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Diffrazione di Fraunhofer e di Fresnel La diffrazione si presenta quando un’onda e.m. incontra un’apertura od un ostacolo. Ad es. un foro circolare o rettangolare in uno schermo opaco; un ostacolo: es. filo o un disco assorbente. Nello spazio dietro l’ostacolo vi è propagazione in direzioni diverse dall’incidente e si originano differenze di percorso e interferenze tra onde con cammini diversi; l’interferenza redistribuisce il flusso luminoso dando luogo a figure di diffrazione. Tali effetti sono tanto maggiori quanto le dimensioni delle aperture o degli ostacoli sono prossime alla lunghezza d’onda della radiazione. Nella fig. è mostrata la diffrazione prodotta su uno schermo C da un ostacolo con bordo netto: spigolo vivo; si vede che vi è luce anche nella zona di ombra geometrica e che nella parte illuminata l’intensità presenta fluttuazioni (frange) i massimi delle quali superano il valor medio I0 dell’intensità luminosa uniforme (a grandi distanze dal bordo). Nella fig. è mostrata la diffrazione di un disco opaco. Vi è un punto luminoso al centro e frange chiare e scure circolari analoghe a prima. Il punto chiaro appare a prima vista sorprendente ed infatti fu previsto da Fresnel e negato da Poisson; oggi si chiama punto chiaro di Poisson! Diffrazione di Fresnel: la sorgente S e lo schermo C a distanza finita dall’apertura; i fronti d’onda non sono piani. E’ il caso di un ostacolo generico come quelli considerati. Diffrazione di Fraunhofer: la sorgente S e lo schermo C sono a grande distanza dall’apertura; i fronti d’onda sono piani. Questa situazione è la più facile da trattare e la si realizza utilizzando lenti; L1 trasforma l’onda sferica emessa da S in onda piana con fronte d’onda contenente l’apertura. L2 focalizza i raggi in P. Applichiamo il principio di Huyghens-Fresnel e con- sideriamo i soli punti “liberi” quelli non interessati dall’ostacolo. Diffrazione da una fenditura rettilinea Una fenditura è costituita da un foro di larghezza a = AB e lunghezza L >> a su uno schermo opaco. La figura di diffrazione si osserva sul piano focale della lente di focale f. Sulla fenditura incide un’onda piana di lunghezza d’onda . Suddividiamo la fenditura in N striscie di larghezza y . Ciascuna striscia funge da sorgente e contribuisce con l’ampiezza E al campo ER nel punto P corrispondente all’angolo rispetto alla normale. I contributi E relativi a due striscie adiacenti hanno in P la differenza di fase: 2 y sin derivante dalla differenza di cammino y sin . Il calcolo di come varia ER in funzione di si farà dopo. Esaminiamo ora alcuni risultati ottenibili per similitudine con l’esperienza di Young: nella direzione = 0 tutte le onde sono in fase: ER è max e così l’intensità in O e vale I = (c0ER2)/2. Per un angolo generico la diff di fase tra l’onda è: ' 2 a sin a sin 2 se questa diff è = : ’ = ; a sin = le due onde in P sono in opposizione di fase e interferiscono distruttivamente. Pensando la fenditura divisa in due parti ad ogni sorgente della parte superiore ne corrisponde una nella parte inferiore in opposizione di fase. Il campo è nullo in P per dato dalla precedente. Se dividiamo la fenditura in 4 parti e ci poniamo all’angolo tale che: ' ' 2 a sin 4 a sin = 2 si ha la stessa situazione: la prima parte interf distruttivamente con la seconda, la terza con la quarta e l’intensità è 0. Lo stesso se si divide in 6 parti e si pone: a sin = 3 La condizione generale per 2 a ' ' ' 6 sin interf distruttiva è sin = m /a; m = 1,2,.. La relazione fornisce le posizioni delle zone scure nella figura di diffrazione. Pertanto l’intensità max al centro diminuisce fino ad annullarsi simmetricamente ai due lati per i valori di di sopra con m = 1. La grandezza (sin) = 2/a si chiama larghezza angolare del massimo centrale di diffrazione. Tra il primo (m = 1) ed il secondo (m = 2) minimo ci deve