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Storia della macchina fotografica

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Storia della macchina fotografica
Storia della
Meccanica
Storia della Macchina Fotografica
Autori : Matteo Fumagalli
Carlo Galli
Cristian Guglielmetto
Docente : Prof. Edoardo Rovida
Politecnico di Milano
A.A. 2004-2005
IV Facoltà – Ingegneria Industriale
Cronologia :
350 a.C.
Nei "Problemata" Aristotele parla della sensibilità alla luce di alcune sostanze come di cosa
70 d.C.
Plinio il Vecchio scrive: "quattuor coloribus solis immortalia illa opera secere...“
XI secolo
Lo studioso arabo Ibn al-Haytham accenna alla camera oscura.
1520 c.a.
Leonardo da Vinci descrive in modo particolareggiato il principio della camera oscura.
nota.
1550
Girolamo Cardano afferma che una lente positiva al posto di un semplice foro consente di ottenere una
immagine più luminosa
e più nitida.
XVII secolo
1609
I pittori utilizzano regolarmente le camere oscure per ritrarre i paesaggi.
Galileo perfeziona il telescopio.
1657
Kaspar Schott intruduce un'importante novità: due cassette scorrevoli, una dentro l'altra, permettono di
variare la distanza fra la
lente e il piano su cui si forma l'immagine, e quindi di mettere a fuoco la camera
oscura. Questa invenzione segna la data
ufficiale della nascita della macchina fotografica: per oltre due
secoli e per 50 anni dopo l'invenzione della fotografia non
cambierà in modo sostanziale.
1676
Johann Heinrich Schulze ebbe l'idea di porre uno specchio inclinato a 45 gradi dentro la camera di
Schott per proiettare
l'immagine su uno schermo traslucido posto sul lato superiore. E' nata, di fatto, la
reflex.
1801
W.H.Wollaston scopre l'effetto fotochimico del nitrato d'argento.
1816
Joseph Nicephore Niepce (1765-1833) inizia i propri studi utilizzando carta sensibilizzata con cloruro
d'argento ma non riesce a
rendere stabili le immagini. Dopo alcuni anni abbandona la strada dell'argento.
1824-26
Nicéphore Niépce realizza le prime immagini stabili utilizzando il bitume di Giudea.
2
Cronologia :
1833
Antoine Hercules Florence informa l'Académie des Sciences di aver fissato le immagini della camera
oscura ma non riceve alcuna
risposta. Non c'è nessun riscontro che avvalori la sua scoperta, tuttavia
egli usa per la prima volta la parola fotografia e conia il
verbo fotografare (da
photós, luce e gráphein, scrivere).
1835
7/1/1839
Henry Fox Talbot riesce a fissare temporaneamente, con una soluzione concentrata di sale, dei fogli di
carta impregnati di cloruro d'argento.
Louis Jacques Mandè Daguerre (1787-1851) annuncia di essere riuscito a fissare le immagini, senza
rivelare i particolari dell'invenzione.
14/7/1839
Louis Hippolyte Bayard (1801-1887), inventore di un procedimento positivo diretto su carta e forse il più
grande fotografo del primissimo periodo, espone a Parigi 30 immagini. E' la prima
mostra fotografica
della storia.
19/8/1839
Daguerre rende pubblico il procedimento presentandolo all'Accademia delle Scienze: il daguerrotipo
utilizza una lastra d'argento
argentata esposta ai vapori di iodio per formare ioduro d'argento,
sensibile alla luce. Il governo francese lo ricompensa con un
vitalizio.
1840
Talbot scopre l'immagine latente ed il procedimento negativo-positivo che riduce il tempo di esposizione
e permette di ottenere
più copie positive da un negativo.
1840
Petzval e Voigtlander calcolano del primo obiettivo da ritratto.
1841
Sir Charles Wheatstone esegue i primi esperimenti di stereoscopia.
1850 c.a.
Il soffietto rende le fotocamere più compatte e trasportabili. L'invenzione probabilmente risale al 1845 ed
è dovuta S. L. Levitsky
(Russia, 1819-1898)
1851
potassio.
F.Scott Ascher utilizza per la stampa a contatto della carta spalmata di albume d'uovo e bromuro di
3
1853
Prima macchina "a sviluppo immediato": il progetto di F. S. Archer aveva due manicotti a tenuta di luce in
Cronologia :
1854
Disderi brevetta la "carte de visite": ritratti di piccolo formato che saranno di gran moda, prodotti in
grandissima quantità, scambiati e collezionati.
1855
Franz Hampfstangel inventa il ritocco del negativo.
1857
Uso dell'illuminazione a gas per i ritratti a luce artificiale.
1859
Primo impiego della luce al magnesio (Cooke).
1859
120°.
Thomas Sutton ottiene il brevetto del Liquid Panoramic, il primo obiettivo grandangolare: copre un campo di
1861
Invenzione dell'otturatore a tendina sul piano focale.
1869
Louis Ducos du Hauron pubblica il libro "Il colore in fotografia: soluzione del problema" . E' la base teorica
del procedimento sottrattivo
su cui si basano tutti i metodi moderni ma occorreranno quasi 80 anni prima che
possa diventare un processo industriale. Un altro
ricercatore, Charles Cros, giunge contemporanamente
allo stesso risultato senza che i due avessero consapevolezza l'uno dell'altro.
1872
Trasmissione di fotografie con il telegrafo.
1880
Il "New York Daily Graphic" utilizza per primo il retino nella stampa delle fotografie.
1880/84
Invenzione della pellicola in rotoli.
1888
George Eastman inventa il nome Kodak per la sua prima fotocamera.
1889
Eastman produce una pellicola trasparente di nitrocellulosa.
1889
Viene posto in vendita l'obiettivo anastigmatico di Paul Rudolph.
4
Cronologia :
1891
Thomas Rudolf Dallmeyer brevetta in Inghilterrra il primo teleobiettivo.
1891
Gabriel Lippmann inventa un procedimento per fare fotografie a colori, ma è così complesso che non sarà mai
commercializzato.
1895
Auguste e Louis Lumiere annunciano al mondo la nascita del cinema.
1903
Fanno la loro comparsa sul mercato gli obiettivi Zeiss Tessar.
1903
L'assemblea legislativa dello stato di New York ratifica una legge che proibisce l'uso della fotografia di una
persona per scopi commerciali senza la sua approvazione scritta.
1905
In Georgia la Corte Suprema riconosce il diritto alla "privacy".
1907
I fratelli Lumiere mettono a punto il procedimento a colori autochrome.
1913
Oskar Barnak costruisce il prototipo della Leica.
1914
La Kodak introduce il sistema Autoghaphic, che può essere considerato il primo dorso datario della storia.
1916
La Kodak inventa il telemetro accoppiato alla messa a fuoco dell'obiettivo.
1930
Ostermeyer inventa una lampada elettrica composta da fogli di alluminio che bruciano rapidamente: è la nascita
dei flash a lampadina.
1930
Vengono prodotti i primi esposimetri elettrici.
1931
H. Edgerton mette a punto il lampeggiatore elettronico.
1931
Wladimir Zworykin inventa la televisione.
5
Cronologia :
1935
La Kodak commercializza il "Kodachrome", la prima pellicola a colori. Gli inventori sono Leopold
Mannes e Leopold Godowsky, due musicisti.
1935
La Carl Zeiss Jena brevetta un modo per velare le superfici dei vetri con floruri di magnesio ed altri composti: è
l'esordio dei trattamenti antiriflessi.
1935
La Cnopm (USSR) è la prima reflex per pellicola 35mm.
1938
La Super Kodak Six-20 è la prima fotocamera automatica.
1939
La NBC è la prima televisione con trasmissioni regolari.
1942
La pellicola Kodacolor è il primo negativo per stampe a colori.
1948
Edwin Land, già inventore delle lenti polarizzate, inventa la Polaroid.
1948
Victor Hasselblad mette in vendita la sua prima "Hasselblad" .
1949
La Contax S, dotata di pentaprisma fisso, è la prima reflex 35mm di aspetto "moderno" .
1959
La Voigtlander pone in vendita lo Zoomar 36-82 mm f 2,8 il primo obiettivo a focale variabile
applicato ad una fotocamera.
1959
La Nippon Kogaku produce la Nikon F .
1960
La Konica F è la prima reflex con otturatore a tendine metalliche sul piano focale . Vanta un
tempo veloce di 1/2000 ed un sincro flash di 1/125.
1962 – 68
Viene realizzata l'esposizione automatica attraverso l'obiettivo (ttl).
6
Cronologia :
1976
La Olympus OM-2 rende automatica anche la misurazione della luce flash. Nello stesso anno, per la prima
volta, una mostra di foto a colori entra in un museo (William Eggleston al Museum of Modern Art di New
York).
1981
La Sony presenta la Mavica: la prima macchina fotografica che utilizza un supporto magnetico al posto della
pellicola.
1981
La Pentax inaugura la stagione della reflex autofocus.
1990
Viene prodotto il Photo-CD, frutto di un accordo fra Philips e Kodak.
1999
La Nikon presenta la reflex D1, la prima SLR digitale progettata in quanto tale, non come rielaborazione di un
modello per pellicola, pur integrandosi pienamente nel corrisponde sistema 35mm di ottiche ed accessori.
11/02/2002
Un comunicato stampa annuncia il primo ccd al mondo in cui ogni pixel cattura la luce rossa, verde e blu.
7
La camera oscura
Principio di funzionamento :
Una stanza immersa nell'oscurità, nella quale si apriva un foro
circolare, consentiva di osservare sulla parete opposta
l'immagine capovolta del sole; nei secoli successivi fu
menzionata da astronomi e filosofi, tra cui Bacone e
l'Arcivescovo di Canterbury, Peckham. Naturalmente essa
consente di osservare anche altri oggetti anteposti al foro,
purché fortemente illuminati, e se viene ridotta alla dimensione
di una scatola, l'immagine può essere vista dall'esterno
sostituendo la parete di fondo con uno schermo traslucido, ad
esempio un vetro smerigliato o un pezzo di carta
semitrasparente.
