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Associazione Donne Operate al Seno (ADOS)

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Associazione Donne Operate al Seno (ADOS)
ADOS Italia
(Associazione Donne Operate al Seno)
Essere ostetriche oggi è sempre più impegnativo, particolarmente per
coloro che si trovano a contatto con pazienti oncologici. Ciò richiede un
buon livello di assistenza sotto il profilo fisico, psicologico e sociale,
richiede quindi preparazione specifica.
Perciò l’ostetrica deve essere messa in grado di “conoscere” la malattia, di
conoscere i vari stadi di avanzamento della stessa, i sintomi che la
malattia può manifestare, le reazioni avverse alle terapie adiuvanti
(ormono, chemio e radioterapia) ma anche di essere in grado di farsi
carico di tutti gli aspetti legati alle diverse problematiche che si verificano
nella singola paziente.
Non per questo l’ostetrica può sostituire l’oncologo, significa bensì che
l’ostetrica deve essere messa in grado di integrare l’approccio medico per
garantire alla paziente un approccio globale.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la
salute come uno stato di completo benessere fisico,
mentale e sociale, e non soltanto come assenza di
malattia.
La salute della donna è l’espressione di tutti i ruoli che
la donna ricopre: di sposa, di madre, allevatrice di
bambini, lavoratrice.
Questi molteplici ruoli ricadono su di lei e sono
determinanti per la sua salute.
Consideriamo dunque la figura dell’ostetrica sotto il profilo dell’assistenza alla cura
e della salvaguardia della salute.
Il mio intervento sarà finalizzato alla malattia cancro alla mammella, le cui
implicazioni fisiche, psicologiche e sociali non trovano riscontro in altre malattie
perché è una malattia legata all’immagine della donna, alla cultura imperante che
privilegia la bellezza, la giovinezza, la prestanza fisica, e all’eziologia della malattia
ancora per molti versi sconosciuta.
CINQUEMILA ANNI DI STORIA
La malattia cancro della mammella non è il male del secolo.
E’ una malattia che ha cinquemila anni di storia alle proprie spalle.
Lo apprendiamo attraverso il Papiro egiziano, detto di Edwin Smith, testo dell’
Antico Regno che risale al terzo millennio a.C. dove troviamo il primo esame
clinico (palpazione), diagnosi e implicita prognosi.
Chi la fa è Imhotep, medico del faraone.
“Si palpa duro come noce di Hamset – è scritto – è una
malattia che non curerò”. I medici egizi mettevano per
iscritto la prognosi indicando tre possibilità: “E’ un male
che curerò” ed era una prognosi favorevole; “che
combatterò”, prognosi incerta; “che non curerò” prognosi
infausta.
Le prime notizie di trattamenti cruenti le troviamo attorno al 2250 a.C. nei
Palinsesti di Ninive e anche nel secondo Papiro egiziano, detto di Gorge
Ebers del 1500 a.C., dove leggiamo di un trattamento che si avvaleva di strumenti
quali il cauterio (un ferro rovente per eseguire la bruciatura), oppure si usavano
sostanze caustiche, mentre la ferita veniva lasciata aperta e la guarigione
stimolata con ricorso a sostanze vegetali medicamentose come ad es. l’olio di
comino nero.
Ma da notizie pervenute, a partire dal Nuovo Regno d’Egitto, si apprende che sulla
parte ammalata venivano anche appoggiati pezzetti di bitume che, a contatto con
la fiamma sprigionavano vapori che assopivano la paziente. Come anestetico
venivano sfruttati anche gli effetti sedativi del papavero, dell’oppio, del coriandolo e
della polvere di carruba.
Diremo allora che la prima terapia dei tumori della mammella di cui si viene a
conoscenza, è quella praticata con il ferro e con il fuoco.
