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Cenni teorici sull`epidemiologia

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Cenni teorici sull`epidemiologia
Rassegna della letteratura
internazionale sugli
inceneritori:
Gli studi epidemiologici
Carlo Alberto Goldoni Servizio Epidemiologia AUSL
Modena
Partirei con una domanda:
Cosa c’entrano epidemiologia e
inceneritori?
Ho fatto una piccola indagine
Ma cos’è e a cosa serve
l’epidemiologia?
Cenni storici
principali tappe del pensiero epidemiologico
Primi esempi di epidemiologia
?
Primo esperimento controllato riportato nel Libro di
Daniele del Vecchio Testamento?
- Confronto tra 4 giovani ebrei sottoposti per 10 giorni a
dieta vegetariana e 4 giovani babilonesi che seguivano una
dieta imposta dal Re di Babilonia per lo stesso periodo.
- Alla fine dei 10 giorni tutti e quattro i giovani ebrei
avevano un aspetto più sano dei 4 babilonesi.
Ippocrate
(Coo, 460 a.C. - Larissa, 377 a.C. circa)
Molti hanno ritenuto di trovare le origini
dell’epidemiologia nell’idea, espressa per la prima volta
oltre 2000 anni fa da Ippocrate, nella sua opera “sull’
aria, l’acqua e i luoghi”, dove teorizza che le malattie
sono soprattutto causate da “fattori ambientali quali
luoghi, aria e acqua” piuttosto che avere un’origine
sovrannaturale.
http://classics.mit.edu/Hippocrates/airwatpl.html
Ippocrate
(Coo, 460 a.C. - Larissa, 377 a.C. circa)
“in medicina chiunque voglia indagare correttamente deve
procedere così: anzitutto considerare le stagioni dell'anno e gli
influssi esercitati da ciascuna di esse, poiché esse non sono
affatto simili e anzi differiscono molto le une dalle altre. Deve poi
considerare i venti caldi e freddi, sia quelli comuni a tutti i paesi,
che quelli peculiari di ciascuna regione. Dobbiamo inoltre valutare
la qualità delle acque… Alla stessa maniera uno quando arriva in una
città a lui sconosciuta, deve studiare la posizione della città, i
rapporti con i venti ed il sorgere del sole … e il suolo…e il modo in
cui gli abitanti vivono… le loro abitudini alimentari e il tipo di
attività fisica….”.
Per molto tempo le principali cause di malattia e di
morte sono state le malattie infettive. La diffusione
di queste si modificava in modo evidente, avendo
spesso dei picchi di incidenza nel corso delle
cosiddette epidemie. Si notò che individui venuti a
contatto con persone ammalate spesso contraevano la
stessa malattia e che coloro che guarivano dalla
malattia raramente si ammalavano una seconda volta.
Tali osservazioni costituirono le basi delle
teorie della contagiosità e dell’immunità,
suggerendo misure efficaci per prevenire tali
malattie ancora prima che i microorganismi e
gli anticorpi venissero scoperti.
• 1350: epidemia di peste in Europa, innescata da un atto di
bioterrorismo. Nel 1347 l’esercito dei tartari stava
assediando Caffa, scalo commerciale della città di Genova in
Crimea. Le fila dell’esercito orientale erano sconvolte da
un’epidemia di peste, il khan Ganibek decise di utilizzare i
corpi dei soldati morti per espugnare la città, catapultandoli
oltre le mura. I marinai genovesi scappando da Caffa
portarono la peste nei porti del Mediterraneo e da lì la
malattia si diffuse in tutta Europa.
• Controllo delle epidemie: Magistratura di Sanità nelle
principali città italiane, con compiti per lo più ispettivi e
repressivi, ma anche preventivi (affollamento abitazioni,
scarichi…) e “epidemiologici” (informazioni su cause di morte
per contagio)
• Teoria del contagio (1546):
Fracastoro nella sua opera “De Contagione et
Contagiosis Morbis" afferma che ogni malattia è
provocata da un differente tipo di corpuscolo in
grado di moltiplicarsi rapidamente e di trasmettersi
dagli ammalati ai sani per contatto diretto, per
mezzo di materiali diversi e attraverso l’aria.
• invenzione del microscopio e scoperta dei
microrganismi (van Leeuwenhoek fine 1600)
Quelli precedenti però non possono essere
indicati come esempi di applicazione del metodo
epidemiologico.
Morabia, autore di “A History of Epidemiologic
methods and concepts”, asserisce che non si
possa parlare di epidemiologia prima del 17°
secolo. E’ solo da questo secolo in poi che si
sviluppano i concetti fondamentali di “population
thinking” e “group comparisons”.
Partendo da questo periodo egli crede si possano
identificare quattro fase storiche. Una fase preformale
in cui alcuni scienziati, la maggior parte medici,
“scoprirono” in maniera intuitiva l’epidemiologia.
Successivamente nel corso di tre fasi (iniziale, classica
e moderna) si è assistito ad una sempre maggiore
formalizzazione ed astrazione dei metodi e dei concetti
propri dell’epidemiologia.
Probabilmente in futuro si assisterà ad una ulteriore
evoluzione dei metodi, necessaria per poter affrontare
la sempre più complessa matrice di determinanti della
salute.
Perché l’epidemiologia compare così tardi?
 L’idea dell’esperimento controllato è
controintuitiva.
 Mancava il concetto di probabilità
necessario per estrapolare i dati dal
gruppo al singolo (primo testo scritto da
Huygens nel 1657).
