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Cenni sull`evoluzione del pensiero economico
Cenni sul pensiero economico Non sempre l’economia o “l’operare economico” come lo si intende oggi ha avuto la predominanza che manifesta attualmente nella società umana e nelle azioni dell’uomo. Molti studiosi (Freud, Frazier, Marx, Weber) hanno dimostrato come i rapporti e i processi sociali derivino dalla interazione dell’uomo, inteso come entità biologica, con l’ambiente che lo circonda cercando di assoggettarlo con simboli, religioni e tecniche nella sua lotta per la sopravvivenza. Questi chiarimenti sono necessari per evitare di considerare l’uomo solamente come proteso a barattare, trafficare, scambiare come vorrebbe ridurlo la visione ristretta del razionalismo economico. Tale visione ha la sua origine nella società occidentale del XVIII secolo ha senso solamente in un contesto sociale fondato sul mercato, sui prezzi di scambio, sull’uso della moneta. Anche se nel corso della storia umana altre società hanno dimostrato di poter esistere senza ricorrere alla matrice mercato, il sopravvento a partire dagli ultimi tre secoli ovvero dalla Rivoluzione industriale, è stato preso dal sistema dei mercati autoregolati. L’economia di mercato ha imposto per il suo funzionamento la trasformazione di TERRA e LAVORO in merci; si è trattato di una “finzione” necessaria ben consapevoli che la TERRA è un bene naturale e non prodotto come una qualsiasi merce e la FORZA LAVORO non è stata prodotta per essere venduta. In conseguenza di ciò si formò un prezzo di mercato per l’uso della forza lavoro detto SALARIO e un prezzo di mercato per l’uso della terra detto RENDITA. Terra e Lavoro vennero ad avere un loro proprio mercato analogamente alle merci prodotte con il loro apporto, ma il lavoro è sinonimo di uomo e terra è sinonimo di natura e fino ad allora avevano sempre fatto parte della struttura sociale e non di quella del mercato. L’economia di mercato ha costruito un nuovo tipo di società e il sistema economico che la supporta non è controllabile perché affidato a un meccanismo che agisce autonomamente ovvero a un sistema di autoregolazione. Si è formato un apparato completamente distinto e autonomo dalle altre istituzioni sociali. Poiché la società dipende dal suo apparato produttivo, tutte le istituzioni sociali vennero a dipendere dal sistema del mercato autoregolato. In questo modo la società emergente non poteva che essere una “società economica” Due sono le correnti di pensiero alla base del grande pensiero economico del 1800: Mercantilismo e Fisiocrazia. Sotto il nome di mercantilisti vanno un gruppo di autori che pubblicarono le loro opere nell’Europa del 1600. In questo secolo si vanno formando i grandi stati nazionali generalmente retti da monarchie assolute. Le idee dei mercantilisti sostanzialmente erano: •necessità dell’intervento del monarca (Stato) negli affari economici della nazione allo scopo di arricchirla aumentando la riserva di metalli preziosi. •obiettivo di esportare più di quanto si importi e favorevoli a una politica economica aggressiva. I fisiocrati rappresentano una scuola il cui rappresentante più noto è Francois Quesnay autore del Tableau Economique, due i loro concetti maggiormente approfonditi: •surplus o sovrappiù: solo in agricoltura si può ottenere una quantità di prodotto superiore ai mezzi di produzione (intesi in senso lato compreso il sostentamento degli agricoltori); nell’artigianato e nel commercio si attua una trasformazione delle merci senza alcun aumento. •Capiscono l’importanza dei collegamenti all’interno di un sistema e sottolineano il concetto di interdipendenza degli elementi di un sistema. Alcuni di questi concetti sono ancora oggi molto importanti Il primo vero economista può essere considerato Adam Smith, scozzese, che nel 1776 pubblica la sua opera: “Indagine sulla natura e cause della ricchezza delle Nazioni” che costituisce il momento iniziale della nuova disciplina, Smith vive la rivoluzione industriale e i cambiamenti radicali imposti da questa sulla società e si rende conto dell’importanza delle macchine nel processo produttivo. Pone due problemi: •Quale è la molla dello sviluppo economico? •Da che cosa è determinato il valore dei beni? Come cause dello sviluppo economico Smith individua: •l’accumulazione dei beni capitali: rappresenta il tratto caratteristico della rivoluzione industriale con il passaggio da lavoro artigiano a lavoro di fabbrica. •la divisione del lavoro e l’aumento della popolazione: rappresenta una delle intuizioni più geniali dell’economista che nota come la specializzazione riduca i costi e migliori la produzione e questa non vale solo per il singolo lavoratore, ma per l’intera impresa. Secondo Smith lo sviluppo di un sistema procede più rapidamente se le decisioni economiche sono lasciate ai privati limitando l’intervento dello Stato. Secondo Smith il mondo economico dovrebbe essere costituito da una serie di piccole imprese, nessuna delle quali in grado di influenzare il mercato, questa situazione viene definita libera concorrenza e la ricerca individuale del proprio interesse genera il benessere pubblico come se una mano invisibile coordinasse le azioni in vista di un unico fine. (almeno in teoria, la pratica ha dimostrato altro nel senso dell’intervento dello Stato) Per avere un’idea del concetto di valore, che è alla base della disciplina dell’estimo, si deve attendere David Ricardo, economista e uomo d’affari (1772-1823), che affronterà i temi di: valore e distribuzione del reddito Per Ricardo il valore dei beni è determinato dal lavoro necessario a produrli. (Si deve tenere conto di