essere un massimo che si chiama secondario (< intensità di quello centrale): sia per positivi che negativi. La figura mostra l’effetto su uno schermo; è riportata anche la funzione I() che troveremo. Si vede che l’80% della potenza è nel massimo centrale: esso rappresenta l’immagine della fenditura. Intensità della figura di diffrazione Utilizziamo il metodo dei fasori per calcolare ER. Gli N fasori rappresentano le ampiezze E delle singole sorgenti elementari in cui si è suddivisa la fenditura e costituiscono una polinomiale di N lati. L’angolo tra un 2 y sin fasore ed il successivo è: la differenza tra l’onda emessa 2 da B e da A è: a sin pari all’angolo tra il primo e l’ultimo fasore. Passiamo al limite y0 N; la poligonale diventa un arco di cerchio di raggio con angolo al centro . ER è pari alla corda che sottende l’arco: ER 2 sin ; la lunghezza dell’arco è Emax= e corrisponde 2 all’ampiezza max che si osserva al centro dello schermo quando = 0 e sin / 2 E E tutte le onde sono in fase. Da cui R max / 2 Ora l’intensità è proporzionale al quadrato dell’ampiezza e vale: a sin 2 sin sin / 2 I ( ) I max I max a sin /2 2 Questa funzione è mostrata in figura per i valori a = , 5, 10 . L’intensità trasmessa dalla fenditura si annulla: minimi di diffrazione per: 2 a sin m , sin m a m 1, 2, 3... i primi minimi a destra e sinistra del max centrale si hanno per sin = /a e permettono di definire: (sin ) 2 a come larghezza angolare del massimo centrale di diffrazione. Per a >> il massimo è molto stretto e l’effetto della diffrazione è trascurabile; il massimo si allarga se a diminuisce tendendo a . Per a = il primo ed unico minimo si forma a = 90o e con a < tutto lo spazio al di là della fenditura è illuminato. Tra due minimi di intensità esiste un massimo secondario: la posizione è data dai massimi della funzione (sin2)/2. Si trova tg = , equazione trascendente che si risolve graficamente (a parte il caso =0). Peraltro risulta buona l’approssimazione di cercare il max di sin2(a sin/) ovvero quando: L’intensità dei massimi a sin (2m'1) sin (2m'1) m' 1, 2, 3,.. 2 2a secondari risulta: I m' 1 0.4 2 I max (2m'1) 2 (2m'1) 2 Nel primo massimo, m’ = 1, I1/Imax = 0.045 cioè l’intensità è il 4.5% del massimo principale; per m’ = 2 I2/Imax 0.016; per m’ = 3 I3/Imax 0.008. E’ da notare che si ha il massimo di ampiezza quando tutti i fasori sono disposti lungo una retta = 0; si ha invece ER= 0 quando i fasori si dispongono su una circonferenza per cui la differenza di fase tra gli estremi è: = 2m. Per λ « a la larghezza angolare del max centrale è: Δθ = 2λ/a e sul piano focale della lente Δx = fΔθ = 2fλ/a Diffrazione prodotta da un’apertura e da un disco opaco Quando l’apertura è circolare per ragioni di simmetria anche la figura di diffrazione è circolare: un disco centrale luminoso circondato da una serie di corone alternativamente chiare e scure. Il sistema presenta analogie con la figura di diffrazione di una fenditura anche se più complicato da trattare. Le frange si osservano in condizioni di Fraunhofer Si trova che l’angolo a cui cade il primo minimo di intensità, corrispondente al bordo del massimo sin 1 . 22 0 . 61 centrale è dato da: se D ed R sono D R il diametro ed il raggio dell’apertura; si confronti con sin = /a per la direzione del primo minimo di una fenditura larga a. L’andamento completo dell’intensità è data in scala normalizzata in figura: I/Imax in funzione di x = 2 R θ/λ. In molte applicazioni per la luce <<D e si può scrivere 1.22 0.61 ;2 è la larghezza angolare del D R massimo centrale. Anche ora si verifica che oltre 80% dell’energia è contenuta nel disco centrale luminoso: gli anelli chiari concentrici sono poco visibili. Il disco centrale il cui bordo è visto dal centro del foro sotto l’angolo 2 rappresenta l’immagine del foro. Questi risultati si applicano anche ad una lente di apertura D (raggio R) per cui l’immagine