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Slides I parte - Università degli studi di Pavia
Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Psicologia Anno Accademico 2008-09 SCUOLA INTERUNIVERSITARIA LOMBARDA DI SPECIALIZZAZIONE PER L’INSEGNAMENTO SECONDARIO CORSO DI PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO (SILSIS Pavia) M.A. ZANETTI S. PERUSELLI C. BERRONE [email protected] [email protected] [email protected] PRESENTAZIONE DEL CORSO Il corso intende affrontare quella fase dello sviluppo che comprende l’adolescenza (e la preadolescenza). Tale periodo del ciclo di vita sarà sviluppato in una prospettiva integrata analizzando l’emergere di fattori universali di natura biologica e la loro interazione con fattori individuali di natura psicologica e sociale. Ci si soffermerà quindi sui compiti di sviluppo caratteristici di tale fase, compiti che richiedono ai ragazzi di utilizzare adeguate strategie di coping via via sempre più complesse in relazione anche all’aumento delle potenzialità di sviluppo cognitivo, relazionale, affettivo. Agli insegnanti è chiesta una competenza adeguata che va oltre la capacità di trasmettere conoscenza, pertanto si analizzeranno le dinamiche relazionali alunno-insegnante, in riferimento ai cambiamenti educativi e contestuali in atto in adolescenza e attraverso l'esposizione di casi tratti dalla pratica didattica. MODALITA' D'ESAME 15 domande chiuse: modalità vero/falso 3 domande aperte: discussione di casi Esame: 8 ottobre 2008 dalle ore 14.30 PROGRAMMA Introduzione: sviluppo puberale e adolescenza oggi Lo sviluppo morale, aggressività, bullismo e discussione di un caso Lo sviluppo cognitivo, stili di apprendimento Sviluppo dell’identità e immagine di Sè Il disagio in adolescenza (comportamenti a rischio, esempio di un caso) Compiti di sviluppo e compiti di sviluppo a scuola Relazione alunni-insegnanti e ruolo dell’insegnante (il pedagogical caring) Clima classe e gestione delle dinamiche di gruppo (discussione di un esempio) ADOLESCENZA: un’introduzione • Fase universale, meccanismi biologici geneticamente determinati (Freud 1905, Piaget, 1955) • Sturm und drang (Hall, 1904), periodo di crisi (Blos, 1967; Laufer & Laufer, 1984) – capire come canalizzare le energie tempestose in obiettivi socialmente accettabili • Psicologia culturale (Vygotskij, 1934; Bruner, 1990; Cole, 1996) • Teoria ecologica (Bronfenbrenner, 1979, 1986): individuo come parte del sistema • Periodo di vita che va dai 14 ai 18 anni (Palmonari, 1996) Oggi esistono “molte adolescenze” • Le diverse adolescenze si differenziano per: età, genere, famiglia di provenienza, contesto economico, sociale e culturale in cui si vive. “L’adolescenza inizia nella biologia e finisce nella cultura”(Palmonari, 1997) • Rappresentazione culturale negativa dell’adolescenza: tipica di una psicologia popolare (Meeus, 1994), influenza la visione adulta (Bonino, 1997, 2000). • Le emozioni (connesse ai cambiamenti) che si vivono in adolescenza sono le medesime di altri momenti del ciclo di vita, solo che si presentano con un’intensità maggiore. STEREOTIPI E PREGIUDIZI (Ciacci e Giannini, 2006) ADULTO VS ADOLESCENTE: è irresponsabile è maleducato manca di interessi se frequenta strane compagnie sicuramente è portatore di un disagio è lui che non vuole più la nostra vicinanza non ha voglia di far niente STEREOTIPI E PREGIUDIZI (Ciacci e Giannini, 2006) ADOLESCENTE VS ADULTO: è noioso Non è in grado di capire quello che mi succede È inutile parlare con lui perchè tanto non riuscirebbe mai a comprendere Le uniche cose che contano per lui sono il lavoro e i soldi Non ha mai tempo per me Caratteristiche dell’attuale adolescenza: • Allungamento fase adolescenziale 2003) (Scabini & Iafrate, • Forte narcisismo (prevalenza vergogna sul senso di colpa) • Mancanza punti di riferimento ed anomia • Trasformazione della funzione genitoriale e del rapporto adulti-adolescenti • Presenza di adolescenti provenienti da contesti di sviluppo diversi dalla propria cultura di appartenenza • Forte necessità di sperimentarsi per diventare adulti che spesso comporta la voglia e la necessità di rischiare • Importanza crescente del gruppo di appartenenza e/o dei modelli sociali IL CONTESTO FAMILIARE: dalla famiglia delle regole alla famiglia degli affetti (Charmet) IERI Rigidità negli atteggiamenti e nelle regole Regime educativo autoritario Confini rigidi e distanzianti fra i membri della famiglia Rigidità gerarchica con ruoli ben marcati Processi di responsabilizzazione ed emancipazione precoci OGGI Mancanza di regole o confusione Regime di negoziazione continua Confini “inesistenti” o confusi fra i membri della famiglia Sovrapposizione di ruoli: con una tendenza alla “latitanza" del ruolo paterno Processi per mantenere per lungo tempo