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METACOGNIZIONE Corso Sostegno

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METACOGNIZIONE Corso Sostegno
CHE COSA E’ LA METACOGNIZIONE?
-
ATTIVITA’ INGENUA: DEFINIRE CHE COS’E’ SECONDO NOI LA METACOGNIZIONE
-
SOCIALIZZAZIONE, EVIDENZIAZIONE DEL POSITIVO
-
INTEGRAZIONE
-
(Aggiunta di un’esperienza autobiografica di metacognizione)
-
NUOVA ATTIVITA’
-
RI-SOCIALIZZAZIONE
-
CONFRONTO PRIMA E SECONDA ATTIVITA’
Alcune parole chiave individuate dalle prime
attivita’
Scomposizione in fattori primi del nostro modo di apprendere: capire il percorso che
facciamo e l’abilità che usiamo per imparare (Alessandra D.);
Un modo di apprendere attraverso l’esperienza: toccare con mano qualcosa che non si
conosceva (dalla pratica alla teoria: apprendere facendo). Entrano in gioco la
partecipazione, la motivazione e la responsabilità del soggetto per arrivare alla
consapevolezza (Benedetta O.);
Ragazzi di prima media: la metacognizione è una riflessione sul percorso che ciascuno
intraprende nel momento in cui inizia un processo di apprendimento che porta alla
consapevolezza: … risorse, limiti, strumenti… la conoscenza di questi mi consente di
costruire la mia cassetta degli attrezzi (Gabriella R.);
La metacognizione è cercare di capire come funziona la mente mentre si apprende, ovvero
come osservarsi dall’esterno… (Alessandro A.)
Meta-cognizione: riflessione sopra un determinato argomento che ora sto affrontando…
(Alessia)
Riflettere consapevolmente sui metodi e processi che ciascuno di noi mette in atto per
favorire l’apprendimento (Serena C.).
Alcune AZIONI DIDATTICHE individuate dalle
prime attivita’
Chiedere ad un alunno di fare l’insegnante per quindici/venti minuti (deve prepararsi, spiegare e verificare se gli altri hanno
capito); chiedere agli alunni come si sono sentiti nello studiare qualcosa (non cosa hanno imparato ma le sensazioni
che hanno provato e quale ricaduta possa avere quell’argomento nella loro vita quotidiana); introducendo un
argomento, se ne evidenzia soltanto il titolo e poi presentare un video, una mappa, un testo e ciascuno poi scelga lo
strumento più adatto a sé, dopo averlo testato può cambiarlo e a questo punto, servendosi dello strumento scelto può
comprendere l’argomento e spiegarlo al gruppo classe. (Alessandra D.);
All’inizio dell’anno hanno rilevato la temperatura esterna e poi durante l’anno.. Così hanno visto le variazioni di temperatura
e dunque comprese le stagioni; realizzare (in lingua) un componimento sullo sport e i valori che veicola (con gli
strumenti che volevano) e poi presentarlo al presidente di una ONG; un lavoro sul rappresentante di classe e abbiamo
fatto una sorta di elezione (sempre in lingua) e poi hanno fatto tutte le elezioni e hanno cercato di evidenziare cosa non
andava
incontrando
difficoltà
ad
esprimerlo
(Benedetta
O.);
Utilizzo uno strumento video per guardare prima l’emisfero destro (a che serve, cosa ci consente di fare, sperimentando
concretamente tutte le attività “contenute” nell’emisfero destro, generando dei prodotti), dopo questa attività si
richiede con i lavori che hanno fatto una mappa concettuale che li rappresenta (usando poi proprio i loro lavori) e
chiedo loro di rappresentare le relazioni tra loro stessi e il mondo che li circonda. Possono aggiungere degli elementi
ma soprattutto stabilire delle connessioni, devono fare delle scelte… (Gabriella R.)
Chiedo agli allievi di memorizzare due coppie di numeri di cellulari…: una prima delle due viene declamata, e gli altri due solo
scritti (visiva) e cercare di capire da quale si è imparato meglio; un testo di storia letto e da un’altra parte invece
l’interpretazione dello stesso avvenimento storico, messo a confronto (Alessandro A.)
