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Presentazione di PowerPoint
SPAZIO LIBERO
Numero 36 – maggio 2007
Anno
III
RUBRICHE:
Editoriale Mondo filiali Attualità C’era una volta Cinema e cultura Flash
EDITORIALE
FUSIONI: VA TUTTO BENE?
Solo qualche mese fa ragionavamo di come il dato dimensionale sia, per le banche italiane più
importanti in un contesto mondiale sempre più esasperato, precondizione essenziale per
ulteriori e maggiori profitti.
E’ in questa luce che va vista, similmente ad Intesa Sanpaolo. la nuova “Superbanca” - termine
abusato – Unicredit Capitalia, anche se vi è la variabile, tutta italiana, dei giochi in
Mediobanca, che influenza non poco la vicenda.
Rispetto a tali operazioni i commenti sono stati tutti improntati a magnificare quanto accadeva.
Il Sindacato, però, ha l’obbligo “istituzionale” della critica, ha la necessità di ragionare bene e sino
in fondo circa le conseguenze che tutto ciò comporta.
Iniziamo dall’occupazione che deve essere la stella polare di ogni azione sindacale; ebbene ogni
fusione di queste dimensioni comporta la cancellazione di, ormai, decine di migliaia di posti di
lavoro. Attenzione: i singoli lavoratori non vengono lasciati ai bordi delle strade, in quanto il
fondo esuberi insieme alle incentivazioni consentono un accompagnamento più che dignitoso,
ma quei posti non si creeranno più, sono scomparsi ora e per sempre; in ultima analisi si salvano
i lavoratori, ma non si salva il lavoro.
Ed allora un’economia tutta centrata solo all’innalzamento dei profitti e non anche a dare risposte
alla necessità lavorative ha qualcosa nel fondo che non va: se il profitto è legato alla
distruzione di lavoro e non alla sua creazione siamo di fronte ad una contraddizione insolubile.
Ci si permetta un piccolo inciso, viste le polemiche di questi mesi: la prima politica per la famiglia è
quella di far lavorare i suoi membri, per consentire ad una famiglia di potersi creare; tutto il
resto è propaganda in malafede.
Altro punto che viene addirittura distorto, “offendendo” il grande economista liberale Adam
Smith: il beneficio derivante dalla concentrazione per i clienti, per i consumatori.
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EDITORIALE
segue: “Fusioni: va tutto bene?”
Si afferma che le economie di scala, cioè l’abbattimento di costi per le imprese,
consentiranno di abbassare i costi per la clientela.
In verità l’abbattimento possibile dei costi per la clientela va tramutato in realtà, ma di
fronte a pochi, concentrati, operatori sul mercato, che “costringono” la clientela a
rivolgersi per forza ad essi, la concorrenza non viene esaltata, ma al contrario ristretta
e la tentazione di fare “cartello” diventa molto forte e quindi i presunti benefici per la
collettività vanno tutti verificati.
Infine, il ceto manageriale che dovrebbe assicurare una sana, corretta, sostenibile ed
equilibrata gestione delle aziende - in nome e e per conto di clientela, azionisti
territorio e lavoratori, tutti legittimi portatori di interessi – è sempre più compromesso
in cospicui interessi personali; la “gratificazione” in stock option appare sempre più
autoreferenziale, dunque senza un reale controllo.
Ed ogni sistema senza controllo rappresenta un problema.
MONDO FILIALI
SFOGO DI UN DIRETTORE O DELLA CRISI DI VOCAZIONE
Cari colleghi, scrivo di getto.
Non vorrei che sull’onda evolutiva del sistema bancario si arrivasse ad una crisi
di vocazioni per il ruolo di direttore, ruolo al momento pressato, quasi
stritolato: da una parte da capi e capetti. Yesman e “controllori di numeri,
servi sciocchi, spesso ansiotici e pilateschi; dall’altra da clientela in
disaffezione o da rinvigorire, certamente da spremere o frullare, e da
colleghi che vogliono giustamente sapere e capire, stante il futuro incerto,
in cerca di sicurezze che non puoi fornire,
Il direttore, brocco o campione che sia, lì in mezzo, con una dignità da
difendere, un pizzico d’orgoglio, il ricordo dei tempi che furono, un’etica,
il rispetto per tutti, compreso se stesso, in pieno sforzo per sopravvivere.