i figli all'interno della famiglia La fase adolescenziale PUBERTÀ passaggio dalla condizione fisiologica del bambino a quella dell’adulto ADOLESCENZA passaggio dallo status vs sociale del bambino a quella dell’adulto PREADOLESCENZA ADOLESCENZA problemi legati alla crescita fisica, all’identità corporea e alla definizione sessuale maturazione delle capacità di analisi, di introspezione e definizione dell’identità, dei valori e delle scelte ADOLESCENZA = CAMBIAMENTO • Corporeo = maturazione biologica • Cognitivo = mentale • Comportamentale = rapporti e valori sociali Cambiamenti fisici in atto durante l’adolescenza: • Scatto della crescita, sviluppo morfologico, sviluppo sessuale, sviluppo organico. • Il cambiamento porta ad una vera e propria trasformazione corporea che talvolta provoca atteggiamenti ipercritici nei propri confronti. • Metamorfosi corporea – il corpo è oggetto di continui confronti con gli altri, mezzo di comunicazione, per esprimere i propri valori, bisogni, per sentirsi appartenenti al gruppo, ecc. Mentalizzare il nuovo corpo • Eventuali difficoltà che possono emergere: dismorfofobia: alterazione della percezione corporea con comparsa di preoccupazioni immotivate circa la presenza di difetti fisici nel proprio corpo; ipocondria: paura di contrarre malattie fisiche o psicologiche; patologie quali ANORESSIA e/o BULIMIA pratiche di modificazione momentanea o definitiva del proprio corpo (es. piercing e tatuaggi: funzione comunicativa ed espressiva che rimanda al bisogno sociale di rispecchiamento negli altri, gesto che peraltro contribuisce alla costruzione di una nuova identità) • Modificazioni del livello di autostima, del grado di accettazione sociale e di adattamento psicologico (Downs et al., 1990) • Maturare prima o dopo comporta diverse conseguenze sul livello di autostima, sul grado di accettazione sociale e sull’adattamento psicologico dell’individuo (Downs et al., 1990) • Maturazione precoce: il confronto con i coetanei può portare nei M ad aumento della fiducia in sé, del ruolo di responsabilità e di leadership, ecc.; nelle F oltre ad aumento di indipendenza e sicurezza in sé, può indurre anche comportamenti adultizzati e di tipo antisociale • Maturazione tardiva: nei M può provocare un problema sociale dato dal confronto con i coetanei (comparsa di ansie, problemi di autostima...), nelle F concede maggiore tempo allo sviluppo intellettuale (il livello di autostima rimane buono e vi equilibrio psicologico) • Conseguenze: costi adattivi che possono riflettersi sulle prestazioni scolastiche, sommandosi ad altri eventi stressanti di questo periodo del ciclo di vita COMPITI DI SVILUPPO (Havighurst, 1952) • instaurare relazioni nuove e più mature con coetanei di entrambi i sessi; • acquisire un ruolo sociale maschile o femminile; • accettare il proprio corpo ed usarlo in modo efficace; • conseguire indipendenza emotiva da genitori e altri adulti; • raggiungere la sicurezza di indipendenza economica; • orientarsi verso e prepararsi per un’occupazione o una professione; • prepararsi al matrimonio e alla vita familiare; • sviluppare competenze intellettuali e conoscenze necessarie per la competenza civica; • desiderare e acquisire un comportamento socialmente responsabile; • acquisire un sistema di valori e una coscienza etica come guida al proprio comportamento. Compiti di sviluppo Classificazione dei compiti di sviluppo in relazione ai fenomeni universali dell’adolescenza (Palmonari, 1993): • in rapporto con la pubertà e il risveglio delle pulsioni sessuali; • in rapporto all’allargamento degli interessi personali e sociali e all’acquisizione del pensiero ipotetico-deduttivo; • in rapporto alla problematica dell’identità (o della riorganizzazione del concetto di sé). Teoria focale di Coleman (1980) • I compiti di sviluppo seguono una scansione temporale che può differenziarsi da individuo ad individuo, anche se in via generale certi compiti si presentano prima di altri per la maggioranza dei soggetti (es. i problemi psicologici relativi ai cambiamenti corporei della pubertà si presentano generalmente prima di quelli relativi alla sessualità) Compiti di sviluppo a scuola · passaggi fra cicli di studio differenti · scelta se proseguire o meno gli studi dopo l’obbligo · conoscenza di sé e sviluppo di autostima · costruire “esperienze di padronanza” (legate alla percezione di autoefficacia) · far fronte al giudizio degli altri e gestione della propria reputazione · apprendimenti sociali · impegno nel lavoro scolastico · imparare a fronteggiare l’insuccesso · raggiungere i propri standard di successo scolastico COPING Per fronteggiare questi diversi compiti e reagire agli eventi stressanti che nascono dalla relazione individuo-ambiente, l’individuo attiva particolari strategie dette di COPING (“fronteggiamento”). COPING: capacità di affrontare situazioni ritenute difficili attraverso modalità diverse. • emozionali: - negare o minimizzare il problema - esprimere rabbia verso qualcuno - rifugiarsi nella fantasia strategiche (ovvero centrate sul problema e sulla soluzione): -analizzare la situazione per trovare soluzioni - ricercare informazioni - chiedere aiuto a supporti sociali esterni - organizzare una risposta consapevole • Lo stile personale di coping si sviluppa in base a: caratteristiche personali, esperienze di successi/insuccessi, feedback positivi e negativi, sostegno sociale. • Vari fattori influiscono sulla scelta dell’una o dell’altra modalità di coping, es. ritenere che ci sia una possibilità di soluzione, considerarsi in grado di far fronte alla situazione, avere fiducia nelle proprie capacità, ecc. • Si possono distinguere quindi dalle forme meno adattive alle più adattive: abbandono e disperazione, fuga, reazioni centrate sull’emozione, strategie di azione mediate da altri, strategie di azione finalizzate al risultato LO SVILUPPO MORALE LO SVILUPPO MORALE • L’adolescente, grazie all’acquisizione di competenze cognitive di livello operatorio formale, sviluppa capacità di giudizio morale che lo differenziano dal bambino che è stato • Analizziamo, quindi, lo sviluppo della moralità secondo l’approccio cognitivoevolutivo, i cui massimi esponenti sono Piaget e Kohlberg L’approccio cognitivo-evolutivo allo studio della moralità • l’acquisizione di strutture cognitive sempre più evolute porta a trasformazioni qualitative nella visione del mondo; l’evoluzione della moralità coincide, dunque, con quella dei criteri di ragionamento; • è contrapposto all’approccio psicoanalitico - secondo cui la moralità equivale al controllo esercitato dal Super-Io (l’interiorizzazione della cultura di riferimento dell’individuo, mediata dai genitori e da altre figure autoritarie) sulle pulsioni sessuali ed aggressive che albergano nell’individuo. Dalla morale eteronoma alla morale autonoma (Piaget) Piaget (1932) osservò come la comprensione delle norme evolvesse (dopo il superamento di un periodo premorale in cui si troverebbero i bambini fino 3-4 anni, periodo caratterizzato da quell’assenza di regole definita anomia) attraverso due tappe fondamentali: • • il realismo morale (dai 4-5 anni sino agli 8-9 anni circa), caratteristico del periodo preoperatorio, dominato dalla morale eteronoma il relativismo morale (dopo gli 8 anni; evolve fino all’adolescenza), in cui si afferma la morale autonoma Il passaggio dalla morale eteronoma a quella autonoma avverrebbe sia per merito della maturazione delle strutture cognitive, sia grazie alle interazioni con i pari (che consentono il confronto delle intenzioni) ed al progressivo allentarsi della costrizione rappresentata dall’autorità degli adulti. Kohlberg: la teoria stadiale dello sviluppo morale Kohlberg (1969) elaborò una teoria dello sviluppo morale che concepisce l’evoluzione della moralità come una successione universale ed invariabile nello sviluppo individuale di livelli e stadi. La valutazione degli stadi del ragionamento morale si basa sulla somministrazione di dilemmi morali e di interviste strutturate ad essi relative. I dilemmi morali Un dilemma morale è una situazione in cui entrano in conflitto almeno due interessi o valori e che generalmente implica contrasto tra norme giuridicosociali e soddisfacimento di bisogni individuali. Tale contrapposizione, nell’ottica di Kohlberg, genera un conflitto cognitivo che l’individuo è stimolato a superare attraverso modalità di ragionamento morale che evolvono attraverso la suddetta successione universale ed invariabile. Celeberrimo è il cosiddetto “dilemma di Heinz”: Heinz è un uomo la cui moglie è morente a causa di un cancro curabile con un farmaco che il farmacista della città in cui il protagonista vive vende ad un prezzo esorbitante; grazie a prestiti di amici, Heinz riesce a racimolare soltanto la metà della somma necessaria e si vede quindi costretto a chiedere al farmacista di vendergli il farmaco a minor prezzo oppure di accettare un pagamento successivo; di fronte al rifiuto del farmacista, Heinz prende in considerazione la possibilità di rubare la preziosa medicina. Alla presentazione della storia seguono domande quali “Heinz dovrebbe rubare il farmaco? Perché sì o perché no?”, per stimolare nei soggetti giustificazioni e spiegazioni a sostegno della decisione che attribuiscono al personaggio fittizio. TRE sono i livelli di ragionamento morale individuati da Kohlberg I - LIVELLO PRECONVENZIONALE (prevale nei bambini di età inferiore ai 10 anni): il rispetto delle regole deriva dal desiderio di evitare guai, di soddisfare i propri bisogni ed interessi; il bene e il male vengono giudicati in base alle