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LAVORO 1 Cristiani

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LAVORO 1 Cristiani
:
LAVORO
Dedicato a
Dagmawi, Tighist e gli altri
protagonisti di Come un uomo sulla terra
I CRISTIANI E IL LAVORO, senza
mettere la testa sotto la sabbia…
Il compito dell’uomo in un inno di
Padre David Maria Turoldo :








Dio d’amore, o fonte di gioia
vogliamo offrirti un inno di grazie:
nulla chiediamo se non di cantare,
lodarti in nome di ogni creatura.
Sei tu la vita e vita è luce,
tutte le cose continui a creare,
e formi l’uomo a tua somiglianza,
l’uomo che è il volto del tuo mistero.
 La sua sorte tu gli hai svelato,
 per te egli chiama le cose per nome
 perché capace di scienza e d’amore,
 è il compimento dell’opera tua.
 L’occhio tuo fondo gli hai posto nel cuore
 perché egli scopra le tue meraviglie
 e sempre celebri il santo tuo nome
 la tua bellezza narrando nel canto.
 A lui affidi i cieli e la terra,
 gli apri i segreti del tuo universo,
 con lui agisci nell’unico amore
 e porti avanti con lui il creato.
 Gli dai la donna a sua perfezione,
 l’uomo che sia amico e fratello,
 con cui insieme soffrire e gioire,
 Dio che fondi l’eterna alleanza.
Ma il lavoro cos’è?
 Nelle concezioni moderne il lavoro si presenta molto
diverso per intensità e organizzazione.
 Jacques Delors, presidente della Commissione
dell’Unione Europea dal 1985 al 1995, afferma: “Il
lavoro è il primario integratore sociale oggi a nostra
disposizione. Il lavoro orienta, identifica e integra;
integra perché crea momenti di solidarietà; orienta
perché fornisce ruolo alle persone; identifica perché
attribuisce status agli individui”.
 La citazione è in A. P. JERI, Lavorare stanca. Entrare e uscire dal mondo del
lavoro, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004, 8. L’autrice, psicologa clinica, si
chiede quanto sia ancora attuale tale definizione. In effetti
è almeno dimezzata dalla situazione di precarietà lavorativa, e dagli attuali
modelli di lavoro (cococo, cocopro, contratti a ore...)
E la Bibbia che dice?
 Nella Bibbia non troviamo un trattato sul lavoro. Essa
sembra ignorare o conoscere male il lavoro –
vorticoso come lo intendiamo noi oggi -, anche se
l’uomo e la donna biblici appaiono sempre impegnati
nel lavoro o da esso condizionati.
 Ma essa, “presa nella sua totalità, se anche non
risponde a tutte le nostre questioni, ci introduce nella
realtà del lavoro, del suo valore, della sua pena e della
sua redenzione”.[1]

[1] P. DE SURGY – J. GUILLET, 501. Cfr. anche G. DI PALMA, Il lavoro nei
libri sapienziali, in A. BONORA – M. PRIOTTO e Collaboratori, Libri
sapienziali e altri scritti, (Logos. Corso di studi biblici - 4) Elle Di Ci, Torino
1997, 423-433.
Per sei giorni lavorai e il
settimo riposerai
 Il messaggio biblico inscindibilmente
intreccia
 lavoro
 riposo
 e festa
per l’equilibrio delle persone e delle
famiglie
Il riposo sabbatico è il vertice
dell’insegnamento biblico sul lavoro

Il comandamento del riposo apre la prospettiva di
una libertà più piena, quella del Sabato eterno
(cfr. Eb 4,9-10).
Il riposo consente agli uomini di ricordare e di
rivivere le opere di Dio, dalla Creazione alla
Redenzione, di riconoscersi essi stessi come
opera sua, di rendere grazie della propria vita e
della propria sussistenza a Lui, che ne è l’Autore.
[CDSC 258]
.
Creati per il riposo!
“Entrare nel riposo di Dio”
ci permette di non ricadere in quella disobbedienza
che ci allontana dal Signore e, quindi, dal vero
significato della nostra esistenza.
Sappiamo quanto è attuale, infatti, la tentazione di
fare del lavoro un idolo; ma siamo anche
consapevoli di dove ci porta questa idolatria.
Siamo consapevoli anche di quanta sofferenza
comporti non avere o trovare un lavoro, essere
stanchi senza avere lavorato …
Siamo anche consapevoli che
 delocalizzazione, globalizzazione,
frammentazione fisica del ciclo produttivo,
innovazioni tecnologiche, precarietà e
flessibilità … sono le “cose nuove”, le nuove
sfide di oggi (Mandarina Duck, Ragno, … Fiat Madras, industria
meccanica italiana trasferita in Serbia, i cui operai sono recentemente
scesi in sciopero per orari massacranti e salario da fame).
 “Cercavamo braccia, sono arrivate persone!”
(Maurizio Ambrosini) Villa Literno, Caserta, Rosarno, Carmagnola
COLLABORATORI DI DIO
Il lavoro dell'uomo nel NT e
la somiglianza al Creatore
 Nel NT e, in modo particolare nei testi
evangelici, il lavoro e le attività umane sono
presentati in funzione della novità del Regno di
Dio.
