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la lotta delle donne afghane del rawa

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la lotta delle donne afghane del rawa
Istituto Secondario di II Grado ‘V. Capialbi’ Vibo Valentia
Anno Scolastico 2005-2006
Programma Socrates - Azione Comenius 1
Dirigente Scolastico Prof. Michele Piraino
Coordinatrice del Progetto Prof.ssa Anna Pia Perri
Classe II B Indirizzo Linguistico
“Siamo in viaggio e portiamo con noi la nostra storia, passata e
presente, per viverla insieme nei modi più diversi, perché la
cultura è il luogo degli scambi. Donne, uomini, bambini,
anziani di tutto il mondo, ognuno è diverso e non solo per le
tradizioni che porta in sé. Abbiamo in comune la disparità dei
punti di vista e la necessità di farli incontrare, con rispetto e
curiosità, con passione e intelligenza. Questo viaggio ci renderà
più simili pur nelle nostre peculiarità e la grande Babele dei
linguaggi e delle civiltà si trasformerà nel laboratorio collettivo
di culture affermando il diritto di essere differenti, avendo tutti,
però, uguali opportunità, sostenendo i valori della diversità
contro l'ignoranza e la barbarie.”
"Come premio di queste azioni
virtuose, ti prego, fammi rinascere
uomo nella prossima vita".
Iscrizione votiva, del 400 d.C. circa, incisa da una donna in uno
stupa buddista vicino Chahabil Kathmandu.
Italia: i volti di una controversa condizione
femminile
Top model - Milano, collezione autunno-inverno 2006
Rita Levi Montalcini,
premio Nobel per la medicina 1986
SVEZIA: PREMIO NOBEL
Sono solo 33 i premi attribuiti a donne su 758 assegnati
“Per i suoi ideali, la vivida immaginazione e la percezione
spirituale che caratterizza i suoi scritti.”
Selma Ottilia Lovisa Lagerlöf, premio Nobel per la letteratura
1909 Stoccolma
"Per la sua lirica notevole e la scrittura drammatica, che
interpreta il destino di Israele con forza toccante.”
Nelly Sachs, metà del premio Nobel per la letteratura
1966 Stoccolma
Per aver contribuito, con la sua opera di ministro, alla politica del disarmo.
Alva Myrdal, metà del premio Nobel per la pace
1982 Stoccolma
BULGARIA: Il contributo di una donna di
successo alla causa femminile
Gli interessi scientifici di Julia Kristeva, nata nel 1941 a Silven,
Bulgaria, vanno dalla linguistica alla semiologia, alla psicoanalisi,
alla letteratura del XIX secolo.
Lei delinea tre fasi della battaglia delle donne per la loro
emancipazione nei tempi moderni:
• la rivendicazione dei diritti politici con il suffragismo universale;
• l'affermarsi di una “uguaglianza ontologica”;
• la ricerca della differenza tra i due sessi, sulla scia del maggio '68 e
della psicoanalisi.
BAHRAIN: I PROGRESSI DELLA CONDIZIONE
FEMMINILE
Questa immagine si riferisce
alle elezioni in Bahrain, dove le
donne hanno votato per la
prima volta nell'ottobre del
2002.
Principessa saudita protesta: uguali diritti per le donne
Riyadh (AsiaNews / Agenzie) - La principessa Sarah, della casa
regnante saudita, ha dichiarato che il governo e la casa regnante
devono confrontarsi in merito alla condizione femminile nel regno
saudita. “Il governo deve aprire gli occhi sulla nostra situazione” ha
detto Sarah, figlia del principe Talal bin Abdul Aziz, fratellastro di re
Fahd. “Deve riconoscere che le donne sono la metà della popolazione
e che hanno dei diritti”.
Per la principessa, uomini e donne devono avere uguali diritti in
materia legale, casi di divorzi, commercio e scolarizzazione. Anche il
riconoscimento politico è importante, secondo Sarah. Allo stato
attuale, le donne saudite che vogliono viaggiare devono chiedere il
permesso scritto del maschio alle quali fanno riferimento.