Ma come ti muovi, lo spazio attorno diminuisce, l’aria diventa rarefatta e non ti
resta che correre, correre e non fermarti a pensare, vivendo di numeri,
percentuali e quote di inserimento, percentuali e redditività pid, pusp e
workstation .
Mentre il tutto ti avvolge, provi a cacciar fuori la testa per riprender fiato, ma
basta la telefonata del capetto di turno per capire una volta per tutte
che, se questa è la banca, si crei a suo uso e consumo un direttore birillo,
pieghevole, da pizzicare e giocarci, da far correre a comando o chiudere
in cantina la primo accenno di vecchiaia.
Solo così, creandoli in laboratorio belli e simpatici, armonici e duellanti si potrà
compensare quella crisi vocazionale che, prima o poi, sarà argomento di
forum e convegni.
IMMONDIZIA A NAPOLI: QUALCUNO SI RIVOLTA NELLA TOMBA
OLTRE TEX WILLER: C’ERA UNA VOLTA IL FUMETTO WESTERN
RINO ALBERTARELLI - “I PROTAGONISTI”
Siamo stati di recente ad una mostra dedicata ai fumetti e qui ci siamo re-imbattuti nella collana
“I PROTAGONISTI” ,scritta e disegnata da un maestro del fumetto italiano: RINO
ALBERTARELLI, dedicata ai protagonisti autentici e veri della Storia del West americano.
Già autore negli anni ’30 di “Kit Carson” (fumetto western dove l’eroe era un vecchietto arzillo
eppur donchisciotte dal cuor d’oro che vagabondava nel West pieno di avventure) e dopo anni di
illustrazioni, tra cui anche schizzi per una enciclopedia del West mai pubblicata, Albertarelli,
nei primi anni ‘70 si ri-accinse a narrare il west americano (questa volta non più il west della
leggenda e della fantasia ma il “west della realtà”) spinto dall’editore Bonelli (lo stesso di Tex)
e lo fece con la collana “I Protagonisti”.
Cominciò raccontando “George A. Custer – Cacciatore di Gloria” – epitaffio che dice già tutto
dell’uomo e del militare raccontato. Un eroe? Un ottuso militare assetato di sangue? La
qualifica “Cacciatore di gloria” rivela un’impasto di contraddizioni violente e inconciliabili.
Proseguì con “Geronimo” – Apache vuol dire nemico” – nel quale raccontò come dalle montagne
dell’Arizona le Ombre Rosse degli Apaches si proiettavano minacciose e di come una razza
guerriera fu l’ultima ad arrendersi all’invasione dei soldati e dei pionieri del West per la
fierezza del suo capo più determinato e coraggioso, il cui nome, Geronimo, è poi diventato
sinonimo di resistenza, conquistandosi così anche il rispetto dei suoi nemici.
Continuò con la vita autentica di “Billy The Kid – il destino di uccidere” – inquadrando il destino del
ragazzo William Bonney nella guerra tra gli allevatori della contea di Lincoln, raccontandolo
come “figlio delle circostanze”, prodotto negativo di un ambiente degradato dove tra i mezzi di
lotta l’omicidio era il primo mezzo, non l’estremo, perché è il più semplice.
Raccontò “TORO SEDUTO” - il profeta dei Dakota Sioux - TATAN’KA IYOTA’KE per i suoi
fratelli Dakota - che fu il più grande e famoso capo degli Indiani delle praterie contro
l’invasione bianca. Raccontò di come Toro Seduto riuscì a radunare migliaia di guerrieri per
vincere l’unica vera battaglia di annientamento delle Guerre Indiane, la battaglia del Little Big
Horn, dove fu sconfitto Custer.
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segue: OLTRE TEX WILLER: C’ERA UNA VOLTA IL FUMETTO WESTERN: RINO ALBERTARELLI - “I PROTAGONISTI”
In questo albo Albertarelli dimostra che tale battaglia fu voluta, cercata e provocata dalle
autorità militari americane, il Generale Sheridan in primis, pianificatore di tutti i massacri
indiani avvenuti dopo la Guerra Civile tra Nord e Sud.