Affinché l'immagine sia nitida il foro deve essere molto piccolo e
viene appunto
definito stenopeico.
Nello schema l'albero è illuminato dal sole, i raggi vengono
riflessi da ogni singolo punto in tutte le direzioni ed ipotizzando
un forellino tanto piccolo da lasciar passare solo un raggio di
luce fra i tanti riflessi da ogni punto, si potrà intercettare sullo
schermo traslucido un solo raggio per ogni singolo punto:
l'immagine è capovolta e speculare. L'immagine appare tanto
più nitida quanto più piccolo è il foro, ma ciò la rende sempre
meno luminosa; il contrario accade se si allarga il buco poichè
ogni punto del reale viene intercettato più volte sul piano del
virtuale. La lente permise di aumentare la luminosità senza
perdere nitidezza.
8
La camera oscura
Sembra che il primo ad averla concepita sia
stato Aristotele, addirittura nel IV secolo
a.C. allo scopo di osservare un'eclissi di
sole. Nel 1039 l'erudito arabo Alhazan Ibn
Al-Haitham la usò anch’egli per osservare
un'eclisse.
Nel 1515 Leonardo da Vinci, studiando la
riflessione della luce sulle superfici sferiche,
descrisse una camera oscura che chiamò
“Oculus Artificialis” (occhio artificiale). Un
apparecchio simile, anche stavolta usato
per studiare l'eclissi solare del 24 gennaio
1544, fu illustrato inoltre dallo scìenziato
olandese Rainer Geinma Frisius.
Un disegno dell'olandese Rainer Geinma Frisius raffigurante il principio
secondo il quale funziona una camera oscura. Risale al 1544
Nel corso del tempo la camera obscura assunse molte forme diverse: poteva essere una carrozza oscurata, una tenda o una
scatola; fondamentalmente però era uno strumento di semplice osservazione o di "ripresa", cioè di forma tale da consentire il
ricalco dell'immagine.
La versione fotografica della camera obscura è la fotocamera stenopeica, che differisce dalla camera obscura solo per il fatto
di essere predisposta per contenere un supporto sensibile alla luce, su cui si forma l'immagine.
9
La camera oscura
Una stupenda ed accurata rappresentazione della "chambre
obscure" appare in una delle tavole dell'Enciclopedia di
Diderot,
Montesquieu
e
d'Alambert.
L'incisione mostra due diverse tipologie di camera oscura per
il
disegno
di
panorami.
 Il primo tipo è una struttura in legno destinata ad
essere portata in posizione come una portantina.
L'obbiettivo periscopico proietta su un tavolino
all'interno l'immagine da "ricalcare". Il sistema di
aerazione dell'abitacolo colpisce per la somiglianza
che presenta con soluzioni di carattere strettamente
fotografico, adottate più di un secolo dopo. Si trattava
infatti di garantire un efficace ricircolo d'aria, senza
permettere alla luce di penetrare. La chiusura della
porta di accesso, in corrispondenza del sedile,
costituisce
un
espediente
di
impressionante
modernità.
 Più tradizionale è la camera oscura a periscopio e
tenda. Si tratta di uno strumento di studio della
prospettiva più pratico e maneggevole. Il panno per
schermare l'operatore dalla luce non può che
suggerire il telo nero che i fotografi utilizzeranno per
decenni insieme alla fotocamera a banco ottico ma
dovrà passare ancora quasi un secolo!
10
La camera oscura
Ma la "camera oscura" venne utilizzata soprattutto dagli
artisti del Rinascimento per proiettare, su pareti o su tele,
immagini che servivano da falsariga per realizzare un
disegno o un dipinto. Si sa ad esempio che Raffaello ne
fece ampio uso e con lui tutti quegli artisti che avevano
necessità di riprodurre ampie prospettive con un fedele
disegno dei paesaggi.
Nel 1550 il filosofo e fisico pavese Girolamo Cardano
ottenne un'immagine più nitida applicando al forellino
anteriore della "camera oscura" una lente convessa,
antenata dell'obbiettivo fotografico. Tre anni dopo, il
fisico napoletano Giambattista Della Porta descrisse, nel
suo libro “Magía Naturalis”, un apparecchio con lente e
con specchio riflettore per il raddrizzamento
dell'immagine sul piano orizzontale superiore, costituito
da un vetro smerigliato. E' il principio dei moderni,
apparecchi reflex. (Giambattista Della Porta previde
anche l'uso e l'evoluzione della "lanterna magica",
antenata del proiettore cinematografico). Non bisogna
poi dimenticare il veneziano Daniele Barbaro, ìl quale nel
libro "La pratica della prospettiva", pubblicato nel 1568,
descrive una "comera oscura" munita di lente
biconvessa, utile per il disegno prospettico.
Come si vede, gli studiosi italiani del Rinascimento
contribuirono in modo notevole a porre i fondamenti ottici
della moderna fotografia. Nel Seicento divenne frequente
l'uso della camera obscura portabilis: una scatola con
una lente da una parte (per l'entrata della luce) ed uno
schermo di vetro smerigliato dall'altra, cosicchè
l'immagine poteva essere vista dall'esterno della camera.
Nel 1620 Giovanni Keplero usava una specie di tenda da
campo come 'camera obscura'. Una lente ed uno
specchio sulla sommità della tenda rinviavano
l'immagine su un piano all'interno. Keplero poteva così
effettuare i suoi rilievi topografici.
Proiettore con lampada a petrolio, antenato degli attuali
proiettori per diapositive.
11
La camera oscura
Gli artisti del seicento facevano uso della
camera obscura (come veniva allora
chiamata) non soltanto per i ritratti ma anche
per disegnare paesaggi.
Una camera oscura gigante fu costruita per
tale uso nel 1646 ad Amsterdam
dall'olandese
Athanasius
Kircher.
Le
dimesioni erano tali che il disegnatore (ed
eventualmente un suo aiutante) poteva
entrare all'interno della camera oscura. Su
una parete un piccolo buco consentiva alla
luce di passare andando a riprodurre il
paesaggio esterno sulla parete opposta. Il
disegnatore in piedi tracciava su un grande
foglio steso sulla parete i tratti del paesaggio.
Il disegno veniva poi completato nello studio
dell'artista. Kircker intuì anche che il
fenomeno poteva avvenire anche al contrario
in proiezione ed ideò la cosiddetta 'lanterna
magica' un proiettore di disegni che fu
l'antenato dei proiettori cinematografici
moderni.
1646 Amsterdam. L'inventore della 'lanterna magica' Athanasius Kircher
costruisce questa enorme camera oscura per ritrarre i paesaggi.
12
La camera oscura
Finalmente, nel 1685, il tedesco Johann Zahn realizzava una
"camera oscura" a reflex che perfezionava quella descritta da Della
Porta. Aveva nell'interno uno specchio, collocato a 45 gradi rispetto
alla lente dell'apertura, che rifletteva l'immagine su un vetro opaco.
Ponendo un foglio da disegno sul vetro, era possibile disegnare
l'immagine così proiettata, ricalcandone i contorni visibili in
trasparenza. Zahn costruì in seguito una macchina più piccola e di
uso meno complicato, trasportabile ovunque. Uno strumento di
grande ausilio per disegnatori tecnici e pittori che continuò ad essere
usato per almeno due secoli. Esso si basava sullo stesso identico
principio grazie al quale funzionano oggi le moderne fotocamere
reflex. In queste ultime lo specchio è stato sostituito da un
pentaprispa di cristallo.
Sopra - Una camera oscura reflex da disegno degli inizi dell'800. Lo
specchio interno deviava la proiezione di 45 gradi verso la parte
superiore, dove veniva steso il foglio da disegno.
A lato – il libro “Oculus artificialis teledioptricus sive telescopium”
scitto da J. Zahn e pubblicato nel 1685 a Würzburg
13
La camera oscura
Alcune tipologie di camera oscura :
Tenda oscura
trasportabile
L'immagine veniva
inviata all'interno da
uno specchio posto
alla sommità della
struttura. Un modello
simile venne ideato da
Keplero nel 1620.
Camera obscura da
Camera obscura trasportabile, risale alla seconda
metà del 18th secolo ed è dotata di uno specchio
inclinato di 45° che consente di raddrizzare
l'immagine. E' l'antesignana delle moderne reflex. La
messa a fuoco si effettua mediante la regolazione di
un tubo estensibile che incorpora delle lenti pianoconvesse. Questo strumento era originariamente
montato su un sostegno del quale però non si hanno
tracce.
studio.
Dimensione: 190x165x120 mm
14
La camera oscura
Camera oscura risalente circa al 1890 che fu utilizzata per
dimostrazioni ottiche nelle scuole. L’immagine si proietta su
un vetro piano di 160x110 mm. E’ possibile inoltre regolare il
fissaggio stereoscopico dell’immagine all’interno del corpo
della macchina. La tavola di apertura poteva essere mossa
sia orizzontalmente che verticalmente allo scopo di facilitare
le immagini parziali.
Dimensione : 215x190x160 mm
Camera oscura risalente agli inizi del 20th
secolo che fu utilizzata per le
dimostrazioni didattiche. Un tubo montato
anteriormente era dotato di lenti
biconvesse da 80 mm di diametro.
L’immagine proiettata su di un vetro piano
manifestava in modo marcato il problema
dell’aberrazione ottica.
Dimensione : 400x210x170 mm
Modello di camera oscura in metallo
risalente alla prima metà del 20th
secolo e fu probabilmente costruita
come giocattolo per bambini. Era
dotato
frontalmente
di
lenti
biconvesse mentre posteriormente
era presente uno specchio inclinato
a 45° grazie al quale i raggi luminosi
venivano riflessi su un vetro piano
posizionato orizzontalmente della
dimensione di 110x90 mm.