 Un Regno inaugurato da Gesù Signore con la
proclamazione della buona notizia e
manifestato con le sue opere (Mt 4,23-25).
Un lavoro comune: curare il gregge
Il lavoro umano si colloca nella
stessa scia divina
 che è quella di rinnovare continuamente il
creato fino a portarlo alla sua completa
realizzazione.
 Per questo Gesù non esita nel presentare il
Padre e anche se stesso nella veste di
personaggi tratti dal mondo del lavoro: vignaiolo
(Gv 15,1), pastore (Gv 10,1), medico (Mc 2,17),
seminatore (Mc 4,3), casalinga (Lc 15,8; Mt 13,33).
Il Padre e Gesù
indirizzano tutte le loro opere verso un unico
traguardo:
liberare l’uomo da ciò che l’opprime e blocca la
sua crescita e la sua maturazione.
L’azione di Gesù è rendere l’uomo libero
affinché mediante il suo lavoro possa
manifestare la piena somiglianza al Creatore
e diventare figlio di Dio (Mt 5,48).
Nella prospettiva del NT si supera la tradizione teologica che
considerava il lavoro come
maledizione divina per la trasgressione di Adamo ed Eva
(Gen 3, 19).
 Lavorare la terra, mangiando il pane con il
sudore del proprio volto, non è il prezzo da
pagare come punizione per un peccato, ma
l’impegno concreto in vista della realizzazione
del disegno divino: che l’uomo faccia fruttificare
quanto di buono Dio ha messo nelle sue mani
(Gen 1,25).
 Per questo Dio benedice l’uomo e la donna
affinché siano fecondi, cioè creativi, e possano
contribuire al suo progetto: raggiungere la piena
armonia superando ogni forma di caos.
Il lavoro umano riflette quello
del Creatore,
 che ha fatto l’uomo e la donna a sua immagine
perché diventino come lui creatori: "poiché la
creazione aspetta con impazienza la
manifestazione dei figli di Dio... nella speranza
che anche la creazione stessa sarà liberata dalla
schiavitù della corruzione per entrare nella
gloriosa libertà dei figli di Dio"(Rm 8,19.21).
 Non c’è da rimpiangere un paradiso
irrimediabilmente perduto, ma da lavorare alla
sua piena realizzazione.
Il lavoro umano:
il servizio come signoria
 In una società come quella giudaica dove più
delle dottrine contavano i comportamenti, i quali
erano regolati fino al minimo dettaglio dalle
prescrizioni della Legge, l’attività creatrice con
la quale Gesù restituisce vita a quanti ne erano
carenti (Gv 5,1-16; 9,1-41), non poteva non
provocare la risposta ostile e violenta da parte
delle autorità religiose.
Nella sinagoga di Nazaret
 Gesù si presenta come l’inviato di Dio la cui
opera sarà la liberazione dei prigionieri e la
libertà degli oppressi (Lc 4,18).
 Questa attività richiama quella che Yahvé
aveva realizzato nei confronti del popolo
d’Israele quando, liberandolo dall’Egitto, lo fece
uscire da un mondo disumano dove era
condannato alla schiavitù, la forma più
degradata del lavoro, e destinato
all’annientamento (Lv 26,13).
Il riposo festivo
comando e conquista
 Per suggellare la liberazione del popolo dai lavori
forzati e per far gustare la dignità conquistata,
nell’alleanza del Sinai si istituisce un giorno di riposo
settimanale:
 "ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e
che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con
mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio
ti ordina di osservare il giorno di sabato" (Dt 5,15).
Questo giorno è memoria della salvezza operata da
Yahvé e rende l’uomo come Dio, signore del tempo
(Gen 2,2-3).
Il sabato,
espressione della signoria
 alla quale l’uomo era chiamato, in quanto immagine di
Dio, nel giudaismo era diventato proprio il contrario.
 Al tempo di Gesù, il sabato serve solo a ricordare che
l’uomo è suddito di Dio, sottomesso alla sua Legge,
quindi privato della sua autonomia.
 A causa della dottrina degli scribi e dei farisei,
l’osservanza del sabato si era tramutata in un giogo
insopportabile, che aveva reso di nuovo l’uomo schiavo
non di un nuovo faraone, ma di un codice di norme e di
precetti.
La contestazione di Gesù
 L’osservanza del sabato vietava all’uomo ogni forma di
attività, fino al punto di sacrificare la sua libertà e la sua
dignità.
 Per contestare questa dottrina Gesù sceglie
volontariamente di agire proprio in questo giorno.
 Egli dimostra così di non accettare nessuna norma
esteriore che possa limitare la sua attività creatrice e si
appella a Dio per giustificare l’inosservanza del
comandamento: "come il Padre mi ha comandato così
io faccio" (Gv 14,31).
Gesù abolisce il sabato
 Gesù non trasgredisce il sabato, ma lo abolisce
(Gv 5,18), non riconoscendo la validità del
comandamento di Mosé, e per questo dichiara:
"mio Padre opera sempre e anch’io opero" (Gv
5,17).
 “Il Padre mio agisce anche ora e anch’io agisco” ossia “fino ad
ora continua a lavorare e anch’io lavoro”.
