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la lotta delle donne afghane del rawa
Istituto Secondario di II Grado ‘V. Capialbi’ Vibo Valentia Anno Scolastico 2005-2006 Programma Socrates - Azione Comenius 1 Dirigente Scolastico Prof. Michele Piraino Coordinatrice del Progetto Prof.ssa Anna Pia Perri Classe II B Indirizzo Linguistico “Siamo in viaggio e portiamo con noi la nostra storia, passata e presente, per viverla insieme nei modi più diversi, perché la cultura è il luogo degli scambi. Donne, uomini, bambini, anziani di tutto il mondo, ognuno è diverso e non solo per le tradizioni che porta in sé. Abbiamo in comune la disparità dei punti di vista e la necessità di farli incontrare, con rispetto e curiosità, con passione e intelligenza. Questo viaggio ci renderà più simili pur nelle nostre peculiarità e la grande Babele dei linguaggi e delle civiltà si trasformerà nel laboratorio collettivo di culture affermando il diritto di essere differenti, avendo tutti, però, uguali opportunità, sostenendo i valori della diversità contro l'ignoranza e la barbarie.” "Come premio di queste azioni virtuose, ti prego, fammi rinascere uomo nella prossima vita". Iscrizione votiva, del 400 d.C. circa, incisa da una donna in uno stupa buddista vicino Chahabil Kathmandu. Italia: i volti di una controversa condizione femminile Top model - Milano, collezione autunno-inverno 2006 Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la medicina 1986 SVEZIA: PREMIO NOBEL Sono solo 33 i premi attribuiti a donne su 758 assegnati “Per i suoi ideali, la vivida immaginazione e la percezione spirituale che caratterizza i suoi scritti.” Selma Ottilia Lovisa Lagerlöf, premio Nobel per la letteratura 1909 Stoccolma "Per la sua lirica notevole e la scrittura drammatica, che interpreta il destino di Israele con forza toccante.” Nelly Sachs, metà del premio Nobel per la letteratura 1966 Stoccolma Per aver contribuito, con la sua opera di ministro, alla politica del disarmo. Alva Myrdal, metà del premio Nobel per la pace 1982 Stoccolma BULGARIA: Il contributo di una donna di successo alla causa femminile Gli interessi scientifici di Julia Kristeva, nata nel 1941 a Silven, Bulgaria, vanno dalla linguistica alla semiologia, alla psicoanalisi, alla letteratura del XIX secolo. Lei delinea tre fasi della battaglia delle donne per la loro emancipazione nei tempi moderni: • la rivendicazione dei diritti politici con il suffragismo universale; • l'affermarsi di una “uguaglianza ontologica”; • la ricerca della differenza tra i due sessi, sulla scia del maggio '68 e della psicoanalisi. BAHRAIN: I PROGRESSI DELLA CONDIZIONE FEMMINILE Questa immagine si riferisce alle elezioni in Bahrain, dove le donne hanno votato per la prima volta nell'ottobre del 2002. Principessa saudita protesta: uguali diritti per le donne Riyadh (AsiaNews / Agenzie) - La principessa Sarah, della casa regnante saudita, ha dichiarato che il governo e la casa regnante devono confrontarsi in merito alla condizione femminile nel regno saudita. “Il governo deve aprire gli occhi sulla nostra situazione” ha detto Sarah, figlia del principe Talal bin Abdul Aziz, fratellastro di re Fahd. “Deve riconoscere che le donne sono la metà della popolazione e che hanno dei diritti”. Per la principessa, uomini e donne devono avere uguali diritti in materia legale, casi di divorzi, commercio e scolarizzazione. Anche il riconoscimento politico è importante, secondo Sarah. Allo stato attuale, le donne saudite che vogliono viaggiare devono chiedere il permesso scritto del maschio alle quali fanno riferimento. Anche per i documenti vi sono problemi. Infatti, nonostante abbiano ottenuto 2 anni fa la possibilità di possedere una carta di identità, le donne saudite hanno tuttora bisogno di un uomo che la richieda per loro. Suzanne al-Ghanem, direttrice di un’organizzazione non governativa per i diritti delle donne di Riyadh, afferma che il problema della condizione femminile nel regno è alla base. “Ho sempre dovuto seguire un uomo, qualunque fosse la mia età. Ora voglio esistere come essere umano”. L’Arabia Saudita