Raccontò “Wild Bill Hickok – il pistolero, l’onesto assassino” – famoso per essere il più veloce,
preciso e freddo pistolero, sceriffo e marshall di città violente e terribili da governare
senza la sua presenza, senza il suo carisma di “gunmen” invincibile.
Albertarelli scrisse altri albi dedicati a personaggi del West (Jed Smith, Wyatt Earp, Frank
Canton, Bill Doolin, Hermann Lehmann), ma tutti veramente esistiti, il West reale, epopea
e metafora del cammino dell’uomo dalla “natura” alla “civiltà”, prima che la immatura morte
lo colse. I suoi 10 albi restano trattati di “Storia” con la S maiuscola perché, attraverso
la ricostruzione personalissima ma molto fascinosa e precisa (questa sì opera di grande
fantasia!), sono pieni di spiegazioni storiche estremamente dettagliate con le quali vengono
precisate tutte le contraddizioni, sociali, culturali e di contesto umano vissute dai
personaggi che si è voluto raccontare e tutte le circostanze storiche, volute e/o casuali
alle quali questi personaggi dovettero far fronte per diventare, appunto, dei protagonisti.
Gli albi della collana “I Protagonisti” sono da considerarsi una pietra miliare della narrazione a
fumetti perchè dimostrano, ancora una volta e ancora di più, come il fumetto debba
essere considerato un prodotto capace di creare “cultura” nel senso più generale del
termine, alla pari dei suoi fratelli più dominanti, come il cinema e l’illustrazione visiva.
MARCO FERRERI? Era qui un attimo fa
A dieci anni dalla sua scomparsa, avvenuta a Parigi il 9 maggio 1997,a neanche settant’anni, per un attacco
cardiaco, Marco Ferreri è l’autore più dimenticato e indimenticabile del nostro cinema, eppure è così presente
intorno a noi !, Marco Ferreri è vivo e continua a far casino! La sua memoria non cessa di stupirci, a volte
verrebbe voglia di entrare nel ruolo dei fustigatori di costumi e lanciare anatemi: vergogna! Nessuno si
ricorda di Ferreri, dei suoi film, che non passano in TV, sembra che il cinema italiano l’abbia
dimenticato,anche se molti esordienti del cinema italiano dell’ultimo decennio – soprattutto i più “zozzi”,
sgrammaticati, improbabili, da Ciprì & Maresco in giù – sembrano essere suoi figli, magari senza averlo mai
sentito nominare.
Chi ha lavorato con lui ne parla come di un’esperienza unica (un nome per tutti: Piera degli Esposti, che lo adora).
E in questo decennale non mancheranno (finalmente!) gli omaggi: qualche giorno fa è stato annunciato quello delle
festa del cinema di Roma (che tra le altre cose presenterà una copia restaurata dell’ Udienza, uno dei suoi
film più attuali se non altro per il fatto di svolgersi in Vaticano). Tutto questo va bene, ma non basta a
spiegare la persistenza di Marco Ferreri nell’Italia del XXI secolo.
Proviamo a raccontarla così. Roma è piena, ancora oggi, di periferie debordanti, surreali, dimenticate da Dio.
Provate a percorrere il GRA (il grande raccordo anulare cantato da Guzzanti/Venditti), o a catapultarvi su una di
quelle arterie consolari che escono dalla città: si incontrano cantieri infiniti che confinano con campi di
sterpaglie e rovine dell’Impero, chilometri di palazzine finite a metà, un mix di archeologia antica (vera) e di
archeologia post-industriale (finta).
Il tutto abitato da un’umanità multicolore, che arranca nella polvere all’inseguimento del benessere. Pasolini, direte
voi! Anche, ma non solo. La riflessione di Pasolini sull’omologazione del sottoproletariato, sulla progressiva
trasformazione in piccola borghesia, è ferma agli anni 70 e probabilmente è superata dagli effetti della
globalizzazione e dall’immigrazione.