Perché l’epidemiologia compare così tardi?
L’uomo tende per natura a riporre fiducia in
osservazioni non controllate. Es. soggetto affetto da
raffreddore che migliora dopo aver assunto
antibiotico. Questo è un classico esempio di
ragionamento del tipo “post hoc, ergo propter hoc”.
Ma cosa sarebbe successo allo stesso individuo se
non avesse assunto l’antibiotico?: impossibile avere la
contro-prova a livello di singolo individuo.
Perché l’epidemiologia compare così tardi?
Impossibile condurre degli esperimenti controllati
rimanendo con un pensiero di tipo “individualistico”.
Il problema può essere superato solo se ci si pone in
un’ottica di popolazione, ragionando in termini
probabilistici. Gli individui sono unici, imprevedibili e
incomparabili, il comportamento medio dei gruppi è invece
prevedibile e comparabile. Si può stabilire coda accade in
media in presenza o in assenza di una determinata causa e
utilizzare questa conoscenza come la migliore stima per
una previsione a livello individuale.
John Graunt e William Farr
John Graunt, un commerciante di Londra pubblicò una
analisi statistica della mortalità del 1662, descrivendo gli
andamenti delle nascite, delle morti e delle malattie,
notando alti tassi di mortalità infantile, le disparità tra
maschi e femmine, differenze tra aree urbane e rurali e
tra le differenti stagioni.
Nessuno sviluppò ulteriormente le idee di Graunt fino
alla metà del 1800, quando William Farr cominciò a
raccogliere e ad analizzare sistematicamente le
statistiche di mortalità inglesi. Egli estese l’analisi dei
dati di mortalità e morbosità ponendo attenzione anche
agli effetti dello stato civile, dell’occupazione e
dell’altitudine. Fu anche il primo a sentire l’esigenza di
2 differenti misure di occorrenza: rischio e tasso.
Lind 1747 primo esempio di trial sullo scorbuto
A treatise of the scurvy. In three parts. Containing an inquiry into the nature, causes and
cure, of that disease. Together with a critical and chronological view of what has been
published on the subject. Edinburgh: Printed by Sands, Murray and Cochran for A Kincaid
and A Donaldson, 1753.
James Lind fa uno studio sullo
scorbuto: 1747
2
2
2
2
2
2
12 marinai affetti da scorbuto:
 ¼ di sidro al dì
 25g di sciroppo al vetriolo al dì
 2 cucchiaini di aceto 3 volte al dì
 H2O di mare per os
 2 arance + 1 limone al dì
 1 noce moscata 3 volte al dì + aglio, mostarda, mirra e balsamo
del Perù
CHE FORTUNA !!!
La vitamina C cura lo scorbuto
Dal 1795 (48 anni dopo!!!) la dieta sulle navi inglesi incluse il cedro o il
succo di cedro!
Secolo XIX: nasce l’epidemiologia
Grazie all’impulso di Farr la distribuzione della
malattia in specifici gruppi di popolazione viene
studiata su larga scala.
In questo secolo si raggiungono, grazie
all’applicazione del metodo epidemiologico, notevoli
risultati quale la scoperta da parte di John Snow
che il rischio di colera, a Londra, era collegato
anche al tipo di approvvigionamento idrico.
1841-46: Ignazio Filippo Semmelweiss
e la febbre puerperale
Medico ungherese che lavorava a Vienna. A quei tempi la febbre
puerperale uccideva molte donne. Semmelweiss basandosi su una
attenta osservazione della distribuzione dei casi in due reparti
dell’ospedale in cui lavorava, realizzò che la frequenza era molto più
alta nel reparto frequentato da medici rispetto a quello gestito
prevalentemente da ostetriche.
N° puerpere
N° Decessi
%
Reparto per
medici
20042
1989
9,92
Reparto per
ostetriche
17791
691
3,88
Osservò anche che i sintomi clinici della malattia erano simili a quelli
mostrati da un patologo che era morto dopo essersi ferito ad dito con
uno strumento sporcatosi durante una autopsia.
1841-46: Ignazio Filippo Semmelweiss e la
febbre puerperale
giunse alla conclusione che il morbo si trasmetteva attraverso
“particelle di cadavere” e che erano i medici a diffondere la malattia
tra le puerpere a causa della scarsa igiene: i medici e gli studenti spesso
eseguivano visite ginecologiche, subito dopo aver effettuato dissezioni
di cadaveri, senza adottare alcuna misura igienica.
Per verificare la sua ipotesi, Semmelweiss ordinò che tutte le persone
del suo reparto si lavassero bene le mani con una soluzione disinfettante
prima di qualsiasi contatto con le pazienti.
Tale direttiva portò a una drastica riduzione dei decessi.
Il valore della scoperta, tuttavia, fu contestato aspramente dalla
maggioranza dei medici del tempo, che gli rivolsero una tale quantità di
accuse da provocare addirittura la sua espulsione dall'ospedale e in
seguito anche dalla cattedra universitaria di Budapest, che gli era stata
offerta nel 1885.
John Snow
John Snow (19° secolo), famoso ai suoi contemporanei più per la
sua attività di anestesista, è divenuto in seguito famoso e
tramandato come uno dei padri della moderna epidemiologia.
Venti anni prima della scoperta del microscopio, egli condusse
una serie di studi sulle epidemie di colera per cercare di
scoprirne la causa e gli idonei mezzi di prevenzione.
