Comments
Description
Transcript
Storia della macchina fotografica
Storia della Meccanica Storia della Macchina Fotografica Autori : Matteo Fumagalli Carlo Galli Cristian Guglielmetto Docente : Prof. Edoardo Rovida Politecnico di Milano A.A. 2004-2005 IV Facoltà – Ingegneria Industriale Cronologia : 350 a.C. Nei "Problemata" Aristotele parla della sensibilità alla luce di alcune sostanze come di cosa 70 d.C. Plinio il Vecchio scrive: "quattuor coloribus solis immortalia illa opera secere...“ XI secolo Lo studioso arabo Ibn al-Haytham accenna alla camera oscura. 1520 c.a. Leonardo da Vinci descrive in modo particolareggiato il principio della camera oscura. nota. 1550 Girolamo Cardano afferma che una lente positiva al posto di un semplice foro consente di ottenere una immagine più luminosa e più nitida. XVII secolo 1609 I pittori utilizzano regolarmente le camere oscure per ritrarre i paesaggi. Galileo perfeziona il telescopio. 1657 Kaspar Schott intruduce un'importante novità: due cassette scorrevoli, una dentro l'altra, permettono di variare la distanza fra la lente e il piano su cui si forma l'immagine, e quindi di mettere a fuoco la camera oscura. Questa invenzione segna la data ufficiale della nascita della macchina fotografica: per oltre due secoli e per 50 anni dopo l'invenzione della fotografia non cambierà in modo sostanziale. 1676 Johann Heinrich Schulze ebbe l'idea di porre uno specchio inclinato a 45 gradi dentro la camera di Schott per proiettare l'immagine su uno schermo traslucido posto sul lato superiore. E' nata, di fatto, la reflex. 1801 W.H.Wollaston scopre l'effetto fotochimico del nitrato d'argento. 1816 Joseph Nicephore Niepce (1765-1833) inizia i propri studi utilizzando carta sensibilizzata con cloruro d'argento ma non riesce a rendere stabili le immagini. Dopo alcuni anni abbandona la strada dell'argento. 1824-26 Nicéphore Niépce realizza le prime immagini stabili utilizzando il bitume di Giudea. 2 Cronologia : 1833 Antoine Hercules Florence informa l'Académie des Sciences di aver fissato le immagini della camera oscura ma non riceve alcuna risposta. Non c'è nessun riscontro che avvalori la sua scoperta, tuttavia egli usa per la prima volta la parola fotografia e conia il verbo fotografare (da photós, luce e gráphein, scrivere). 1835 7/1/1839 Henry Fox Talbot riesce a fissare temporaneamente, con una soluzione concentrata di sale, dei fogli di carta impregnati di cloruro d'argento. Louis Jacques Mandè Daguerre (1787-1851) annuncia di essere riuscito a fissare le immagini, senza rivelare i particolari dell'invenzione. 14/7/1839 Louis Hippolyte Bayard (1801-1887), inventore di un procedimento positivo diretto su carta e forse il più grande fotografo del primissimo periodo, espone a Parigi 30 immagini. E' la prima mostra fotografica della storia. 19/8/1839 Daguerre rende pubblico il procedimento presentandolo all'Accademia delle Scienze: il daguerrotipo utilizza una lastra d'argento argentata esposta ai vapori di iodio per formare ioduro d'argento, sensibile alla luce. Il governo francese lo ricompensa con un vitalizio. 1840 Talbot scopre l'immagine latente ed il procedimento negativo-positivo che riduce il tempo di esposizione e permette di ottenere più copie positive da un negativo. 1840 Petzval e Voigtlander calcolano del primo obiettivo da ritratto. 1841 Sir Charles Wheatstone esegue i primi esperimenti di stereoscopia. 1850 c.a. Il soffietto rende le fotocamere più compatte e trasportabili. L'invenzione probabilmente risale al 1845 ed è dovuta S. L. Levitsky (Russia, 1819-1898) 1851 potassio. F.Scott Ascher utilizza per la stampa a contatto della carta spalmata di albume d'uovo e bromuro di 3 1853 Prima macchina "a sviluppo immediato": il progetto di F. S. Archer aveva due manicotti a tenuta di luce in Cronologia : 1854 Disderi brevetta la "carte de visite": ritratti di piccolo formato che saranno di gran moda, prodotti in grandissima quantità, scambiati e collezionati. 1855 Franz Hampfstangel inventa il ritocco del negativo. 1857 Uso dell'illuminazione a gas per i ritratti a luce artificiale. 1859 Primo impiego della luce al magnesio (Cooke). 1859 120°. Thomas Sutton ottiene il brevetto del Liquid Panoramic, il primo obiettivo grandangolare: copre un campo di 1861 Invenzione dell'otturatore a tendina sul piano focale. 1869 Louis Ducos du Hauron pubblica il libro "Il colore in fotografia: soluzione del problema" . E' la base teorica del procedimento sottrattivo su cui si basano tutti i metodi moderni ma occorreranno quasi 80 anni prima che possa diventare un processo industriale. Un altro ricercatore, Charles Cros, giunge contemporanamente allo stesso risultato senza che i due avessero consapevolezza l'uno dell'altro. 1872 Trasmissione di fotografie con il telegrafo. 1880 Il "New York Daily Graphic" utilizza per primo il retino nella stampa delle fotografie. 1880/84 Invenzione della pellicola in rotoli. 1888 George Eastman inventa il nome Kodak per la sua prima fotocamera. 1889 Eastman produce una pellicola trasparente di nitrocellulosa. 1889 Viene posto in vendita l'obiettivo anastigmatico di Paul Rudolph. 4 Cronologia : 1891 Thomas Rudolf Dallmeyer brevetta in Inghilterrra il primo teleobiettivo. 1891 Gabriel Lippmann inventa un procedimento per fare fotografie a colori, ma è così complesso che non sarà mai commercializzato. 1895 Auguste e Louis Lumiere annunciano al mondo la nascita del cinema. 1903 Fanno la loro comparsa sul mercato gli obiettivi Zeiss Tessar. 1903 L'assemblea legislativa dello stato di New York ratifica una legge che proibisce l'uso della fotografia di una persona per scopi commerciali senza la sua approvazione scritta. 1905 In Georgia la Corte Suprema riconosce il diritto alla "privacy". 1907 I fratelli Lumiere mettono a punto il procedimento a colori autochrome. 1913 Oskar Barnak costruisce il prototipo della Leica. 1914 La Kodak introduce il sistema Autoghaphic, che può essere considerato il primo dorso datario della storia. 1916 La Kodak inventa il telemetro accoppiato alla messa a fuoco dell'obiettivo. 1930 Ostermeyer inventa una lampada elettrica composta da fogli di alluminio che bruciano rapidamente: è la nascita dei flash a lampadina. 1930 Vengono prodotti i primi esposimetri elettrici. 1931 H. Edgerton mette a punto il lampeggiatore elettronico. 1931 Wladimir Zworykin inventa la televisione. 5 Cronologia : 1935 La Kodak commercializza il "Kodachrome", la prima pellicola a colori. Gli inventori sono Leopold Mannes e Leopold Godowsky, due musicisti. 1935 La Carl Zeiss Jena brevetta un modo per velare le superfici dei vetri con floruri di magnesio ed altri composti: è l'esordio dei trattamenti antiriflessi. 1935 La Cnopm (USSR) è la prima reflex per pellicola 35mm. 1938 La Super Kodak Six-20 è la prima fotocamera automatica. 1939 La NBC è la prima televisione con trasmissioni regolari. 1942 La pellicola Kodacolor è il primo negativo per stampe a colori. 1948 Edwin Land, già inventore delle lenti polarizzate, inventa la Polaroid. 1948 Victor Hasselblad mette in vendita la sua prima "Hasselblad" . 1949 La Contax S, dotata di pentaprisma fisso, è la prima reflex 35mm di aspetto "moderno" . 1959 La Voigtlander pone in vendita lo Zoomar 36-82 mm f 2,8 il primo obiettivo a focale variabile applicato ad una fotocamera. 1959 La Nippon Kogaku produce la Nikon F . 1960 La Konica F è la prima reflex con otturatore a tendine metalliche sul piano focale . Vanta un tempo veloce di 1/2000 ed un sincro flash di 1/125. 1962 – 68 Viene realizzata l'esposizione automatica attraverso l'obiettivo (ttl). 6 Cronologia : 1976 La Olympus OM-2 rende automatica anche la misurazione della luce flash. Nello stesso anno, per la prima volta, una mostra di foto a colori entra in un museo (William Eggleston al Museum of Modern Art di New York). 1981 La Sony presenta la Mavica: la prima macchina fotografica che utilizza un supporto magnetico al posto della pellicola. 1981 La Pentax inaugura la stagione della reflex autofocus. 1990 Viene prodotto il Photo-CD, frutto di un accordo fra Philips e Kodak. 1999 La Nikon presenta la reflex D1, la prima SLR digitale progettata in quanto tale, non come rielaborazione di un modello per pellicola, pur integrandosi pienamente nel corrisponde sistema 35mm di ottiche ed accessori. 