conseguenze positive o negative per il soggetto posto di fronte al dilemma Il livello preconvenzionale si articola nei due stadi seguenti: • Stadio 1 – Moralità eteronoma (non si considerano le intenzioni che stanno alla base delle azioni), orientamento premio-punizione (evitare le infrazioni che prevedono punizioni; obbedire per evitare danni fisici a persone e proprietà), il punto di vista dell’autorità è confuso con il proprio. • Stadio 2 – Orientamento individualistico e strumentale (si seguono le regole allo scopo di perseguire il proprio interesse immediato e si agisce in accordo ai propri bisogni, lasciando che gli altri facciano altrettanto; ognuno è ritenuto portatore di interessi personali; il giusto comportamento coincide, fra l’altro, con l’intrecciare rapporti basati sull’uguaglianza tra dare e avere). II - LIVELLO CONVENZIONALE (dalla preadolescenza alla tarda adolescenza): ai rapporti interpersonali ed ai valori sociali viene riconosciuta la precedenza rispetto alle forme dell’individualismo I due stadi che esso include: • Stadio 3 – Orientamento del “bravo ragazzo” (è giusto vivere in conformità alle aspettative della propria cerchia sociale o a quelle connesse al proprio ruolo; si aderisce alla regola del “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”). • Stadio 4 – Orientamento al mantenimento dell’autorità e dell’ordine (l’autorità deve essere rispettata poiché è l’espressione di un ordine morale e sociale che va tutelato; occorre agire per favorire il buon andamento delle istituzioni, le quali si disgregherebbero se ciascuno badasse soltanto a se stesso; vengono differenziati il punto di vista del sistema sociale e quello degli accordi interpersonali). III - LIVELLO POSTCONVENZIONALE (età adulta): emergono giudizi morali basati su princìpi astratti, di natura etica Esso comprende: • Stadio 5 – Si è consapevoli che, a gruppi sociali diversi, corrispondono opinioni, valori e regole diversi; in ogni società devono essere presenti valori assoluti (vita, libertà) anche se in contrasto con le opinioni della maggioranza; le leggi devono garantire “il massimo bene per il maggior numero di persone”; si riconosce che i punti di vista legale e morale possono talora entrare in conflitto. • Stadio 6 – Si seguono princìpi etici autonomamente scelti; le leggi sono ritenute valide poiché, generalmente, fondate su tali princìpi, ma nel caso in cui la legge violi il principio, è quest’ultimo ad essere seguito; fondamentali sono ritenuti l’uguaglianza dei diritti umani ed il rispetto nei confronti della dignità di ogni essere umano in quanto individuo. N.B.: secondo Kohlberg, questo livello viene raggiunto da una minoranza di adulti, limitatamente al quinto stadio; il sesto stadio, di rado rilevato, assume valore teorico; in realtà, studi successivi hanno dimostrato che numerosi adolescenti, in particolare quelli con quoziente intellettivo elevato, possono raggiungere il livello postconvenzionale (Andreani Dentici & Pagnin, 1992). Il paradigma di Kohlberg è stato oggetto di numerose verifiche empiriche, le quali ne hanno evidenziato punti di forza e limiti Fra i primi, la validità della sequenza stadiale: il ragionamento preconvenzionale decresce con l’età, poiché caratterizza circa l’80 % dei giudizi morali dei bambini di 10 anni, ma soltanto il 18 % di ragazzi tra i 16 ed i 18 anni), mentre quello convenzionale aumenta con l’avanzare dell’età (dal 22 % in bambini di 10 anni al 90 % circa nei ventiduenni) (Rest, 1983). Le critiche hanno riguardato, fra l’altro: - l’universalità dei valori che la teoria prende in considerazione (tipici della società occidentale individualista); - una visione “androcentrica” della morale come giustizia (Gilligan, 1982: vi è una moralità tipicamente femminile connotata da empatia, cura dell’altro, assistenza); - la mancata considerazione dei valori religiosi e spirituali. Occorre precisare che, nelle risposte fornite ai dilemmi morali, contenuti di natura anche opposta possono corrispondere allo stesso livello e stadio, se condividono una medesima struttura di pensiero; a titolo di esempio, facendo riferimento al dilemma di Heinz descritto in precedenza, ecco un paio di ragionamenti dissimili nel contenuto, ma riconducibili al medesimo stadio 3 (il primo del livello convenzionale): Heinz dovrebbe rubare il farmaco in quanto la moglie si aspetta ciò da lui, e lui vuol essere un buon marito” “Heinz non dovrebbe rubare il farmaco poiché rubare è un crimine ed egli non è un criminale; inoltre, ha cercato di fare tutto ciò che ha potuto senza violare la legge, e quindi non lo si può biasimare.” Norme morali vs. regole convenzionali • Le regole convenzionali sono riferibili alle consuetudini che caratterizzano le interazioni sociali di natura quotidiana (ad es. salutare