Dimensione : 185x135x130 mm
15
La camera oscura : gli studi di Leonardo da Vinci
Disegno di Leonardo
che illustra una tecnica
per disegnare con
precisione prospettica
"La sperientia che mostra come li obbietti mandino le loro spetie
over similitudini intersegate dentro all'occhio nello umore
albugino, si dimostra quando per alcuno piccolo spiraculo
rotondo penetrano le spetie delli obbietti alluminati in
abitatione fortemente oscura: allora tu riceverai tale spetie
in una carta bianca posta dentro a tale abitatione lquanto
vicina a esso spiraculo e vedrai tutti li predetti obbietti in
essa carta colle loro proprie figure e colori ma saran minori
e fieno sottosopra per causa della intersegatione li quali
simulacri se nascieranno di loco alluminato del sole saran
proprio dipinti in essa carta la quale vuole essere
sottilissima e veduta da rovescio e lo spiraculo detto sia
fatto in piastra sottilissima di ferro".
( Leonardo da Vinci - Codice Atlantico)
Studi di prospettiva (Codice Forster I)
16
La camera oscura : gli studi di Leonardo da Vinci
MANOSCRITTO C (c. 1490-91; cm. 31,5x22)
Composto di 32 carte, comprendeva originariamente un altro fascicolo, purtroppo perduto, dedicato al tema "De ombra e lume",
cioè al variare delle apparenze degli oggetti secondo che siano illuminati o in penombra. Leonardo studia i fondamenti ottici di
questi fenomeni in modo da poterli riprodurre con precisione, come pittore.
cc. 10v-11r: studi sulla proiezione della luce attraverso una piccola apertura (sinistra) e sulle ombre derivate (destra).
LEONARDO DA VINCI - Studi sulla riflessione della luce
Ms. C (IFP), c. 3v
LEONARDO DA VINCI - Studi sulla proiezione della luce
attraverso una piccola apertura
17
Ms. C (IFP), c. 10v
Le fotocamere a cassette scorrevoli
(1820-1860 circa)
Le fotocamere a cassette scorrevoli non sono altro che la camera oscura di Kaspar Schott modificata per accogliere un
supporto sensibile al posto del vetro su cui viene proiettata l'mmagine. Le due cassette, scorrevoli una dentro l'altra,
permettono di variare la distanza fra la lente e il piano su cui si forma l'immagine, e quindi di mettere a fuoco la camera.
Niépce, Daguerre e Talbot utilizzarono tutti fotocamere di questo tipo, magari con qualche curiosa variante: ad esempio
quelle utilizzate da Talbot per i primi esperimenti ad annerimento diretto avevano un foro di ispezione, chiuso da un tappo,
nella parte anteriore: i tempi di esposizione erano così lunghi che una sbirciata di verifica di quando in quando non arrecava
nessun danno all'immagine.
Le cassette scorrevoli sopravvissero a lungo anche dopo l'avvento delle più pratiche macchine a soffietto perchè molti
fotografi apprezzavano la semplicità e la robustezza che rendeva questa fotocamera quasi indistruttibile. In particolare la
preferirono a lungo gli esploratori e i fotografi girovaghi, che cercavano clienti nelle piazze di città e nei mercati di
campagna.
Fin dai primi anni vennero studiati diversi modi per smontare le cassette per il trasporto. I limiti che non vennero risolti
erano che ognuna di esse era costruita per un particolare obiettivo e che disponevano di movimenti (basculaggi e
decentramenti) molto limitati o assenti. Ma questa scarsa flessibilità non venne mai avvertita dai suoi utilizzatori, che nei
primi tempi avevano ben altro a cui pensare e successivamente la preferivano ai modelli a soffietto per la sua robustezza.
Modello di fotocamera a cassette scorrevoli in cui si nota la caratteristica dello specchio inclinato per
capovolgere le immagini.
18
Le fotocamere a cassette scorrevoli
Caratteristiche generali:
Fotocamere di legno, costruite con due parallelepipedi che entrano uno dentro l'altro. Le
più evolute avevano l'ottica decentrabile.
Le misure variavano da molto piccole, come quelle ricavate da scatole di sigari da Talbot
per i suoi primi esperimenti, ad alcune camere di Daguerre lunghe 60 cm.
Non di rado disponevano di un semplice otturatore: quelle di Daguerre, ad esempio,
avevano un'antina metallica incernierata sull'obiettivo che svolgeva sia la funzione di tappo
che di otturatore
Modello costruito intorno al 1860
Dimesioni 350x260x220
19
Le fotocamere da studio (1850-1930 circa)
Con il nome di fotocamere da studio e da campagna si
intendono le fotocamere di legno che, con l'invenzione del
soffietto, sostituirono in breve tempo le cassette scorrevoli,
rigide e scomode da trasportare. Il soffietto era (ed è ancora
oggi) di pelle o di tela gommata o verniciata e in un primo tempo
fu una semplice sacca floscia fino a quando, verso il 1850, non
comparvero i modelli piegati, più rigidi e con maggior possibilità
di compressione. Le fotocamere da campagna sono in assoluto
le più longeve della storia dal momento che ne esistono ancora
diverse ed ogni tanto continuano ad apparire nuovi modelli,
come ad esempio la cinese Shanghai Shenhao che è stata
immessa sul mercato nel 2001.
Altre tuttora in produzione (ottobre 2002) sono le giapponesi
Wista (legno di rosa, ciliegio o ebano), Ikeda Anba e Tachihara
(entrambe in ciliegio), la Deardorff, l'inglese Gandolfi Precision,
la Iston, l'indiana Rajah, la futuribile K. B. Canhan "costruita con
tecnologie aereonautiche" e l'americana Wisner Zone VI
(mogano), osannata dalla stampa americana come "the most
complete camera on the market and superior to all other wooden
cameras (...) with a jewel like finish (...) another addition to what
is becoming the Winer tradition of American classics".
Tuttavia è corretto posizionare la fine dell'epoca delle
fotocamere in legno verso il 1930, quando le fotocamere da
campagna dovettero cedere il passo alle piccole macchine
fotografiche che consentivano una fotografia più dinamica e,
contemporaneamente, negli studi fotografici i primi banchi ottici
in metallo, più moderni e funzionali, sostituirono le fotocamere
da studio in legno.
Costruita intorno all’anno 1880 questa macchina
fotografica si poteva mettere a fuoco operando su una parte
di struttura collegata ad un pignone e una cremagliera.
Dimensioni 640 x 580 x 550 mm
20
Le fotocamere da studio (1850-1930 circa)
Angelo Pettazzi Milano
Fotocamera da studio, obbiettivo J. H.
Dallmeyer, cavalletto da terrazzo (1890 c.a.)
Tipica fotocamera fine '800 da studio. I
Pettazzi furono attivi fra il 1859 e il 1900: il
capostipite Oscar Pettazzi si fece notare
quando iniziò a lavorare in proprio (1871)
rivelandosi ben presto il miglior costruttore
milanese e alla sua morte (1883) i figli
Angelo ed Oscar proseguirono
separatamente l'attività del padre. La Angelo
Pettazzi cessò la produzione di fotocamere
nei primi anni del '900 quando si trasformò
in distributore fotografico.
Macchina da studio che usava lastre di 18
x24 cm. Era possibile regolarla sia
orizzontalmente che verticalmente. La
messa a fuoco si effettuava avvicinando o
allontanando relativamente la parte
anteriore e posteriore della macchina. C’è
la possibilità di inclinare e fissare in quella
posizione la macchina mediante una vite di
regolazione. Il carrello di sostegno si
appoggiava su delle rotelle e poteva essere
frenato.
Dimensioni 1560 x 970 x 550 mm
Macchina che utilizzava lastre
da 18x24 cm
21
Le fotocamere da studio (1850-1930 circa)
Fin dalle origini le fotocamere in legno si
differenziarono in due tipologie: quelle trasportabili e
quelle da studio, mantenendo in comune l'uso di
lastre più grandi rispetto alle macchine amatoriali ed
alcune possibilità di decentramento e basculaggio. La
differenza fondamentale fra i due tipi sta nella
trasportabilità poichè, con la diffusione della fotografia
professionale nella metà dell' '800, le macchine da
studio iniziarono ad aumentare di formato, di peso e
conseguentemente ad adottare supporti più solidi e
spesso non pieghevoli. Al contrario le campagnole
mantennero dimensioni di lastra più contenute ed
applicarono tutte le innovazioni capaci di
semplificarne il trasporto e la messa in opera. Le
dimensioni tipiche delle campagnole, chiamate folding
dagli inglesi nel senso di pieghevoli (non tascabili,
quando è riferito a questa classe di fotocamere)
erano "13x18 cm., e tutt’al più di 18x24 cm., perchè
da esso si possono ottenere immagini visibili, e
perchè non imbarazza chi deve portarla su per i monti
o dovunque" (L. Gioppi, 1887) mentre le macchine da
studio erano spesso di 30x40 cm.
Le origini del soffietto si confondono con la storia
della fotografia. Sembra che sia stato ideato una
prima volta dal barone Armand Pierre de Séguier che
presentò una macchina con soffietto alla Société
d'Encouragement nel 1839, quindi dal russo S. L.