A noi, quel mondo, sembra invece più il mondo di Ferreri. Ogni volta che vediamo un palazzo non finito, lo
scheletro di un dinosauro di cemento che giace nella campagna, pensiamo: Ferreri qui potrebbe girarci un film!
E la cosa buffa è che non ci vengono in mente i film più famosi, come La grande abbuffata, o l’ape regina, o la
donna scimmia, ma certi film dell’ultima fase come Ciao maschio, Diario di un vizio, Chiedo asilo, I love you..
Film nei quali affiora un mondo che sta finendo e che, proprio alla fine, si sta auto-rigenerando.
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segue:”Marco Ferreri? Era qui un attimo fa
Ferreri non è apocalittico perché non è antropocentrico: è uno dei pochi registi degli ultimi 50 anni per i quali
l’uomo non è al centro dell’universo, né tanto meno il suo futuro. Perché Il futuro è donna, come recita il
titolo di un suo film, e perché la forza della donna è di essere naturale, animalesca: per lui Isabelle
Huppert e Hanna Schygulla in Storia di Piera erano due leonesse che si contendevano il territorio.
Ferreri raccontava storie di animali perché per lui gli animali erano interessanti quanto gli uomini – che , per la
cronaca, sono animali pure loro anzi i predatori più pericolosi! Solo che le femmine della specie hanno
mantenuto la memoria di questa ferinità, mentre i maschi- che sono sempre un po’ più coglioni, come quasi
sempre tra i mammiferi – l’hanno persa. Marco Ferreri era molto simpatico, sia quando riceveva i
giornalisti che lo intervistavano nella bellissima casa in un vecchio palazzo nel Ghetto di Roma, sia quando
lo si incontrava in pubblico, sul lavoro o ai festival. Un ricordo leggendario è legato al periodo in cui
Walter Veltroni era direttore dell’Unità e organizzava le “mattinate domenicali del cinema”. Una domenica
mattina si presentava La grande abbuffata, con un pubblico folto, entusiasta del film e terrorizzato dal
regista. All’inizio nessuno osava fare domande e, in quanto a Marco, rifiutò subito di sedersi sul palco preferendo girare tra la gente, con quella sua aria scanzonata e quegli occhi chiarissimi da monello – e di
usare il microfono. “Non so parlare in quei cosi!”, e fece tutto il dibattito urlando a squarciagola. I
giornalisti dell’Unità incitavano la gente a parlare: “coraggio, sembra cattivo ma è buono come il pane,
non vi mangia mica!”, mentre intanto lui sogghignava. Il ghiaccio si sciolse
e il dibattito iniziò andando
avanti per ore. A un certo punto arrivò la domanda fatidica: “ Mi sembra – disse una spettatrice – che lei
tratti male le donne nei suoi film…” Apriti cielo! Lì Marco si incazzò di brutto, o fece finta di incazzarsi,
che per lui era lo stesso. Spiegò che amava e rispettava le donne assai più degli uomini e che nei suoi
film, Grande Abbuffata inclusa, erano più forti, dinamiche e vincenti dei “maschi”.
Bene, è giusto ribadirlo: il suo era un cinema profondamente femminile girato da un artista con un senso visivo
e narrativo unico, diverso da tutti gli altri. Ma questo era il suo cinema. Ciò che conta, è che Ferreri
aveva capito da tempo immemorabile dove stava andando il mondo. Il vero film sull’effetto serra dovrebbe
girarlo lui, se fosse qui, e sarebbe mille volte più interessante di un qualsiasi documentario di un qualsiasi
Al Gore. Ma lui sta altrove, ad abbuffarsi di mandarini (una volta, durante un’intervista, il giornalista di
turno gliene vide mangiare una trentina) e a compatire i nostri patimenti. Ci manchi Marco! Ci manca la
tua visione dissacrante e critica della società che tu hai saputo dipingere anche nei suoi aspetti più aspri e
deteriori ma che denotano una vitalità e un amore per la vita sconfinati.
FLASH
La Redazione
Giorgio Campo
Alfredo Conte
Antonio Coppola
Mario De Marinis
Antonio Forzin
Amedeo Frezza
Rosalia Lopez
Raffaele Meo
Italo Nobile
Maria Teresa Rimedio
Anna Maria Russo
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