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È un miscuglio omogeneo di gas…
LICEO LINGUISTICO “A GENTILI” –SAN GINESIO GRUPPO B …è un miscuglio omogeneo di gas… • azoto 78,08%, • ossigeno 20,95%, • argo 0,93%, • anidride carbonica 0,03%, • gas nobili (neon, cripto, elio), idrogeno, ozono 0,01% fino alla concorrenza del 100%. Inoltre sono presenti • vapor acqueo, che varia da luogo a luogo e anche da istante a istante nello stesso luogo; • pulviscolo atmosferico, che diminuisce con l'altitudine, dato che le particelle più pesanti sono attratte maggiormente verso il basso dalla forza gravitazionale. Azoto Altri gas Ossigeno …è indispensabile per gli esseri viventi perché rappresenta la riserva degli elementi fondamentali: carbonio, ossigeno, azoto e idrogeno che ricevono attraverso i cicli biogeochimici . …è in grado di autopurificarsi perché in essa si verificano moti convettivi che la rinnovano in continuazione… …ma non è una pattumiera senza fondo. … è senza frontiere, i venti possono spostarla anche a livello planetario . … sta perdendo il suo equilibrio naturale a causa delle attività antropiche. Il grado di alterazione è direttamente proporzionale alla densità di popolazione e allo sviluppo economico della stessa… ....è perciò inquinata! Ecco alcuni segni della sua sofferenza Effetto serra Buco dell’ozono Piogge acide Inquinamento elettromagnetico Inquinamento chimico Smog fotochimico Presenza di nuclidi radioattivi …è un bene prezioso , una risorsa che va rispettata e salvaguardata!!! Inquinamento nucleare L’inquinamento atmosferico chimico è la presenza nell’atmosfera di sostanze che causano un effetto misurabile sull’uomo, sugli animali, sulla vegetazione o sui diversi materiali; queste sostanze sono: il monossido di carbonio, gli ossidi di zolfo, gli ossidi di azoto, l’ozono, il particolato, il radon, il benzene, l’asbesto, gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e il cloruro di vinile. Esse di solito non sono presenti nella normale composizione dell’aria; I contaminanti atmosferici vengono distinti: quelli di origine antropica, cioè prodotti dall’uomo, e quelli naturali. Inoltre possono anche essere classificati in primari cioè liberati nell’ambiente come tali (es. il biossido di zolfo e il monossido di azoto) e secondari (es. ozono) che si formano successivamente in atmosfera attraverso reazioni chimico-fisiche. L’inquinamento può essere autoctono o alloctono. L’inquinamento negli ambienti aperti viene definito esterno (outdoor), mentre l’inquinamento nei luoghi confinati, come gli edifici, è detto interno (indoor). La qualità dell’aria negli ambienti confinati viene indicata come Indoor Air Quality. I principali inquinanti chimici degli ambienti interni sono: CO2 CO NO2 Fumo di legna Fumo di tabacco Idrocarburi leggeri Derivati degli idrocarburi Composti organici volatili Particolato aereodisperso Metalli nel particolato Compostici policiclici aromatici Ammine aromatiche Amianto Fibre minerali sintetiche Radon Antiparassitari La concentrazione degli inquinanti nell’aria è determinata da diversi fattori: •Dalla quantità dei contaminanti presenti nelle emissioni; •Dal numero e dal concentramento delle sorgenti inquinanti; •Dalla distanza dai punti di emissione; •Dalle trasformazioni chimico-fisiche, alle quali sono sottoposte le sostanze emesse; •Dalla eventuale velocità di ricaduta al suolo; •Dalla situazione morfologica delle aree interessate all’inquinamento; •Dalle condizioni meteorologiche locali e su grande scala. Il fattore che più influenza il trasporto e la diffusione atmosferica degli inquinanti è l’intensità del vento; inoltre un ruolo notevole è svolto dalle precipitazioni atmosferiche che contribuiscono a dilavare l’aria dai contaminanti presenti. Di solito le zone più soggette ai fenomeni di inquinamento sono le zone urbane e industriali, soprattutto se si trovano in aree dove sono presenti dei naturali impedimenti alla circolazione dell’aria: ad esempio le valli chiuse da montagne che presentano sempre problemi di ristagno per la ridotta ventilazione atmosferica. Altri fattori di notevole importanza negli episodi da inquinamento sono l’intensità della luce solare e l’alta temperatura, in determinate condizioni possono portare al manifestarsi dello smog fotochimico In genere le concentrazioni dei contaminanti dell’aria sono minori quando il vento è almeno moderato e l’atmosfera è instabile nei bassi strati. Al contrario le concentrazioni degli inquinanti sono elevate in presenza di nebbia persistente oppure in assenza di vento o quando si è in presenza di inversioni termiche. Le inversioni termiche sono dei fenomeni atmosferici che impediscono il normale rimescolamento delle masse d’aria, esse si formano solitamente nelle notti limpide subito dopo il tramonto, a causa del rapido raffreddamento del terreno. Questo fenomeno è detto inversione termica di tipo radiativo e in genere termina con il riscaldamento mattutino della superficie terrestre; se questo non avviene gli inquinanti si possono accumulare anche per più giorni consecutivi. L’inquinamento atmosferico comporta spesso numerose conseguenze nei confronti dell’ambiente e dell’uomo. Conseguenze sull’ambiente Il declino del patrimonio animale, forestale ed agricolo; la degradazione degli ecosistemi; i danni provocati alle strutture metalliche, alle opere d’arte ed in generale ai diversi materiali usati dall’uomo; e per finire la riduzione della visibilità, sono tutti aspetti del problema generato dall’inquinamento prodotto dall’uomo. Il meccanismo di aggressione da parte degli inquinanti può essere rapido o prolungato nel tempo. Gli inquinanti possono agire a livello globale, interessando tutte le popolazioni della terra. Fenomeni come l’insorgenza dello smog fotochimico interessano generalmente solo le aree a grande urbanizzazione, mentre l’azione delle piogge acide è di più vasta portata, interessando sia le zone più industrializzate che le aree limitrofe. L’azione dell’effetto serra coinvolge tutte le nazioni, mentre gli effetti di molti inquinanti industriali possono essere localizzati semplicemente a ridosso dell’area di produzione. CONSEGUENZE SULL’UOMO Le conseguenze a carico della salute dell’uomo si verificano soprattutto nei casi in cui si registra un innalzamento delle concentrazioni dei comuni contaminanti dell’aria (inquinamento acuto). In questi casi, l’aumentata esposizione a vari irritanti atmosferici provoca la riduzione della funzionalità polmonare, l’aumento delle malattie respiratorie nei bambini, gli attacchi acuti di bronchite e l’aggravamento dei quadri di asma; il tutto comporta un forte incremento nel numero dei decessi fra le persone più sensibili a determinati inquinanti, come gli anziani o le persone affette de malattie respiratorie e cardiovascolari. L’ effetto dell’inquinamento a bassi livelli e per lungo tempo risulta invece più subdolo e difficile da individuare. Si presume che provochi a breve termine disagio, irritazione, tossicità specifica e affezioni respiratorie acute. Gli effetti a lungo termine causati da un’esposizione ad inquinanti presenti a concentrazioni relativamente basse non sono ancora completamente chiari. In ogni caso si ritiene che fra i vari effetti ci sia la comparsa di malattie polmonari croniche, la formazione di varie neoplasie maligne (cancro polmonare, leucemie) ed un aumento della mortalità per malattie cardiovascolari e respiratorie. ..a San Ginesio è: IPOTESI: Non è inquinata ma di buona qualità in quanto San Ginesio è un Paese piccolo di soli 3840 ab., non industrializzato , piuttosto ventilato, con una circolazione di auto limitata;la principale fonte d’inquinamento è il riscaldamento domestico. VERIFICA DELL’IPOTESI: 1. Studio dei licheni come bioindicatori per rilevare la qualità dell’aria. 2. Monitoraggio degli idrocarburi aromatici con una centralina mobile posta in via Matteotti (la più transitata di San Ginesio). 3. Misura del pH della pioggia e della neve. 4. Informazioni sulla presenza di fonti di inquinamento elettromagnetico. QUALITA’ DELL’ARIA DI SAN GINESIO: La qualità dell’aria di San Ginesio è risultata , come previsto, buona infatti l’INDEX o meglio la BIODIVERSITA’ LICHENICA calcolata con il metodo di Amman ha dato valori molto vicini a 20 (Alterazione bassa), la presenza di idrocarburi aromatici , monitorati con la centralina mobile in Via Matteotti e legati al traffico veicolare, è risultata molto al di sotto del valore limite come si può vedere dai dati rilevati dall’ARPAM; Il pH della neve e della pioggia in questi primi mese dell’anno 2005, misurato nel nostro laboratorio, è risultato sempre con valori vicini a 6; non sono presenti fonti di inquinamento elettromagnetico preoccupanti(qualche centralina di trasformazione-riduzione di alta tensione ENEL, un elettrodotto che attraversa appena per un breve tratto il territorio di San Ginesio e un ripetitore-antenna ricevente OMNITEL su una collina di fronte San Ginesio oltre il fiume Fiastrella. I licheni sono degli organismi viventi, ovvero una simbiosi tra funghi e alghe, usati come bioindicatori per stimare la qualità complessiva dell’aria essendo sensibili all’effetto di tutte le sostanze nocive contemporaneamente e non ad un singolo fattore. Essi sono bioaccumulatori: assorbono e accumulano varie sostanze presenti nell’atmosfera e sono particolarmente sensibili ai gas fitotossici come anidride solforosa e ossidi di azoto in quanto il loro metabolismo dipende completamente dall’atmosfera essendo sprovvisti di stomi o cuticole; non sono in grado di proteggersi dall’esterno e di liberarsi delle parti vecchie e/o intossicate; hanno una crescita lenta e prolungata nel tempo, vivono in media 30-50 anni, consentendo così di effettuare un monitoraggio per lunghi periodi; resistono bene (sono organismi pionieri) agli stress ambientali (termici e idrici). Per il monitoraggio abbiamo utilizzato il metodo floristico svizzero di Karl Amman, basato sull’indicatore biologico, IPA, o Indice di Purezza Atmosferica calcolato considerando la frequenza delle specie entro un reticolo (50x40 cm) di rilevamento formato da 10 rettangoli di 10 cm di altezza e 15 cm di larghezza; questo reticolo viene fissato con corde elastiche ad un albero(quercia o tiglio) avente circonferenza superiore agli 80 cm, ad una altezza di circa 120-150 cm da terra ed una inclinazione non superiore a 10°. L’IPA viene calcolato come somma delle frequenze, cioè del numero di specie licheniche presenti nel reticolo di ogni campione ( oggi si preferisce chiamarlo BL= Biodiversità lichenica) delle varie stazioni di rilevamento. Dopo aver posto il reticolo di Amman sul tronco dell’albero ed aver visto ogni specie lichenica in quanti rettangoli è presente ed aver calcolato il BL, si svolge un rilevamento fotografico, con lo scopo di documentare le eventuali variazioni temporali ed effettuare così un controllo fitosociologico della successione vegetazionale. Nel corso degli anni si possono verificare cambiamenti nella grandezza dei talli, a causa dell’inquinamento ma anche di altri fattori vegetazionali. Dai risultati dei rilievi è possibile ottenere i valori di naturalità e alterazione del territorio indagato in maniera più rappresentativa di quella offerta dalle misure degli strumenti. A San Ginesio sono state monitorate con questo metodo 3 stazioni di rilevamento: 1° Colle Ascarano = tre tigli; 2° Panoramica-Pincio= due querce; 3° Via Matteotti = tre tigli. Da questo primo monitoraggio è risultato che San Ginesio presenta una media alterazione (tendente al buono) dell’aria avendo BL molto vicini a 20 e precisamente: 1°Stazione = 18,3; 2°Stazione = 17 e 3° Stazione = 20 . A settembre/ottobre 2005 e poi nei prossimi anni verranno ripetuti i rilevamenti per avere dati più significativi, visto che questo metodo ha un maggior valore se riferito ad un lungo periodo di osservazione. STAZIONE DI RILEVAMENTO N° 1 Località di rilevamento: San Ginesio Luogo: Colle Ascarano Data: 28/04/05 Quota altimetrica: 690 m.slm Specie di albero: 3 Tigli Circonferenza: 1°-153cm; 2°-143cm; 3°-161cm. Esposizione: 1°-ovest; 2°-sud; 3°-est. Altezza: 1°-1,5m; 2°-1,5m; 3°-1,5m. Calcolo della frequenza per ogni albero: 20(3+6 Xanthoria P.+10 Physcia+1Candelariella);19(5 Xanthoria P.+10 Physcia +4Candelariella);16(6 Xanthoria +10 Physcia ); BL della stazione: 20+19+16/3 = 18,3 Albero 1: primo tiglio a sinistra del viale verso il bar Copertura lichenica: abbondante. Stato: buono Albero 2: secondo tiglio a sinistra del vialetto Copertura lichenica: abbondante. Stato: buono Albero 3: terzo tiglio verso la panoramica Copertura lichenica: abbondante. Stato: buono Stazione 1: Colle Ascarano STAZIONE DI RILEVAMENTO N° 2 Località di rilevamento: San Ginesio Luogo: Panoramica-Pincio Data: 28/04/05 Quota altimetrica: 675m slm Specie di albero: 2 Querce Circonferenza: 1°-254cm; 2°-297. Esposizione: 1°-sud/ovest; 2°-sud/sud-ovest. Altezza: 1°-1,5m 2°-1,5m Calcolo della frequenza per ogni albero: 15(5 Xanthoria;10Physcia); 19( 9 Xanthoria; 10 Physcia ) BL della stazione: 15+19/2= 17 Albero 1: quercia sulla panoramica Copertura lichenica: discreta. Stato: buono Albero 2: quercia del Pincio Copertura lichenica: abbondante. Stato: buono STAZIONE DI RILEVAMENTO N° 3 Località di rilevamento: San Ginesio Luogo: Giardino della scuola in Via Matteotti Data: 28/04/05 Quota altimetrica: 680m slm Specie di albero: 3 tigli Circonferenza: 1°-160cm; 2°-210cm; 3° -110cm. Esposizione: 1°est; 2°ovest; 3 nord. Altezza: 1°-1,5m , 2°-1,5m ; 3°-1,50. Calcolo della frequenza per ogni albero: 9 (4 Xanthoria+5 Physcia );12(2 Xanthoria+10 Physcia);39(10 Xanthoria+10 Physcia+10 Physcia +9 Candelariella) BL della stazione: 9+12+ 39/3 = 20 Albero 1: sulla destra del vialetto che immette nel parcheggio della scuola Copertura lichenica: Discreta, stato discreto; Albero 2: sulla sinistra del vialetto che immette nel parcheggio della scuola Copertura lichenica: abbondante ma con segni di sofferenza( forse conseguenti ai lavori edili effettuati lo scorso anno) Albero 3: tiglio sotto il muro di cinta del parcheggio Copertura lichenica abbondante, stato buono. neve mese di febbraio:PH 5.68 pioggia del 5 maggio 2005:PH 7.5/6.7 pioggia del 12 maggio 2005:PH 6.40 Lo smog fotochimico è la forma di inquinamento maggiormente diffusa nelle grandi città del pianeta e soprattutto nelle aree industrializzate. Il termine “smog” deriva dall’unione di smoke (fumo) e fog (nebbia), si riferiva inizialmente allo smog industriale o smog classico che, di colore grigio-nerastro, era prodotto dalla combinazione tra il fumo e il biossido di zolfo liberati nella combustione del carbone con la nebbia. Esso era talmente tossico da provocare decine di migliaia di morti ogni anno. A partire dagli anni Cinquanta l’utilizzo di altri combustibili fossili e di altre fonti energetiche (come la nucleare e la idroelettrica) hanno ridotto la frequenza e la gravità dello smog industriale, lasciando però le città in mano allo smog fotochimico. Esso è un particolare tipo di inquinamento dell’aria che si produce nelle giornate caratterizzate da condizioni meteorologiche di stabilità e di forte insolazione. Gli ossidi di azoto (NOx) e i composti organici volatili (VOC) emessi nell’atmosfera da molti processi naturali o antropogenici, vanno incontro ad un complesso sistema di reazioni fitochimiche indotte dalla luce ultravioletta presente nei raggi del sole; il tutto porta alla formazione di ozono (O3), perossiacetil nitrato (PAN), perossibenzoilnitrato (PBN), aldeidi e centinaia di altre sostanze. Tali inquinanti secondari vengono indicati col nome collettivo di smog fotochimico perché sono generati da reazioni chimiche catalizzate dalla luce e costituiscono la componente principale dello smog. Questo particolare smog si può facilmente individuare per il suo caratteristico colore che va dal giallo-arancio al marroncino, colorazione dovuta alla presenza nell’aria di grandi quantità di biossido di azoto. I composti che costituiscono lo smog fotochimico sono sostanze tossiche per gli esseri umani, per gli animali e anche per i vegetali, inoltre sono in grado di degradare molti materiali diversi per il loro forte potere ossidante. I principali effetti dello smog fotochimico sull’uomo sono una forte irritazione agli occhi e difficoltà nella respirazione. RIMEDI ALLO SMOG L’effetto serra consiste in un riscaldamento del pianeta per effetto dell’azione dei gas serra e primo fra tutti l’anidride carbonica. La terra è colpita dalla radiazione elettromagnetica emessa dal sole. Parte di questa radiazione viene assorbita dall’atmosfera terrestre ma la grande maggioranza colpisce la crosta terrestre. Di questa radiazione parte viene assorbita dalla superficie, parte viene riflessa come radiazione luminosa di varia frequenza e parte viene riflessa come radiazione a lunghezza d’onda maggiore cioè come raggi infrarossi responsabili del calore terrestre. L’atmosfera è quasi completamente trasparente alla luce visibile, ma è opaca alla radiazione infrarossa, pertanto, gli infrarossi riflessi dalla superficie non ritornano completamente nello spazio ma restano racchiusi tra la superficie e gli strati alti dell’atmosfera determinando un ulteriore riscaldamento della terra. A provocare l'effetto serra sono l'anidride carbonica, i clorofluorocarburi, il metano, l'ossido di azoto, l'ozono troposferico: gas la cui concentrazione aumenta sempre di più per una serie di cause tutte legate ad attività umane. Gran parte della responsabilità per il progressivo riscaldamento del nostro pianeta va addebitata al modello energetico dominante: l'80% delle emissioni di anidride carbonica, il principale "gas serra", proviene dalla combustione del carbone, del petrolio e del metano, dunque dall'attività delle centrali termoelettriche, dai fumi delle industrie, dagli scarichi delle automobili. Ma sotto accusa ci sono anche i fertilizzanti azotati usati in agricoltura, che oltre ad alimentare il fenomeno dell'eutrofizzazione che sta uccidendo decine di laghi e