Per inciso dirò che gli interventi somigliavano più a torture che a terapie e che
venivano praticati anche come forma di punizione:
- in India l’amputazione della mammella veniva inflitta alle
donne che si rendevano colpevoli di adulterio e di meretricio;
- dai Codici Babilonesi apprendiamo che veniva amputata la
mammella alle donne che facevano mercato del proprio latte;
- gli Sciti la praticavano alle prigioniere per significare il loro
sommo disprezzo;
- la mammella era snobbata dalle mitiche amazzoni ed era
praticata dalle madri alle figlie ancora bambine;
- ma anche per punire chi non si sottometteva alle pretese di
qualche potente dell’epoca. E’ il caso della martire cristiana
S. Agata (cca 300 d.C.) a cui vennero amputate entrambe le
mammelle per non aver voluto cedere alle pretese del Console
della Sicilia, Decio.
Si narra che Agata messa in prigione con le ferite ancora sanguinanti ebbe la
visita di S. Pietro che le fece la grazia della guarigione delle ferite. Da allora
S. Agata, patrona di Catania, è protettrice delle donne che hanno subito
l’amputazione del seno e delle donne che allattano.
Dal 1987 S. Agata è stata dichiarata nostra Patrona con Bolla ecclesiastica.
Il passaggio dalla mitologia all’arte medica la si deve a Ippocrate (460-375
a.C.) e si deve a lui la descrizione al seno che considerava malattia incurabile
e che sentenziava:
“Quaumque non sanat medicamenta, er furrem sanat.
Quae ferrum non sanat, es ignis sanat. Quae ignis non sanat,
ea incurabilia putare opertet”.
“(Ciò che i farmaci non curano, cura il ferro. Ciò che non
cura il ferro, cura il fuoco. Ciò che non cura il fuoco, va
considerato incurabile”.
Andando avanti nel tempo citerò Democede, Un medico della scuola di Crotone (VI
sec. a.C.) divenuto famoso per aver guarito Atossa, regina di Persia, figlia di Ciro il
Grande.
Non si può non ricordare Galeno, nato a Pergamo nel 129, che influenzò il
pensiero medico per più di mille anni.
A lui si deve la dettagliata descrizione del tumore del seno, ma pure dell’intervento
chirurgico.
Egli identificò nella bile nera acida la causa della crescita del
cancro e, osservando che dal tumore si dipartivano alcune
grosse vene (da ciò l’analogia con il granchio) ne derivò la
parola “cancro”, e asserì che ne sono particolarmente colpite
le donne melanconiche.
Le osservazioni di Galeno furono riprese da Ezio di Amida,
archiatra della corte bizantina, vissuto ai tempi
dell’imperatore Giustiniano, che fece una accurata
descrizione di un intervento chirurgico alla mammella.
La sposa di Giustiniano, Teodora, donna bellissima e
intelligentissima, si era scoperta una anomalia nel proprio
seno, ma si rivolse all’archiatra troppo tardi e rifiutò
l’asportazione della mammella.
Andiamo avanti.
Ricordo che già nel 1350, il francese Guy de Chauliac diceva
che il seno non deve essere mai asportato completamente.
Considerazioni riprese da un altro chirurgo francese,
Ambrogio Parè (1517-1590) che può essere considerato il
precursore della chirurgia moderna in quanto trovò una
relazione tra il tumore della mammella e i linfonodi
ascellari.
Vorrei qui ricordare che anche insigni maestri dell’arte pittorica e scultori ritrassero
donne con segni evidenti della malattia cancro della mammella.
Michelangelo: “La notte”
”
Raffaello: “La Fornarina” (una esatta cartella clinica)
Rubens: “Le tre Grazie”
Rembrandt: “Betsabea”
Un altro chirurgo francese Henry Le Dran (1685-1770)
sostenne la teoria che il cancro è una malattia locale ma se
passa i primi linfonodi che incontra può coinvolgere l’intero
sistema per cui è importante rimuovere le ghiandole a tutti i
livelli.
Osservazione importante, ancora oggi ritenuta la base per la
prognosi e la selezione delle terapie.