Ho fatto raccogliere delle foglie ai bambini e ho fatto loro estrarre la clorofilla (con acqua e alcool) e poi fare una
conversazione guidata, dagli spunti riflessivi si cerca di capire che cosa c’è “sopra”, ovvero al sintesi clorofilliana
(Alessia);
Suggerire i metodi che favoriscono l’apprendimento, per poi farli sperimentare (più di uno e a seconda dei contesti) ai
ragazzi e far loro utilizzare e riflettere su come hanno funzionato etc.. Per la condivisione e il confronto dei metodi
utilizzati ….(socializzazione, confronto). In fase valutativa evidenziare cosa si è appreso, perché si è appreso o non
appreso, quali ostacoli, quali facilitazioni…(Serena C.)
QUANDO? IN CHE MODO? IN CHE SENSO?
“Verso la fine degli anni 70 del secolo scorso, sono cominciati a comparire, nell’ambito
della psicologia cognitiva applicata all’educazione, i primi studi relativi alla
metacognizione. In particolare, l’interesse dei ricercatori si è ampliato dalla semplice
analisi dei processi cognitivi necessari per ottenere determinati apprendimenti, allo
studio delle modalità che portano alla consapevolezza, da parte del soggetto, dei
processi mentali messi in atto. Sono stati elaborati vari modelli esplicativi, attraverso i
quali si sono cercate di evidenziare le diverse variabili cognitive, motivazionali,
personali e situazionali che intervengono a condizionare la riflessione sui processi di
apprendimento. Il concetto di metacognizione ha assunto progressivamente un
significato più ampio, finendo per far riferimento sia alla consapevolezza del soggetto
rispetto ai propri processi cognitivi (conoscenza metacognitiva), che all’attività di
controllo esercitata su questi stessi processi (processi metacognitivi di controllo).” (L.
Cottini).
Molti anni di studi sulla metacognizione (per una rassegna si veda Vianello, 1998) hanno
evidenziato come, già in età prescolare, i bambini siano in grado di operare semplici
riflessioni circa il funzionamento della propria attività cognitiva e gli eventi mentali più
in generale. Avanzando con l’età, poi, essi maturano una propria teoria della mente
ovvero una specifica sensibilità metacognitiva.
LA TEORIA DELLA MENTE
Con il termine di teoria della mente si intende la capacità del bambino di attribuire a se stesso e agli
altri credenze e stati mentali. Le ricerche in questo settore hanno preso lo spunto da un lavoro di
Premack e Woodruff (1978) sulla capacità degli scimpanzé di attribuire stati mentali all'uomo e
di prevederne il comportamento sulla base di tali stati. Come sottolinea la Camaioni (1998),
l'aver individuato segni di una teoria della mente nei primati non umani ha portato ad un
notevole interesse degli psicologi dello sviluppo per questo tipo di studi. Wimmer e Perner
(1983) hanno elaborato un paradigma, denominato "compito della falsa credenza", che ha
rappresentato la base per l'elaborazione di numerosi studi sperimentali. In tale situazione,
conosciuta anche come “compito di Sally e Anne” dal nome dato ai personaggi, viene presentata
ai bambini una scenetta con due bambole che giocano con un oggetto. Il primo personaggio
colloca l'oggetto in un contenitore ed esce. In sua assenza il secondo personaggio sposta
l'oggetto dal contenitore dove era stato sistemato ad un altro presente nella stanza.
Successivamente il primo personaggio rientra dichiarando che andrà a prendere l'oggetto. A
questo punto si chiede al bambino sottoposto al compito della falsa credenza di prevedere dove
il personaggio andrà a cercare il proprio oggetto. La risposta corretta, ovvero che lo cercherà
dove l'aveva collocato, rappresenta il riconoscimento della falsa credenza, in quanto il bambino
dovrebbe rendersi conto che il protagonista della storia possiede una rappresentazione della
realtà diversa dalla situazione effettiva e prevedere che il suo comportamento sarà guidato dalla
sua credenza, piuttosto che dallo stato di cose (in altre parole, dovrebbe prevedere che cercherà
l'oggetto dove crede che sia e non dove si trova attualmente).