Il suo lavoro esemplifica molto bene la sequenza che porta
dall’epidemiologia descrittiva alla generazione di una ipotesi ed
alla verifica di tale ipotesi tramite l’epidemiologia analitica.
http://www.ph.ucla.edu/epi/snow.html
Durante una epidemia di colera avvenuta a Londra nel 1849,
Snow aveva notato che i distretti con la più alta mortalità erano
quelli forniti di acqua da due società: la Lambeth e la
Southwark&Vauxhall che avevano i punti di captazione dei loro
acquedotti sul Tamigi posti a valle della città.
Nel 1852 la Lambeth spostò i suoi punti di captazione a monte
della città (rendendo impossibile la contaminazione dell’acqua con
gli scarichi delle fogne).
Quando il colera nel 1853 tornò a colpire Londra Snow realizzò
che avrebbe potuto comparare la mortalità di distretti forniti di
acqua captata a monte con quelli forniti di acqua captata a valle
di Londra.
Mortalità da colera nei distretti di Londra riforniti
dalla Lamberth e dalla Southwark&Vauxhall
9 luglio – 26 agosto 1854.
Società
distributrice
acqua
popolazione
Decessi per
colera
Decessi per
1000 abitanti
167.654
844
5,0
Lamberth
19.133
18
0,9
entrambe
300.149
652
2,2
Southwark e
Vanxhall (solo)
(solo)
(censimento
1851)
I dati raccolti dimostravano che il rischio di morire di
colera era 5 volte più alto nei distretti riforniti solo dalla
Southwark&Vauxhall rispetto a quelli riforniti solo dalla
Lambert. I distretti riforniti da entrambi le compagnie
avevano una mortalità intermedia.
Questi dati erano in linea con l’ipotesi di Snow che l’acqua
captata a valle di Londra fosse una fonte di infezione di
colera. Una ipotesi alternativa era che le popolazioni
rifornite potessero differire per altre caratteristiche
importanti per l’insorgenza dell’infezione.
Per testare la sua ipotesi Snow focalizzò la sua attenzione sui
distretti riforniti da entrambe le compagnie, in questo modo le
popolazioni sarebbero state maggiormente confrontabili.
Egli identificò per ogni casa la compagnia rifornitrice. I dati che
ottenne rinforzarono ulteriormente la sua ipotesi.
Società
distributrice
acqua
Southwark e
Vanxhall
Lamberth
popolazione
Decessi per
colera
Decessi per
1000 abitanti
98.862
419
4,2
154.615
80
0,5
(censimento
1851)
Questo studio è un esempio della sequenza utilizzata ancora oggi
per indagare le epidemie. Basandosi sulla caratterizzazione dei
casi e della popolazione a rischio in base al tempo, al luogo e alle
persone, Snow sviluppò una ipotesi da sottoporre a prova. Egli
testò quindi questa ipotesi con uno studio più rigoroso,
assicurandosi che i gruppi fossero comparabili tra di loro, tranne
per l’esposizione. Dopo questo studio gli sforzi per controllare
l’epidemia furono tesi alla delocalizzazione dei punti di
approvvigionamento della Southwark&Vauxhall per evitare la
contaminazione dell’acqua.
Quindi senza sapere dell’esistenza del vibrio cholerae Snow
riuscì a dimostrare, conducendo studi epidemiologici, che l’acqua
poteva essere un mezzo di trasmissione del colera e che le
informazioni epidemiologiche potevano essere utilizzate per
attivare tempestive ed efficaci misure di sanità pubblica.
Secolo XX: epidemiologia
moderna
Nel 1800 l’epidemiologia fu applicata soprattutto allo
studio delle malattie infettive e senza avere una base
metodologica ben codificata.
Nel 1900 i metodi epidemiologici si estesero anche
alla malattie non infettive, divenne presto chiaro che
per molte malattie esiste un gran numero di fattori
implicati, alcuni essenziali per lo sviluppo di malattia,
altri invece che aumentano solo il rischio di
svilupparla. Si resero necessari nuovi metodi di analisi
per tener conto di queste relazioni più complesse.
Joseph Goldberger
Nel 1914, Joseph Goldberger ricevette l’incarico di affrontare
l’epidemia di pellagra che affliggeva in forma epidemica il Sud
degli Stati Uniti. Egli attraverso attente osservazioni di persone
sane e persone affette dalla malattia arrivò alla conclusione che
il fattore importante era la dieta. Le persone povere la cui dieta
era composta prevalentemente di cereali e melassa avevano un
maggior rischio di contrarre la malattia.
Grazie ad esperimenti condotti su reclusi volontari (??) della
prigione del Mississippi egli arrivò alla conclusione che
effettivamente la dieta povera era la causa della malattia.
Egli morì di cancro nel 1929 prima di riuscire ad identificare la
sostanza fondamentale che mancava nella dieta dei poveri.
Ci riuscì nel 1937 Conrad Elvehjem che scoprì che l’acido
nicotinico o niacina o vitamina PP (Pellagra Prevention) presente
in maggior quantità nelle carni, riusciva a prevenire e a curare la
pellagra in cani e persone.
http://www.pbs.org/wgbh/aso/databank/entries/bmgold.html
http://history.nih.gov/exhibits/Goldberger/index.html
A partire dalla II guerra
mondiale ci fu un grande
sviluppo dei metodi di ricerca e
dei concetti base
dell’epidemiologia.
