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Avv_Amadei_SlidesContraffazionealimentare
La contraffazione dei prodotti alimentari
CAMERA DI COMMERCIO DI RAVENNA
3 LUGLIO 2013
Avv. NICOLETTA AMADEI
PARTNER di CLG ITALIA
Una premessa : L’italianità dei prodotti
alimentari un valore aggiunto
• In tutto il mondo i prodotti italiani sono
conosciuti per la loro qualità
• In nessun paese del mondo esiste una così
ampia varietà di prodotti alimentari tipici
La contraffazione dei prodotti alimentari italiani
: il «Sound Italian»
• Ciò porta molti a tentare di dare un’immagine
italiana ai loro prodotti alimentari, anche se
sia la materia prima sia la lavorazione non
avvengono in Italia
• Si tratta del fenomeno del cd «Sound italian» :
è vietato ?
LA (CONFUSA) RISPOSTA DELLA
LEGISLAZIONE
L’attuale normativa sul «Made in» è complessa
e contraddittoria, e non appare idonea a
tutelare l’italian brand, inteso come garanzia di
qualità ed affidabilità
Il made in Italy ha un triplice significato come
indicazione di origine del prodotto, in senso
geografico, doganale e commerciale
• Per origine geografica s’intende la
provenienza geografica del prodotto
• Per origine commerciale la provenienza del
prodotto da una azienda situata sul territorio
italiano
• Per origine doganale s’intende l’origine del prodotto al
fine del pagamento del dazio in dogana sulla base di accordi
doganali preferenziali (Unione europea) o non preferenziali
(paesi terzi). In questo senso per origine del prodotto
s’intende il luogo in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o
lavorazione sostanziale.
• La normativa del «made in» non è uniforme e
può suddividersi in normativa internazionale,
comunitaria e nazionale
La disciplina internazionale
a) L’accordo di Madrid (DPR 656/68) «Il made
in» deve essere veritiero
• E’ vietato indicare sulle merci o sulle confezioni
l’origine dei prodotti che possano trarre in inganno il
consumatore sull’effettivo luogo di produzione dei
beni.
• Qualsiasi prodotto recante una falsa o ingannevole
indicazione di provenienza sarà sequestrato
all’importazione.
La disciplina comunitaria
• Codice doganale comunitario
(Reg.CE 450/2008) – art.36
• Le merci sono considerate originarie di un Paese
quando sono realizzate interamente in quel paese
• Nel caso in cui due o più Paesi abbiano contribuito
alla produzione, sono considerate “originarie del
Paese in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o
lavorazione sostanziale”.
Segue : La disciplina comunitaria
• Per determinare l’ultima trasformazione
sostanziale si deve procedere :
• All’analisi dettagliata dei singoli componenti e delle
materie prima
• All’analisi delle lavorazioni
• All’individuazione della trasformazione
La disciplina comunitaria
• Il Regolamento CEE del Consiglio n. 2081 del 1992 relativo
alla protezione delle indicazioni geografiche e delle
denominazione di origine dei prodotti agricoli ed alimentari,
poi sostituito dai Regolamenti CE 509 e 510/2006.
• Il presupposto per accedere a questa tutela è l’esistenza di un
collegamento dimostrabile tra una determinata caratteristica
del prodotto ed un determinato luogo di produzione
spazialmente delimitato. In questo ambito trovano protezione
le denominazioni geografiche e le indicazioni di provenienza
rette da un titolo (la registrazione) alle quali l’ordinamento
comunitario assicura una protezione uniforme:
Denominazioni di Origine protette (DOP) e indicazioni
geografiche Protette(IGP)
Articolo 4 Reg.CE 509/2006
Requisiti relativi ai prodotti e ai nomi
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1. Per figurare nel registro di cui all’articolo 3 (registro delle «Specialità Tradizionali
Garantite»), un prodotto agricolo o alimentare deve essere ottenuto utilizzando materie
prime tradizionali oppure essere caratterizzato da una composizione tradizionale o aver
subito un metodo di produzione e/o di trasformazione che rispecchia un tipo tradizionale di
produzione e/o di trasformazione.
Non è consentita la registrazione di un prodotto agricolo o alimentare la cui specificità
risieda nella provenienza o nell’origine geografica. L’utilizzazione di termini geografici è
autorizzata fermo restando quanto stabilito nell'articolo 5, paragrafo 1.