Anche per i documenti vi sono problemi. Infatti, nonostante abbiano
ottenuto 2 anni fa la possibilità di possedere una carta di identità, le
donne saudite hanno tuttora bisogno di un uomo che la richieda per
loro.
Suzanne al-Ghanem, direttrice di un’organizzazione non governativa
per i diritti delle donne di Riyadh, afferma che il problema della
condizione femminile nel regno è alla base. “Ho sempre dovuto
seguire un uomo, qualunque fosse la mia età. Ora voglio esistere
come essere umano”.
L’Arabia Saudita applica una forma molto rigida di Islam sunnita,
conosciuta come wahabismo, dal nome dello studioso del Corano
Mohammad bin Abdul Wahhab, che nel XVIII secolo ha redatto una
interpretazione del Corano che non prevede il riconoscimento dei
diritti per le donne.
Tuttavia, forse, qualcosa sta cambiando nel regno dei Saud. Per la
prima volta alle donne verranno assegnati posti di lavoro governativi
all’interno del ministero degli Esteri, lo ha dichiarato il ministro,
principe Saud al-Faisal, che in un’intervista ha rivelato di voler dare
“incarichi di prestigio” a 36 donne all’interno del ministero.
L'IRAN ACCELERA I TEMPI PER LA FUSTIGAZIONE DELLE DONNE "MAL VELATE"
Teheran, Iran, 6 Settembre 2005. - L'ufficio del
procuratore dello Stato dell'Iran ha annunciato
che le donne che violino il rigoroso codice
islamico sull'abbigliamento saranno frustate
immediatamente.
Violando il codice sull' abbigliamento, le donne
compariranno davanti ad un giudice islamico
subito dopo l'arresto per ricevere la condanna,
normalmente 100 frustate in pubblico.
“Ogni individuo il cui abbigliamento ed il trucco
sia contro le leggi religiose sarà perseguito e
sarà condannato alla fustigazione”
"I fazzoletti (foulards o sciarpe) che non
coprono i capelli ed il collo“…”i soprabiti o i
cappotti stretti e quelli corti sopra il ginocchio
e di cui le maniche non coprano il polso, i
pantaloni stretti che non coprano le caviglie”…
"il trucco delle donne" sono tutti proibiti, e chi
non obbedisce al codice sull' abbigliamento,
sarà trattato di conseguenza.
Meena: leader fondatrice del RAWA
(Revolutionary Association of the Women of Afghanistan)
"Sono la donna che si è svegliata. Mi sono
alzata e sono diventata tempesta fra le
ceneri dei miei figli bruciati. I miei villaggi in
rovina e in cenere mi riempiono di rabbia
contro il nemico. O compatriota, non mi
guardare più debole e incapace, la mia voce
si mescola con migliaia di donne in piedi
per rompere tutte insieme queste sofferenze
e queste catene. Sono la donna che si è
svegliata, ho trovato la mia strada e non
tornerò mai indietro".
La grande anima che scrisse questa poesia
pagò con la vita il suo sogno di libertà, ma la
sua lotta continua ed è sempre più viva.
Il suo grido, ora lanciato nel mondo
attraverso la grande rete di Internet, si levò
nel lontano 1977 per dar vita ad
un'organizzazione per i diritti umani e per la
giustizia sociale in Afghanistan. Meena fu
assassinata a Quetta, in Pakistan, nel 1987.
LA LOTTA DELLE DONNE AFGHANE DEL
RAWA
RAWA (Revolutionary Association of
the Women of Afghanistan) è
un'organizzazione indipendente delle
donne afghane che lottano per i diritti
umani e per la giustizia sociale in
Afghanistan.
Oggi le donne dell'organizzazione,
rifugiate in Pakistan, combattono i
crimini più atroci e più violenti che i
fondamentalisti islamici perpetrano
ogni giorno sotto gli occhi di tutti.