I bambini di tre anni falliscono in questo compito, che viene solitamente risolto in maniera brillante
dai bambini di quattro anni. Esiste a questo livello una caduta prestativa molto forte nei bambini
autistici, i quali come è documentato da una vasta letteratura (per una rassegna si veda Cottini,
2002a), non riescono a risolvere il compito della falsa credenza, anche se possiedono un'età
mentale di sette anni o superiore
PREVEDERE IL COMPORTAMENTO
Da questi risultati sembrerebbe che nel bambino normale la teoria della mente cominci a svilupparsi intorno ai quattro anni: Su tale
posizione non tutti i ricercatori concordano. Alcuni studiosi (per una rassegna si veda Camaioni, 1998, 2001) fanno osservare
che fra i due e tre anni i bambini possiedono già una considerevole conoscenza degli stati mentali e sono capaci di
manipolare rappresentazioni che differiscono dalla realtà, come comprendere il gioco di finzione, creare nell'altro una falsa
credenza per ingannarlo, riconoscere la differenza fra oggetti reali e immagini mentali di oggetti, prevedere il comportamento
di altre persone sulla base di ciò che esse desiderano. I bambini sono in grado, pertanto, di attribuire agli altri pensieri,
desideri e fantasie e questo li porta a poterne prevedere il comportamento.
Una spinta sperimentale certamente importante per lo studio della metacognizione è stata data da Premack e Woodruff (1978),
con l'introduzione dell'espressione: "teoria della mente". Con questa terminologia, gli Autori si riferivano a tutto un insieme di
abilità e di conoscenze che prima appartenevano alla così detta "psicologia intuitiva" o del senso comune.
Quando agli studenti viene spiegata la teoria della mente, spesso viene posto l'esempio denominato: Il compito di Maxi (Wimmer e
Perner, 1983). Tale compito concerne nel racconto di una storia con l'ausilio di pupazzetti ed oggetti come scatole colorate.
La storiella raccontata è pressoché la seguente: "Un bambino di nome Maxi, con la mamma, è in cucina. Maxi mette nell'armadio
rosso la cioccolata, quindi esce a giocare in giardino. La mamma prende la cioccolata, ne usa un po' per preparare il dolce,
poi la ripone nell'armadio giallo, invece che in quello rosso. Ora Maxi torna e vuole la cioccolata. Dove andrà a cercarla?
Nell'armadio rosso o in quello giallo? (Vianello, 1998)
Il bambino (ma d'altronde chiunque) per rispondere al quesito, deve vedere la situazione secondo la prospettiva di Maxi. Dunque il
compito risulta duplice. Non solo bisogna avere ben chiara la rappresentazione di ciò che è stato raccontato nella storia dal
proprio punto di vista esterno, ma si deve tenere presente anche ciò che pensa Maxi, secondo la sua prospettiva.
LA METAMEMORIA: FLAVELL E WELLMANN
Per primo è stato studiato ed ampliamente approfondito il settore della metamemoria.
Un primo paradigma rintracciabile è di Flavell e Wellmann (1977). In questo modello l'individuo ha la
necessità di padroneggiare le seguenti tipologie di informazioni per sviluppare una conoscenza
metacognitiva:
Attribuzioni personali. Le quali si riferiscono all'autovalutazione delle proprie capacità personali, così da
saper immediatamente discriminare fra situazioni che possono mettere l'individuo in difficoltà da
situazioni potenzialmente favorevoli.
Caratteristiche del compito. Ciò significa essere in grado di visualizzare le informazioni subito disponibili e
necessarie per risolvere ed affrontare le situazioni di apprendimento (come, ad esempio, uso dei
sussidi didattici, delle figure, delle note, distinzione fra diverse tipologie di esercizi, uso di fonti di
ricerca, etc).