2. Per essere registrato, il nome deve:
a) essere di per sé specifico; oppure
b) indicare la specificità del prodotto agricolo o del prodotto alimentare.
3. Il nome specifico di cui al paragrafo 2, lettera a), deve essere tradizionale e conforme a
disposizioni nazionali oppure consacrato dall’uso.
Il nome che indica la specificità, di cui al paragrafo 2, lettera b), non può essere registrato se:
a) fa unicamente riferimento ad affermazioni di carattere generale, utilizzate per un insieme
di prodotti agricoli o di prodotti alimentari, ovvero previste da una particolare normativa
comunitaria;
b) è ingannevole, soprattutto se fa riferimento a una caratteristica evidente del prodotto o se
non corrisponde al disciplinare e di conseguenza rischia di indurre in errore il consumatore
in merito alle caratteristiche del prodotto.
Articolo 5
Restrizioni all'uso dei nomi
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1. Il presente regolamento si applica ferme restando le disposizioni comunitarie o degli Stati membri che disciplinano la
proprietà intellettuale e in particolare di quelle relative alle indicazioni geografiche e ai marchi.
2. Il nome di una varietà vegetale o di una razza animale può essere utilizzato nella denominazione di una specialità
tradizionale garantita, purché non induca in errore sulla natura del prodotto.
Articolo 6
Disciplinare
1. Per beneficiare della denominazione "specialità tradizionale garantita (STG)" un prodotto agricolo o alimentare deve essere
conforme ad un disciplinare.
2. Il disciplinare comprende i seguenti elementi:
a) il nome di cui all’articolo 4, paragrafo 2, redatto in una o più lingue, con l’indicazione che l’associazione chiede la
registrazione, con o senza l’uso riservato del nome, precisando se chiede di beneficiare del disposto dell’articolo 13,
paragrafo 3;
b) la descrizione del prodotto agricolo o alimentare, incluse le sue principali caratteristiche fisiche, chimiche,
microbiologiche od organolettiche;
c) la descrizione del metodo di produzione che il produttore deve rispettare, compresi, se opportuno, la natura e le
caratteristiche delle materie prime o degli ingredienti utilizzati e il metodo di elaborazione del prodotto agricolo o
alimentare;
d) gli elementi chiave che definiscono la specificità del prodotto ed eventualmente le referenze utilizzate;
e) gli elementi fondamentali che attestano la tradizionalità del prodotto, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, primo comma;
f) i requisiti minimi e le procedure di controllo della specificità.
La giurisprudenza comunitaria
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•
Corte di Giustizia 7 novembre 2000 emessa nel procedimento C312\98
avente ad oggetto una domanda pregiudiziale ai sensi dell’art. 177 del
Tratt. CEE (ora art. 234) per sapere se il regolamento 2081\1992 osti ad
una normativa nazionale che proibisca l’uso ingannevole di una
denominazione di origine geografica semplice, vale a dire di
un’indicazione che non implichi alcun rapporto fra le caratteristiche del
prodotto e la sua origine geografica.
La Corte ha espresso il principio secondo cui in mancanza di una
normativa comune in materia di produzione e commercio di un prodotto
spetta in linea di principio agli Stati membri disciplinare, ciascuno
nell’ambito del proprio territorio, tutto ciò che riguarda il commercio di
tale prodotto, salvo qualsiasi provvedimento dell’Unione adottato al fine di
ravvicinare le legislazioni nazionali in queste materie. Dunque l’Italia
potrebbe disciplinare il made in Italy come indicazione geografica
semplice, con effetti solo nel nostro Paese fin dall’importazione e dunque
anche con la previsione di strumenti doganali.
La disciplina nazionale
Premessa
1. In Italia l’indicazione «made in» non è obbligatorio
2: Chi lo appone deve indicare l’origine veritiera
La norma penale del codice del 1930 – le sanzioni penali
Art. 517 codice penale – Vendita di prodotti industriali con
segni mendaci
Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione
opere dell’ingegno o prodotti industriali con nomi, marchi o
segni distintivi nazionali o esteri atti ad indurre in inganno il
compratore sull'origine, provenienza o qualità dell'opera o del
prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da
altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o
con la multa fino a ventimila euro.
La Legge finanziaria 2004 – le sanzioni penali
•
•
Il comma 49 dell’art. 4 della legge finanziaria 2004 n. 350 del 24
dicembre 2003 :
L’importazione e l’esportazione a fini di commercializzazione ovvero la
commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di
provenienza costituisce reato ed è punita ai sensi dell’art.517 cp.