applica una forma molto rigida di Islam sunnita, conosciuta come wahabismo, dal nome dello studioso del Corano Mohammad bin Abdul Wahhab, che nel XVIII secolo ha redatto una interpretazione del Corano che non prevede il riconoscimento dei diritti per le donne. Tuttavia, forse, qualcosa sta cambiando nel regno dei Saud. Per la prima volta alle donne verranno assegnati posti di lavoro governativi all’interno del ministero degli Esteri, lo ha dichiarato il ministro, principe Saud al-Faisal, che in un’intervista ha rivelato di voler dare “incarichi di prestigio” a 36 donne all’interno del ministero. L'IRAN ACCELERA I TEMPI PER LA FUSTIGAZIONE DELLE DONNE "MAL VELATE" Teheran, Iran, 6 Settembre 2005. - L'ufficio del procuratore dello Stato dell'Iran ha annunciato che le donne che violino il rigoroso codice islamico sull'abbigliamento saranno frustate immediatamente. Violando il codice sull' abbigliamento, le donne compariranno davanti ad un giudice islamico subito dopo l'arresto per ricevere la condanna, normalmente 100 frustate in pubblico. “Ogni individuo il cui abbigliamento ed il trucco sia contro le leggi religiose sarà perseguito e sarà condannato alla fustigazione” "I fazzoletti (foulards o sciarpe) che non coprono i capelli ed il collo“…”i soprabiti o i cappotti stretti e quelli corti sopra il ginocchio e di cui le maniche non coprano il polso, i pantaloni stretti che non coprano le caviglie”… "il trucco delle donne" sono tutti proibiti, e chi non obbedisce al codice sull' abbigliamento, sarà trattato di conseguenza. Meena: leader fondatrice del RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan) "Sono la donna che si è svegliata. Mi sono alzata e sono diventata tempesta fra le ceneri dei miei figli bruciati. I miei villaggi in rovina e in cenere mi riempiono di rabbia contro il nemico. O compatriota, non mi guardare più debole e incapace, la mia voce si mescola con migliaia di donne in piedi per rompere tutte insieme queste sofferenze e queste catene. Sono la donna che si è svegliata, ho trovato la mia strada e non tornerò mai indietro". La grande anima che scrisse questa poesia pagò con la vita il suo sogno di libertà, ma la sua lotta continua ed è sempre più viva. Il suo grido, ora lanciato nel mondo attraverso la grande rete di Internet, si levò nel lontano 1977 per dar vita ad un'organizzazione per i diritti umani e per la giustizia sociale in Afghanistan. Meena fu assassinata a Quetta, in Pakistan, nel 1987. LA LOTTA DELLE DONNE AFGHANE DEL RAWA RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan) è un'organizzazione indipendente delle donne afghane che lottano per i diritti umani e per la giustizia sociale in Afghanistan. Oggi le donne dell'organizzazione, rifugiate in Pakistan, combattono i crimini più atroci e più violenti che i fondamentalisti islamici perpetrano ogni giorno sotto gli occhi di tutti. Combattono le assurde regole, le discriminazioni e i soprusi che il loro popolo è costretto a subire. Combattono i Talebani fondamentalisti e il baratro degli orrori in cui sono finite le donne afghane. Il lavoro delle donne del RAWA è una lotta senza sosta. Nonostante le innumerevoli difficoltà, l'organizzazione ha contatti con le donne di diversi campi in Pakistan. PROFUGHE SENZA RITORNO: STORIE DAI CAMPI PALESTINESI DEL LIBANO La maggior parte delle donne palestinesi si dedica alla cura dei figli e delle misere abitazioni. Parlando con alcune di loro, ci si rende conto della grande forza e determinazione che traspaiono dalle loro parole. Giovani ed anziane sono duramente provate da anni lunghi e difficili; tuttavia, con energia portano avanti i propri progetti pur sapendo che devono affrontare quotidianamente grosse difficoltà e continui problemi. Le donne palestinesi sono molto attive nell'educazione e nella manodopera e spesso sono l'unica fonte di reddito per le loro famiglie a causa dei tantissimi uomini palestinesi uccisi, resi inabili o imprigionati dalle forze d'occupazione israeliane. DONNE PALESTINESI: L’ESPERIENZA DEL WEP Il WEP, "Women's Empowerment Project", nasce dall'esperienza del Centro di Salute Mentale Comunitaria di Gaza. Questo centro si occupa in particolare degli effetti psico-patologici generati dalla impossibilità di difendersi dalla violenza e dalla negazione quotidiana di diritti umani fondamentali. Le donne e i bambini sono il bersaglio più fragile della violenza e dell'oppressione, in un tessuto sociale ormai allo stremo. Il WEP si fonda sull'idea che la terapia medica debba scorrere insieme alla riappropriazione, da parte delle donne, di spazi, tempi, istruzione e formazione, con il loro inserimento in un contesto sociale ed economico più solido di quello che ha dato origine ai loro problemi e con tutta una serie di strategie di approccio alle fonti inconsapevoli di quei problemi: la famiglia, la comunità, la scuola…Le donne che si rivolgono al Programma provengono dai campi profughi di Gaza, Khan Yunis e Rafah. Molte di loro sono reduci da matrimoni precoci e maltrattamenti familiari; alcune sono state detenute - o sono madri, mogli, sorelle, figlie di detenuti - nelle prigioni israeliane. Il WEP inserisce le giovani donne in contesti formativi e didattici per restituire loro il percorso educativo a volte mai iniziato, a volte bruscamente interrotto per ragioni diverse, quali il matrimonio in età scolare o la chiusura continuata delle scuole negli anni dell‘ Intifada. TURCHIA E KURDISTAN: LOTTA POLITICA Il partito curdo DEHAP affida il 40 % dei ruoli di direzione alle proprie donne. Sono donne i sindaci di questo partito a Dogubeyazit, Kisiltepe e Derig. L'obiettivo della liberazione della donna curda dai vincoli patriarcali e tribali è al primo posto nel programma del partito. A loro volta le associazioni turche per i diritti umani - una delle componenti più attive e più influenti della lotta per la democratizzazione della Turchia - sono dirette da donne di grandi capacità e di grande coraggio: ad Istanbul da Lerzan Tascier, ad Ankara da Feray Salman, ancora ad Istanbul da Sefika Gulmuz, che è a capo dell'organizzazione dei curdi fuggiti dai loro villaggi incendiati, e da Sehnaz Turan, avvocatessa che proviene da Diyarbakir, dove dirigeva l'Associazione per i Diritti Umani. MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI: UNA PRATICA DA SCONFIGGERE Le mutilazioni genitali femminili sono quelle pratiche tradizionali, un tempo simbolo di valori sacri ed inviolabili, che comportano l'esportazione parziale o totale degli organi genitali esterni della donna, accompagnata dall'obliterazione quasi completa della vulva. Vanno dalla meno cruenta; la circoncisione, a quelle più dannose; l'escissione e l'infibulazione. Sono effettuate, a seconda dell'etnia di appartenenza, in età e per ragioni diverse, sempre prima dell'adolescenza in oltre 25 Paesi africani, soprattutto nella fascia sub-Sahariana, e ancora in Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi, Oman, Yemen del Sud e tra i gruppi musulmani in India, Indonesia, Malesia e Pakistan. Ad Alessandria ed a Il Cairo si pratica la circoncisione, mentre in zone più depresse si usa l'infibulazione. Quest‘ultima nasce dall'idea che l'uomo deve essere l'unico a gioire nei rapporti sessuali. I diritti della donna vengono completamente negati, non solo i sessuali, ma anche quelli del benessere fisico, costringendola a molte sofferenze durante tutta la vita. LE PAKISTANE VITTIME DEL DELITTO D’ONORE Lo status delle donne in Pakistan è stato definito come un gioco di codici tribali, leggi islamiche, tradizioni giudiziarie indo-britanniche che hanno creato un'atmosfera di oppressione. In un clima di violenza generalizzata contro le donne, la giustificazione degli abusi si basa su fattori sociali, infatti la donna è considerata come "merce“ e come una proprietà degli uomini della famiglia di cui incarna l'onore, e su alcune leggi dello Stato che risultano discriminatorie. I maltrattamenti subiti, sia nella sfera privata sia in quella pubblica (diffusissimi sono gli stupri durante la detenzione da parte degli agenti di polizia), spesso sfociano nella morte, ma l'effettiva possibilità di difendersi è quasi nulla; pochissimi sono i crimini