mari, tra cui l'Adriatico, sono anche responsabili di buona parte delle emissioni di ossido di azoto. Infine altri due "imputati" di primo piano sono i clorofluorocarburi responsabili della distruzione della fascia di ozono, la cui produzione per fortuna è in rapida diminuzione, e la deforestazione, che nelle foreste tropicali procede al ritmo di un campo di calcio al secondo. Quanto alla parte di "colpa" delle varie aree geo-politiche del mondo, il dato che salta subito agli occhi e che oltre la metà delle emissioni di anidride carbonica e degli altri "gas serra" viene dai Paesi industrializzati - Stati Uniti, Unione europea, Canada, Giappone, Australia - dove vive appena un quinto della popolazione mondiale. EFFETTI SULL’AMBIENTE: Se le emissioni dei "gas di serra" in atmosfera proseguiranno ai ritmi attuali, dovremo attenderci nei prossimi decenni un riscaldamento globale del pianeta compreso tra 1 e 3,5 gradi centigradi. Le conseguenze di questo aumento della temperatura sarebbero catastrofiche a vari livelli. Il riscaldamento provocherebbe il parziale scioglimento dei ghiacci e un'espansione termica degli oceani, con un innalzamento prevedibile del livello dei mari di 15-95 centimetri. Al tempo stesso ci sarà anche l'aumento della temperatura che produrrebbe un'intensificazione e una maggiore estensione di eventi meteorologici estremi come alluvioni, inondazioni, cicloni tropicali. Inoltre, in molte zone tropicali già si assiste ad una riduzione dell’umidità del suolo che comporta una diminuzione nella resa agricola; molte aree, anche in Europa, sono a rischio di desertificazione. Tutti questi effetti sono scientificamente evidenti per i molti dati ottenuti a riguardo e si ipotizza un inasprimento della situazione attuale nel caso in cui le concentrazioni dei gas serra aumentassero. Lo scenario che si può ipotizzare è impressionante: i deserti potrebbero espandersi in terre ora semiaride; le foreste, polmoni della terra, diminuirebbero ulteriormente nella loro estensione; intere popolazioni, ora in regime di sussistenza, non avrebbero più risorse idriche a disposizione; città costiere e numerose isole scomparirebbero nel mare. EFFETTI SULL’UOMO: l’aumento delle temperature a causa del riscaldamento globale provocato dall’incremento della concentrazione dei gas serra nell’atmosfera può comportare sia effetti diretti che indiretti per la salute dell’uomo. Le temperature estremamente calde aumentano i rischi fisici a carico delle persone che presentano problemi cardiaci, perché in condizioni termiche più elevate il sistema cardiovascolare deve lavorare in modo maggiore per mantenere la temperatura corporea stabile. Il clima più caldo inoltre comporterebbe un aumento della diffusione dei problemi respiratori. In ogni luogo della Terra, la presenza e la diffusione delle malattie sono fortemente influenzate dal clima locale. In effetti molte malattie infettive potenzialmente mortali sono diffuse solamente nelle aree più calde del pianeta. Le temperature più elevate possono anche favorire l’aumento dell’inquinamento biologico delle acque, favorendo la proliferazione dei vari organismi infestanti. Molti ricercatori ritengono anche che l’inasprirsi dell’effetto serra comporterebbe un aumento del fenomeno dell’eutrofizzazione delle acque,con tutti i danni biologici, economici e sanitari che questo comporterebbe. L’ozono è un gas costituito da tre atomi di ossigeno ed è in grado di proteggerci da pericolose radiazioni ultraviolette UV. Lo strato di ozono si è formato in milioni di anni a causa anche dell’attività delle alghe verdiazzurre. A queste alghe si deve la produzione dell’ossigeno presente sulla terra e da cui dipende la nostra stessa vita. Questo “tetto” di ozono ha consentito alla vita marina di estendersi dal mare alla terra, dando inizio all’evoluzione dell’uomo . Un numero molto consistente di scienziati ritiene che il fenomeno del buco dell’ozono sia di origine umana, ossia causato da sostanze inquinanti immesse nell’atmosfera dall’uomo. Altri scienziati ritengono che il buco dell’ozono sia un fenomeno del tutto naturale legato alle particolari condizioni meteorologiche delle zone polari. Questo convincimento , deriva dall’osservazione che la diminuzione della quantità di questo gas nella stratosfera non è stata costante nel tempo, ma ha subito mutamenti negli anni senza che fosse preso alcun provvedimento sugli elementi che potrebbero essere la causa del suo assottigliamento. In realtà si è scoperto che sopra l’Antartide la circolazione atmosferica è organizzata come un gigantesco vortice: vi è cioè una massa d’aria isolata dal resto dell’atmosfera che circola, per gran parte dell’anno, intorno al polo australe. Nella tarda primavera, però, il vortice si rompe permettendo un rapido afflusso di aria ricca di ozono proveniente dalle zone tropicali. Quest’ aria che viene da nord è più ricca di ozono perché nelle zone calde la formazione di questo gas è favorita dalla radiazione solare più intensa. Lo spostamento si verifica quindi in conseguenza del fatto che l’aria stratosferica tende a migrare spontaneamente dalle grandi altezze sopra i tropici, dove si forma abbondante ozono, verso altezze minori delle regioni polari dove si va accumulando il gas di recente formazione. Prima di questo salutare arricchimento di ozono nella zona mediana della stratosfera antartica la sua quantità era diminuita per l’arrivo di aria proveniente dal basso. Con il ritorno del sole al Polo Sud, il suolo si riscalda e con esso si riscalda anche l’aria sovrastante. Quest’ aria è povera di ozono e, divenuta meno densa in seguito al riscaldamento, comincia a salire fino a raggiungere la stratosfera dove, non solo va a diluire lo strato ricco di ozono presente in quel luogo, ma lo sposta anche lateralmente. Fenomeni simili in cui correnti d’aria, provocate da variazioni termiche, salgono e scendono all’interno dell’atmosfera sono normali e avvengono a tutte le latitudini. I processi dinamici che spostano masse d’aria da una zona all’altra del globo non distruggono l’ozono, ma semplicemente lo ridistribuiscono e quindi è naturale che questa teoria sia più rassicurante di quella che concerne alcune sostanze prodotte dall’uomo. La teoria dello spostamento delle masse d’aria tuttavia ha un difetto: non riesce a spiegare la causa del progressivo aggravamento del fenomeno e il sempre più faticoso recupero dei livelli normali dell’ozono stratosferico Le sostanze inquinanti che minano la presenza dell’ozono nella stratosfera sono dette ODS. Questi composti chimici si degradano per effetto dei raggi ultravioletti nella stratosfera rilasciando atomi di bromo e di cloro che danneggiano quelli di ozono. Le sostanze inquinanti che causano l’assottigliamento dell’ozono sono i Clorofluorocarburi (CFC). Altre sostanze inquinanti sono gli Idroclorofluorocarburi (HCFC). Entrambe le sostanze contengono il cloro e tramite questo sono in grado di deteriorare la fascia di ozono nella stratosfera. L’impatto sull’ozono dei HCFC è comunque minore rispetto a quello dei CFC. Anche i composti che contengono bromo sono pericolosi per l’ozono. In particolare i gas Bromofluorocarburi come l’Halon. Questo è usato per estinguere il fuoco e ha un impatto maggiore rispetto agli CFC nel distruggere l’ozono stratosferico. •EFFETTI SULL’UOMO Il buco dell’ozono e la diminuzione dell’ozono stratosferico non rappresentano al momento un rischio immediato per la salute dell’uomo. La situazione potrebbe diventare drammatica nel caso in cui le dimensioni del fenomeno crescessero ulteriormente. L’ozono agisce infatti facendo da barriera alla maggior parte delle pericolose radiazioni UV-B provenienti dal sole. Alcuni studi teorizzano che una diminuzione dell’1% dell’ozono colonnare possa comportare un aumento delle radiazioni ultraviolette pari all’1,2%. I raggi UV-B sono in grado di attaccare e danneggiare molecole come il DNA e l’RNA, così se l’esposizione a questi raggi diviene eccessiva, si possono sviluppare sia dei melanomi che altri tipi di cancro della pelle. Un altro possibile effetto consiste nell’indebolimento delle difese immunitarie; il tutto contribuisce all’aumento delle malattie. L’effetto più evidente e diretto è invece legato all’azione che i raggi UV esercitano sulla retina dell’occhio, dove provocano danni che possono rapidamente portare alla cecità. •EFFETTI SULL’AMBIENTE La presenza di una graduale diminuzione dell’ozono stratosferico comporta inevitabili danni anche a carico della fauna e della flora. Dato che la riduzione maggiore è presente in aree pressoché disabitate, gli effetti non sono ancora particolarmente gravi. Diversi organismi viventi hanno sviluppato particolari meccanismi di protezione dall’azione dei raggi UV-B: limitano la loro esposizione; alcuni si proteggono con dei pigmenti; altri possiedono dei meccanismi di riparazione del DNA o riparano i tessuti danneggiati(dalle scottature). In ogni caso, per la maggior parte degli organismi, questi meccanismi diventano insufficienti quando aumentano i livelli di irradiazione UV-B. Dato che queste radiazioni vengono assorbite dagli strati di cellule più superficiali, gli organismi di dimensioni maggiori sono più protetti degli esseri più piccoli. Anche un piccolo aumento nei livelli UV-B potrebbe comportare un cambiamento estremamente negativo nella varietà e nella quantità degli organismi presenti nelle acque superficiali e di conseguenza avere ripercussioni su tutta la comunità delle acque. Sulle piante le radiazioni UV comportano in genere un rallentamento della crescita a causa di un effetto limitante nella crescita della superficie fogliare e quindi dell’area per la cattura dell’energia solare. In piante irradiate dai raggi UV si verifica sempre un decadimento generale e una riduzione nel peso secco. •NORMATIVE ODIERNE Il trattato di Montreal Sotto la spinta degli ambientalisti, nel 1987, 35 paesi aderenti alle Nazioni Unite sottoscrivono a Montreal un trattato internazionale per la protezione dello strato di ozono. Nel 1989 la Comunità Europea (ora Unione Europea), propone la messa al bando totale dei CFC ed il blocco totale entro la fine degli anni ’90. Grazie a ulteriori pressioni degli ambientalisti nel ’94 sono state avanzate proposte ancora più restrittive sull’eliminazione dei CFC, costringendo tutte le aziende europee ad accelerare la sostituzione dei fluidi frigoriferi con altri a basso potenziale di impoverimento dell’ozono. Grazie a queste misure l’emissioni di CFC sono calate dell’87% dal 1987, e si stima che intorno al 2040 il buco dell’ozono si sarà richiuso. FENOMENO:E’ un’alterazione dello stato dell’ambiente causata da Campi Elettromagnetici che sono irradiati dagli apparecchi elettronici quando sono in funzione. Le preoccupazioni maggiori sono associate ai campi che si trovano ai due estremi dello spettro di frequenza. I campi a bassissima frequenza possono influenzare il metabolismo cellulare e produrre danni gravi agli organismi viventi . CAUSE CONSEGUENZE RIMEDI Campi Elettromagnetici Campo elettrico:subisce Campo Magnetico:non Attenuazioni ( mura subisce attenuazioni domestiche) Le onde elettromagnetiche sono suddivise a seconda delle frequenze( numero di cicli o periodi nell’unità di tempo) in RADIAZIONI IONIZZANTI, che per l’elevata frequenza sono in grado di ionizzare direttamente la materia cedendo direttamente energia all’elettrone che abbandona il suo atomo e RADIAZIONI NON IONIZZANTI(NIR) come le onde radio AM e FM, i canali televisivi in banda VHF ed UHF, la telefonia cellulare con tutto il settore delle comunicazioni, i forni a microonde, il radar e cosi via., che non provocano tumori ma riscaldamento dei tessuti. L’effetto termico è tanto più intenso quanto maggiore è l’intensità della radiazione incidente sul corpo. Si misurano in hertz e sono prodotte da sorgenti in ambito: Industriale e medico: riscaldamento a microonde, sistemi radiolocalizzazione; Domestico ed uffici: elettrodotti, telefonia cordless, schermi televisivi; Ambiente esterno: elettrodotti, sistemi radio e telecomunicazioni, ponte radio CONSEGUENZE A lungo termine: campi elettromagnetici ad alta frequenza (antenne per cellulari.) Effetti riscontrati: tachicardia, dolor agli occhi, vertigini depressione, perdita di memoria,caduta di capelli,leucemie e malattie neurovegetative, variazione del numero di linfociti e granulociti. A breve termine: possono generare nell’uomo un effetto termico cioè un riscaldamento del corpo. Effetti riscontrati: variazione del metabolismo variazioni delle funzioni ghiandolari, del sistema immunitario,del sistema nervoso Centrale e del comportamento. Il decreto interministeriale 381/’98 fissa il limite di 6 volt/metro per esposizioni superiori a quattro ore al giorno. Le regole per l’installazione delle antenne devono essere scritte dalle Regioni. Con l’avvento di più gestori e il moltiplicarsi delle antenne è aumentata l’attenzione di alcuni comuni. Le antenne fuori legge: In Italia ci sono 50.000 antenne(12.500 per le radio, 21.000 per le TV e circa 13.500 per la telefonia mobile). Secondo le prime verifiche sul territorio da parte degli enti competenti, molte di loro hanno emissioni al di sopra dei limiti fissati nel 1998 per i dispositivi ad alta frequenza( 6 volt per metro per le zone abitate). Per l’esattezza, sono 152 i siti fuori norma. NEL TERRITORIO DI SAN GINESIO PASSA SOLO UN ELETTRODOTTO E SOLO PER UN TRATTO BREVISSIMO NEL TERRITORIO DI SAN GINESIO SONO PRESENTI RIPETITORI PER LA TELEFONIA MOBILE (WIND ED OMNITEL) A COLLE MAESTRELLO, OLTRE IL FIUME FIASTRELLA. L’aria a San Ginesio < Dal 4 Aprile al 1 Maggio una centralina istallata, in Via Matteotti,dall’ARPAM ha prelevato campioni di aria per monitorare la presnza in essa di idrocarburi aromatici: benzene, toluene, etilbenzene e xilene. Essi sono liberati durante la combustione dei derivati del petrolio, sono perciò indice dell’inquinamento da veicoli. La loro presenza nell’Aria unita alla loro elevata stabilità li rende molto pericolosi per la salute dell’uomo in quanto giungono inalterati fino alla vie respiratorie dove possono provocare danni alle cellule anche per il loro alto potere mutageno. Ecco i dati rilevati: Il benzene è una sostanza chimica liquida ed incolore dal caratteristico odore aromatico pungente. A temperatura ambiente volatilizza assai, cioè passa dalla fase liquida a quella gassosa. La molecola di benzene è costituita da 6 atomi di idrogeno e la sua e la sua formula chimica è C6H6. Il benzene in aria è presente praticamente ovunque, derivando da processi di combustione sia naturali ( incendi boschivi, emissioni vulcaniche ) che artificiali ( emissioni industriali, gas di scarico di veicoli a motore, ecc. ). Nell’aria dei centri urbani la sua presenza è dovuta quasi esclusivamente alle attività di origine umana, con oltre il 90% delle emissioni attribuibili alle produzioni legate al ciclo della benzina: raffinazione, distribuzione dei carburanti e soprattutto traffico veicolare, che da solo incide per circa l’ 80% sul totale. Questo inquinante viene rilasciato dagli autoveicoli in misura prevalente attraverso i gas di scarico e più limitatamente tramite l’evaporazione della benzina dalle vetture nelle fasi di trasporto, stoccaggio e rifornimento nonché nei momenti di marcia e arresto, compresa la sosta prolungata in un parcheggio. Il benzene è uno dei composti organici più utilizzati nel mondo. I livelli ambientali di benzene sono abbastanza bassi da non far temere la comparsa delle patologie denunciare in passato nei luoghi di lavoro, ma le informazioni a disposizione non sono ancora sufficienti per concludere che l’effetto complessivo sia trascurabile. L’ esposizione prolungata a bassi livelli di benzene è infatti correlata ad un aumento nella frequenza di insorgenza del cancro negli uomini. Al fine di approfondire la ricerca su questo tema e ottenere una più attendibile documentazione sul livello reale di esposizione della popolazione, i principali centri urbani italiani e del Veneto si sono dotati di strumenti di rilevazione del benzene in diversi punti della città. Quali sono le sorgenti di emissione del benzene? Il benzene viene prodotto su scala industriale principalmente attraverso processi di raffinazione del petrolio. In passato il benzene è stato ampiamente utilizzato come solvente nelle molteplici attività industriali e artigianali. La maggior parte del benzene oggi prodotto trova impiego nella chimica come materia prima per numerosi composti secondari, a loro volta utilizzati per produrre plastica, resine, detergenti, pesticidi, intermedi per l’industria farmaceutica, vernici, collanti, inchiostri, adesivi e prodotti per la pulizia. Il benzene è inoltre contenuto nelle benzine in cui viene aggiunto, insieme ad altri composti aromatici, per conferire le volute proprietà antidetonanti e per aumentarne il “numero di ottano” in sostituzione totale o parziale dei composti del Piombo. Traffico veicolare Circa l’ 80% delle emissioni di benzene sono legate alla combustione di benzina, risultando quindi direttamente riconducibili al traffico autoveicolare. La guida di autoveicoli comporta un’ esposizione proporzionale al tempo di guida, che risulta di circa 3-4 volte superiore a quella ambientale generale. L’importanza del traffico autoveicolare come fonte di inquinamento è testimoniata dal fatto che in popolazioni rurali la concentrazione di benzene nel sangue risulta significativamente più bassa rispetto a quella di chi vive in città. Va comunque segnalata l’importanza delle fonti domestiche, in grado, secondo alcuni autori, di condizionare i livelli biologici dell’inquinante più di quelle ambientali generali e autoveicolari in particolare. Fumo di tabacco Il fumo di tabacco rappresenta la maggiore fonte individuale di benzene per la popolazione generale non esposta professionalmente. Esso è presente nel fumo di una sigaretta in una concentrazione madia piuttosto rilevante: tanto che chi fuma 20 sigarette al giorno inala una quantità di benzene molto più elevata anche rispetto a chi si trova esposto a questa sostanza lungo strade molto trafficate per diverse ore al giorno. Nelle abitazioni di soggetti fumatori la concentrazione ambientale di benzene è del 30-35% superire a quella delle abitazioni dei non fumatori. Nell’organismo dei soggetti fumatori sono state individuate, inoltre, concentrazioni di benzene nel sangue circa doppie rispetto a quelle dei non fumatori. Il 99% circa del benzene viene assunto attraverso la via respiratoria. L’attività fisica è uno dei principali fattori che influenzano l’assorbimento del benzene. Come incide il benzene sulla salute? Il benzene è facilmente assorbito per inalazione, contatto cutaneo, ingestione, sia per esposizione acuta che cronica. Gli effetti tossici, tuttavia, hanno caratteristiche differenti e colpiscono organi sostanzialmente differenti in base alla durata dell’esposizione. Si possono distinguere effetti tossici acuti, associati a brevi esposizioni a livelli elevati di benzene, poco frequenti nell’ambiente di vita, ed effetti tossici cronici, associati a periodi di esposizione solare di maggiore durata e a basse dosi d’inquinante. L’intossicazione acuta accidentale da benzene fa seguito generalmente ad esposizione per via inalatoria e/o cutanea. Per esposizione acuta, gli organi bersaglio sono il sistema nervoso centrale ed il miocardio. L’effetto più noto dell’esposizione cronica riguarda la potenziale cancerogenicità del benzene sul sangue. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro classifica il benzene come sostanza cancerogena di classe 1, in grado di produrre varie forme di leucemia. La classe 1 corrisponde ad una evidenza di cancerogenicità per l’uomo di livello “sufficiente”. Idrocarburi San Ginesio < Inquinamento chimico < FENOMENO RIMEDI CAUSE EFFETTI: • SUI MATERIALI • SULLE PIANTE • SULL’ECOSISTEMA • SULL’UOMO • SULLA VISIBILITA’ Con il termine “piogge acide” si intende il processo di ricaduta dall’atmosfera delle sostanze tossiche presenti nell’aria. La combustione del carbone, del petrolio e degli altri idrocarburi, oltre a produrre anidride carbonica, produce altri agenti inquinanti quali il piombo, l’anidride solforosa, il biossido di azoto e vari ossidi di azoto. I combustibili fossili sono i più dannosi, perché bruciando, liberano anidridi acide che, venendo a contatto con l’acqua presente nell’atmosfera, producono l’acido solforoso(H2SO3), l’acido solforico(H2SO4), l’acido nitroso(HNO2) e nitrico(HNO3), l’acido carbonico(H2CO3), l’acido cloridrico(HCI). Queste sostanze, unendosi all’acqua, provocano l’abbassamento del PH e ricadono a terra sottoforma di precipitazioni (deposizioni umide). Gli acidi, invece di sciogliersi in acqua, possono essere trascinati dai venti e cadere sottoforma di deposizioni secche. Dalla Rivoluzione industriale, il fenomeno delle piogge acide è in continuo aumento a causa della grande quantità di anidride solforosa e di ossidi di azoto prodotti dal crescente consumo di combustibili fossili. Le maggiori deposizioni di piogge acide avvengono nelle regioni più industrializzate e in quelle caratterizzate da elevate precipitazioni, come le aree costiere e montuose. Di solito, la maggior parte dei composti di zolfo si depositano entro 2-4 giorni dall’emissione. Gli ossidi di azoto, invece, tendono a restare più a lungo nell’atmosfera per cui vicino alle fonti di emissioni si depositano quantità relativamente inferiori. A livello globale, le Nazioni più colpite sono il Canada, che per effetto dei venti riceve le piogge acide statunitensi, i Paesi Scandinavi e la Germania. In Italia, la costituzione geologica del terreno attenua in gran parte l’effetto di queste piogge; il fenomeno, infatti, interessa quasi esclusivamente la zona della Pianura Padana. Il meccanismo cosiddetto di ACIDIFICAZIONE è causato dagli ossidi di zolfo e dagli ossidi di azoto che entrano in contatto con l’acqua. Questo elemento è presente sottoforma di vapore nell’atmosfera e determina la formazione delle gocce, le quali, costituite da sola acqua, hanno un PH pari a 7,0 circa. A causa della dissoluzione dell’anidride carbonica, si produce l’acido carbonico; attraverso ciò, si ottiene un abbassamento del PH delle gocce a valori considerati naturali, ovvero circa 5,5. Il pH delle gocce si abbassa ancora di più in presenza di anidride solforica e di biossido di azoto, poiché reagisce formando acido solforico e nitrico. L’anidride solforosa si forma nell’atmosfera a partire dal biossido di zolfo. Gli ossidi metallici con i quali l’anidride solforica reagisce, anche grazie al contributo delle radiazioni luminose, portano alla catalizzazione e sono in prevalenza manganese e ferro. Questi, riescono a rigenerare la reazione del triossido di zolfo, con lo steso meccanismo con tutti i metalli. L’anidride solforosa, così prodotta, a contatto con l’acqua, dà luogo all’acido solforico. Tra le reazioni di ossidazione si possono distinguere 4 reazioni principali, le quali convergono tutte verso la formazione di acido solforico che solubilizza nel vapore acqueo. Gli ossidi di azoto a contatto con il vapore acqueo, portano invece, alla formazione dell’acido nitrico, secondo tre reazioni distinte. Grazie alla reazione per cui NO2 + O3 O2 + NO3 si arriva paradossalmente, ad un miglioramento della qualità dell’aria, per abbassamento di ozono nelle aree urbane, dove la concentrazione di questo, è solitamente elevata per la presenza di traffico veicolare. Per quanto riguarda gli effetti sui materiali prodotti dalle piogge acide, queste attaccano quotidianamente le strutture edili, provocando dei seri danni al patrimonio culturale del nostro Paese. Sono di due tipologie i danni che le piogge acide provocano: · I danni causati da un’azione di tipo corrosivo · I danni causati da un’azione di tipo metallico, attraverso la quale il materiale interessato, è reso sempre più friabile. Attraverso il processo di condensazione del vapore acqueo, gli inquinanti presenti nell’aria, vengono a diretto contatto con i materiali e si sciolgono nell’acqua. Maggiori danni sui materiali si possono verificare nel caso in cui un aumento di temperatura, favorisca l’evaporazione dell’acqua di condensa: i contaminanti dell’aria si troverebbero, infatti, a contatto delle superfici ad una concentrazione molto più elevata. (l’azione delle piogge acide risulta particolarmente evidente su questa statua realizzata in Westphalia; la foto a sinistra è stata scattata nel 1908, mentre la foto a destra è stata scattata nel 1968; sono passati solo 60 anni) Le piogge acide danneggiano il patrimonio vegetale del Pianeta. Ad esempio le foreste sono esposte in modo continuo alle piogge acide e risultano particolarmente danneggiate, possono manifestare una riduzione dell’attività di fotosintesi, con un rallentamento della crescita ed erosione della cuticola che riveste l’epidermide con necrosi dei tessuti fogliari. Anche i terreni agricoli possono subire effetti dannosi; alterando la composizione chimica del suolo, le piogge acide lo acidificano rendendolo inospitale per molte piante e determinando la selezione di microrganismi acidofili. Se non interverranno le INVERSIONI di TENDENZA, molte foreste saranno distrutte e questo provocherà l’ESPANSIONE DEL FENOMENO CARSICO (penetrazione dell’acqua nel sottosuolo) e quindi il terreno tenderà ad inaridirsi, provocando così il fenomeno della SICCITA’ e l’ARIDITA’ DEI SUOLI. Senza la presenza delle piante il CLIMA tenderà a cambiare favorendo l’avanzata della desertificazione e la gravità di fenomeni come le inondazioni, le tempeste e gli uragani. Le foglie sono la sede degli scambi gassosi. Attraverso gli stomi i gas penetrano all’interno delle foglie dove si sciolgono, poi, diffondesi, si accumulano in concentrazioni tossiche. Gli effetti più dannosi sono dovuti a: · ANIDRIDE SOLFOROSA: provoca effetti acuti caratterizzati da zone di necrosi sulle foglie che prima si seccano, poi si scoloriscono assumendo una colorazione avorio-marrone; effetti cronici caratterizzati da un graduale ingiallimento delle foglie, dovuto ad un impedimento del meccanismo di formazione della clorofilla. In particolare l’anidride solforosa colpisce anche muschi e licheni. · PIOMBO · OZONO: l’azione nociva sulle piante si rivela sottoforma di macchie bianche o puntini sulla superficie delle foglie, appaiono bruciature all’estremità dei germogli, una malattia del pino bianco e si scoprì che questa è in relazione con la presenza di ozono · OSSIDO DI CARBONIO Gli effetti degli inquinanti acidi sull’ecosistema variano a seconda delle caratteristiche delle aree interessate. · I suoli con rocce calcaree sono in grado di neutralizzare l’acidità per la presenza dei carboidrati che permettono di mantenere costante il pH. · I terreni più sensibili sono quelli derivati da rocce cristalline come il granito e le quarziti. I suoli poveri o privi di calcare, subiscono l’impoverimento del terreno a causa degli inquinanti acidi. Nel suolo avviene lo scambio digli ioni idrogeno, liberati dagli acidi con i cationi. Il processo comporta la liberazione nel terreno degli ioni metallici che sono tossici per le piante. L’abbassamento del pH nel terreno, inoltre, può anche causare la compromissione di molto processi microbiologici come l’azotofissazione. Anche i corpi idrici sono soggetti ai fenomeni di acidificazione e le conseguenze sugli organismi acquatici possono essere sia dovute alla tossicità delle acque, che alla scomparsa dei vegetali o delle prede. (come si può chiaramente vedere dal grafico, al diminuire del pH scompaiono diverse specie presenti nei corpi idrici) Le precipitazioni acide non rappresentano un pericolo diretto per la salute umana. Invece possono insorgere dei danni alla salute, nel caso in cui si nutra di alimenti provenienti da acque acide, per esempio pesci che abbiano accumulato nel loro corpo grandi quantità di metalli tossici liberati dai suoli e dilavati nelle acque per effetto di acidificazione. I danni più gravi sono provocati dagli inquinanti che causano le piogge acide. Questi gas interagiscono nell’atmosfera formando delle particelle di solfati e nitrato che possono essere trasportate anche a grandi distanze dai venti; queste particelle possono essere inspirate e penetrare nei polmoni. Le particelle più fini possono anche penetrare all’interno degli edifici e contribuire in questo modo al peggioramento della qualità dell’aria Le emissioni di ossidi di azoto reagiscono con i composti organici volatili causando la formazione dell’ozono. Uno dei maggiori danni provocati è il restringimento temporaneo dei bronchi: la respirazione diventa difficoltosa e aumenta l’irritazione agli occhi; tali disturbi colpiscono soprattutto gli anziani, gli affetti da malattie cardiache e i soggetti con problemi polmonari. La visibilità, fenomeno anche denominato “range visivo”, è ridotta dall’assorbimento e dalla riflessione della luce, dovuta sia alla presenza dei gas che delle particelle dell’aria. Comunque, è la riflessione della luce causata dalle particelle, il fenomeno più importante. Le capacità ottiche dell’uomo, specialmente in ambiti industrializzati, si riducono vertiginosamente a causa delle emissioni di biossido d’azoto e ossidi d’azoto presenti nell’atmosfera. La causa principale è ricondotta all’acido solforico che forma particelle fini di solfato d’ammonio o calcio; altre aggravanti sono rappresentate dall’umidità e dal particolato carbonioso. Liceo Linguistico “A.GENTILI” SAN GINESIO Gruppo B • Marziali Fabrizio • Alzapiedi Laura • Pettinari Lucia • Bernabei Sebastiano • Pettinari Sonia • Boncagni Giulia • Porfiri Lorenza • Carucci Alice • Quassinti Chiara • Cruciani Filippo • Rossi Sofia • Cupillari Francesca • Rozzi Sara • Fabiani Aurora •Taccari Alessandra • Frolloni Marco • Ventura Rossella • Mariotti Marta • Verdicchio Susanna • Mariotti Sara • Perez Mariela Coordinato da: Prof.sse Angela Maria Bolici e Maria Pandolfo Si stabilisce che i Paesi industrializzati (responsabili di oltre il 70% delle emissioni globali di gas serra) entro il 2008-2012 riducano le proprie emissioni nella misura del 5,2% rispetto ai livelli del 1990. Si tratta di un compito particolarmente gravoso, anche dal punto di vista economico, perché richiede un cambiamento nei sistemi energetici e in altri settori (minore consumo di combustibili fossili, maggior utilizzo di fonti energetiche rinnovabili o meno inquinanti come il gas naturale) con ingenti investimenti per lo sviluppo di nuove tecnologie ad alta efficienza e basso impatto ambientale. Indubbiamente, è opportuno che la comunità internazionale sia concorde nel definire che anche se oggi le emissioni di gas serra dovessero ridursi a zero, passerebbero ancora molti anni prima che le concentrazioni di questi gas vengano riportate ai livelli precedenti allo sviluppo industriale, a causa dei lunghi periodi di permanenza nell’atmosfera di questo tipo di emissioni. L’ecodiplomazia dopo questa conferenza firmò l’accordo di Copenaghen, che perfezionando il Protocollo di Montreal sui CFC, ne stabilì il bando totale entro il 1996 e date più distanziate nel tempo per eliminare altri composti chimici dannosi all’ozonosfera. CONVENZIONE DELLE NAZIONI UNITE , 1994, per combattere la desertificazione (UNCCD). • PROTOCOLLO DI KYOTO, 1997, sui cambiamenti climatici. Gli stati industrializzati firmatari si impegnano a ridurre entro il 2010-2012 le emissioni di gas serra a un livello inferiore a quello raggiunto nel 1990. • VERTICE MONDIALE DI JOHANNESBURG, 2002, dove si rinnovano gli impegni presi a Rio in materia di tutela dell’ambiente e aiuto allo sviluppo, ma senza alcuna cornice legale o normativa che ne obbligasse l’attuazione. I successi dell’ecodiplomazia si sono ottenuti in un numero limitato di casi, come negli accordi riguardanti la difesa dell’ozonosfera, la tutela dell’integrità dell’Antartide, l’inquinamento atmosferico transfrontaliero. Gli ostacoli incontrati sono stati gravi e spesso insormontabili nella vaghezza degli impegni fissati dai trattati, nella inadempienza dei paesi più ricchi a fornire aiuti finanziari e tecnici promessi, nell’inesistenza di strumenti atti a imporre anche coattivamente agli stati contraenti il rispetto degli impegni assunti. Dopo il deludente risultato di Joannesburg, il primo buon risultato ottenuto dall’ecodiplomazia è stato, nel febbraio 2005, quello dell’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto: sebbene continuasse a mancare a esso l’adesione del paese maggiormente responsabile dell’inquinamento atmosferico da gas serra, ossia gli Stati Uniti, e sebbene l’obiettivo fissato nel 1997 fosse in sè modesto, il perseguimento di esso parve offrire un terreno di iniziativa comune alle politiche ambientali degli stati e all’azione dei movimenti ecologisti, che nei primi anni del nuovo secolo non ha cessato di manifestarsi e intensificarsi. Il sistema energetico italiano versa ormai da decenni in condizioni critiche. Il bilancio energetico complessivo, in seguito alla rinuncia dell’energia nucleare, dipende dall’importazione di fonti energetiche per l’82% del fabbisogno, con una spesa annua che nel 2003 ha superato i 30 miliardi di euro. Il fabbisogno nazionale è coperto per il 65% attraverso il ricorso agli idrocarburi. La situazione è ancora più grave nel sistema elettrico, dove la dipendenza dall’estero raggiunge l’84% e la dipendenza dagli idrocarburi il 75(L’Italia brucia più petrolio per produrre energia elettrica di quello impiegato per lo stesso scopo in tutti gli altri paesi europei messi assieme). Tutto ciò condiziona pesantemente la capacità dell’Italia di competere sui mercati internazionali perchè il costo dell’energia è troppo alto per le industrie Inoltre pone all’Italia rilevanti problemi di salvaguardia dell’ambiente e rende di fatto irraggiungibili gli obiettivi di riduzione delle emissioni previsti dal Protocollo di Kyoto. Secondo le valutazioni del Ministero dell’Ambiente, attuare il Protocollo di Kyoto costerebbe all’Italia 360 dollari per abitante, contro i 5 della Germania(33% nucleare) e i 3 della Francia(78% nucleare). In assenza dell’unica alternativa valida, il nucleare, ai combustibili fossili, la politica energetica italiana si avviò all’incentivazione delle fonti rinnovabili: quelle classiche(idroelettrica, geotermica) e quelle nuove( solare termico, fotovoltaico, eolico, biomasse, biocombustibili, combustibile derivato dai rifiuti). Si stima in circa 99.000 miliardi di lire l’impegno complessivo sostenuto dallo Stato nel periodo 1981-2002 per l’incentivazione delle fonti rinnovabili (provvedimento CIP 6/92). A fronte di questo impegno , secondo i dati del 2003, le fonti rinnovabili ( prevalentemente classiche, quelle nuove solo 0,2%) contribuiscono per il 6,5% alla copertura del fabbisogno energetico complessivo dell’Italia. In riferimento alla produzione di energia elettrica, le fonti rinnovabili hanno fornito complessivamente il 17,9%( 15,6% idroelettrico,1,8% geotermico, nuove fonti rinnovabili 0,5%). Il mancato decollo delle nuove fonti rinnovabili è legato ai limiti fisici che le caratterizzano: -la bassa densità di potenza, che vincola all’impiego di superfici molto estese e impedisce il conseguimento di significative economie di scala; -i problemi di affidabilità, che comportano costosi interventi di manutenzione e di sostituzione; -spiccata aleatorietà, che rende comunque necessaria la realizzazione di impianti convenzionali sostitutivi per i periodi di indisponibilità. Le nuove fonti rinnovabili possono certamente fornire un contributo importante in un’ottica di razionalizzazione dei consumi energetici, ma sono destinate dalla termodinamica ad avere un ruolo “integrativo”, non “sostitutivo”, rispetto alle fonti fossili e al nucleare. La scelta fatta dall’Italia è rispettabile ma si potrà continuare a rinunciare al nucleare? Il prezzo del petrolio aumenta , le riserve si assottigliano, la domanda di energia cresce e l’Italia si fa luce con il nucleare degli altri. E’ ora che il problema energetico