Levitsky (1819-1898); sicuramente i fratelli Lewis di
New York, detentori di un brevetto registrato l'11
novembre 1851, furono i primi a produrre
regolarmente una fotocamera daguerrotipica con
I modelli più antichi di fotocamere a corpi mobili si
differenziavano per il sistema di chiusura, di cui furono
sperimentate tre soluzioni: nella prima la parte anteriore è rigida
e quella posteriore mobile ("tail board") e in questo caso la
chiusura avviene comprimendo il soffietto e alzando la parte
inferiore ("banco") che va a proteggere il vetro smerigliato. Nella
seconda avviene il contrario: la parte anteriore è mobile e quella
posteriore fissa, nella terza entrambe le parti sono mobili e
vengono compresse in corrispondenza del centro del banco che
è composto da tre parti. La tail-board risultò il miglior
compromesso per le macchine da studio e così, grazie anche
alla scarsissima diffusione delle macchine "a mano", nel 1887 le
tail board risultavano più numerose di tutte le altre macchine
fotografiche messe insieme
Tuttavia fu il sistema con due corpi mobili a produrre l'evoluzione
più significativa quando Petzval, nel 1857, inventò il banco a
rotaia
singola
("monorail").
Tuttavia la rotaia in legno di Petzval non offriva nessun vantaggio
reale rispetto al banco e così la sua fotocamera rimase un caso
22
isolato fino a quando le macchine non furono costruite in metallo.
Le fotocamere da studio (1850-1930 circa)
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Le fotocamere da campagna (1850-1930 circa)
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Le fotocamere da campagna (1850-1930 circa)
25
Le fotocamere da campagna (1850-1930 circa)
TIP FCD 18x24 ORGTECHNIKA obiettivo Industar 37 - 4,5/300 mm
(1976)
Tail board russa costruita quasi senza discontinuità da prima della
Rivoluzione d'Ottobre fino alla soglia degli anni '90; inizialmente da
privati, poi dalla GOMZ, quindi dalla GOMZ-LOMO e infine, a partire
dagli anni '70 dalla ORGTECHNIKA che sostituitì l'ottone con il ferro
cromato e la plastica. Per il resto la fotocamera, i portalastre, il
treppiede e la grande borsa in cuoio sono sempre rimasti immutati e la
macchina potrebbe essere stata fatta nell'800. Sorprendentemente
l'obiettivo è privo di otturatore, cosa che si spiega con la disponibilità
(fino al 1985 circa) di lastre con sensibilità di 6 e 12 gort, cioè così
scarsamente sensibili da poter esporre usando il tappo, come si faceva
un secolo prima. Gli chassis a corredo sono predisposti per le lastre in
vetro (che furono disponibili in russia fin oltre il 1975).
La Orgtechnika è probabilmente l'ultima tailboard ad essere stata
costruita.
Il modello illustrato, prodotto nel 1976, ha una targhetta con la
dicitura "25.03.1845 - 75", che forse si riferisce all'invenzione di
Levitsky.
Sanderson "Junior" Fotocamera da campagna (1900 c.a.)
Frederick H. Sanderson, appassionato fotografo d'architettura,
brevettò nel 1895 il sistema rapido di regolazione dei movimenti
di macchina che caratterizza tutte le fotocamere Sanderson la
cui produzione proseguì fino al 1920. La Junior montava un
otturatore a tendina Thornton-Pickard capace di tempi da 1/15 a
1/90. Il foro nella base aveva una doppia funzione: contenere i
punti di attacco per il treppiede (che non ha più una struttura
propria ma è ridotto a tre gambe separatre fra loro) e consentire
di chiudere la macchina senza togliere l'ottica.
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Le fotocamere stereoscopiche: (fine ‘800-inizio ‘900)
La Stereoscopia:
La stereoscopia sfrutta il fatto che il cervello ricostruisce un'immagine tridimensionale quando i due occhi vedono
simultaneamente la stessa scena da una distanza pari a quella interpupillare, che nell'uomo è circa 65 mm. Il
fenomeno funziona anche quando si mostrano agli occhi delle immagini identiche ma riprese da una distanza
uguale a quella interpupillare, facendo in modo che ogni occhio veda una sola delle due immagini.
Gli studi sulla percezione del rilievo
grazie alla visione binoculare sono
molto antichi ma i primi studi moderni
sulla stereoscopia si devono a Sir
Charles Wheatstone e sono di poco
anteriori alla scoperta della fotografia.
La fotografia stereoscopica è vecchia quindi esattamente
quanto la fotografia e, fin dal 1841, furono brevettate
molte invenzioni che semplificavano l'esecuzione di due
fotografie gemelle su una sola lastra. Si trattava di
fotocamere con un corpo mobile e scorrevole davanti
alla lastra, che rimaneva ferma e veniva impressionarta
metà per volta, oppure fotocamere in cui il corpo della
macchina rimaneva fermo ma era la piastra portaottica a
muoversi lateralmente per eseguire le due esposizioni.
Alla fine prevalse la soluzione più ovvia: delle semplici
fotocamere doppie, con due obiettivi e altrettanti
otturatori che scattavano simultaneamente comandati da
un unico pulsante di scatto.
27
Le fotocamere stereoscopiche: (fine ‘800-inizio ‘900)
Nel 1800 la diffusione delle fotocamere stereo rimase comunque abbastanza limitata
mentre invece dilagarono le fotografie stereoscopiche di misura "standardizzata":
circa 14 cm di larghezza su cartoncini di 17,5 cm. Venivano stampate in gran
quantità dai fotografi e rappresentavano principalmente paesaggi e monumenti
destinati ai turisti ma anche soggetti naturalistici e didattici, nonchè immagini proibite
da collezionare in segreto.
Sono gli anni in cui viene fondato la National Geographic Society per "incrementare
e diffondere le conoscenze geografiche" e per tutti l'acquisto di stampe
stereoscopiche fu il modo per vedere luoghi lontani e inavvicinabili.
Il successo della fotografia stereoscopica proseguì fino al 1930 per riprendere
brevemente negli anni '50 e '60. In quegli anni il View Master fu l'ultimo sistema
stereoscopico largamente diffuso ma anche inLeseguito
non mancarono
gli
immagini
stereo hanno
appassionati e, ancora nel 1990, esisteva una Associazione
Italiana.
bisogno Stereoscopica
di un visore per
essere
osservate, anche se una
persona esercitata riesce ad
apprezzarne la tridimensionalità
anche ad occhio nudo. La moda
di
collezionare
immagini
stereoscopiche e di osservarle e
mostrarle per intrattenimento
stimolò la produzione di visori di
ogni tipo per ogni occasione, da
quelli pieghevoli da borsetta fino
ai modelli da salotto capaci di
Sereocamera amatoriale fine '800 - primo '900
archiviare alcune centinaia di
immagini.
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Le fotocamere stereoscopiche: (fine ‘800-inizio ‘900)
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Joseph Nicephore Niepce: (1765-1833)
Già dal medioevo, gli alchimisti, facendo riscaldare il cloruro di sodio (o sale da cucina) insieme con l'argento, avevano
scoperto che dal sale si liberava un gas, il cloro, il quale combinandosi con l'argento, provoca la formazione di un
composto, il cloruro d'argento, che è bianco nell'oscurítà, ma che diventa violetto o quasi nero quando è esposto ai raggi
del sole.
Un analogo influsso della luce fu riscontrato su altre sostanze, soprattutto sul bromuro di argento, sullo ioduro d'argento
e sull'asfalto o "bitume di Giudea".
Il procedimento, che il chimico tedesco Johann Heinrich Schulze (1687-1744), iniziatore di un nuovo ramo della scienza,
la fotochímíca, battezzò già nel Settecento con il nome di 'fotografia' (dalle parole greche luce e scrittura), era il
seguente: su una pìastra metallica, o su un foglio di carta ricoperto di cloruro d'argento ed esposto alla luce, si posava il
corpo di cui si voleva ottenere la silhouette, una mano per esempio. Le parti coperte dalla mano restavano bianche e il
resto della
si ilanneriva,
lasciando cercò
il contorno
esatto della
mano. Ma
quando la mano veniva tolta, anche la sua
Dopo
aver piastra
costretto
sole a disegnare
di conservare
l’immagine
formatasi.
immagine si
anneriva
e sirame
cancellava.
Era la
il 1727.
Prendeva
una
lastra di
argentato,
ricopriva di un sottile strato d'asfalto (il
cosiddetto bitume di giudea, usato dagli incisori perchè molto resistente agli acidi) e
la collocava in una cassetta di legno, che funzionava da camera oscura, di fronte a
una tavola disegnata o dipinta. Dopo una giornata, le parti dello strato di bitume che
erano rimaste "impressionate", cioè esposte all'azione della luce riflessa dalle zone
più chiare del dipinto, erano diventate bianche le altre non mutavano colore, cioè
restavano nere. Allora Niepce immergeva la lastra in un bagno d'essenza di lavanda
che scioglieva il bitume non impressionato, lasciando intatto quello reso bianco dalla
luce. Sulla lastra di rame argentato restava così soltanto il bitume che riproduceva la
immagine in negativo. Niepce chamò il procedimento da lui inventato eliografia.
Niepce (1765-1833) in un ritratto giovanile.
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Joseph Nicephore Niepce: (1765-1833)
Per cinque anni Niepce lavora accanitamente alla ricerca di materie più sensibili all'azione della luce tentando di tutto:
il nitrato al cloruro d'argento, il perossido di manganese, il cloruro di ferro, ìl "safran de Mars", il fosforo, la cocciniglia.
Il 3 settembre 1824 riesce infine a fissare solo i contorni di un paesaggio. E finalmente nel 1826 quella che puo'
essere considerata la prima vera fotografia. Posa di ben otto ore su una lastra di peltro per eliografia, spalmata di
bitume di giudea e posta all'interno della sua camera oscura con diaframma. La prima fotografia del mondo era
impressa, in positiva diretta, su una lastra di peltro lucidata.
L'anno dopo si reca alla Royal Society di Londra per una dissertazione sul suo procedimento chiamato 'eliografia'. Ma
si rifiuta di svelarlo per intero e per difetto di documentazione quanto egli ha comunicato non è accolto agli atti.
Ecco quella che a tutti gli effetti può essere
considerata la prima vera fotografia della
storia dell'umanità! Risale al 1826.