Strategie impiegabili per affrontare il compito. Qui si parla delle conoscenze relative alle strategie ed alle
modalità per affrontare nel modo più idoneo, concreto ed efficace i compiti richiesti. Un esempio
può essere quello che riguarda le procedure che si eseguono per affrontare un problem solving
matematico.
Condizioni di applicazione del compito. Qui ci si focalizza su tutte quelle informazioni contestuali che sono
da considerare di fronte a situazioni di apprendimento, come il tempo a disposizione, il grado di
apprendimento, la situazione ambientale, etc.
IL CONTROLLO FUNZIONALE DEI PROCESSI: BROWN
Brown (1987) ha proposto di intendere la metacognizione come un funzionale controllo dei processi. Così, si
possono rilevare i seguenti step facenti parte del controllo metacognitivo:
Capacità di leggere le situazioni nei termini di un problema da risolvere (ovviamente in maniera costruttiva) in
modo da essere interessati nell'intervenire per trovare una soluzione.
Capacità di riconoscere le caratteristiche dei propri limiti così da saper anticipare le possibili difficoltà.
Capacità di pianificare le proprie azioni e strategie utilizzabili. Qui ritroviamo, soprattutto, i pensieri sulle
previsioni del compito e del modo migliore di risolverlo. Così d'avere un quadro generale di come organizzare
e pianificare tutto questo lavoro.
Capacità di monitoraggio, di essere sensibili ai feedback, di adattare il proprio comportamento in base alle
esigenze del momento.
Alla fine di questi passaggi, il controllo metacognitivo può considerarsi funzionale allo stimolo-problema. In tale
modello, però, non appaiono chiare le modalità tramite cui si intercorrelano gli step non direttamente
collegati. Per fare un solo esempio, oggi sappiamo che l'interesse di un soggetto verso un dato oggetto
d'apprendimento è anche influenzato dal modo con cui un soggetto legge ed interpreta l'ambiente in cui si
esplica l'apprendimento (ad esempio, dal rapporto che istaura con il docente). Così il primo punto
diventerebbe prossimo all'ultimo (interesse diretto per risolvere il problema e capacità di adattare il proprio
comportamento in base alle esigenze della situazione). Cosa che invece non è esplicitamente prevista dal
suddetto modello.
BORKOWSKY: MOTIVAZIONI, COGNIZIONE, STATI PERSONALI
E SITUAZIONI
Il modello di Borkowsky et al. (1986, 1988, 1992) presuppone che alla base della capacità di conoscenza e di controllo metacognitivo siano presenti
relazioni funzionali fra caratteristiche motivazionali, cognitive, stati personali e situazionali. Vediamo un quadro più specifico del modo di
"funzionare" di codesto modello teorico:
In primo luogo si presuppone la conoscenza di un buon numero di strategie da poter utilizzare;
Si deve essere in grado di comprendere quando utilizzare tali strategie, in quali contesti e perché ne sono più idonee alcune e non altre;
Dopo aver selezionato con cura le strategie più idonee, risulta necessario porre attenzione sul monitoraggio delle stesse;
La presenza di convinzioni che supportino l'idea che le propri capacità mentali possano crescere (teoria entitaria vs incrementale, Dweck, 2000);
Essere convinti che l'impegno debba essere unito all'attenzione verso il compito ed alla consapevolezza nello studio;
La motivazione del soggetto, oltre che essere di tipo intrinseco (cioè che il soggetto voglia apprendere per un proprio piacere e/o interesse, e non per
punizioni e/o rinforzi esterni), è idonea sia se orientata al compito e sia se ci si pone come obiettivo quello di padroneggiare l'oggetto
d'apprendimento vs mirare alla prestazione (e, dunque, solo per far vedere "quanto si è bravi");
Cercare di non avere paura di un eventuale fallimento, ma comprendere che fallire è necessario per avere successo;
Possedere molteplici immagini concrete di Sé possibili (Marckus e Nurius, 1986; per una trattazione più completa cfr. Boca e Arcuri, 1990). Gli autori,
Marckus e Nurius (ibidem), scrivono: "I Sé possibili rispecchiano le idee degli individui su cosa possono diventare e cosa temono di diventare e
dunque forniscono un legame concettuale tra motivazione e cognizione. I Sé possibili sono, dunque, delle componenti cognitive della speranza,
della paura, degli scopi, delle minacce, e danno una forma specifica e rilevante al Sé, ai pensieri, all'organizzazione ed alla direzione di queste
dinamiche".
Avere delle conoscenze approfondite di molti argomenti con la possibilità di accedere a queste ultime in maniera veloce. Il fatto di essere interessati a
molti argomenti della conoscenza richiama fortemente Popper (1969) quando enuncia, secondo lui, quali devono essere i tre compiti più
importanti di uno scienziato, egli scrive: "uno scienziato che non abbia un bruciante interesse per gli altri campi del sapere, si esclude dalla
partecipazione e dall'autoliberazione attraverso la conoscenza che è il compito culturale della scienza". Gli altri due scopi sono: "compiere un
buon lavoro nel proprio campo particolare" e "aiutare gli altri a comprendere il proprio campo ed il proprio lavoro riducendo al minimo il gergo
scientifico". Potremmo aggiungere che la conoscenza non è solo il compito culturale della scienza, ma anche l'obiettivo delle istituzioni
scolastiche e formative, obiettivo, questo, che in alcune situazioni viene tralasciato.
E in italia? Il gruppo MT (TRAINING-MEMORIA),
DI CORNOLDI…
Nella definizione di Cornoldi e Caponi (1991), l’atteggiamento metacognitivo “riguarda la generale
propensione a riflettere sulla natura della propria attività cognitiva e a riconoscere la
possibilità di utilizzarla ed estenderla: essa può aiutare il bambino anche quando egli non
possiede conoscenze metacognitive specifiche utili per il caso proposto” (p. 12). Ad esempio:
di fronte ad un compito nuovo o proposto in maniera nuova, il bambino può riconoscerne le
caratteristiche e cercare di adattare tipi di risposta già presenti nel proprio repertorio al caso
specifico.
L’attività di controllo metacognitivo, invece, si concretizza nella scelta, applicazione e valutazione,
in termini di successo o meno, delle strategie adeguate alla soluzione di un qualsiasi compito
di natura mentale. Si tratta, in altre parole, del tentativo di tenere sotto controllo tutta quella
serie di operazioni che ricorrono in ogni esperienza di problem solving. Altro aspetto messo
particolarmente
(Abilità)
in evidenza a questo livello riguarda i processi di previsione, cioè la possibilità di formulare giudizi
preventivi sull’andamento di un’attività o sui suoi risultati. In estrema sintesi, Cornoldi (1990,
1995) elenca una serie di processi metacognitivi di controllo che più di altri ricorrono nel
momento in cui un individuo è impegnato in compiti d’apprendimento.
PRINCIPALI PROCESSI
CONTROLLO (CORNOLDI)
-
METACOGNITIVI
DI
orientamento generale; problematizzazione; comprensione e
definizione del problema-compito; collegamento del compito con
altri compiti simili; attivazione di conoscenze implicate; integrazione
delle informazioni provenienti da fonti diverse; generazione delle
alternative per la soluzione del problema; automonitoraggio inteso
come capacità di tenere sotto controllo i processi; valutazione delle
difficoltà del compito; definizione del livello di performance attesa;
previsione; esame delle alternative e decisione; implementazione
del piano strategico scelto; inibizione delle alternative;
coordinamento dei processi; raccogliere e valutare i feedback;
valutare la distanza dalla soluzione; aggiustamenti del piano
implementato; stabilire quando è opportuno sospendere
l’esecuzione; valutare i risultati finali; autovalutarsi e autorinforzarsi;
spiegare un eventuale insuccesso; decidere di riprovare o
predisporre un piano strategico alternativo.
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