11/02/2002 Un comunicato stampa annuncia il primo ccd al mondo in cui ogni pixel cattura la luce rossa, verde e blu. 7 La camera oscura Principio di funzionamento : Una stanza immersa nell'oscurità, nella quale si apriva un foro circolare, consentiva di osservare sulla parete opposta l'immagine capovolta del sole; nei secoli successivi fu menzionata da astronomi e filosofi, tra cui Bacone e l'Arcivescovo di Canterbury, Peckham. Naturalmente essa consente di osservare anche altri oggetti anteposti al foro, purché fortemente illuminati, e se viene ridotta alla dimensione di una scatola, l'immagine può essere vista dall'esterno sostituendo la parete di fondo con uno schermo traslucido, ad esempio un vetro smerigliato o un pezzo di carta semitrasparente. Affinché l'immagine sia nitida il foro deve essere molto piccolo e viene appunto definito stenopeico. Nello schema l'albero è illuminato dal sole, i raggi vengono riflessi da ogni singolo punto in tutte le direzioni ed ipotizzando un forellino tanto piccolo da lasciar passare solo un raggio di luce fra i tanti riflessi da ogni punto, si potrà intercettare sullo schermo traslucido un solo raggio per ogni singolo punto: l'immagine è capovolta e speculare. L'immagine appare tanto più nitida quanto più piccolo è il foro, ma ciò la rende sempre meno luminosa; il contrario accade se si allarga il buco poichè ogni punto del reale viene intercettato più volte sul piano del virtuale. La lente permise di aumentare la luminosità senza perdere nitidezza. 8 La camera oscura Sembra che il primo ad averla concepita sia stato Aristotele, addirittura nel IV secolo a.C. allo scopo di osservare un'eclissi di sole. Nel 1039 l'erudito arabo Alhazan Ibn Al-Haitham la usò anch’egli per osservare un'eclisse. Nel 1515 Leonardo da Vinci, studiando la riflessione della luce sulle superfici sferiche, descrisse una camera oscura che chiamò “Oculus Artificialis” (occhio artificiale). Un apparecchio simile, anche stavolta usato per studiare l'eclissi solare del 24 gennaio 1544, fu illustrato inoltre dallo scìenziato olandese Rainer Geinma Frisius. Un disegno dell'olandese Rainer Geinma Frisius raffigurante il principio secondo il quale funziona una camera oscura. Risale al 1544 Nel corso del tempo la camera obscura assunse molte forme diverse: poteva essere una carrozza oscurata, una tenda o una scatola; fondamentalmente però era uno strumento di semplice osservazione o di "ripresa", cioè di forma tale da consentire il ricalco dell'immagine. La versione fotografica della camera obscura è la fotocamera stenopeica, che differisce dalla camera obscura solo per il fatto di essere predisposta per contenere un supporto sensibile alla luce, su cui si forma l'immagine. 9 La camera oscura Una stupenda ed accurata rappresentazione della "chambre obscure" appare in una delle tavole dell'Enciclopedia di Diderot, Montesquieu e d'Alambert. L'incisione mostra due diverse tipologie di camera oscura per il disegno di panorami. Il primo tipo è una struttura in legno destinata ad essere portata in posizione come una portantina. L'obbiettivo periscopico proietta su un tavolino all'interno l'immagine da "ricalcare". Il sistema di aerazione dell'abitacolo colpisce per la somiglianza che presenta con soluzioni di carattere strettamente fotografico, adottate più di un secolo dopo. Si trattava infatti di garantire un efficace ricircolo d'aria, senza permettere alla luce di penetrare. La chiusura della porta di accesso, in corrispondenza del sedile, costituisce un espediente di impressionante modernità. Più tradizionale è la camera oscura a periscopio e tenda. Si tratta di uno strumento di studio della prospettiva più pratico e maneggevole. Il panno per schermare l'operatore dalla luce non può che suggerire il telo nero che i fotografi utilizzeranno per decenni insieme alla fotocamera a banco ottico ma dovrà passare ancora quasi un secolo! 10 La camera oscura Ma la "camera oscura" venne utilizzata soprattutto dagli artisti del Rinascimento per proiettare, su pareti o su tele, immagini che servivano da falsariga per realizzare un disegno o un dipinto. Si sa ad esempio che Raffaello ne fece ampio uso e con lui tutti quegli artisti che avevano necessità di riprodurre ampie prospettive con un fedele disegno dei paesaggi. Nel 1550 il filosofo e fisico pavese Girolamo Cardano ottenne un'immagine più nitida applicando al forellino anteriore della "camera oscura" una lente convessa, antenata dell'obbiettivo fotografico. Tre anni dopo, il fisico napoletano Giambattista Della Porta descrisse, nel suo libro “Magía Naturalis”, un apparecchio con lente e con specchio riflettore per il raddrizzamento dell'immagine sul piano orizzontale superiore, costituito da un vetro smerigliato. E' il principio dei moderni, apparecchi reflex. (Giambattista Della Porta previde anche l'uso e l'evoluzione della "lanterna magica", antenata del proiettore cinematografico). Non bisogna poi dimenticare il veneziano Daniele Barbaro, ìl quale nel libro "La pratica della prospettiva", pubblicato nel 1568, descrive una "comera oscura" munita di lente biconvessa, utile per il disegno prospettico. Come si vede, gli studiosi italiani del Rinascimento contribuirono in modo notevole a porre i fondamenti ottici della moderna fotografia. Nel Seicento divenne frequente l'uso della camera obscura portabilis: una scatola con una lente da una parte (per l'entrata della luce) ed uno schermo di vetro smerigliato dall'altra, cosicchè l'immagine poteva essere vista dall'esterno della camera. Nel 1620 Giovanni Keplero usava una specie di tenda da campo come 'camera obscura'. Una lente ed uno specchio sulla sommità della tenda rinviavano l'immagine su un piano all'interno. Keplero poteva così effettuare i suoi rilievi topografici. Proiettore con lampada a petrolio, antenato degli attuali proiettori per diapositive. 11 La camera oscura Gli artisti del seicento facevano uso della camera obscura (come veniva allora chiamata) non soltanto per i ritratti ma anche per disegnare paesaggi. Una camera oscura gigante fu costruita per tale uso nel 1646 ad Amsterdam dall'olandese Athanasius Kircher. Le dimesioni erano tali che il disegnatore (ed eventualmente un suo aiutante) poteva entrare all'interno della camera oscura. Su una parete un piccolo buco consentiva alla luce di passare andando a riprodurre il paesaggio esterno sulla parete opposta. Il disegnatore in piedi tracciava su un grande foglio steso sulla parete i tratti del paesaggio. Il disegno veniva poi completato nello studio dell'artista. Kircker intuì anche che il fenomeno poteva avvenire anche al contrario in proiezione ed ideò la cosiddetta 'lanterna magica' un proiettore di disegni che fu l'antenato dei proiettori cinematografici moderni. 1646 Amsterdam. L'inventore della 'lanterna magica' Athanasius Kircher costruisce questa enorme camera oscura per ritrarre i paesaggi. 12 La camera oscura Finalmente, nel 1685, il tedesco Johann Zahn realizzava una "camera oscura" a reflex che perfezionava quella descritta da Della Porta. Aveva nell'interno uno specchio, collocato a 45 gradi rispetto alla lente dell'apertura, che rifletteva l'immagine su un vetro opaco. Ponendo un foglio da disegno sul vetro, era possibile disegnare l'immagine così proiettata, ricalcandone i contorni visibili in trasparenza. Zahn costruì in seguito una macchina più piccola e di uso meno complicato, trasportabile ovunque. Uno strumento di grande ausilio per disegnatori tecnici e pittori che continuò ad essere usato per almeno due secoli. Esso si basava sullo stesso identico principio grazie al quale funzionano oggi le moderne fotocamere reflex. In queste ultime lo specchio è stato sostituito da un pentaprispa di cristallo. Sopra - Una camera oscura reflex da disegno degli inizi dell'800. Lo specchio interno deviava la proiezione di 45 gradi verso la parte superiore, dove veniva steso il foglio da disegno. A lato – il libro “Oculus artificialis teledioptricus sive telescopium” scitto da J. Zahn e pubblicato nel 1685 a Würzburg 13 La camera oscura Alcune tipologie di camera oscura : Tenda oscura trasportabile L'immagine veniva inviata all'interno da uno specchio posto alla sommità della struttura. Un modello simile venne ideato da Keplero nel 1620. Camera obscura da Camera obscura trasportabile, risale alla seconda metà del 18th secolo ed è dotata di uno specchio inclinato di 45° che consente di raddrizzare l'immagine. E' l'antesignana delle moderne reflex. La messa a fuoco si effettua mediante la regolazione di un tubo estensibile che incorpora delle lenti pianoconvesse. Questo strumento era originariamente montato su un sostegno del quale però non si hanno tracce. studio. Dimensione: 190x165x120 mm 14 La camera oscura Camera oscura risalente circa al 1890 che fu utilizzata per dimostrazioni ottiche nelle scuole. L’immagine si proietta su un vetro piano di 160x110 mm. E’ possibile inoltre regolare il fissaggio stereoscopico dell’immagine all’interno del corpo della macchina. La tavola di apertura poteva essere mossa sia orizzontalmente che verticalmente allo scopo di facilitare le immagini parziali. Dimensione : 215x190x160 mm Camera oscura risalente agli inizi del 20th secolo che fu utilizzata per le dimostrazioni didattiche. Un tubo montato anteriormente era dotato di lenti biconvesse da 80 mm di diametro. L’immagine proiettata su di un vetro piano manifestava in modo marcato il problema dell’aberrazione ottica. Dimensione : 400x210x170 mm Modello di camera oscura in metallo risalente alla prima metà del 20th secolo e fu probabilmente costruita come giocattolo per bambini. Era dotato frontalmente di lenti biconvesse mentre posteriormente era presente uno specchio inclinato a 45° grazie al quale i raggi luminosi venivano riflessi su un vetro piano posizionato