Nicéphore Niepce la ottenne con una posa
di ben otto ore su una lastra per eliografia
da lui stesso preparata. Oggi è conservata
presso l'Università del Texas ad Austin
(USA).
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Louis Jacques Mandè Daguerre: (1787-1851)
Condotto dai suoi studi di pittura, di prospettiva e di ottica, di fronte al problema del fissaggio delle
immagini ottenute per azione del sole, Daguerre aveva appreso, nel gennaio del 1826, che questo
problema era stato rìsolto già da qualche anno da Niepce.
Al primo incontro tra Niepce e Daguerre del 1827 ne seguirono altri, sempre più frequenti, finchè,
avendo Daguerre affermato di avere apportato alla camera oscura un perfezionamento
considerevole tale da costituire un procedimento più semplice e sicuro per il fissaggio delle
immagini, Niepce gli propose di unire i loro sforzi per imprimere alle loro scoperte un progresso più
rapido e assicurarsene ì benefici
Daguerre scopre la sensibilità dello ioduro d'argento alla luce. Ma proprio in quel tempo (è il 1833)
Niepce viene a mancare, colpito da trombosi cerebrale. Muore povero e ignorato. Presto sarà
anche
misconosciuto.
Daguerre seguita a esporre, per molte ore, le lastre preparate con ioduro d'argento. Ed ecco il
secondo colpo di fortuna. Un giorno il cielo è nuvoloso, il sole non esce, anzi minaccia di piovere.
Daguerre toglie le lastre dalla finestra e le sistema in un armadio.
Con molta fortuna scopre che un recipiente di mercurio, dal quale si sviluppavano, entro l'armadío
in cui aveva posizionato alcuni lavori, vapori aventi la proprietà di svelare e fissare definitivamente
l'immagine.
E' questa appunto l'origine del nome francese daguerrotype, da cui l'italiano dagherròtipo.
E' del 1837 questo dagherrotipo, il primo eseguito da
Daguerre nel suo studio
32
Il Daguerrotipo: (metà 1800)
Alphonse Giroux, cognato di Daguerre, costruì e smerciò con enorme
successo un apparecchio per dagherrotipia la cui etichetta portava scritto:
"Nessun apparecchio è garantito se non reca la firma del signor Daguerre
e il sigillo del signor Giroux". L'apparecchio, che misurava cm. 30 x 37 x
50 (quindi non era molto maneggevole), era corredato di alcune lastre
sensibili e dei prodotti occorrenti per la stampa. Costava 400 franchi e una
dagherrotipia di piccolo formato veniva pagata da 80 a 120 franchi.
Dopo che il procedimento di Daguerre venne reso pubblico nel 1839, il
dagherrotipo diventò una vera e propria mania. Molti pittori abbandonarono
tavolozza e pennelli per dedicarsi con assai maggior fortuna al nuovo
mestiere di dagherrotipista. Alcuni dei migliori ritratti eseguiti con la nuova
tecnica furono opera di un miniaturista di Amburgo, Carl F. Stelzner. Del
1843 è il dagherrotìpo che ritrae un gruppo del Circolo Artistico di'Amburgo
durante una gita in campagna.
Daguerre in realtà non inventò la fotografia poichè era stata inventata molti altri prima. Così Daguerre, da un giorno
all'altro, diventò famoso legando al proprio nome l'intera storia della fotografia anche se in realtà con lui non era ancora
vera fotografia, ma dagherrotipia, cioè un perfezionamento dell'eliografia di Niepce. Ma già si gridava al miracolo e
nasceva una mania collettiva.
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La Leica Ernst Leitz (Wetzlar - Germania) (1925 – 1936)
La Leica cambia radicalmente la storia della macchina fotografica: non è il miglioramento di qualcosa già esistente ma un
progetto rivoluzionario che ridisegna la fotocamera inventando una impostazione dei comandi che nessuno ha più
modificato. Per questo motivo è universalmente riconosciuta come la pietra miliare che segna l'inizio della storia
moderna della fotocamera.
La Leica introduce il formato 24x36, il caricatore metallico per pellicola 35mm con doppia perforazione.
Rispetto alle fotocamere preesistenti vennero migliorati l'otturatore ed il contapose, la fotocamera fu dotata di un mirino e
di un obiettivo progettato appositamente per il nuovo formato. Fu inventata la cassetta a tenuta di luce che, pre-caricata
in camera oscura, permetteva di cambiare la pellicola alla luce del giorno e consentiva grande autonomia senza
aumentare le dimensioni della macchina. La scelta del rocchetto ricevitore per i fotogrammi esposti rese necessari un
comando di sblocco ed un altro per riavvolgere la pellicola. Una preserie di 30 pezzi leggermente diversi fra loro venne
Caratteristiche
generali:
sottoposta giudizio dei fotografi nel 1923 e nel 1925 la Leica (Leitz camera)
fu finalmente
proposta al mercato.
Formato 24x36 mm, ottica fissa, mirino galileliano,
costruzione in metallo.
Comando unico per armare l'otturatore e trascinare la
pellicola.
Fondello amovibile per il caricamento dal basso della
pellicola.
Contapose non autoazzerante numerato fino a 40,
coassiale al pomello di trascinamento.
Comando di sblocco della pellicola posto sul tettuccio
della macchina, vicino al pulsante di scatto.
Pomello separato per il riavvolgimento del film che
nell'uso si svolge da un'apposita cassetta metallica ad un
rocchetto ricevitore.
Obbiettivo: Anastigmat o Elmax o Elmar 50 mm f3.5 (per l'epoca molto
Accessori:
luminosi), rientranti
cassette per pellicola, telemetro separato (inseribile nella
Otturatore: Orizzontale in stoffa sul piano focale, autocoprente durante
slitta accessori), borsa in pelle.
il riarmo
Diaframmi: 3,5 - 4,5 - 6,3 - 9 - 12,5 - 18
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Le fotocamere russe (1932 – 1985)
Le fotocamere russe sono legate a tre
luoghi comuni: "semplici" , "copie" e
"bassa qualità".
La prima macchina fotografica russa
viene costruita verso il 1840 per
opera di A. F. Grekov. In seguito, e
per tutto l' '800, vengono costruite
artigianalmente fotocamere di ogni
tipo, analoghe ai modelli occidentali:
a cassetta e a soffietto, detective,
biottiche e reflex. Non mancano le
invenzioni originali, in particolare (ma
storicamente da provare) la prima
"automatica" in cui una fotocellula
determina l'apertura del diaframma;
un sistema che in Occidente sarà
reiventato dalla Kodak solo nel 1938.
FED kharkhow, Ucraina (1934)
Nell'accezione comune tuttavia le
fotocamere russe sono assimilate alla
produzione sovietica, che mosse i
La Comune
Lavoro intestata
a Felix Edmundovitch Djerzinski inizia a progettare fotocamere nel giugno del 1932
primi
passi adiCharkov,
nella Comune
sotto
la
direzione
di
Anton
Makarenko.
I primi prototipi, che sono pronti nell'ottobre dello stesso anno, sono copie esatte
di Lavoro FED.
della Leica I. Nel frattempo però arrivano in Russia le prime Leica II e quindi la progettazione prosegue febbrimente fino
alla fine del 1933 per adeguarsi al nuovo modello. Nel 1934 inizia la produzione della FED, la prima fotocamera
sovietica.
Nel periodo tra le due guerre mondiali, in URSS la competizione ideologica con l'Occidente, trasferita nel contesto
produttivo, dette un fortissimo impulso alla giovane industria sovietica che fin dai primi anni non si limitò a copiare e
mise a punto anche alcuni prodotti innovativi e originali come la Cnopm (1935), la prima reflex 35mm.
35
Le fotocamere russe (1932 – 1985)
Gli anni più esaltanti per l'industria sovietica però vennero
dopo la seconda guerra, dal '46 al '70, quando la produzione
riprese rapidamente, venne avviata la produzione delle
fotocamere Zorki, delle Zenit e venne offerta una maggior
varietà di modelli, semplici e professionali. La Leningrad
("Gran Prix de Bruxelles" nel 1958) e la Kiev 10 sono i
modelli più innovativi di questi anni.
Reflex di A.A.Min (1929 c.a.)
Kiev 10 (1965)
E' stata la prima automatica a
priorità di tempi fra le reflex con
otturatore sul piano focale.
L'esposimetro al selenio, con la
grossa cellula posta sul
pentaprisma, imposta
automaticamente la preselezione
del diaframma o blocca il pulsante
di scatto se il tempo impostato non
consente di esporre correttamente.
KIEV Arsenal (1948 - 1985)
Inizialmente la KIEV era la copia esatta della
Contax perchè costruita con i macchinari
della linea di produzione sequestrata a
Dresda come indennità per i danni di guerra.
Zorki 3M (1954)
La storia delle fotocamere sovietiche volge al tramonto quando il progressivo disfacimento economico che porta alla fine
dell'URSS (1991) si riflette anche nella mancanza di aggiornamento tecnologico e nella bassa qualità dei prodotti. Nel 1985
cessa la produzione della Kiev e con essa finisce anche la storia delle copie russe, iniziata prima e terminata dopo tutte le
altre.
36
Le fotocamere russe (1932 – 1985)
Fed “120” - FED, Felix Edmundovitch
Djerzinski's (1940 c.a.)
Zorki (I) – KMZ, Krasnogorsk Mekanicheski
Zavod (1948)
Leningrad - Gomz ,Officina Ottico-Meccanica
di Stato, (1956)
Zenit - KMZ, Krasnogorsk Mekanicheski
Zavod, (1953)
Start – KMZ, Krasnogorsk Mekanicheski Zavod,
(1958-1964)
37
Rolleiflex: la biottica per antonomasia Franke & Heidecke (1928)
Si trattava di fotocamere "doppie" in cui la parte superiore serviva alla messa a fuoco e quella inferiore per esporre la
lastra.