tutto il lavoro, anche quello incorporato nella estrazione delle materie prime.) Dalla sua opera: “Principi di economia politica” deriva la teoria del valore lavoro che si applica alla generalità dei beni riproducibili con l’esclusione dei beni rari. Chiarimenti sul concetto di valore: per valore si intende il numero di unità di un altro bene che equivalgono a una unità del bene in questione. Il valore è dunque il rapporto fra quantità scambiate. Se si utilizza un bene come termine di riferimento (moneta, ma anche conchiglia) il rapporto di scambio genera un valore assoluto e la sintesi dei valori assoluti genera il livello generale dei prezzi. La distribuzione del reddito tra i fattori della produzione viene risolta dalla teoria del valore lavoro mediante quote il cui andamento determina lo sviluppo di un sistema economico. Ricardo, partendo dai fisiocrati lega ai fattori della produzione alle classi sociali e definisce i compensi per l’uso dei fattori produttivi: Lavoro Terra Capitale salario rendita profitto lavoratori proprietari terrieri capitalisti-imprenditori Nota: Non c’è ancora distinzione tra Capitalista (proprietario dei beni capitali) e Imprenditore (coordinatore dei mezzi produttivi) e ritengono che solo essi risparmino e investano infatti i lavoratori hanno un salario che copre il loro mantenimento, i proprietari terrieri consumano tutto il loro reddito in spese voluttuarie, per questo non vi è distinzione tra interesse e profitto. Ultimo tra gli economisti classici e primo di una nuova scuola è Karl Marx, tedesco, ma vissuto molti anni a Londra. La sua analisi si concentra sulla evoluzione del sistema capitalistico che ritiene una forma di produzione destinata al superamento attraverso la lotta di classe sociale in quanto secondo la teoria del valore lavoro solo il lavoro fornisce valore alle merci di conseguenza tutto il prodotto dovrebbe andare ai lavoratori, ma ne ricevono una parte soltanto perché i proprietari delle macchine se ne approfittano per trattenerne una parte, da ciò deriva lo sfruttamento. Si definisce plusvalore la parte che i capitalisti sottraggono ai lavoratori saggio di plusvalore è il rapporto tra il plusvalore e il salario Marx crede che la caduta del saggio di profitto e la concentrazione della proprietà nelle mani di poche persone comportino il superamento del capitalismo.(i fatti gli hanno dato torto) Nella seconda metà dell’800 si affermerà una nuova scuola economica detta neoclassica o marginalista. Consideravano incompleta la teoria classica del valore dei beni e il loro paradosso era famoso: l’acqua ha una utilità elevatissima e un prezzo nullo, i diamanti hanno un prezzo elevato e una utilità nulla. La teoria del valore lavoro secondo loro porta a risultati paradossali e non comprende tutti i beni, oltretutto i valori che si trovano sui mercati non vi concordano. I neoclassici vorrebbero che l’economia fosse una scienza esatta e spesso fecero ricorso alla matematica come fonte di garanzia di esattezza. Essi studiano il problema di mezzi scarsi utilizzabili per scopi diversi e le situazioni al limite o margine da cui il termine di marginalisti. Dalla situazione di equilibrio il consumatore non desidera spostarsi perché è soddisfatto, ma se cambia qualche cosa, ad esempio il reddito, anche il punto di equilibrio cambia. Il prezzo rappresenta una sintesi delle caratteristiche di un bene e viene determinato sul mercato dall’incontro di domanda e offerta. I problemi dell’economia contemporanea La grande crisi del ‘29 mette in discussione uno dei dogmi degli economisti neoclassici: “La piene occupazione”. Risale a quegli anni una grandissima disoccupazione e i rimedi dell’economia classica non li risolvevano anzi, li aggravavano. Furono le teorie dell’inglese John M. Keynes che nella sua “Teoria generale” affronta il problema da un punto di vista macroeconomico, ovvero studiando gli aggregati come famiglie, lavoratori, imprenditori … e pone come problema lo studio delle forze che determinano il livello del reddito nazionale e il quello dell’occupazione. Secondo Keynes il Reddito Nazionale non è necessariamente uguale alla quantità massima producibile dati i fattori produttivi esistenti, ma può essere inferiore perché è determinato dalla domanda e questa può essere minore dell’offerta di pieno impiego. Per riportare il sistema al livello di piena occupazione occorre che si crei domanda e a questo scopo lo Stato può e deve intervenire. Viene sviluppata la teoria del moltiplicatore ad esempio investimenti statali in strade, case… La moderna macroeconomia deriva largamente dal pensiero keynesiano. Politica economica Rappresenta la parte normativa della scienza economica: lo Stato o per esso l’autorità decisionale fissa gli obiettivi che intende raggiungere usando opportuni strumenti e tenendo conto dei vincoli esistenti. Ad esempio lo Stato vuole ridurre la disoccupazione al 3% e aumenta la spesa pubblica considerando una serie di vincoli come i rapporti commerciali con l’estero o norme europee. Se gli obiettivi da raggiungere sono di breve periodo (uno o due anni) si parla di politica economica congiunturale; se l’intervento è di lungo periodo (alcuni anni) si parla di politica economica strutturale. A seconda degli strumenti utilizzati si può distinguere tra: politica fiscale: azioni su tasse, contributi e uscite pubbliche politica monetaria: controllo sull’offerta di moneta Nel tempo sono state sviluppate due discipline: economia del benessere per identificare gli obiettivi e valutarli attraverso l’analisi costibenefici econometria come applicazione di strumenti matematici e statistici per valutare i problemi economici