venga affrontato non solo sul piano ideologico ma seriamente sul piano tecnico ed economico. Nelle Marche la produzione di energia in loco è una necessità impellente e non un optional, quindi, bisogna sfruttare tutte le fonti nella misura in cui sono disponibili, installando le centrali in luoghi dove è garantita una redditività accettabile e dove sono compatibili con l’ambiente circostante. Per questo il governo regionale dovrà farsene carico al più presto, studiando soluzioni basate sui dati relativi all’effettivo fabbisogno di energia elettrica, nonchè, cercando di: -installare le centrali in luoghi dov’e’ garantita una redditività accettabile e dove siano compatibili con l’ambiente circostante; -promuovere campagne informative sui vantaggi e sugli svantaggi di ognuna delle soluzioni possibili dirette verso i comuni e le province, ma soprattutto verso i cittadini stessi. Le centrali eoliche esistenti in Italia sono circa 1200, ma si pensa già di costruirne delle nuove, specialmente nei territori montani (sopra i 1200 s.l.m.) di Sicilia, Basilicata, Puglia e Abruzzo. Nelle Marche i progetti finora presenti prevedono la realizzazione di 303 aereogeneratori dei quali 294 riguardano i rilievi dell’Alto Maceratese, anche al confine con il Parco Nazionale dei Monti Sibillini. L’energia eolica anche se risulta al momento essere quella economicamente più conveniente, non risparmia danni ambientali. Gli aereogeneratori dell’ultima generazione superano i 100 m d’altezza, con le pale di 40m, le quali, quando girano, producono un rumore avvertibile fino a 3km di distanza. Nei dintorni, per questo, non vola nessun uccello. Le pale pesano più di 200 tonnellate e richiedono, per stare in piedi, fondamenta di grandi dimensioni, nonché la realizzazione di strade assai larghe per rendere possibile il traffico da parte degli autotreni e delle macchine per effettuare i lavori. Gli sbancamenti sono poderosi e devastano pascoli prati e boschi con lo stravolgimento tra l’ altro della circolazione delle acque. Gli impianti eolici hanno una potenza complessiva di oltre 14000 megawatt. Nel nostro Paese il paesaggio montano risulterà quindi irrimediabilmente compromesso,senza raggiungere risultati efficienti e positivi poiché l’energia prodotta in questo modo non soddisfa comunque il fabbisogno, non essendoci venti costanti come nei paesi del nord. In conclusione occorre che le Regioni varino piani energetici nel pieno rispetto dei valori ambientali e, nel frattempo, si imponga una moratoria alla realizzazione di nuovi impianti eolici. C’è chi ritiene che il fabbisogno di energia elettrica si può soddisfare con la diffusione capillare dei pannelli solari. Il solare termico è già abbastanza usato ma non si può dimenticare che il costo di tali impianti è piuttosto elevato, l’impatto visivo che creano non è affatto trascurabile e tutt’altro che facile è lo smaltimento dei pannelli solari una volta giunti alla fine del loro ciclo di vita. Secondo noi va rivolta l’attenzione sulla legge, varata dal governo Berlusconi, ancora poco conosciuta, sull’ incentivazione dell’energia prodotta da sistemi fotovoltaici. Come avviene ormai da anni in Germania , Spagna ed altri Paesi europei, anche in Italia si potrà vendere, alla rete elettrica locale, energia elettrica prodotta da sistemi fotovoltaici. Chiunque, pubblico , privato o azienda, produca energia elettrica fotovoltaica, sia che la consumi o che la convogli in rete, riceverà un corrispettivo circa triplo di quello pagato finora. Infatti, tutta l’energia elettrica prodotta dai sistemi fotovoltaici verrà pagata , d’ora in poi e per 20 anni, o,45 euro/KWh per gli impianti da 1 a 20 KWp e 0,47 euro /KWh per gli impianti da 20 a 50 KWp( finora era pagata 0,18 euro/KWh). La stessa energia elettrica da fonte fotovoltaica potrà essere usata per alimentare le utenze di casa, mentre l’energia prodotta in eccedenza verrà immessa nella rete elettrica locale,ed il corrispettivo sarà scalato dalla bolletta della corrente. La grande novità è che non sono più previsti contributi a fondo perduto per gli impianti, poichè l’incentivo si sposta sull’energia. Quindi, più energia pulita si produce più si guadagna. I contributi saranno prelevati da un fondo(A3) che già paghiamo in bolletta, indipendentemente dal consumo di elettricità, destinato a finanziare le fonti rinnovabili e usato invece fino ad oggi per la cogenerazionene e il carbone nucleare. Un sistema fotovoltaico da 2KWp(16 metri quadrati di moduli) sufficiente per un nucleo familiare, produce nel Centro Italia circa 2.600KWh/anno di energia elettrica pulita. Il vantaggio economico è di 1.640 euro/anno e dato che il prezzo di un impianto da 2KWp è di circa 15.000 euro, dopo 9 anni si rientrerà nell’investimento e si comincerà a guadagnare. Inoltre, le abitazioni dotate di questi impianti saranno certificate, ed avranno un valore superiore sul mercato. Il solare/fotovoltaico può risolvere il problema del futuro dell’energia mondiale perchè è un energia sicura, pulita, praticamente inesauribile e soprattutto “democratica”( il sole appartiene a tutti e la sua energia è maggiore nei paesi più poveri del pianeta). E’ anche un’energia “rivoluzionaria”, perchè chiunque potrà riceverla e produrla a sua volta, senza bisogno di “mediazioni”da parte delle multinazionali dell’energia. I pannelli solari termici catturano l'energia del Sole e la utilizzano per produrre acqua calda (fino a 60-70 gradi centigradi) che, accumulata in un apposito serbatoio, può essere utilizzata sia per gli usi domestici (per esempio per il riscaldamento delle abitazioni e dell'acqua) sia per quelli industriali sia per la produzione di energia elettrica su vasta scala attraverso le centrali termoelettriche solari. Il sistema a pannelli solari è composto da due elementi: il pannello solare vero e proprio e il serbatoio d'accumulo. Il primo è composto da un assorbitore di calore solare, ossia da una lastra d'acciaio o di rame, all'interno della quale passano i tubi in cui scorre il fluido che deve essere riscaldato dal Sole: in genere si tratta di acqua addizionata con antigelo per tollerare il freddo invernale. Sopra l'assorbitore è posta una lastra di vetro che fa passare i raggi solari in entrata, ma non li fa uscire, in modo che l'ambiente sottostante si mantenga caldo. Il serbatoio contiene uno scambiatore di calore che permette di trasmettere il calore dal liquido riscaldato nell'assorbitore all'acqua dell'impianto idraulico di casa. I pannelli solari termici vengono installati in posizione fissa, se possibile orientati verso sud, in modo da ricevere la massima quantità di radiazioni. Un metro quadrato di collettore solare può scaldare da 40 a 300 litri di acqua al giorno a 45-60 gradi centigradi. L’ efficienza varia a seconda delle condizioni climatiche e della tipologia del collettore dal 30% all’ 80%. Il rendimento dei pannelli solari è aumentato negli ultimi dieci anni di circa 30%. I collettori a concentrazione sono pannelli solari termici che utilizzano un sistema di specchi che riflette i raggi del Sole facendoli convergere su un ricevitore. L'energia termica così prodotta può essere direttamente inviata agli utilizzatori. Oppure il calore prodotto dai vari concentratori solari può azionare i motori che sono attivati dal calore a medie e alte temperature (per esempio per pompare acqua o altre applicazioni meccaniche). L'energia termica può anche essere trasformata in energia elettrica grazie a centrali termoelettriche solari. In questi impianti l'energia termica catturata dai collettori viene impiegata per trasformare l'acqua in vapore che, a sua volta, aziona una turbina accoppiata ad un generatore di energia elettrica . Esistono anche pannelli solari termici detti collettori a tubi sottovuoto che sono composti da tubi di vetro speciale sottovuoto, ricoperti da uno strato che trasforma la luce solare in calore. A differenza dei pannelli a piastra, questa tipologia di collettori sottovuoto non conduce calore (essendo l'aria il migliore isolamento), per cui non si verificano perdite e pertanto il loro rendimento è superiore. Quindi questi collettori richiedono una minore superficie espositiva rispetto alle altre tipologie di pannelli e sono capaci di trattenere il calore accumulato anche in condizioni atmosferiche molto rigide, garantendo prestazioni elevate e costanti durante l'intero arco dell'anno. Per questi motivi possono essere utilizzati anche in zone con un'insolazione medio-bassa o con condizioni climatiche particolarmente rigide durante l'inverno, come in alta montagna o nei paesi nordici. Gli impianti per la produzione di energia idroelettrica a livello locale esistono già e sono produttivi ed efficienti. Speriamo che l’Enel, per risparmiare, non trasformi queste centrali idroelettriche con quelle a carbone, molto più inquinanti ed obsolete , come ha già fatto in altri luoghi. L’idroelettrica è una forma di energia pulita. Gli impianti idroelettrici sfruttano l’energia potenziale posseduta nell’acqua che si trova a quote più alte e poi si muove verso valle come piccoli fiumi, canali o corsi d’acqua, in energia elettrica. Ogni impianto idroelettrico è formato essenzialmente da: un sistema di raccolta dell’acqua, costituito da una diga o da una traversa; da un canale o una galleria di derivazione, per il convogliamento dell’acqua; da un pozzo piezometrico; da una condotta forzata, per l’adduzione dell’acqua; da una turbina che trasforma l’energia potenziale dell’acqua in energia meccanica; da un alternatore che converte l’energia meccanica della turbina in energia elettrica. Questi impianti non inquinano come quelli termoelettrici, che immettono nell’atmosfera 600 grammi di CO2 per ogni KW/h prodotto, e anche se hanno un certo impatto ambientale sul territorio con la costruzione di laghi artificiali possono anche valorizzare lo stesso territorio favorendo lo sviluppo di attività turistiche, sportive e produttive che possono coesistere con lo sfruttamento idroelettrico. Altri vantaggi sono legati alla possibilità di accumulare l’acqua e di modularne la restituzione sull’alveo del fiume a valle, evitando così fenomeni alluvionali oltre alla prospettiva di poter ottimizzare l’impiego della risorsa idrica realizzando una gestione integrata dell’acqua per gli usi: potabile, irriguo, idroelettrico ed industriale. Nel bacino imbrifero del Chienti-Fiastrone, che ha una superficie di 1.256kmq ed i cui corsi hanno un regime torrentizio , breve percorso e forti pendenze, a partire dagli anni 20( Bolognola) e poi 50-60 (Valcimarra, Belforte 1 e 2, Macerata, Civitanova) sono state realizzate delle centrali idroelettriche tuttora funzionanti. Esse producono energia elettrica sufficiente a rifornire completamente la città di Macerata ,67.000.000 KW/h . Quella di Valcimarra risulta essere la più produttiva delle Marche (28.000KW/h) e del Centro Italia dopo quella di San Giacomo che è anche la più grande di tutta Europa, ed è posta sotto il Massiccio del Gran Sasso. Si accede ad essa tramite 2km di galleria ed è dotata di gruppi reversibili che di giorno turbinano e producono corrente e di notte ripompano l’acqua nel bacino quando il costo della corrente è praticamente nullo) Esse attualmente sono gestite dall’ENEL PRODUZIONE, nucleo idroelettrico di Ascoli, e sono controllate da Montorio al Vomano- Teramo, come tutte le centrali idroelettriche del Centro Italia. Esse attualmente sono gestite dall’ENEL PRODUZIONE, nucleo idroelettrico di Ascoli, e sono controllate da Montorio al Vomano- Teramo, come tutte le centrali idroelettriche del Centro Italia. Le opere di presa che alimentano le centrali sono così strutturate: Nel comune di Bolognola c’è uno sbarramento di tipo fluviale costituito da una traversa in calcestruzzo della lunghezza di m 4,98 e dell’altezza di m 3. In sponda destra è realizzato un canale lungo m 25 che raccoglie le acque di alcune sorgenti e le convoglia verso lo sbarramento. La bocca di presa, ricavata in sponda sinistra, è costituita da una luce delle dimensioni di m 1,55 x 0,75 ed è intercettata da una paratoia piana in legno delle stesse dimensioni. A valle della bocca di presa è situata una vasca di calma, cui si raccorda la galleria di derivazione protetta all’imbocco, da una griglia metallica inclinata trapezoidale. Sul fianco destro della vasca è ricavata un’opera di scarico e di sghiaiamento, costituita da un’unica paratoia piana in legno da m 1,22 x 0,65 dalla quale le acque scaricate vengono fatte defluire nel fiume Fiastrone attraverso un canaletto lungo m 9,50. Nel fosso Acquasanta c’è un’altro sbarramento di tipo fluviale, costituito da una traversa in calcestruzzo della lunghezza di m 15 e dell’altezza di m 12. A valle della traversa è realizzato un manufatto ad arco in calcestruzzo in seno al quale è ricavata una luce da m 1,00 x 2,00 per scaricare eventualmente le acque in eccesso. Sulla sponda sinistra è ricavata un’opera di presa costituita da una luce da m 1,00 x 1,00 protetta da una griglia metallica inclinata delle medesime dimensioni. Dalla luce si diparte un breve cunicolo che si congiunge con la galleria di derivazione ricavata nel corpo della traversa dello sbarramento e proveniente dalla presa sul fiume Fiastrone. Nel comune di Fiastra il fiume Fiastrone è stato sbarrato da una diga ad arco gravità con struttura in calcestruzzo cementizio pressochè simmetrica, con pulvino perimetrale e tampone con breve spalla in destra ( altezza del piano di coronamento sul punto più depresso della fondazione 87m; spessore al centro del coronamento 3,35m; spessore al centro nel punto massimo alla fondazione 31m; sviluppo al coronamento 254m; quota di massimo invaso 640m; quota di massimo svaso 598m; capacità utile circa 20.000.000 metri cubi con coefficiente energetico pari a 0,838kWh/metri cubi). L’opera di presa è ricavata in sponda sinistra; l’imbocco, protetto da una griglia a sacco sollevabile a mezzo argani disposti in cabina a m 652,00 è costituito da una luce a sezione rettangolare delle dimensioni di m 4,80 x 3,20 a cui si raccorda la galleria di presa del diametro di m 3,70. A circa m 46 dall’imbocco sono situati gli organi d’intercettazione della galleria di derivazione costituiti da una paratoia a saracinesca da m 1,40 x 1,60 con comando oleodinamico e da una valvola a farfalla da m 1,60 di diametro dotata di comando oleodinamico e automatico a mezzo palmola. Tra l’imbocco della presa e gli organi di chiusura è ricavata una luce dalla quale ha origine la galleria dello scarico intermedio. Sempre sul fiume Fiastrone nei comuni di Camerino e Pievebovigliana c’è lo sbarramento di Polverina, costituito da una diga in terra completata in sponda sinistra da un’opera di smaltimento delle piene. La diga presenta uno sviluppo longitudinale rettilineo ed è realizzata in materiale sciolto, con fondazione su materiale alluvionale che ricopre il fondo della valle (quota 375 circa). Realizza la impermeabilità della diga un nucleo centrale in materiale limo-argilloso largo m 3 alla sommità e m 9 alla base, mentre la tenuta è assicurata da un diaframma di calcestruzzo parzialmente armato, dello spessore di m 0,50 che si incastra fra il nucleo suddetto e le marni sottostanti (altezza del piano di coronamento sul punto più depresso della fondazione 27,50m; sviluppo totale del coronamento 362,40m; volume totale del rilevato 321.000 metri cubi; quota di massimo invaso 400 m; quota di massimo svaso 392 m; capacità totale 5.811.000 metri cubi; capacità utile 4.22100 mc, coefficiente energetico pari a 0,308KWh/mc). L’opera di presa è ricavata in sponda sinistra, in fregio all’opera per lo smaltimento delle piene; costituita da un’unica luce delle dimensioni di 5,00 x 5,00 m protetta da una griglia metallica con soglia a quota 387,56. Dalla bocca di presa si diparte la galleria di derivazione subito intercettata da una paratoia piana da m 2,60 x 3,30 dotata di comando oleodinamico e manuale. Lo scarico di superficie è ricavato in sponda sinistra (n.2 luci con soglia a q.395,00 ciascuna intercettata da una paratoia piana automatica da m 7,00 x 3,20 nella parte inferiore e da una paratoia a ventola automatica da m 6,56 x 1,80 nella parte superiore. Subito dopo le luci è disposto uno scivolo di calcestruzzo lungo m 73,30 in proiezione orizzontale, terminante in vasca di calma a q. 373,00 a sezione trapezoidale di m 28,30 di base superiore, di m 16 di base inferiore e di m10 d’altezza. La portata massima complessiva di scarico è 346mc/sec. Lo scarico di fondo è disposto nella parte centrale del manufatto murario dello scarico di superficie; costituito da una galleria di m 3 di diametro, lunghezza m 30 con soglia d’imbocco e sbocco a q. 383. La galleria si immette nella vasca di calma situata a valle dello scarico di superficie. A circa m 5 dall’imbocco la galleria è intercettata da 2 paratoie piane, in serie, da m 2,50 x 2,00 ciascuna con comando oleodinamico da una cabina di manovra situata a q. 402. La portata massima dello scarico è 75 mc/sec. Nei comuni di Serrapetrona e Caldarola c’è lo sbarramento di Borgiano, costituito da una diga a gravità in calcestruzzo, occupante la gola fluviale dalla quota di fondazione in alveo 267,00 alla quota di cresta 298,40, affiancata da due muri laterali, pure a gravità di calcestruzzo con la stessa quota di sommità; quello di sinistra termina direttamente contro il terreno, quello di destra dopo ampia curva di raggio 43,66mt si innesta contro l’argine che costituisce la seconda parte dello sbarramento. L’opera di presa è ricavata in sponda sinistra del bacino, a mt 70 a monte della diga; l’imbocco, protetto da una griglia metallica inclinata delle dimensioni di mt 4,50 x 4,50 è costituito da una luce del diametro di mt 3,24 cui si raccorda un breve tratto della galleria di presa intercettato da una griglia a sacco da mt 2,80 x 3,80 sollevabile mediante argano idrodinamico, e da n.2 paratoie piane, in serie, da mt 1,80 x 2’80 cad., con comando idraulico la prima e automatico a mezzo palmola, oltre che