Le Dran in una sua relazione anticipò pure la storia familiare della malattia cancro.
Ma intanto si recideva la mammella, si asportavano tutti i linfonodi e si cauterizzava la
ferita il tutto velocemente tenendo ben ferma la paziente, senza anestesia.
Cosi in un susseguirsi della necessità di una chirurgia radicale o di una asportazione
parziale, della possibilità di cura o negazione di guarigione si giunge al XIX secolo dove
ci si comincia a chiedere perché nasce la malattia, come si forma e quali le cause, si
comprende l’importanza di tenere quelli che noi oggi chiamiamo “registri dei tumori”.
Già allora si pensava che il cancro della mammella fosse una malattia sistemica.
Il XIX secolo ci portò tre scoperte molto importanti:
ANESTESIA nel 1846 il chirurgo Robert Liston all’University College London
eseguì una operazione in cui usò per la prima volta anestetici;
ASEPSI nel 1870 il chirurgo Joseph Lister usò sostanze antisettiche per prevenire
la presenza di pus nelle ferite chirurgiche;
L’era halstediana.
Fu Sir William Halsted che nel 1890 descrisse la procedura
dell’incisione e la dissezione radicale di entrambi i muscoli
pettorali e dei linfonodi dell’ascella.
Tale procedura prese il nome di “mastectomia radicale
secondo Halsted, ed è arrivata praticamente ai giorni nostri.
E’ stata infatti l’operazione standard fino ai giorni nostri.
Tutto ciò che è avvenuto dopo può essere definito post-Halsted.
Citerò:
- la mastectomia modificata secondo Patey (dissezione del muscolo piccolo
pettorale e dei linfonodi dell’ascella);
- la mastctomia modificata secondo Madden (dissezione delle fasce del piccolo e
grande pettorale e dei linfonodi ascellari);
Per arrivare alla
- quadrantectomia: importante studio iniziato da Umberto Veronesi nel 1981
dove, in una rigorosa selezione scientifica comparò due ipotesi chirurgiche: la
mastectomia radicale secondo Halsted e l’intervento chiamato QUART che –
secondo canoni prestabiliti – risparmiava il seno asportando un solo quadrante.
Lo studio durato dieci anni, portò inequivocabilmente al medesimo risultato.
E allora perché mutilare quando ad uguale quantità di vita si poteva aspirare ad una
miglior qualità?
Umberto Veronesi ha condotto un altro studio molto
importante: quello sulla biopsia del “linfonodo
sentinella”, che consiste nell’individuare, con
appropriati sistemi, il primo linfonodo di
drenaggio, prelevarlo e se risulta indenne da
metastasi la possibilità che altri linfonodi siano
colpiti è talmente bassa che è ragionevole
risparmiare tutti gli altri linfonodi , il che ha un
grande significato che è quello di evitare la
produzione di siero in zona ascellare, la
compromissione della sensibilità, le disfunzioni
della spalla, l’eventuala comparsa di linfedema.
I GRUPPI LINFONODALI DEL CAVO ASCELLARE
Linfonodi sopraclaveari
Linfonodi sottoclaveari
Linfonodi centrali
Linfonodi brachiali
Linfonodi scapolari
Linfonodi toracici
COS’E’ LA MALATTIA CANCRO DELLA MAMMELLA?
La malattia cancro della mammella è una malattia complessa, difficile da
controllare e non può essere oggetto di una unica mirata terapia.
Il medico solo non può essere in grado di controllare la malattia.
Sono sorte le Breast Unit perché nella malattia cancro della mammella il
medico di medicina generale, il radiologo, il patologo, il chirurgo, il
chirurgo plastico, l’oncologo, il radioterapista, il psicologo, il fisioterapista
devono essere strettamente collegati tra di loro.
QUALI I DIRITTI DELLA DONNA PORTATRICE DI
TUMORE ALLA MAMMELLA
La donna portatrice di tumore della mammella, una volta diagnosticato il male,
deve avere a disposizione le vie più rapide e corrette per una riabilitazione
fisica, psicologica e sociale.
