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Cenni teorici sull`epidemiologia
Rassegna della letteratura internazionale sugli inceneritori: Gli studi epidemiologici Carlo Alberto Goldoni Servizio Epidemiologia AUSL Modena Partirei con una domanda: Cosa c’entrano epidemiologia e inceneritori? Ho fatto una piccola indagine Ma cos’è e a cosa serve l’epidemiologia? Cenni storici principali tappe del pensiero epidemiologico Primi esempi di epidemiologia ? Primo esperimento controllato riportato nel Libro di Daniele del Vecchio Testamento? - Confronto tra 4 giovani ebrei sottoposti per 10 giorni a dieta vegetariana e 4 giovani babilonesi che seguivano una dieta imposta dal Re di Babilonia per lo stesso periodo. - Alla fine dei 10 giorni tutti e quattro i giovani ebrei avevano un aspetto più sano dei 4 babilonesi. Ippocrate (Coo, 460 a.C. - Larissa, 377 a.C. circa) Molti hanno ritenuto di trovare le origini dell’epidemiologia nell’idea, espressa per la prima volta oltre 2000 anni fa da Ippocrate, nella sua opera “sull’ aria, l’acqua e i luoghi”, dove teorizza che le malattie sono soprattutto causate da “fattori ambientali quali luoghi, aria e acqua” piuttosto che avere un’origine sovrannaturale. http://classics.mit.edu/Hippocrates/airwatpl.html Ippocrate (Coo, 460 a.C. - Larissa, 377 a.C. circa) “in medicina chiunque voglia indagare correttamente deve procedere così: anzitutto considerare le stagioni dell'anno e gli influssi esercitati da ciascuna di esse, poiché esse non sono affatto simili e anzi differiscono molto le une dalle altre. Deve poi considerare i venti caldi e freddi, sia quelli comuni a tutti i paesi, che quelli peculiari di ciascuna regione. Dobbiamo inoltre valutare la qualità delle acque… Alla stessa maniera uno quando arriva in una città a lui sconosciuta, deve studiare la posizione della città, i rapporti con i venti ed il sorgere del sole … e il suolo…e il modo in cui gli abitanti vivono… le loro abitudini alimentari e il tipo di attività fisica….”. Per molto tempo le principali cause di malattia e di morte sono state le malattie infettive. La diffusione di queste si modificava in modo evidente, avendo spesso dei picchi di incidenza nel corso delle cosiddette epidemie. Si notò che individui venuti a contatto con persone ammalate spesso contraevano la stessa malattia e che coloro che guarivano dalla malattia raramente si ammalavano una seconda volta. Tali osservazioni costituirono le basi delle teorie della contagiosità e dell’immunità, suggerendo misure efficaci per prevenire tali malattie ancora prima che i microorganismi e gli anticorpi venissero scoperti. • 1350: epidemia di peste in Europa, innescata da un atto di bioterrorismo. Nel 1347 l’esercito dei tartari stava assediando Caffa, scalo commerciale della città di Genova in Crimea. Le fila dell’esercito orientale erano sconvolte da un’epidemia di peste, il khan Ganibek decise di utilizzare i corpi dei soldati morti per espugnare la città, catapultandoli oltre le mura. I marinai genovesi scappando da Caffa portarono la peste nei porti del Mediterraneo e da lì la malattia si diffuse in tutta Europa. • Controllo delle epidemie: Magistratura di Sanità nelle principali città italiane, con compiti per lo più ispettivi e repressivi, ma anche preventivi (affollamento abitazioni, scarichi…) e “epidemiologici” (informazioni su cause di morte per contagio) • Teoria del contagio (1546): Fracastoro nella sua opera “De Contagione et Contagiosis Morbis" afferma che ogni malattia è provocata da un differente tipo di corpuscolo in grado di moltiplicarsi rapidamente e di trasmettersi dagli ammalati ai sani per contatto diretto, per mezzo di materiali diversi e attraverso l’aria. • invenzione del microscopio e scoperta dei microrganismi (van Leeuwenhoek fine 1600) Quelli precedenti però non possono essere indicati come esempi di applicazione del metodo epidemiologico. Morabia, autore di “A History of Epidemiologic methods and concepts”, asserisce che non si possa parlare di epidemiologia prima del 17° secolo. E’ solo da questo secolo in poi che si sviluppano i concetti fondamentali di “population thinking” e “group comparisons”. Partendo da questo periodo egli crede si possano identificare quattro fase storiche. Una fase preformale in cui alcuni scienziati, la maggior parte medici, “scoprirono” in maniera intuitiva l’epidemiologia. Successivamente nel corso di tre fasi (iniziale, classica e moderna) si è assistito ad una sempre maggiore formalizzazione ed astrazione dei metodi e dei concetti propri dell’epidemiologia. Probabilmente in futuro si assisterà ad una ulteriore evoluzione dei metodi, necessaria per poter affrontare la sempre più complessa matrice di determinanti della salute. Perché l’epidemiologia compare così tardi? L’idea dell’esperimento controllato è controintuitiva. Mancava il concetto di probabilità necessario per estrapolare i dati dal gruppo al singolo (primo testo scritto da Huygens nel 1657). Perché l’epidemiologia compare così tardi? L’uomo tende per natura a riporre fiducia in osservazioni non controllate. Es. soggetto affetto da raffreddore che migliora dopo aver assunto antibiotico. Questo è un classico esempio di ragionamento del tipo “post hoc, ergo propter hoc”. Ma cosa sarebbe successo allo stesso individuo se non avesse assunto l’antibiotico?: impossibile avere la contro-prova a livello di singolo individuo. Perché l’epidemiologia compare così tardi? Impossibile condurre degli esperimenti controllati rimanendo con un pensiero di tipo “individualistico”. Il problema può essere superato solo se ci si pone in un’ottica di popolazione, ragionando in termini probabilistici. Gli individui sono unici, imprevedibili e incomparabili, il comportamento medio dei gruppi è invece prevedibile e comparabile. Si può stabilire coda accade in media in presenza o in assenza di una determinata causa e utilizzare questa conoscenza come la migliore stima per una previsione a livello individuale. John Graunt e William Farr John Graunt, un commerciante di Londra pubblicò una analisi statistica della mortalità del 1662, descrivendo gli andamenti delle nascite, delle morti e delle malattie, notando alti tassi di mortalità infantile, le disparità tra maschi e femmine, differenze tra aree urbane e rurali e tra le differenti stagioni. Nessuno sviluppò ulteriormente le idee di Graunt fino alla metà del 1800, quando William Farr cominciò a raccogliere e ad analizzare sistematicamente le statistiche di mortalità inglesi. Egli estese l’analisi dei dati di mortalità e morbosità ponendo attenzione anche agli effetti dello stato civile, dell’occupazione e dell’altitudine. Fu anche il primo a sentire l’esigenza di 2 differenti misure di occorrenza: rischio e tasso. Lind 1747 primo esempio di trial sullo scorbuto A treatise of the scurvy. In three parts. Containing an inquiry into the nature, causes and cure, of that disease. Together with a critical and chronological view of what has been published on the subject. Edinburgh: Printed by Sands, Murray and Cochran for A Kincaid and A Donaldson, 1753. James Lind fa uno studio sullo scorbuto: 1747 2 2 2 2 2 2 12 marinai affetti da scorbuto: ¼ di sidro al dì 25g di sciroppo al vetriolo al dì 2 cucchiaini di aceto 3 volte al dì H2O di mare per os 2 arance + 1 limone al dì 1 noce moscata 3 volte al dì + aglio, mostarda, mirra e balsamo del Perù CHE FORTUNA !!! La vitamina C cura lo scorbuto Dal 1795 (48 anni dopo!!!) la dieta sulle navi inglesi incluse il cedro o il succo di cedro! Secolo XIX: nasce l’epidemiologia Grazie all’impulso di Farr la distribuzione della malattia in specifici gruppi di popolazione viene studiata su larga scala. In questo secolo si raggiungono, grazie all’applicazione del metodo epidemiologico, notevoli risultati quale la scoperta da parte di John Snow che il rischio di colera, a Londra, era collegato anche al tipo di approvvigionamento idrico. 1841-46: Ignazio Filippo Semmelweiss e la febbre puerperale Medico ungherese che lavorava a Vienna. A quei tempi la febbre puerperale uccideva molte donne. Semmelweiss basandosi su una attenta osservazione della distribuzione dei casi in due reparti dell’ospedale in cui lavorava, realizzò che la frequenza era molto più alta nel reparto frequentato da medici rispetto a quello gestito prevalentemente da ostetriche. N° puerpere N° Decessi % Reparto per medici 20042 1989 9,92 Reparto per ostetriche 17791 691 3,88 Osservò anche che i sintomi clinici della malattia erano simili a quelli mostrati da un patologo che era morto dopo essersi ferito ad dito con uno strumento sporcatosi durante una autopsia. 1841-46: Ignazio Filippo Semmelweiss e la febbre puerperale giunse alla conclusione che il morbo si trasmetteva attraverso “particelle di cadavere” e che erano i medici a diffondere la malattia tra le puerpere a causa della scarsa igiene: i medici e gli studenti spesso eseguivano visite ginecologiche, subito dopo aver effettuato dissezioni di cadaveri, senza adottare alcuna misura igienica. Per verificare la sua ipotesi, Semmelweiss ordinò che tutte le persone del suo reparto si lavassero bene le mani con una soluzione disinfettante prima di qualsiasi contatto con le pazienti. Tale direttiva portò a una drastica riduzione dei decessi. Il valore della scoperta, tuttavia, fu contestato aspramente dalla maggioranza dei medici del tempo, che gli rivolsero una tale quantità di accuse da provocare addirittura la sua espulsione dall'ospedale e in seguito anche dalla cattedra universitaria di Budapest, che gli era stata offerta nel 1885. John Snow John Snow (19° secolo), famoso ai suoi contemporanei più per la sua attività di anestesista, è divenuto in seguito famoso e tramandato come uno dei padri della moderna epidemiologia. Venti anni prima della scoperta del microscopio, egli condusse una serie di studi sulle epidemie di colera per cercare di scoprirne la causa e gli idonei mezzi di prevenzione. Il suo lavoro esemplifica molto bene la sequenza che porta dall’epidemiologia descrittiva alla generazione di una ipotesi ed alla verifica di tale ipotesi tramite l’epidemiologia analitica. http://www.ph.ucla.edu/epi/snow.html Durante una epidemia di colera avvenuta a Londra nel 1849, Snow aveva notato che i distretti con la più alta mortalità erano quelli forniti di acqua da due società: la Lambeth e la Southwark&Vauxhall che avevano i punti di captazione dei loro acquedotti sul Tamigi posti a valle della città. Nel 1852 la Lambeth spostò i suoi punti di captazione a monte della città (rendendo impossibile la contaminazione dell’acqua con gli scarichi delle fogne). Quando il colera nel 1853 tornò a colpire Londra Snow realizzò che avrebbe potuto comparare la mortalità di distretti forniti di acqua captata a monte con quelli forniti di acqua captata a valle di Londra. Mortalità da colera nei distretti di Londra riforniti dalla Lamberth e dalla Southwark&Vauxhall 9 luglio – 26 agosto 1854. Società distributrice acqua popolazione Decessi per colera Decessi per 1000 abitanti 167.654 844 5,0 Lamberth 19.133 18 0,9 entrambe 300.149 652 2,2 Southwark e Vanxhall (solo) (solo) (censimento 1851) I dati raccolti dimostravano che il rischio di morire di colera era 5 volte più alto nei distretti riforniti solo dalla Southwark&Vauxhall rispetto a quelli riforniti solo dalla Lambert. I distretti riforniti da entrambi le compagnie avevano una mortalità intermedia. Questi dati erano in linea con l’ipotesi di Snow che l’acqua captata a valle di Londra fosse una fonte di infezione di colera. Una ipotesi alternativa era che le popolazioni rifornite potessero differire per altre caratteristiche importanti per l’insorgenza dell’infezione. Per testare la sua ipotesi Snow focalizzò la sua attenzione sui distretti riforniti da entrambe le compagnie, in questo modo le popolazioni sarebbero state maggiormente confrontabili. Egli identificò per ogni casa la compagnia rifornitrice. I dati che ottenne rinforzarono ulteriormente la sua ipotesi. Società distributrice acqua Southwark e Vanxhall Lamberth popolazione Decessi per colera Decessi per 1000 abitanti 98.862 419 4,2 154.615 80 0,5 (censimento 1851) Questo studio è un esempio della sequenza utilizzata ancora oggi per indagare le epidemie. Basandosi sulla caratterizzazione dei casi e della popolazione a rischio in base al tempo, al luogo e alle persone, Snow sviluppò una ipotesi da sottoporre a prova. Egli testò quindi questa ipotesi con uno studio più rigoroso, assicurandosi che i gruppi fossero comparabili tra di loro, tranne per l’esposizione. Dopo questo studio gli sforzi per controllare l’epidemia furono tesi alla delocalizzazione dei punti di approvvigionamento della Southwark&Vauxhall per evitare la contaminazione dell’acqua. Quindi senza sapere dell’esistenza del vibrio cholerae Snow riuscì a dimostrare, conducendo studi epidemiologici, che l’acqua poteva essere un mezzo di trasmissione del colera e che le informazioni epidemiologiche potevano essere utilizzate per attivare tempestive ed efficaci misure di sanità pubblica. Secolo XX: epidemiologia moderna Nel 1800 l’epidemiologia fu applicata soprattutto allo studio delle malattie infettive e senza avere una base metodologica ben codificata. Nel 1900 i metodi epidemiologici si estesero anche alla malattie non infettive, divenne presto chiaro che per molte malattie esiste un gran numero di fattori implicati, alcuni essenziali per lo sviluppo di malattia, altri invece che aumentano solo il rischio di svilupparla. Si resero necessari nuovi metodi di analisi per tener conto di queste relazioni più complesse. Joseph Goldberger Nel 1914, Joseph Goldberger ricevette l’incarico di affrontare l’epidemia di pellagra che affliggeva in forma epidemica il Sud degli Stati Uniti. Egli attraverso attente osservazioni di persone sane e persone affette dalla malattia arrivò alla conclusione che il fattore importante era la dieta. Le persone povere la cui dieta era composta prevalentemente di cereali e melassa avevano un maggior rischio di contrarre la malattia. Grazie ad esperimenti condotti su reclusi volontari (??) della prigione del Mississippi egli arrivò alla conclusione che effettivamente la dieta povera era la causa della malattia. Egli morì di cancro nel 1929 prima di riuscire ad identificare la sostanza fondamentale che mancava nella dieta dei poveri. Ci riuscì nel 1937 Conrad Elvehjem che scoprì che l’acido nicotinico o niacina o vitamina PP (Pellagra Prevention) presente in maggior quantità nelle carni, riusciva a prevenire e a curare la pellagra in cani e persone. http://www.pbs.org/wgbh/aso/databank/entries/bmgold.html http://history.nih.gov/exhibits/Goldberger/index.html A partire dalla II guerra mondiale ci fu un grande sviluppo dei metodi di ricerca e dei concetti base dell’epidemiologia. Doll, Hill e altri negli anni ‘50 avviarono uno studio sulla relazione tra il fumo di sigaretta ed il cancro del polmone. Un follow-up a lungo termine (l’ultimo questionario è stato somministrato nel 2001) mise in evidenza un forte legame tra abitudine al fumo e cancro del polmone. Richard Doll Austin Bradford Hill Nel 1948 viene avviato in america, nella cittadina di Framingham, uno studio di coorte (finora arrivato a coinvolgere 3 generazioni), con l’obiettivo di identificare i fattori di rischio per le malattie cardiovascolari. Grazie a questo studio vennero identificati per la prima volta i principali fattori di rischio implicati: fumo di sigaretta, livelli di colesterolo e trigliceridi, livelli di pressione arteriosa e di attività fisica, diabete. (http://www.nhlbi.nih.gov/about/framingham/) I risultati di questo studio sono stati utilizzati per la costruzione di carte di rischio cardiovascolare, utilizzate in tutto il mondo. Solo recentemente in Italia sono state superate da carte costruite con dati provenienti dagli studi italiani correlati al “progetto cuore”, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità. (http://www.cuore.iss.it/valutazione/carte.asp) L’applicazione dei metodi epidemiologici fu molto importante anche nell’eradicazione del vaiolo, coordinata dall’OMS. L’epidemiologia fornì informazioni sulla distribuzione dei casi, sui meccanismi e sui livelli di trasmissione, tracciando la mappa dei focolai epidemici e valutando le misure di controllo. Nel 1967, anno di inizio del programma, vi erano 10-15 milioni di nuovi casi e 2 milioni di morti all’anno in 31 paesi. Nel 1977 fu riportato l’ultimo caso di vaiolo. Oggi i metodi epidemiologici sono applicati a tutte le discipline biomediche ed interessano tutti gli aspetti inerenti allo studio della malattia/salute e dei loro determinanti ed alla valutazione degli interventi sanitari. Significato di Epidemiologia Il termine epidemiologia deriva dal greco epi: “su, intorno, circa” demos: “popolo, gente” logos: “studio” La traduzione letterale vuol dire studio della popolazione, delle dinamiche relative ad essa. L’epidemiologia si occupa di qualsiasi evento o fattore correlato allo stato di salute di una popolazione, a tal punto che qualcuno pensa (Morabia) che un nome più adatto per questa disciplina potrebbe oggi essere “population health etiology” 2 caratteristiche o principi fondamentali - Pensare in termini di popolazione (population thinking): non è possibile sapere se un soggetto svilupperà o meno una determinata malattia, si può però stimare una probabilità di malattia applicando all’individuo l’esperienza della popolazione a cui appartiene. . - Confronto tra gruppi. Definizione di Epidemiologia Sono state proposte molte definizioni, ma quella che meglio esprime i principi fondanti e lo spirito di sanità pubblica dell’epidemiologia è la seguente: “…è lo studio della distribuzione delle malattie e dei determinanti di salute e di malattia in specifiche popolazioni, finalizzato al controllo dei problemi di salute” [John M. Last, Dictionary of Epidemiology] • Il metodo epidemiologico mette a confronto una “malattia” con una “esposizione” in una popolazione • Per fare ciò è necessario avere definizioni di “malattia” ed “esposizione” • Tali da permettere di classificare adeguatamente i soggetti • Ed applicare il metodo appropriato di analisi statistica Definizione di causa In epidemiologia per “causa” si intende un “fattore” la cui presenza aumenta l’occorrenza di una o più malattie in una popolazione, la cui eliminazione diminuisce il manifestarsi di quella/e malattie in quella popolazione. Molti problemi sono poi causati dal fatto che una patologia riconosce molte cause e che una causa può dare origine a diverse patologie Criteri di causalità Gli studi epidemiologici non forniscono prove dirette dell’esistenza di un nesso causale ma “solo” delle misure di associazione statistica tra esposizione e malattia. Giudicare sull’esistenza di un nesso di causalità è quindi un processo di inferenza, il frutto di un ragionamento che va al di la di ciò che si può osservare, che risente del livello di conoscenze e di ignoranza presenti al momento in cui si formula tale giudizio. Nel corso del tempo sono stati formulati alcuni criteri da adottare per cercare di arrivare ad un giudizio sulla sussistenza di un nesso causale. Tra questi i più famosi sono quelli che vanno sotto il nome di criteri di causalità di Hill (1965). •Relazione temporale •Plausibilità •Coerenza •Forza •Relazione dose-risposta •Reversibilità •Disegno dello studio •Giudicare l’evidenza Relazione temporale. È un criterio fondamentale: la causa deve precedere l’effetto. Questo sembra ovvio, possono però sorgere problemi nella rilevazione di tale successione negli studi caso-controllo e trasversali, in cui le misurazioni della possibile causa e dell’effetto sono effettuate nello stesso tempo. Difficoltà possono incontrarsi anche qualora l’effetto alteri l’esposizione, ad esempio il bronchitico cronico che smette di fumare a causa della malattia. Plausibilità. L’associazione rilevata è coerente con le altre conoscenze. Gli esperimenti di laboratorio spesso chiariscono i meccanismi attraverso cui una determinata esposizione può indurre la malattia. Questo concetto è tuttavia relativo e la sua mancanza può in realtà riflettere la mancanza di conoscenze scientifiche in quel campo. Coerenza. C’è coerenza quando diversi studi danno gli stessi risultati, non necessariamente identici. Maggiore importanza è da attribuire quando diversi tipi di studi concordano, poiché è difficile che studi di tipo diverso commettano lo stesso tipo di errore. Una mancanza di coerenza non esclude un’associazione causale, si deve dare maggiore importanza agli studi progettati meglio. La meta-analisi è un tipo di studio che, grazie a specifici metodi statistici, riesce ad accorpare i risultati di diversi studi, di solito trial randomizzati, per avere una valutazione globale. Forza dell’associazione. Più è forte l’associazione più è probabile che sia causale. Rischi relativi (vedi UD su misure di associazione) maggiori di 2 sono considerati una associazione forte. I rischi di patologie legate al fumo di sigaretta sono di solito molto forti (rischio aumentato di 2 volte per infarto del miocardio, di 4-20 volte per il tumore del polmone). Tuttavia associazioni molto forti sono molto rare. Il fatto che una associazione sia debole non esclude la causalità. Relazione dose-risposta. La presenza di un chiaro rapporto dose-risposta (all’aumento dell’esposizione aumenta l’incidenza di malattia), in assenza di evidenti bias, rappresenta una forte evidenza di causalità. Reversibilità. Se la rimozione della potenziale causa porta ad una riduzione del rischio, ciò è a supporto dell’associazione causale: smettere di fumare riduce il rischio di tumore del polmone rispetto a coloro che continuano a fumare. Quando però la causa determini rapidamente la malattia questo concetto non può più essere utilizzato (ad esempio infezione da HIV). Disegno dello studio I vari tipi di studi sono contrassegnati da un sistema consolidato di pesi relativi, che ne stimano il valore nell’ambito del processo di inferenza causale. Questa “gerarchia delle evidenze” è qui elencata: 1. Revisioni sistematiche e metanalisi. 2. Trial controllati randomizzati, 3. Studi di coorte. 4. Studi caso-controllo. 5. Studi osservazionali trasversali. 6. Studi ecologici. Giudicare l’evidenza. In definitiva non esiste un criterio affidabile e sicuro per giudicare sull’esistenza del nesso di causalità, bisogna valutare il grado di evidenza disponibile, rimane però sempre un certo margine di incertezza. In presenza di evidenze contrastanti si devono prendere delle decisioni cercando di dare il giusto peso alle diverse evidenze. Una volta soddisfatto il criterio della temporalità il peso maggiore può essere dato alla plausibilità, alla coerenza e alla relazione dose risposta. Più è alto il numero di studi, di differente tipo, che portano alle stesse conclusioni più è alta la probabilità che ci si trovi di fronte ad una associazione causale. IL CONCETTO DI MALATTIA Il concetto di malattia accompagna l’uomo sin dagli inizi della sua storia. Sebbene in alcuni periodi storici la malattia è stata vissuta come qualcosa di supernaturale (opera di spiriti maligni o “punizione” divina per comportamenti non corretti), già con Ippocrate essa viene intesa come la rottura di un equilibrio fisiologico dell’individuo fondato sull’armonia di quattro umori presenti all’interno del corpo umano: sangue, muco, bile gialla e bile nera. I progressi della medicina hanno spazzato via l’idea degli “umori” ma ha rafforzato quella della rottura di un equilibrio. Lo stato di malattia definita genericamente come “qualsiasi alterazione dell'integrità anatomica e funzionale di un organismo” (da dizionario Garzanti) è la conseguenza dell’alterazione di un complesso equilibrio instaurato tra numerosi fattori genetici, ambientali e comportamentali. Fattori Ambientali Fattori Comportamentali Fattori Genetici Se in passato lo stato di malattia era visto come qualcosa di evidente (Il termine malattia ha la stessa derivazione etimologica di malato: dal lat. male habitum ‘di cattivo aspetto’, ad indicare un evidente stato di malessere), i progressi della medicina hanno reso palese che il passaggio dallo stato di salute a quello di malattia è spesso molto graduale e sfumato ed è difficile stabilire l’inizio della malattia. Si parla di storia naturale di una malattia riferendosi all’insieme di processi che si verificano in un individuo nel corso del tempo, in assenza di interventi esterni: La malattia può evolvere verso il recupero pieno o parziale, oppure verso la cronicizzazione o la morte. Il periodo tra esposizione e comparsa dei primi segni clinici è definito periodo di incubazione nelle malattie infettive e periodo di latenza nelle malattie croniche. Sebbene la malattia non sia evidente in questo lasso di tempo (che può essere molto variabile in durata a seconda della malattia), alcune alterazioni patologiche possono essere rilevate con gli strumenti di laboratorio o con altri strumenti di indagine, permettendo di fare una diagnosi precoce che in teoria offre maggiori probabilità di successi terapeutici. L’inizio dei sintomi segna il passaggio tra malattia subclinica e malattia clinica. La maggior parte delle diagnosi Malattia clinica vengono poste nello stadio di malattia clinica. In alcuni casi tuttavia la malattia non sfocia mai in segni clinici evidenti. Le malattia diagnosticate clinicamente spesso rappresentano solo la punta di un iceberg. Malattia sub-clinica DIAGNOSI Per poter studiare la distribuzione delle malattie è necessario disporre di criteri abbastanza precisi per decidere se un soggetto è affetto o meno da una determinata malattia: i cosiddetti criteri diagnostici. I criteri diagnostici si basano spesso su una combinazione di sintomi, segni e test strumentali. I criteri non sono immutabili nel tempo ma risentono necessariamente del costante miglioramento delle conoscenze scientifiche. Le malattie sono organizzate in sistemi di classificazione internazionali. Sintomi Sono anche detti sintomi soggettivi, sono manifestazioni di cui soltanto il soggetto interessato può rendersi conto (dolore, nausea, affaticamento, …). Possono essere percepiti e descritti differentemente da individui diversi ed anche dallo stesso individuo in circostanze differenti. L’accuratezza nella registrazione è influenzata dallo strumento utilizzato per la raccolta dati. I questionari utilizzati vengono di solito standardizzati per cercare di aumentarne la riproducibilità. Nel caso di interviste la risposta è influenzata non solo dal modo in cui è somministrata la domanda ma anche dalle caratteristiche dell’intervistatore e dal contesto. Fonte: A. Ahlbom, S. Norell. Epidemiologia moderna. Segni Manifestazioni che possono essere osservate da un esaminatore, per lo più un medico. Tale accertamento risente del giudizio soggettivo dell’esaminatore. La precisione e l’accuratezza nell’interpretazione dei segni dipende dal grado di concordanza tra differenti esaminatori (variabilità inter-osservatori) e tra differenti esami svolti dallo stesso osservatore (variabilità intraosservatore). Vengono sotto riportati i dati relativi ad un confronto nella lettura di un set di radiografie da parte di due differenti radiologi. La concordanza (proporzione di radiografie classificate allo stesso modo) fu del 65%. Fonte: A. Ahlbom, S. Norell. Epidemiologia moderna. Il livello di concordanza risente del numero di categorie utilizzate (minore il numero di categorie, maggiore la concordanza) e dalla prevalenza della malattia o dei segni (una prevalenza molto alta o molto bassa aumenta la concordanza). Se ognuno di due osservatori riscontra una positività nel 50% degli esami, il livello di concordanza per il solo effetto del caso sarà del 50%. Se ogni esaminatore rileva una positività nel 10% (o nel 90%) degli esami, il livello di concordanza per il solo effetto del caso sarà dell’82%. Test Procedure che possono essere valutate da uno strumento e quindi meno dipendenti dal giudizio soggettivo umano. Un esempio è fornito dalle analisi ematochimiche. In questo caso viene valutata la riproducibilità del risultato mediante numerose ripetizioni dello stesso esame sullo stesso campione da parte di diversi laboratori (variabilità inter-laboratori) e all’interno dello stesso laboratorio (variabilità intra-laboratorio). Ampi fenomeni di variabilità inter-laboratorio possono inficiare studi epidemiologici condotti utilizzando laboratori differenti. Criteri diagnostici L’insieme dei sintomi, segni e test considerati tipici per una determinata malattia sono utilizzate per stabilirne i criteri diagnostici. Utilizzare criteri diagnostici più o meno rigorosi ha delle conseguenze sulla proporzione di soggetti classificata correttamente come malata o come sana. Criteri molto rigorosi portano a basse probabilità di classificare erroneamente malati dei soggetti in realtà sani (alta specificità), ma spesso conducono ad alte probabilità di ritenere sani soggetti in realtà malati (bassa sensibilità). Il contrario accade per criteri meno rigorosi (bassa specificità, alta sensibilità) (per approfondimenti su sensibilità e specificità vedi relativa UD). Classificazioni malattie L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha prodotto numerose versioni della classificazione Internazionale delle Malattie (ICM o ICD nella versione inglese), attualmente si è arrivati alla decima versione. Le classificazioni delle malattie contengono di solito definizioni generali delle stesse e spesso ci sono voci poco chiare o specifiche che possono condurre a differenti classificazioni della stessa malattia. Per quanto riguarda la codifica delle cause di morte si aggiungono poi ulteriori complicazioni, dovute alle complesse regole da applicare per poter stabilire quale è la causa principale di morte tra le numerose eventualmente segnalate dal medico (vedi esempio di scheda di morte istat). Accuratezza Non tutti i soggetti con una determinata malattia riceveranno una adeguata diagnosi, non tutti quelli che hanno una determinata diagnosi di malattia saranno effettivamente affetti da tale malattia. Veri malati Diagnosi Esempi di possibili livelli di concordanza tra veri malati e diagnosi per una determinata malattia. L’accuratezza della diagnosi dipende dal tipo di malattia, dal contesto, dal tipo di esami effettuati e dall’interpretazione delle osservazioni. Gli studi epidemiologici sono spesso condotti sulla base di diagnosi di malattia, per lo più formulate da differenti soggetti. Bisogna quindi riconoscere che ciò che si studia in realtà è la distribuzione della diagnosi e non quella della malattia, e che bisogna avere ben presenti quali possono essere le numerosi fonti di errore quando si conducono gli studi epidemiologici. L’obiettivo di uno studio epidemiologico è quello di fornire stime accurate delle misure epidemiologiche: tassi, rischi e misure di effetto quali ad esempio il rapporto di tassi (rate ratio). Supponiamo di condurre uno studio per valutare il rapporto dei tassi di incidenza di lesioni trofiche ai piedi in pazienti diabetici sottoposti a due differenti trattamenti. Si può ipotizzare che esiste un valore corretto di tale rate ratio, lo studio fornirà una stima di tale rate ratio. Se la stima è vicina al valore reale allora lo studio è accurato o, detto in altro modo, l’errore è piccolo. Viceversa se la stima è distante dal valore reale allora lo studio è poco accurato, l’errore è grande. Sfortunatamente il valore corretto non è dato saperlo e quindi non è possibile determinare la quantità di errore presente nella stima. Tuttavia gli epidemiologi possono e devono mettere in atto tutta una serie di accorgimenti, sia in fase di disegno dello studio che in fase di analisi, tendenti alla riduzione dell’errore. Anche coloro che leggono i risultati dello studio devono essere in grado di valutare tutti gli aspetti che possono aumentare o ridurre l’errore. Esistono fondamentalmente due tipi di errore che possono interessare gli studi epidemiologici: gli errori causali (random) e gli errori sistematici (bias). L’errore casuale è lo scarto, dovuto solo al caso, tra il vero valore del parametro e il valore stimato su di un campione. I valori di una serie di stime affette solo da errore casuale si dovrebbero disporre casualmente intorno al vero valore. Più l’errore casuale è piccolo più le stime sono precise e disposte vicine al valore vero. L’errore sistematico (bias) invece è quella quota di variabilità delle stime ascrivibile a cause specifiche anche se , per definizione, ignote al ricercatore (altrimenti lo eviterebbe). Questo tipo di errore conduce a sbagliare sempre (sistematicamente) nella stessa direzione. Più è grande l’errore sistematico meno valida è la stima della misura ottenuta, nel senso che non rispecchia il vero valore. In epidemiologia si distinguono due tipi di validità dello studio. La validità interna si riferisce all’accuratezza della stima ottenuta, errore casuale a parte, rispetto alla popolazione di origine dei soggetti partecipanti allo studio. Quanto i risultati dello studio sono validi rispetto alla popolazione d’origine?. La validità interna sarà tanto più alta quanto minori sono gli errori sistematici che possono distorcere i risultati. La validità esterna si riferisce invece ad un concetto più ampio di generalizzabilità dei risultati dello studio ad altre popolazioni, differenti da quella che ha dato origine ai soggetti dello studio. La validità interna è presupposto fondamentale ma non sufficiente perché si realizzi la validità esterna. obiettivo principale: ACCURATEZZA NELLA STIMA il valore stimato è molto vicino al valore reale misurare con poco errore - errori random + precisione - errori sistematici + validità interna Errore casuale basso alto alto Errore sistematico basso Valore reale Valore stimato I PRINCIPI ALLA BASE DEL DISEGNO DI UNO STUDIO EPIDEMIOLOGICO DERIVANO DALLA VALUTAZIONE DEGLI APPROCCI UTILI PER RIDURRE ENTRAMBI I TIPI DI ERRORE: CASUALE E SISTEMATICO Fonti di errore casuale Le tre fonti principali di errore casuale sono: • l’errore di campionamento, legato al fatto che i partecipanti allo studio rappresentano sempre un campione di una popolazione più grande. • la variazione biologica individuale, ogni soggetto è differente rispetto agli altri e rispetto a se stesso nel corso del tempo; • l’errore di misurazione, legato al fatto che molteplici misure di una stesso oggetto daranno esito a misure sempre leggermente differenti. dimensione efficienza studio studio riduzione degli errori casuali + PRECISIONE dimensione studio è il mezzo principale per ridurre l’errore di campionamento. L’aumento della numerosità dello studio comporta sempre una riduzione dell’intervallo di confidenza del parametro stimato. Sebbene esistano delle formule matematiche che aiutano nel calcolo della dimensione ottimale del campione, la decisione si basa sempre su una valutazione costibenefici. Aumentare il campione è costoso e l’entità dei potenziali benefici non è sempre facilmente prevedibile. SELECTION BIAS 1 Distorsioni che possono derivare dal metodo di selezione dei soggetti e/o da fattori che possono influire sulla partecipazione allo studio. L’elemento distintivo è che la relazione esposizione-malattia è differente tra chi partecipa