quando si incontra qualcuno che si conosce) • Già intorno ai 4 anni di età i bambini le distinguono dalle norme morali, ritenendo più grave la violazione di queste ultime (Turiel, 1983); quindi, rubare un giocattolo non sarà ritenuto paragonabile al lasciare i propri giocattoli in disordine, ad es. • La distinzione suddetta è una competenza favorita dall’interazione con altri bambini: ad es., è stato rilevato che, in un gruppo di bambini di 4 anni, coloro i quali avevano frequentato la scuola dell’infanzia per nove mesi tendevano a ritenere la violazione delle regole morali più grave dell’altro tipo di trasgressione, mentre bambini con alle spalle soltanto tre mesi di frequenza non apparivano ancora in grado di differenziare in tal senso (Belacchi & Gobbo, 2004). • Ciò pare dovuto al fatto che le interazioni promuovono la comprensione delle reazioni emotive delle “vittime” di violazioni Il disimpegno morale Le tendenze più attuali della ricerca sullo sviluppo morale sottolineano, fra l’altro, come la trasgressione delle norme possa derivare non da una mancanza di princìpi morali o dalla fallita assunzione di valori di riferimento, ma dalla possibilità – operante a livello cognitivo – di “sospendere” il rispetto dei valori e delle regole attivando meccanismi di moral disengagement. Tali meccanismi costituiscono operazioni di ristrutturazione cognitiva che consentono al trasgressore di una norma di lenire il senso di colpa e la vergogna potenzialmente derivanti dall’atto trasgressivo; con essi l’individuo opera una sorta di “derubricazione morale” del danno prodotto (Pagnin, Zanetti & Pazzaglia, 2004). MORAL DISENGAGEMENT (Bandura, 1991) • • • • • • • • Giustificazione morale (es. “è giusto battersi quando è in gioco l’onore del proprio gruppo”) Etichettamento eufemistico (es. “picchiare dei compagni fastidiosi significa solo dar loro una lezione”) Confronto vantaggioso (es. “ho rubato solo un astuccio, non è grave visto che c’è chi ruba milioni di euro”; “gli ho dato solo uno spintone, mica un pugno”) Dislocazione della responsabilità (es. “ho soltanto eseguito gli ordini del mio capo”) Diffusione della responsabilità (es. “non è colpa mia, l’abbiamo fatto tutti insieme”; “non sono stato solo io, c’erano anche degli altri”) Distorsione delle conseguenze (es. “ma non si è fatto niente!”) Deumanizzazione della vittima (es. “quello è un maiale”) Attribuzione di colpe alla vittima (es. “è stato lui a provocarmi”) Si noterà come alcuni meccanismi tendano ad una ridefinizione del comportamento del trasgressore, altri intervengano sull’azione (minimizzando il ruolo del trasgressore) ed altri ancora si focalizzino sulla vittima, tratteggiata come portatrice della responsabilità del male che le è stato inflitto (si verifica così una violazione del principio secondo cui non si fa ad altri ciò che non si vorrebbe venisse fatto a se stessi). Una ricerca italiana (Varin et al, 1997) ha evidenziato come, in adolescenza, un consumo eccessivo ed indiscriminato di televisione possa favorire il ricorso a meccanismi di moral disengagement, e come tale ricorso si differenzi nei due sessi: mentre i maschi tendono alla deresponsabilizzazione (meccanismi 4 e 5), le femmine appaiono più propense alla giustificazione morale (danni inflitti ad altri vengono giustificati facendo appello a scopi morali o a princìpi superiori). Cenni sulla vita morale nelle scuole La relazione alunno-insegnante sembra comportare implicazioni di tipo morale (Carugati & Selleri, 2001): veicolando messaggi sui valori della cultura di riferimento e sulle regole della partecipazione alla vita collettiva, tende ad indirizzare l’alunno verso un comportamento da “buon cittadino”. • • • • • Una ricerca di ambito statunitense (Jackson et al., 1993) ha individuato 5 categorie di interventi attraverso i quali si attua il curricolo morale nelle scuole: interventi che coinvolgono materie quali la religione e l’educazione civica (discipline, dunque, che propongono un discorso morale esplicito); l’espressione di giudizi di valore su personaggi o eventi storici (ad es., si può evidenziare l’autorità morale di un personaggio illustrandone l’altruismo o lo spirito di sacrificio); discorsi tenuti in occasione di incontri istituzionali (conferenze, consegne premi…); affissione di regolamenti e di materiale relativo alla promozione di valori quali il rispetto della natura, la tutela della salute, ecc.; commenti espliciti dell’insegnante sul comportamento degli alunni. Sono poi individuabili tre indicatori impliciti che – ad un livello più generale – orientano le pratiche quotidiane in senso morale: • le regole vigenti in classe ed il modo in cui gli insegnanti le ribadiscono e le fanno rispettare; • i rapporti di onestà fra docenti e discenti; • le espressioni non verbali