Una riabilitazione che va dal pre-operatorio, all’intra-operatorio e al postoperatorio.
Le linee di azione si estrinsecheranno pertanto nelle tre fasi:
-PRE OPERATORIA
PREPARAZIONE PSICOLOGICA E
INFORMAZIONI DA PARTE DEL CHIRURGO
VALUTAZIONE DELLE ALTERAZIONI
RESPIRATORIE, ARTICOLARI E MUSCOLARI
INTRA OPERATORIA
CORRETTO POSIZIONAMENTO DEL BRACCIO
INCISIONE CUTANEA
EVITARE LA TENSIONE DEI LEMBI CUTANEI
RISPARMIO TRONCHI NERVOSI
EVITARE L’USO DELL’ELETTROBISTURI
POSIZIONE CORRETTA DEL DRENAGGIO
CORRETTA MEDICAZIONE (CHE NON SARA’
NE’ COSTRITTIVA NE’ LIMITANTE)
POST OPERATORIA
RUOLO PERSONALE MEDICO E
INFERMIERISTICO
INIZIO PRECOCE MOBILIZZAZIONE
STIMOLAZIONE A MOVIMENTI ATTIVI
CORREZIONE DELLA DEAMBULAZIONE
DOPO LA DIMISSIONE
COMPLETAMENTO DI INFORMAZIONI DA
PARTE DEL MEDICO SOPRATTUTTO PER GLI
ASPETTI TECNICI
INFORMAZIONI SOCIO-SANITARIE SULLE
TERAPIE ADIUVANTI E TRATTAMENTI
RIABILITATIVI
INFORMAZIONI CIRCA LA RICOSTRUZIONE
O L’OTTENIMENTO DELLA PROTESI
ESTERNA
COMPLEMENTARIETA’ DEI SERVIZI
SANITARI E SOCIO-ASSISTENZIALI
La donna portatrice di tumore alla mammella attraversa tre fasi psicologiche che si
accompagnano ad altrettanti fasi cliniche:
ANSIA
ESAMI STRUMENTALI E
DIAGNOSTICI
ACCETTAZIONE
TERAPIA CHIRURGICA
OSPEDALIZZAZIONE
RECUPERO FISICO A
BREVE TERMINE
DEPRESSIONE
IMPATTO CON LA VITA
ATTIVA
TERAPIE ADIUVANTI
PAURA RIPRESA DELLA
MALATTIA
Abbiamo dunque esaminato i tre momenti dell’ospedalizzazione le tre fasi
psicologiche.
Tre fasi sono concentrate in un arco di età che coincide con quello che viene definito il
periodo critico della donna ove a vari livelli, secondo l’immagine che la donna ha di sé,
nonché secondo la sua collocazione a livello familiare e sociale, ma anche secondo la
sua preparazione culturale, spirituale e psicologica, si riscontrano reazioni emotive che
portano a vari stati di angoscia, di ansia, di depressione e disadattamento sociale. Ciò
contribuisce alla creazione di timori e preoccupazioni che sono strettamente legati
all’ineluttabile invecchiamento.
Un’età dove si permette, che “l’anonima tirannia del conformismo disponga
dell’esistenza quotidiana dell’uomo”. (Riesman)
Un arco di età che quando viene a scontrarsi con la malattia cancro del seno induce a
pensare che si sta concludendo il processo catabolico dell’invecchiamento attraverso il
quale la donna ha assistito impotente a tutta quella serie di eventi legati allo scorrere
del tempo e che sono perdita della giovinezza, della vitalità, delle aspettative di vita,
ma anche perdita di affetti, di amicizie, di ambizioni, diminuzione di utilità verso se
stessa e gli altri.
Andiamo ora ad approfondire l’approccio psicologico che – in questa fase del postintervento, dopo le dimissioni – l’ostetrica potrà avere con la paziente.