idraulico, la seconda. I dispositivi di comando degli organi di intercettazione sono situati in una cabina di manovra sistemata in prossimità della strada statale n.77 “Val di Chienti” , delle dimensioni di mt4,35 x 4,00. Lo scarico di superficie è ricavato sul corpo della diga; costituito da una paratoia a ventola a funzionamento e a comando automatico, delle dimensioni di mt 9,00 x 3,50 con soglia a q. 293,40. La paratoia scarica in uno scivolo che si raccorda con la platea, delimitata lateralmente da due muri di contenimento. La portata massima di scarico è di 99 mc/sec con invaso a q 297,00. Gli scarichi di fondo sono situati simmmetricamente ai due lati dello scarico di superficie; Essi sono costutuiti da due condotti gemelli a sezione quadrata delle dimensioni di mt. 3,00 x 3,00 cad., che attraversano il corpo della diga con soglia d’imbocco a quota 275,00. Ogni condotto è intercettato da una paratoia piana da mt. 3,50 x 3,00 a manovra oleodinamica con asta e pistone, quest’ultimo collocato sul coronamento della diga. A monte delle paratoie sono disposti i gargami per i panconi, anch’essi manovrabili dal coronamento. La portata massima di ciascuno scarico è 149,50 mc/sec.. Lo scarico di esaurimento è costituito dalla galleria di derivazione provvisoria del diametro di mt. 2,50 che attraversa lo sperone roccioso della sponda destra per una lunghezza di mt 109’54 pendenza 1% e sbocco a circa mt. 66 a valle della diga con soglia a q. 273,00. Alla progressiva 43,50 mt a q. 273,75 sono disposte n.2 paratoie piane , in serie, da mt 1,50 x 1,50 cad. a funzionamento oleodinamico con cabina di manovra a q. 277,72 alla quale si accede mediante pozzo verticale, situato subito a valle della diga. La portata massima di scarico è 50 mc/sec.. Nel comune di Belforte del Chienti c’è lo sbarramento S. Maria, costituito , in corrispondenza dell’alveo fluviale, da una traversa mobile e in sponda destra da un argine in terra. La traversa , con parte fissa in calcestruzzo , è corredata da n.2 paratoie a settore da mt. 12,00 x 6,00 cad., con soglia a q 232,50, dotate di comando manuale ed elettrico in loco e aventi il duplice scopo di scarico di superficie e di fondo per una portata complessiva di 600 mc/sec.. L’argine, con quota al coronamento 240,50, presenta un nucleo centrale in miscela di marna e calcare largo mt.2 in sommità e mt.4,50 alla base, in L’opera di presa è ricavata in sponda sinistra del bacino; l’imbocco è costituito da n.3 luci da mt. 4,60 x 4,40 cad., con soglia a q. 234,50 , protette da altrettante griglie mewtalliche delle medesime dimensioni. Dalla bocca di presa si diparte la galleria di derivazione intercettata da una paratoia piana da mt. 2,50 x 3,00 dotata di comando manuale. Nel comune di Pollenza c’è uno sbarramento di tipo fluviale costituito da una traversa in legno della lunghezza di mt. 105,50 e dell’altezza di mt. 5’63 e in sponda sinistra da da un’opera per lo smaltimento delle piene. Lungo il canale derivatore , a circa 78 mt. dalla presa, è situata una griglia delle dimensioni di mt 8,00 x 3,00; a monte di questa , sulla sponda destra del canale, è ricavata una soglia sfiorante lunga mt. 32, alle cui estremità sono situati due scarichi di fondo, costituiti da n.2 paratoie delle dimensioni rispettivamente di mt.1,90 x1,60 per quella a monte e mt. 1,25 x 1,40 per quella a valle. Sia la soglia che i due scarichi immettono in un cunicolo lungo mt. 96 attraverso il quale l’acqua sfiorata e scaricata si riversa nel fiume Chienti ( portata 26 mc/sec.). Descriviamo ora la centrale di Valcimarra essendo essa la principale dell’asta Fiastrone-Chienti. L’acqua che proviene dal Chienti, e precisamente dal lago di Polverina, e quella proveniente dal Fiastrone, e precisamente dal lago di Fiastra, tramite condotte forzate giunge alle turbine ( 1 e 2 ) dove viene trasformata in energia meccanica, poi successivamente nei rispettivi alternatori in energia elettrica. L’acqua che esce dalle turbine torna nuovamente all’esterno e viene immessa nel fiume. La corrente alternata prodotta viene trasformata in corrente ad alta tensione da quattro trasformatori posti all’aperto, che poi la distribuisce tramite quattro linnee di alta tensione a Camerino, Cappuccini, Abbadia 1 e Abbadia 2. La tutela dell’ambiente è una delle attività di organismi internazionali come l’Unione Europea e l’ONU . Dal 1984 l’ONU ha organizzato una commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo con il fine di provvedere alla tutela dell’ambiente insieme allo sviluppo delle industrie. Questo problema riguarda tutti gli Stati del mondo nel loro complesso. In passato alcuni eventi,come la distruzione della foresta Amazzonica o la fuga di sostanze radioattive dalla centrale nucleare di Chernobyl, hanno evidenziato il bisogno di una politica globale in materia di ambiente, poiché esso costituisce il patrimonio comune di tutta l’umanità. L’ONU ha contribuito alla realizzazione di alcuni importanti trattati internazionali dedicati proprio all’ambiente. La tutela dell’inquinamento atmosferico, per il quale sono state stipulate numerose convenzioni come quella di Ginevra nel 1979, cercano di limitare l’uso di sostanze che provocano l’assottigliamento dello strato di ozono e di limitare gli effetti nocivi che le fonti di energia oggi più utilizzate provocano all’aria. L’Unione Europea, ormai da molti anni, cerca di salvaguardare, proteggere,migliorare la qualità dell’ambiente al fine di proteggere la salute dell’uomo e a garantire un uso intelligente e razionale delle risorse disponibili, anche attraverso il miglioramento e l’armonizzazione delle normative ambientali presenti nei diversi Stati che la compongono. Da molti anni si svolgono conferenze internazionali sull’ambiente, alle quali partecipano i rappresentanti di quasi tutti gli Stati. Le conferenze cercano di trovare accordi che impegnano i singoli Stati al raggiungimento di determinati obiettivi. CONFERENZA DI STOCCOLMA , 1972, sull’ uomo e sul suo ambiente propone un piano di lotta per un’attenta protezione della natura e suggerisce la nuova strategia dell’ecosviluppo, basato sull’utilizzazione razionale delle risorse umane e naturali. Con essa nasce l’ecologia politica su scala internazionale. CONVENZIONE DI VIENNA , 1985, sullo strato dell’ozono. PROTOCOLLO DI MONTREAL, 1987, sui CFC: è stata avviata una strategia globale per la protezione della fascia di ozono. Ai Paesi industrializzati, e dal 2004 anche ai Paesi in via di sviluppo, è vietata la produzione e il consumo delle sostanze ritenute responsabili della distruzione dell’ozono stratosferico. CONVENZIONE DI BAIE, 1989, sui rifiuti. PROTOCOLLO DI RIO, 1992, sulla biodiversità: oltre cento capi di stato e di governo si sono impegnati a ridurre i fattori di inquinamento che possono determinare conseguenze gravissime per l’Ecosistema. Gli Stati partecipanti si sono impegnati a ridurre gli elementi inquinanti nell’aria e nell’acqua ed a evitare forme di disboscamento selvaggio che determinano alterazioni irreversibili sull’ambiente. I rappresentanti di 150 Paesi hanno stabilito, in modo particolare, un accordo sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica e degli altri gas serra che provocano il cosiddetto “effetto serra”, responsabili dei cambiamenti climatici, dell’innalzamento della temperatura terrestre, di problemi ambientali e socio-sanitari. La tutela dell’ambiente in Italia è regolata da un numero elevatissimo di leggi, circa 3000, spesso mal coordinate tra loro ed emanate sia dal Parlamento sia dalle Regioni. Dal 1986 esiste uno specifico ministero per l’ambiente che dal 2001(legge 317/2001) è stato inserito tra i 14 ministeri con portafoglio come “ministero dell’ambiente e della tutela del territorio”, che ha compiti organizzativi, normativi e di coordinamento in materia di prevenzione e tutela dell’ambiente. Le moltissime leggi sono raggruppate in settori in relazione al bene ambientale oggetto di tutela. Per l’aria, essendo il suo inquinamento collegato a diverse cause, esistono differenti normative dirette a limitare gli effetti dei più importanti inquinanti presenti nell’aria. Per quanto riguarda l’inquinamento derivante dalla circolazione dei mezzi di trasporto, privati e pubblici, che costituisce una forma di inquinamento particolarmente forte in Italia(nel nostro Paese infatti vi è un’alta concentrazione di auto per persona e il trasporto pubblico è, in molti casi, carente) gli interventi normativi sono stati diretti al controllo delle sostanze inquinanti presenti nelle benzine mediante l’uso di marmitte catalitiche, al monitoraggio dell’aria nelle città( attraverso centraline che analizzano la qualità dell’aria e la presenza di sostanze inquinanti) e a provvedimenti di sospensione del traffico per ridurre lo smog, che vengono adottati dai sindaci, quando i livelli di inquinamento superano determinate soglie. Quando viene bruciata benzina o qualsiasi altro combustibile all’aria aperta, la combustione è pressoché completa. Al contrario, in un recipiente chiuso, come la camera di combustione di un motore, la combustione non è mai completa. Prima di tutto perché i gas prodotti non possono disperdersi nell’atmosfera quindi creano una situazione analoga a una soluzione nella quale aumenta il volume di solvente cioè la concentrazione della soluzione (aria e benzina) diminuisce e così la probabilità che le molecole di ossigeno dell’aria e quelle di benzina “collidano” e reagiscano. Inoltre, a causa dell’elevata temperatura che si raggiunge durante la combustione, le molecole dei gas combusti tendono a dissociarsi. Per esempio l’anidride carbonica si dissocia in monossido di carbonio e ossigeno e ciò avviene tanto più facilmente quanto più è alta la temperatura. E’ per questo che aumentando il rendimento termico dei motori inevitabilmente diminuisce il rendimento chimico con formazione di agenti inquinanti come gli ossidi di azoto (si formano alle temperature di 1500-2000°C). Teoricamente si ha una combustione perfetta quando il rapporto stechiometrico aria/benzina è uguale a 14,7 , cioè lambda è pari a 1 ,e gli unici gas combusti sono anidride carbonica ed acqua. Analizzando le curve che indicano la percentuale dei vari gas di scarico prodotti da un motore in funzione di lambda, si constata che si ha una minima formazione di monossido (CO) e i idrocarburi (HC) quando lambda è leggermente superiore a 1. Si può notare anche che gli ossidi di azoto (NOx) sono molto elevati quando lambda è uguale ad 1. Di conseguenza è impossibile costruire motori in grado di funzionare senza emettere alcun tipo di agente inquinante. E’ quindi indispensabile ricorrere a sistemi esterni al motore , le marmitte catalitiche, per trasformare i gas inquinanti in gas innocui. Nelle reazioni chimiche tra sostanze gassose i migliori catalizzatori sono i metalli pesanti e nobili come il platino, il rodio, l’iridio, il palladio ed altri comunque sempre piuttosto costosi. Essi devono essere estremamente puri, bastano piccole quantità di piombo, cromo o rame per “avvelenarli”e quindi disattivarli. Inoltre per essere attivi hanno bisogno di temperature di poco superiori a 800°C ( se sono inferiori non funzionano, se si raggiunge i 1000°C invecchiano facilmente e se si superano i 1400°C si inattivano). I catalizzatori hanno la funzione di trasformare i principali agenti inquinanti emessi dal motore, come CO, idrocarburi, ossidi di azoto, in anidride carbonica, acqua e azoto molecolare mediante reazioni di riduzione. Essi sono costituiti da una struttura a nido d’ape realizzata in materiale ceramico rivestito da un sottilissimo strato di platino e rodio e mantengono la loro efficienza per 80.000Km, ma può diminuire anche con l’invecchiamento temporale, in genere 5-6 anni. Essi non raggiungono , neppure nel periodo della massima efficienza e nelle condizioni di perfetta combustione , un rendimento superiore all’85%. Prima che fossero entrate in vigore le attuali norme antinquinamento e gli autoveicoli erano sprovvisti di marmitta catalitica, il 90% del piombo, il 25% di polveri o particolato e il 25%di anidride carbonica. . Tutte queste sostanze hanno effetti deleteri sull’ambiente e sull’uomo. Attualmente le vetture devono avere delle emissioni allo scarico che rispettano le normative europee vigenti per il controllo dell’inquinamento . All’immatricolazione le vetture devono superare positivamente una prova detta ciclo ECE/CEE, che si svolge nel seguente modo: si mette la vettura su appositi rulli e se ne simula il funzionamento in una zona cittadina ad alta densità di traffico, caratteristica he accomuna gran parte delle città europee. Nel ciclo sono previsti una partenza a freddo e un periodo di riscaldamento di circa 13 minuti da effettuare su un percorso urbano di circa 4 Km suddiviso in 4 cicli di 195 secondi l’uno( velocità compresa tra 19 e 50 Km/h), comprendenti 15 fasi d’accellerazione e decelerazione e 15 soste al minuto. Attualmente è stato aggiunto anche un ciclo extraurbano di 6,955Km, percorso alla velocità compresa tra 62,6 e 120 Km/h. I gas di scarico vengono prelevati e introdotti in un refrigeratore che ne elimina l’acqua facendola condensare , successivamente viene determinato il peso delle varie sostanze inquinanti e questo viene suddiviso per il chilometraggio totale del ciclo. Le vetture per essere immatricolate dovranno emettere quantità delle varie sostanze inquinanti inferiori a quelle stabilite per legge. emesse durante la stessa sosta di un ora dopo naver percorso il ciclo di prova per le emissioni visto prima. Attualmente una vettura non deve superare i 2 grammi d’emissioni in tali prove. Per poter ridurre tali emissioni dal serbatoio, le vetture ecologiche devono essere dotate di u8n impianto di recupero che immagazzina i vapori di benzina in un rparticolare contenitore per poi immetterli al momento più opportuno nel collettore di aspirazione, permettendo la loro eliminazione per combustione e realizzando di fatto un risparmio di carburante anche se quasi irrisorio. Vi è un apposito ciclo di prova che serve a determinare le massime emissioni dal serbatoio, esse simulano l’emissione di una vettura in sosta per un ora in pieno giorno col sole e col caldo senza essere stata utilizzata, poi si aggiunge quelle Col passare degli anni tali norme si sono fatte sempre più severe e restrittive, inoltre sapendo che col chilometraggio della vettura aumenta la quantità di agenti inquinanti emessi, all’atto dell’immatricolazione la vettura deve emettere quantità di inquinanti inferiore al 20% rispetto a quella prevista dalle norme, altrimenti dovrà sottoporsi ad un’ulteriore verifica arrivata a 80000 chilometri di percorrenza. Anche i motori diesel non sono esenti da emissioni inquinanti, quindi non è facile stabilire se essi sono più o meno ecologici rispetto ai motori a ciclo Otto, a causa delle diverse percentuali dei vari inquinanti nei gas di scarico, alcuni dei quali quasi del tutto assenti nei motori a benzina. Analizziamoli singolarmente: • Ossido di carbonio(CO) Il motore diesel , essendo un motore ad eccesso d’aria, ne emette circa 1/20 di quello a benzina. Un diesel moderno ne emette circa lo 0,05% contro l’1% Idrocarburi(HC) • Le emissioni di HC sono circa la metà del motore a ciclo Otto: 0,03% contro circa 0,05%.circa del motore a benzina senza catalizzatore. • Ossidi di azoto: l’eccesso di aria influisce negativamente sulla formazione degli ossidi di azoto, le cui concentrazioni sono superiori a quelle prodotte dal motore a benzina: 0,15% c0ntro 0,085%. • Particolato(PM 10 o polveri sottili): Si tratta di particelle di dimensioni inferiori al decimillesimo di millimetro, composte dai più disparati elementi, dal carbonio a elementi solforati, ma anche acqua e idrocarburi incombusti,acidi, ecc. La percentuale delle varie sostanze nel particolato dipende dal carico del motore. Questo tipo di emissioni è quasi esclusiva del motore diesel, in quello a benzina è trascurabile se la carburazione è corretta. Da alcuni anni molte città hanno allestito centraline per il rilevamento delle polveri sottilipoichè esse sono emanate anche dagli impianti di riscaldamento e industriali e sono dannose per la salute , in particolare delle persone deboli. Se il particolato contiene idrocarburi aromatici come il benzopirene può divenire anche cancerogeno; inoltre provoca l’oscuramento dell’atmosfera. L’abbassamento per legge della soglia massima di PM ammesso nell’aria ha già fatto scattare in diverse città e per più volte in poco tempo, il blocco totale o parziale del traffico. • Anidride solforosa( SO2): Anche questo inquinante è emesso quasi esclusivamente dal motore diesel a causa della presenza di zolfo nella nafta. Tali emissioni allo scarico sono circa lo 0,025%. Per il motore diesel i catalizzatori sono del tipo ossidante ed eliminano del tutto il poco CO che si trova nei gas in uscita dal collettore di scarico, riducono fortemente gli HC, anche quelli che si trovano all’interno dei particolati, rendendo così questi ultimi meno pericolosi. Tali dispositivi sono poco efficienti a bassi regimi a causa della non elevata temperatura dei gas di scarico e ciò può penalizzare la riduzione delle emissioni inquinanti nei percorsi urbani. Un dispositivo in grado di ridurre gli NOx anche fino al 505 è il cosiddetto EGR(Exhaust Gas Recirculation), il quale riammette nel collettore d’aspirazione una certa quantità di gas di scarico grazie ad una valvola EGR. .Un sempre crescente successo sta avendo il gas naturale come combustibile per autoveicoli in quanto presente un certo numero di vantaggi rispetto agli altri combustibili per autotrazione: brucia in modo pulito,costa meno, ha un indice di sicurezza provato, è una fonte di energia abbondante e sicura. L’Italia è dotata della rete di rifornimento di metano per autotrazione più vasta di tutta l’Unione Europea. I veicoli sono solitamente costruiti per essere alimentati sia a metano che a benzina. Il metano viene caricato allo stato gassoso “compresso” ad alta