orizzontalmente della dimensione di 110x90 mm. Dimensione : 185x135x130 mm 15 La camera oscura : gli studi di Leonardo da Vinci Disegno di Leonardo che illustra una tecnica per disegnare con precisione prospettica "La sperientia che mostra come li obbietti mandino le loro spetie over similitudini intersegate dentro all'occhio nello umore albugino, si dimostra quando per alcuno piccolo spiraculo rotondo penetrano le spetie delli obbietti alluminati in abitatione fortemente oscura: allora tu riceverai tale spetie in una carta bianca posta dentro a tale abitatione lquanto vicina a esso spiraculo e vedrai tutti li predetti obbietti in essa carta colle loro proprie figure e colori ma saran minori e fieno sottosopra per causa della intersegatione li quali simulacri se nascieranno di loco alluminato del sole saran proprio dipinti in essa carta la quale vuole essere sottilissima e veduta da rovescio e lo spiraculo detto sia fatto in piastra sottilissima di ferro". ( Leonardo da Vinci - Codice Atlantico) Studi di prospettiva (Codice Forster I) 16 La camera oscura : gli studi di Leonardo da Vinci MANOSCRITTO C (c. 1490-91; cm. 31,5x22) Composto di 32 carte, comprendeva originariamente un altro fascicolo, purtroppo perduto, dedicato al tema "De ombra e lume", cioè al variare delle apparenze degli oggetti secondo che siano illuminati o in penombra. Leonardo studia i fondamenti ottici di questi fenomeni in modo da poterli riprodurre con precisione, come pittore. cc. 10v-11r: studi sulla proiezione della luce attraverso una piccola apertura (sinistra) e sulle ombre derivate (destra). LEONARDO DA VINCI - Studi sulla riflessione della luce Ms. C (IFP), c. 3v LEONARDO DA VINCI - Studi sulla proiezione della luce attraverso una piccola apertura 17 Ms. C (IFP), c. 10v Le fotocamere a cassette scorrevoli (1820-1860 circa) Le fotocamere a cassette scorrevoli non sono altro che la camera oscura di Kaspar Schott modificata per accogliere un supporto sensibile al posto del vetro su cui viene proiettata l'mmagine. Le due cassette, scorrevoli una dentro l'altra, permettono di variare la distanza fra la lente e il piano su cui si forma l'immagine, e quindi di mettere a fuoco la camera. Niépce, Daguerre e Talbot utilizzarono tutti fotocamere di questo tipo, magari con qualche curiosa variante: ad esempio quelle utilizzate da Talbot per i primi esperimenti ad annerimento diretto avevano un foro di ispezione, chiuso da un tappo, nella parte anteriore: i tempi di esposizione erano così lunghi che una sbirciata di verifica di quando in quando non arrecava nessun danno all'immagine. Le cassette scorrevoli sopravvissero a lungo anche dopo l'avvento delle più pratiche macchine a soffietto perchè molti fotografi apprezzavano la semplicità e la robustezza che rendeva questa fotocamera quasi indistruttibile. In particolare la preferirono a lungo gli esploratori e i fotografi girovaghi, che cercavano clienti nelle piazze di città e nei mercati di campagna. Fin dai primi anni vennero studiati diversi modi per smontare le cassette per il trasporto. I limiti che non vennero risolti erano che ognuna di esse era costruita per un particolare obiettivo e che disponevano di movimenti (basculaggi e decentramenti) molto limitati o assenti. Ma questa scarsa flessibilità non venne mai avvertita dai suoi utilizzatori, che nei primi tempi avevano ben altro a cui pensare e successivamente la preferivano ai modelli a soffietto per la sua robustezza. Modello di fotocamera a cassette scorrevoli in cui si nota la caratteristica dello specchio inclinato per capovolgere le immagini. 18 Le fotocamere a cassette scorrevoli Caratteristiche generali: Fotocamere di legno, costruite con due parallelepipedi che entrano uno dentro l'altro. Le più evolute avevano l'ottica decentrabile. Le misure variavano da molto piccole, come quelle ricavate da scatole di sigari da Talbot per i suoi primi esperimenti, ad alcune camere di Daguerre lunghe 60 cm. Non di rado disponevano di un semplice otturatore: quelle di Daguerre, ad esempio, avevano un'antina metallica incernierata sull'obiettivo che svolgeva sia la funzione di tappo che di otturatore Modello costruito intorno al 1860 Dimesioni 350x260x220 19 Le fotocamere da studio (1850-1930 circa) Con il nome di fotocamere da studio e da campagna si intendono le fotocamere di legno che, con l'invenzione del soffietto, sostituirono in breve tempo le cassette scorrevoli, rigide e scomode da trasportare. Il soffietto era (ed è ancora oggi) di pelle o di tela gommata o verniciata e in un primo tempo fu una semplice sacca floscia fino a quando, verso il 1850, non comparvero i modelli piegati, più rigidi e con maggior possibilità di compressione. Le fotocamere da campagna sono in assoluto le più longeve della storia dal momento che ne esistono ancora diverse ed ogni tanto continuano ad apparire nuovi modelli, come ad esempio la cinese Shanghai Shenhao che è stata immessa sul mercato nel 2001. Altre tuttora in produzione (ottobre 2002) sono le giapponesi Wista (legno di rosa, ciliegio o ebano), Ikeda Anba e Tachihara (entrambe in ciliegio), la Deardorff, l'inglese Gandolfi Precision, la Iston, l'indiana Rajah, la futuribile K. B. Canhan "costruita con tecnologie aereonautiche" e l'americana Wisner Zone VI (mogano), osannata dalla stampa americana come "the most complete camera on the market and superior to all other wooden cameras (...) with a jewel like finish (...) another addition to what is becoming the Winer tradition of American classics". Tuttavia è corretto posizionare la fine dell'epoca delle fotocamere in legno verso il 1930, quando le fotocamere da campagna dovettero cedere il passo alle piccole macchine fotografiche che consentivano una fotografia più dinamica e, contemporaneamente, negli studi fotografici i primi banchi ottici in metallo, più moderni e funzionali, sostituirono le fotocamere da studio in legno. Costruita intorno all’anno 1880 questa macchina fotografica si poteva mettere a fuoco operando su una parte di struttura collegata ad un pignone e una cremagliera. Dimensioni 640 x 580 x 550 mm 20 Le fotocamere da studio (1850-1930 circa) Angelo Pettazzi Milano Fotocamera da studio, obbiettivo J. H. Dallmeyer, cavalletto da terrazzo (1890 c.a.) Tipica fotocamera fine '800 da studio. I Pettazzi furono attivi fra il 1859 e il 1900: il capostipite Oscar Pettazzi si fece notare quando iniziò a lavorare in proprio (1871) rivelandosi ben presto il miglior costruttore milanese e alla sua morte (1883) i figli Angelo ed Oscar proseguirono separatamente l'attività del padre. La Angelo Pettazzi cessò la produzione di fotocamere nei primi anni del '900 quando si trasformò in distributore fotografico. Macchina da studio che usava lastre di 18 x24 cm. Era possibile regolarla sia orizzontalmente che verticalmente. La messa a fuoco si effettuava avvicinando o allontanando relativamente la parte anteriore e posteriore della macchina. C’è la possibilità di inclinare e fissare in quella posizione la macchina mediante una vite di regolazione. Il carrello di sostegno si appoggiava su delle rotelle e poteva essere frenato. Dimensioni 1560 x 970 x 550 mm Macchina che utilizzava lastre da 18x24 cm 21 Le fotocamere da studio (1850-1930 circa) Fin dalle origini le fotocamere in legno si differenziarono in due tipologie: quelle trasportabili e quelle da studio, mantenendo in comune l'uso di lastre più grandi rispetto alle macchine amatoriali ed alcune possibilità di decentramento e basculaggio. La differenza fondamentale fra i due tipi sta nella trasportabilità poichè, con la diffusione della fotografia professionale nella metà dell' '800, le macchine da studio iniziarono ad aumentare di formato, di peso e conseguentemente ad adottare supporti più solidi e spesso non pieghevoli. Al contrario le campagnole mantennero dimensioni di lastra più contenute ed applicarono tutte le innovazioni capaci di semplificarne il trasporto e la messa in opera. Le dimensioni tipiche delle campagnole, chiamate folding dagli inglesi nel senso di pieghevoli (non tascabili, quando è riferito a questa classe di fotocamere) erano "13x18 cm., e tutt’al più di 18x24 cm., perchè da esso si possono ottenere immagini visibili, e perchè non imbarazza chi deve portarla su per i monti o dovunque" (L. Gioppi, 1887) mentre le macchine da studio erano spesso di 30x40 cm. Le origini del soffietto si confondono con la storia della fotografia. Sembra che sia stato ideato una prima volta dal barone Armand Pierre de Séguier che presentò una macchina con soffietto alla Société d'Encouragement nel 1839, quindi dal russo S. L. Levitsky (1819-1898); sicuramente i fratelli Lewis di New York, detentori di un brevetto registrato l'11 novembre 1851, furono i primi a produrre regolarmente una fotocamera daguerrotipica con I modelli più antichi di fotocamere a corpi mobili si differenziavano per il sistema di chiusura, di cui furono sperimentate tre soluzioni: nella prima la parte anteriore è rigida e quella posteriore mobile ("tail board") e in questo caso la chiusura