Dovrà essere un approccio relazionale positivo. La paziente stessa vive con il personale
sanitario un rapporto confidenziale perché vede in queste figure professionali il trade
unione con il medico.
Ci sono poi le informazioni socio-sanitarie che la paziente dovrà avere dopo la
dimissione dall’ospedale.
- l’ottenimento della protesi esterna al silicone;
- diritto all’esenzione del ticket per farmaci, visite ed esami appropriati per la
cura del tumore;
- in base ad una tabella approvata con decreto del Ministero della Sanità
vengono considerate diverse soglie di invalidità: l’intervento chirurgico dà
diritto al 34% di invalidità, il che significa la gratuità delle prestazioni
protesiche.
Altri diritti sono rapportati alla gravità della malattia. (invalidità superiore al 74%)
L’ostetrica potrà avere un ruolo molto importante, attivo, puntuale, per svolgere un
ruolo di complementarietà, di integrazione con i servizi sanitari.
A Trieste, quando siamo sorti, c’era una assoluta carenza della struttura sanitaria
pubblica per questa specifica malattia e la donna era lasciata sola priva di supporti
paralleli e concomitanti in una fase tanto delicata della propria vita dove ogni donna
vive individualmente la propria condizione esistenziale.
Ciò si evidenzia particolarmente nella fase psicologica della DEPRESSIONE quando
la donna affronta l‘impatto con la vita attiva.
Mentre nel periodo del ricovero ospedaliero è una ammalata fra ammalati
improvvisamente si ritrova dolorante fra una moltitudine in movimento.
Emerge la paura nel senso della progressione della malattia e paura della morte.
In realtà quando si parla di paura di morte è perché tale paura è già dentro di noi. Solo
che si vive come se non ci riguardasse: infatti la nostra vita è un continuo progettare
per il futuro e solo quando arriva un certo tipo di malattia, la paura della morte esce
dirompente a livello della nostra coscienza ed ha un effetto sul piano psicologico ed
emotivo. Ciò riguarda tanto le persone che ne sono colpite quanto i familiari.
Alla donna devono essere fornite delle stampelle per aiutarla a muovere i primi passi
nel “regno dello star bene” per aiutarla in quella riabilitazione fisica, psicologica e
sociale nella misura in cui la donna lo desidera ed ha diritto di ricevere, e ciò nel pieno
rispetto della sua personalità e individualità.
Ho usato la frase “si ritrova dolorante in mezzo a una società in movimento”.
Infatti dopo l’intervento il dolore è presente nel 45% delle pazienti.
Allora quale sarà la prima domanda di una donna operata al seno:
la prima domanda indubbiamente sarà quella di riacquistare il benessere fisico. Star
bene fisicamente, allontanare il dolore si identifica con la speranza di guarigione.
Pertanto siamo partiti da un assioma molto semplice:
QUANTO MIGLIORE SARA’ LO STATO DI BENESSERE
FISICO, TANTO PRIMA E MEGLIO SARA’
COMPLETATO IL PROCESSO PSICOLOGICO DI
SUPERAMENTO DELL’EVENTO CHIRURGICO.
Ovverosia:
IL BENESSERE PSICOLOGICO E’ DIRETTAMENTE
PROPORZIONALE AL BENESSERE FISICO:
NON AVVERTENDO DOLORI, IRRIGIDIMENTI
ALL’ARTICOLAZIONE, MODIFICAZIONI AL
BRACCIO, IL TRAUMA DELL’INTERVENTO E’
DESTINATO AD ATTENUARSI.
Pertanto si offre:
BENESSERE FISICO
L’assenza o la riduzione del dolore e delle limitazioni
fisiche costituiscono sempre la prima richiesta della
paziente
BENESSERE PSICOLOGICO
Attraverso il gesto fisico della riabilitazione si
stabilisce il contatto e si crea l’opportunità per il
dialogo e con essa il veicolo per lasciar affiorare paure,
tensioni, speranze.