di una sorgente puntiforme molto lontana è data nel piano focale di una lente convergente da un piccolo disco luminoso le cui dimensioni sono determinate dal rapporto f/D tra distanza focale e diametro (utile) della lente: d = 2f = 2.44 λ f/D. Diffrazione da un disco opaco I risultati trovati per l’apertura circolare di diametro D si applicano anche per un disco dello stesso diametro. Un principio dovuto a Babinet dice che con l’esclusione della direzione = 0 la figura di diffrazione di Fraunhofer prodotta da un disco opaco di diametro D coincide con quella di un foro dello stesso diametro. Consideriamo un’onda piana monocromatica che incide su un’apertura G di diametro h >>. A grande distanza sullo schermo non si osserva diffrazione: Il campo EG e l’intensità sono diversi da zero solo nella direzione = 0. Poniamo sull’apertura G un disco opaco A di diametro h avente al centro un foro circolare di diametro D. In un punto P visto sotto l’angolo vi sarà il campo EA() e l’intensità IA() propor a EA2(). Se invece di A poniamo un disco opaco B di diametro D nello stesso punto P vi sarà il campo EB() e l’intensità IB() propor a EB2(): la luce ora raggiunge lo schermo passando attraverso un’apertura anulare compresa tra raggio D/2 e h/2. Le due aperture foro nel disco A e anello sono complementari ossia non hanno zone in comune; se sovrapponiamo i loro effetti è come se ci fosse solo l’apertura G. Per cui: EG() = EA() + EB(); d’altra parte EG() = 0 per 0 per cui: EB() = - EA(); IB() = IA() per 0 . Questo risultato, principio di Babinet dice che, a parte la direzione = 0, la figura di diff prodotta da un foro di diametro D coincide con quella prodotta da un disco opaco dello stesso diametro. Il calcolo dell’intensità nel punto P può essere fatto suddividendo il fronte d’onda piano che incide sul disco in tanti anelli circolari di area S che inviano in P contributi della stessa ampiezza ΔE. La risultante si calcola con il metodo dei fasori tenendo conto delle differenze di percorso. Il risultato mostra che il campo in P è sempre diverso da zero Limite di risoluzione delle lenti La figura mostra due sorgenti puntiformi incoerenti S1 ed S2 lontane viste dalla lente sotto l’angolo ; se >> = 1.22 /D non vi è sovrapposizione tra i due dischetti che rappresentano le immagini di S1 e S2: le due sorgenti appiano distinte o risolte. Al diminuire di le due figure di diffrazione si sovrappongono e le due immagini si fondono. Quando S1 e S2 sono viste dalla lente sotto l’angolo R = 1.22 /D il primo minimo della figura di diff di una sorgente coincide con il centro del max della seconda: le due sorgenti sono appena risolte; criterio di Rayleigh. L’angolo R = angolo minimo risolvibile; = 1/ R = D/(1.22 ): potere risolutivo o separatore della lente. La figura mostra i casi > R,curve risolte; = R, curve appena risolte; < R, curve non risolte. Tutti gli strumenti ottici, sia semplici o complessi come il telescopio, il microscopio e l’occhio hanno una lente di diametro D e focale f. Un aspetto importante è la capacità di osservare come distinti due punti luminosi separati (es. due stelle o due porzioni di una piccola struttura). Da qui si vede che è la diffrazione (causa ineliminabile dovuta alla natura ondulatoria della luce) la causa limitante sempre presente anche quando le aberrazioni geometriche sono state perfettamente corrette. Potere separatore di un telescopio Si applica la formula della lente: esso non dipende dalla focale ma solo dall’apertura D ob. ed aumenta al crescere di essa. L’oculare non limita il fronte d’onda e quindi non ha effetto. Lo stesso avviene se si ha uno specchio invece di una lente. Uno dei più grandi telescopi è il Large Binocular Telescope (USA) costituito da due specchi identici. Ciascuno ha un diametro di 8 m; con = 5 10-6 m: R = 7.6 10-8 rad 0.016’’; = 1/ R = 1.3 107 rad-1. Sia R che dipendono dalla lunghezza d’onda: le