avviene comprimendo il soffietto e alzando la parte inferiore ("banco") che va a proteggere il vetro smerigliato. Nella seconda avviene il contrario: la parte anteriore è mobile e quella posteriore fissa, nella terza entrambe le parti sono mobili e vengono compresse in corrispondenza del centro del banco che è composto da tre parti. La tail-board risultò il miglior compromesso per le macchine da studio e così, grazie anche alla scarsissima diffusione delle macchine "a mano", nel 1887 le tail board risultavano più numerose di tutte le altre macchine fotografiche messe insieme Tuttavia fu il sistema con due corpi mobili a produrre l'evoluzione più significativa quando Petzval, nel 1857, inventò il banco a rotaia singola ("monorail"). Tuttavia la rotaia in legno di Petzval non offriva nessun vantaggio reale rispetto al banco e così la sua fotocamera rimase un caso 22 isolato fino a quando le macchine non furono costruite in metallo. Le fotocamere da studio (1850-1930 circa) 23 Le fotocamere da campagna (1850-1930 circa) 24 Le fotocamere da campagna (1850-1930 circa) 25 Le fotocamere da campagna (1850-1930 circa) TIP FCD 18x24 ORGTECHNIKA obiettivo Industar 37 - 4,5/300 mm (1976) Tail board russa costruita quasi senza discontinuità da prima della Rivoluzione d'Ottobre fino alla soglia degli anni '90; inizialmente da privati, poi dalla GOMZ, quindi dalla GOMZ-LOMO e infine, a partire dagli anni '70 dalla ORGTECHNIKA che sostituitì l'ottone con il ferro cromato e la plastica. Per il resto la fotocamera, i portalastre, il treppiede e la grande borsa in cuoio sono sempre rimasti immutati e la macchina potrebbe essere stata fatta nell'800. Sorprendentemente l'obiettivo è privo di otturatore, cosa che si spiega con la disponibilità (fino al 1985 circa) di lastre con sensibilità di 6 e 12 gort, cioè così scarsamente sensibili da poter esporre usando il tappo, come si faceva un secolo prima. Gli chassis a corredo sono predisposti per le lastre in vetro (che furono disponibili in russia fin oltre il 1975). La Orgtechnika è probabilmente l'ultima tailboard ad essere stata costruita. Il modello illustrato, prodotto nel 1976, ha una targhetta con la dicitura "25.03.1845 - 75", che forse si riferisce all'invenzione di Levitsky. Sanderson "Junior" Fotocamera da campagna (1900 c.a.) Frederick H. Sanderson, appassionato fotografo d'architettura, brevettò nel 1895 il sistema rapido di regolazione dei movimenti di macchina che caratterizza tutte le fotocamere Sanderson la cui produzione proseguì fino al 1920. La Junior montava un otturatore a tendina Thornton-Pickard capace di tempi da 1/15 a 1/90. Il foro nella base aveva una doppia funzione: contenere i punti di attacco per il treppiede (che non ha più una struttura propria ma è ridotto a tre gambe separatre fra loro) e consentire di chiudere la macchina senza togliere l'ottica. 26 Le fotocamere stereoscopiche: (fine ‘800-inizio ‘900) La Stereoscopia: La stereoscopia sfrutta il fatto che il cervello ricostruisce un'immagine tridimensionale quando i due occhi vedono simultaneamente la stessa scena da una distanza pari a quella interpupillare, che nell'uomo è circa 65 mm. Il fenomeno funziona anche quando si mostrano agli occhi delle immagini identiche ma riprese da una distanza uguale a quella interpupillare, facendo in modo che ogni occhio veda una sola delle due immagini. Gli studi sulla percezione del rilievo grazie alla visione binoculare sono molto antichi ma i primi studi moderni sulla stereoscopia si devono a Sir Charles Wheatstone e sono di poco anteriori alla scoperta della fotografia. La fotografia stereoscopica è vecchia quindi esattamente quanto la fotografia e, fin dal 1841, furono brevettate molte invenzioni che semplificavano l'esecuzione di due fotografie gemelle su una sola lastra. Si trattava di fotocamere con un corpo mobile e scorrevole davanti alla lastra, che rimaneva ferma e veniva impressionarta metà per volta, oppure fotocamere in cui il corpo della macchina rimaneva fermo ma era la piastra portaottica a muoversi lateralmente per eseguire le due esposizioni. Alla fine prevalse la soluzione più ovvia: delle semplici fotocamere doppie, con due obiettivi e altrettanti otturatori che scattavano simultaneamente comandati da un unico pulsante di scatto. 27 Le fotocamere stereoscopiche: (fine ‘800-inizio ‘900) Nel 1800 la diffusione delle fotocamere stereo rimase comunque abbastanza limitata mentre invece dilagarono le fotografie stereoscopiche di misura "standardizzata": circa 14 cm di larghezza su cartoncini di 17,5 cm. Venivano stampate in gran quantità dai fotografi e rappresentavano principalmente paesaggi e monumenti destinati ai turisti ma anche soggetti naturalistici e didattici, nonchè immagini proibite da collezionare in segreto. Sono gli anni in cui viene fondato la National Geographic Society per "incrementare e diffondere le conoscenze geografiche" e per tutti l'acquisto di stampe stereoscopiche fu il modo per vedere luoghi lontani e inavvicinabili. Il successo della fotografia stereoscopica proseguì fino al 1930 per riprendere brevemente negli anni '50 e '60. In quegli anni il View Master fu l'ultimo sistema stereoscopico largamente diffuso ma anche inLeseguito non mancarono gli immagini stereo hanno appassionati e, ancora nel 1990, esisteva una Associazione Italiana. bisogno Stereoscopica di un visore per essere osservate, anche se una persona esercitata riesce ad apprezzarne la tridimensionalità anche ad occhio nudo. La moda di collezionare immagini stereoscopiche e di osservarle e mostrarle per intrattenimento stimolò la produzione di visori di ogni tipo per ogni occasione, da quelli pieghevoli da borsetta fino ai modelli da salotto capaci di Sereocamera amatoriale fine '800 - primo '900 archiviare alcune centinaia di immagini. 28 Le fotocamere stereoscopiche: (fine ‘800-inizio ‘900) 29 Joseph Nicephore Niepce: (1765-1833) Già dal medioevo, gli alchimisti, facendo riscaldare il cloruro di sodio (o sale da cucina) insieme con l'argento, avevano scoperto che dal sale si liberava un gas, il cloro, il quale combinandosi con l'argento, provoca la formazione di un composto, il cloruro d'argento, che è bianco nell'oscurítà, ma che diventa violetto o quasi nero quando è esposto ai raggi del sole. Un analogo influsso della luce fu riscontrato su altre sostanze, soprattutto sul bromuro di argento, sullo ioduro d'argento e sull'asfalto o "bitume di Giudea". Il procedimento, che il chimico tedesco Johann Heinrich Schulze (1687-1744), iniziatore di un nuovo ramo della scienza, la fotochímíca, battezzò già nel Settecento con il nome di 'fotografia' (dalle parole greche luce e scrittura), era il seguente: su una pìastra metallica, o su un foglio di carta ricoperto di cloruro d'argento ed esposto alla luce, si posava il corpo di cui si voleva ottenere la silhouette, una mano per esempio. Le parti coperte dalla mano restavano bianche e il resto della si ilanneriva, lasciando cercò il contorno esatto della mano. Ma quando la mano veniva tolta, anche la sua Dopo aver piastra costretto sole a disegnare di conservare l’immagine formatasi. immagine si anneriva e sirame cancellava. Era la il 1727. Prendeva una lastra di argentato, ricopriva di un sottile strato d'asfalto (il cosiddetto bitume di giudea, usato dagli incisori perchè molto resistente agli acidi) e la collocava in una cassetta di legno, che funzionava da camera oscura, di fronte a una tavola disegnata o dipinta. Dopo una giornata, le parti dello strato di bitume che erano rimaste "impressionate", cioè esposte all'azione della luce riflessa dalle zone più chiare del dipinto, erano diventate bianche le altre non mutavano colore, cioè restavano nere. Allora Niepce immergeva la lastra in un bagno d'essenza di lavanda che scioglieva il bitume non impressionato, lasciando intatto quello reso bianco dalla luce. Sulla lastra di rame argentato restava così soltanto il bitume che riproduceva la immagine in negativo. Niepce chamò il procedimento da lui inventato eliografia. Niepce (1765-1833) in un ritratto giovanile. 30 Joseph Nicephore Niepce: (1765-1833) Per cinque anni Niepce lavora accanitamente alla ricerca di materie più sensibili all'azione della luce tentando di tutto: il nitrato al cloruro d'argento, il perossido di manganese, il cloruro di ferro, ìl "safran de Mars", il fosforo, la cocciniglia. Il 3 settembre 1824 riesce infine a fissare solo i contorni di un paesaggio. E finalmente nel 1826 quella che puo' essere considerata la prima vera fotografia. Posa di ben otto ore su una lastra di peltro per eliografia, spalmata di bitume di giudea e posta all'interno della sua camera oscura con diaframma. La prima fotografia del mondo era impressa, in positiva diretta, su una lastra di peltro lucidata. L'anno dopo si reca alla Royal Society di Londra per una dissertazione sul suo procedimento chiamato 'eliografia'. Ma si rifiuta di svelarlo per intero e per difetto di documentazione quanto egli ha comunicato non è accolto agli atti. Ecco quella che a tutti gli effetti può essere considerata la prima vera fotografia della storia dell'umanità! Risale al 1826. Nicéphore Niepce la ottenne con una posa di ben otto ore su una lastra per eliografia da lui stesso preparata. Oggi è conservata presso l'Università del Texas ad Austin (USA). 