pressione(200barr) in bombole. Un dispositivo in grado di ridurre gli NOx anche fino al 505 è il cosiddetto EGR(Exhaust Gas Recirculation), il quale riammette nel collettore d’aspirazione una certa quantità di gas di scarico grazie ad una valvola EGR. Per assicurare il massimo beneficio di riduzione delle emissioni allo scarico, i veicoli a metano devono impiegare un catalizzatore sviluppato appositamente per abbattere gli idrocarburi residui della combustione del metano. Infatti, il metano si ossida con maggiore difficoltà rispetto agli altri idrocarburi ed è pertanto necessario adottare un catalizzatore caratterizzato da una quantità di metalli nobili più elevata rispetto ai comuni standard. . Oggi nel mondo circolano oltre un milione di vetture a gas naturale e le case automobilistiche investono sempre maggiori risorse nella progettazione di nuovi modelli con questo tipo di alimentazione. • • • • • Uso del metano ad uso domestico. Utilizzo di energie pulite e rinnovabili: Idroelettrica Solare Eolica Biomassa Scarso inquinamento elettromagnetico e chimico. Abbondante verde urbano ed extraurbano. Raccolta differenziata e riciclaggio dei rifiuti: Nel 2005 ha ricevuto il 1° premio dal COSMARI per la raccolta della carta. • Scegliere combustibili puliti per le nostre case e per le nostre auto. • Costruire case con accorgimenti di isolamento termico. • Effettuare la raccolta differenziata indispensabile al riciclaggio. • Usare macchine di piccola cilindrata e di nuova produzione, più rispettose dell’atmosfera. • Usare mezzi pubblici per gli spostamenti di routine. • Andare a piedi o in bici quando è possibile. • Scegliere prodotti senza CFC • Essere informati e sensibili alle problematiche ambientali. • Abituarsi al risparmio energetico COME RISPARMIARE ENERGIA • spegnere le luci quando se ne può fare a meno. • non tenere il frigorifero vicino alle fonti di calore. • spegnere la spia della TV quando non si usa il televisore. • non tenere il termostato del termosifone a più di 20°C. • usare il più possibile gli elettrodomestici di notte o nelle fasce orarie in cui la corrente viene prodotta a costo zero. • usare lampade a basso consumo energetico. • usare elettrodomestici di classe A . • non mettere davanti ai termosifoni tende o mobili • mettere vetri termici alle finestre, chiudere le tapparelle di notte ed isolare termicamente l’abitazione anche nelle strutture. Esistono vari modi per riciclare: la carta può essere riciclata in giornali, tovaglioli, materiale da isolamento, cartoni e molti altri prodotti. Anche il vetro può essere riciclato in mattoni, lana di vetro e materiale per la costruzione di strade. Mentre le bottiglie di plastica possono essere riutilizzate per ottenere fibre per indumenti, sacchi e tappeti, piastrelle per pareti e pavimenti. I copertoni di gomma possono essere trattati di nuovo e usati come tali, oppure servire per pavimentare strade, o, bruciati mediante un processo detto pirolisi, per produrre energia utilizzabile; a causa del peso, bruciando gomma si ottiene più calore che non bruciando carbone. Anche i componenti organici dei rifiuti possono essere riutilizzati, bruciandoli direttamente per produrre energia termica oppure ricavandone biogas e concime. Per contenere l’impatto ambientale e in parte per garantire una concreta riduzione dell’inquinamento le direttive comunitarie(Unione Europea) si sono orientate sull’uso: delle marmitte catalitiche(dal 1° Ottobre ’89 per le vetture di cilindrata >2000 e dal’inizio del ’93 tutte le altre) delle benzine verdi( senza piombo ma contenenti ancora benzene e idrocarburi aromatici). decreti per i blocchi del traffico nelle città quando si superano certe concentrazioni degli inquinanti nell’aria Per le vetture sprovviste di marmitta catalitica ( che sono alimentate con benzina super, contenenti Pb) 91/441, 93/59 per le catalitiche di prima generazione o in perfetta efficienza ; 94/12 , 98/69 per le vetture non catalitiche e in parte a gasolio, retrofit . * Decreto RONCHI-BINDI l’incentivazione per la rottamazione di vetture sprovviste di marmitta alimentate con benzina super (queste vetture sono circa 16 milioni ma ciò non significa che devono essere tutte rottamate perché tecnicamente la maggior parte delle vetture non catalizzate può funzionare anche con la benzina verde, purchè si aggiungano degli additivi che innalzino gli ottani da 95 a 98. Questi additivi sono però pericolosi per la salute in quanto aumentano l’emissione di benzene e composti aromatici(Il Ministro dell’ambiente Ronchi insorge contro di essi ). Questi additivi non sono necessari a tutte le vetture con problemi di battito in testa, nella maggior parte dei casi è sufficiente ritardare l’anticipo. C’è anche un altro tipo di additivi, meno inquinanti, che sostituiscono il Pb indispensabile per alcuni motori per il suo potere lubrificante sulle valvole, evitando così attriti quando esse si chiudono. Questi additivi possono essere usati anche con ritardo di anni dopo l’ultimo rifornimento di super perché il piombo contenuto nel carburante resta a lubrificare le sedi delle valvole per 20-30.000 chilometri a seconda di come viene utilizzato il motore. Per sapere quale benzina mettere nella nostra macchina basta guardare il libretto di uso e manutenzione e precisamente la scheda che riassume le caratteristiche tecniche del veicolo oppure sotto la voce carburante . A volte si può usare la benzina verde anche quando il libretto non ne fa cenno( modelli concepiti molto prima dell’avvento di questo carburante , e precisamente a metà degli anni ’80 in Europa, 1988-89 in Italia, che hanno caratteristiche tecniche compatibili con esso , come la Fiat127, la Panda 903, la 850 ed alcune 128 con propulsore 1.100cc, la Lancia Prisma 1.300, le Volkswagen Polo, gran parte delle Golf e delle BMW 318prodotte dall’estate ’75 all’estate ‘80 * Il decreto “Ronchi-Bindi”, entrato in vigore nel ’99, impone all’amministrazione comunale di 23 città maggiormente a rischio ambientale di tenere sotto controllo la qualità dell’aria e misurarla con appositi indici annuali. Il monitoraggio, in queste città, riguarda in particolare il benzene, gli idrocarburi aromatici. Se le concentrazioni medie superano una certa soglia, i sindaci devono ordinare il blocco del traffico, decidendo il blocco parziale, solo alcune ore, oppure giornaliero, settimanale, riservato ad alcune categorie di veicoli. In alcune città come Napoli e Firenze le auto sprovviste di marmitta catalitica sono state bandite dal centro storico. Solo le automobili sprovviste di questa marmitta ma con alimentazione a gas possono circolare anche senza rispettare queste direttive, dato che il gas è un’energia pulita. In alcuni casi non è stato consentito il transito neppure ai veicoli che montano il “retrofit”; questo tipo di marmitta catalitica è semplificata e meno efficace rispetto agli altri tipi di marmitta catalitica. PROVVEDIMENTI FINALIZZATI ALL’ARRESTO DELL’INCREMENTO DELL’EFFETTO SERRA I rimedi ai guasti causati dall’inquinamento dell’aria richiedono accordi internazionali e impegni da parte di tutti i governi. Innanzitutto occorre trovare strade alternative all’uso massiccio di petrolio e altri combustibili fossili o di ritornare a sfruttare l’energia idroelettrica, solare ed eolica, nonché limitare il disboscamento. Nel 1983 le nazioni unite hanno creato una “Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo” (Wced) che si proponeva di favorire uno sviluppo sostenibile. Dagli anni Novanta sono state organizzate grandi conferenze mondiali sui temi ambientali al termine delle quali vengono predisposti dei protocolli. Anche la Lega per l’Ambiente nel 1991 aveva prodotto per conto del Ministero dell’Ambiente uno studio per la riduzione dei gas-serra. Per il settore dei trasporti prendeva in considerazione tre tipi di azione: aumento dell’efficienza dei mezzi di trasporto; spostamento del traffico verso la ferrovia, il cabotaggio e i mezzi pubblici; riduzione del traffico. Avrebbero dovuto portare dal 1990 al 2005 a una minor emissione pari a circa il 4%. Nel 1992 si è svolta la prima conferenza, a Rio de Janeiro. Gli Stati partecipanti si sono impegnati a ridurre le immissioni di elementi inquinanti nell’aria e nell’acqua e ad evitare forme di disboscamento selvaggio. Invece, durante il Protocollo di Kyoto del 1997 i Paesi industrializzati e quelli ad economia in transizione hanno deciso di ridurre del 5% nel periodo 20082012 le emissioni dei gas capaci di alterare il naturale effetto serra. Per i Paesi in via di sviluppo il Protocollo aveva previsto finanziamenti per progetti a basso impatto ambientale. Nel campo dei consumi elettrici l’introduzione di apparecchiature e tecnologie già presenti sul mercato (come lampadine fluorescenti, elettrodomestici ad alto rendimento) potrebbe abbassare di 25,7 milioni di tonnellate le emissioni annuali di anidride carbonica. Per quanto riguarda le emissioni inquinanti derivanti dai riscaldamenti si è deciso di limitare la durata del riscaldamento e la temperatura massima e di emanare leggi per cui le case più recenti devono essere costruite in modo da assicurare una coibentazione dei locali. Infine, in tutti i Paesi Europei è stata introdotta la procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) per cui chi fa un progetto deve descrivere in anticipo gli effetti che potrà procurare sul patrimonio ambientale. Qui nella nostra zona c’è un consorzio dei comuni della provincia di Macerata “COSMARI”, che provvede alla raccolta differenziata e allo smaltimento dei rifiuti. Parte dei rifiuti vengono utilizzati per preparare Compost e parte vengono inceneriti. Da quest’ultimo processo si ricava anche energia elettrica. A partire dagli anni Settanta ha cominciato a diffondersi il concetto di riciclaggio, effettuato prevalentemente recuperando materiali, ed eventualmente energia, “a valle” della raccolta degli RSU indifferenziati. Cominciarono a fiorire iniziative, spesso non supportate da idonee basi scientifiche e tecnologiche, di recupero dei materiali e dell’energia contenuti nei rifiuti. Per esempio sono stati sottoposti a compostaggio gli RSU indifferenziati: il compost risultante era molto contaminato da sostanze nocive per l’agricoltura (soprattutto metalli pesanti) e da quantità eccessive di materiali non idonei (vetro, altri inerti, plastiche) che, progressivamente, si sarebbero accumulati nei terreni agricoli. Negli anni Ottanta si cominciò a capire che un efficace recupero di materiali è possibile solo se si opera una separazione “alla fonte” delle sostanze da recuperare (raccolta differenziata), prima del loro ingresso nella massa dei rifiuti indifferenziati. Negli anni Novanta ha cominciato poi a farsi strada l’idea che bisogna passare a forme di raccolta differenziata integrata, basate sostanzialmente sulla separazione a livello domestico della frazione “umida”dalla frazione “secca”. Il decreto legislativo n. 22, più conosciuto come "decreto Ronchi", è stato emanato il 5 febbraio del 1997 e ad oggi ha già subito diverse modifiche. Quello che però più conta è che questo Decreto, che porta il nome del Ministro dell'ambiente che l'ha voluta, ha rappresentato una svolta nella regolamentazione di tutta la normativa riguardante i rifiuti. In sostanza la filosofia del decreto è basata sulla convinzione che l'inquinamento prodotto dai rifiuti deve essere fronteggiato diminuendo la quantità totale di rifiuti prodotti e non solo attraverso il semplice smaltimento in discarica. Pertanto mira a favorire tutte le tecnologie che portano al recupero, riutilizzo e riciclo dell'immondizia. La raccolta differenziata e il riciclaggio L'uomo, ormai , ha compreso la necessità di differenziare i trattamenti in funzione delle diverse tipologie di rifiuti e delle possibili destinazioni finali dei materiali derivanti da tali trattamenti. A parte la riduzione a monte e il riuso (sistema dei vuoti a rendere), che sono senza dubbio le scelte più economiche ed ecologiche ma non sempre le più praticabili, il trattamento che il Decreto Ronchi mette al primo posto è la raccolta differenziata delle diverse componenti degli rifiuti solidi urbani. In molti paesi del mondo, prevalentemente in quelli più sviluppati (nei paesi poveri dove nulla può essere sprecato, la raccolta differenziata non hanno mai smesso di farla) sono stati avviati, infatti, dei sistemi di raccolta finalizzati al recupero di crescenti quantità di materie prime da reimmettere nei processi produttivi (principalmente carta, vetro, plastica e alluminio). Le raccolte che si stanno dimostrando più efficienti ed economicamente sostenibili sono quelle relative alle materie prime di cui sono fatti gli imballaggi (carta, vetro, plastica, alluminio e legno). Tra i probabili motivi di questo successo, c'è sicuramente il fatto che tali materiali riciclati hanno un loro valore di mercato e, probabilmente, conta molto anche l'impegno che i privati (i produttori d'imballaggi, i produttori di beni di consumo, i distributori e i consumatori) stanno mettendo per il successo di questa iniziativa. In questo modo, l'Italia nel 2001 è riuscita a portare la propria quota di raccolta differenziata al 17%, diminuendo, di conseguenza, quella relativa al deposito indifferenziato in discarica (67%). Un'altra raccolta differenziata che, però, sta incontrando notevoli difficoltà soprattutto a livello delle grandi città è quella dei rifiuti organici, troppo costosa in rapporto allo scarso valore e alla scarsa qualità del terriccio fertilizzante (il cosiddetto compost) prodotto con gli scarti organici cittadini. Una volta separati i materiali che possono essere recuperati, resta il problema di fondo: come e dove sistemare definitivamente tutto quel che resta, cioè i rifiuti che non possono essere riutilizzati. Un sistema per smaltirli è quello del confinamento in discariche controllate. La discarica Un sistema per smaltirli è quello del confinamento in discariche controllate. La discarica controllata è un’area di terreno, appositamente attrezzata, dove vengono sistemati i rifiuti in modo tale da rendere minimi i loro effetti negativi sull’ambiente e sulle persone. Si provvede, cioè, perché i rifiuti: • non inquinino le acque sotterranee e superficiali • non degradino il paesaggio • non siano fonte di polveri, rumori, cattivi odori • non sviluppino colonie di insetti e di topi I rifiuti così sistemati possono essere ancora utili: decomponendosi, infatti, producono un gas combustibile, il biogas, il quale, incanalato in un sistema di tubazioni e depurato, produce energia termica. L’incenerimento Un altro sistema per smaltire la "frazione secca" dei rifiuti, non altrimenti riutilizzabile come materia prima, consiste nell'incenerimento con recupero di energia o "termovalorizzazione". Questo è un sistema di per sé semplice: basta bruciare i rifiuti in un forno. In realtà il processo è molto più complesso perché è necessario raggiungere alte temperature di combustione (anche superiori ai 1.000 gradi centigradi) e perché dai rifiuti bruciati possono uscire inquinanti pericolosi. Per questo motivo occorre depurare tutti i fumi prodotti dalla combustione prima di liberarli nell’atmosfera. Inoltre, il calore prodotto durante la combustione viene recuperato per ottenere vapore ed energia elettrica. Energia dai rifiuti inceneriti I rifiuti destinati alla termodistruzione (oggi circa il 10% del totale) vengono convogliati in un forno inceneritore e bruciati a più di 950 gradi centigradi. Tale processo permette di ridurre drasticamente il volume dei rifiuti (circa del 90%) e di recuperare, attraverso la combustione, parte dell'energia in essi contenuta. L’energia termica viene poi convertita in elettricità grazie a un cogeneratore (impianto finalizzato alla produzione combinata di energia elettrica e calore che garantisce un notevole contenimento dei consumi rispetto a una produzione indipendente di energia elettrica e termica) così da poter essere utilizzata in parte per il funzionamento dell’impianto stesso e in massima parte immessa nella rete elettrica nazionale. L’energia termica può anche essere immessa in un impianto di teleriscaldamento (sistema per il riscaldamento di un quartiere o di una città che utilizza a distanza il calore prodotto da un impianto di cogenerazione o da una sorgente geotermica, e dove il calore viene distribuito agli edifici tramite una rete di tubazioni in cui fluisce l'acqua calda o il vapore). L’impianto di termovalorizzazione Un impianto di termovalorizzazione è sostanzialmente costituito da un forno, da una camera di post-combustione, da una caldaia per il recupero del calore generato dalla combustione e da sistemi per l'abbattimento delle emissioni. All'interno del forno la combustione avviene, a temperature superiori a 1000 gradi centigradi, in tre fasi: • essiccamento del prodotto e pre-combustione • combustione delle sostanze volatili • combustione dei residui solidi e loro trasformazione in scorie La combustione attuata con queste caratteristiche consente già di per sé la distruzione delle sostanze tossiche sprigionatesi durante il processo, con una efficienza che è pari o superiore al 99,9%, fugando ogni possibile dubbio in tema di sicurezza per le popolazioni. I fumi prodotti vengono trasferiti in una camera di post-combustione per completare i processi di combustione, condizione indispensabile a garantire l'assenza di composti organici nei fumi in uscita dall'impianto. Attraversata la camera di post-combustione si svolge la fase cruciale del ciclo energetico: i fumi entrano nella caldaia, dove cedono il proprio calore trasformando acqua in vapore. L'energia contenuta nel vapore può essere utilizzata come energia termica, ovvero energia elettrica impiegabile anche per autoalimentare l'impianto. All'uscita dalla caldaia i fumi raffreddati vengono immessi nel circuito dei diversi sistemi di depurazione che consentono l'abbattimento delle diverse tipologie di sostanze inquinanti. Della combustione dei rifiuti alla fine restano, come residui, scorie