Doll, Hill e altri negli anni ‘50
avviarono uno studio sulla
relazione tra il fumo di
sigaretta ed il cancro del
polmone. Un follow-up a lungo
termine (l’ultimo questionario è
stato somministrato nel 2001)
mise in evidenza un forte
legame tra abitudine al fumo e
cancro del polmone.
Richard Doll
Austin Bradford Hill
Nel 1948 viene avviato in america, nella cittadina di Framingham,
uno studio di coorte (finora arrivato a coinvolgere 3 generazioni),
con l’obiettivo di identificare i fattori di rischio per le malattie
cardiovascolari. Grazie a questo studio vennero identificati per la
prima volta i principali fattori di rischio implicati: fumo di
sigaretta, livelli di colesterolo e trigliceridi, livelli di pressione
arteriosa e di attività fisica, diabete.
(http://www.nhlbi.nih.gov/about/framingham/)
I risultati di questo studio sono stati utilizzati per la costruzione
di carte di rischio cardiovascolare, utilizzate in tutto il mondo.
Solo recentemente in Italia sono state superate da carte costruite
con dati provenienti dagli studi italiani correlati al “progetto
cuore”, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità.
(http://www.cuore.iss.it/valutazione/carte.asp)
L’applicazione dei metodi
epidemiologici fu molto importante
anche nell’eradicazione del vaiolo,
coordinata dall’OMS.
L’epidemiologia fornì informazioni
sulla distribuzione dei casi, sui
meccanismi e sui livelli di
trasmissione, tracciando la mappa
dei focolai epidemici e valutando le
misure di controllo.
Nel 1967, anno di inizio del
programma, vi erano 10-15 milioni
di nuovi casi e 2 milioni di morti
all’anno in 31 paesi. Nel 1977 fu
riportato l’ultimo caso di vaiolo.
Oggi i metodi
epidemiologici sono
applicati a tutte le
discipline
biomediche ed
interessano tutti
gli aspetti inerenti
allo studio della
malattia/salute e
dei loro
determinanti ed
alla valutazione
degli interventi
sanitari.
Significato di Epidemiologia
Il termine epidemiologia deriva dal greco
epi:
“su, intorno, circa”
demos:
“popolo, gente”
logos:
“studio”
La traduzione letterale vuol dire studio della
popolazione, delle dinamiche relative ad essa.
L’epidemiologia si occupa di qualsiasi
evento o fattore correlato allo stato di
salute di una popolazione, a tal punto che
qualcuno pensa (Morabia) che un nome
più adatto per questa disciplina potrebbe
oggi essere
“population health etiology”
2 caratteristiche o principi fondamentali
- Pensare in termini di popolazione (population thinking): non è possibile
sapere se un soggetto svilupperà o meno una determinata malattia, si
può però stimare una probabilità di malattia applicando all’individuo
l’esperienza della popolazione a cui appartiene. .
- Confronto tra gruppi.
Definizione di Epidemiologia
Sono state proposte molte definizioni, ma quella
che meglio esprime i principi fondanti e lo spirito
di sanità pubblica dell’epidemiologia è la
seguente:
“…è lo studio della distribuzione
delle malattie e dei determinanti di
salute e di malattia in specifiche
popolazioni, finalizzato al controllo
dei problemi di salute”
[John M. Last, Dictionary of Epidemiology]
• Il metodo epidemiologico mette a
confronto una “malattia” con una
“esposizione” in una popolazione
• Per fare ciò è necessario avere
definizioni di “malattia” ed “esposizione”
• Tali da permettere di classificare
adeguatamente i soggetti
• Ed applicare il metodo appropriato di
analisi statistica
Definizione di causa
In epidemiologia per “causa” si intende un
“fattore” la cui presenza aumenta l’occorrenza di
una o più malattie in una popolazione, la cui
eliminazione diminuisce il manifestarsi di
quella/e malattie in quella popolazione.
Molti problemi sono poi causati dal fatto che una
patologia riconosce molte cause e che una causa
può dare origine a diverse patologie
Criteri di causalità
Gli studi epidemiologici non forniscono prove dirette dell’esistenza di
un nesso causale ma “solo” delle misure di associazione statistica
tra esposizione e malattia.
Giudicare sull’esistenza di un nesso di causalità è quindi un
processo di inferenza, il frutto di un ragionamento che va al di la
di ciò che si può osservare, che risente del livello di conoscenze e
di ignoranza presenti al momento in cui si formula tale giudizio.
Nel corso del tempo sono stati formulati alcuni criteri da adottare
per cercare di arrivare ad un giudizio sulla sussistenza di un
nesso causale. Tra questi i più famosi sono quelli che vanno sotto
il nome di criteri di causalità di Hill (1965).
•Relazione temporale
•Plausibilità
•Coerenza
•Forza
•Relazione dose-risposta
•Reversibilità
•Disegno dello studio
•Giudicare l’evidenza
Relazione temporale.
È un criterio fondamentale: la causa deve precedere l’effetto.
Questo sembra ovvio, possono però sorgere problemi nella
rilevazione di tale successione negli studi caso-controllo e
trasversali, in cui le misurazioni della possibile causa e dell’effetto
sono effettuate nello stesso tempo. Difficoltà possono incontrarsi
anche qualora l’effetto alteri l’esposizione, ad esempio il bronchitico
cronico che smette di fumare a causa della malattia.
Plausibilità.
L’associazione rilevata è coerente con le altre conoscenze. Gli
esperimenti di laboratorio spesso chiariscono i meccanismi
attraverso cui una determinata esposizione può indurre la malattia.
