento da industrie
piccole, arretrate, tradizionali, a industrie grandi, avanzate,
innovative; (c) l’abbattimento degli ostacoli al commercio
internazionale.
(4) Guadagni possono essere realizzati con le economie di scala,
eventualmente ottenibili attraverso un aumento di dimensioni del
mercato locale (attraverso urbanizzazione e motorizzazione) o il
consumo accresciuto di specifici beni. I beni di consumo durevoli,
la cui elasticità al reddito è alta, sono adatti alla produzione di
massa che usa tecniche efficienti.
Il calcolo della produttività complessiva dei fattori (TFP):
limiti del contributo di Denison



Il metodo seguito da Denison non permette di tenere conto di tutte
le variabili che possono ostacolare la migliore allocazione delle
risorse quando non sono quantificabili. Per es. non prevede
valutazioni specifiche dell’effetto di stimolo o di ostacolo alla
produttività che deriva (a) dal comportamento delle organizzazioni
sindacali
dei
lavoratori
o
degli
imprenditori;
(b)
dall’atteggiamento più o meno intraprendente degli imprenditori;
(c) dagli indirizzi di politica industriale dello stato.
Denison prende in considerazione la produzione nazionale
misurabile e il reddito nazionale misurabile. Così ignora i
cambiamenti nella qualità di merci e servizi. Non considera l’effetto
negativo che la crescita economica e l’aumento del benessere
materiale possono rappresentare un costo (o un elemento
negativo) per l’ambiente e per il benessere individuale. Nel primo
caso si sottovalutano gli effetti della crescita e delle
trasformazioni; nel secondo si sopravvalutano. E non riesce a
tenere conto della sottoutilizzazione della capacità produttiva
totale nelle recessioni.
Come è tipico dell’approccio neoclassico, (1) si confrontano
posizioni di equilibrio in momenti dati; (2) si assume che la
crescita sia bilanciata e (3) che la mobilità dei fattori sia perfetta;
(4) non ci sono processi cumulativi, compatibili solo con un
permanente squilibrio.
Le spiegazioni di Denison sulla differenza dei tassi di
sviluppo e dei livelli di reddito tra paesi. Negli anni
successivi la preminenza USA viene ridimensionata





Giappone e Europa occidentale sono cresciuti più velocemente degli
USA fra 1953 e 1971; lo scarto sarebbe > se non si considerasse UK.
La crescita USA nel periodo è spiegabile più con l’aggiunta di lavoro
e capitale che con guadagni di produttività. Questi furono favoriti
dall’accelerazione del progresso tecnico dopo la seconda guerra
mondiale (e in aumento fra 1969 e 1973), mentre gli incrementi di
produttività realizzati con la migliore allocazione dei fattori o con le
economie di scala risultano meno importanti. Hanno limitato la
crescita della produttività anche gli interventi governativi per la
protezione sociale e ambientale.
In Europa occidentale l’influenza dell’uso aggiuntivo di capitale e
lavoro (eccetto nella Bundesrepublik) è stata < dei guadagni di
produttività che hanno inciso per 2/3 della crescita. Molto
probabilmente per effetto (1) del recupero rispetto agli USA, (2)
dell’influenza delle economie di scala (in parte legate all’aumento
del reddito), (3) per la migliore allocazione dei fattori
(assorbimento di disoccupazione nascosta).
Il reddito per occupato in Europa nel 1960 è ancora il 59% degli
USA: resta ampio spazio per lo sviluppo della domanda. La
convergenza dei redditi cresce negli anni 1960. Li giustifica lo
scarto di produttività assoluta.
La produttività USA resta superiore: forse per diversità di gestione e
fattori istituzionali?
Argomenti principali e una scansione cronologica
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
La riflessione sull’esperienza della crisi e della
recessione degli anni 1930. L’influenza di J. M. Keynes.
Il lascito della seconda guerra mondiale: rapporti
finanziari ed economici internazionali; la supremazia
USA; nuovi orizzonti produttivi.
La ricostruzione postbellica (1945-1950).
I miracoli economici (1955-1964).
L’integrazione economica e finanziaria internazionale
La crescente instabilità del sistema internazionale dei
pagamenti tra la seconda metà degli anni 1960 e il
1973.
15 anni di difficoltà e ristrutturazioni (1971-1985); la
svolta neoliberista e monetarista e la crisi fiscale degli
stati
Un nuovo slancio e i progressi di un sistema globale
(1985-1995).
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