dell’insegnante (ad es. le approvazioni o le disapprovazioni espresse tramite sguardi e gesti). IL BULLISMO Il profilo psicologico dei bulli e delle loro vittime: alcuni spunti di riflessione Bullismo: l’origine del termine Bullismo deriva dall’inglese BULLYING, termine a sua volta derivato dal verbo TO BULLY, che, genericamente, significa: costringere qualcuno, usando la forza ed il potere, a fare qualcosa che spontaneamente non avrebbe fatto Bullismo: la definizione psicologica Nella letteratura psicologica, però, il termine è utilizzato in un’accezione meno generica… • Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni; • un’azione viene definita offensiva quando una persona infligge o arreca intenzionalmente un danno o un disagio ad un’altra (Olweus, 1996) Le tre caratteristiche fondamentali la cui compresenza giustifica l’impiego del termine “bullismo” in psicologia sono, quindi: 1) l’intenzionalità (il bullo è contraddistinto dalla volontà di nuocere alla sua vittima); 2) la reiterazione (il bullismo è una prevaricazione che la vittima subisce ripetutamente dal-i medesimo-i soggetto-i); 3) lo squilibrio di potere (il bullo è dotato di maggiore forza fisica e/o psicologica rispetto alla vittima; la relazione bullo-vittima è, dunque, asimmetrica ) Tipologie di bullismo E’ opportuno distinguere varie forme di bullismo: • diretto fisico: il bullo agisce prepotenze fisiche sulla vittima (pugni, calci, percosse…); • diretto verbale: il bullo insulta, minaccia, deride la vittima; • indiretto: colpisce la dimensione relazionale della vittima, che è fatta oggetto di isolamento sociale (esclusione dal gruppo dei pari); è una forma di bullismo perpetrata in modo particolarmente abile dalle femmine Inoltre… il cyberbullismo • • • • • Forma di prevaricazione che sfrutta le risorse di Internet e telefonia: insulti, minacce, diffamazioni, molestie, divulgazione di filmati tramite pc e/o telefono cellulare; creazione di siti web in cui la vittima è diffamata o messa in pericolo con la diffusione di dati riservati che la riguardano Fenomeno che non necessita della compresenza di aggressore ed aggredito nel medesimo contesto fisico (in genere, nel bullismo “tradizionale”, la scuola ed i luoghi e le circostanze ad essa connessi) e/o temporale Come il bullismo tradizionale, il cyberbullying comporta: intenzionalità; natura ripetitiva; disparità di potere cyberbullo/vittima (il primo ha competenze tecnologiche superiori alla seconda) Cyberbullismo Fattore disinibente a favore del bullo: la possibilità di celare la propria identità Si ricordi che, attualmente, gli adolescenti utilizzano Internet prevalentemente a scopo comunicativo (instant messaging, chat); ciò incrementa il rischio di coinvolgimento nel fenomeno del cyberbullying Cyberbullismo Inoltre, la comunicazione on line può determinare frequenti occasioni di fraintendimento; ad es. gli interlocutori non possono cogliere l’ironia espressa dal tono della voce o dalle espressioni facciali; ciò può dar origine a scambi comunicativi che degenerano in ostilità (si verifica in tal caso il cosiddetto flaming) Cyberbullismo: alcuni dati Studi di Patchin e Hinduja (www.cyberbullying.us) Indagine svolta nel 2005, campione di 1400 adolescenti statunitensi utenti di Internet: – 16,7 % di cyberbulli; – 34,4 % di cybervittime; – soltanto il 14,3 % delle vittime ha parlato delle prevaricazioni subite con un adulto significativo (genitore, insegnante) Cyberbullismo: alcuni dati (2) La vittima di cyberbullying: è sovente un soggetto che subisce anche bullismo “tradizionale” Il cyberbullo: può essere una vittima di bullismo “tradizionale” che sfrutta le proprie competenze tecnologiche al fine di trovare una rivalsa – per sé o per amici vittimizzati nel cyberspazio (revenge of the nerds) Bullismo e aggressività Il bullismo può essere considerato, ricordando le tre caratteristiche illustrate in precedenza, una peculiare manifestazione di comportamento aggressivo Tipologie di aggressività Occorre distinguere due tipologie fondamentali di AGGRESSIVITA’ (possono entrambe coesistere in un individuo, ma una di esse tenderà a prevalere): AGGRESSIVITA’ REATTIVA ed AGGRESSIVITA’ PROATTIVA Aggressività reattiva • «a defensive reaction to a perceived threatening stimulus» (Dodge e Coie, 1987); • contraddistingue il soggetto che tende ad interpretare gli stimoli sociali (ad es. il comportamento dei compagni) in senso ostile e minaccioso; • modello “frustrazione-aggressività”: la reazione violenta deriva da una percezione di minaccia o di ostacolo al conseguimento degli obiettivi del soggetto Aggressività proattiva • “fredda”, pianificata per ottenere un beneficio anticipato (un oggetto posseduto dalla vittima oppure la sofferenza di quest’ultima); • ha natura predatoria ed è messa in atto senza