denunciati, ancor meno i colpevoli puniti. Chi maltratta o addirittura uccide una donna in Pakistan riesce facilmente a rimanere impunito. Le donne vengono sfigurate con l'acido (come nel vicino Bangladesh) e si registrano moltissimi casi di "rogo delle mogli", compiuti simulando incidenti domestici. Più del 90% della popolazione femminile è vittima di qualche forma di violenza da parte dei familiari. Circa tre donne vengono uccise ogni giorno per motivi legati all'onore: i dati contenuti nel rapporto 2000 della Commissione sui Diritti Umani del Pakistan parlano di 1000 omicidi d'onore denunciati nel 1999, il che fa supporre che il numero effettivo sia molto più alto, poiché moltissimi crimini non vengono denunciati. Questa pratica tradizionale continua a mietere vittime. Le modalità variano parzialmente da zona a zona (nel Sindh si procede a colpi d'ascia, altrove si preferisce uccidere a colpi d'arma da fuoco), ma, in ogni caso, la pratica è estremamente diffusa in tutto il Paese. Il comportamento femminile considerato come disonorevole comprende relazioni extraconiugali, presunte o reali, la scelta di un marito contro il volere dei genitori, la richiesta di divorzio. INDIA: STORIA DI ORDINARIA VIOLENZA Il 10 luglio 2004 Thangiam Manorama, accusata dalla polizia di collusioni con i separatisti ribelli, era stata prelevata a forza da uomini dei corpi paramilitari dalla propria abitazione. Solo qualche ora più tardi il suo corpo è stato ritrovato privo di vita a quattro chilometri di distanza, con numerosi colpi di pistola e segni evidenti di violenza sessuale e di tortura. L'episodio ha spinto numerosi gruppi di donne, che nel paese lavorano per la salvaguardia dei propri diritti, a dichiarare uno sciopero generale di 48 ore a cui le autorità hanno risposto imponendo il coprifuoco a tempo indeterminato. Coprifuoco che le donne hanno ignorato, continuando a manifestare nelle strade fino a suscitare la repressione violenta in cui complessivamente almeno un centinaio di donne sono state ferite dalle forze di polizia. NELLO STATO INDIANO DI TAMILNADU LE DONNE COSTRUISCONO LA LORO MOSCHEA Parambu è un villaggio rurale dell'India del sud, nello stato del Tamilnadu. Nel dicembre 2003, rifiutando di continuare a tollerare il trattamento scorretto riservato loro dai rispettivi mariti, alcune donne musulmane di questo villaggio si sono riunite in un gruppo che hanno chiamato "Chaaya" (ombra). Stanche di quelle che hanno definito "decisioni discriminanti", prese sistematicamente dalle autorità maschili, queste donne hanno acquistato un appezzamento di terreno sul quale hanno deciso di costruire la propria moschea. Contrariamente a quanto avviene di norma nei paesi arabi, in cui alle donne è consentito l'ingresso in aree prestabilite della moschea, nel subcontinente indiano, invece, normalmente le donne musulmane pregano in edifici adiacenti alla moschea e solo in alcune delle moschee più grandi ci sono luoghi chiusi e separati in cui esse possono accedere per pregare. NEPAL: LA CONDIZIONE FEMMINILE NEL PIU' PICCOLO REGNO INDU' AL MONDO. Esiste un piccolo Regno indù (l'unico al mondo), il Nepal, assopito tra le montagne più alte della Terra, fra l'India e la Cina. È’ un Paese complesso, in cui convivono, più o meno pacificamente, molte etnie e credi religiosi e che solo da poco sembra essere uscito da un sonno secolare. Nel 1990 il regno è diventato una monarchia costituzionale. La donna in Nepal si trova costretta nello spazio delimitato dal padre, dal fratello ed infine dal marito. Non importa quanto incida il lavoro delle donne nella società (circa il 50%, mentre gli uomini incidono per il 44% e i bambini per il 6%), non importa neppure quanto sia fondamentale il ruolo femminile nelle famiglie, come in molti altri paesi del mondo, la donna sembra non avere diritti. Così, se la Costituzione del 1990 stabilisce che non ci siano discriminazioni di genere, pure nella consuetudine, si trovano comportamenti discriminatori e la popolazione femminile nepalese subisce le conseguenze dei matrimoni precoci, dell'alta fertilità, dell'alta