prestazioni sono peggiori con luce rossa e migliori con luce violetta. In realtà un telescopio non raggiunge tali valori essendo limitato sia dalle deformazioni costruttive o indotte dalla gravità sulla qualità della superficie e sopratutto dall’effetto della turbolenza dell’atmosfera. Quest’ultimo effetto è dovuto alla variazione casuale dell’indice di rifrazione dell’aria a causa delle variazioni di densità della stessa. Potere separatore del microscopio In questo caso invece della separazione angolare è meglio parlare di distanza minima s di due punti distinti. I punti siano nel piano focale anteriore dell’obiettivo e sono visti sotto l’angolo = s/f; se = R si ha: s = f R = 1.22 (f/D) = 0.61 (f/R); tale relazione si può scrivere in funzione dell’angolo di accettanza dell’obiettivo: sin = R/f per cui: s 0.61 0.610 sin n sin in cui si è messo in evidenza l’indice di rifrazione n del mezzo contenente l’oggetto. Il prodotto n sin = apertura numerica An dello strumento. Si ha s 0.61 1 A : potere risolutivo lineare; 0 An n l s 0.610 un valore possibile di An= 1.4 e con = 0.55 10-6 m, s = 0.22 m, ρ = 4.5 107 m-1. Anche in questo caso le prestazioni migliorano in luce violetta rispetto a luce rossa. Inoltre è conveniente utilizzare un mezzo tra oggetto ed obiettivo con il più elevato valore di n (obiettivo ad immersione). Potere risolutivo dell’occhio (Acuità visiva) Il diametro della pupilla varia da D = 8 mm a D = 2 mm. Con = 0.55 10-6 m si ha: 0.84 10-4 rad < R < 3.4 10-4 rad. Nel caso più sfavorevole D = 2 mm la distanza minima tra due punti distinguibili posti a L = 25 cm (distanza della visione distinta) è: s = LR = 250 • 3.4 10-4 = 84 m. Con D = 8 mm si trova s = 21 m. Sperimentalmente si trova che il potere separatore è vicino a 3 10-4 rad ed s = 75 m: l’occhio non arriva a s = 20 m: ciò è dovuto alla struttura granulare della retina; essa è costituita da coni e bastoncelli di dimensioni finite: due punti sono percepiti come distinti quando le rispettive immagini (dischi di diffrazione) cadono su elementi distinti del sensore; la situazione è analoga a quella di una camera fotografica con un sensore a matrice CCD. Non basta che siano separati i dischi di diffrazione: essi devono avere raggio almeno eguale alla distanza s’ tra elementi del sensore. In realtà per la visione distinta di due punti è necessario che le rispettive immagini cadano su due elementi non adiacenti del sensore. Esempio Un’onda luminosa con λ = 0.59 m attraversa una fenditura di larghezza a. La larghezza dell’immagine della fenditura, osservata sul piano focale di una lente di distanza focale f = 60 cm è: Δx = 7.5 mm. Calcolare a. Semilarghezza dell’immagine, distanza focale e angolo θ a cui si ha il primo minimo sono dati da: f tgθ = Δx/2 da cui tgθ = 6.25 10-3 . Pertanto tgθ ≈ θ = 6.25 10-3 rad = 0.36o; con m = 1: λ/a = 6.25 10-3; a = 0.094 mm ≈ 159λ . E’ come se per effetto della diffrazione la fenditura fosse stata ingrandita di 7.5/0.094 = 80. Se volessimo a = Δx si avrebbe a2=2fλ e con i dati a = 0.84 mm: per tale valore di a pari a circa 1400 λ, l’immagine è larga quanto la fenditura. Esempio Una fenditura rettilinea larga a = 0.05 mm è illuminata con luce bianca nella quale sono presenti con la stessa intensità tutte le lunghezze d’onda dal rosso: λR = 0.7m al violetto λV = 0.4 m. La figura di diffrazione si forma su di uno schermo posto nel piano focale di una lente con f = 50 cm. Calcolare la posizione dei minimi del rosso e del violetto e descrivere l’immagine della fenditura osservata. L’angolo a cui si forma il minimo per le due lunghezze d’onda è: sinθV = λV/a = 0.008 rad ≈ θV; sinθR = λR/a = 0.014 rad ≈ θR; sullo schermo corrispondono a: xV = f θV = 4 mm; xR = f θR = 7 mm. Nella figura sono rappresentate le due intensità. Il centro dell’immagine è bianco perché la posizione del massimo centrale non dipende dalla lunghezza d’onda; spostandosi