 C’è un lavoro che libera l’uomo e un altro che
continua a sottometterlo, privandolo della sua
creatività ed emancipazione.
Il "fare" di Gesù è sempre mirato
 a comunicare vita a chi non ce l’ha e, per la realizzazione di
questa missione, invita i discepoli a seguirlo, assicurandoli :
"io vi farò pescatori di uomini" (Mt 4,19).
 Compito specifico dei seguaci di Gesù è di continuare quel
processo di liberazione che egli ha iniziato. Essi sono
"pescatori di uomini", cioè devono estrarli da un ambiente di
morte (acqua) per portarli a uno vitale (terra).
 Al contrario, i rappresentanti dell’istituzione religiosa, per la
salvaguardia dei loro interessi, sono pronti a sacrificare la vita
del popolo, come Gesù stesso denuncerà: "il ladro non viene se
non per rubare, ammazzare e distruggere" (Gv 10,10).
 A un’opera che comunica vita, si oppone un’altra che l’ostacola
e impedisce la sua crescita.
Con il suo incessante lavorare Gesù
 continua l’attività del Padre a favore dell’uomo.
 Ma questa attività è considerata dalle autorità
religiose talmente pericolosa che gli comporterà la
condanna a morte: “i [dirigenti] giudei cercavano ancor
più di ucciderlo, perché non solo violava [sopprimeva]
il sabato, ma inoltre chiamava Dio suo Padre,
facendosi uguale a Dio" (Gv 5,18).
 Gesù, per il quale ogni dottrina religiosa che prescinda
dal bene dell’uomo non viene da Dio, non si lascia
condizionare dalle minacce e ribadisce che è
necessario continuare in questa opera di liberazione:
"bisogna che io lavori alle opere di colui che mi ha
mandato" (Gv 9,4).
Come Mosè, Gesù è liberatore
 Il Signore, che non è venuto per essere servito ma
per servire (Mt 20,28), libera l’uomo dalla schiavitù
della Legge e lo rende in grado di poter disporre
della sua vita per metterla al servizio degli altri.
 Mentre ogni forma di schiavitù degrada l’uomo
privandolo della sua libertà, il servizio, la forma più
alta di lavoro, gli conferisce la vera dignità, quella
divina (Gv 13,12-17).

Un progetto fallito: l’uomo dal
braccio
inaridito
(Mt
12,9-14)
Gli ostacoli
al progetto
creatore
di Dio
sono presentati
nei vangeli come schiavitù della Legge, come
dimostra l’episodio di Mt 12,9-14 sulla guarigione di un
uomo con il braccio atrofizzato.
 Nella sinagoga, ambito dell’istituzione religiosa, Gesù
constata la penosa situazione del popolo, vittima di un
insegnamento religioso che impone con rigore
l’osservanza della Legge.
 Immagine di questo popolo umiliato è il personaggio
anonimo caratterizzato dalla sua totale passività:
"(Gesù) giunse nella loro sinagoga, dove c’era un
uomo che aveva un braccio paralizzato" (vv. 9-10).
 L’invalidità procede dal fatto che questo individuo ha il
braccio paralizzato, senza vita (lett: "inaridito").
il progetto del Dio creatore è la
libertà
 e la signoria dell’uomo, affinché egli possa realizzare
in pienezza la sua vita (Gen 1,8.15), mentre nella
sinagoga si scopre il fallimento di questo disegno:
l’uomo è privato di ogni iniziativa, non può creare
perché paralizzato nella sua capacità di agire.
 Questa mancanza di vitalità e di autonomia è la
conseguenza della sottomissione alla dottrina degli
scribi e dei farisei, che non solo non permette la
realizzazione del progetto di Dio, ma lo annulla dal
momento che priva l’uomo della sua libertà (Lc12, 5759: Giudicate da voi stessi ciò che è giusto…).
Gesù afferma che in giorno di sabato
è lecito fare del bene,
 quindi invalida la dottrina dei farisei che vogliono
imporre all’uomo una situazione di totale
sottomissione al codice di precetti da loro stabiliti.
 Coloro che fanno della Legge uno strumento di
schiavitù perdono di vista che l’uomo fu creato a
immagine di Dio (Gen 2,27) e che è chiamato ad
assomigliargli (Gen 2,26).
 Quando il modello è la Legge, con la sua osservanza
minuziosa alla quale bisogna consacrare tutta la vita,
s’impedisce lo sviluppo dell’uomo, la cui unica
relazione con Dio è quella dello schiavo con il suo
padrone.
Trasgredendo il comandamento del
sabato
 con la guarigione dell’uomo dal braccio paralizzato,
Gesù recupera il disegno di Dio sull’uomo per portarlo
a compimento: "stendere il braccio" significa
esercitare la capacità di azione, che gli permette di
realizzarsi pienamente.
 Il Dio di Gesù è un Padre che comunica vita all’uomo
per innalzarlo al suo stesso livello, poiché costui non è
stato creato permettersi a servizio di Dio, ma per
somigliargli come creatore.
 Mediante il lavoro l’uomo esprime la sua creatività e
nel riposo gusta, come Dio, l’opera delle sue mani.