percentuale di mortalità, della bassa aspettativa di vita, dell'analfabetismo, della discriminazione economica. IL RUOLO DELLA DONNA NELLA CULTURA TIBETANA Si parla di culture di tradizione tibetana, quindi di popolazioni che vivono sia a nord sia a sud della catena himalayana, vale a dire rispettivamente di tibetani veri e propri e di Sherpa. In queste società la donna ha un ruolo importante, sicuramente superiore a quello che occupa nella famiglia indù, per non parlare delle popolazioni di religione musulmana. Tuttavia ci sono profonde differenze all'interno della famiglia. La padrona di casa, la “drongpa ama” delle valli himalayane, ricorda la figura della matriarca delle famiglie delle nostre Alpi: è quella che tiene la cassa, che distribuisce i ruoli e i compiti. La nuora (le figlie in genere vanno spose altrove), invece, è la serva per tutti, ma diventerà a sua volta padrona. LA VITA DELLE DONNE IN MYANMAR E L'AZIONE DEL SOCIAL ACTION FOR WOMEN In tutta la storia del Myanmar (ex Birmania) le donne e, in particolare, quelle appartenenti alle popolazioni tribali Karen, Shan e Hmong, subiscono da sempre la discriminazione da parte di una società che tende a denigrare la donna e considerarne inferiore il ruolo. La discriminazione di genere ha dirette influenze sul diritto delle donne ad esprimere i propri legittimi interessi in questioni di carattere politico-sociale; infatti, nonostante la popolazione femminile occupi il 40% dei posti di lavoro, solo a pochissime donne è concesso ricoprire incarichi di potere nel governo. VIETNAM: DONNE E SCRITTURA Le donne scrittrici in Vietnam non piacciono ai leader di partito né agli uomini di lettere che le accusano di scrivere in modo sterile, distruttivo, provocatorio. Sono scontrose, dure, caparbie sino all'ossessione. Si definiscono “voci fuori dal coro”, negano l'esistenza di una "letteratura di genere" e non intendono essere assimilate al gruppo degli scrittori contemporanei. Non lottano per affermare i diritti delle donne ma “per difendere la propria solitudine di scrittrici, donne, cittadine e, come nel caso di Duong Thu Huong, comuniste”. Huong è diventata un personaggio a sé stante nel panorama della letteratura vietnamita contemporanea, innanzitutto per via della sua esperienza di combattente (nel pieno del conflitto anti-americano scelse deliberatamente di partecipare alla lotta nella zona del 17° parallelo, teatro delle più cruente operazioni di guerra e di massicci bombardamenti); agli occhi dei burocrati, è un personaggio scomodo poiché denuncia senza mezzi termini il degrado morale all'interno della classe dirigente del Paese. COOPERAZIONE ITALIA- ALBANIA PER LA NASCITA DEL CENTRO DONNA “PASSI LEGGERI” La fine del regime ha voluto dire anche la fine del lavoro per tutti, uomini e donne. Le donne però hanno pagato il prezzo più alto e oggi molte di loro sono disoccupate o sotto-occupate nelle tante fabbriche aperte da stranieri dove lavorano in assenza di diritti e tutela. La cultura patriarcale, che a Scutari più che in altre parti dell'Albania domina sicura di sé e dei propri privilegi, alle donne non riconosce spazi, potere, voce ed invece riconosce agli uomini, che la detengono, il potere di esercitare su di loro violenza e dominio. Ed è stata proprio l'assenza di spazi che ha spinto un gruppo di giovani donne, supportate da donne italiane, impegnate da anni nella difesa dei diritti delle donne in luoghi difficili, e da donne albanesi attive nel movimento femminile, a mettersi insieme e creare nell'aprile 2001 un Centro Donna nella città. Lo hanno voluto chiamare Centro Donna "Passi Leggeri". Un augurio per un futuro in cui le donne possano procedere nella loro vita a Scutari con meno fardelli, meno fatica e con “passi leggeri”. Il Centro Donna "Passi Leggeri" nasce come spazio per le donne in una città in cui le donne non hanno spazi, nasce come luogo di elaborazione e realizzazione di azioni di sviluppo e cambiamento per le donne e per le comunità di appartenenza, nasce con l'obiettivo di costruire nella città una presenza forte e organizzata delle donne