Nel 1800 tuttavia le biottiche non ebbero molto successo sebbene la pubblicità sostenesse che era possibile
controllare l'inquadratura anche a macchina carica, quindi passeggiare con la macchina già pronta allo scatto e senza
dover usare il treppiede. Ovviamente tutto questo veniva vanificato dall'ingombro della fotocamera e dalla bassa
sensibilità delle lastre, quindi fu necessario aspettare l'evoluzione tecnologica del primo '900 per avere una biottica
piccola e maneggevole.
Fra il 1910 ed il 1920 tre cose accelerarono bruscamante lo sviluppo delle
fotocamere: il definitivo affermarsi delle pellicole in rotolo, il perfezionamento
della stampa della lamiera di acciaio a freddo e la riduzione delle tolleranze
nelle lavorazioni meccaniche. La conseguenza fu immediata: le macchine
fotografiche diventarono di metallo, più piccole e più leggere, con maggiore
autonomia e più precise.
La Rolleiflex ebbe sempre la leadership delle biottiche; F&H ebbero la
genialità o la fortuna di realizzare fin dall'inizio un prodotto maturo, tale che la
filosofia della macchina rimase inalterata nei successivi 50 anni. Le modifiche
che distinguono un modello dall'altro servirono solo per adeguarla alle
innovazioni tecniche del tempo mentre le dimensioni ed il peso rimasero
sempre sostanzialmente invariate.
Rolleiflex "Original Rolleiflex"1928
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Rolleiflex: la biottica per antonomasia Franke & Heidecke (1928)
Storicamente la Rolleiflex ha una importanza che travalica l'era della biottica: il suo
apparire risvegliò l'interesse per il sistema reflex e dimostrò che era possibile costruire una
macchina piccola e leggera, che superava gli svantaggi e conservava i benefici di questo
sistema. Forse non è un caso che dopo pochi anni altri costruttori iniziarono a progettare
la monoreflex dell'era moderna.
Rolleiflex 4x4 - "Original Baby“ 1931
Usa pellicola 127 per 12 immagini 4x4
cm. Poichè il 127 non era numerato per
questo formato i tecnici della F&H
furono costretti ad inventare un
meccanismo che garantisse
l'avanzamento della giusta quantità di
pellicola. Nacque così la leva laterale
che risultò tanto comoda e veloce da
essere applicata immediatamente anche
alla Rolleiflex 6x6.
Rolleicord - "Rolleicord “
1933
(A sinistra) Il primo modello
della serie economica
Rolleicord costava meno della
metà della Rolleiflex, era
privo della leva di carica e
usava un più economico
obiettivo Zeiss Triotar. In
compenso era caratterizzato,
caso unico fra tutte le
fotocamere F&H, da
un'elegante finitura art-deco.
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Cnopm (Sport) 1935 Gomz ("Officina Statale Ottico-Meccanica")
La Cnopm è la prima reflex per pellicola 35mm.
Nella prima metà degli anni '30 il successo delle vendite della Leica e della Contax conferma l'esistenza di un mercato che
chiede macchine piccole, leggere e versatili mentre, allo stesso tempo, la Exakta aveva inaugurato la strada della reflex di
piccolo formato con un modello per pellicola 127 (per negativi 4x6 cm). Pertanto la comparsa di una reflex per pellicola
35mm è la logica evoluzione di un fenomeno in atto. In questo caso però i russi batterono sul tempo la potentissima
industria tedesca, riuscendo ad anticipare (di poco) l'analogo modello della Exakta.
La Cnopm non è mai giunta sui mercati occidentali prima della guerra, ed in seguito è rimasta un oggetto rarissimo e
sconosciuto fino a quando la caduta del muro di Berlino ha sancito una reale apertura delle frontiere.
L'otturatore costituisce l'aspetto più
interessante della Cnopm e ne
condiziona la forma. E' composto
da due lamine metalliche rigide che
scorrono sul piano focale. La
tendina superiore scorre in verticale
mentre la seconda scivola lungo
una guida in modo da spostarsi da
una posizione iniziale adagiata sul
fondo ad una finale inclinata di 45
gradi. La loupe per la visione reflex
è di generose dimensioni per poter
accogliere la tendina superiore.
Caratteristiche generali: Formato 24x36 mm, innesto ottiche a baionetta, loupe reflex + mirino galileliano, costruzione in
metallo. Pellicola contenuta in cassette metalliche dedicate, ricaricabili. Pulsante di scatto sul
frontale.
Otturatore: Verticale, composto da due tendine metalliche rigide, sul piano focale, autocoprente durante il riarmo.
Obiettivo: I-10 3,5/5cm, montatura a baionetta
40
La seconda generazione di reflex 35mm (1948 – 1955)
Durante la 2° guerra mondiale lo sforzo bellico aveva assorbito le energie di tutti i paesi coinvolti e il mercato delle
fotocamere non vide nessuna reale novità
Al termine della guerra molte industrie individuarono nel mercato fotografico l'opportunità di riconvertirsi alla produzione civile
e il 1947 può essere considerato l'anno in cui la scomparsa di molti modelli storici - folding e box - coincide con la nascita di
molti nuovi prodotti.
Fino alla fine degli anni '40 le fotocamere a telemetro erano decisamente vantaggiose rispetto alle reflex: erano più piccole e
immediate, avevano un sistema di messa a fuoco più efficiente e potevano disporre di una maggiore varietà di ottiche.
L'operatività delle reflex inoltre era penalizzata da tre problemi:
 Il mirino a pozzetto, piccolo e con i lati invertiti, richiedeva l'uso della lente per mettere a fuoco con certezza;
 Il diaframma manuale doveva essere aperto per focheggiare e chiuso per scattare;
 Lo specchio rimaneva alzato dopo lo scatto e impediva l'uso del mirino fino a quando non si armava l'otturatore.
L'attenzione dei progettisti si concentrò quindi su questi aspetti. In primo luogo la reflex venne dotata del pentaprisma, quindi
di schermi di messa a fuoco con lavorazioni superficiali più fini.
Con il pentaprisma e la leva di carica, che fu aggiunta pochi anni più tardi, la reflex prese l'aspetto che mantenne per i
successivi 40 anni, fino a quando la sua forma cambiò di nuovo per l'uso dalle materie plastiche e la necessità di ospitare
motori e batterie.
Contaflex - Zeiss Ikon, Stoccarda (1953)
Mentre tutte le reflex avevano l'otturatore sul piano focale ed ottiche
intercambiabili, la Zeiss Ikon introdusse una reflex controtendenza, con
otturatore centrale ed ottica fissa. Fu una piccola rivoluzione che aprì la
strada ad una famiglia di reflex più semplici ed economiche senza
penalizzare la qualità. Non potendo cambiare tutta l'ottica, per ragioni di
economia, queste macchine disponevano di gruppi ottici accessori da
montare davanti all'obiettivo o al posto del gruppo anteriore dell'obiettivo
stesso. Il risultato era di poter disporre delle stesse prestazioni ad un
prezzo inferiore, almeno fino a quando il corredo tipico del fotografo
ambizioso rimase limitato alla terna 28, 50 e 135 mm.
41
La seconda generazione di reflex 35mm (1948 – 1955)
La chiusura del diaframma divenne automatica nel corso degli anni '50, grazie a tre modifiche successive:
 In primo luogo venne aggiunta la ghiera di preselezione, che permette di impostare una battuta di arresto alla
chiusura effettiva del
diaframma, comunque fatta a mano;
 In un secondo tempo la chiusura del diaframma venne affidata ad un comando a molla, liberato dal pulsante di
scatto, la cui corsa (e quindi
la chiusura del diaframma) era limitata dalla preselezione. Dopo lo scatto il
diaframma doveva ancora essere aperto manualmente tramite una
leva che provvedeva anche a ricaricare la
molla.;
 Infine la riapertura del diaframma divenne automatica, facendo in modo che il pulsante di scatto chiudesse il
diaframma mentre la molla aveva
il compito di riaprirlo.
Il pentaprisma, che era stato brevettato già alla fine dell'800 senza aver trovato un reale utilizzo, fu la chiave di volta della
storia della reflex che, dal 1950, iniziò ad occupare sempre maggiori porzioni di mercato.
Contax (S) - Zeiss Ikon (Dresda, 1948)
Rectaflex - Rectaflex (Roma, 1948)
Duflex - Gamma (Budapest, 1947?)
L'otturatore è orizzontale invece che
verticale, con tendine di stoffa invece che
metalliche, le ottiche hanno l'innesto a
vite invece che a baionetta, il pulsante di
scatto è sul lato anteriore invece che
superiore.
Oltre al pentaprisma aveva uno
specchio che si riabbassava dopo lo
scatto e, per la prima volta nella
storia, uno schermo di messa a fuoco
con due piccoli prismi cementati per
produrre l'effetto di un telemetro ad
immagine spezzata.
La Duflex
aveva il mirino con
specchi di Porro (che raddrizza
l'immagine come il pentaprisma), il
diaframma automatico, la possibilità
di doppie esposizioni intenzionali e lo
specchio a ritorno istantaneo.
42
Nikon F: la nascita della reflex moderna (1959 – 1974)
Nel 1959 la reflex 35mm ha compiuto 24 anni e sono stati eliminati tutti i problemi che la rendevano scomoda: lo
specchio a ritorno istantaneo ha risolto il problema del mirino oscurato dopo lo scatto, il pentaprisma ha raddrizzato
la visione ed il diaframma non richiede più di essere chiuso a mano. Nell'arco di 10 anni scompaiono le macchine a
telemetro, il mercato è invaso dalle reflex e la maggior parte delle industrie ottiche europee chiudono o sono
fortemente ridimensionate.
In questo contesto la Nikon fa la scelta vincente che la farà diventare il nuovo leader del mercato: trasforma la sua
ottima macchina a telemetro in una reflex, invece di progettare una fotocamera completemente nuova.
