Il cinema russo - Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale
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Il cinema russo - Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale
Il cinema russo Prof. Giovambattista Fatelli >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Un divertimento inutile La cinematografia è «un divertimento sciocco, senza utilità per nessuno, e anche pericoloso. Solo un anormale può mettere quel mestiere da baraccone sullo stesso livello dell’arte. Sono sciocchezze insignificanti a cui non bisogna attribuire importanza alcuna». Lo Zar Nicola II >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Un’arma rivoluzionaria Lo sviluppo lento e subalterno del cinema russo viene sconvolto dalla spinta della rivoluzione socialista, che conduce un’intera generazione di giovani cineasti, innamorati delle avanguardie artistiche, soprattutto del futurismo italiano, a progettare un cinema che incarni i nuovi ideali di libertà e di rinnovamento. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Futurismo L’influenza futurista e la sete di novità investono tutti i campi: Malevič dipinge forme geometriche e uomini come automi meccanici mentre Mejerchol’d porta in teatro la «biomeccanica». >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Futurismo Tatlin progetta città come «macchine vive», mentre Majakovskij celebra la «rivolta degli oggetti». Modello del monumento alla III Internazionale (Vladimir Tatlin, 1920) >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Futurismo E. Lisickij, Con il cuneo rosso colpisci i bianchi, 1919 La passione per le macchine instilla in questa nuova generazione un’estetica fondata sulla velocità, sul movimento, sulla ripetizione e sulla geometria, che rompe con la tradizione, ma non per «estetizzare» la vita o assecondare i «meravigliosi capricci» della modernità, bensì per rinnovare tutto e creare un’arte nuova per una vita nuova. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Cultura e politica La liberazione di tutte le forze intellettuali e creative del paese lega indissolubilmente i progressi politici a quelli culturali: la LEF del Fronte Popolare delle Arti e il Proletkult di Mosca diventano il fulcro delle nuove forme di scrittura, di pittura e delle altre arti, contrapponendosi alla narrazione e alla figuratività tradizionali. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Festa Il cinema è un’arte giovane, versatile, veloce, che, come in Francia, catalizza lo slancio delle avanguardie; un atleta, un «gigante», secondo Majakovskij, che il capitalismo può corrompere con una manciata d’oro, con riferimento alla tendenza commerciale del cinema narrativo americano. Gli autori sovietici rifiutano compatti lo spettacolo tradizionale e condividono un’idea di cinema come «festa» in cui lo spettatore partecipa e viene di continuo stimolato dai cambiamenti e dalle nuove invenzioni. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Scrisse nell'ottobre 1922 (sulla rivista Kino-foto): "Per voi il cinema è spettacolo. Per me è quasi concezione del mondo. Il cinema è apportatore di movimento. Il cinema è rinnovatore delle letterature. Il cinema è distruttore delle estetiche. Il cinema è audacia. Il cinema è uno sportivo. Il cinema è diffusore di idee. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Ma il cinema è infermo. Il capitalismo ha offuscato i suoi occhi, riempiendoli d'oro. Abili imprenditori lo guidano per la manica lungo le strade. Ammucchiano denaro, smuovendo i cuori con soggetti piagnucolosi. Ciò deve finire. Il comunismo deve sottrarre il cinema ai guardiani che lo sfruttano. Il futurismo deve farne evaporare l'acqua stagnante della lentezze e della morale. Senza di questo noi avremo o la "cecetka" importata dall'America o nient'altro che gli "occhi con lacrima" dei Mozuchin. La prima cosa è venuta a noia. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Protazanov >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Montaggio Dura Lex (Lev Kulešov,1926) Anche per i registi sovietici, che cominciano subito a occuparsi della teoria oltre che della pratica, il ragionamento sulla peculiarità che distingue il cinema dalle altre arti, porta a individuare lo «specifico» del film nella potenza esplosiva del montaggio, cioè la struttura costruita dall’incastro di immagini che di per sé non avrebbero nessun valore. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Effetto Kulešov Nel 1918 il regista Lev Vladimirovič Kulešov, convinto assertore dell’importanza del montaggio nella definizione del cinema, effettua un curioso esperimento per determinare il senso e la funzione dell’inquadratura nel contesto della sequenza montata. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Effetto Kulešov Da un vecchio film del periodo zarista sceglie un primo piano del protagonista, abbastanza inespressivo, e ne stampa tre copie uguali; poi affianca a ciascuna di esse altri tre piani, uno diverso dall’altro. Nel primo si vede una scodella di zuppa su un tavolo, nel secondo un cadavere disteso di bimbo, nel terzo una giovane donna adagiata su un divano. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Effetto Kulešov Agli spettatori cui viene proposto il filmato viene chiesto di valutare l’espressione del personaggio ed essi affermano che nel primo caso gli occhi dell’uomo rivelano un senso di fame, nel secondo una profonda tristezza e nel terzo una grande eccitazione. Tutti sono d’accordo poi nell’attribuire all’attore un talento notevole. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Effetto Kulešov Con questo esperimento Kulešov dimostra che un piano isolato non ha nessun senso preciso, ma lo assume in relazione a ciò che lo segue o lo precede. Il senso è generato perciò dall’insieme e non dalla singola inquadratura e nasce nella mente dello spettatore, che tenta costantemente di stabilire un legame logico tra due inquadrature che si succedono, ma non per questo hanno necessariamente un legame diretto. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Effetto Kulešov La potenzialità più grande del montaggio narrativo è quella di poter sfruttare questo impulso per creare associazioni nuove, anche arbitrarie, e guidare così lo spettatore nel suo «lavoro». >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Formalismo In un panorama di grande fermento intellettuale, orfano di tutte le certezze che avevano spronato l’Ottocento, le forme espressive insorgenti, siano o no subito etichettate come arte, attirano l’attenzione di registi e studiosi alla ricerca dei nuovi statuti, sia pur provvisori, della modernità. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Aleksandr Rodcenko, manifesto di propaganda del libro, 1924 Anatolij Vasil'evič Lunačarskij (1875-1933) Il governo sovietico, aperto a forme di rinnovamento radicale, favorisce questo clima, grazie anche alla sensibilità di Anatolij Lunačarskij, intellettuale cosmopolita che, come Commissario del popolo all’istruzione, concede ampi spazi di libertà all’esperienza dell’«Ottobre delle arti». >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Formalismo Il contributo più notevole all’evoluzione del discorso teorico sul cinema proviene però, al di là del fermento scatenato dalle avanguardie dentro e fuori l’Ottobre delle arti, dal movimento letterario designato, con intenzione denigratoria, «Formalismo». Kazimir Malevich, Supremus -58, 1916 >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Formalismo Nell’ambito di una tendenza generale a cercare spiegazioni entro una dimensione sistemica e strutturale anziché individuale e spiritualistica, per quanto concerne l’arte anche la critica letteraria si allontana sempre più dall’interpretazione contenutistica e dalla dimensione sociale e metatestuale per individuare una più cruda oggettività all’interno dell’opera stessa, nella sua struttura, ossia nelle relazioni fra i materiali che la compongono. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Formalismo Il «formalismo» si concentra perciò sull’aspetto formale dell’opera letteraria, sulla organizzazione del sistema linguistico e sulle «particolarità specifiche dell’arte verbale», come sottolinea Ejchenbaum ne La teoria del metodo formale (1927). I «formalisti» studiano i fenomeni letterari come gli esiti di un’attività «poietica» che possiede leggi proprie, risultando in tal modo suscettibili di un’analisi del tutto «immanente». >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Formalismo Il postulato di una sostanziale indipendenza della letteratura da fattori esterni (la vita sociale o la psicologia dell’autore) stimola intriganti assonanze con un cinema proteso a scalzare il dominio del contenuto per trovare le sue radici linguistiche. L’interesse del formalismo verso il cinema si traduce in un coinvolgimento intellettuale sorretto dalla convinzione che l’analisi «scientifica» del linguaggio letterario e di quello cinematografico possa giovarsi degli stessi strumenti. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Formalismo Ma si traduce anche in una rete di rapporti fra intellettuali e registi. Šklovskij collabora con Kulešov e propone riflessioni affini a quelle di Ejzenštejn. L’essenziale funzione semantica del montaggio, il carattere antinaturalistico del cinema, la scoperta e la denuncia del procedimento, lo «straniamento» come mezzo per evidenziare la percezione dell’oggetto attraversano le elaborazioni di Šklovskij, Tynjanov ed Ejchenbaum; mentre l’elogio della oggettività dei fatti tessuto da Osip M. Brik, contro la loro rielaborazione artistica, appare molto vicino alla Kinopravda di Vertov. Osip Brik, 1924 >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Il montaggio Il tema del montaggio assume un ruolo centrale nel dibattito sovietico perché è il punto di giunzione fra il desiderio di scoprire le leggi del linguaggio cinematografico e la volontà di utilizzare il film come strumento di intervento nel quadro di un’azione politica tesa alla mobilitazione sociale. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Il montaggio Il suo studio consente infatti di chiarire le dinamiche espressive ma anche di far emergere riflessioni più ampie come i processi di manipolazione che intervengono nella costruzione del film; un uso consapevole del montaggio consente di andare oltre la semplice «registrazione» dei fatti e di far emergere il lato interpretativo, rivelandosi un mezzo efficace per la mobilitazione delle coscienze e per l’intervento sulle cose. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Vertov Anche per Dziga Vertov il montaggio è molto importante: permette di frugare nella realtà, scomponendola in tanti pezzi, e poi di riunire i frammenti nella «costruzione» del film. Ma non si tratta solo una tecnica di lavoro o un esercizio stilistico: già a partire dal primo manifesto, elaborato nel 1922, il regista definisce il montaggio la strada principale attraverso cui si procede a una «organizzazione del mondo visibile». >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Vertov Grazie al montaggio, cioè, il cinema è capace di rileggere e trascrivere la realtà e di interpretarne i processi attraverso un ordinamento delle immagini in cui si introduce un punto di vista ideologicamente e politicamente condizionato. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Vertov Per costruire correttamente questo «punto di vista comunista sulla realtà», solo in apparenza vicino alle posizioni del «cinema puro», occorre liberarsi dei procedimenti formali di trascrizione della realtà con cui la borghesia continua a mistificare il cinema attraverso le più consuete istanze romanzesche o teatrali. Vertov insiste molto su questo punto e sulla rinuncia ad ogni copertura “artistica”: viaggia sui treni della rivoluzione, vuole un cinema non-recitato, considera l’arte un diletto borghese, un gioco di prestigio da respingere «alla periferia della coscienza». >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Vertov La fiducia di Vertov nella potenza del cinema - uno strumento capace di asservire le classi subalterne alienando il pubblico – lo induce ad attaccare ancor più duramente la tradizione narrativa classica del cinema spettacolare («Il cine-dramma è l’oppio dei popoli») che egli, con una concezione radicale e sovversiva per l’epoca, intende sostituire con una «fabbrica di fatti», un cinema costruito tramite immagini-fatto, dedito a «cogliere la vita alla sprovvista», un cinema che propone la percezione del mondo in quanto tale, contro ogni spettacolo. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Vertov Il cinema e la vita sono ben altro: «È la vita stessa che noi poniamo al centro della ricerca e del lavoro. (…) Al posto dei doppioni della vita (rappresentazioni teatrali, cinedrammi) noi introduciamo nella coscienza dei lavoratori, i fatti, grandi o piccoli, selezionati accuratamente, fissati e organizzati. Fatti presi dalla vita dei lavoratori stessi e da quella dei loro nemici di classe». «L’essenziale del Kinoglaz», in D. Vertov, L’occhio della rivoluzione, p. 85. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Vertov Questa idea di cinema confluisce ne Il Cineocchio (Kinoglaz, 1924), un film documentario girato a Mosca e dintorni che raccoglie brevi episodi sulla vita in Unione Sovietica, in cui Vertov elabora diversi modi di organizzazione del visibile, mostrando la realtà scomposta in molteplici segmenti, utilizzando proiezioni all’indietro, ralenti, angoli di ripresa anomali in un insieme dal tono marcatamente sperimentale. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Vertov Vertov esalta le potenzialità dello sguardo meccanico e della macchina da presa «Punto di partenza: l’uso della macchina da presa come cineocchio molto più perfetto dell’occhio umano, per esplorare il caos dei fenomeni visivi che pervadono lo spazio». La struttura meccanica ha capacità superiori a quella dell’uomo. «Io sono il cineocchio, io creo un uomo più perfetto di quello creato da Adamo». >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Vertov Il montaggio gioca un ruolo decisivo nella «riorganizzazione» del «mondo visibile», attraverso una pratica di revisione della realtà oggettiva e di strutturazione interpretativa dei fenomeni. Per Vertov infatti il montaggio non è un mezzo per comporre le inquadrature in un