31 Louis Jacques Mandè Daguerre: (1787-1851) Condotto dai suoi studi di pittura, di prospettiva e di ottica, di fronte al problema del fissaggio delle immagini ottenute per azione del sole, Daguerre aveva appreso, nel gennaio del 1826, che questo problema era stato rìsolto già da qualche anno da Niepce. Al primo incontro tra Niepce e Daguerre del 1827 ne seguirono altri, sempre più frequenti, finchè, avendo Daguerre affermato di avere apportato alla camera oscura un perfezionamento considerevole tale da costituire un procedimento più semplice e sicuro per il fissaggio delle immagini, Niepce gli propose di unire i loro sforzi per imprimere alle loro scoperte un progresso più rapido e assicurarsene ì benefici Daguerre scopre la sensibilità dello ioduro d'argento alla luce. Ma proprio in quel tempo (è il 1833) Niepce viene a mancare, colpito da trombosi cerebrale. Muore povero e ignorato. Presto sarà anche misconosciuto. Daguerre seguita a esporre, per molte ore, le lastre preparate con ioduro d'argento. Ed ecco il secondo colpo di fortuna. Un giorno il cielo è nuvoloso, il sole non esce, anzi minaccia di piovere. Daguerre toglie le lastre dalla finestra e le sistema in un armadio. Con molta fortuna scopre che un recipiente di mercurio, dal quale si sviluppavano, entro l'armadío in cui aveva posizionato alcuni lavori, vapori aventi la proprietà di svelare e fissare definitivamente l'immagine. E' questa appunto l'origine del nome francese daguerrotype, da cui l'italiano dagherròtipo. E' del 1837 questo dagherrotipo, il primo eseguito da Daguerre nel suo studio 32 Il Daguerrotipo: (metà 1800) Alphonse Giroux, cognato di Daguerre, costruì e smerciò con enorme successo un apparecchio per dagherrotipia la cui etichetta portava scritto: "Nessun apparecchio è garantito se non reca la firma del signor Daguerre e il sigillo del signor Giroux". L'apparecchio, che misurava cm. 30 x 37 x 50 (quindi non era molto maneggevole), era corredato di alcune lastre sensibili e dei prodotti occorrenti per la stampa. Costava 400 franchi e una dagherrotipia di piccolo formato veniva pagata da 80 a 120 franchi. Dopo che il procedimento di Daguerre venne reso pubblico nel 1839, il dagherrotipo diventò una vera e propria mania. Molti pittori abbandonarono tavolozza e pennelli per dedicarsi con assai maggior fortuna al nuovo mestiere di dagherrotipista. Alcuni dei migliori ritratti eseguiti con la nuova tecnica furono opera di un miniaturista di Amburgo, Carl F. Stelzner. Del 1843 è il dagherrotìpo che ritrae un gruppo del Circolo Artistico di'Amburgo durante una gita in campagna. Daguerre in realtà non inventò la fotografia poichè era stata inventata molti altri prima. Così Daguerre, da un giorno all'altro, diventò famoso legando al proprio nome l'intera storia della fotografia anche se in realtà con lui non era ancora vera fotografia, ma dagherrotipia, cioè un perfezionamento dell'eliografia di Niepce. Ma già si gridava al miracolo e nasceva una mania collettiva. 33 La Leica Ernst Leitz (Wetzlar - Germania) (1925 – 1936) La Leica cambia radicalmente la storia della macchina fotografica: non è il miglioramento di qualcosa già esistente ma un progetto rivoluzionario che ridisegna la fotocamera inventando una impostazione dei comandi che nessuno ha più modificato. Per questo motivo è universalmente riconosciuta come la pietra miliare che segna l'inizio della storia moderna della fotocamera. La Leica introduce il formato 24x36, il caricatore metallico per pellicola 35mm con doppia perforazione. Rispetto alle fotocamere preesistenti vennero migliorati l'otturatore ed il contapose, la fotocamera fu dotata di un mirino e di un obiettivo progettato appositamente per il nuovo formato. Fu inventata la cassetta a tenuta di luce che, pre-caricata in camera oscura, permetteva di cambiare la pellicola alla luce del giorno e consentiva grande autonomia senza aumentare le dimensioni della macchina. La scelta del rocchetto ricevitore per i fotogrammi esposti rese necessari un comando di sblocco ed un altro per riavvolgere la pellicola. Una preserie di 30 pezzi leggermente diversi fra loro venne Caratteristiche generali: sottoposta giudizio dei fotografi nel 1923 e nel 1925 la Leica (Leitz camera) fu finalmente proposta al mercato. Formato 24x36 mm, ottica fissa, mirino galileliano, costruzione in metallo. Comando unico per armare l'otturatore e trascinare la pellicola. Fondello amovibile per il caricamento dal basso della pellicola. Contapose non autoazzerante numerato fino a 40, coassiale al pomello di trascinamento. Comando di sblocco della pellicola posto sul tettuccio della macchina, vicino al pulsante di scatto. Pomello separato per il riavvolgimento del film che nell'uso si svolge da un'apposita cassetta metallica ad un rocchetto ricevitore. Obbiettivo: Anastigmat o Elmax o Elmar 50 mm f3.5 (per l'epoca molto Accessori: luminosi), rientranti cassette per pellicola, telemetro separato (inseribile nella Otturatore: Orizzontale in stoffa sul piano focale, autocoprente durante slitta accessori), borsa in pelle. il riarmo Diaframmi: 3,5 - 4,5 - 6,3 - 9 - 12,5 - 18 34 Le fotocamere russe (1932 – 1985) Le fotocamere russe sono legate a tre luoghi comuni: "semplici" , "copie" e "bassa qualità". La prima macchina fotografica russa viene costruita verso il 1840 per opera di A. F. Grekov. In seguito, e per tutto l' '800, vengono costruite artigianalmente fotocamere di ogni tipo, analoghe ai modelli occidentali: a cassetta e a soffietto, detective, biottiche e reflex. Non mancano le invenzioni originali, in particolare (ma storicamente da provare) la prima "automatica" in cui una fotocellula determina l'apertura del diaframma; un sistema che in Occidente sarà reiventato dalla Kodak solo nel 1938. FED kharkhow, Ucraina (1934) Nell'accezione comune tuttavia le fotocamere russe sono assimilate alla produzione sovietica, che mosse i La Comune Lavoro intestata a Felix Edmundovitch Djerzinski inizia a progettare fotocamere nel giugno del 1932 primi passi adiCharkov, nella Comune sotto la direzione di Anton Makarenko. I primi prototipi, che sono pronti nell'ottobre dello stesso anno, sono copie esatte di Lavoro FED. della Leica I. Nel frattempo però arrivano in Russia le prime Leica II e quindi la progettazione prosegue febbrimente fino alla fine del 1933 per adeguarsi al nuovo modello. Nel 1934 inizia la produzione della FED, la prima fotocamera sovietica. Nel periodo tra le due guerre mondiali, in URSS la competizione ideologica con l'Occidente, trasferita nel contesto produttivo, dette un fortissimo impulso alla giovane industria sovietica che fin dai primi anni non si limitò a copiare e mise a punto anche alcuni prodotti innovativi e originali come la Cnopm (1935), la prima reflex 35mm. 35 Le fotocamere russe (1932 – 1985) Gli anni più esaltanti per l'industria sovietica però vennero dopo la seconda guerra, dal '46 al '70, quando la produzione riprese rapidamente, venne avviata la produzione delle fotocamere Zorki, delle Zenit e venne offerta una maggior varietà di modelli, semplici e professionali. La Leningrad ("Gran Prix de Bruxelles" nel 1958) e la Kiev 10 sono i modelli più innovativi di questi anni. Reflex di A.A.Min (1929 c.a.) Kiev 10 (1965) E' stata la prima automatica a priorità di tempi fra le reflex con otturatore sul piano focale. L'esposimetro al selenio, con la grossa cellula posta sul pentaprisma, imposta automaticamente la preselezione del diaframma o blocca il pulsante di scatto se il tempo impostato non consente di esporre correttamente. KIEV Arsenal (1948 - 1985) Inizialmente la KIEV era la copia esatta della Contax perchè costruita con i macchinari della linea di produzione sequestrata a Dresda come indennità per i danni di guerra. Zorki 3M (1954) La storia delle fotocamere sovietiche volge al tramonto quando il progressivo disfacimento economico che porta alla fine dell'URSS (1991) si riflette anche nella mancanza di aggiornamento tecnologico e nella bassa qualità dei prodotti. Nel 1985 cessa la produzione della Kiev e con essa finisce anche la storia delle copie russe, iniziata prima e terminata dopo tutte le altre. 36 Le fotocamere russe (1932 – 1985) Fed “120” - FED, Felix Edmundovitch Djerzinski's (1940 c.a.) Zorki (I) – KMZ, Krasnogorsk Mekanicheski Zavod (1948) Leningrad - Gomz ,Officina Ottico-Meccanica di Stato, (1956) Zenit - KMZ, Krasnogorsk Mekanicheski Zavod, (1953) Start – KMZ, Krasnogorsk Mekanicheski Zavod, (1958-1964) 37 Rolleiflex: la biottica per antonomasia Franke & Heidecke (1928) Si trattava di fotocamere "doppie" in cui la parte superiore serviva alla messa a fuoco e quella inferiore per esporre la lastra. Nel 1800 tuttavia le biottiche non ebbero molto successo sebbene la pubblicità sostenesse che era possibile controllare l'inquadratura anche a macchina carica, quindi passeggiare con la macchina già pronta allo scatto e senza dover usare il treppiede. Ovviamente tutto questo veniva vanificato dall'ingombro della fotocamera e dalla bassa sensibilità delle lastre, quindi fu necessario aspettare l'evoluzione tecnologica del primo '900 per avere una biottica piccola e maneggevole. Fra il 1910 ed il 1920 tre cose accelerarono bruscamante lo sviluppo delle fotocamere: il definitivo affermarsi delle pellicole in rotolo, il perfezionamento della stampa della lamiera di acciaio a freddo e la riduzione delle tolleranze nelle lavorazioni meccaniche. La conseguenza fu immediata: le macchine fotografiche diventarono di metallo, più piccole e più leggere, con maggiore autonomia e più precise. La Rolleiflex ebbe sempre la leadership delle biottiche; F&H ebbero la genialità o la fortuna di realizzare fin dall'inizio un prodotto maturo, tale che la filosofia della macchina rimase inalterata nei successivi 50 anni. Le modifiche che distinguono un modello dall'altro servirono solo per adeguarla alle innovazioni tecniche del tempo mentre le dimensioni ed il peso rimasero sempre sostanzialmente invariate. Rolleiflex "Original Rolleiflex"1928 38 Rolleiflex: la biottica per antonomasia Franke & Heidecke (1928) Storicamente la Rolleiflex ha una importanza che travalica l'era della biottica: il suo apparire risvegliò l'interesse per il sistema reflex e dimostrò che era possibile costruire una macchina piccola e leggera, che superava gli svantaggi e conservava i benefici di questo sistema. Forse non è un caso che dopo pochi anni altri costruttori iniziarono a progettare la monoreflex dell'era moderna. Rolleiflex 4x4 - "Original Baby“ 1931 Usa pellicola 127 per 12 immagini 4x4 cm. Poichè il 127 non era numerato per questo formato i tecnici della F&H furono costretti ad inventare un meccanismo che garantisse l'avanzamento della giusta quantità di pellicola. Nacque così la leva laterale che risultò tanto comoda e veloce da essere applicata immediatamente anche alla Rolleiflex 6x6. Rolleicord - "Rolleicord “ 1933 (A sinistra) Il primo modello della serie economica Rolleicord costava meno della metà della Rolleiflex, era privo della leva di carica e usava un più economico obiettivo Zeiss Triotar. In compenso era caratterizzato, caso unico fra tutte le fotocamere F&H, da un'elegante finitura art-deco. 39 Cnopm (Sport) 1935 Gomz ("Officina Statale Ottico-Meccanica") La Cnopm è la prima reflex per pellicola 35mm. Nella prima metà degli anni '30 il successo delle vendite della Leica e della Contax conferma l'esistenza di un mercato che chiede macchine piccole, leggere e versatili mentre, allo stesso tempo, la Exakta aveva inaugurato la strada della reflex di piccolo formato con un modello per pellicola 127 (per negativi 4x6 cm). Pertanto la comparsa di una reflex per pellicola 35mm è la logica evoluzione di un fenomeno in atto. In questo caso però i russi batterono sul tempo la potentissima industria tedesca, riuscendo ad anticipare (di poco) l'analogo modello della Exakta. La Cnopm non è mai giunta sui mercati occidentali prima della guerra, ed in seguito è rimasta un oggetto rarissimo e sconosciuto fino a quando la caduta del muro di Berlino ha sancito una reale apertura delle frontiere. L'otturatore costituisce l'aspetto più interessante della Cnopm e ne condiziona la forma. E' composto da due lamine metalliche rigide che scorrono sul piano focale. La tendina superiore scorre in verticale mentre la seconda scivola lungo una guida in modo da spostarsi da una posizione iniziale adagiata sul fondo ad una finale inclinata di 45 gradi. La loupe per la visione reflex è di generose dimensioni per poter accogliere la tendina superiore. Caratteristiche generali: Formato 24x36 mm, innesto ottiche a baionetta, loupe reflex + mirino galileliano, costruzione in metallo. Pellicola contenuta in cassette metalliche dedicate, ricaricabili. Pulsante di scatto sul frontale. Otturatore: Verticale, composto da due tendine metalliche rigide, sul piano focale, autocoprente durante il riarmo. Obiettivo: I-10 3,5/5cm, montatura a baionetta 40 La seconda generazione di reflex 35mm (1948 – 1955) Durante la 2° guerra mondiale lo sforzo bellico aveva assorbito le energie di tutti i paesi coinvolti e il mercato delle fotocamere non vide nessuna reale novità Al termine della guerra molte industrie individuarono nel mercato fotografico l'opportunità di riconvertirsi alla produzione civile e il 1947 può essere considerato l'anno in cui la scomparsa di molti modelli storici - folding e box - coincide con la nascita di molti nuovi prodotti. Fino alla fine degli anni '40 le fotocamere a telemetro erano decisamente vantaggiose rispetto alle reflex: erano più piccole e immediate, avevano un sistema di messa a fuoco più efficiente e potevano disporre di una maggiore varietà di ottiche. L'operatività delle reflex inoltre era penalizzata da tre problemi: Il mirino a pozzetto, piccolo e con i lati invertiti, richiedeva l'uso della lente per mettere a fuoco con certezza; Il diaframma manuale doveva essere aperto per focheggiare e chiuso per scattare; Lo specchio rimaneva alzato dopo lo scatto e impediva l'uso del mirino fino a quando non si armava l'otturatore. L'attenzione dei progettisti si concentrò quindi su questi aspetti. In primo luogo la reflex venne dotata del pentaprisma, quindi di schermi di messa a fuoco con lavorazioni superficiali più fini. Con il pentaprisma e la leva di carica, che fu aggiunta pochi anni più tardi, la reflex prese l'aspetto che mantenne per i successivi 40 anni, fino a quando la sua forma cambiò di nuovo per l'uso dalle materie plastiche e la necessità di ospitare motori e batterie. Contaflex - Zeiss Ikon, Stoccarda (1953) Mentre tutte le reflex avevano l'otturatore sul piano focale ed ottiche intercambiabili, la Zeiss Ikon introdusse una reflex controtendenza, con otturatore centrale ed ottica fissa. Fu una piccola rivoluzione che aprì la strada ad una famiglia di reflex più semplici ed economiche senza penalizzare la qualità. Non potendo cambiare tutta l'ottica, per ragioni di economia, queste macchine disponevano di gruppi ottici accessori da montare davanti all'obiettivo o al posto del gruppo anteriore dell'obiettivo stesso. Il risultato era di poter disporre delle stesse prestazioni ad un prezzo inferiore, almeno fino a quando il corredo tipico del fotografo ambizioso rimase limitato alla terna 28, 50 e 135 mm. 41 La seconda generazione di reflex 35mm (1948 – 1955) La chiusura del diaframma divenne automatica nel corso degli anni '50, grazie a tre modifiche successive: In primo luogo venne aggiunta la ghiera di preselezione, che permette di impostare una battuta di arresto alla chiusura effettiva del diaframma, comunque fatta a mano; In un secondo tempo la chiusura del diaframma venne affidata ad un comando a molla, liberato dal pulsante di scatto, la cui corsa (e quindi la chiusura del diaframma) era limitata dalla preselezione. Dopo lo scatto il diaframma doveva ancora essere aperto manualmente tramite una leva che provvedeva anche a ricaricare la molla.; Infine la riapertura del diaframma divenne automatica, facendo in modo che il pulsante di scatto chiudesse il diaframma mentre la molla aveva il compito di riaprirlo. Il pentaprisma, che era stato brevettato già alla fine dell'800 senza aver trovato un reale utilizzo, fu la chiave di volta della storia della reflex che, dal 1950, iniziò ad occupare sempre maggiori porzioni di mercato. Contax (S) - Zeiss Ikon (Dresda, 1948) Rectaflex - Rectaflex (Roma, 1948) Duflex - Gamma (Budapest, 1947?) L'otturatore è orizzontale invece che verticale, con tendine di stoffa invece che metalliche, le ottiche hanno l'innesto a vite invece che a baionetta, il pulsante di scatto è sul lato anteriore invece che superiore. Oltre al pentaprisma aveva uno specchio che si riabbassava dopo lo scatto e, per la prima volta nella storia, uno schermo di messa a fuoco con due piccoli prismi cementati per produrre l'effetto di un telemetro ad immagine spezzata. La Duflex aveva il mirino con specchi di Porro (che raddrizza l'immagine come il pentaprisma), il diaframma automatico, la possibilità di doppie esposizioni intenzionali e lo specchio a ritorno istantaneo. 42 Nikon F: la nascita della reflex moderna (1959 – 1974) Nel 1959 la reflex 35mm ha compiuto 24 anni e sono stati eliminati tutti i problemi che la rendevano scomoda: lo specchio a ritorno istantaneo ha risolto il problema del mirino oscurato dopo lo scatto, il pentaprisma ha raddrizzato la visione ed il diaframma non richiede più di essere chiuso a mano. Nell'arco di 10 anni scompaiono le macchine a telemetro, il mercato è invaso dalle reflex e la maggior parte delle industrie ottiche europee chiudono o sono fortemente ridimensionate. In questo contesto la Nikon fa la scelta vincente che la farà diventare il nuovo leader del mercato: trasforma la sua ottima macchina a telemetro in una reflex, invece di progettare una fotocamera completemente nuova. La macchina a telemetro è modificata per alloggiare lo specchio con la ralativa meccanica, un mirino intercambiabile ed una baionetta di grande diametro che in seguito non porrà limiti alla progettazione delle ottiche. Paradossalmente l'unico primato che la F può vantare fra le reflex non deve essere costato molto: è stata la prima reflex 35 mm a disporre di un motore elettrico, un accessorio derivato direttamente da quello della macchina a telemetro. La Nikon F contribuì a far divenatre la reflex la macchina fotografica per antonomasia e la sua diffusione e affidabilità consacrarono il nome di Nikon a sinonimo di fotocamera professionale Caratteristiche generali: Reflex per pellicola '135', formato 24x36 mm; Innesto ottiche a baionetta "F" con diaframma automatico; Mirino intercambiabile a pozzetto, con pentaprisma semplice o con pentaprisma esposimetrico; Specchio a ritorno istantaneo, costruzione in metallo; Leva di carica per armare l'otturatore e trascinare la pellicola. Otturatore: Orizzontale sul piano focale, con tendina metallica. 43 Le Olimpus OM System (1971-2000 c.a.) Negli anni '70, mentre le reflex meccaniche cedono il passo alle elettroniche, la Olympus introduce due fotocamere professionali che sono pietre miliari della storia della macchina fotografica: la OM-1, meccanica e manuale, che rivoluziona le dimensioni delle reflex, e la OM-2, elettronica ed automatica, che apre la strada dell'esposizione in tempo reale. OM-1 (1971) Le caratteristiche di targa della OM-1 non sono di grande rilievo ma essa introduce una rivoluzione di grande respiro nel mondo delle reflex: è più piccola e leggera (30% c.a.) di tutte le reflex della sua epoca. Ma soprattutto la OM-1 si impone all'attenzione dei professionisti perchè le dimensioni ridotte non sono a scapito della qualità, anzi è più silenziosa (e con meno vibrazioni) . Lo studio ergonomico ha spostato il comando dei tempi su una ghiera coassiale al bocchettone delle ottiche in modo che tutti i comandi siano accessibili senza modificare la presa della macchina. Caratteristiche: SRL professionale 24x36mm; otturature meccanico orizzontale con tendine di stoffa, tempi di scatto 1 - 1/1000 + B, sincro flash 1/60; autoscatto meccanico (12 sec.),ghiera dei tempi di scatto coassiale all'innesto delle ottiche; esposimetro a galvanometro con riferimenti fissi nel mirino che utilizza due cellule CdS ed effettua una lettura media con prevalenza al centro, la sensibilità impostabile per la pellicola è 12 - 1600 ASA; presa flash OM-2 (1975) Pochi anni dopo la Olympus presentò la OM-2 con prestazioni maggiori in un corpo gemello per dimensioni e peso. La OM-2 rinnovò l'elettronica introducendo il primo sistema real time di esposizione automatica. Con la OM-2 le cellule esposimetriche vengono rivolte verso la pellicola e continuano a funzionare durante lo scatto. In effetti la OM-2 disponeva di 4 elementi fotosensibili: due cellule all'interno del mirino e due rivolte verso la pellicola. Questa semplice rivoluzione consente alla fotocamera di decidere in tempo reale e di variare il tempo di esposizione, se necessario, durante lo scatto. Caratteristiche: Reflex professionale 24x36mm; otturature elettronico orizzontale con tendine di stoffa, tempi di scatto da 1 sec a 1/1000 + B, sincro flash 1/60. In automatico la OM-2 seleziona i tempi senza soluzione di continuità. Sistema esposimetrico composto da due cellule CdS ai lati dell'oculare 44del mirino (come la OM-1) e due fotodiodi al silicio posti nella camra La nascita della Reflex autofocus (1981-1985) L'autofocus è solo l'aspetto più evidente di un rinnovamento interno ed esterno che incorpora nella fotocamera motori di trascinamento e automatismi più sofisticati all'insegna della sempre maggiore velocità operativa. La necessità di ospitare motori e batterie apre la strada all'idea di rimodellare ampiamente il corpo della fotocamera allontanadosi dalla forma tradizionale per migliorarne l'ergonomia mentre i classici comandi vengono abbandonati a favore di pulsanti e display. Così la reflex cambia radicalmente aspetto, il peso scende ma le dimensioni aumentano per una migliore ergonomia ma anche perchè una dimensione generosa appaga maggiormente l'occhio dell'acquirente. Il primo sintomo di cambiamento nell'interfaccia uomo-macchina si era avuto con la Pentax ME Super (1980), una fotocamera "tradizionale" che introduce per la prima volta due pulsanti elettrici per selezionare i tempi di scatto nell'uso manuale, mentre le tre tappe fondamentali del cambiamento della reflex furono scandite da Konica FS-1, Pentax ME-F e Minolta 7000. Pentax ME-F - Asahi Optical Co. (1981) Konica FS-1 - Konishiroku Photo indistry Co. (1979) Minolta 7000 - Minolta Corp. (1985) 45 La nascita della Reflex autofocus (1981-1985) La Konica FS-1, con messa a fuoco manuale, è la fotocamera che rompe la tradizione "estetica" della reflex. Il motore di trascinamento viene integrato nel corpo macchina e le batterie vengono alloggiate in una comoda impugnatura. Scompare la leva di carica e la pellicola si avvolge sul rullo di gomma che riveste il motore; il tettuccio della fotocamera è di plastica. Le prime applicazioni dell'autofocus sulle reflex erano state sperimentate da Canon e Ricoh con obiettivi che incorporavano il sistema autofocus. La Pentax ME-F è la prima reflex realmente autofocus perchè i sensori e la logica di controllo sono posti all'interno del corpo macchina mentre l'obiettivo dispone di motore e batterie per attuare i comandi dell'autofocus. Il dialogo fra la macchina e l'obiettivo avviene tramite i contatti elettrici che caratterizzano l'innesto KF. L'autofocus della ME-F si basa su due file di sensori costituiti da cellule fotometriche posti davanti e dietro al piano focale. I sensori misurano separatamente il contrasto dell'immagine e la messa a fuoco esatta è raggiunta quando entrambi misurano lo stesso contrasto. Caratteristiche: SLR 24x36 mm; innesto ottiche "KF" autofocus in congiunzione allo Zoom AF 35-70 f/2.8, proposto insieme alla fotocamera. Con gli altri obiettivi fornisce comunque l'indicazione della messa a fuoco esatta tramite tre led visibili nel lato basso del mirino. Un selettore sul lato destro del pentaprisma per scegliere il modo di funzionamento (automatico a priorità di diaframmi o manuale più la posa B ed il tempo di sincro flash) e due pulsanti per impostare il tempo di scatto nell'uso manuale. Alla sinistra del pentaprisma trovano posto i comandi dedicati all'autofocus. Senza obiettivo la fotocamera, che misura 132x87,5x49,5 cm, è una delle reflex '135' più piccole che siano mai state realizzate. 46 La nascita della Reflex autofocus (1981-1985) La 7000 raccoglie l'eredità della FS-1 e della ME-F, mette in discussione l'intero progetto della reflex eliminando tutte le ghiere (la macchina interagisce con l'utente solo tramite pulsanti e display, solo nell'obiettivo sopravvivolo le ghiere e le relative scale graduate della distanza di messa a fuoco e della lunghezza focale impostata); la plastica predomina nella costruzione della macchina e degli obiettivi e, soprattutto, cambia la modalità operativa con una forte spinta all'uso del PROGRAM, l'unica modalità che ha un tasto dedicato, piuttosto che invitare l'utente a scegliere l'uso automatico o manuale. la 7000 risultò uno strumento ideale per i novizi, generoso con il pubblico meno interessato alla tecnica e affascinante per quello sensibile alla tecnologia. D'altra parte la 7000 non sembra progettata per l'uso professionale: ha un aspetto leggero e non vanta particolari doti di robustezza, dipende totalmente dalle batterie ) e l'autofocus ha molte incertezze quando la luce comincia a scarseggiare. Caratteristiche: Trascinamento e riavvolgimento motorizzati. Pentaprisma fisso, schermo di messa a fuoco intercambiabile, smerigliato con lente di Fresnel e indicazione della zona di messa a fuoco. Indicazioni nel mirino: tempi, diaframmi, sovra e sotto esposizione, modalità operativa, indicazione di messa a fuoco corretta, pronto flash, test pile. Esposimetro con 2 cellule al silicio, misurazione su tutto il campo con prevalenza della zona centrale da EV 1 a 20. Sensibilità impostabile manualmente da 25 a 6400 ISO o automatica con lettura del codice DX.