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File - Percorsi Teologici Ponte Ronca

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File - Percorsi Teologici Ponte Ronca
SFT: PONTE RONCA
Quarto modulo
La fede e l’umano
Lezione Prima.L’uomo concreto
1. La felicità in fuga. Ovvero l’incertezza diffusa
• All’eccessiva speranza dei decenni passati si è sostituita
una generalizzata crisi di speranza. E siccome era già
diffusa la sfiducia verso la tradizione, questa caduta di
fiducia verso il futuro ha lasciato l’uomo senza radici,
senza avvenire. Gli unici valori che ancora contano sono
l’abilità personale nel condurre gli affari, l’utilità
economica, l’identità territoriale. Ma si tratta di valori che
insegnano all’uomo solo l’uso di mezzi per la vita: essi
aiutano a camminare, ma non sono in grado di dire dove
si debba andare, che senso abbia il peregrinare
dell’uomo.[1]
•
[1] I. Sanna, «Pellegrini della speranza», in Nuova responsabilità 8(2002), 26-31.
2. La percezione del tempo. Svanisce l’eterno, emerge
l’istante, l’attimo
• Nulla al mondo è destinato a durare, figuriamoci a durare per
sempre. Gli oggetti utili e indispensabili di oggi, con pochissime
eccezioni, sono i rifiuti di domani. Nulla è veramente necessario,
nulla insostituibile. Tutto nasce con il marchio della morte
imminente; tutto esce dalla catena di produzione con incollata
un’etichetta che indica la data entro cui va usato […] Nessun passo,
nessuna scelta è compiuta una volta per tutte, nessuno di essi è
irrevocabile: Nessun impegno dura abbastanza a lungo da
raggiungere il punto di non ritorno. Tutte le cose, generate o
prodotte, umane o no, sono “fino a nuovo avviso”, sono “a perdere”:
Un fantasma si aggira fra gli abitanti del mondo liquido moderno e
fra tutte le loro fatiche e creazioni: il fantasma dell’esubero. La
modernità liquida è una civiltà dell’eccesso, dell’esubero, dello
scarto e dello smaltimento dei rifiuti.[1]
•
[1] Bauman, Vite di scarto, 120.
3. La felicità nel piacere, nel consumo e nei bisogni
soddisfatti
• L’economia consumistica vive del ricambio delle merci, e
prospera quanto più cresce la quantità di denaro che
passa di mano. Il denaro passa di mano ogni volta che i
prodotti di consumo vengono trasportati alla discarica. Di
conseguenza, in una società di consumatori la ricerca
della felicità passa normalmente dalla centralità
accordata al fabbricare o acquistare le cose alla
centralità accordata allo smaltire le cose: e così
dev’essere se si vuole che il prodotto interno lordo
continui a crescere.[1]
•
[1] Z: BAUMAN, L’etica in un mondo di consumatori,
Editori Laterza, 2010, pag. 119.
4. Il dissolvimento della persona e delle relazioni
• La prospettiva di un susseguirsi sempre più
veloce di piaceri è, letteralmente, sbalorditiva.
Aiuta a levarsi dalla testa la preoccupazione
della felicità. Aiuta anche a dimenticare che tale
preoccupazione un tempo esisteva. Nella realtà
del mondo liquido-moderno, questa amnesia è il
senso della felicità.[1]
•
[1] Bauman, La società sotto assedio, 167.
5. Esito: la paura dell’abbandono e del futuro; il crollo
della comunità
• «Quel che tutti, a quanto pare, temiamo – che soffriamo o meno di
“depressione da dipendenza”, che ci troviamo alla luce del giorno o
che siamo tormenti da allucinazioni notturne - è l’abbandono,
l’esclusione, l’essere respinti, sconfessati, scaricati, mollati, spogliati
di ciò che siamo. Che ci venga rifiutato ciò che desideriamo essere.
Temiamo di essere soli, impotenti e infelici. Privi di compagnia, di un
cuore innamorato, di mani che ci aiutano. Abbiamo paura di essere
scaricati: che venga il nostro turno di finire nella discarica. Quel che
ci manca di più di tutto è la certezza che tutto ciò non
succederà…non a noi. Sentiamo che ci manca l’esenzione dalla
minaccia dell’esenzione. Sogniamo l’immunità dai miasmi tossici dei
cumuli di rifiuti».[1]
•
[1] Bauman, Vite di scarto, 159.
6. L’inutile progresso e
l’uccisione della speranza
• Il progresso non è più subordinato, a differenza
dell’ottimismo del XVIII secolo, a finalità esterne e
superiori, all’emancipazione e al benessere dell’uomo. È
invece diventato un “movimento senza controllo”, che
procede per conto proprio senza alcuna destinazione o
finalità – come un giroscopio o una bicicletta che non ha
altra scelta che continuare a muoversi o a cadere.[1]
[1] L. Ferry, «Une menace pour l’humanisme?», in Le
monde des Débats (Giugno 2001), 27, citato in Bauman,
La società sotto assedio, 150. Più vanti il nostro autore
conclude il ragionamento: «Il futuro è autenticamente e
totalmente fuori controllo, e la realistica previsione è che
sia destinato a restare tale almeno per un…prevedibile
futuro» (Bauman, La società sotto assedio, 150).
7. La vera vocazione:
consumare e usare
• «Tocca al consumo essere trasformato in
un’attività “autotelica”, “fine a se stessa”,
che non ha altro scopo che il proprio
perpetuarsi e intensificarsi, e non serve
altro obiettivo che se stesso».[1]
•
[1] Bauman, La società sotto assedio, 157.