Si aiuta la donna a riscoprire se stessa
BENESSERE SOCIALE
L’incontro, cioè, con altre donne che hanno percorso e
superato la stessa esperienza, per una condivisione dei
problemi.
“… con altre donne che hanno percorso e superato la stessa esperienza” perché solo
una volontaria operata al letto della paziente può renderla partecipe di una vicenda e
destino comuni e la sua presenza – che è visione di futuro – induce a nuove logiche a
nuove qualità di vita.
Si instaura una individualizzazione di rapporti personali. Ciò dà un grande valore al
singolo soggetto.
Il primo contatto deve essere individuale, deve traghettare al successivo contatto di
gruppo, dove la globalizzazione della condivisione porta ad una crescita umana, alla
scoperta dei valori dell’essere.
Quando ci si accosta alla donna appena operata si deve farlo con discrezione, serenità e
umiltà. L’unico messaggio lo si porta con la sola presenza:
“Anch’io ho avuto il medesimo problema uno… due… tanti anni fa…”
Ed è sufficiente questa frase per dare dimostrazione in un futuro tangibile, che si tocca
con mano.
E questo contatto, questa dimostrazione del futuro, può darla solamente una donna
operata.
Comunque aiutare la donna in questo percorso sarà tanto più positivo quanto più sarà
stato instaurato
- rispetto per la privacy;
- clima sereno e rapporto paritario;
- rispetto della persona e della sua individualità;
- infondere sicurezza e fiducia nel medico e nelle cure;
- ascoltare, dare supporto senza mai banalizzare le domande della
paziente;
- altrettanto avverrà con i familiari i quali vivono la malattia con molta
ansia più che la stessa paziente.
Ma torniamo al rapporto ostetrica/paziente dopo le dimissioni dall’ospedale, quando la
paziente deve affrontare le terapie adiuvanti, le cure radio-chemioterapiche, ormonali.
PROBLEMI LEGATI ALLA EVENTUALITA’ DI TERAPIE ADIUVANTI
Mi riferisco in particolare alla chemioterapia per tutti gli effetti che la stessa comporta
sia a livello fisico sia a livello emotivo.
La donna attraversa un periodo molto pesante, vive un momento di equilibrio precario
che coinvolge tutta la sua situazione esistenziale ed anche i rapporti interpersonali.
Sta male; vive i periodi che la separano dal prossimo ciclo come un incubo.
Ha bisogno di essere compresa, di essere aiutata a rielaborare un nuovo equilibrio, di
essere aiutata in questa nuova esperienza che è la malattia.
Noi dobbiamo proporre alla donna come obiettivo finale non la rimozione
dell’esperienza subita bensì l’accettazione di tale esperienza per farla diventare parte
della propria vita e quindi superarla.
Vanno perciò curati vari aspetti dell’assistenza per dare una riabilitazione globale. Un
percorso questo che porta alla guarigione nel senso più comune del termine.
Lo stesso vale per le sedute di radioterapia (anche se sono meno pesanti)
Vale anche per la ormonoterapia.
PROBLEMI CONNESSI ALL’ASPETTO FISICO
ALLA RIDUZIONE DELLA FUNZIONALITA’ DEL BRACCIO
C’è la paura che la riduzione temporanea della funzionalità del braccio diventi
permanente.
Per un periodo che può essere più o meno lungo la donna operata ha bisogno di aiuto
pratico. Ciò può creare uno stato di disagio per il timore di non riuscire più a svolgere
un ruolo nell’ambito della famiglia. Può subentrare la paura di non poter più essere
come prima.
Ecco l’importanza di una riabilitazione finalizzata al recupero fisico, un recupero che
può procedere di pari passo con quello psicologico e sociale.
Le cicatrici fisiche e quelle psicologiche devono rimarginarsi contemporaneamente.
Ma esaminiamo però anche i problemi più piccoli, problemi di ordine pratico che però
hanno tanto peso nella vita quotidiana e hanno tanti risvolti:
sono problemi legati alla protesi, al vestiario.