che, rispetto al processo di democratizzazione in corso, possa esprimere la sua voce. LA LOTTA DI HAWA ADEN MOHAMED PER L'EMANCIPAZIONE E L'ISTRUZIONE DELLE DONNE IN SOMALIA Hawa Aden nasce a Baidoa in Somalia e a 10 anni non era mai stata tra i banchi di scuola perché i lavori domestici la impegnavano tutto il giorno e secondo la sua famiglia e la sua comunità l'educazione e l'istruzione per una bambina non erano considerate importanti. Hawa con l'aiuto economico di suo fratello riesce ad andare a scuola e intraprende gli studi fino alla laurea. Da quel momento Hawa si dedica all'insegnamento e a molto altro ancora in favore delle donne. Nell'agosto del 1999 fonda un Centro d'Istruzione Femminile per la Pace e lo Sviluppo (GECPD - Galkayo Educational Center for Peace and Development) a Galkayo nel Puntland in Somalia. Esso ha come obiettivi fondamentali quelli di proteggere il benessere fisico, psichico e sociale delle donne, rafforzando la capacità di difendere e promuovere il loro accesso all'educazione di base e servizi sanitari, all’ aumento delle risorse economiche e alla partecipazione all'attività politica. MAROCCO: TANTE LE “DONNE IN MOVIMENTO” Nei comportamenti quotidiani e nei rapporti tra i sessi, le donne sono più avanti delle leggi che quei comportamenti e relazioni regolamentano. La legge principale che li regolamenta è una legge dello Stato e si chiama "Moudawana" o codice di famiglia. Questa legge, voluta dal re Mohamed V, è lo specchio fedele della visione maschile del ruolo della donna nella famiglia e nella società, una legge contro la quale le donne oggi si battono. Nelle principali città, a partire da Casablanca, vi sono molte organizzazioni femminili che agiscono attivamente per proporre e far approvare le riforme necessarie. Alcune organizzazioni sostengono che l'unica via praticabile per arrivare alle riforme è partire dalla religione e dalla tradizione per avviare un processo lento ma condiviso di trasformazioni, altre, invece, sostengono una visione laica della lotta e dello Stato e non giudicano necessario un confronto con l'aspetto religioso che viene quindi considerato una faccenda privata individuale. Ma tutte concordano sul fatto che la donna deve uscire dalla sua condizione attuale di eterna minorenne, alla quale bisogna accordare i diritti con il contagocce. Alcuni passi in avanti sono stati fatti, nel segno di un riconoscimento di dignità che prima era negato. Ad esempio non esiste più la necessità di chiedere il permesso del coniuge per avere un contratto di lavoro, oppure è stato imposto l'obbligo al marito di informare la moglie nel caso egli decida di prendere una seconda moglie. I fronti sui quali le donne devono combattere sono molti: la lotta all'analfabetismo e il diritto alla salute trovano tutti d'accordo. In alcune zone rurali l'analfabetismo fra le donne tocca livelli altissimi (80%) e solo a fatica i padri accettano di mandare a scuola le bambine. In quel territorio le donne, per imparare a leggere e scrivere, devono vincere una prima battaglia in famiglia: la resistenza da parte dei padri, fratelli, mariti che non vedono la necessità della loro istruzione. ESSERE DONNA NELLA REALTA’ NICARAGUENSE Poco si parla di questo Paese e quando se ne parla, si dice poco delle sue donne. Donne poetesse, donne rivoluzionarie, donne che da decenni ormai si organizzano e riescono a creare reti di denuncia, di solidarietà, di costruzione di una società e di una cultura differenti. Seconda economia più povera dell'America Latina dopo Haiti, il Nicaragua non riesce a godere delle risorse e meraviglie naturali che possiede ma, se il contesto del Paese è fragile, la situazione delle donne nicaraguensi è ancor più fragile, a causa di una pratica e di una cultura di discriminazione e sfruttamento maschilista. Le entrate individuali delle donne raggiungono a malapena il 40% di quelle ottenute dagli uomini ed è limitata la possibilità di accesso agli incarichi direttivi, sia nel settore pubblico che in quello privato. La maggior parte delle donne trova impiego nel lavoro informale: domestiche, venditrici