che rappresentano il 10-12% in volume ed il 15-20% in peso dei rifiuti stessi La vegetazione che copre il nostro pianeta è un magazzino naturale di energia solare. La materia organica di cui è composta si chiama biomassa. Le biomasse si producono nel processo di fotosintesi, durante il quale l'anidride carbonica atmosferica e l'acqua del suolo si combinano per produrre zuccheri, amido, cellulosa, lignina, sostanze proteiche, grassi, ecc. Nei legami chimici di queste sostanze è immagazzinata la stessa energia solare che ha attivato la fotosintesi. In questo modo vengono fissate complessivamente circa 2 x 1011 tonnellate di carbonio all’anno, con un contenuto energetico dell’ordine di 70 x 103 megatonnellate equivalenti di petrolio. Bruciando le biomasse, l'ossigeno atmosferico si combina con il carbonio in esse contenuto, mentre si liberano anidride carbonica e acqua e si produce calore. L'anidride carbonica torna nell'atmosfera e da qui è nuovamente disponibile ad essere re-immessa nel processo fotosintetico per produrre nuove biomasse. Le biomasse, dunque, sono una risorsa rinnovabile. Il termine biomassa indica, però, diverse tipologie di prodotti: residui agricoli e forestali, scarti dell’industria di trasformazione del legno (trucioli, segatura, ecc.) scarti delle aziende zootecniche, residui agro-alimentari (residui delle coltivazioni destinate all’alimentazione umana o animale (paglia)), "coltivazioni energetiche" , ovvero piante espressamente coltivate per scopi energetici,e biomasse organiche di altra provenienza, quali la frazione verde dei rifiuti solidi urbani e altri tipi di rifiuti industriali di composizione eterogenea. Le principali applicazioni della biomassa sono: produzione di energia (biopower), sintesi di carburanti (biofuel) e sintesi di prodotti (bioproduct). In ambito energetico vengono utilizzate soprattutto le biomasse ligneocellulosiche (legname e sottoprodotti di colture erbacee, arboree e forestali), utilizzate come combustibile per diversi scopi: il riscaldamento domestico, la produzione di energia elettrica e gli usi industriali. Altri settori interessati alla lavorazione di questa materia prima sono: l'industria della carta, della cellulosa, dei pannelli di truciolato, dei materiali compositi, dei mangimi e della chimica. Le "coltivazione energetiche", cioè coltivazioni di specie vegetali a rapido accrescimento, sono generalmente impiegate nella produzione di biocombustibili (biofuel). Ad esempio, da processi di trasformazione della materia organica di piante produttrici di oli vegetali e zuccheri (il girasole, il sorgo zuccherino e la barbabietola), si ricavano il bioetanolo, utilizzabile come additivo nelle benzine e il biodiesel, una miscela dalle caratteristiche simili a quelle del gasolio. I biocarburanti, oltre a prestarsi per produrre calore e/o energia elettrica, possono essere utilizzati per autotrazione, sia miscelati con altri combustibili fossili sia, in alcuni casi, usati puri. Le biomasse sono una delle fonti rinnovabili maggiormente disponibili sul nostro Pianeta. Ad oggi esse soddisfano il 15% circa degli usi energetici primari del mondo, con 55 milioni di terajoule all’anno (1230 megatonnellate equivalenti di petrolio, o Mtep). Il loro impiego, però, non è diffuso in maniera omogenea La produzione di energia Le tecnologie per ottenere energia (biopower) dai vari tipi di biomasse sono naturalmente diversi e diversi sono anche i prodotti energetici che si ottengono. Le tecnologie del biopower convertono i fonti d'energia alternativedella biomassa in calore ed elettricità usando apparecchiature simili a quelle usate con combustibili fossili. Una vantaggiosa caratteristica della biomassa è la sua disponibilità rispetto alla domanda, in quanto essa è in grado di conservare intatta la sua energia fino al suo utilizzo. In sintesi, i processi di conversione in energia delle biomasse possono essere ricondotti a due grandi categorie: processi termochimici e processi biochimici. Processi termochimici: i processi di conversione termochimica sono basati sull'azione del calore che permette le reazioni chimiche necessarie a trasformare la materia in energia e sono utilizzabili per i prodotti ed i residui cellulosici e legnosi in cui il rapporto carbonio (C) su azoto (N) abbia valori superiori a 30 ed il contenuto di umidità non superi il 30%. Le biomasse più adatte a subire processi di conversione termochimica sono la legna e tutti i suoi derivati (segatura, trucioli, ecc.), i più comuni sottoprodotti colturali di tipo ligno-cellulosico (paglia di cereali, residui di potatura della vite e dei fruttiferi, ecc.) e taluni scarti di lavorazione (lolla, pula, gusci, noccioli, ecc.). Processi biochimici: i processi di conversione biochimica permettono di ricavare energia per reazione chimica dovuta al contributo di enzimi, funghi e microrganismi, che si formano nella biomassa sotto particolari condizioni, e vengono impiegati per quelle biomasse in cui il rapporto carbonio (C) su azoto (N) sia inferiore a 30 e l'umidità alla raccolta superiore al 30%. Risultano idonei alla conversione biochimica le colture acquatiche, alcuni sottoprodotti colturali (foglie e steli di barbabietola, ortive, patata, ecc.), i residui liquidi dell’industria zootecnica e alcuni scarti di lavorazione (borlande (residui della lavorazione dell’alcool fatto con granaglie, acqua di vegetazione), ecc.), nonché alcune tipologie di reflui urbani ed industriali. Qui nella nostra zona, ricca di boschi ed aree verdi, la biomassa potrebbe essere utilizzata come fonte di energia termica ed elettrica come sta già avvenendo a Camerino. Essa nel territorio di San Ginesio viene utilizzata per produrre pellet, la nuova forma di combustibile naturale e rinnovabile. San Ginesio è tra i paesi della Comunità Montana” Monti Azzurri” quello che registra il maggior numero di utenti e di consumi annui. Utilizzo prevalente è quello domestico (T1, T2), anche se non mancano altri usi , come quello industriale,terziario ed Enti pubblici (T3). Il gas metano è un combustibile pratico, sicuro,ecologico ed anche il più economico. GAS PRELEVATO AREA COMUNITA' MONTANA MONTI AZZURRI 6.000.000 5.000.000 4.000.000 3.000.000 2.000.000 1.000.000 0 1.991 1.992 1.993 1.994 1.995 1.996 1.997 1.998 1.999 2.000 2.001 2.002 2.003 2.004 CLIENTI AL 31 DICEMBRE 2005 SUDDIVISI PER TIPOLOGIA D'USO Serie1 T1 T2 T3 83 2376 289 •CHE COSA E’ •DOVE SI TROVA •UTILIZZI •PRODUZIONE DI ENERGIA •ESTRAZIONE •TRATTAMENTO •TRASPORTO •DISTRIBUZIONE Che cos’è E’ uno dei componenti del gas naturale che è un idrocarburo fossile, come il petrolio e il carbone. Prima di essere avviato all'utilizzo, il gas naturale viene trattato in modo da eliminare l'anidride carbonica e l'azoto che lo rendono poco infiammabile, e l'idrogeno solforato che è un gas tossico e corrosivo. Ciò che resta è prevalentemente metano. Il metano è l'idrocarburo gassoso più semplice e quello con la molecola più piccola, formata da un atomo di carbonio e quattro di idrogeno (CH4). E' più leggero dell'aria (alla temperatura di 15 gradi centigradi e alla pressione di 1013,25 millibar, ha un peso specifico di 0,678 chilogrammi al metro cubo), non ha colore né odore e non è tossico. Diffusissimo nell'atmosfera primordiale della Terra, il metano ha probabilmente contribuito alla sintesi dei primi amminoacidi e alla nascita della vita sul nostro pianeta. Miscelato con l'aria, il metano è infiammabile solo se la sua concentrazione è compresa tra il 5% e il 15%. Sotto il 5%, la quantità di gas naturale non è sufficiente ad alimentare la combustione, mentre sopra il 15% non c'è abbastanza ossigeno. Alla temperatura di 15 gradi centigradi e alla pressione atmosferica, 1 metro cubo di metano sviluppa oltre 8.000 chilocalorie. A queste condizioni, 1 metro cubo di metano ha perciò un contenuto energetico pari a quello di 1,2 chilogrammi di carbone e di 0,83 chilogrammi di petrolio. Il metano diventa liquido a una temperatura critica di -83 gradi centigradi, quando è sottoposto a una pressione di 45 atmosfere. Il passaggio allo stato liquido può avvenire diminuendo la temperatura o aumentando la pressione. Ad esempio, a -161 gradi centigradi il metano diventa liquido anche a pressione ambiente. I gas naturali umidi, come il propano e il butano, invece, rispettivamente con 3 e 4 atomi di carbonio, hanno una temperatura critica superiore alla temperatura ambiente e, quindi, diventano liquidi per effetto di un semplice aumento di pressione. Dove si trova La localizzazione geografica delle riserve di gas, rispecchia, per ovvi motivi, quella del petrolio: Medio Oriente e Paesi dell'ex Unione Sovietica ne possiedono circa il 73% (e il 71% di petrolio). Come per il petrolio, lo sfruttamento dei giacimenti avviene in maniera diseguale. Il Medio Oriente, ad esempio, estrae poco gas, in rapporto alle riserve disponibili (possiede il 39% delle riserve mondiali e produce solo l'9% del gas consumato in un anno da tutto il mondo) mentre Stati Uniti ed Europa occidentale estraggono gas a ritmi elevati (in rapporto alle riserve disponibili). Questo significa che, mantenendo l'attuale livello di produzione e in assenza di scoperte di nuovi giacimenti, questi Paesi nel giro di pochi anni (9 per il Nord America e circa 24 per l'Europa) termineranno le loro riserve e dovranno utilizzare solo il gas importato. UTILIZZI Utilizzi nel settore residenziale L’uso più comune del gas naturale è quello residenziale (cucine a gas, riscaldamento, acqua calda), in quanto non soltanto è il più pulito di tutti i combustibili fossili, ma anche quello più conveniente grazie a costi di gestione delle apparecchiature significativamente più bassi. Le previsioni future indicano un incremento del 30% del consumo residenziale di gas nel 2020. Il principale uso residenziale del gas naturale riguarda il riscaldamento di ambienti. Il 35% delle famiglie italiane usufruisce di sistemi di riscaldamento centralizzato che forniscono calore a più unità immobiliari Utilizzi nell’autotrazione Il gas naturale conosce un sempre crescente successo anche come combustibile per gli autoveicoli. Oggi nel mondo circolano oltre un milione di vetture a gas naturale e le case automobilistiche investono sempre maggiori risorse nella progettazione di nuovi modelli con questo tipo di alimentazione. Il gas naturale presenta un certo numero di vantaggi rispetto agli altri combustibili per autotrazione: brucia in modo pulito, costa meno, ha un indice di sicurezza provato, è una fonte di energia abbondante e sicura. L’Italia è dotata della rete di rifornimento di metano per autotrazione più vasta di tutta l’Unione Europea. Utilizzi nel settore commerciale Il consumo commerciale del gas riguarda il raffreddamento (condizionamento e refrigerazione), i servizi di ristorazione (nella cucina), i motel e gli hotel (riscaldamento di ambienti), gli ospedali, i cantieri edili pubblici e le vendite al dettaglio. In virtù dei loro elevati standard di efficienza energetica, i condizionatori a gas naturale costituiscono l’alternativa più valida ai tradizionali sistemi elettrici e vengono impiegati tanto per garantire alti livelli di comfort negli edifici civili (abitazioni, ospedali, alberghi, palazzi-uffici) quanto per assolvere alle diverse necessità del settore industriale (condizionamento degli ambienti di lavoro, processi produttivi, conservazione degli alimenti, ecc.).Le cucine a gas sono molto diffuse nei servizi di ristorazione; con esse è possibile dosare in modo ottimale il calore variando l’intensità della fiamma; inoltre, durante la cottura in forno la combustione del metano libera vapore acqueo, che ammorbidisce gli alimenti evitandone l’essiccazione. Tali caratteristiche, oltre alla garanzia di continuità della fornitura, fanno del metano il combustibile più apprezzato sia nell’uso domestico sia in quello professionale. Utilizzi nel settore industriale Le industrie fanno ricorso al gas naturale non solo per scaldare o rinfrescare gli ambienti, ma anche per rendere più efficienti, economici ed ecologici i processi di produzione.I più importanti impieghi produttivi sono: • industria alimentare: tostatura del malto e del caffè, lavorazione della carne (cottura, stagionatura dei salumi), cottura di prodotti da forno (pane, grissini, dolciumi) • industria metallurgica: le applicazioni più frequenti riguardano il comparto del ferro e delle sue leghe, ghisa e acciaio; viene utilizzato nei forni per trattamenti termici, nelle lavorazioni in cui vengono richieste atmosfere controllate,ecc. • laterizi e ceramica: il gas è diffuso soprattutto nella produzione di piastrelle da rivestimento e da pavimento nonché di vasellame e ceramica artistica; nell’ambito dei laterizi (mattoni, tegole) i forni di essiccazione e di cottura a gas naturale consentono di conferire ai prodotti un aspetto estetico più gradevole di quello ottenibile con altre tecniche; l’impiego del gas ha reso possibile lo sviluppo del ciclo “a cottura rapida”, che consente una notevole riduzione dei tempi produttivi • vetro: l’assenza dei residui di combustione e la facilità di regolazione della temperatura rendono il gas particolarmente adatto all’alimentazione dei forni a ciclo continuo per la produzione vetraia sia “a lastre” sia “cava” • oreficeria: in virtù della sua flessibilità di utilizzo e purezza di fiamma, il gas naturale è ampiamente utilizzato per la costruzione e la saldatura di oggetti preziosi • tessitura:il gas naturale fornisce l’energia necessaria alla rasatura del pelo o delle pezze e al termofissaggio • carta: si ricorre al metano per l’essiccamento veloce degli inchiostri La produzione di energia elettrica Grazie ai suoi numerosi benefici economici e ambientali, negli ultimi anni il gas naturale si è trasformato nel combustibile fossile preferito per la produzione di elettricità. Negli anni Settanta e Ottanta la produzione energetica era orientata verso il carbone e le centrali nucleari, ma una combinazione di fattori economici, ambientali e tecnologici ha provocato uno spostamento verso il gas. Centrali a vapore Il gas naturale può essere utilizzato come combustibile nelle centrali elettriche a vapore per produrre il vapore che, ad alta pressione, mette in moto la turbina che a sua volta fa girare l’alternatore. Per creare vapore ad alta pressione si surriscalda l’acqua in una caldaia: chiudendo ermeticamente il recipiente, il vapore aumenta di pressione per poi fuoriuscire con violenza diretto verso la turbina. Per quanto riguarda il rendimento di tali centrali, circa il 40% dell’energia contenuta nel combustibile viene trasformato in elettricità; il restante 60% viene perso nelle conversioni di energia da chimica a termica, a meccanica, a elettrica. Centrali a turbogas Il gas naturale può essere utilizzato anche nelle centrali elettriche a turbogas. Queste sono centrali termoelettriche in cui si sfrutta direttamente l’energia prodotta dalla combustione di metano (o gasolio) e funzionano senza la caldaia per trasformare acqua in vapore e senza condensatore per ritrasformare il vapore in acqua. Le parti che compongono una centrale a turbogas sono: • compressore: aspira l’aria dall’atmosfera, la comprime e la invia alla camera di combustione • camera di combustione: dove avviene la combustione tra l’aria e il combustibile (metano o gasolio) • turbina a gas: la miscela di aria e gas ad alta temperatura entra in una turbina dove l’espansione dei gas combusti mette in rotazione le pale del rotore che a sua volta mette in rotazione l’alternatore generando elettricità I vantaggi delle centrali a turbogas sono i costi ridotti dell’impianto, la rapidità di avviamento anche in caso di mancanza di energia dalla rete e il fatto che non necessitano di acqua di raffreddamento: è quindi possibile costruire in qualsiasi zona, anche lontano da fiumi e dal mare. Lo svantaggio è il bassissimo rendimento (circa il 30%) e quindi l’altissimo costo dell’energia. Centrali a ciclo combinato I sistemi a ciclo combinato e quelli di cogenerazione sono le tecnologie più efficienti per produrre l’elettricità da gas naturale. Entrambi utilizzano il calore che normalmente viene perso. Le centrali a ciclo combinato sfruttano il calore generato per produrre elettricità. In tali sistemi vengono associate una centrale a turbogas e un gruppo a vapore: il calore residuo dei fumi in uscita del gruppo turbogas viene utilizzato per produrre vapore, facendo così aumentare il rendimento fino al 56%. Inoltre le centrali a ciclo combinato hanno minori costi di costruzione e manutenzione, e hanno un’affidabilità di funzionamento maggiore. La cogenerazione Tra gli utilizzi innovativi del gas naturale un ruolo di primo piano spetta alla cogenerazione, ovvero la produzione combinata di energia elettrica e calore. La cogenerazione è l’uso combinato di un’energia primaria, come il gas naturale, per produrre in sequenza il calore e l’elettricità. Il concetto è basato sul recupero e sull’uso dei residui di calore prodotti durante la generazione di elettricità che nelle altre centrali elettriche sarebbero perse, con conseguente riduzione dell’efficienza rispetto alla cogenerazione. Ad esempio, un motore alimentato a metano produce elettricità e i fumi di scarico sono poi impiegati come fonte termica, ad esempio per riscaldare l’acqua. Vengono così prodotte in modo combinato energia elettrica ed energia termica che, se invece venissero prodotte da processi di produzione separati, richiederebbero quantità ben maggiori di energia primaria. Si tratta quindi di un processo che ottimizza l’impiego delle risorse energetiche con notevoli benefici economici e ambientali. Il gas naturale è il combustibile economicamente preferibile nelle applicazioni di cogenerazione industriale e commerciale, soprattutto a causa dei costi fissi e di gestione più bassi e perché è il combustibile fossile più pulito. Una varietà di tecnologie di cogenerazione del gas naturale sono attualmente in uso, compreso le piccole unità preimballate che comprendono tutti i componenti