Sono tante le domande: potrò andare al mare? Potrò fare la permanente, tingermi i
capelli, usare deodoranti?
Tante sono le componenti emotive di non poco conto.
Negli ambulatori oncologici è altamente necessaria una particolare sensibilità, essere
disponibili ad una condivisione, avere grande forza d’animo per accompagnare la
paziente nel difficile percorso di recupero, nell’infondere sicurezza e fiducia.
Posso dire, per la trentennale esperienza con questi ammalati che se si è capaci di
“sentire” si impara a capire quelle che sono le vere priorità della vita, si acquisisce un
nuovo equilibrio per trasmettere equilibrio.
Si deve far sentire a questi pazienti che non sono lasciati soli a sopportare
il peso della malattia;
Si deve favorire una reazione naturale alla malattia;
Si deve lasciare spazio ad un riorientamento psicologico.
Nella riabilitazione, anzi, nella re-adattazione metterei pure la ricostruzione del seno.
Vorrei, però, ritornare, a quanto previsto dall’art.1comma 1) della
L.25/1/2000.
Dove dice che
“gli operatori professionali dell’area delle scienze
infermieristiche svolgono con autonomia professionale
attività dirette alla prevenzione, alla cura, e alla salvaguardia
della salute individuale e collettiva…”
Abbiamo parlato della cura ma vorrei spendere due parole per la prevenzione.
QUALI LE CAUSE?
QUALI LE STRATEGIE DI PREVENZIONE?
Vediamo le cause:
L’epidemiologia studia le modalità, le cause e le leggi di insorgenza, di diffusione e di
evoluzione della malattia, ne segue la storia.
Con essa abbiamo conosciuto, l’incidenza, i fattori di rischio, la percentuale di
sopravvivenza e di mortalità.
INCIDENZA
4-5% donne con meno di 40 anni
25% donne di età inferiore ai 50 anni
45% fra i 50 e 70 anni
30% oltre i 70 anni
FATTORI DI RISCHIO:
PREVENZIONE
Finora non è stato possibile impostare un programma di prevenzione primaria, ma solo
un programma di prevenzione secondaria con campagne mirate, a largo raggio, per
rendere consapevoli le donne dell’importanza della diagnosi precoce, unica arma oggi
disponibile per ridurre la mortalità della malattia cancro della mammella.
Purtroppo i programmi di screening mammografico, tendenti a sottoporre le donne di
età compresa tra i 50 ai 69 anni di età, ogni due anni, non hanno dato percentualmente i
risultati sperati causa la scarsa risposta delle donne a cui era diretto.
In Italia vengono colpite ogni anno dalla malattia cancro della mammella 33.000
donne e ne muoiono ogni anno 11.500.
Il cancro rappresenta la prima causa di morte femminile fra i 35 e i 65 anni di età
in tutta l’Europa.
Eppure appena il 25% delle donne ricorre alla diagnosi precoce .
Il prof. Veronesi ha detto che “il 90% dei tumori al seno può essere guarito se
diagnosticato precocemente e trattato correttamente, per questo abbiamo bisogno di
centri specializzati in senologia dove team di medici e ricercatori possano lavorare su
base multidisciplinare”.
La scoperta di un tumore allo stadio iniziale dà oltretutto la possibilità di uscire
dalla sala operatoria senza subire l’amputazione della mammella.
Infatti, previo opportuno consenso informato, ora si procede – sempre che la situazione
clinica e chirurgica della paziente lo consenta – alla ricostruzione del seno nella stessa
seduta operatoria.
Ciò avviene con l’inserimento dell’espansore che verrà gradatamente espanso e poi
sostituito con una protesi al silicone.
Ma la ricostruzione può avvenire, in un secondo momento, o mediante trasposizione
del muscolo gran dorsale e quindi inserimento della protesi, o mediante trasposizione
del retto – addominale per cui non c’è bisogno di inserimento di protesi.