La reazione dei farisei
 alla liberazione operata da Gesù è immediata:
"uscendo i farisei si misero subito a tramare contro di
lui, per farlo morire" (Mt 12,14).
 Non si limitano a denunciarlo come trasgressore, ma
pianificano direttamente la sua morte.
 L’opera creatrice con la quale Gesù restituisce
all’uomo con il braccio paralizzato la capacità di libertà
e di azione che Dio gli aveva dato (Gen 1,28; 2,5), è
considerata dai farisei come una bestemmia e come
tale meritevole di morte (Lv 24,16).
Il nuovo progetto: essere somiglianti
al Padre (Mt 25,14-30)
 La parabola dei talenti presenta un’interessante
riflessione su come l’uomo, con il suo lavoro, può
realizzare su di sé il disegno del Padre.
 Il contesto della parabola è quello del mondo degli
affari, dove un uomo molto ricco consegna ai suoi
funzionari (lett."servi") prima di partire un enorme
patrimonio. I beni non li dà in custodia ma li
consegna ai suoi funzionari, trasferendo loro i pieni
poteri su di essi.
Lavoro migrante
per salari da fame
… pagati da cristiani ?
Ogni funzionario riceve secondo la
capacità che gli è propria :
 cinque talenti, due, uno. L'uomo pertanto affida ai suoi
funzionari una grandissima fortuna fidandosi solo delle
loro capacità, senza pretendere garanzie.
 I primi due si mettono immediatamente al lavoro per
far fruttare il dono ricevuto, poiché considerano gli
affari del padrone come propri. Chi ha ricevuto cinque
talenti, li impiega e ne ricava altre cinque,
guadagnando la stessa quantità di denaro ricevuta.
Così fa anche colui che ne ha ricevuto due.
 Poco importa la somma ricevuta, ciò che conta è
l’aver fatto fruttare il dono ricevuto. Entrambi si
sentono realizzati, si riconoscono uguali nella
diversità.
Il terzo funzionario,
 a differenza dei primi due, seppellisce il talento
perché non lo ritiene suo, ma del suo padrone.
 Secondo il diritto rabbinico chi sotterrava il
denaro che gli era stato affidato, non era tenuto
alla restituzione o al risarcimento in caso di
furto (B.M. 42a).
 Ma il fatto in sé di mettere sotto terra il bene
ricevuto ricorda la morte con i suoi rituali.
Seppellendo il talento seppellisce se stesso.
L’incontro del padrone con i suoi
funzionari avrà risvolti diversi.
 Quando incontra il primo di essi, costui gli presenta i
talenti ricevuti più altri cinque guadagnati, dimostrando
come ha saputo usare il dono ricevuto.
 A questo punto della parabola si presenta un
paradosso: i cinque talenti (circa 150 chilogrammi
d'oro) vengono ritenuti "poco" dal padrone che, non
solo lascia il funzionario in possesso dei cinque talenti
guadagnati e dei cinque che gli aveva affidato, ma lo
invita a prendere parte al suo molto, facendolo
partecipe di tutti i suoi averi.
Al secondo funzionario
 il padrone concede la stessa ricompensa del primo,
anche se il numero dei talenti ricevuti e guadagnati
sono differenti.
 Non conta la quantità, ma l’impegno di aver fatto
produrre ciò che era stato donato secondo le proprie
capacità. Il secondo funzionario entra anche lui a far
parte dei beni del signore, della sua gioia.
 E’ finita la distinzione tra servi e padroni, ora tutti sono
signori (cf Gv 15,15).
 Ciò che veramente conta è diventare ed essere
signori attraverso quel che si è ricevuto, sia esso
molto o poco.
E’ un signore straordinariamente
generoso
il protagonista della parabola, che non solo regala
i talenti affidati e quelli guadagnati ai suoi
funzionari, ma addirittura fa loro parte di tutto il
suo capitale.
Nonostante questo, l’ultimo funzionario ha
un'immagine diversa del suo padrone, lo ritiene
una persona avida e crudele che miete e
raccoglie dove non ha seminato. (Dipende dagli
occhi e dal cuore di chi guarda …)
L'insegnamento della parabola è
 che una falsa immagine di Dio può bloccare il
processo di crescita della persona che, per paura di
commettere errori, non rischia e quindi non fruttifica i
doni ricevuti.
 Il timore viene rimproverato in quanto paralizza la
crescita dell'uomo.
 A quanti invece fanno fruttare i doni ricevuti, viene
aumentata la capacità di produrre in una misura che
non è dovuta allo sforzo della persona, ma alla
generosità del Signore.
 La parabola dei talenti rappresenta il passaggio tra il
lavoro del servo e la sovranità del padrone. Un ponte
dalla condizione umana alla gioia divina, in quanto il
desiderio di Dio è che l’altro possa accedere a quello
che egli è, partecipando alla sua gioia (Gv 15,11).
"Entra nella gioia del tuo Signore"
Gesù ha rivelato il volto del Dio creatore, un Dio che è sempre
all’opera, e il cui lavoro fin dalle origini è presentato come
attività armonica.
 Il Creatore chiama l’uomo ad assomigliargli e lo fa partecipe del
suo progetto di vita sull’umanità, affinché essa raggiunga la sua
perfetta armonia.