8. L’individuo e il corpo
• «Sono io stesso, il mio corpo vivente o il
corpo vivente che sono io, ad apparire
l’unico ingrediente costante della
costruzione del mondo circostante,
notoriamente instabile e transitoria».[1]
•
[1] Bauman, La società sotto assedio, 211.
9. La vera via: abbandonare
l’individualismo
• E’ una comunità costruita sulle propensioni comuni e
basata sul leale, reciprocamente riconfermato e
crescente impegno dei suoi membri. La strada verso tale
comunità, sempre secondo Boltanski, può passare solo
attraverso il discorso impegnato, dialogico nelle
intenzioni, volto fin dall’inizio e attraverso tutto il
susseguente sviluppo all’approvazione di coloro ai quali
è rivolto: a dimostrare che il tema del discorso è degno
di approvazione. […] La comunità estetica sembra però
caratterizzata da un’endemica fragilità che va
compensata con una costante e appassionata dedizione
da parte dei suoi costruttori, guardiani e attori.[1]
•
[1] Bauman, La società sotto assedio, 244.
10. La propria e l’altrui felicità
• Normalmente si misura la tenuta di un ponte a partire dalla solidità
del pilastro più piccolo. La qualità umana di una società dovrebbe
essere misurata a partire dalla qualità della vita dei più deboli tra i
suoi membri […] Non è difficile riconoscere che aspettative e
credenze simili sono illusorie; quanto illusorie lo comprendiamo se ci
rammentiamo che il lavoro sociale – qualunque esso sia – è anche
l’atto morale di farsi carico dell’inestirpabile responsabilità che
abbiamo per la sorte e il benessere dell’altro; e che quanto più l’altro
è debole e incapace di far valere i propri diritti, tanto più grande è la
nostra responsabilità. Siamo tutti responsabili dei nostri fratelli; non
dimeno, che cosa questo significhi è tutt’altro che chiaro, ed è
difficile che diventi evidente.[1]
•
[1] Bauman, Homo consumens, 93-95.
11.Due possibili piste
• L’etica ha solo se stessa a proprio sostegno. È meglio
prendersi cura dell’altro che lavarsene le mani, essere
solidali con l’infelicità dell’altro piuttosto che esservi
indifferenti, e, in ultima istanza, è meglio essere morali,
anche se questo non rende più ricchi gli individui né le
imprese. È la decisone (dalla storia lunga e gloriosa) di
assumersi le proprie responsabilità, la decisione di
misurare la qualità di una società in relazione alla qualità
dei suoi standard morali, ciò che oggi è più importante
che mai sostenere.[1]
•
[1] Bauman, Homo consumens, 97.
11Bis
• Nel più radicale (ma solidale) scetticismo critico, vera
missione umana sarà cancellare gradualmente ogni
forma di ineguaglianza, miopia. Mirare ad una
rivoluzione permanente, intellettuale, nel segno
dell’imagination; ad un vero paradiso terrestre, un’età
dell’oro, dove – superate, per tutti, le difficoltà materiali (il
corpo, da tomba, diventi culla dell’intelletto) – nella più
ampia armonia ciascuno possa raggiungere il massimo
appagamento intellettuale, il sommo sviluppo di quella
particula divinae aurae che – non ci è dato sapere, con
assoluta certezza, perché – è in lui.[1]
•
[1] F. Bossi, La scommessa – la sfida – dell’utopia,
Liligraf, Bologna 2002, 37.
12.Tre quadri riassuntivi
• Primo quadro.“La vita liquida, come la società
liquido-moderna, non è in grado di conservare la
propria forma o di tenersi in rotta a lungo (…) è
una successione di nuovi inizi: (…) ovunque
l’accento cade su atti come dimenticare,
cancellare, mollare, sostituire”[1].
•
[1] Z. BAUMAN; Vita liquida, Editori Laterza,
Roma-Bari, 2006, pag. VII-IX.
12.bis
• Secondo quadro. “Le paure che scaturiscono dalla
sindrome del Titanic riguardano la possibilità di un crollo
o di una catastrofe che ci colpisca tutti, ciecamente e
indiscriminatamente, a caso e senza alcuna logica,
trovandoci tutti impreparati e indifesi. Esistono però
anche altre paure, forse ancor più terrorizzanti. Si teme
di essere selezionati individualmente, o in piccolo
numero, nella gaia folla e di essere condannati a soffrire
da soli mentre tutti gli altri continuano a fare baldoria. Si
teme una catastrofe personale (…) Si teme di essere
esclusi.”[1]
•
[1] Z. BAUMAN, Paura liquida, Editori Laterza, RomaBari, 2008, pag. 24-25.
13.ter
• Terzo quadro. “Mentre lo ‘Stato sociale’ tendeva a unire i
suoi membri nel tentativo di proteggere tutti e ciascuno
dagli effetti moralmente devastanti della ‘guerra di tutti
contro tutti’ e dell’‘arrivismo’, la ‘privatizzazione’
trasferisce sulle spalle di ogni individuo (di solito troppo
debole per riuscirci, a causa soprattutto di capacità
inadeguate e risorse insufficienti) il compito di affrontare
e (magari) risolvere i problemi prodotti dalla società.”[1]
•
[1] Z. BAUMAN, Vite che non possiamo permetterci.
Conversazione con CITLALI ROVIROSA-MADRAZO,
Editori Laterza, Roma-Bari, 2011, pag. 34-35.
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