•
A) costituisce falsa indicazione la stampigliatura “made in Italy” su
prodotti o merci non originari dell’Italia ai sensi della normativa europea
sull’origine;
•
B) “costituisce falsa indicazione, anche qualora sia indicata l’origine o la
provenienza estera dei prodotti, l’uso di segni, figure, o quant’altro possa
indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia di origine italiana;
•
Le fattispecie sono commesse sin dalla presentazione dei prodotti in
dogana per l’immissione in commercio o in libera pratica e sino alla
vendita al dettaglio.
Le Modifiche alla finanziaria 2004
• La legge 99 del 2009, all’art.17 ha modificato l’art.49 della
Finanziaria 2004 prevedendo che «costituisce falsa
indicazione la stampigliatura “made in Italy” su prodotti o
merci non originari dell’Italia ai sensi della normativa
europea sull’origine, ovvero l’uso di marchi di aziende italiane
su prodotti o merci non originari dell’Italia, ai sensi della
normativa europea sull’origine senza l’indicazione precisa, in
caratteri evidenti, del loro Paese e del luogo di fabbricazione
o di produzione, o altra indicazione sufficiente ad evitare
qualsiasi errore sulla loro effettiva origine estera»
• (Caso Dolce e Gabbana)
• L’art.17 è stato poi abrogato con DL.26.9.2009 conv. in
L.166/09
Il codice del consumo D.lgs. 206/2005 – le
sanzioni amministrative
•
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•
Il testo novellato dell’art. 21 codice del consumo considera pratiche
commerciali scorrette e sanziona tutte le informazioni
“che indicano o siano idonee ad indurre in errore il consumatore medio o,
comunque, lo inducano o siano idonee ad indurlo ad assumere una
decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”,
riguardo alle caratteristiche principali del prodotto e in particolare
riguardo alla sua origine geografica o commerciale.
Lo stesso vale per le omissioni ingannevoli.
L’AGCM può erogare una sanzione amministrativa da 5.000 a 500.000
euro, in caso di recidiva può sospendere l’attività dell’impresa per 30 giorni
e può ordinare la pubblicazione del provvedimento.
Gli stessi comportamenti possono essere oggetto di autonome sanzioni (di
pari entità) anche sotto il profilo della pubblicità ingannevole, rilevante ai
fini della concorrenza sleale fra imprese.
Segue la Legislazione nazionale
•
Il DL. 26.9.2009 n.135 convertito in Legge 20.11.2009 n.166
•
Ha introdotto il concetto del «100% made in Italy» prevedendo che è tale
«il prodotto o la merce per il quale il disegno, la progettazione, la
lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul
territorio italiano.
•
Chi viola il 100% made in Italy è soggetto alle pene previste dall’art,517
c.p. aumentate fino ad un terzo.
•
Ha previsto un nuovo illecito amministrativo speciale che punisce la
fallace indicazione d’origine costituita dall’uso di marchi, ad opera del
titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a
ritenere che il prodotto sia di origine italiana, ai sensi della disciplina
comunitaria sull’origine, in assenza di indicazioni precise sull’effettiva
origine estera del prodotto o senza l’attestazione resa dal titolare o dal
licenziatario circa le informazioni che a sua cura verranno rese in fase di
commercializzazione del prodotto circa la sua origine estera.
Segue: la Legge 20.11.2009 n.166
•
La sanzione amministrativa pecuniaria va da 10.000 a 250.000 euro.
•
Le conseguenze dell’illecito sono la confisca amministrativa dei prodotti
recanti false o fallaci indicazioni che potrà essere evitata se sia avvenuta la
regolarizzazione delle etichette sui prodotti o sulla confezione, a cura e
spese del responsabile.
•
Si noti che si punisce solo la falsa indicazione del MADE IN ITALY, non la
falsa indicazione del MADE IN …. In quanto tale!
Segue: la Legislazione nazionale
•
•
•
La legge 8 aprile 2010 n. 55 ”Etichettatura dei prodotti e made in Italy” ,
I decreti attuativi di tale legge sono stati bloccati in sede comunitaria
quindi la disciplina non è al momento applicabile.
riguarda solo i settori tessile, della pelletteria e delle calzature ed introduce
un sistema di etichettatura dei prodotti finiti ed intermedi destinati alla
vendita che evidenzi il luogo di origine di ciascuna fase di lavorazione e
assicuri la tracciabilità dei prodotti stessi.
•
In altri termini verrebbe introdotta nel nostro Paese una disciplina che
parrebbe anticipare le indicazioni contenute nel regolamento UE
1169\2011 che entrerà in vigore il 14 dicembre 2014.
•
prevede inoltre che la possibilità di utilizzare l’indicazione made in Italy
solo per prodotti finiti per i quali le fasi di lavorazione siano avvenute
prevalentemente nel territorio nazionale e, in particolare, “se almeno due
della fasi di lavorazione per ciascun settore sono state eseguite nel
territorio medesimo e per le rimanenti fasi è verificabile l a tracciabilità”.
Le misure repressive civili
• Se la contraffazione dei prodotti alimentari
implichi anche contraffazione di marchio, di
brevetto o di altra privativa (design sulle
confezioni ecc.) si potranno ottenere contro il
contraffattore anche le tutele previste dal CPI
d.lgsl.30 del 2005, in via d’urgenza ossia il
sequestro, l’inibitoria, l’ordine di distruzione, la
descrizione, la pubblicazione della sentenza.
• Oltre al risarcimento del danno
I casi concreti :
• La Cass. pen. 8.6.2011 n.28740 ha esteso la tutela
penale anche ai prodotti alimentari e ha ritenuto
concretizzare il reato p. e p. dall’art.517 cp. anche la
condotta di chi poneva in commercio pomodori
pelati con il marchio San Marzano DOP, seppure
provenienti dalla regione Puglia. Ciò considerando
fallace l’indicazione di origine non solo
imprenditoriale ma soprattutto geografica
Segue i casi concreti
• La Cass. Pen. 12.2.2009 n.20125 ha ritenuto
applicabili anche gli artt. 515 e 517 cp. ad
una fattispecie di vendita di grana padano
venduto come prodotto DOP pur essendone
sprovvisto delle caratteristiche.
Segue i casi concreti
• La Cass. Pen. 15. 3. 2007 n. 27250 ha applicato la
concezione doganale del «paese di origine» anche ai
prodotti agroalimentari laddove gli stessi abbiano
subito una trasformazione o lavorazione sostanziale
in Italia, pur proveniendo dall’estero (macedonia di
frutta con modesta quantità di prodotto proveniente
da paesi esteri)
Segue i casi concreti
• Il Tribunale di Salerno nella sentenza
22.3.2010 ha ritenuto non integrasse il reato
p. e p. dall’art.517 il fatto commesso da una
società italiana (in realtà controllata da una
società spagnola) che importava in Italia
barattoli di pomodori in cubetti provenienti
dalla Spagna senza indicarne la provenienza,
né il made in Italy, semplicemente indicando
la scritta ST S.p.a. nell’etichetta e «lavorato
fresco appena raccolto».
Le soluzioni possibili
• La disciplina dell’etichettatura :
•
•
•
attraverso un’etichettatura più specifica sulla provenienza dei prodotti,
anche non italiani, come già è stato previsto in seguito al caso «Mucca
Pazza» e al caso della «febbre aviaria».
Tale ipotesi consente di conseguire la tracciabilità del prodotto dal luogo
di produzione alla vendita
Sono allo studio misure comunitarie che individuino l’origine geografica
dei prodotti e la rendano obbligatoria, con possibilità di scegliere il «made
in …» seguito dal nome del Paese oppure il «made in Europe»
• La diffusione dei marchi collettivi e dei
marchi DOP e IGP
• I marchi collettivi o i marchi sulla denominazione d’origine
protetta o sull’indicazione geografica protetta consentono di
poter individuare, attraverso un disciplinare, le regole di
produzione, fabbricazione e trasformazione dei prodotti e
consentono controlli di qualità attraverso enti di
certificazione o organismi qualificati.
• Differenze tra questi due tipi di marchi e
preferenze :
• i marchi DOP e IGP vengono rilasciati a livello
comunitario e seguono procedure piuttosto lunghe;
• I marchi collettivi sono marchi nazionali o
comunitari che possono essere promossi da
associazioni o consorzi di aziende che condividano
la finalità di promuovere la qualità dei propri
prodotti.
Grazie per l’attenzione
Nicoletta Amadei
Avvocato
CLG ITALIA
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