 L’importanza della realizzazione di questo disegno è talmente
grande che Gesù coinvolge i discepoli come "operai"
affiancandoli all’opera del Padre e chiedendo di pregarlo
perché mandi altri "operai" che collaborino in questo progetto.
 La proposta del Regno contempla il lavoro umano come la
risposta al dono ricevuto da Dio. Lavorando per il Regno l’uomo
riceve dal Padre ogni forma di aiuto nell’opera da realizzare e
diventa suo "collaboratore".
Per essere uguali al Padre
 I credenti sono consapevoli che non si lavora
per ubbidire a un comando o solo per ricevere
un salario, ma per essere uguali al Padre:
creatori come lui, capaci di moltiplicare l’atto
creatore (Gv 6,11), trasformando il mondo per
renderlo secondo il disegno divino.
 In questo compito essi sono accompagnati dal
"Signore che opera con loro" (Mc 16,20) e
prolungano con il proprio lavoro le sue opere: "Vi
assicuro, chi crede in me farà anche lui le opere
che io faccio; e ne farà di più grandi (Gv 14,12).
Un compito di tenerezza
un lavoro umano, che permetta di
assaporare le relazioni
che lasci spazio per la crescita degli
affetti
per accompagnare la crescita dei figli
e il loro arrivo alle cime più alte …
Appello per «una coalizione mondiale in
favore di un “lavoro decente”
 «I poveri in molti casi sono il risultato della violazione
della dignità del lavoro umano» afferma Benedetto
XVI (CiV n. 63).
 Già Giovanni Paolo II, il 1 maggio 2000, durante il
Giubileo dei Lavoratori lanciò un appello per «una
coalizione mondiale in favore del lavoro decente». La
famiglia umana aspira ad un «lavoro decente».
 «Che cosa significa la parola “decenza” applicata al
lavoro? Significa un lavoro che, in ogni società, sia
l’espressione della dignità essenziale di ogni uomo e
di ogni donna:
è “decente” un lavoro
 scelto liberamente;
 che associ efficacemente i lavoratori,
uomini e donne, allo sviluppo della loro
comunità;
 che, in questo modo, permetta ai lavoratori
di essere rispettati al di fuori di ogni
discriminazione;
 che consenta di soddisfare le necessità
delle famiglie e di scolarizzare i figli, senza
che questi siano costretti essi stessi a
lavorare;
è “decente” un lavoro che
 permetta ai lavoratori di organizzarsi liberamente e di
far sentire la loro voce;
 lasci uno spazio sufficiente per ritrovare le proprie
radici a livello personale, familiare e spirituale;
 assicuri ai lavoratori giunti alla pensione una
condizione dignitosa.
 “Decenza”, quindi, uguale “espressione della dignità
dell’uomo e della donna”, in tutte le fasi della loro vita
(lavorativa).
 Nella LE il lavoro è decente quando «è per l’uomo».
 Da cristiani, quindi, siamo chiamati a guardare il
lavoro illuminati dalla fede, dalla speranza e dalla
carità: virtù teologali, doni di Dio che sogna la sua
creatura con lo sguardo pulito, vero, felice.
Gesù, uomo del lavoro [LE 26]
dirà: "mio Padre ed io siamo sempre all’opera“.
(Gv 5, 17).
«Colui il quale essendo Dio è divenuto simile a
noi in tutto, dedicò la maggior parte degli anni
della sua vita sulla terra al lavoro manuale,
presso un banco di carpentiere [1]. Questa
circostanza costituisce da sola il più eloquente
“Vangelo del lavoro”…» (LE 6).
[1] Cfr. Mt 13,55; Mc 6,3; Lc 2,51.
“Gesù uomo del lavoro”
 “Nella Sua predicazione Gesù insegna ad apprezzare il lavoro,
lavoro manuale che lui stesso ha eseguito come carpentiere
insieme a Giuseppe. Insegna agli uomini a non lasciarsi
asservire dal lavoro. Essi devono preoccuparsi prima di tutto
della loro interiorità; guadagnare il mondo intero non è lo scopo
della loro vita.
 Durante il Suo ministero terreno, Gesù lavora instancabilmente,
compiendo opere potenti per liberare l’uomo dalla malattia,
dalla sofferenza e dalla morte. L’attività umana di arricchimento
e di trasformazione dell’universo può e deve far emergere le
perfezioni in esso nascoste.
 Il lavoro rappresenta una dimensione fondamentale
dell’esistenza umana come partecipazione non solo all’opera
della creazione, ma anche della redenzione.
 [Compendio DSC nn. 259-263 ]
“Il dovere di lavorare”
 È un ulteriore passaggio, che si basa soprattutto
sulle lettere di San Paolo. Egli mette in evidenza
come la consapevolezza della transitorietà della
 « scena di questo mondo » (cfr. 1 Cor 7,31) non
esonera da alcun impegno storico, tanto meno dal
lavoro (cfr. 2 Ts 3,7-15), che è parte integrante
della condizione umana, pur non essendo l’unica
ragione di vita.
 Nessun cristiano, per il fatto di appartenere ad una
comunità solidale e fraterna, deve sentirsi in diritto
di non lavorare e di vivere a spese degli altri.