La macchina a telemetro è modificata per alloggiare lo specchio con la ralativa meccanica, un mirino intercambiabile
ed una baionetta di grande diametro che in seguito non porrà limiti alla progettazione delle ottiche. Paradossalmente
l'unico primato che la F può vantare fra le reflex non deve essere costato molto: è stata la prima reflex 35 mm a
disporre di un motore elettrico, un accessorio derivato direttamente da quello della macchina a telemetro.
La Nikon F contribuì a far divenatre la reflex la macchina fotografica per antonomasia e la sua diffusione e affidabilità
consacrarono il nome di Nikon a sinonimo di fotocamera professionale
Caratteristiche generali:
Reflex per pellicola '135', formato 24x36 mm;
Innesto ottiche a baionetta "F" con diaframma automatico;
Mirino intercambiabile a pozzetto, con pentaprisma semplice o con
pentaprisma esposimetrico;
Specchio a ritorno istantaneo, costruzione in metallo;
Leva di carica per armare l'otturatore e trascinare la pellicola.
Otturatore:
Orizzontale sul piano focale, con tendina metallica.
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Le Olimpus OM System (1971-2000 c.a.)
Negli anni '70, mentre le reflex meccaniche cedono il passo alle elettroniche, la Olympus introduce due fotocamere
professionali che sono pietre miliari della storia della macchina fotografica: la OM-1, meccanica e manuale, che rivoluziona
le dimensioni delle reflex, e la OM-2, elettronica ed automatica, che apre la strada dell'esposizione in tempo reale.
OM-1 (1971)
Le caratteristiche di targa della OM-1 non sono di grande rilievo
ma essa introduce una rivoluzione di grande respiro nel mondo
delle reflex: è più piccola e leggera (30% c.a.) di tutte le reflex
della sua epoca. Ma soprattutto la OM-1 si impone all'attenzione
dei professionisti perchè le dimensioni ridotte non sono a scapito
della qualità, anzi è più silenziosa (e con meno vibrazioni) . Lo
studio ergonomico ha spostato il comando dei tempi su una
ghiera coassiale al bocchettone delle ottiche in modo che tutti i
comandi siano accessibili senza modificare la presa della
macchina.
Caratteristiche: SRL professionale 24x36mm;
otturature meccanico orizzontale con tendine di stoffa, tempi di scatto
1 - 1/1000 + B, sincro flash 1/60; autoscatto meccanico (12
sec.),ghiera dei tempi di scatto coassiale all'innesto delle ottiche;
esposimetro a galvanometro con riferimenti fissi nel mirino che utilizza
due cellule CdS ed effettua una lettura media con prevalenza al centro,
la sensibilità impostabile per la pellicola è 12 - 1600 ASA; presa flash
OM-2 (1975)
Pochi anni dopo la Olympus presentò la OM-2 con
prestazioni maggiori in un corpo gemello per dimensioni e
peso. La OM-2 rinnovò l'elettronica introducendo il primo
sistema real time di esposizione automatica. Con la OM-2 le
cellule esposimetriche vengono rivolte verso la pellicola e
continuano a funzionare durante lo scatto. In effetti la OM-2
disponeva di 4 elementi fotosensibili: due cellule all'interno
del mirino e due rivolte verso la pellicola. Questa semplice
rivoluzione consente alla fotocamera di decidere in tempo
reale e di variare il tempo di esposizione, se necessario,
durante lo scatto.
Caratteristiche: Reflex professionale 24x36mm; otturature
elettronico orizzontale con tendine di stoffa, tempi di scatto da 1
sec a 1/1000 + B, sincro flash 1/60. In automatico la OM-2
seleziona i tempi senza soluzione di continuità. Sistema
esposimetrico composto da due cellule CdS ai lati dell'oculare
44del
mirino (come la OM-1) e due fotodiodi al silicio posti nella camra
La nascita della Reflex autofocus (1981-1985)
L'autofocus è solo l'aspetto più evidente di un rinnovamento interno ed esterno che incorpora nella fotocamera motori di
trascinamento e automatismi più sofisticati all'insegna della sempre maggiore velocità operativa. La necessità di ospitare
motori e batterie apre la strada all'idea di rimodellare ampiamente il corpo della fotocamera allontanadosi dalla forma
tradizionale per migliorarne l'ergonomia mentre i classici comandi vengono abbandonati a favore di pulsanti e display. Così
la reflex cambia radicalmente aspetto, il peso scende ma le dimensioni aumentano per una migliore ergonomia ma anche
perchè una dimensione generosa appaga maggiormente l'occhio dell'acquirente.
Il primo sintomo di cambiamento nell'interfaccia uomo-macchina si era avuto con la Pentax ME Super (1980), una
fotocamera "tradizionale" che introduce per la prima volta due pulsanti elettrici per selezionare i tempi di scatto nell'uso
manuale, mentre le tre tappe fondamentali del cambiamento della reflex furono scandite da Konica FS-1, Pentax ME-F e
Minolta 7000.
Pentax ME-F - Asahi Optical Co. (1981)
Konica FS-1 - Konishiroku Photo indistry Co.
(1979)
Minolta 7000 - Minolta Corp. (1985)
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La nascita della Reflex autofocus (1981-1985)
La Konica FS-1, con messa a fuoco manuale, è la fotocamera che rompe la tradizione
"estetica" della reflex. Il motore di trascinamento viene integrato nel corpo macchina e le
batterie vengono alloggiate in una comoda impugnatura. Scompare la leva di carica e la
pellicola si avvolge sul rullo di gomma che riveste il motore; il tettuccio della fotocamera
è di plastica.
Le prime applicazioni dell'autofocus sulle reflex erano state sperimentate da Canon e
Ricoh con obiettivi che incorporavano il sistema autofocus. La Pentax ME-F è la prima
reflex realmente autofocus perchè i sensori e la logica di controllo sono posti all'interno
del corpo macchina mentre l'obiettivo dispone di motore e batterie per attuare i comandi
dell'autofocus. Il dialogo fra la macchina e l'obiettivo avviene tramite i contatti elettrici
che caratterizzano l'innesto KF.
L'autofocus della ME-F si basa su due file di sensori costituiti da
cellule fotometriche posti davanti e dietro al piano focale. I sensori
misurano separatamente il contrasto dell'immagine e la messa a
fuoco esatta è raggiunta quando entrambi misurano lo stesso
contrasto.
Caratteristiche: SLR 24x36 mm; innesto ottiche "KF" autofocus in congiunzione allo Zoom AF 35-70 f/2.8, proposto insieme alla
fotocamera. Con gli altri obiettivi fornisce comunque l'indicazione della messa a fuoco esatta tramite tre led visibili nel lato basso del
mirino. Un selettore sul lato destro del pentaprisma per scegliere il modo di funzionamento (automatico a priorità di diaframmi o
manuale più la posa B ed il tempo di sincro flash) e due pulsanti per impostare il tempo di scatto nell'uso manuale. Alla sinistra del
pentaprisma trovano posto i comandi dedicati all'autofocus. Senza obiettivo la fotocamera, che misura 132x87,5x49,5 cm, è una delle
reflex '135' più piccole che siano mai state realizzate.
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La nascita della Reflex autofocus (1981-1985)
La 7000 raccoglie l'eredità della FS-1 e della ME-F, mette in discussione l'intero progetto della reflex eliminando tutte le
ghiere (la macchina interagisce con l'utente solo tramite pulsanti e display, solo nell'obiettivo sopravvivolo le ghiere e le
relative scale graduate della distanza di messa a fuoco e della lunghezza focale impostata); la plastica predomina nella
costruzione della macchina e degli obiettivi e, soprattutto, cambia la modalità operativa con una forte spinta all'uso del
PROGRAM, l'unica modalità che ha un tasto dedicato, piuttosto che invitare l'utente a scegliere l'uso automatico o
manuale. la 7000 risultò uno strumento ideale per i novizi, generoso con il pubblico meno interessato alla tecnica e
affascinante per quello sensibile alla tecnologia. D'altra parte la 7000 non sembra progettata per l'uso professionale: ha un
aspetto leggero e non vanta particolari doti di robustezza, dipende totalmente dalle batterie ) e l'autofocus ha molte
incertezze quando
la luce comincia
a scarseggiare.
Caratteristiche:
Trascinamento
e riavvolgimento
motorizzati. Pentaprisma fisso, schermo di messa a fuoco intercambiabile, smerigliato
con lente di Fresnel e indicazione della zona di messa a fuoco. Indicazioni nel mirino: tempi, diaframmi, sovra e sotto esposizione,
modalità operativa, indicazione di messa a fuoco corretta, pronto flash, test pile. Esposimetro con 2 cellule al silicio, misurazione su
tutto il campo con prevalenza della zona centrale da EV 1 a 20. Sensibilità impostabile manualmente da 25 a 6400 ISO o automatica
con lettura del codice DX.ì. Otturatore elettronico a scorrimento verticale, tempi da 30 secondi a 1/2000 di sec. Autoscatto elettronico
con ritardo di circa 10 secondi. Alimentazione: 4 pile microstilo (AAA) più una pila al litio. Dimensioni: 52x92x138 mm solo corpo.
Peso: 555 gr.
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Le fotocamere camuffate e le microcamere
Alla fine dell'800 dilaga nel mondo anglosassone la moda degli investigatori privati: sono gli anni
in cui nasce il personaggio di Sherlok Holmes, fanno sensazione le imprese dell'agenzia Pinkerton
ed una delle parole più alla moda è "detective". In questo contesto nascono le fotocamere
camuffate, non a caso chiamate detective. Questo nome identifica in particolar modo le
fotocamere a forma di parallelepipedo rivestito di pelle che, discostandosi molto dalla forma tipica
della macchina fotografica, potevano essere scambiate per innocue valigette. Le fotocamere
camuffate sono state costruite in numerose varianti. Alla grande famiglia delle fotocamere
camuffate si possono associare le microcamere, che si prefiggono di passare inosservate grazie
alle dimensioni ridotte. Del resto le microcamere sono state spesso mimetizzate nascondendole
all'interno di fibbie, pacchetti di sigarette ed altri oggetti di uso comune
Micro 16 - WM. R. Whittalker Co.