Combattono le assurde regole, le
discriminazioni e i soprusi che il loro
popolo è costretto a subire.
Combattono i Talebani fondamentalisti
e il baratro degli orrori in cui sono finite
le donne afghane. Il lavoro delle donne
del RAWA è una lotta senza sosta.
Nonostante le innumerevoli difficoltà,
l'organizzazione ha contatti con le
donne di diversi campi in Pakistan.
PROFUGHE SENZA RITORNO: STORIE DAI CAMPI
PALESTINESI DEL LIBANO
La maggior parte delle donne
palestinesi si dedica alla cura dei figli
e delle misere abitazioni. Parlando
con alcune di loro, ci si rende conto
della grande forza e determinazione
che traspaiono dalle loro parole.
Giovani ed anziane sono duramente
provate da anni lunghi e difficili;
tuttavia, con energia portano avanti i
propri progetti pur sapendo che
devono affrontare quotidianamente
grosse difficoltà e continui problemi.
Le donne palestinesi sono molto
attive nell'educazione e nella
manodopera e spesso sono l'unica
fonte di reddito per le loro famiglie a
causa dei tantissimi uomini palestinesi
uccisi, resi inabili o imprigionati dalle
forze d'occupazione israeliane.
DONNE PALESTINESI: L’ESPERIENZA DEL WEP
Il WEP, "Women's Empowerment Project", nasce
dall'esperienza del Centro di Salute Mentale
Comunitaria di Gaza. Questo centro si occupa in
particolare degli effetti psico-patologici generati dalla
impossibilità di difendersi dalla violenza e dalla
negazione quotidiana di diritti umani fondamentali.
Le donne e i bambini sono il bersaglio più fragile della
violenza e dell'oppressione, in un tessuto sociale
ormai allo stremo.
Il WEP si fonda sull'idea che la terapia medica debba
scorrere insieme alla riappropriazione, da parte delle
donne, di spazi, tempi, istruzione e formazione, con il
loro inserimento in un contesto sociale ed economico
più solido di quello che ha dato origine ai loro problemi
e con tutta una serie di strategie di approccio alle fonti
inconsapevoli di quei problemi: la famiglia, la
comunità, la scuola…Le donne che si rivolgono al
Programma provengono dai campi profughi di Gaza,
Khan Yunis e Rafah. Molte di loro sono reduci da
matrimoni precoci e maltrattamenti familiari; alcune
sono state detenute - o sono madri, mogli, sorelle,
figlie di detenuti - nelle prigioni israeliane.
Il WEP inserisce le giovani donne in contesti formativi
e didattici per restituire loro il percorso educativo a
volte mai iniziato, a volte bruscamente interrotto per
ragioni diverse, quali il matrimonio in età scolare o la
chiusura continuata delle scuole negli anni dell‘
Intifada.
TURCHIA E KURDISTAN: LOTTA POLITICA
Il partito curdo DEHAP affida il 40 % dei ruoli di
direzione alle proprie donne. Sono donne i
sindaci di questo partito a Dogubeyazit,
Kisiltepe e Derig.
L'obiettivo della liberazione della donna curda
dai vincoli patriarcali e tribali è al primo posto
nel programma del partito.
A loro volta le associazioni turche per i diritti
umani - una delle componenti più attive e più
influenti della lotta per la democratizzazione
della Turchia - sono dirette da donne di grandi
capacità e di grande coraggio: ad Istanbul da
Lerzan Tascier, ad Ankara da Feray Salman,
ancora ad Istanbul da Sefika Gulmuz, che è a
capo dell'organizzazione dei curdi fuggiti dai
loro villaggi incendiati, e da Sehnaz Turan,
avvocatessa che proviene da Diyarbakir, dove
dirigeva l'Associazione per i Diritti Umani.
MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI: UNA PRATICA DA
SCONFIGGERE
Le mutilazioni genitali femminili sono quelle pratiche
tradizionali, un tempo simbolo di valori sacri ed
inviolabili, che comportano l'esportazione parziale o
totale degli organi genitali esterni della donna,
accompagnata dall'obliterazione quasi completa
della vulva. Vanno dalla meno cruenta; la
circoncisione, a quelle più dannose; l'escissione e
l'infibulazione.
Sono effettuate, a seconda dell'etnia di
appartenenza, in età e per ragioni diverse, sempre
prima dell'adolescenza in oltre 25 Paesi africani,
soprattutto nella fascia sub-Sahariana, e ancora in
Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi, Oman,
Yemen del Sud e tra i gruppi musulmani in India,
Indonesia, Malesia e Pakistan.
Ad Alessandria ed a Il Cairo si pratica la
circoncisione, mentre in zone più depresse si usa
l'infibulazione. Quest‘ultima nasce dall'idea che
l'uomo deve essere l'unico a gioire nei rapporti
sessuali. I diritti della donna vengono
completamente negati, non solo i sessuali, ma
anche quelli del benessere fisico, costringendola a
molte sofferenze durante tutta la vita.
LE PAKISTANE VITTIME DEL DELITTO D’ONORE
Lo status delle donne in Pakistan è stato definito come un gioco di codici tribali, leggi islamiche, tradizioni
giudiziarie indo-britanniche che hanno creato un'atmosfera di oppressione.
In un clima di violenza generalizzata contro le donne, la giustificazione degli abusi si basa su fattori sociali,
infatti la donna è considerata come "merce“ e come una proprietà degli uomini della famiglia di cui incarna
l'onore, e su alcune leggi dello Stato che risultano discriminatorie.
I maltrattamenti subiti, sia nella sfera privata sia in quella pubblica (diffusissimi sono gli stupri durante la
detenzione da parte degli agenti di polizia), spesso sfociano nella morte, ma l'effettiva possibilità di difendersi è
quasi nulla; pochissimi sono i crimini denunciati, ancor meno i colpevoli puniti.
Chi maltratta o addirittura uccide una donna in Pakistan riesce facilmente a rimanere impunito. Le donne
vengono sfigurate con l'acido (come nel vicino Bangladesh) e si registrano moltissimi casi di "rogo delle mogli",
compiuti simulando incidenti domestici.
Più del 90% della popolazione femminile è vittima di qualche forma di violenza da parte dei familiari. Circa tre
donne vengono uccise ogni giorno per motivi legati all'onore: i dati contenuti nel rapporto 2000 della
Commissione sui Diritti Umani del Pakistan parlano di 1000 omicidi d'onore denunciati nel 1999, il che fa
supporre che il numero effettivo sia molto più alto, poiché moltissimi crimini non vengono denunciati.
Questa pratica tradizionale continua a mietere vittime. Le modalità variano parzialmente da zona a zona (nel
Sindh si procede a colpi d'ascia, altrove si preferisce uccidere a colpi d'arma da fuoco), ma, in ogni caso, la
pratica è estremamente diffusa in tutto il Paese.
Il comportamento femminile considerato come disonorevole comprende relazioni extraconiugali, presunte o reali,
la scelta di un marito contro il volere dei genitori, la richiesta di divorzio.
INDIA: STORIA DI ORDINARIA VIOLENZA
Il 10 luglio 2004 Thangiam Manorama,
accusata dalla polizia di collusioni con i
separatisti ribelli, era stata prelevata a forza
da uomini dei corpi paramilitari dalla propria
abitazione. Solo qualche ora più tardi il suo
corpo è stato ritrovato privo di vita a quattro
chilometri di distanza, con numerosi colpi di
pistola e segni evidenti di violenza sessuale e
di tortura.
L'episodio ha spinto numerosi gruppi di donne,
che nel paese lavorano per la salvaguardia dei
propri diritti, a dichiarare uno sciopero generale
di 48 ore a cui le autorità hanno risposto
imponendo il coprifuoco a tempo indeterminato.