rimorsi; • è considerata più grave dell’aggressività reattiva, anche perché coloro che ne sono caratterizzati tendono ad affiliarsi a soggetti simili che offrono rinforzo ai comportamenti devianti; • predispone alla criminalità ed all’abuso di sostanze in età adulta (Pulkkinen, 1996; Raine et al, 2006); • pare essere in aumento (Mac Adams III, 2002) BAMBINI AGGRESSIVI REATTIVI BAMBINI AGGRESSIVI PROATTIVI Sono deficitari nella comprensione di aspetti critici di situazioni sociali ambigue Hanno aspettative positive circa gli esiti del loro comportamento aggressivo Di conseguenza tendono ad attribuire agli altri intenzioni ostili ed aggrediscono spinti da tale errata attribuzione Percepiscono emozioni positive in seguito alle azioni aggressive La loro attivazione fisiologica nell’agire aggressivamente è bassa Sono caratterizzati da acting out e scoppi d’ira Spesso sono visti dai pari come leaders Non godono di popolarità presso i pari e sono spesso oggetto di isolamento sociale Tendono ad aggregarsi a soggetti simili a loro e da essi ricevono rinforzi ai loro comportamenti L’aggressività dei bulli Varie proposte teoriche sono state avanzate per spiegare il comportamento aggressivo dei bulli • • • • • • Dodge, negli anni Ottanta del XX secolo, condusse una serie di studi sui ragazzi aggressivi americani che lo portarono a leggere le loro condotte disadattive alla luce di un errato processamento degli stimoli sociali. Il social information processing descritto dall’autore si articola nelle sei fasi seguenti: decodifica dello stimolo sociale; interpretazione dello stimolo; scelta degli obiettivi; generazione di possibili risposte; scelta di una risposta fra le alternative generate; esecuzione della risposta selezionata. Secondo Dodge, gli individui aggressivi tendono a fallire in una delle suddette fasi; essi, quindi, sarebbero contraddistinti da: • una carente decodifica dell’informazione sociale (interpretata come ostile); • una gamma limitata di opzioni non aggressive di reazione, specialmente in situazioni di conflitto interpersonale (Dodge, 1980; Gini, 2006) Varie ricerche hanno criticato l’impostazione teorica di Dodge, sostenendo che i soggetti aggressivi siano in realtà degli ottimi “lettori” degli stati d’animo e delle intenzioni altrui, e che usino tale abilità machiavellica per ricavare vantaggi personali, manipolare gli altri, mantenere la dominanza e difendere il proprio status Attualmente, la ricerca psicologica tende a confermare che ciò che differenzia i bulli dagli individui non aggressivi NON sia la carenza di abilità sociali, bensì la mancanza di EMPATIA unita al ricorso a meccanismi di DISIMPEGNO MORALE Contesto familiare dei prepotenti Sono stati identificati alcuni fattori di rischio che, se presenti nel contesto familiare del bambino, possono rappresentare precondizioni favorenti la comparsa di comportamenti di prevaricazione verso i pari; ne segnaliamo alcuni: • atteggiamento distanziante, mancanza di calore e di coinvolgimento nella relazione con il bambino da parte delle figure di accudimento nei primi anni di età; • stile educativo genitoriale eccessivamente permissivo, che non pone limiti e non offre contenimento all’aggressività; • uso coercitivo del potere da parte dei genitori: punizioni fisiche, violente esplosioni emotive; • lunghi periodi caratterizzati da assenza di supervisione da parte degli adulti Il problema della permissività e del contenimento degli impulsi aggressivi appare particolarmente attuale se si considera il modello familiare ormai dominante nelle società occidentali, modello caratterizzato da una certa “debolezza” della figura paterna, la cui funzione normativa è affievolita Le vittime Le ricerche hanno evidenziato l’esistenza di due tipologie ben distinte di soggetti vittimizzati, tipologie caratterizzate da profili psicologici specifici: VITTIME PASSIVE e VITTIME AGGRESSIVE (o VITTIME PROVOCATRICI, o BULLI-VITTIME) Le vittime passive Presentano le caratteristiche seguenti: • si tratta di soggetti ansiosi, insicuri, cauti, esteriormente calmi; • se attaccati, reagiscono piangendo o chiudendosi in loro stessi: mancano di adeguate strategie per fronteggiare le emozioni derivanti da situazioni stressanti, che causano in loro senso di fallimento e frustrazione; Le vittime passive (2) • sono caratterizzati da carente autostima, opinione negativa di sé, si considerano stupidi, falliti, poco attraenti; • spesso sono fisicamente più deboli dei pari; • hanno un atteggiamento negativo nei confronti della violenza; Le vittime passive (3) • dal punto di vista delle relazioni sociali, sono spesso oggetto di isolamento, oppure intrecciano relazioni con altre vittime passive; ottengono bassi livelli di accettazione da parte dei pari; • possono far parte di gruppi minoritari (disabili, stranieri, soggetti il cui comportamento non è tipico del genere cui appartengono): tale appartenenza incrementa il rischio di subire prevaricazioni. Le famiglie delle vittime passive Il contesto familiare in cui crescono le vittime passive, sembra caratterizzato da un elevato livello di coesione e iperprotezione, alti livelli di comunicazione e basso livello di conflittualità e controllo coercitivo. Questi attributi dell’ambito familiare favoriscono l’instaurarsi di un forte legame di interdipendenza tra i membri, vincolo che impedisce al bambino di sviluppare un adeguato livello d’indipendenza e autonomia personale: racchiuso come si sente all’interno del proprio nucleo protettivo, egli sviluppa un atteggiamento d’ansia e paura verso il mondo esterno (Genta, 2002; Menesini, Giannetti & Genta, 1999). Le vittime aggressive Le vittime aggressive condividono alcuni tratti del loro comportamento sia con le vittime passive, sia con i bulli. Le vittime aggressive (2) Più specificamente gli aspetti che le accomunano alle prime sono depressione, ansia sociale, bassa autostima e rifiuto da parte dei pari, mentre sono associate alla categoria dei bulli per i loro comportamenti aggressivi e antisociali (si tratta di soggetti che si comportano in modo da causare irritazione e tensione; spesso risultano sgraditi anche agli adulti), problemi di concentrazione, impulsività e iperattività Le vittime aggressive (3) Per quanto riguarda le relazioni con i coetanei, come le vittime passive, hanno scarsi rapporti con i pari, ma ciò che differenzia le vittime passive da quelle aggressive è che le prime riescono a creare una, seppur limitata, rete amicale costituita, tendenzialmente, da altre vittime (Pellegrini, Bartini & Brooks; 1999), mentre sembra che le vittime aggressive siano particolarmente soggette a rifiuto ed isolamento, ciò che le pone in una posizione di ancor più accentuato svantaggio sociale Le vittime aggressive (4) Perry et al. (1992) hanno definito la figura della vittima provocatrice come “aggressore inefficace” o “vittima ad alto conflitto”; secondo gli autori, questi bambini hanno difficoltà a modulare la loro affettività in situazioni di conflitto interpersonale, durante le quali si verifica un’iperattivazione emotiva che trasforma l’interazione con i pari in uno scambio aggressivo, che successivamente sfocia in angoscia emotiva e frustrazione per il soggetto. Le vittime aggressive (5) Sono “aggressori inefficaci” poiché si differenziano dai bulli “aggressori efficaci”, i quali, tramite comportamenti aggressivi, riescono a raggiungere i propri obiettivi Sono “vittime ad alto conflitto” perché si contrappongono alle “vittime a basso conflitto”, cioè le vittime passive, che esibiscono un comportamento sottomesso VITTIME PASSIVE VITTIME AGGRESSIVE Poco inclini a protestare verbalmente, stuzzicare gli altri o iniziare gli scontri Modello reattivo ansioso: non sanno difendersi se attaccate, spesso reagiscono piangendo Sono più ansiose e insicure dei coetanei e meno assertive Hanno un’opinione negativa di sé e bassa autostima Vivono spesso in condizioni di isolamento e hanno pochi amici (per lo più altre vittime). Hanno un comportamento che spesso irrita gli altri Modello reattivo ansiosoaggressivo: usano l’aggressività in modo inefficace Hanno atteggiamenti provocatori e difficoltà di controllo delle emozioni Sono soggette a isolamento e alienazione ancor più delle vittime passive Le famiglie delle vittime aggressive Gli studi che hanno esaminato l’ambiente familiare delle vittime provocatrici non sono molti; Rigby (1994) riportò che esse vedono le loro famiglie come caratterizzate da un basso livello di comunicazione e carenza di affetto e di sentimenti positivi, e i soggetti indagati da Baldry e Farrington (1998) descrissero i loro genitori come autoritari, punitivi e carenti di capacità di supporto Per concludere questo sintetico itinerario, è importante ricordare come, sovente, il bullismo costituisca un fenomeno di gruppo, uno scenario nel quale interagiscono anche soggetti distinti dai protagonisti su cui abbiamo finora focalizzato la nostra attenzione…. 1. BULLO: chi prende attivamente l’iniziativa nell’agire prepotenze verso i compagni. 2. AIUTANTE: chi agisce in modo prepotente, ma come seguace del bullo, in posizione secondaria (non prende l’iniziativa) 3. SOSTENITORE: chi agisce rinforzando il comportamento del bullo, per esempio ridendo, incitando o semplicemente guardando 4. DIFENSORE: chi prende le difese della vittima, cercando di far cessare le prepotenze o consolandola 5. OUTSIDER: chi resta al di fuori delle situazioni di prevaricazione, poiché ritiene che non lo riguardino 6. VITTIMA: chi subisce in modo ripetuto le prepotenze DISCUSSIONE DI UN CASO TRATTO DA RECENTI FATTI DI CRONACA