Los Angeles, California 1950
Stylophot - SECAM, Parigi
inizio anni '50
Pixie Flash - WM. R. Whittalker
Los Angeles, California 1950
F-21 KMZ - Krasnogorsk
(Mosca) URSS 1960 c.a.
Microcamera per pellicola 16 mm,
di dimensioni esatte per essere
alloggiata all'interno di un
pacchetto di sigarette senza filtro.
Microcamera formato 10x10 mm,
dall'aspetto - poco convincente di una penna. L'inganno può
riuscire solo a debita distanza e
impugnando la penna in modo
tale da mostrare il lato
posteriore, liscio e uniforme.
E' dotata di un refil a sfera.
Microcamera 16 mm dalle
dimensioni minime equipaggiata
da uno sproporzionato flash (usa
le stesse lampade di una
Graflex!) in un insieme assurdo
ed esilarante.
Microcamera 18x24 mm
dotata di un motore a molla
(o elettrico, nelle più
recenti), ottiche
intercambiabili ed un
otturatore molto silenzioso.
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Toy-cameras (dal 1930 c.a. ad oggi)
Le toy-cameras sono fotocamere in cui l'aspetto ludico si affianca a quello fotografico. Sono
quasi sempre di fattura semplice, costo limitato e con le sembianze di un giocattolo e, per questo
motivo, potrebbero far parte della famiglia delle fotocamere camuffate. Tuttavia è conveniente
trattarle separatemente perchè hanno un target di mercato diverso e due possibili funzioni. I
suoi utilizzatori sono i bambini ed i collezionisti (prevalentemente americani).
A causa del basso costo e del pubblico primario a cui si rivolgono le fotocamere giocattolo si
prestano a molti usi commerciali; così, accanto alle fotocamere destinate alla vendita, ci sono
quelle omaggio distribuite direttamente o associate ad altri prodotti, quelle destinate alle raccolta punti e quelle promozionali.
La toy-camera nasce in America all'inizio degli anni '30 del XX secolo come versione speciale, decorata, di una fotocamera di
serie. Le prime decorazioni sono i simboli dei boy scout, poi seguono le rappresentazioni commemorative e infine gli eroi dei
fumetti.
Curiosamente il collezionismo ha scoperto un'altra tipologia di oggetti nei quali prevale l'aspetto ludico rispetto a quello
funzionale, e che quindi possono essere considerati parenti delle toy-cameras: le non cameras, oggetti che hanno la forma
ma non la funzione delle fotocamere. Di solito si tratta di gadget: accendini, fermacarte (avete presente l'Hasselblad di
cristallo?), spille, portachiavi, posacenere, candele, fibbie, salvadanai ed altro. Ma esistono anche fotocamere che vengono
acquistate perchè hanno la forma di una fotocamera, cioè perfettamente funzionanti ma destinate al collezionismo, non
all'uso: toy-cameras per un pubblico adulto.
Voltron Star Shooter
Impulse LTD (1985)
TopoClic – Disney (1998)
Fotocamera omaggio
distribuita con il
giornalino Topolino in
parti da assemblare.
TAZ – Polaroid (1999)
Fruttolo – Galbani (1998 c.a.)
Nel 1999 la Polaroid “scopre” il
segmento delle fotocamere
giocattolo e realizza alcune
macchine con l'effige dei
personaggi Looney Tunes
Fotocamera distribuita come
premio di una raccolta punti.
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La Fotografia Digitale (Dal 1988)
Parlando di fotografia digitale, il termine "Storia" può forse sembrare eccessivo visto che, con tutta la migliore buona
volontà, gli albori di questa tecnica risalgono a non più di 15 anni fa. Si tratta comunque di un periodo pieno di fermenti e
progressi enormi.
La prima fotocamera completamente digitale viene commercializzata intorno al 1988 in Giappone, non si tratta però di un
prodotto adatto al grande pubblico, ne per costo, ne per semplicità d'uso. Nello stesso anno vengono prodotti sensori
sino a 4 milioni di pixel, una cifra di tutto rispetto! Si tratta ancora, però, di sperimentazioni senza vasta diffusione.
Si può fissare la data d'inizio della diffusione della fotografìa digitale intorno al 1992; in questo anno vengono
commercializzate macchine fotografìche digitali che ottengono un discreto successo di vendita, grazie al loro costo,
finalmente accessibile, ed alla migliorata facilità d'uso.
Fra le prime macchine destinate al grande pubblico citiamo la Logitech Fotoman del 1992.
La Fotoman poteva scattare 32 fotografìe in 256 livelli di grigio che potevano essere trasferite al computer per mezzo
della porta seriale. La risoluzione era di 75 dpi mentre il tempo di esposizione minimo era di 1/1000 di secondo; il prezzo
si aggirava attorno al milione e mezzo di lire (circa 780,00 euro). Nel 1995 la Logitech produce la Fotoman Pixtura,
decisamente più evoluta del modello precedente. Innanzitutto è a colori, con profondità di 24 bit; le immagini ora sono a
risoluzione 768x512 pixel e Se ne possono scattare sino a 48. Ma è nel 1996 che il mercato delle macchine fotografiche
digitali esplode.
Logitech Fotoman Pixtura
(Kodak DC-40) 1995 - 756 x
504 pixel CCD. ISO 84. 4MB
internal memory. 42mm, fixedfocus lens. Shutter 1/30 to
1/175 second.
Logitech Fotoman (1992) - 24 bit
color (when using an optional
color filter system) or gray
scale. 495 x 366 pixel CCD. ASA
200. Shutter 1/30 to 1/2000
second. Fixed-focus lens. Internal
storage up to 32 photos.
SONY ProMavica MVC-7000 (1992) - Professional
SLR, 3 CCD chip still video camera. The MVC-7000
accepted lenses designed for Nikon or Canon bayonet
mounts. It had through-the-lens (TTL) viewing, a hot
shoe, choice of center weighted or spot metering, and
variable ISO. An 8mm to 48mm zoom lens was
standard.
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La Fotografia Digitale (Dal 1988)
La risoluzione
Sostanzialmente la pellicola chimica ha ancora più punti e, quindi, una risoluzione migliore di un sensore CCD; si parla di
pellicole da 35 mm, il confronto con le grandi pellicole 6x6 o più non si pone neppure. Nella valutazione di una fotocamera
digitale si da quindi molto peso alla risoluzione massima consentita. La risoluzione dei CCD viene espressa in pixel, o
meglio con il multiplo MegaPixel (un milione di pixel); questa unità di misura è abbastanza inusuale per chi è abituato alla
risoluzione espressa in dimensione dell'immagine. Ma la conversione è abbastanza semplice:
Immagine 640 x 480 = 307.200 pixel = 0,3 megaPixel
Immagine 800 x 600 = 480.000 pixel = 0,48 megaPixel
Immagine 1024 x 768 = 786.432 pixel = 0,78 megaPixel
Immagine 1600 x 1200 = 1.920.000 pixel = 1,9 megaPixel
Immagine 1920 x 1440 = 2.764.800 pixel = 2,8 megaPixel
Immagine 2048 x 1536 = 3.145.728 pixel = 3,1 megaPixel
Il CCD:
Il C.C.D. (Charge Copuled Device, "Dispositivo a scorrimento di carica") è un componente elettronico composto da
materiali semiconduttori , come il silicio, sensibili alla luce. Quando un fotone colpisce la superficie del CCD vengono
liberati elettroni che si accumulano nei singoli elementi del CCD (pixel). Quanto piu' e' brillante l'oggetto su cui viene
puntato il CCD tanto piu' saranno i fotoni che lo colpiscono e quindi gli elettroni che si accumulano in ciascun pixel.
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La Fotografia Digitale (Dal 1988)
Gli elementi di una macchina fotografica digitale
Compensazione esposizione
II Pulsante Compensazione Esposizione, permette di poter
regolare la macchina per ottenere foto più chiare o più scure.
Pulsante Programma
II Pulsante Programma soggetto digitale, ottimizza le
prestazioni della fotocamera nella ripresa di varie scene o
soggetti.
LCD
Lo schermo LCD permette di visualizzare l'anteprima delle
foto scattate o contenute nella scheda inserita; inoltre,
permette di visualizzare comandi e impostazioni.
Menu
Joystick
Pulsante di sblocco
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La Fotografia Digitale (Dal 1988)
Gli elementi di una macchina fotografica digitale
Le schede di memoria
Le immagini catturate vengono salvate sulle schede di memoria
removibili. Le schede di memoria sono dei dispositivi nei quali è
possibile registrare il risultato della cattura: nel caso della Minolta
Dimage S304 è possibile archiviare sia immagini che suoni ed
anche brevi filmati.
Per cambiare, o semplicemente estrarre la scheda, occorre
spegnere l'apparecchio dall'interruttore principale, quindi sollevare
l'apposito pulsante, a lato della fotocamera, ed estrarre la scheda,
con una leggera pressione delle dita. Una volta estratta la scheda è
possibile sostituirla con il procedimento inverso. Vi sono diversi tipi
di schede removibili: da 8, 16, 32 MB fino a 1 GB. Il MB (Megabyte)
è l’unità di misura della capacità dei dischi nei computer.
L'alimentazione
La presa di corrente ed il coperchio dello scomparto scheda
Per poter funzionare, la fotocamera ha bisogno di energia elettrica;
vi sono due modi per alimentare il dispositivo: tramite le batterie o
attraverso un adattatore che viene collegato alla presa di corrente e
fornisce l'alimentazione dovuta (generalmente 6 V a corrente
continua).
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Evoluzione tecnologica…
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Fly UP