Coprifuoco che le donne hanno ignorato,
continuando a manifestare nelle strade fino a
suscitare la repressione violenta in cui
complessivamente almeno un centinaio di
donne sono state ferite dalle forze di polizia.
NELLO STATO INDIANO DI TAMILNADU LE DONNE
COSTRUISCONO LA LORO MOSCHEA
Parambu è un villaggio rurale dell'India del
sud, nello stato del Tamilnadu. Nel
dicembre 2003, rifiutando di continuare a
tollerare il trattamento scorretto riservato
loro dai rispettivi mariti, alcune donne
musulmane di questo villaggio si sono
riunite in un gruppo che hanno chiamato
"Chaaya" (ombra). Stanche di quelle che
hanno definito "decisioni discriminanti",
prese sistematicamente dalle autorità
maschili, queste donne hanno acquistato
un appezzamento di terreno sul quale
hanno deciso di costruire la propria
moschea.
Contrariamente a quanto avviene di norma
nei paesi arabi, in cui alle donne è
consentito l'ingresso in aree prestabilite
della moschea, nel subcontinente indiano,
invece, normalmente le donne musulmane
pregano in edifici adiacenti alla moschea e
solo in alcune delle moschee più grandi ci
sono luoghi chiusi e separati in cui esse
possono accedere per pregare.
NEPAL: LA CONDIZIONE FEMMINILE NEL PIU' PICCOLO REGNO INDU'
AL MONDO.
Esiste un piccolo Regno indù (l'unico al
mondo), il Nepal, assopito tra le montagne
più alte della Terra, fra l'India e la Cina. È’ un
Paese complesso, in cui convivono, più o
meno pacificamente, molte etnie e credi
religiosi e che solo da poco sembra essere
uscito da un sonno secolare. Nel 1990 il
regno è diventato una monarchia
costituzionale.
La donna in Nepal si trova costretta nello
spazio delimitato dal padre, dal fratello ed
infine dal marito. Non importa quanto incida
il lavoro delle donne nella società (circa il
50%, mentre gli uomini incidono per il 44% e
i bambini per il 6%), non importa neppure
quanto sia fondamentale il ruolo femminile
nelle famiglie, come in molti altri paesi del
mondo, la donna sembra non avere diritti.
Così, se la Costituzione del 1990 stabilisce
che non ci siano discriminazioni di genere,
pure nella consuetudine, si trovano
comportamenti discriminatori e la
popolazione femminile nepalese subisce le
conseguenze dei matrimoni precoci, dell'alta
fertilità, dell'alta percentuale di mortalità,
della bassa aspettativa di vita,
dell'analfabetismo, della discriminazione
economica.
IL RUOLO DELLA DONNA NELLA CULTURA TIBETANA
Si parla di culture di tradizione tibetana,
quindi di popolazioni che vivono sia a
nord sia a sud della catena himalayana,
vale a dire rispettivamente di tibetani
veri e propri e di Sherpa.
In queste società la donna ha un ruolo
importante, sicuramente superiore a
quello che occupa nella famiglia indù,
per non parlare delle popolazioni di
religione musulmana.
Tuttavia ci sono profonde differenze
all'interno della famiglia. La padrona di
casa, la “drongpa ama” delle valli
himalayane, ricorda la figura della
matriarca delle famiglie delle nostre Alpi:
è quella che tiene la cassa, che
distribuisce i ruoli e i compiti. La nuora
(le figlie in genere vanno spose altrove),
invece, è la serva per tutti, ma diventerà
a sua volta padrona.
LA VITA DELLE DONNE IN MYANMAR E L'AZIONE DEL
SOCIAL ACTION FOR WOMEN
In tutta la storia del Myanmar (ex
Birmania) le donne e, in particolare,
quelle appartenenti alle popolazioni
tribali Karen, Shan e Hmong,
subiscono da sempre la
discriminazione da parte di una società
che tende a denigrare la donna e
considerarne inferiore il ruolo.