dal centro si ha colorazione di sottrazione tipica dei fenomeni di interferenza e determinata dal fatto che in ogni punto vi è mancanza di alcuni colori e presenza più marcata di altri. Esempio L’obiettivo di una macchina fotografica di apertura D = 2.5 cm e focale f = 5 cm è illuminato da una sorgente puntiforme lontana S che emette luce con λ = 0.55 m. Calcolare le dimensioni dell’immagine sul piano focale dell’obiettivo. Siamo sicuramente con λ<< D: l’apertura angolare 2θ dell’immagine vista dal centro della lente è: 2θ = 2.44 λ/D = 5.37 10-5 rad. L’immagine di S è un dischetto di diametro d = 2 θ f = 2.44 λ f/D = 2.68 m. A causa della diffrazione il fuoco non è un punto geometrico ma acquista una dimensione piccola ma finita: in alcune applicazioni non trascurabile. La dimensione del dischetto è tanto più piccola quanto maggiore è il rapporto D/f (apertura relativa): nell’esempio D/f = 1/2 Esempio Determinare quale è la distanza L dall’occhio alla quale di notte appaiono distinti i fari di un’automobile separati tra loro di s =1.4 m. Assumiamo D = 2 mm e λ = 0.55 m. Per effetto della diffrazione l’angolo di risoluzione è: αR = 3.3 10-4 mrad e quindi: L = s/αR = 4.17 km. Con il valore medio αR = 4 10-4 rad risulta L = 3.5 km. Se invece fosse αR = 0.84 10-4 rad ( limite per D = 8 mm) sarebbe L = 16.7 km: un valore certamente non corrispondente all’esperienza. Applicazioni alla fotolitografia La fotolitografia è una tecnica molto utilizzata per la produzione di circuiti stampati. Da un punto di vista ottico si proietta su un wafer ricoperto di materiale fotosensibile (fotoresist) l’immagine del circuito che si vuole produrre codificato in una mask. L’esposizione del fotoresist provoca in quest’ultimo delle variazioni chimico/fisiche (es. polimerizzazione) che consentono successivamente di “sciogliere” selettivamente le parti esposte (non esposte). Si viene così a creare nel wafer l’immagine della mask. Come ogni sistema ottico anche il “proiettore” della fotolitografia è limitato nella sua risoluzione dalla diffrazione per cui vi sarà un limite alla “finezza” con cui si possono “scrivere” circuiti o parti di essi. D’altra parte negli ultimi decenni si è assistito ad una sempre crescente miniaturizzazione dei circuiti per cui vi è l’esigenza di aumentare il più possibile la risoluzione dei sistemi fotolitografici. Metodi usati: 1) Utilizzo di lunghezze d’onda sempre più corte: 254 nm (Lampade a Hg); 193 nm laser ad eccimeri; sviluppo di Extreme Ultraviolet Lithography: 13.5 nm 2) Utilizzo di un liquido tra l’ultima lente del proiettore ed il wafer: acqua n = 1.33; altri liquidi n ancora maggiore: Immersion lithography 3) Utilizzo di obiettivi di proiezione con il più elevato valore di apertura relativa: R/f (ma ha controindicazione sulla profondità di fuoco) 4) Utilizzo di photoresist con risposta non lineare (ad es. a soglia) all’intensità di esposizione 5) Uso di phase shifting masks: PSM. La PSM introduce in modo selettivo nel percorso del fascio un ritardo di fase controllato in modo da alterare la posizione e l’intensità dei massimi secondari di diffrazione Esempio del funzionamento di una PSM: La figura mostra a sinistra l’immagine di una mask contenente una serie di striscie “linee” metalliche e quindi opache. La parte destra mostra cosa succede quando si è sovrapposta una striscia trasparente che introduce una differenza di fase nel cammino ottico di π. Le parti chiare e scure si invertono. L’utilizzo sapiente di ritardi di fase qualunque può ad es spostare i massimi secondari di diffrazione o variare la forma del massimo principale. Una PSM può essere di due tipi: o a variazione di spessore ottico oppure utilizzare la variazione di trasparenza della mask stessa. Esempio di PSM In questo modo a parità di λ è possibile aumentare la risoluzione e riuscire a “scrivere” strutture più piccole del limite dato dalla diffrazione