e coloro teoricamente eligibili, compresi coloro che non hanno partecipato. Il risultato è che l’associazione osservata deriva da un mix di due tipi di fattori: i determinanti della partecipazione allo studio, e i determinanti della patologia osservata. La presenza e il grado del bias di selezione può solo essere oggetto di speculazione visto che non si sa nulla su coloro che non partecipano allo studio. VALIDITA’ riduzione degli errori SISTEMATICI (bias) ESTERNA INTERNA O GENERALIZZABILITA’ l’inferenza alla popolazione origine dei soggetti è valida. Molti tipi di bias possono distorcere le stime ottenute. La distinzione è spesso difficile. Tre tipologie principali: • selection bias • information bias • confounding bias L’epidemiologia è una scienza quantitativa. misura quantità, descrive e confronta gruppi di persone o popolazioni. Tutte le misure di occorrenza utilizzate in epidemiologia (rapporti, proporzioni, rischi, tassi, odds), sono ottenute dividendo una quantità per un’altra, ciò che le differenzia sono la natura dei numeratori e dei denominatori. Prevalenza È la proporzione di individui a rischio che in un determinato periodo temporale presenta una determinata malattia. Si calcola dividendo i casi prevalenti nel periodo per i soggetti a rischio nello stesso periodo. A volte è definita impropriamente tasso di prevalenza N° di persone affetti da malattia in un periodo specificato (casi prevalenti) P=---------------------------------------------------------------------------------------N° di persone a rischio nello stesso periodo nella stessa popolazione Quantifica l’accumulo di malattia nel corso del tempo. Misura lo stato di salute di una popolazione derivante da eventi realizzatisi nel passato più o meno recente a seconda della malattia considerata. Incidenza Per casi incidenti di malattia si intende il numero di nuovi casi di malattia che si sviluppano in un dato periodo, in una specifica popolazione. Casi incidenti= N° di persone che sviluppano una malattia (nuovi casi) in un dato periodo Anche questo è un modo per misurare la frequenza di malattia e si riferisce alla conta dei soli nuovi casi o casi incidenti. Tale concetto di misurazione dei “nuovi casi o casi incidenti” prende significato solo se viene definito un tempo di osservazione, x0-x1. PRINCIPALI TIPI DI STUDIO Esistono diversi criteri di classificazione e quindi gli studi possono essere classificati in vari modi a seconda del criterio utilizzato. Qui si seguirà una classificazione consolidata degli studi epidemiologici che prevede una prima grande distinzione tra: studi sperimentali, più vicini allo standard dell’esperimento scientifico e considerati quindi di alto peso nella formazione delle evidenze scientifiche; studi osservazionali in cui lo studioso si limita ad osservare e registrare. Questi ultimi si differenziano poi in due gruppi: gli studi descrittivi, che tendono a descrivere al meglio una o più malattie o la mortalità di una popolazione, non possono fornire direttamente prove di associazione tra fattori di rischio e patologie ma sono una preziosa fonte di ipotesi; gli studi analitici che cercano invece di verificare le ipotesi eziologiche focalizzandosi su alcuni argomenti ben precisi ed effettuando confronti tra diversi gruppi. Studi Epidemiologici Sperimentali Osservazionali Clinical Trial Descrittivi Field Trials • Case report • Case series • di Popolazione Community Trials Analitici Studi ecologici Studi trasversali Studi caso-controllo Studi di coorte STUDI OSSERVAZIONALI (1) Nella maggior parte dei casi motivi di ordine etico e economico costringono la ricerca epidemiologica all’uso degli studi di tipo non sperimentale, detti anche osservazionali, in cui il ricercatore non interviene nel determinare l’esposizione ma si limita a misurare l’effetto. Mentre sarebbe eticamente inaccettabile per un ricercatore esporre un soggetto ad una potenziale causa di danno per il solo scopo di imparare qualcosa in più sull’eziologia di una patologia, succede che spesso le persone consapevolmente o no si espongano a numerosi fattori potenzialmente pericolosi (esperimento naturale). STUDI DESCRITTIVI (1) servono a descrivere la malattia e la frequenza di malattia in popolazioni o gruppi di individui, non possono essere utilizzati per indagare sul nesso di causalità poiché non effettuano confronti tra gruppi a differente esposizione. Da essi non si possono trarre conclusioni, ma indicazioni su possibili fattori di rischio, che dovranno essere verificati con studi di tipo analitico o sperimentale. STUDI DESCRITTIVI (2) • Case report : di solito si descrive uno o pochi casi che colpiscono per la novità nella presentazione clinica, negli effetti collaterali della terapia o per nuovi usi terapeutici. In questo modo è stata scoperta l’AIDS. • Case series: si raccolgono dati su molti casi della stessa malattia al fine di meglio caratterizzarla (sintomi, segni, terapia) • Di popolazione: Es. registro tumori, registro di mortalità, dimissioni ospedaliere, in cui si raccolgono tutti i casi relativi ad una determinata popolazione (tumori, morti, dimissioni ospedaliere) riuscendo a studiare l’incidenza, la prevalenza, la sopravvivenza, la stadiazione e l’evoluzione nel tempo di determinate patologie o della mortalità. STUDI ANALITICI sono anche detti eziologici poiché indagano sul nesso di causalità, effettuando confronti tra gruppi. Sono di solito focalizzati su un quesito ben specifico (spesso originato da studi descrittivi) e richiedono una progettazione ed una analisi dati più complessa e rigorosa degli studi osservazionali. STUDI ECOLOGICI (1) Sono studi in cui le unità di analisi sono gruppi di individui o popolazioni piuttosto che singoli individui. La caratteristica fondamentale è che le informazioni utilizzate sono a livello di gruppo (aggregate) e non a livello di singolo individuo. Hanno l’obiettivo