Sono in atto altre strategie di prevenzione che si propongono di incidere estesamente
sullo stile di vita non solo delle donne ma della popolazione tutta.
L’ALIMENTAZIONE
L’Organizzazione Mondiale per la Sanità suggerisce una dieta varia, povera di grassi
animali, ricca di vegetali con almeno cinque razioni giornaliere di frutta e verdura.
L’OMS e l’American Cancer Society concordano nell’attribuire ai fattori alimentari un
certo peso nell’insorgenza dei tumori, anche se non in tutti.
Ma, per entrambe le organizzazioni, l’alimentazione da sola non è in grado di
contrastare il passo all’insorgenza dei tumori…
Vanno tenuti sotto controllo il consumo di alcool, il peso corporeo (per evitare il rischio
obesità), mentre l’attività fisica deve entrare di routine nello stile di vita.
Una ricercatrice dell’Università di Los Angeles, Susan Love, sostiene l’importanza di
una costante attività fisica metodica, sia giornaliera (ad es. raggiungere il posto di
lavoro a piedi, abolire l’uso di ascensore) come pure esercizi ginnici due volte la
settimana, per ridurre del 30% il pericolo di tumore al seno, rispetto ad una vita
sedentaria.
Ma tutto ciò non porterà ai risultati sperati se non si eviteranno i danni all’ambiente, se
non ci si adopererà per ridurre l’inquinamento.
I danni all’ambiente derivano anche dalla mancanza di educazione civica e
comportamentale del singolo individuo che disperde nell’ambiente materiale altamente
inquinante, materiale non degradabile.
Per tutelare la globalità della salute si deve andare alla radice delle cose ed avere ben
presente che il diritto alla salute non deve essere subordinato agli interessi economici.
Ogni figura sanitaria è responsabilizzata in merito alla prevenzione
C’è pertanto assoluto bisogno di diffondere la
cultura della diagnosi precoce, incitare le donne ad
avere cura della propria salute, della salute del
proprio seno.
Penso che voi, ostetriche, potreste essere in prima linea.
TECNICHE DI LINFODRENAGGIO A CONFRONTO
Le più note sono:
- metodo Vodder
- metodo Le Duc
Dirò onestamente che ogni metodo è buono quando viene fatto bene, non solo,
aggiungerò che è buono se il terapista è bravo, se il trattamento viene fatto
tempestivamente.
Tutti questi metodi si assomigliano e tutti adoperano il bendaggio.
Il bendaggio dà buoni risultati che però non si mantengono nel tempo e pertanto
bisogna ripeterlo.
Quando noi siamo sorti nel 1976 abbiamo dato inizio ad una riabilitazione specifica,
sistematica nel breve, medio e lungo termine.
Ci siamo trovati allora di fronte ad una percentuale molto elevata di donne con
problema di linfedema.
Allora il trattamento di linfodrenaggio veniva fatto in poche strutture, fra queste
l’Istituto Tumori di Milano e si risolveva con l’ospedalizzazione della donna che
rimaneva anche per sei ore consecutive con il braccio in un manicotto deve veniva
esercitata unicamente la presso-terapia.
Mediante osservazione, induzione e deduzione, precedute da un profondo studio sulla
circolazione linfatica abbiamo avviato uno studio che è durato dal 1978 al 1991 ed è
stato chiuso dopo aver osservato 1590 pazienti. I risultati, molto soddisfacenti, sono
stati evidenziati in molti congressi internazionali.
Il metodo si differenzia dagli altri per l’approccio iniziale, per il tempo di durata del
trattamento e per l’esclusione del bendaggio perché non intendiamo medicalizzare
ulteriormente le donne.
Il linfodrenaggio, che è nato da una intuizione personale, ed a cui hanno
collaborato il dott. Giorgio Pellis di Trieste e prof. Fulvio Bratina
dell’Università di Trieste, è stato chiamato “Metodo Nemez”.
Spiegazione breve del metodo e filmato.
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