progetto comunicativo articolato su una sceneggiatura, ma è la totalità del processo di realizzazione di un film: «Il cineocchio: è io monto quando scelgo il soggetto [...] io monto quando osservo l’oggetto [...] io monto quando stabilisco l’ordine di successione del formato sull’oggetto». >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Vertov Ogni cosa che agli occhi del quotidiano appare scontata e banale può diventare qualcosa di nuovo, estraneo e impensato, se vista con l’occhio del cinema e del montaggio, che crea sequenze «poetiche» e riformula la percezione dello spazio urbano. L’uso del montaggio quindi trasforma il cinema in un vero e proprio «cine-occhio», un «occhio armato di cinepresa», che consente finalmente l’oggettivazione del punto di vista del proletariato e la riappropriazione visiva della realtà. Il Kinoglaz è «Decifrazione della vita così com’è. Incidenza dei fatti sulla coscienza del lavoratore». Parola di Vertov. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> L’uomo con la macchina da presa Ne L’uomo con la macchina da presa (1929), uno dei picchi del cinema sovietico, Vertov filma una giornata nella città di Mosca, la demolisce in tante sequenze e la ricrea come organismo vivo e pulsante. Non c’è alcun intento narrativo, ma neppure quello didattico di un documentario. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> L’uomo con la macchina da presa Si tratta di un tessuto di immagini che genera poesia visiva, con l’uso di numerosi espedienti retorici: similitudini e metafore (il risveglio di una donna e quello della città), e ossimori come il funerale montato con una scena di parto. Il regista non ha intenzione di mostrare il mondo mediante il cinema, ma di usare il mondo per esibire le potenzialità del cinema. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Ejzenštejn È tuttavia Sergej Michajlovič Ėjzenštejn il regista che con maggiore intensità s’interroga sulle funzioni politico-ideologiche del cinema affiancando all’attività di cineasta un imponente lavoro teorico che prosegue ininterrotto dagli anni Venti fino alla morte (1948) e si presenta come una delle vette dell’estetica del Novecento. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Ejzenštejn Se Vertov punta a costruire una cinematografia comunista sulla base di una «trascrizione materialista» della realtà e della partecipazione diretta della classe proletaria alla produzione cinematografica, Ejzenštejn s’interroga invece sulla possibilità effettiva di formulare un messaggio ideologico, o meglio ancora sulla possibilità del cinema di essere momento di partecipazione e strumento di conoscenza della realtà. Non basta pertanto adottare uno sguardo «rivoluzionario» rispetto a quello «borghese», ma occorre indagare il fondamento, la struttura e l’oggetto dello sguardo cinematografico. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Formalismo È possibile schematizzare l’elaborazione teorica di Ejzenštejn in quattro grandi nuclei, a cominciare dall’importanza attribuita ai «procedimenti formali» del cinema, che non rappresentano solo un «ornamento» dell’espressione, bensì la struttura logica dell’opera, che risulta essenziale per definire l’identità di un film. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Organismo dinamico Il secondo nucleo si sviluppa sulla contrapposizione alla dimensione «statica» e sistematica di quella «dinamica» e processuale. All’idea di opera come «struttura», si aggiunge quella di «organismo», che invita a cogliere non solo la composizione ma anche lo sviluppo, secondo la tradizione romantico-simbolista. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Globalismo Il terzo nucleo è la costante omologia tra formazione del pensiero, funzionamento dell’opera, e andamento del reale, che porta Ejzenštejn ad accostare le forme espressive e i fenomeni culturali più diversi, allargando sistematicamente il campo in vista dell’elaborazione di una teoria di taglio globale, che includa il divenire del mondo e la formazione delle conoscenze. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Raffigurabilità Il quarto nucleo è la tensione verso l’alterità. L’opera non solo è il luogo in cui il senso «abita», ma anche il luogo in cui il senso sorge ed è pronto a perdersi: dunque la raffigurabilità confina costantemente con l’irrappresentabile e l’irrappresentato, così come l’intellegibile con l’enigma e l’essenza con il vuoto. Ciò porta l’operare artistico a farsi esperienza del limite e la teoria a farsi domanda sempre aperta. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Montaggio delle attrazioni La riflessione di Ejzenštejn, articolata su questi quattro nodi fondamentali prende le mosse dal concetto di montaggio, che è al centro delle sue preoccupazioni teoriche dai primi anni Venti fino alla fine degli anni Trenta. Dopo aver lavorato in teatro con Mejerhol’d, Ėjzenštejn formula nel 1923 la teoria delle attrazioni, che trasferisce l’anno successivo nel suo lavoro sotto forma di «montaggio delle attrazioni». >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Montaggio delle attrazioni Nel «montaggio delle attrazioni» Ejzenstejn - convinto che il montaggio sia “conflitto” e che le inquadrature non vanno legate per accumulazione e omogeneità, ma per contrasto (il montaggio è «un pensiero che trae origine dallo scontro di due pezzi, indipendenti l’uno dall’altro») - ipotizza combinazioni che si traducono in «ogni momento aggressivo dello spettacolo capace di provocare una reazione psico-sensoriale nello spettatore in vista di una finale conclusione ideologica». >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Sciopero Nel suo primo lungometraggio (Sciopero!, proiettato a Leningrado il 1º febbraio 1925) Ejzenštejn applica per la prima volta questa «figura retorica cinematografica» accostando il fatto narrato (gli operai falcidiati da parte della polizia) a un altro fatto (in questo caso un bue squartato al mattatoio) che mescola l’analogia simbolica con lo shock visivo. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Sciopero Attraverso il montaggio Ejzenštejn mette quindi in contatto il piano narrativo/documentario e la rielaborazione simbolica della realtà con l’intento di scuotere il torpore dell’assorbimento passivo della storia, sollecitare l’immaginazione dello spettatore e indurlo a lavorare con l’intelletto per completare il senso delle figure e delle azioni mostrate solo parzialmente, producendo un orientamento emotivo complesso e nuove associazioni di idee. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Sciopero Nel film il regista monta pezzi brevissimi, inquadrature spesso strane o incongruenti, ma dure e violente, in modo da rendere il clima concitato dell’evento raffigurato. Il «montaggio delle attrazioni» è disordinato, incompleto, scomposto e lo spettatore deve fare uno sforzo attivo per ricomporre il senso della storia e dei personaggi. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Montaggio intellettuale Gli aspetti tecnici e materiali prevalgono quindi su quelli legati alla costruzione dell’intreccio narrativo, in base a una concezione dell’arte come esperienza estetica fine a se stessa che tende a defamiliarizzare lo spettatore con la realtà che lo circonda e che produce anche le teorie del «montaggio intellettuale». >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> In un’epoca in cui fare cinema significa anche pensarlo, in cui la dimensione pratica e quella teorica si sostengono a vicenda, la posizione di Ejzenstejn entra subito in collisione con il punto di vista di Vertov, soprattutto per quanto attiene l’atteggiamento con cui ci si deve porre di fronte alla realtà che viene filmata. Ne scaturisce un’aspra dialettica che delinea la differenza tra un cinema basato sul “fatto” e sulla “documentazione” e un cinema che “riproduce” la realtà attraverso la “rappresentazione”. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Sinfonia del Donbassa/Entusiasmo (Vertov, 1931) Mentre Vertov rifiuta radicalmente le forme consuete di «rappresentazione» della realtà, occultata dietro schemi desueti, la concezione del montaggio di Ejzenstejn, sia pur caratterizzata dall’urto degli elementi, mantiene comunque un contatto con le forme tradizionali poiché traduce il lavoro in un’«opera». Vertov invece non sembra mirare alla realizzazione di uno specifico film, ma all’utopica costruzione di una infinita cine-cronaca, un flusso continuo senza altro obiettivo che quello di formare la coscienza rivoluzionaria del proletariato. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> «Per Vertov, “riproduttivo” è proprio il cinema di finzione, che va respinto e combattuto perché il suo modo di rappresentazione non è originario ma derivato, non si fonda sull’autonomia formale e costruttiva del nuovo strumento tecnico ma dipende da altre forme – il teatro, le arti figurative e la letteratura – di cui si limita a riprodurre parassitariamente i modi di rappresentazione». >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> Pietro Montani 4 >> L’avversione di Vertov verso il cinema d’intrattenimento europeo e americano si riversa anche su Ejzenstejn, accusato di spendere troppo e di piegare le forme sperimentali, nel film Sciopero, alle esigenze della rappresentazione proprie del «teatro degli stupidi»; prende perciò le distanze dalla «materia attoriale con cui è costruito il film, tutti i suoi momenti teatrali e circensi, tutte le deviazioni artistiche, alte o decadenti, le sue pose tragiche (quand’anche tagliate con le cesoie) di “muta sacralità”». «Kinoglaz a proposito di Sciopero», p. 86 >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Ejzenstejn di rimando reputa arcaico il montaggio come atto di “critica” scientifica e consapevolezza politica e definisce Vertov un primitivo alle prese con un cinema «ornamentale», taccia i Kinoki di mera “contemplazione” mentre lui si propone di usare le immagini come con un pugno per colpire lo spettatore. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Cine-pugno «Il cine-occhio» afferma Ejzenstejn «non è solo il simbolo di un modo di vedere, ma anche di un modo di contemplare. Ma noi non dobbiamo contemplare, dobbiamo fare. Non abbiamo bisogno di un «cineocchio», ma di un «cine-pugno». Il cinema sovietico deve penetrare nei crani!» Un approccio materialistico alla forma cinematografica, 1925 >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Il montaggio delle attrazioni viene di nuovo sperimentato nel film successivo, La corazzata Potemkin, presentato al teatro Bol’šoj il 21 dicembre 1925 e proiettato in pubblico un mese dopo. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Il pubblico viene subito abituato a pensare al montaggio come una giunzione d’immagini già vicine in senso spaziale o cronologico e a vedere segnalata da apposite convenzioni ogni interruzione di questa continuità. Ejzsenstejn rifiuta questo paradigma e interpreta il montaggio come un surplus di significato che l’associazione di due immagini può creare rispetto alla presentazione di una singola inquadratura. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Su questa visione agiscono considerazioni ritmiche, pittoriche e linguistiche che portano a tentativi curiosi come quello di rappresentare l’eco delle cannonate nel Palazzo d’Inverno tramite inquadrature dei suoi corridoi deserti (Ottobre), a exploit retorici come l’intervallare immagini di mucche al macello a quelle delle cariche della polizia zarista sui manifestanti (Sciopero) ma anche a sequenze di più tradizionale pathos drammatico come la celebre mattanza sulla scalinata di Odessa (La corazzata Potemkin). >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Pudovkin Un terzo polo di riflessione è costituito dall’approccio teorico di Vsevolod Illarionovič Pudovkin, allievo di Kulešov, che individua nel montaggio lo «specifico filmico», cioè l’elemento peculiare dell’arte cinematografica, ma lo riconduce senza difficoltà dentro una più lineare ortodossia politica. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Pudovkin Il montaggio non è qui il principio in base intorno a cui si organizza il «mondo visibile», o il meccanismo che traduce nell’intelletto la dialettica materialista, ma un semplice procedimento linguistico, un modo efficace per organizzare il discorso del film. Gli scritti di Pudovkin sul montaggio e la regia riflettono infatti sulla funzione narrativa del montaggio, inteso come successione di elementi omogenei (accumulati come tanti “mattoni”, secondo la versione polemica di Ejzenstejn) destinati ad arricchire il racconto con inserti analogici e comparativi. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Pudovkin Pur non perdendo necessariamente il carattere estetico, qui il montaggio ricopre la funzione compositiva di «impaginare» il racconto per valorizzarne le possibilità espressive, nella convinzione che la «costruzione» in fase di montaggio può rendere meglio il senso di ciò che accade (l’esplosione di una bomba, ad esempio si capisce meglio mostrando immagini frammentarie di sassi, polvere, luci, ombre, ecc.). . >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Pudovkin Con Pudovkin anche gli errori di raccordo acquistano dignità e valenza sovversiva: una persona che esce dall’inquadratura a destra e in quella successiva invece di rientrare da sinistra lo fa dallo stesso lato, può produrre un effetto originale, così come le ripetizioni possono creare un esito simile alle variazioni musicali. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Pudovkin Si tratta quindi di un «montaggio narrativo», usato nel quadro di un’epica costruita e organizzata attorno al modello della presa di coscienza di personaggi popolari che sviluppa una struttura realistico-descrittiva funzionale al messaggio politico/ideologico. Film come La Madre (1926), Tempeste sull’Asia (1928), La fine di San Pietroburgo (1927) ricorrono spesso a soluzioni di montaggio analogico e metaforico (ne La madre un fiume in piena simboleggia la collera rivoluzionaria). >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Poetika kino Nel 1927 Boris Michajlovic Ejchenbaum, autorevole esponente dell’Opojaz, (la «Società per lo studio del linguaggio poetico», attiva dal 1917 come uno dei gangli vitali della scuola formalista) cura un saggio a più voci intitolato Poetika kino (Poetica del cinema) che costituisce il prodotto più rilevante della riflessione formalista sul cinema e riunisce i contributi di studiosi di letteratura e operatoti cinematografici. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Poetika kino Al di là dell’eterogeneità dei saggi (non esiste una vera e propria teoria cinematografica accreditabile alla scuola formale), il volume presuppone un’idea di testo cinematografico largamente condivisa e caratterizzante, anche in rapporto alla comprensione dei fenomeni letterari propria del formalismo. Per capire i contributi del formalismo alla definizione concreta del fatto cinematografico occorre prestare attenzione a questa più ampia considerazione del testo artistico. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> I Fondamenti del cinema Tynjanov parte da un semplice presupposto: la riproduzione cinematografica della realtà visibile è piena di manchevolezze (bidimensionalità, assenza del suono e del colore ecc.), ma proprio in questa sua «povertà» (bednost) risiedono la sua forza e il suo «principio costruttivo». >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Antinaturalismo Se l’immagine cinematografica fosse percepita come una copia del mondo reale, il cinema non avrebbe alcuna speranza di rendersi formalmente autonomo e, di conseguenza, gli sarebbe inibita ogni elaborazione semantica e stilistica. Per contro, l'arte del cinema comincia nel momento stesso in cui l’immagine dichiara la sua emancipazione dalla base riproduttiva e trasforma le sue carenze illusionistiche in opportunità costruttive. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Mondo visibile Grazie alla sua «povertà», il cinema lavora con un materiale che ha più del segno convenzionale che non dell'immagine analogica, rendendosi idoneo, in tal modo, a configurare un vero e proprio discorso. Qual è allora - si chiede Tynjanov - il «protagonista» del cinema? Non «l’uomo visibile» o «l’oggetto visibile», come ritiene Béla Balász, bensì il mondo visibile «restituito non come tale ma nelle sue correlazioni di senso». >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Lo stile Ma «la correlazione semantica del mondo visibile deriva dalla sua trasformazione stilistica». Senza un’elaborazione stilistica coerente e sistematica, cioè, il «mondo visibile» che costituisce il materiale del cinema verrebbe a mancare del tratto decisivo: la «segnicità», cioè la facoltà di dar luogo a «correlazioni di senso» che solo un’azione compositiva responsabile può far sorgere. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Sistema di testi La precedenza del momento stilistico sullo stesso momento «segnico» si raccorda meglio con una teoria del testo filmico che con l’idea di un linguaggio cinematografico. Ogni film inventa il suo linguaggio, a condizione «che lo stile sia organizzato, che l’angolazione e l’illuminazione non siano casuali ma facciano sistema». Il tratto sistematico non è garantito da una grammatica prestabilita ma determinato, volta per volta, dai singoli testi. Una «teoria generale del cinema», di conseguenza, dovrà limitarsi all’inventario dei procedimenti stilistici di base richiesti da qualsiasi sistema testuale. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Sistema di testi Il concetto di «sistema testuale» anticipa alcune conclusioni della semiotica moderna ma l’intransigenza sulla «povertà» del cinema preclude a Tynjanov (ma un po’ a tutti i formalisti) la possibilità di comprendere l’introduzione del suono e del colore come l’apporto di nuovi elementi costruttivi e non come un semplice perfezionamento dell’adeguatezza riproduttiva, in quanto tale dannoso se non addirittura fatale per l’arte cinematografica (e qui la posizione di Tynjanov coincide in pieno con quella che sarebbe stata sostenuta da Rudolf Arnheim). >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Šklovskij Viktor Šklovskij, uno dei padri del formalismo, parte da posizioni minimaliste. Già nel 1923 ha scritto che «il cinema nella sua vera essenza si colloca al di fuori dell’arte», escludendo dal dominio del «poetico» l’immagine in movimento, riproduttiva e discontinua, interessante solo dal punto di vista narrativo, ma solo perché offre un arricchimento tecnico (effetti speciali, montaggio, straniamento) dell’invenzione compositiva o della sequenza temporale. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Straniamento Con la teoria dello «straniamento» (ripresa poi da Brecht nel teatro) egli attribuisce al cinema proprio la capacità di produrre un cambiamento improvviso del punto di vista, aprendo nuove frontiere in un concetto di opera d’arte inserito in un contesto narrativo che tende a ripetere schemi prefissati. Il celebre modello invocato è la «mossa del cavallo» degli scacchi: sempre angolare, trasversale, imprevedibile. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Poesia e prosa nel cinema Nel contributo del 1927, invece, considera un oggetto di ricerca promettente la distinzione tra «poesia e prosa nel cinema», sebbene il confronto fra il cinema e le arti della parola, o il trasferimento dei principi formali dal linguaggio verbale all’immagine appaiano talvolta artificiosi. La distinzione tra cinema poetico (o «versificato») e cinema prosastico sembra utile a Šklovskij a patto di limitare il primo al cosiddetto «cinema senza intreccio», di cui porta ad esempio i film di Dziga Vertov. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Poesia e prosa nel cinema Solo occupandosi di Ejzenštejn Šklovskij scioglie le sue riserve sull’artisticità del cinema, mettendo da parte il parallelo con la letteratura e apprezzandone le autonome potenzialità narrative. «Affinché comparisse Ejzenštejn ‒ doveva prima esserci Kulešov, con il suo atteggiamento cosciente nei confronti del materiale cinematografico, dovevano esserci i kinoki, Dziga Vertov, i costruttivisti, doveva nascere l’idea del cinema senza intreccio» (Cinque feuilleton su Ejzenštejn, 1928). >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Ejchenbaum Il saggio di Ejchenbaum è il più meritevole di attenzione, un testo autenticamente fondativo caratterizzato da due apporti essenziali e originali: la distinzione di un elemento «linguistico» e uno «fotogenico» (che cooperano alla configurazione formale dell’immagine cinematografica) e il rilievo accordato al ruolo dello spettatore, cui Ejchenbaum riconosce la prestazione determinante di un «discorso interno» che procede via via nell’articolazione e nella connessione di ciò che il film mostra. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Linguistico e fotogenico L’elemento «linguistico» (inteso in senso ampio) valorizza i tratti dell’immagine e del rapporto tra immagini che si prestano a un’elaborazione costruttiva sovraordinata all’aspetto fotografico e riproduttivo, offrendosi in tal modo a una vera e propria lettura. L’elemento «fotogenico» valorizza l’insieme indeterminato delle risonanze semantiche che l’immagine innesca «al di fuori di ogni nesso con l’intreccio» (anche se non per forza in contrasto). >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Linguistico e fotogenico Per Ejchenbaum il cinema è diventato una forma espressiva autonoma quando è cominciata l’interazione fra questi due elementi dell’immagine entro un’organizzazione consapevole. Liberandosi dal parallelismo inconcludente tra cinema e arti letterarie, Ejchenbaum si mette in condizione di riconoscere nella diversa proporzione tra i due elementi dell’immagine non solo la condizione di possibilità di una peculiare forma di racconto, ma anche lo spazio specifico della sua evoluzione. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Linguistico e fotogenico Gli sembra naturale, infatti, che all’inizio il «linguistico» abbia dovuto imporre i suoi requisiti di discorsività e di leggibilità non meramente riproduttiva a spese del «fotogenico», ma si aspetta anche (e la storia del cinema gli darà ragione) che quest’ultimo avrebbe cercato e trovato il modo di interagire sempre più profondamente con il primo, rafforzando complessivamente l’autonomia formale del discorso cinematografico. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Il discorso interno Un secondo tema importante è quello del «discorso interno». Ejchenbaum afferma che «lo spettatore cinematografico si trova in condizioni di percezione completamente nuove e opposte a quelle della lettura: dall’oggetto, dal movimento visibile egli muove verso la comprensione, verso la costruzione di un discorso interno». >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> Il discorso interno Il cinema non è neppure «un’arte muta», dato che manca solo della «parola udibile» (siamo nel 1927), «ma questo non annulla la funzione della parola, la pone semplicemente su un altro piano» (quello, appunto, del discorso interno). Con questi rilievi lo studioso mostra come la teoria del cinema sia tenuta a farsi carico anche della «prestazione interpretativa» dello spettatore, anticipando un tema decisivo per gli studi odierni. >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> l «realismo» Alla fine degli anni Venti, mentre il cinema mondiale si trasforma con l’introduzione del sonoro e la riflessione dei cineasti russi deve affrontare punti di snodo decisivi, il consolidamento del regime staliniano in Unione Sovietica inizia a ridurre gli spazi per le sperimentazioni e a comprimere la libertà degli artisti, fino ad emanare, nel 1934, il dogma del «realismo socialista». >> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >>