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Economia e politica del territorio 7

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Economia e politica del territorio 7
Economia e politica del territorio
Facoltà di Scienze Economiche ed Aziendali (S.E.A.)
Corso di Laurea in
Economia e Management
Prof . Filippo Bencardino
Competitività e sviluppo endogeno
Nelle precedenti teorie …..
 Spazio come barriera
 Spazio come contenitore
Ora….
Spazio come risorsa economica e
fattore produttivo autonomo
1) Lo spazio è diversificato e relazionale
2) Lo sviluppo è endogeno
Filone neo-marshalliano
Filone neo-schumpeteriano
Competitività e sviluppo endogeno
La teoria dei distretti
industriali (1955)
Alfred Marshall introduce per primo il concetto di economie esterne e di
agglomerazione come fonte di competitività di un sistema locale, economie esterne
all’impresa, ma interne all’industria, generate dall’agglomerazione territoriale di
piccole imprese e dalla presenza congiunta di più soggetti legati tra loro da
relazioni di produzione e di scambio
Il Distretto Industriale Marshalliano (DIM)
….agglomerazione di numerosi piccoli e medi produttori, territorialmente concentrati, un
modo innovativo ed alternativo nell’organizzazione della produzione con funzioni terziarie
e con connotazioni monosettoriali (distretto tessile, calzaturiero, ….)
All’interno del DIM si attivano tre tipologie di relazioni:
 verticali, quando esse svolgono fasi differenti di uno stesso processo produttivo;
 laterali, quando esse svolgono la stessa fase in processi simili;
 diagonali, quando si erogano attività di servizio alle industrie del Distretto
Competitività e sviluppo endogeno
Elementi distintivi di un DIM
 Numerosità di aziende specializzate di piccola o piccolissima dimensione
territorialmente concentrate
 Indotto fatto soprattutto da imprese che operano nel terziario
 Presenza di imprenditorialità diffusa, di formazione e di qualità del capitale umano
 Processo endogeno di innovazione
 Atmosfera collaborativa
 Specializzazione flessibile nei modi di produrre e nei prodotti offerti
 Mercato comunitario, inteso come il reciproco integrarsi di competizione e cooperazione
 Supporto delle istituzioni e degli enti locali
Marshall ha affermato con convinzione che variabili non economiche
dell’ambiente distrettuale concorrono ad attivare percorsi di sviluppo e
modelli organizzativi
Competitività e sviluppo endogeno
Le evidenze empiriche della Terza Italia impongono uno studio del fenomeno e
una modellizzazione teorica 1979 - Prima rielaborazione del Distretto Industriale
Marshalliano da parte di Becattini
Il distretto industriale non è solo una forma organizzativa della produzione,
ma un ambiente sociale…
“un’unità socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area
territoriale circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una
comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali. Nel distretto, a
differenza di quanto accade in altri ambienti, la comunità e le imprese tendono, per
così dire, ad interpenetrarsi a vicenda”
La comunità di persone si caratterizza dalla condivisione di un sistema omogeneo di valori che si esprime in
termini di etica del lavoro e delle attività, della famiglia, del cambiamento, … e si affianca ad un sistema di
istituzioni e di regole che quei valori diffondono nel distretto, trasmettendoli da una generazione all’altra
Competitività e sviluppo endogeno
Definizione di Distretto secondo la legge 317/1991
…aree territoriali locali caratterizzate da elevata concentrazione di
piccole imprese, con particolare riferimento al rapporto tra la
presenza delle imprese e la popolazione residente nonché alla
specializzazione produttiva dell’insieme delle imprese…. (art. 36)
La Legge 317/91 attribuisce alle Regioni competenze in materia di politiche
distrettuali: esse hanno il compito di individuare i distretti industriali (sentite le
Unioni delle Camere di Commercio e sulla base di un Decreto del Ministero
dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato) e sostenerne, dal punto di vista
finanziario, lo sviluppo, attraverso progetti innovativi concernenti più imprese, in base
a un contratto di programma stipulato tra i consorzi e le Regioni medesime.
Competitività e sviluppo endogeno
I Vantaggi competitivi dei Distretti
1. Riduzione dei costi di produzione, per la presenza di fornitori specializzati, di
elasticità della forza lavoro, di facile ricorso al mercato
2. Riduzione dei costi di transazione, in quanto la prossimità geografica facilità
l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, e agisce sulla prossimità sociale, ma
soprattutto riduce i costi di transazione in senso stretto
3. Aumento dell’efficienza dei fattori produttivi, a parità di risorse produttive,
grazie anche alla presenza di servizi alle imprese che aumentano il valore della
produzione e del mercato locale, ma soprattutto alla “atmosfera industriale”
4. Aumento dell’efficienza dinamica, intesa come capacità innovativa delle imprese
del distretto, espressione di una processo di conoscenza tacita e sedimentata nel
tempo
… ma
il modello del distretto industriale italiano non è adattabile anche alla realtà dei
cluster industriali internazionali
negli ultimi anni si sta assistendo ad un periodo di crisi dei distretti italiani
Competitività e sviluppo endogeno
Le Fasi e i costi di una transazione
Competitività e sviluppo endogeno
Competitività e sviluppo endogeno
Quale è il livello di competitività dei sistemi produttivi
locali distrettuali?
Distretti in crisi o in evoluzione?
Tre grandi questioni
colonizzazione dei
distretti” da parte
delle multinazionali
concorrenza
delle economie
emergenti
processi di
delocalizzazione e
internazionalizzazione
della produzione
Competitività e sviluppo endogeno:
Le economie emergenti
la distribuzione internazionale della produzione
mondiale
«Le variabili della
competitività»
il mercato del lavoro
l’evoluzione dei consumi e la domanda mondiale
“Est Europeo”
Romania, Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia
Emergere delle produzioni
manifatturiere di Polonia e
Repubblica Ceca
Calo degli acquisti di prodotti
Made in Italy in Germania e in
altri Paesi del Nord Europa
“Paesi asiatici”
Taiwan, la Corea del Sud, la Turchia, l'India, la Cina
Passivo commerciale bilaterale
italo-cinese e conseguente perdita
di quote di mercato da parte delle
imprese esportatrici su scala
mondiale ed in particolare in Europa
nei settori tradizionali del "Made in
Italy“
Altre realtà emergenti
Federazione Russa, Iran e Brasile, Croazia, Marocco e Tunisia
Competitività e sviluppo endogeno
I processi di delocalizzazione e
internazionalizzazione della produzione: i distretti all’estero
Export
IDE
Forte contrazione
dell’export Made in Italy e
dei manufatti in generale
Scarsa propensione ad
investire all’estero
Le esportazioni dei distretti
rappresentano circa il 30% del totale
dell’export nazionale
Grado di internazionalizzazione
produttiva delle imprese distrettuali
specializzate è pari al 22%
Nel periodo Aprile - Giugno 2006 si
è registrata una impennata
dell’export del 7,7%
I distretti del Nord mostrano indici di
internazionalizzazione produttiva
superiori a quelli del Centro e del Sud
Trainanti i settori Sistema casa,
Beni per l’edilizia e Manufatti;
in ripresa Sistema moda, Mobili ed
Elettrodomestici
Gli IDE si orientano verso l’Europa
Centro-orientale, spinti da una
eccessiva attenzione ai costi di
produzione e ai mercati di sbocco
Competitività e sviluppo endogeno
La “colonizzazione” dei distretti
Si concentrano
prevalentemente nel
settore tessile abbigliamento
Limite
(Prada, Dior, Gucci)
Rivitalizzazione
economica delle
PMI distrettuali
Mercati nuovi e
più ampi
Le PMI perdono il controllo
di alcune variabili (design e
marchio) ma, soprattutto,
si spezza il legame
originario tra le imprese e i
consumatori finali
IDE in entrata
Le aree distrettuali del
Nord mostrano una
elevata capacità di
attrazione degli
investimenti
dall’estero
Limite
Grandi Marchi
Le multinazionali
investono in
distretti specialistici
e dell’high tech o
settori ad alta
intensità di scala
IDE limitati perché le
multinazionali tendono ad
investire in economie
forti e in aree centrali
dell’economia mondiale
Competitività e sviluppo endogeno
Distretti in crisi o in evoluzione?
“Il distretto è, anzitutto, una forma organizzativa che per
produrre certe cose […] è più efficiente di altre forme oggi
note[…].
Credo si possa dire che fino a quando il mondo esprimerà una
domanda di prodotti di quel tipo, il distretto industriale
rimarrà un modo valido di organizzare la produzione[…].
Se un cambiamento radicale del mondo e della cultura – che
non riesco a immaginare – farà si che non si richiedano più
quelle cose, per quelle ragioni, o se sorgeranno nuove, più
efficienti, forme organizzative di quei tipi di produzione, oggi
ignote, allora anche la forma distretto, come soluzione tipica
dei problemi distributivi-organizzativi, potrà andare in
pensione”. (Becattini, 1997)
Dai distretti industriali a quelli rurali ed agroalimentari
Negli ultimi anni si sta assistendo ad un dibattito circa l’applicazione della
teoria distrettuale ai sistemi agricoli ed agro-alimentari
Prima fase
Seconda fase
definizione o identificazione
dei distretti in agricoltura
definizione ad alcune delle
caratteristiche dei distretti
rurali ed agroalimentari
Per Iacoponi
Si è in presenza di un distretto
agroalimentare quando sussistono le
stesse condizioni organizzative dei
distretti industriali
Per Cecchi
Bisogna considerare la tipologia di
trasformazione e la provenienza del
prodotto trasformato
Per Iacoponi
Differentemente dal distretto industriale,
l’innovazione in agricoltura o è del tutto
esogena alle imprese oppure si può
ipotizzare che l’impresa agraria si muova
in uno spazio più articolato
Per Fanfani
Il frequente ricorso al contoterzismo
dimostra che anche in agricoltura alcune fasi
della lavorazione possono essere realizzate da
imprese diverse da quelle agrarie
Dai distretti industriali a quelli rurali ed agroalimentari
Il Decreto Legislativo 228/2001 (Legge di Orientamento e
modernizzazione del settore agricolo) all’art. 13, definisce:
1. Si definiscono distretti rurali i sistemi produttivi locali…., caratterizzati da
un’identità storica e territoriale omogenea derivante dall’integrazione fra attività
agricole e altre attività locali, nonché dalla produzione di beni e servizi di particolare
specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali.
- identità storica e territoriale omogenea
DR
- integrazione intersettoriale
- beni e servizi specifici
- tradizioni e le vocazioni
Dai distretti industriali a quelli rurali ed agroalimentari
Il Decreto Legislativo 228/2001 (Legge di Orientamento e
modernizzazione del settore agricolo) all’art. 13, definisce:
2. Si definiscono distretti agroalimentari di qualità i sistemi produttivi locali, anche
a carattere interregionale, caratterizzati da significativa presenza economica e da
interrelazione e interdipendenza produttiva delle imprese agricole ed agroalimentari,
nonché da una o più produzioni certificate e tutelate ai sensi della vigente normativa
comunitaria o nazionale, oppure da produzioni tradizionali o tipiche.
- significativa presenza economica
DAQ
- interrelazione e interdipendenza produttiva
- produzioni certificate
- produzioni tradizionali o tipiche
Dai distretti industriali a quelli rurali ed agroalimentari
Art. 13, Comma 3
“le regioni provvedono all’individuazione dei distretti rurali
e dei distretti agroalimentari di qualità”
Poichè la competenza in materia agricola spetta alla
Regioni, già da alcuni anni alcune di esse stanno
provvedendo ad inserire sui propri territori, questo
importantissimo ed innovativo strumento di governance.
Dai distretti industriali a quelli rurali ed agroalimentari
Le opportunità del decreto
 nuovo strumento di governance, che è in grado di dare più
autonomia alle comunità locali nell’individuazione degli
interventi necessari allo sviluppo territoriale locale.
 maggiori opportunità di sviluppo per le singole imprese agrarie
all’interno di un contesto territoriale produttivo di maggiore
visibilità sia dal punto di vista sociale, che dal punto di vista
politico
Dai distretti industriali a quelli rurali ed agroalimentari
I limiti del decreto
L’eccessiva semplificazione normativa ha aperto un acceso dibattito
scientifico:
 si fa riferimento esclusivamente ai distretti rurali ed agroalimentari, non
facendo assolutamente cenno ai distretti agro-industriali ed agricoli;
 le definizioni dell’art. 13 appaiono una diretta deduzione della definizione
di distretto industriale dell’art. 36 della legge 317/91;
 la definizione di distretto rurale appare ad alcuni (Iacoponi, 1990)
alquanto “generica, perché priva dei riferimenti ai caratteri dinamici dello
sviluppo rurale”, non comprendendo tra l’altro imprese di altri settori
economici che coinvolte comunque nello sviluppo rurale;
 il D. Lgs. 228/2001 è una mera definizione, “non avendo il decreto stesso,
né altre fonti, disposto contributi o sostegni economici o strumenti speciali
di alcun tipo in riferimento alla istituzione e al funzionamento dei distretti
rurali”
Dai distretti industriali a quelli rurali ed agroalimentari
Sintesi delle Regioni
Regioni
L.R.
Procedure di riconoscimento in corso
Piemonte
L. n.26/2003
Toscana
Calabria
L. n. 21/2004
L. n. 21-22/2004
Distretto del Riso del Piemonte
Distretto della Frutta
Distretto Orticolo
Distretto rurale del Chianti
-
Veneto
Art. 7-8-9 L.
40/2003
Lazio
È in esame una
proposta della
giunta regionale
Basilicata
D.R.G.
1931/2003
Sicilia
Abruzzo
-
L.R. n.18/2005
Marche
-
Liguria
-
Distretto rurale del Polesine
Distretto rurale della Montagna
Distretto Veneto del Vino
Distretto sperimentale rurale della Tuscia
Viterbese
Distretto agroalimentare di qualità della
Piana di Fondi
Distretto rurale ed Agroalimentare di Rieti
-
Distretto Rurale Integrato Area Nebrodese
Distretto Si-ragusano
Distretto Rurale di qualità di Valle del
Tordo e dei Feudi
Distretto
dei
Monti
Sicani
Distretto rurale Colli Esini
-
Strumenti di
sviluppo
Piano di Distretto
Piano di Distretto
-
Strumenti
di
Governance
-
-
Comitato
distretto
Società
Distretto
-
-
-
-
-
-
Piano di Distretto
Regolamento d’uso
del Marchio DRQ
(Distretto rurale di
qualità)
Programma
di
Distretto
di
Distretto Floricolo del Lago
Maggiore
Distretto rurale della Maremma
Distretto agroalimentare di
qualità di Sibari
di
-
-
Distretto agroalimentare
Vulture
Distretto agroalimentare
Metapontino
-
-
Tavolo
di
Concertazione
Comitato
Distretto
Distretti riconosciuti
di
Distretto rurale
della Marsica
-
del
del
sperimentale
Distretto
Agricolo
Florovivaistico del Ponente
Dai distretti industriali a turistici
Distretto turistico:
Ambito geografico dove opera una popolazione di PMI che condividono
un patrimonio culturale sufficientemente omogeneo e che racchiude al
suo interno diversi sistemi di prodotto che si rivolgono a diversi segmenti
di clientela, secondo percorsi di integrazione e di omogeneità
Gli elementi distintivi di un distretto turistico (Ricerca ACI-Censis):
 grado di terziarizzazione
 qualità della ristorazione e dell’ospitalità
 segmentazione della qualità e della ospitalità
 il plus-enogastronomico
 il livello di omogeneità e di integrazione
Dai distretti industriali a turistici
La legge 135/2001 all’art. 5 definisce gli STL
“Contesti turistici omogenei o integrati, comprendenti ambiti
territoriali appartenenti anche a regioni diverse, caratterizzati
dall'offerta integrata di beni culturali, ambientali e di attrazioni
turistiche, compresi i prodotti tipici dell'agricoltura e
dell'artigianato locale, o dalla presenza diffusa di imprese
turistiche singole o associate”
Modelli organizzativo – territoriali innovativi che ben riprendono
l’esperienza del distretto industriale in ambito turistico
Dai distretti industriali …………
Distretti industriali, rurali,
agro-alimentari, turistici
Omogeneità strutturale e di settore
(concentrazione di piccole e medie imprese in uno stesso contesto territoriale)
Coerenza ed omogeneità del sistema
(industriale, agricolo, turistico)
Ruolo fondamentale delle risorse immateriali
(dalla dotazione di risorse immateriali dipende l’intensità e la capacità relazionale delle
imprese e dalla intensità/capacità relazionale dipende il successo delle imprese stesse)
Beni relazionali
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