ambulanti, cuoche senza nessuna sicurezza, nessun tipo di assicurazione, nessun riconoscimento per la maternità. LA LOTTA DELLE DONNE IN BRASILE Le prime grandi battaglie delle donne brasiliane si sono svolte nel Novecento e sono state quelle per l'educazione e per il voto. Nei primi decenni del xx secolo le ragazze iniziano a ricevere un'istruzione e all'inizio svolgono i propri studi in casa; nello stesso periodo cominciano a diffondersi pubblicazioni che hanno donne come autrici e destinatarie. Solo negli anni Settanta, però, le donne riescono ad accedere all'Università e oggi il loro numero è maggiore di quello dei maschi sia tra gli iscritti che tra i laureati. Nel 1932, le donne votano per la prima volta in Brasile; questo avviene nello stato federale del Rio Grande do Norte, ma in poco tempo il diritto di voto sarà assicurato alle donne in tutto il paese. La possibilità di votare, di esprimersi politicamente e di influenzare le scelte di governo aiuta le donne ad organizzarsi. Tra il 1950 e il 1960 compaiono le prime associazioni femminili e negli anni Settanta si comincia a parlare di femminismo. Il movimento prende mossa dall'azione delle mogli degli intellettuali perseguitati e obbligati all'esilio nel periodo della dittatura; costrette a fuggire dal Brasile, vengono a contatto con le idee che si diffondono in Europa e nell'America del Nord. Il risultato della riflessione femminile nata da questo confronto è la constatazione che, nonostante tutto, la politica non si occupa delle donne e che anche la democrazia non è sufficiente a trasformarle in soggetti di primo piano, attivi e protagonisti. A partire da questa consapevolezza il movimento si sviluppa in una pluralità di direzioni ed affronta un insieme vasto di problemi, tanto che oggi, in Brasile, si parla di “feminismos”, al plurale: ci sono tante organizzazioni che si occupano dei temi più sentiti nell'ambiente da cui provengono le donne; alcuni gruppi lavorano in ambito strettamente politico, altri in quello sindacale, altri ancora si battono per i diritti delle donne di colore e per quelli delle donne omosessuali. GIAPPONE: “IL TRONO HA UN’EREDE, MA …” In Giappone, il trono ha un’erede, ma è una femmina! La legge ammette solo una linea di discendenza maschile. In base alla legge salica, infatti, in vigore da quasi 150 anni, il secondo nella linea di successione rimane - dopo il principe ereditario Naruhito - il fratello minore principe Akishino, sposato dal 1990 con la principessa Kiko e padre anch'egli di due bambine. Sembrava prendessero sempre più vigore le spinte verso una revisione della legge salica per consentire alle donne la successione al Trono, come già avvenuto otto volte negli oltre 1.500 anni della dinastia imperiale storicamente accertati, quando è arrivata la notizia ... La principessa Kiko: futura mamma di un agognato maschietto? Tokyo, 8 agosto 2006 - La principessa Kiko, incinta probabilmente di un agognato maschietto per il trono del Giappone, partorirà intorno al 6 settembre. Lo ha riferito l'emittente pubblica 'Nhk'. Per Kiko, 39 anni, consorte del principe Akishino, figlio minore dell'imperatore Akihito, è stato deciso un parto cesareo a seguito di complicazioni emerse durante la gravidanza. È’ dal 1965 che non nasce un maschio nella famiglia reale giapponese e la possibilità che la principessa Kiko partorisca un maschio ha sospeso il progetto di revisione della Costituzione del 1947, che riconoscerebbe anche alle femmine il diritto alla successione al trono dato che Naruhito, il principe ereditario, ha avuto una figlia. La principessa Kiko partorisce un maschio 6 settembre 2006 Il Giappone in festa per l'erede imperiale. “La dinastia imperiale giapponese, il più antico casato regnante del mondo, è salva.” FINE DEL “VIAGGIO” Al suo posto noi non lo faremmo, ma dopo aver compiuto questo “viaggio” ci rendiamo conto che la principessina giapponese Aiko potrebbe esclamare, un giorno, la stessa frase scritta dalla donna in uno stupa buddista nel lontano 400 d.C., già ricordata: “…ti prego fammi rinascere uomo nella prossima vita.”