di evidenziare una relazione tra alcune variabili, di solito raccolte per altri scopi, quale il consumo pro-capite di alcool, di tabacco, ecc… ed uno o più misure di occorrenza di malattia (incidenza, mortalità). STUDI ECOLOGICI (2) Possono essere studiati due diversi paesi nello stesso periodo o la stessa popolazione in due periodi differenti. Sono utili per suggerire ipotesi, ma non possono essere utilizzati per trarre conclusioni definitive sui rapporti di associazione poiché non sono disponibili dati individuali, l’associazione ottenibile dai dati individuali in teoria potrebbe anche essere di segno opposto a quella rivelata sui dati aggregati (fallacia ecologica). STUDI ECOLOGICI (3) Esempi di ipotesi eziologiche suggerite tramite studi ecologici: • associazione tra carie dentaria e bassi livelli di fluoro nelle acque; • osservazione tra la popolazione maschile di un picco di tumori del polmone venti anni dopo il rapido incremento del tabagismo; dopo venti anni lo stesso fenomeno fu visto anche nella popolazione femminile. STUDI TRASVERSALI (1) (cross sectional o di prevalenza) • hanno come obiettivo descrivere una popolazione in un determinato tempo e includono tutti i soggetti di quella popolazione o un campione rappresentativo della stessa; • utili per stimare la prevalenza di fattori di rischio nonché la prevalenza di una malattia nella popolazione; • Relativamente semplici ed economici da condurre; STUDI TRASVERSALI (2) • l’esposizione attuale rilevata nel corso di uno studio trasversale non sempre però riflette l’esposizione eziologicamente rilevante; • Soprattutto utili quindi per studiare associazioni con caratteristiche fisse dei soggetti come sesso, razza, gruppo; STUDI TRASVERSALI (2) Uno dei problemi legati a questo tipo di studio è che sono sovrarappresentati i casi di malattia di lunga durata e sottorappresentati i casi di malattia di breve durata (fenomeno del lenght-biased sampling o bias di Neyman). STUDI TRASVERSALI (3) Questo comporta che se l’esposizione non altera il rischio di malattia ma la rende più lieve prolungandone la durata, l’esposizione sarà molto associata con la patologia e quindi considerata erroneamente un fattore di rischio; viceversa se l’esposizione pur non alterando il rischio di malattia ne aggrava il decorso rendendola rapidamente fatale, sarà poco prevalente tra i casi, lo studio rileverà una associazione negativa e l’esposizione sarà considerata erroneamente un fattore protettivo. STUDI TRASVERSALI (4) In molti paesi vengono condotte regolarmente indagini trasversali su campioni rappresentativi della popolazione per rilevare le caratteristiche personali e demografiche, le malattie e le abitudini collegate alla salute. Tali indagini sono definite Surveys e se ne distinguono due tipi: STUDI TRASVERSALI (5) HIS: Health Interview Surveys basate solo su interviste, spesso telefoniche HES: Health Examination Surveys nelle quali i soggetti sono sottoposti anche a visite mediche e/o indagini di laboratorio In Italia si conduce periodicamente una Survey di tipo HIS: è l’Indagine Multiscopo dell’ISTAT. STUDI CASO-CONTROLLO Studi relativamente economici da effettuare, molto utilizzati. Cercano di evidenziare l’associazione tra potenziali fattori di rischio e malattie, effettuando un percorso a ritroso. Confrontano, rispetto ai fattori di rischio, un gruppo di soggetti con la malattia (CASI) con un adeguato gruppo privo di malattia (CONTROLLO). Sono studi che possono sembrare semplici da condurre ma che tuttavia, per essere condotti ed interpretati correttamente, necessitano di una conoscenza approfondita dei presupposti logici che ne stanno alla base. Ad essi sono dedicati due intere Unità Didattiche a cui si rimanda. STUDI DI COORTE (1) Il termine coorte deriva dal latino cohorte che stava ad indicare la decima parte della legione romana. In epidemiologia sta ad indicare un gruppo di persone che sono osservate per un certo periodo di tempo: “ a designated group of person who are followed or traced over a period of time” (Last IM. A dictionary of Epidemiology). Ad esempio tutti i soggetti nati in Italia nel corso del 2000 e seguiti per una anno, al fine di rilevare l’incidenza di patologie respiratorie, rappresentano una coorte. STUDI DI COORTE (2) Lo studio di coorte, tra gli studi osservazionali, è quello più simile allo studio sperimentale: • si parte da gruppi di soggetti non malati, con differenti livelli di esposizione a un fattore di rischio; • questi sono seguiti nel tempo per un periodo sufficiente perché si verifichi un certo numero di casi di malattia (periodo di follow-up); • si confrontano le diverse incidenze di malattia. (Vedi unità specifica) STUDI SECONDARI (1) Quelli fin qui visti sono tutti definiti studi primari. Esiste un’altra categoria di studi detti appunto secondari che cercano di sintetizzare le evidenze scientifiche disponibili su un determinato argomento. Sono le revisioni sistematiche e le metanalisi. Una revisione sistematica consiste in una raccolta esaustiva, una disamina critica e una sintesi degli studi primari condotti su un determinato argomento. Essa utilizza metodi rigorosi e standardizzati per cercare di ridurre i possibili bias insiti in tale tipo di operazione. Può includere al suo interno, non necessariamente, anche una meta-analisi. STUDI SECONDARI (2) La meta-analisi consiste in una sintesi statistica di numerosi studi, simili e comparabili , che conduce ad un unica misura riassuntiva di effetto. Frequentemente utilizzata per assemblare i risultati di vari trial randomizzati che presi singolarmente non riescono ad avere una potenza sufficiente. Oltre alla componente quantitativa ha molta importanza anche l’aspetto qualitativo come ad esempio l’applicazione di predeterminati criteri di qualità (completezza dei dati, assenza di bias, ecc.) per decidere quali studi includere nella meta-analisi.