La discriminazione di genere ha dirette
influenze sul diritto delle donne ad
esprimere i propri legittimi interessi in
questioni di carattere politico-sociale;
infatti, nonostante la popolazione
femminile occupi il 40% dei posti di
lavoro, solo a pochissime donne è
concesso ricoprire incarichi di potere
nel governo.
VIETNAM: DONNE E SCRITTURA
Le donne scrittrici in Vietnam non piacciono ai
leader di partito né agli uomini di lettere che le
accusano di scrivere in modo sterile, distruttivo,
provocatorio. Sono scontrose, dure, caparbie sino
all'ossessione. Si definiscono “voci fuori dal coro”,
negano l'esistenza di una "letteratura di genere" e
non intendono essere assimilate al gruppo degli
scrittori contemporanei.
Non lottano per affermare i diritti delle donne ma
“per difendere la propria solitudine di scrittrici,
donne, cittadine e, come nel caso di Duong Thu
Huong, comuniste”. Huong è diventata un
personaggio a sé stante nel panorama della
letteratura vietnamita contemporanea, innanzitutto
per via della sua esperienza di combattente (nel
pieno del conflitto anti-americano scelse
deliberatamente di partecipare alla lotta nella zona
del 17° parallelo, teatro delle più cruente operazioni
di guerra e di massicci bombardamenti); agli occhi
dei burocrati, è un personaggio scomodo poiché
denuncia senza mezzi termini il degrado morale
all'interno della classe dirigente del Paese.
COOPERAZIONE
ITALIA- ALBANIA PER LA
NASCITA DEL CENTRO
DONNA “PASSI LEGGERI”
La fine del regime ha voluto dire anche la fine del
lavoro per tutti, uomini e donne. Le donne però hanno
pagato il prezzo più alto e oggi molte di loro sono
disoccupate o sotto-occupate nelle tante fabbriche
aperte da stranieri dove lavorano in assenza di diritti e
tutela.
La cultura patriarcale, che a Scutari più che in altre
parti dell'Albania domina sicura di sé e dei propri
privilegi, alle donne non riconosce spazi, potere, voce
ed invece riconosce agli uomini, che la detengono, il
potere di esercitare su di loro violenza e dominio.
Ed è stata proprio l'assenza di spazi che ha spinto un
gruppo di giovani donne, supportate da donne italiane,
impegnate da anni nella difesa dei diritti delle donne in
luoghi difficili, e da donne albanesi attive nel
movimento femminile, a mettersi insieme e creare
nell'aprile 2001 un Centro Donna nella città.
Lo hanno voluto chiamare Centro Donna "Passi
Leggeri". Un augurio per un futuro in cui le donne
possano procedere nella loro vita a Scutari con meno
fardelli, meno fatica e con “passi leggeri”.
Il Centro Donna "Passi Leggeri" nasce come spazio
per le donne in una città in cui le donne non hanno
spazi, nasce come luogo di elaborazione e
realizzazione di azioni di sviluppo e cambiamento per
le donne e per le comunità di appartenenza, nasce
con l'obiettivo di costruire nella città una presenza
forte e organizzata delle donne che, rispetto al
processo di democratizzazione in corso, possa
esprimere la sua voce.
LA LOTTA DI HAWA ADEN MOHAMED PER L'EMANCIPAZIONE E
L'ISTRUZIONE DELLE DONNE IN SOMALIA
Hawa Aden nasce a Baidoa in Somalia e a
10 anni non era mai stata tra i banchi di
scuola perché i lavori domestici la
impegnavano tutto il giorno e secondo la
sua famiglia e la sua comunità l'educazione
e l'istruzione per una bambina non erano
considerate importanti.
Hawa con l'aiuto economico di suo fratello
riesce ad andare a scuola e intraprende gli
studi fino alla laurea.
Da quel momento Hawa si dedica
all'insegnamento e a molto altro ancora in
favore delle donne.