necessari per un sistema di cogenerazione. Questi sistemi sono disponibili nei formati che variano da 2,2 chilowatt a diverse centinaia di megawatt. In questi casi si parla di microgenerazione, intendendo la produzione contemporanea e localizzata di energia termica e di energia elettrica. Grazie allo sviluppo tecnologico di nuove e più efficienti turbine e macchine alimentate a gas naturale, la cogenerazione, un tempo sfruttata solo nella grande industria, sta oggi diffondendosi anche nella piccola e media industria e nel terziario. In particolare, i sistemi di cogenerazione rappresentano una soluzione efficace per ridurre i costi di energia elettrica e di riscaldamento nell’industria cartiera, farmaceutica, alimentare, tessile, nella raffinazione del petrolio, ed in alcune industrie petrolchimiche, così come negli ospedali, nelle università, negli hotel, nei centri di calcolo e nei centri commerciali. L’estrazione Spesso, anche se non sempre, il gas naturale si estrae dagli stessi giacimenti di petrolio. Come il petrolio, infatti, il gas naturale è il risultato delle trasformazioni subite dalla sostanza organica depositatasi sul fondo di antichi mari e laghi (bacini sedimentari). Non vi è dunque una ricerca di gas naturale distinta da quella del petrolio, ma un'unica attività di ricerca degli idrocarburi: solo dopo la perforazione di pozzi esplorativi è possibile accertare la natura del deposito. Si parla di "gas associato" quando il gas naturale è disciolto nel petrolio o costituisce lo strato di copertura del giacimento petrolifero; e di "gas non associato", quando il giacimento è costituito quasi esclusivamente da gas naturale (ad esempio, i grandi giacimenti del Mare del Nord e dell'Olanda). Estrarre il gas naturale dal sottosuolo è abbastanza facile. Quasi sempre si trova intrappolato insieme al petrolio sotto uno strato di roccia. Date le grandi pressioni, non appena si finisce di trivellare il gas schizza fuori da solo e occorre solamente “infilarlo” in un tubo e indirizzarlo verso le sue destinazioni finali o nei centri di stoccaggio. Questi ultimi non sono serbatoi come quelli che si costruiscono per contenere il petrolio, ma giacimenti naturali esauriti dove un tempo c’era gas naturale, olio o acqua e che vengono oggi riutilizzati come veri e propri “magazzini” per il gas. Il trattamento Se il gas che esce dal giacimento è umido, lo si sottopone a un trattamento preliminare per separare il metano dagli altri idrocarburi gassosi come propano, butano ed etano. La separazione viene agevolata dal fatto che il metano ha una temperatura critica (al di sopra della quale un gas non può passare allo stato liquido) molto più bassa. La quantità di gas umidi disponibili sul mercato è molto elevata perché il gas che esce insieme al petrolio è sempre umido. Una volta resi liquidi, i gas umidi vengono immessi in bombole per uso domestico da 10-15 chilogrammi o più grandi per uso industriale. Il metano, invece, viene distribuito attraverso la rete dei metanodotti. Anche se raramente, in alcuni giacimenti il metano ha bisogno di essere depurato. La più dannosa tra le impurità è senz'altro lo zolfo, che bruciando produce anidride solforosa e in presenza di umidità provoca il fenomeno delle piogge acide, responsabili di malattie polmonari, della rovina delle piante e del deterioramento di qualsiasi cosa sia esposto all'aria aperta. Talvolta il gas estratto contiene anche sostanze preziose, come l'elio, utilizzato per far volare gli aerostati ed elemento indispensabile da mischiare all'ossigeno nelle bombole per subacquei. Nonostante la facilità d'estrazione e le qualità (anche ambientali) di questo combustibile, fino alla fine della seconda guerra mondiale l'impiego del metano è stato molto limitato. Il trasporto Il trasporto del metano su grandi distanze è iniziato nel 1958 con l'importazione di gas naturale canadese negli Stati Uniti. Attualmente il metano viene trasportato allo stato gassoso per mezzo di metanodotti, oppure con navi metaniere sulle quali viene caricato allo stato liquido (GNL o Gas Naturale Liquefatto). I metanodotti permettono il trasporto di ingenti quantità di metano direttamente dal luogo di produzione a quello di consumo, senza bisogno di alcuna operazione di carico e immagazzinamento. Individuato il tracciato più comodo e più sicuro, si scava una trincea, dove vengono calati i tubi d'acciaio del condotto precedentemente saldati tra loro. Per prevenire eventuali perdite, su ogni saldatura viene effettuata una radiografia, controllando che sia ben fatta. Contro la corrosione del metallo, la tubatura viene rivestita con bitumi, catrami e resine sintetiche e protetta con apposite apparecchiature elettriche. Infine il metanodotto viene interrato e il terreno viene riportato alle condizioni originarie. La presenza del condotto viene segnalata da una speciale segnaletica. Ogni 100-200 chilometri vengono installate stazioni di compressione che ristabiliscono la pressione sufficiente a far muovere il metano a una velocità di 20-30 chilometri all’ora. Le reti dei metanodotti comprendono anche stazioni di stoccaggio, nelle quali parte del metano viene tenuto a disposizione per eventuali situazioni di emergenza. Come depositi vengono usati preferibilmente i giacimenti esauriti situati presso le aree di maggior consumo. Le loro stesse caratteristiche geologiche garantiscono la massima sicurezza contro eventuali perdite. Tutta l’Europa è attraversata da lunghi gasdotti di cui non si nota la presenza perché il loro tragitto è sotterraneo, e in questo modo il paesaggio non viene deturpato. Quando non è possibile effettuare il trasporto tramite metanodotto (perché le distanze da superare sono eccessive o bisogna attraversare un tratto di mare troppo lungo) il metano viene liquefatto e trasportato con navi metaniere. Attualmente il 25% del metano viene trasportato con questo mezzo. Il metano, liquefatto a -161 gradi centigradi, ha un volume circa 600 volte minore del gas naturale originario. Una metaniera trasporta mediamente 130.000 metri cubi di metano liquefatto che corrispondono a 78 milioni di metri cubi allo stato gassoso. I costi di trasporto con le metaniere sono più elevati perché occorre effettuare diversi trasbordi. Il primo consiste nel trasporto dal giacimento alla costa con un metanodotto. Poi il gas viene liquefatto e caricato su una metaniera dotata di serbatoi isolati termicamente. Infine, una volta scaricato dalla nave, esso viene nuovamente gassificato e immesso in un metanodotto. Durante il trasporto per mare una parte del metano evapora contribuendo a mantenere bassa la temperatura; in parte quest’ultimo viene utilizzato come combustibile dalla nave stessa. La distribuzione Dai tubi di grande diametro della rete di trasporto nazionale si diramano migliaia di chilometri di tubazioni più piccole dette "di allacciamento", che trasportano il metano alle industrie e alle abitazioni. Nelle reti cittadine, gestite dalle aziende distributrici, la pressione del metano viene mantenuta a livelli più bassi rispetto alle grandi reti di trasporto per motivi tecnici e di sicurezza. Attualmente, più del 30% del metano distribuito in Italia viene utilizzato nel settore civile. Prima di essere immesso nella rete di distribuzione, il metano viene "odorizzato", cioè mescolato con una sostanza dall'odore molto forte denominata "mercaptani". In questo modo, l'utente si accorge subito anche di una minima perdita. Infatti, in ambienti confinati (ad esempio in una stanza) il metano, miscelandosi con l'aria e in presenza di un innesco (una fiamma o una scintilla provocata dall'accensione di una luce) si incendia provocando pericolose esplosioni. Per questo, se entrando in casa o in un altro ambiente chiuso sentiamo "puzza" di gas non dobbiamo accendere le luci e tanto meno fuochi, ma aprire porte e finestre (il metano non è un gas tossico) e lasciare che si disperda all'esterno. Per coloro che non sentono gli odori, sono stati studiati apparecchi in grado di segnalare le eventuali perdite con segnali ottici o acustici. Poiché il metano è più leggero dell'aria, questi apparecchi devono essere collocati sempre in alto, vicino al soffitto. Per catturare l’energia solare sono state sviluppate strumentazioni capaci di trasformare la luce in energia elettrica sfruttando le caratteristiche di alcuni materiali semi-conduttori. Tale energia può essere utilizzata sia da impianti industriali sia da utenze private. Gli impianti fotovoltaici inoltre non producono scorie, non sono esauribili e consentono di risparmiare. Gli impianti fotovoltaici sono classificabili in: Isolati (stand-alone): in essi l’energia prodotta alimenta direttamente un carico elettrico; quando è in eccedenza essa viene stoccata in appositi accumulatori, pronta per essere impiegata in assenza di sole; Connessi ad una rete elettrica di distribuzione (grid-connected): l’energia è convertita in corrente elettrica alternata per alimentare il carico e/o immessa nella rete stradale, il regime di interscambio. Un impianto fotovoltaici è costituito da un insieme di componenti meccanici, elettrici ed elettronici che captano l’energia solare, la trasformano in energia elettrica, sino a renderla disponibile all’utilizzazione da parte dell’utenza. Esso sarà quindi costituito dal generatore, da un sistema di controllo e condizionamento della potenza e, per gli impianti isolati, da un sistema di accumulo. Il pannello fotovoltaico, chiamato anche modulo fotovoltaico è un particolare tipo di pannello solare che ha la capacità di generare corrente elettrica quando viene esposto alla luce del sole. Questa è anche la principale caratteristica che lo differenzia dal pannello solare termico che serve invece per produrre acqua calda a scopo sanitario o per il riscaldamento. Purtroppo la tecnologia attuale permette di convertire in energia elettrica solo il 6-15% dell’energia solare che colpisce il pannello fotovoltaico, mentre i pannelli solari termici riescono a convertire l’energia del sole in acqua calda con rendimenti superiori all’80%. L’energia elettrica prodotta è normalmente a bassa tensione e a corrente continua, quindi per essere utilizzata nelle abitazioni va trasformata in corrente alternata a 220 Volt: questo processo è realizzato attraverso l’uso di uno strumento chiamato inverter. Dunque, un impianto a moduli fotovoltaici si compone di una serie di pannelli adagiati sul tetto, di un inverter e di un contatore fornito dall’Enel, necessario per immettere l’energia prodotta direttamente nella rete elettrica della nostra città. Questo contatore funziona però al contrario di quello normalmente installato nelle abitazioni : quantifica l’energia prodotta dai moduli fotovoltaici e ne dà notifica all’Enel. L’energia prodotta viene decurtata da quella consumata durante la notte o durante le giornate particolarmente nuvolose: all’Enel verrà corrisposta la sola differenza tra il prodotto e il consumato, oppure sarà richiesto un rimborso, ma questa possibilità è ancora in fase di definizione. All’interno delle abitazioni figureranno perciò due contatori: il primo che calcola i consumi ed il secondo preposto al calcolo dell’energia prodotta dai moduli fotovoltaici. L’allacciamento diretto alla rete elettrica, modulato dal contatore che segnala la produzione effettiva, permette di non dovere investire in costose batterie, necessarie per conservare, come nel caso delle utenze isolate, l’energia prodotta dai moduli fotovoltaici. La cella è il componente elementare del sistema fotovoltaico ed è costituito da un sottile strato di materiale semiconduttore. Può essere rotonda o quadrata e può avere una superficie compresa tra i 100 e i 225 cm2. Per aumentare la conducibilità in un semiconduttore, che risulta altrimenti troppo contenuta, si introducono nella matrice delle sostanze “droganti”. Il procedimento seguito prende così il nome di drogaggio. I materiale che vengono generalmente introdotti nel semiconduttore sono di tipo trivalente o pentavalente, a seconda delle necessità, e danno risultati differenti. I drogaggi effettuati prendono così due nomi diversi: di “tipo p” nel caso in cui si utilizzino elementi trivalenti e di “tipo n“ quando si impiegano elementi pentavalenti. La conducibilità estrinseca introdotta con il drogaggio risulta essere sempre dominante su quella intrinseca. Il Silicio viene “drogato” su di un lato dello strato mediante l’inserimento di atomi di Boro e sull’altra faccia con piccole quantità di Fosforo. Nella zona di contratto tra i due strati a diverso drogaggio si determina un campo elettrico: quando la cella è esposta alla luce, per effetto fotovoltaico, si generano delle cariche elettriche. Se le due facce della cella sono collegate ad un utilizzatore si avrà un flusso di elettroni sotto forma di corrente elettrica continua. Attualmente il Silicio mono e policristallino impiegato nella costruzione delle celle è lo stesso utilizzato dall’industria elettronica, che richiede materiali molto puri e quindi costosi. Tra i due tipi il silicio policristallino è il meno costoso, pur avendo rendimenti leggermente inferiori. Per ridurre ulteriormente il costo della cella sono in studio nuove tecnologie che utilizzano il silicio amorfo e altri materiali policristallini. Il pannello al silicio amorfo risulta essere il più economico, ma anche quello con il minor rendimento ed è soggetto ad un decremento del rendimento nel tempo. Il rendimento di questi pannelli fotovoltaici varia dal 6 al 10% circa, ma nei primi due mesi di vita diminuisce sensibilmente per poi rimanere stabile con un decremento lento e progressivo delle prestazioni nel corso degli anni. La potenza di questi moduli la si calcola proprio considerando immediatamente la perdita iniziale del 20%, quindi, durante i primi mesi di vita, la resa di un pannello venduto con potenza di 40 Watt, in realtà è di 48 Watt, fino a stabilizzarsi effettivamente sui 40 Watt dopo i primi mesi di funzionamento. Avendo il silicio amorfo un basso rendimento, occorre installare un numero di pannelli fotovoltaici abbastanza alto su di un tetto ampio. Tuttavia questo non pregiudica il costo energetico appena menzionato e in definitiva risulta essere economicamente conveniente, poiché il costo per ogni Watt producibile con questa tecnologia è del 25-40% inferiore rispetto alle altre tecnologie fotovoltaiche. Un altro vantaggio molto importante dei moduli al silicio amorfo, è legato al fatto che durante le giornate nuvolose, ombreggiate, o nelle ore serali e mattutine, si ottengono dei rendimenti superiori fino all’8-15% rispetto alle tecnologie mono e poli cristalline. Ciò accade perché questa tecnologia riesce sfruttare molto bene anche la luce filtrata. Se ne deduce quindi che i pannelli solari a silicio amorfo sono particolarmente indicati per le zone dove spesso c’è la presenza di nuvole o ostacoli fisici che generano ombre. Il rendimento globale di un pannello solare in silicio monocristallino è di circa il 13-17%, mentre quello di un pannello solare in silicio multicristllino, è di circa il 12-14%. A parità di spazio, rispetto al modulo solare in silicio amorfo, questi pannelli offrono rendimenti doppi, o quasi tripli, con un costo, per ogni Watt producibile, superiore. I rendimenti purtroppo diminuiscono se non si abbattono in caso di ombre particolari che coprono anche una piccola porzione del modulo, o con cielo coperto da nubi, o ancora durante le ore serali e della mattina. Una cella fotovoltaica di dimensioni 10X10 cm si comporta come una minuscola batteria, e nelle condizioni di soleggiamento tipiche dell’Italia fornisce una corrente di 3’. L’energia elettrica prodotta sarà proporzionale all’energia solare incidente che varia nel corso della giornata. Tuttavia tra 20 anni la tecnologia del solare fotovoltaico sarà molto più avanzata e soprattutto molto più economica: nel momento in cui l’impianto diminuirà il suo rendimento, avremo delle alternative economiche che lo sostituiranno con rendimenti maggiori. Inoltre se l’impianto renderà il 20% in meno tra 20 anni, sarà anche vero che i nostri elettrodomestici consumeranno anch’essi molto meno di ora, e quindi si riuscirà a coprire comunque il fabbisogno elettrico. VERDE PRIVATO: Orti Giardini VERDE PUBBLICO: Aree sportive Parchi e giardini Viali alberati Vegetazione delle mura Vegetazione di rispetto Campi coltivati Incolti Boschi misti Vegetazione ripariale Come per altre fonti rinnovabili anche per l'energia solare uno dei limiti da superare è l'irregolarità dell'energia disponibile, per cui i sistemi di accumulo sono un aspetto importante per l'evoluzione e la diffusione delle tecnologie sviluppate. L’energia prodotta dagli impianti termosolari non deve essere limitata alle sole ore di insolazione né trovano ostacolo nelle fluttuazioni dei passaggi nuvolosi. A tale scopo, due tecniche sono state già largamente collaudate. Esse offrono anche un migliore fattore di utilizzo dell’installazione e quindi un costo minore per la produzione di energia elettrica: • accumulo dell’energia termica • sistemi ibridi solare-metano QUALITA’ DELL’ARIA DI SAN GINESIO: La qualità dell’aria di San Ginesio è risultata , come previsto, buona infatti l’INDEX o meglio la BIODIVERSITA’ LICHENICA calcolata con il metodo di Amman ha dato valori molto vicini a 20 (Alterazione bassa), la presenza di idrocarburi aromatici , monitorati con la centralina mobile in Via Matteotti e legati al traffico veicolare, è risultata molto al di sotto del valore limite come si può vedere dai dati rilevati dall’ARPAM; Il pH della neve e della pioggia in questi primi mese dell’anno 2005, misurato nel nostro laboratorio, è risultato sempre con valori vicini a 6; non sono presenti fonti di inquinamento elettromagnetico preoccupanti(qualche centralina di trasformazioneriduzione di alta tensione ENEL, un elettrodotto che attraversa appena per un breve tratto il territorio di San Ginesio e un antenna ricevente WIND e OMNITEL su una collina di fronte San Ginesio oltre il fiume Fiastrella