Il diritto-dovere di
 Non lavorare troppo
 Di riposare
 Di coltivare la vita
relazionale
culturale
religiosa/spirituale
« Chi non vuol lavorare, neppure
mangi »
 Scrive San Paolo ai cristiani di Tessalonica (2Ts 3,6-10):
 «6 Vi ordiniamo pertanto, fratelli, nel nome del Signore nostro
Gesù Cristo, di tenervi lontani da ogni fratello che si comporta
in maniera indisciplinata e non secondo la tradizione che ha
ricevuto da noi.
 7 Sapete infatti come dovete imitarci: poiché noi non abbiamo
vissuto oziosamente fra voi, 8 né abbiamo mangiato
gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato con fatica
e sforzo notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi.
9 Non che non ne avessimo diritto, ma per darvi noi stessi
come esempio da imitare.
 10 E infatti quando eravamo presso di voi, vi demmo questa
regola: chi non vuol lavorare, neppure mangi. »
I Padri della Chiesa
 non considerano mai il lavoro come «opus servile» - tale era
ritenuto, invece, nella cultura loro contemporanea -, ma sempre
come «opus humanum», e tendono ad onorarne tutte le
espressioni.
 Mediante il lavoro, l’uomo governa con Dio il mondo, insieme a
Lui ne è signore, e compie cose buone per sé e per gli altri.
L’ozio nuoce all’essere dell’uomo, mentre l’attività giova al suo
corpo e al suo spirito.
 Il cristiano è chiamato a lavorare non solo per procurarsi il
pane, ma anche per sollecitudine verso il prossimo più povero,
al quale il Signore comanda di dare da mangiare, da bere, da
vestire, accoglienza, cura e compagnia (cfr. Mt 25,35-36).
 Ciascun lavoratore, afferma sant’Ambrogio, è la mano di Cristo
che continua a creare e a fare del bene.
Regola di S. Benedetto
 Capitolo XLVIII - Il lavoro quotidiano: "L'ozio è
nemico dell'anima, perciò i monaci devono
dedicarsi al lavoro in determinate ore e in altre,
pure prestabilite, allo studio della parola di Dio.
.....
 Ma se le esigenze locali o la povertà richiedono
che essi si occupino personalmente della
raccolta dei prodotti agricoli, non se ne
lamentino, perché i monaci sono veramente tali,
quando vivono del lavoro delle proprie mani
come i nostri padri e gli Apostoli.
 Tutto però si svolga con discrezione, in
considerazione dei più deboli. ....."
La voce del Concilio
 Tutta l'attività economico-sociale ha l'uomo
come autore, centro e fine ( Conc. Ecum.
Vat. II, Gaudium et spes 63 )
 5) I beni economici sono per tutta l'umanità (
"Destinazione universale dei beni", Conc.
Ecum.Vat. II, Gaudium et spes 69 )
Il Magistero della Chiesa
 È ripetutamente intervenuto sulla questione del lavoro,
soprattutto con l’avvento della rivoluzione industriale, a partire
dalla lettera enciclica “Rerum Novarum” di Leone XIII del 1891.
 Tale insegnamento è stato ripreso con forza da Giovanni Paolo
II, forte anche della sua personale esperienza del lavoro di cui
rende testimonianza nel primo capitolo del libro “Dono e
Mistero”, con tre encicliche: la “Laborem exercens” del 1981
scritta per il 90° della “Rerum Novarum”, la
“Sollicitudo rei socialis” del 1987 in occasione del 20° della
“Populorum progressio” di Paolo VI e la “Centesimus annus”
nel centenario della “Rerum Novarum”.
 Al centro dell’insegnamento di papa Wojtyla la riaffermazione di
tre primati: dell’uomo sul lavoro, del lavoro sul capitale e della
destinazione universale dei beni rispetto alla proprietà privata. Il
lavoro è per l’uomo, non l’uomo per il lavoro.
L’importanza dei sindacati
 Questi insegnamenti vedono anche la
riaffermazione dell’importanza che rivestono le
istituzioni sociali e politiche nell’ambito
lavorativo, del diritto di associarsi allo scopo di
difendere le esigenze e gli interessi vitali degli
uomini impiegati nelle varie professioni.[1].
 [1] Giovanni Paolo II “Laborem exercens”, cap. 20
“L’importanza dei sindacati”
Con il suo lavoro e la sua laboriosità,
 l’uomo, partecipe dell’arte e della saggezza
divina, rende più bello il creato, il cosmo già
ordinato dal Padre; suscita quelle energie
sociali e comunitarie che alimentano il bene
comune, 581 a vantaggio soprattutto dei più
bisognosi.[C.D.S.C, Cap. VI “Il lavoro umano” nn. 264-266]
 Possiamo quindi affermare che il lavoro
nella visione cristiana appartiene alla
vicenda dell’uomo, ne è parte rilevante e
identitaria. Il lavoro come una questione
antropologica prima che sociale e storica.
Il Vangelo del lavoro


[è la “Buona Notizia”!], che manifesta come il
fondamento per determinare il valore del lavoro
umano non sia prima di tutto il genere di lavoro che
si compie, ma il fatto che colui che lo esegue è una
persona.
Le fonti della dignità del lavoro si devono cercare
soprattutto non nella sua dimensione oggettiva, ma
nella sua dimensione soggettiva»[1].

[1] LE 6.
Il lavoratore ieri e oggi
 Se in passato la lotta era tra il dipendente e il proprietario di
capitali, ora lo scontro fatto di discriminazione e di
emarginazione è dato dal rapporto superiorità/inferiorità
culturale. (700.000 schiavi del lavoro in Italia, 2012)
 L’industrializzazione porta ad una crescita dell’uomo? Si
pensava che la macchina liberasse il lavoratore da un’attività
tediosa e ripetitiva, che aumentasse le professionalità. Di fatto
la tecnologia libera la persona da un eccessivo sforzo fisico,
aumentando forse il suo tempo libero, ma tende ad avere altre
conseguenze negative sulla sua salute fisica e mentale.
 La mobilità ad esempio crea problemi di cambiamenti o di
perdita del lavoro con la successiva pressione della ricerca di
un nuovo impiego. Mancano valori religiosi ed etici. C’è la
tendenza a far diventare gli strumenti di lavoro dei fini.
Lo tzunami della finanza
 l’evoluzione delle attività umane e la progressiva
espansione dei commerci hanno determinato la crescita
dell’importanza dell’aspetto finanziario nell’economia,
modificando gli equilibri e determinando, soprattutto in
tempi recenti, migrazioni di popolazioni ed una sempre più
evidente frattura tra la produzione e il territorio favorita dal
basso costo logistico dei trasporti. Questi fenomeni sono
stati amplificati dall’evoluzione storica recente conseguente
alla caduta del muro di Berlino e dall’imporsi di quel
processo che chiamiamo globalizzazione determinando
scelte di investimenti industriali in base alla redditività, al
minor costo del lavoro e delle retribuzioni.
Spaventosa speculazione
 Non posso trattare qui le questioni che derivano
da queste vicende ma va affermato con chiarezza
che non possiamo più sottovalutare le scelte che,
anche singolarmente e quotidianamente, facciamo
in ambito economico, assumendo sino in fondo la
coscienza che tutto si lega.
 D’altra parte la crisi che stiamo vivendo e che
tanto ci spaventa è frutto di una spaventosa
speculazione economica resa possibile dalla
assenza di una politica capace di controllare e
governare le scelte economiche.
Jeremy Rifkin
 già nel 1995 in un suo famoso libro [1] espone le
sue tesi sulla fine del lavoro. Al di là della
condivisibilità della teoria appare quanto mai
importante l’affermazione di una rivisitazione critica
della globalizzazione insieme alla prospettiva di
speranza che troviamo al termine dell’analisi delle
grandi ristrutturazioni che hanno generato masse di
disoccupati, riflessione attualissima vista la
congiuntura internazionale: infatti l’autore rivaluta il
cosiddetto terzo settore, ovvero il no-profit applicato
ai servizi di utilità sociale.
 [1] Jeremy Rifkin “La fine del lavoro” Baldini &
Castoldi, Milano, 1997
che cosa è importante?
 Seneca nelle Questioni naturali, verso la fine della sua vita, all’inizio del
primo millennio si chiedeva: “che cosa è importante?”[1]. Egli invitava a
distinguere coraggiosamente tra diritto romano e diritto di natura, tra gli
schiavi della vita politica e gli schiavi di sé stessi:
 “Che cosa è importante? Tenere la vita a fior di labbra: questo rende liberi
non in virtù del diritto romano, ma in virtù del diritto di natura. E libero è chi si
è sottratto alla schiavitù di sé stesso: questa è continua e ineluttabile e
opprime giorno e notte senza intervallo e senza pausa”.[2]
 Anche per noi, uomini e donne dell’inizio del terzo millennio, quella domanda
di Seneca, “emblema della saggezza”,[3] si rivela decisiva: che cosa è
veramente importante nella vita degli uomini e delle società?
 [1] Prefazione al III libro delle Questioni naturali.
 [2] Libro III, Pref 16.
 [3] Così A. PELLEGRINI, Il ragionamento come equazione algebrica, in
“L’Osservatore Romano”, 15-16/11/2004: “Seneca rimane l’emblema della
saggezza. Perché, quasi sempre, è umano soltanto colui che sbaglia e che,
nel commettere un errore, ha il coraggio e la forza di andare avanti. …
Seneca comprende che soltanto alla fine del percorso c’è la vera essenza
dell’uomo. Che poi, a ben vedere, dista solo un passo dal divino. … ”.
Recensione a S. FABBRI, BUR 2004, dal titolo Vizi e virtù dell’animo umano,
contenente alcuni dialoghi del filosofo stoico di Cordova.