ì. Otturatore elettronico a scorrimento verticale, tempi da 30 secondi a 1/2000 di sec. Autoscatto elettronico con ritardo di circa 10 secondi. Alimentazione: 4 pile microstilo (AAA) più una pila al litio. Dimensioni: 52x92x138 mm solo corpo. Peso: 555 gr. 47 Le fotocamere camuffate e le microcamere Alla fine dell'800 dilaga nel mondo anglosassone la moda degli investigatori privati: sono gli anni in cui nasce il personaggio di Sherlok Holmes, fanno sensazione le imprese dell'agenzia Pinkerton ed una delle parole più alla moda è "detective". In questo contesto nascono le fotocamere camuffate, non a caso chiamate detective. Questo nome identifica in particolar modo le fotocamere a forma di parallelepipedo rivestito di pelle che, discostandosi molto dalla forma tipica della macchina fotografica, potevano essere scambiate per innocue valigette. Le fotocamere camuffate sono state costruite in numerose varianti. Alla grande famiglia delle fotocamere camuffate si possono associare le microcamere, che si prefiggono di passare inosservate grazie alle dimensioni ridotte. Del resto le microcamere sono state spesso mimetizzate nascondendole all'interno di fibbie, pacchetti di sigarette ed altri oggetti di uso comune Micro 16 - WM. R. Whittalker Co. Los Angeles, California 1950 Stylophot - SECAM, Parigi inizio anni '50 Pixie Flash - WM. R. Whittalker Los Angeles, California 1950 F-21 KMZ - Krasnogorsk (Mosca) URSS 1960 c.a. Microcamera per pellicola 16 mm, di dimensioni esatte per essere alloggiata all'interno di un pacchetto di sigarette senza filtro. Microcamera formato 10x10 mm, dall'aspetto - poco convincente di una penna. L'inganno può riuscire solo a debita distanza e impugnando la penna in modo tale da mostrare il lato posteriore, liscio e uniforme. E' dotata di un refil a sfera. Microcamera 16 mm dalle dimensioni minime equipaggiata da uno sproporzionato flash (usa le stesse lampade di una Graflex!) in un insieme assurdo ed esilarante. Microcamera 18x24 mm dotata di un motore a molla (o elettrico, nelle più recenti), ottiche intercambiabili ed un otturatore molto silenzioso. 48 Toy-cameras (dal 1930 c.a. ad oggi) Le toy-cameras sono fotocamere in cui l'aspetto ludico si affianca a quello fotografico. Sono quasi sempre di fattura semplice, costo limitato e con le sembianze di un giocattolo e, per questo motivo, potrebbero far parte della famiglia delle fotocamere camuffate. Tuttavia è conveniente trattarle separatemente perchè hanno un target di mercato diverso e due possibili funzioni. I suoi utilizzatori sono i bambini ed i collezionisti (prevalentemente americani). A causa del basso costo e del pubblico primario a cui si rivolgono le fotocamere giocattolo si prestano a molti usi commerciali; così, accanto alle fotocamere destinate alla vendita, ci sono quelle omaggio distribuite direttamente o associate ad altri prodotti, quelle destinate alle raccolta punti e quelle promozionali. La toy-camera nasce in America all'inizio degli anni '30 del XX secolo come versione speciale, decorata, di una fotocamera di serie. Le prime decorazioni sono i simboli dei boy scout, poi seguono le rappresentazioni commemorative e infine gli eroi dei fumetti. Curiosamente il collezionismo ha scoperto un'altra tipologia di oggetti nei quali prevale l'aspetto ludico rispetto a quello funzionale, e che quindi possono essere considerati parenti delle toy-cameras: le non cameras, oggetti che hanno la forma ma non la funzione delle fotocamere. Di solito si tratta di gadget: accendini, fermacarte (avete presente l'Hasselblad di cristallo?), spille, portachiavi, posacenere, candele, fibbie, salvadanai ed altro. Ma esistono anche fotocamere che vengono acquistate perchè hanno la forma di una fotocamera, cioè perfettamente funzionanti ma destinate al collezionismo, non all'uso: toy-cameras per un pubblico adulto. Voltron Star Shooter Impulse LTD (1985) TopoClic – Disney (1998) Fotocamera omaggio distribuita con il giornalino Topolino in parti da assemblare. TAZ – Polaroid (1999) Fruttolo – Galbani (1998 c.a.) Nel 1999 la Polaroid “scopre” il segmento delle fotocamere giocattolo e realizza alcune macchine con l'effige dei personaggi Looney Tunes Fotocamera distribuita come premio di una raccolta punti. 49 La Fotografia Digitale (Dal 1988) Parlando di fotografia digitale, il termine "Storia" può forse sembrare eccessivo visto che, con tutta la migliore buona volontà, gli albori di questa tecnica risalgono a non più di 15 anni fa. Si tratta comunque di un periodo pieno di fermenti e progressi enormi. La prima fotocamera completamente digitale viene commercializzata intorno al 1988 in Giappone, non si tratta però di un prodotto adatto al grande pubblico, ne per costo, ne per semplicità d'uso. Nello stesso anno vengono prodotti sensori sino a 4 milioni di pixel, una cifra di tutto rispetto! Si tratta ancora, però, di sperimentazioni senza vasta diffusione. Si può fissare la data d'inizio della diffusione della fotografìa digitale intorno al 1992; in questo anno vengono commercializzate macchine fotografìche digitali che ottengono un discreto successo di vendita, grazie al loro costo, finalmente accessibile, ed alla migliorata facilità d'uso. Fra le prime macchine destinate al grande pubblico citiamo la Logitech Fotoman del 1992. La Fotoman poteva scattare 32 fotografìe in 256 livelli di grigio che potevano essere trasferite al computer per mezzo della porta seriale. La risoluzione era di 75 dpi mentre il tempo di esposizione minimo era di 1/1000 di secondo; il prezzo si aggirava attorno al milione e mezzo di lire (circa 780,00 euro). Nel 1995 la Logitech produce la Fotoman Pixtura, decisamente più evoluta del modello precedente. Innanzitutto è a colori, con profondità di 24 bit; le immagini ora sono a risoluzione 768x512 pixel e Se ne possono scattare sino a 48. Ma è nel 1996 che il mercato delle macchine fotografiche digitali esplode. Logitech Fotoman Pixtura (Kodak DC-40) 1995 - 756 x 504 pixel CCD. ISO 84. 4MB internal memory. 42mm, fixedfocus lens. Shutter 1/30 to 1/175 second. Logitech Fotoman (1992) - 24 bit color (when using an optional color filter system) or gray scale. 495 x 366 pixel CCD. ASA 200. Shutter 1/30 to 1/2000 second. Fixed-focus lens. Internal storage up to 32 photos. SONY ProMavica MVC-7000 (1992) - Professional SLR, 3 CCD chip still video camera. The MVC-7000 accepted lenses designed for Nikon or Canon bayonet mounts. It had through-the-lens (TTL) viewing, a hot shoe, choice of center weighted or spot metering, and variable ISO. An 8mm to 48mm zoom lens was standard. 50 La Fotografia Digitale (Dal 1988) La risoluzione Sostanzialmente la pellicola chimica ha ancora più punti e, quindi, una risoluzione migliore di un sensore CCD; si parla di pellicole da 35 mm, il confronto con le grandi pellicole 6x6 o più non si pone neppure. Nella valutazione di una fotocamera digitale si da quindi molto peso alla risoluzione massima consentita. La risoluzione dei CCD viene espressa in pixel, o meglio con il multiplo MegaPixel (un milione di pixel); questa unità di misura è abbastanza inusuale per chi è abituato alla risoluzione espressa in dimensione dell'immagine. Ma la conversione è abbastanza semplice: Immagine 640 x 480 = 307.200 pixel = 0,3 megaPixel Immagine 800 x 600 = 480.000 pixel = 0,48 megaPixel Immagine 1024 x 768 = 786.432 pixel = 0,78 megaPixel Immagine 1600 x 1200 = 1.920.000 pixel = 1,9 megaPixel Immagine 1920 x 1440 = 2.764.800 pixel = 2,8 megaPixel Immagine 2048 x 1536 = 3.145.728 pixel = 3,1 megaPixel Il CCD: Il C.C.D. (Charge Copuled Device, "Dispositivo a scorrimento di carica") è un componente elettronico composto da materiali semiconduttori , come il silicio, sensibili alla luce. Quando un fotone colpisce la superficie del CCD vengono liberati elettroni che si accumulano nei singoli elementi del CCD (pixel). Quanto piu' e' brillante l'oggetto su cui viene puntato il CCD tanto piu' saranno i fotoni che lo colpiscono e quindi gli elettroni che si accumulano in ciascun pixel. 51 La Fotografia Digitale (Dal 1988) Gli elementi di una macchina fotografica digitale Compensazione esposizione II Pulsante Compensazione Esposizione, permette di poter regolare la macchina per ottenere foto più chiare o più scure. Pulsante Programma II Pulsante Programma soggetto digitale, ottimizza le prestazioni della fotocamera nella ripresa di varie scene o soggetti. LCD Lo schermo LCD permette di visualizzare l'anteprima delle foto scattate o contenute nella scheda inserita; inoltre, permette di visualizzare comandi e impostazioni. Menu Joystick Pulsante di sblocco 52 La Fotografia Digitale (Dal 1988) Gli elementi di una macchina fotografica digitale Le schede di memoria Le immagini catturate vengono salvate sulle schede di memoria removibili. Le schede di memoria sono dei dispositivi nei quali è possibile registrare il risultato della cattura: nel caso della Minolta Dimage S304 è possibile archiviare sia immagini che suoni ed anche brevi filmati. Per cambiare, o semplicemente estrarre la scheda, occorre spegnere l'apparecchio dall'interruttore principale, quindi sollevare l'apposito pulsante, a lato della fotocamera, ed estrarre la scheda, con una leggera pressione delle dita. Una volta estratta la scheda è possibile sostituirla con il procedimento inverso. Vi sono diversi tipi di schede removibili: da 8, 16, 32 MB fino a 1 GB. Il MB (Megabyte) è l’unità di misura della capacità dei dischi nei computer. L'alimentazione La presa di corrente ed il coperchio dello scomparto scheda Per poter funzionare, la fotocamera ha bisogno di energia elettrica; vi sono due modi per alimentare il dispositivo: tramite le batterie o attraverso un adattatore che viene collegato alla presa di corrente e fornisce l'alimentazione dovuta (generalmente 6 V a corrente continua). 53 Evoluzione tecnologica… 54