Questo concetto è tuttavia relativo e la sua mancanza può in realtà
riflettere la mancanza di conoscenze scientifiche in quel campo.
Coerenza.
C’è coerenza quando diversi studi danno gli stessi risultati, non
necessariamente identici. Maggiore importanza è da attribuire
quando diversi tipi di studi concordano, poiché è difficile che studi di
tipo diverso commettano lo stesso tipo di errore. Una mancanza di
coerenza non esclude un’associazione causale, si deve dare
maggiore importanza agli studi progettati meglio. La meta-analisi è
un tipo di studio che, grazie a specifici metodi statistici, riesce ad
accorpare i risultati di diversi studi, di solito trial randomizzati, per
avere una valutazione globale.
Forza dell’associazione.
Più è forte l’associazione più è probabile che sia causale. Rischi
relativi (vedi UD su misure di associazione) maggiori di 2 sono
considerati una associazione forte.
I rischi di patologie legate al fumo di sigaretta sono di solito molto
forti (rischio aumentato di 2 volte per infarto del miocardio, di 4-20
volte per il tumore del polmone). Tuttavia associazioni molto forti
sono molto rare. Il fatto che una associazione sia debole non
esclude la causalità.
Relazione dose-risposta.
La presenza di un chiaro rapporto dose-risposta (all’aumento
dell’esposizione aumenta l’incidenza di malattia), in assenza di
evidenti bias, rappresenta una forte evidenza di causalità.
Reversibilità.
Se la rimozione della potenziale causa porta ad una riduzione del
rischio, ciò è a supporto dell’associazione causale: smettere di
fumare riduce il rischio di tumore del polmone rispetto a coloro che
continuano a fumare. Quando però la causa determini rapidamente
la malattia questo concetto non può più essere utilizzato (ad
esempio infezione da HIV).
Disegno dello studio
I vari tipi di studi sono contrassegnati da un sistema consolidato di
pesi relativi, che ne stimano il valore nell’ambito del processo di
inferenza causale. Questa “gerarchia delle evidenze” è qui
elencata:
1. Revisioni sistematiche e metanalisi.
2. Trial controllati randomizzati,
3. Studi di coorte.
4. Studi caso-controllo.
5. Studi osservazionali trasversali.
6. Studi ecologici.
Giudicare l’evidenza.
In definitiva non esiste un criterio affidabile e sicuro per giudicare
sull’esistenza del nesso di causalità, bisogna valutare il grado di
evidenza disponibile, rimane però sempre un certo margine di
incertezza. In presenza di evidenze contrastanti si devono prendere
delle decisioni cercando di dare il giusto peso alle diverse evidenze.
Una volta soddisfatto il criterio della temporalità il peso maggiore
può essere dato alla plausibilità, alla coerenza e alla relazione dose
risposta. Più è alto il numero di studi, di differente tipo, che portano
alle stesse conclusioni più è alta la probabilità che ci si trovi di fronte
ad una associazione causale.
IL CONCETTO DI MALATTIA
Il concetto di malattia accompagna l’uomo sin dagli inizi
della sua storia. Sebbene in alcuni periodi storici la
malattia è stata vissuta come qualcosa di supernaturale
(opera di spiriti maligni o “punizione” divina per
comportamenti non corretti), già con Ippocrate essa
viene intesa come la rottura di un equilibrio fisiologico
dell’individuo fondato sull’armonia di quattro umori
presenti all’interno del corpo umano: sangue, muco, bile
gialla e bile nera.
I progressi della medicina hanno spazzato via l’idea degli “umori”
ma ha rafforzato quella della rottura di un equilibrio. Lo stato di
malattia definita genericamente come “qualsiasi alterazione
dell'integrità anatomica e funzionale di un organismo” (da
dizionario Garzanti) è la conseguenza dell’alterazione di un
complesso equilibrio instaurato tra numerosi fattori genetici,
ambientali e comportamentali.
Fattori
Ambientali
Fattori
Comportamentali
Fattori Genetici
Se in passato lo stato di malattia era visto come qualcosa di
evidente (Il termine malattia ha la stessa derivazione etimologica di
malato: dal lat. male habitum ‘di cattivo aspetto’, ad indicare un evidente
stato di malessere), i progressi della medicina hanno reso palese
che il passaggio dallo stato di salute a quello di malattia è spesso
molto graduale e sfumato ed è difficile stabilire l’inizio della
malattia. Si parla di storia naturale di una malattia riferendosi
all’insieme di processi che si verificano in un individuo nel corso
del tempo, in assenza di interventi esterni:
La malattia può evolvere verso il recupero pieno o parziale,
oppure verso la cronicizzazione o la morte.
Il periodo tra esposizione e comparsa dei primi segni clinici è
definito periodo di incubazione nelle malattie infettive e periodo
di latenza nelle malattie croniche. Sebbene la malattia non sia
evidente in questo lasso di tempo (che può essere molto variabile
in durata a seconda della malattia), alcune alterazioni patologiche
possono essere rilevate con gli strumenti di laboratorio o con altri
strumenti di indagine, permettendo di fare una diagnosi precoce
che in teoria offre maggiori probabilità di successi terapeutici.
L’inizio dei sintomi segna il
passaggio tra malattia subclinica e malattia clinica. La
maggior parte delle diagnosi
Malattia clinica
vengono poste nello stadio di
malattia clinica. In alcuni casi
tuttavia la malattia non sfocia
mai in segni clinici evidenti. Le
malattia diagnosticate
clinicamente spesso
rappresentano solo la punta di
un iceberg.
Malattia sub-clinica
DIAGNOSI
Per poter studiare la distribuzione delle malattie è necessario
disporre di criteri abbastanza precisi per decidere se un soggetto è
affetto o meno da una determinata malattia: i cosiddetti criteri
diagnostici.
I criteri diagnostici si basano spesso su una combinazione di
sintomi, segni e test strumentali. I criteri non sono immutabili nel
tempo ma risentono necessariamente del costante miglioramento
delle conoscenze scientifiche. Le malattie sono organizzate in
sistemi di classificazione internazionali.
Sintomi
Sono anche detti sintomi soggettivi, sono manifestazioni di cui
soltanto il soggetto interessato può rendersi conto (dolore,
nausea, affaticamento, …). Possono essere percepiti e descritti
differentemente da individui diversi ed anche dallo stesso
individuo in circostanze differenti.
L’accuratezza nella registrazione è influenzata dallo strumento
utilizzato per la raccolta dati. I questionari utilizzati vengono di
solito standardizzati per cercare di aumentarne la riproducibilità.
Nel caso di interviste la risposta è influenzata non solo dal modo in
cui è somministrata la domanda ma anche dalle caratteristiche
dell’intervistatore e dal contesto.
Fonte: A. Ahlbom, S. Norell. Epidemiologia moderna.
Segni
Manifestazioni che possono essere osservate da un esaminatore,
per lo più un medico. Tale accertamento risente del giudizio
soggettivo dell’esaminatore. La precisione e l’accuratezza
nell’interpretazione dei segni dipende dal grado di concordanza tra
differenti esaminatori (variabilità inter-osservatori) e tra differenti
esami svolti dallo stesso osservatore (variabilità intraosservatore). Vengono sotto riportati i dati relativi ad un confronto
nella lettura di un set di radiografie da parte di due differenti
radiologi. La concordanza (proporzione di radiografie classificate
allo stesso modo) fu del 65%.
Fonte: A. Ahlbom, S. Norell. Epidemiologia moderna.
Il livello di concordanza risente del numero di categorie utilizzate
(minore il numero di categorie, maggiore la concordanza) e dalla
prevalenza della malattia o dei segni (una prevalenza molto alta o
molto bassa aumenta la concordanza).
Se ognuno di due osservatori riscontra una positività nel 50%
degli esami, il livello di concordanza per il solo effetto del caso
sarà del 50%. Se ogni esaminatore rileva una positività nel 10%
(o nel 90%) degli esami, il livello di concordanza per il solo effetto
del caso sarà dell’82%.
Test
Procedure che possono essere valutate da uno strumento e quindi
meno dipendenti dal giudizio soggettivo umano. Un esempio è
fornito dalle analisi ematochimiche.
In questo caso viene valutata la riproducibilità del risultato
mediante numerose ripetizioni dello stesso esame sullo stesso
campione da parte di diversi laboratori (variabilità inter-laboratori)
e all’interno dello stesso laboratorio (variabilità intra-laboratorio).
Ampi fenomeni di variabilità inter-laboratorio possono inficiare
studi epidemiologici condotti utilizzando laboratori differenti.
Criteri diagnostici
L’insieme dei sintomi, segni e test considerati tipici per una
determinata malattia sono utilizzate per stabilirne i criteri
diagnostici. Utilizzare criteri diagnostici più o meno rigorosi ha
delle conseguenze sulla proporzione di soggetti classificata
correttamente come malata o come sana. Criteri molto rigorosi
portano a basse probabilità di classificare erroneamente malati dei
soggetti in realtà sani (alta specificità), ma spesso conducono ad
alte probabilità di ritenere sani soggetti in realtà malati (bassa
sensibilità). Il contrario accade per criteri meno rigorosi (bassa
specificità, alta sensibilità) (per approfondimenti su sensibilità e
specificità vedi relativa UD).
Classificazioni malattie
L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha prodotto
numerose versioni della classificazione Internazionale delle
Malattie (ICM o ICD nella versione inglese), attualmente si è
arrivati alla decima versione. Le classificazioni delle malattie
contengono di solito definizioni generali delle stesse e spesso ci
sono voci poco chiare o specifiche che possono condurre a
differenti classificazioni della stessa malattia. Per quanto riguarda
la codifica delle cause di morte si aggiungono poi ulteriori
complicazioni, dovute alle complesse regole da applicare per poter
stabilire quale è la causa principale di morte tra le numerose
eventualmente segnalate dal medico (vedi esempio di scheda di
morte istat).
Accuratezza
Non tutti i soggetti con una determinata malattia
riceveranno una adeguata diagnosi, non tutti quelli che
hanno una determinata diagnosi di malattia saranno
effettivamente affetti da tale malattia.
Veri malati
Diagnosi
Esempi di possibili livelli di concordanza tra veri malati e
diagnosi per una determinata malattia.
L’accuratezza della diagnosi dipende dal tipo di malattia, dal
contesto, dal tipo di esami effettuati e dall’interpretazione delle
osservazioni.
Gli studi epidemiologici sono spesso condotti sulla base di diagnosi
di malattia, per lo più formulate da differenti soggetti.
Bisogna quindi riconoscere che ciò che si studia in realtà è la
distribuzione della diagnosi e non quella della malattia, e che
bisogna avere ben presenti quali possono essere le numerosi
fonti di errore quando si conducono gli studi epidemiologici.
L’obiettivo di uno studio epidemiologico è quello di fornire
stime accurate delle misure epidemiologiche: tassi, rischi e
misure di effetto quali ad esempio il rapporto di tassi (rate
ratio).
Supponiamo di condurre uno studio per valutare il rapporto
dei tassi di incidenza di lesioni trofiche ai piedi in pazienti
diabetici sottoposti a due differenti trattamenti.
Si può ipotizzare che esiste un valore corretto di tale rate
ratio, lo studio fornirà una stima di tale rate ratio.
Se la stima è vicina al valore reale allora lo studio è accurato o,
detto in altro modo, l’errore è piccolo. Viceversa se la stima è
distante dal valore reale allora lo studio è poco accurato,
l’errore è grande.
Sfortunatamente il valore corretto non è dato saperlo e quindi
non è possibile determinare la quantità di errore presente nella
stima. Tuttavia gli epidemiologi possono e devono mettere in
atto tutta una serie di accorgimenti, sia in fase di disegno dello
studio che in fase di analisi, tendenti alla riduzione dell’errore.
Anche coloro che leggono i risultati dello studio devono essere
in grado di valutare tutti gli aspetti che possono aumentare o
ridurre l’errore. Esistono fondamentalmente due tipi di errore
che possono interessare gli studi epidemiologici: gli errori
causali (random) e gli errori sistematici (bias).
L’errore casuale è lo scarto, dovuto solo al caso, tra il vero
valore del parametro e il valore stimato su di un campione. I
valori di una serie di stime affette solo da errore casuale si
dovrebbero disporre casualmente intorno al vero valore. Più
l’errore casuale è piccolo più le stime sono precise e disposte
vicine al valore vero.
L’errore sistematico (bias) invece è quella quota di variabilità
delle stime ascrivibile a cause specifiche anche se , per
definizione, ignote al ricercatore (altrimenti lo eviterebbe).
Questo tipo di errore conduce a sbagliare sempre
(sistematicamente) nella stessa direzione. Più è grande
l’errore sistematico meno valida è la stima della misura
ottenuta, nel senso che non rispecchia il vero valore. In
epidemiologia si distinguono due tipi di validità dello studio.
La validità interna si riferisce all’accuratezza della stima
ottenuta, errore casuale a parte, rispetto alla popolazione di
origine dei soggetti partecipanti allo studio. Quanto i risultati
dello studio sono validi rispetto alla popolazione d’origine?. La
validità interna sarà tanto più alta quanto minori sono gli errori
sistematici che possono distorcere i risultati.
La validità esterna si riferisce invece ad un concetto più ampio
di generalizzabilità dei risultati dello studio ad altre popolazioni,
differenti da quella che ha dato origine ai soggetti dello studio.
La validità interna è presupposto fondamentale ma non
sufficiente perché si realizzi la validità esterna.
obiettivo principale:
ACCURATEZZA NELLA STIMA
il valore stimato è molto vicino
al valore reale
misurare con poco errore
- errori random
+ precisione
- errori sistematici
+ validità interna
Errore casuale
basso
alto
alto
Errore sistematico
basso
Valore reale
Valore stimato
I PRINCIPI ALLA BASE DEL
DISEGNO DI UNO STUDIO
EPIDEMIOLOGICO
DERIVANO DALLA
VALUTAZIONE DEGLI
APPROCCI UTILI PER
RIDURRE ENTRAMBI
I TIPI DI ERRORE:
CASUALE E SISTEMATICO
Fonti di errore casuale
Le tre fonti principali di errore casuale sono:
• l’errore di campionamento, legato al fatto che i
partecipanti allo studio rappresentano sempre un
campione di una popolazione più grande.
• la variazione biologica individuale, ogni soggetto è
differente rispetto agli altri e rispetto a se stesso nel corso
del tempo;
• l’errore di misurazione, legato al fatto che molteplici
misure di una stesso oggetto daranno esito a misure
sempre leggermente differenti.
dimensione
efficienza
studio
studio
riduzione degli errori casuali
+ PRECISIONE
dimensione studio
è il mezzo principale per ridurre l’errore di campionamento.
L’aumento della numerosità dello studio comporta sempre
una riduzione dell’intervallo di confidenza del parametro
stimato. Sebbene esistano delle formule matematiche che
aiutano nel calcolo della dimensione ottimale del campione,
la decisione si basa sempre su una valutazione costibenefici.
Aumentare il campione è costoso e l’entità dei potenziali
benefici non è sempre facilmente prevedibile.
SELECTION BIAS 1
Distorsioni che possono derivare dal metodo di selezione
dei soggetti e/o da fattori che possono influire sulla
partecipazione allo studio. L’elemento distintivo è che la
relazione esposizione-malattia è differente tra chi partecipa
e coloro teoricamente eligibili, compresi coloro che non
hanno partecipato. Il risultato è che l’associazione
osservata deriva da un mix di due tipi di fattori: i
determinanti della partecipazione allo studio, e i
determinanti della patologia osservata. La presenza e il
grado del bias di selezione può solo essere oggetto di
speculazione visto che non si sa nulla su coloro che non
partecipano allo studio.
VALIDITA’
riduzione degli errori SISTEMATICI (bias)
ESTERNA
INTERNA
O GENERALIZZABILITA’
l’inferenza alla popolazione origine dei soggetti è
valida.
Molti tipi di bias possono distorcere le stime
ottenute. La distinzione è spesso difficile. Tre
tipologie principali:
• selection bias
• information bias
• confounding bias
L’epidemiologia è una scienza
quantitativa.
misura quantità, descrive e
confronta gruppi di persone
o popolazioni.