L’urgenza di cercare risposte
 - non solo scientifiche, economiche o morali, ma anche sociali e giuridiche,
religiose e spirituali - è cresciuta in modo vertiginoso e riguarda
praticamente l’esistenza intera dell’uomo e di tutti gli uomini. Riguarda
anche il cosiddetto “umanesimo europeo”, bisognoso di riscoprire le radici
cristiane, greche e romane.[4]
 [4] L’accademico di Francia Marc Fumaroli, in occasione della firma della
Costituzione europea a Roma, nell’ottobre 2004, ha dichiarato: “Proprio nel
momento in cui l’Europa politica, economica, monetaria e costituzionale è
così vicina a realizzarne il sogno, siamo minacciati dal crollo di ciò che per
secoli aveva costituito la sua unità profonda e progressiva. (Sta crollando)
l’umanesimo europeo. Inteso non come il vago amore dell’umanità, ma
come l’educazione di uomini e donne ricchi di un’esperienza più lunga della
propria. Qualcosa che comprende e supera le radici cristiane sulle quali si è
tanto dibattuto, ma che si fonda anche su radici greche e romane. … Non
bisogna fare del cristianesimo ridotto all’etica l’unico valore fondante. Il
cristianesimo ha trasportato con sé la filosofia, la retorica, i costumi
dell’antichità greca e latina”: in S. MONTEFIORI, Ora va salvaguardata l’anima
comune. L’umanesimo fonte della nostra civiltà, in “Corriere della sera”, 30.X.2004.

La saggezza biblica
 forgia anche oggi la vera grandezza dell’uomo,
invitandolo a scartare tutte le cose non importanti:
“Non lodare un uomo per la sua bellezza / e non
detestare un uomo per il suo aspetto. / L’ape è
piccola tra gli esseri alati, / ma il suo prodotto ha il
primato fra i dolci sapori. /… Molti sovrani
sedettero sulla polvere / e uno sconosciuto cinse il
loro diadema” (Sir 11,2.5). Il Vangelo ricorda: “Chi
di voi, per quanto si affanni, può aggiungere
un’ora sola alla sua vita?” (Lc 12,25).
 Voglio concludere con un
riferimento a San Francesco:
con la sua testimonianza ci
richiama al rispetto,
all’assoluto e totale amore
per la natura, che lui vedeva
come opera mirabile di Dio.
 Troppe volte il lavoro diventa
causa di inquinamento
dell’ambiente, di morte per i
lavoratori. È un ambito in cui
l’impegno, nostro personale
e collettivo, non è mai
sufficiente.
Lavorare per la pace
 Insieme a questo è indispensabile un vero impegno per la
Pace, il bene più importante cui dedicare tutta la nostra
attenzione anche attraverso una revisione dei nostri stili di
vita, come ha raccomandato più volte ripetutamente a
Milano – la più estesa diocesi del mondo - il cardinale
arcivescovo Dionigi Tettamanzi [1], con una forte
attenzione alla solidarietà, alla sobrietà e alla povertà.
 [1], Dionigi Tettamanzi, Natale Notte Omelia MilanoDuomo, 24 dicembre 2008; Incontro con gli amministratori,
gennaio 2009
Adottare la Bibbia
 come codice di ciò che è veramente importante e bussola verso il futuro,
significa ritrovare la sorgente della nostra “capacità progettuale”. Ne parlava
in questi termini il vescovo Tonino Bello:
 “Mi sembra molto importante che la vostra comunità parrocchiale possa
qualificarsi come «punto vendita» di speranza per tutto il territorio. La gente,
cioè, deve capire che voi siete non tanto dei «consumatori di riti», ma delle
persone che progettano insieme un futuro diverso, più umano, più vivibile
per tutti, e che questa capacità progettuale la maturate insieme nell’ascolto
convinto della parola di Dio, nella celebrazione dell’Eucaristia e nel vivere la
storia con l’anima del buon samaritano”.[1]

[1] A. BELLO, Articoli, corrispondenze, lettere, notificazioni, (Scritti di Mons. Antonio
Bello, 5), Molfetta 2003, 120. Questa idea di rinnovamento della comunità
parrocchiale proviene da uno scritto del 1991 per il bollettino della parrocchia
Immacolata di Molfetta. Mons. Bello, vescovo di Molfetta – Ruvo – Giovinazzo Terlizzi (1982-1993), ha lasciato una forte impronta profetica e pastorale nella società
e nella Chiesa italiane.
Il futuro è
 La cura della Terra
 La cura di sé
 La convivialità
 La contemplazione
 La creatività
 Il riposo
anticipo dello shabbat eterno
per il quale siamo stati/e creati/e!
Il futuro è la Parola
 “la Chiesa ha raccolto, spesso, sfide che non si
aspettava di vedersi proporre e che la società civile
rifiutava di affrontare. Qualcosa del genere
succederà anche nella nuova epoca che si è aperta.
 Se avremo un’autentica proposta culturale,
troveremo uomini e donne desiderosi di condividerla,
per esserne promossi e liberati. E dev’essere sui
valori fondamentali, cominciando da quelli più
spregiudicati …
 Il futuro è la Parola, che era il principio!”.[1]
[1] S. FAUSTI, Il futuro è la Parola, Piemme, Casale Monferrato 2000, 85.
Principio
comunione
di DioTrinità
Le braccia
del Padre e il
soffio dello
Spirito
sostengono il
Figlio
dell’Uomo – e
in Lui ogni
figlio/a
d’uomo - nel
tempo della
prova
Trinità
Masaccio
TESTMONIANZA
Ora lasciamo la parola ad
EZIO,
che ci porta un esempio di
vita concreta,
vissuta in quest'ottica.
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