Nell'agosto del 1999 fonda un Centro
d'Istruzione Femminile per la Pace e lo
Sviluppo (GECPD - Galkayo Educational
Center for Peace and Development) a
Galkayo nel Puntland in Somalia.
Esso ha come obiettivi fondamentali quelli
di proteggere il benessere fisico, psichico e
sociale delle donne, rafforzando la capacità
di difendere e promuovere il loro accesso
all'educazione di base e servizi sanitari,
all’ aumento delle risorse economiche e
alla partecipazione all'attività politica.
MAROCCO: TANTE LE “DONNE IN MOVIMENTO”
Nei comportamenti quotidiani e nei rapporti tra i sessi, le donne sono più avanti delle
leggi che quei comportamenti e relazioni regolamentano. La legge principale che li
regolamenta è una legge dello Stato e si chiama "Moudawana" o codice di famiglia.
Questa legge, voluta dal re Mohamed V, è lo specchio fedele della visione maschile
del ruolo della donna nella famiglia e nella società, una legge contro la quale le
donne oggi si battono. Nelle principali città, a partire da Casablanca, vi sono molte
organizzazioni femminili che agiscono attivamente per proporre e far approvare le
riforme necessarie.
Alcune organizzazioni sostengono che l'unica via praticabile per arrivare alle riforme
è partire dalla religione e dalla tradizione per avviare un processo lento ma
condiviso di trasformazioni, altre, invece, sostengono una visione laica della lotta e
dello Stato e non giudicano necessario un confronto con l'aspetto religioso che
viene quindi considerato una faccenda privata individuale. Ma tutte concordano sul
fatto che la donna deve uscire dalla sua condizione attuale di eterna minorenne, alla
quale bisogna accordare i diritti con il contagocce. Alcuni passi in avanti sono stati
fatti, nel segno di un riconoscimento di dignità che prima era negato. Ad esempio
non esiste più la necessità di chiedere il permesso del coniuge per avere un
contratto di lavoro, oppure è stato imposto l'obbligo al marito di informare la moglie
nel caso egli decida di prendere una seconda moglie.
I fronti sui quali le donne devono combattere sono molti: la lotta all'analfabetismo e il
diritto alla salute trovano tutti d'accordo. In alcune zone rurali l'analfabetismo fra le
donne tocca livelli altissimi (80%) e solo a fatica i padri accettano di mandare a
scuola le bambine. In quel territorio le donne, per imparare a leggere e scrivere,
devono vincere una prima battaglia in famiglia: la resistenza da parte dei padri,
fratelli, mariti che non vedono la necessità della loro istruzione.
ESSERE DONNA NELLA REALTA’ NICARAGUENSE
Poco si parla di questo Paese e quando
se ne parla, si dice poco delle sue donne.
Donne poetesse, donne rivoluzionarie,
donne che da decenni ormai si
organizzano e riescono a creare reti di
denuncia, di solidarietà, di costruzione di
una società e di una cultura differenti.
Seconda economia più povera
dell'America Latina dopo Haiti, il
Nicaragua non riesce a godere delle
risorse e meraviglie naturali che possiede
ma, se il contesto del Paese è fragile, la
situazione delle donne nicaraguensi è
ancor più fragile, a causa di una pratica e
di una cultura di discriminazione e
sfruttamento maschilista.
Le entrate individuali delle donne
raggiungono a malapena il 40% di quelle
ottenute dagli uomini ed è limitata la
possibilità di accesso agli incarichi
direttivi, sia nel settore pubblico che in
quello privato. La maggior parte delle
donne trova impiego nel lavoro informale:
domestiche, venditrici ambulanti, cuoche
senza nessuna sicurezza, nessun tipo di
assicurazione, nessun riconoscimento per
la maternità.
LA LOTTA DELLE DONNE IN BRASILE
Le prime grandi battaglie delle donne brasiliane si sono svolte nel Novecento e sono state quelle
per l'educazione e per il voto. Nei primi decenni del xx secolo le ragazze iniziano a ricevere
un'istruzione e all'inizio svolgono i propri studi in casa; nello stesso periodo cominciano a diffondersi
pubblicazioni che hanno donne come autrici e destinatarie.
Solo negli anni Settanta, però, le donne riescono ad accedere all'Università e oggi il loro numero è
maggiore di quello dei maschi sia tra gli iscritti che tra i laureati. Nel 1932, le donne votano per la
prima volta in Brasile; questo avviene nello stato federale del Rio Grande do Norte, ma in poco
tempo il diritto di voto sarà assicurato alle donne in tutto il paese.
La possibilità di votare, di esprimersi politicamente e di influenzare le scelte di governo aiuta le
donne ad organizzarsi. Tra il 1950 e il 1960 compaiono le prime associazioni femminili e negli anni
Settanta si comincia a parlare di femminismo. Il movimento prende mossa dall'azione delle mogli
degli intellettuali perseguitati e obbligati all'esilio nel periodo della dittatura; costrette a fuggire dal
Brasile, vengono a contatto con le idee che si diffondono in Europa e nell'America del Nord. Il
risultato della riflessione femminile nata da questo confronto è la constatazione che, nonostante
tutto, la politica non si occupa delle donne e che anche la democrazia non è sufficiente a
trasformarle in soggetti di primo piano, attivi e protagonisti.
A partire da questa consapevolezza il movimento si sviluppa in una pluralità di direzioni ed affronta
un insieme vasto di problemi, tanto che oggi, in Brasile, si parla di “feminismos”, al plurale: ci sono
tante organizzazioni che si occupano dei temi più sentiti nell'ambiente da cui provengono le donne;
alcuni gruppi lavorano in ambito strettamente politico, altri in quello sindacale, altri ancora si battono
per i diritti delle donne di colore e per quelli delle donne omosessuali.
GIAPPONE: “IL TRONO HA UN’EREDE, MA …”
In Giappone, il trono ha un’erede, ma è una femmina! La legge ammette solo una linea di
discendenza maschile.
In base alla legge salica, infatti, in vigore da quasi 150 anni, il secondo nella linea di successione
rimane - dopo il principe ereditario Naruhito - il fratello minore principe Akishino, sposato dal 1990
con la principessa Kiko e padre anch'egli di due bambine.
Sembrava prendessero sempre più vigore le spinte verso una revisione della legge salica per
consentire alle donne la successione al Trono, come già avvenuto otto volte negli oltre 1.500 anni
della dinastia imperiale storicamente accertati, quando è arrivata la notizia ...
La principessa Kiko: futura mamma di un agognato
maschietto?
Tokyo, 8 agosto 2006 - La principessa Kiko, incinta
probabilmente di un agognato maschietto per il trono
del Giappone, partorirà intorno al 6 settembre. Lo ha
riferito l'emittente pubblica 'Nhk'.
Per Kiko, 39 anni, consorte del principe Akishino, figlio
minore dell'imperatore Akihito, è stato deciso un parto
cesareo a seguito di complicazioni emerse durante la
gravidanza.
È’ dal 1965 che non nasce un maschio nella famiglia
reale giapponese e la possibilità che la principessa
Kiko partorisca un maschio ha sospeso il
progetto di revisione della Costituzione del 1947,
che riconoscerebbe anche alle femmine il diritto
alla successione al trono dato che Naruhito, il
principe ereditario, ha avuto una figlia.
La principessa Kiko partorisce un
maschio
6 settembre 2006
Il Giappone in festa per
l'erede imperiale.
“La dinastia imperiale
giapponese, il più
antico casato regnante
del mondo, è salva.”
FINE DEL “VIAGGIO”
Al suo posto noi non lo faremmo, ma dopo aver
compiuto questo “viaggio” ci rendiamo conto che la
principessina giapponese Aiko potrebbe esclamare, un
giorno, la stessa frase scritta dalla donna in uno stupa
buddista nel lontano 400 d.C., già ricordata:
“…ti prego fammi rinascere uomo nella
prossima vita.”
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