Tutte le misure di occorrenza utilizzate in
epidemiologia (rapporti, proporzioni, rischi, tassi,
odds), sono ottenute dividendo una quantità per
un’altra, ciò che le differenzia sono la natura dei
numeratori e dei denominatori.
Prevalenza
È la proporzione di individui a rischio che in un determinato
periodo temporale presenta una determinata malattia.
Si calcola dividendo i casi prevalenti nel periodo per i soggetti a
rischio nello stesso periodo.
A volte è definita impropriamente tasso di prevalenza
N° di persone affetti da malattia in un periodo specificato (casi prevalenti)
P=---------------------------------------------------------------------------------------N° di persone a rischio nello stesso periodo nella stessa popolazione
Quantifica l’accumulo di malattia nel corso del tempo. Misura lo stato
di salute di una popolazione derivante da eventi realizzatisi nel
passato più o meno recente a seconda della malattia considerata.
Incidenza
Per casi incidenti di malattia si intende il numero di nuovi casi di
malattia che si sviluppano in un dato periodo, in una specifica
popolazione.
Casi incidenti= N° di persone che sviluppano una malattia (nuovi casi)
in un dato periodo
Anche questo è un modo per misurare la frequenza di malattia e si
riferisce alla conta dei soli nuovi casi o casi incidenti. Tale concetto di
misurazione dei “nuovi casi o casi incidenti” prende significato solo se
viene definito un tempo di osservazione, x0-x1.
PRINCIPALI TIPI DI STUDIO
Esistono diversi criteri di classificazione e quindi gli
studi possono essere classificati in vari modi a
seconda del criterio utilizzato. Qui si seguirà una
classificazione consolidata degli studi epidemiologici che
prevede una prima grande distinzione tra:
studi sperimentali, più vicini allo standard dell’esperimento
scientifico e considerati quindi di alto peso nella formazione
delle evidenze scientifiche;
studi osservazionali in cui lo studioso si limita ad osservare e
registrare.
Questi ultimi si differenziano poi in due gruppi:
gli studi descrittivi, che tendono a descrivere al meglio
una o più malattie o la mortalità di una popolazione,
non possono fornire direttamente prove di associazione
tra fattori di rischio e patologie ma sono una preziosa
fonte di ipotesi;
gli studi analitici che cercano invece di verificare le
ipotesi eziologiche focalizzandosi su alcuni argomenti
ben precisi ed effettuando confronti tra diversi gruppi.
Studi Epidemiologici
Sperimentali
Osservazionali
Clinical Trial
Descrittivi
Field Trials
• Case report
• Case series
• di Popolazione
Community Trials
Analitici
Studi ecologici
Studi trasversali
Studi caso-controllo
Studi di coorte
STUDI OSSERVAZIONALI (1)
Nella maggior parte dei casi motivi di ordine etico e economico
costringono la ricerca epidemiologica all’uso degli studi di tipo
non sperimentale, detti anche osservazionali, in cui il
ricercatore non interviene nel determinare l’esposizione
ma si limita a misurare l’effetto. Mentre sarebbe
eticamente inaccettabile per un ricercatore esporre un soggetto
ad una potenziale causa di danno per il solo scopo di imparare
qualcosa in più sull’eziologia di una patologia, succede che
spesso le persone consapevolmente o no si espongano a
numerosi fattori potenzialmente pericolosi (esperimento
naturale).
STUDI DESCRITTIVI (1)
servono a descrivere la malattia e la frequenza di malattia in
popolazioni o gruppi di individui, non possono essere utilizzati
per indagare sul nesso di causalità poiché non effettuano
confronti tra gruppi a differente esposizione. Da essi non si
possono trarre conclusioni, ma indicazioni su possibili fattori di
rischio, che dovranno essere verificati con studi di tipo analitico
o sperimentale.
STUDI DESCRITTIVI (2)
• Case report : di solito si descrive uno o pochi casi che
colpiscono per la novità nella presentazione clinica, negli effetti
collaterali della terapia o per nuovi usi terapeutici. In questo
modo è stata scoperta l’AIDS.
• Case series: si raccolgono dati su molti casi della stessa
malattia al fine di meglio caratterizzarla (sintomi, segni, terapia)
• Di popolazione: Es. registro tumori, registro di mortalità,
dimissioni ospedaliere, in cui si raccolgono tutti i casi relativi ad
una determinata popolazione (tumori, morti, dimissioni
ospedaliere) riuscendo a studiare l’incidenza, la prevalenza, la
sopravvivenza, la stadiazione e l’evoluzione nel tempo di
determinate patologie o della mortalità.
STUDI ANALITICI
sono anche detti eziologici poiché indagano sul
nesso di causalità, effettuando confronti tra gruppi.
Sono di solito focalizzati su un quesito ben specifico
(spesso originato da studi descrittivi) e richiedono
una progettazione ed una analisi dati più complessa
e rigorosa degli studi osservazionali.
STUDI ECOLOGICI (1)
Sono studi in cui le unità di analisi sono gruppi di
individui o popolazioni piuttosto che singoli individui.
La caratteristica fondamentale è che le informazioni
utilizzate sono a livello di gruppo (aggregate) e non a
livello di singolo individuo. Hanno l’obiettivo di
evidenziare una relazione tra alcune variabili, di solito
raccolte per altri scopi, quale il consumo pro-capite di
alcool, di tabacco, ecc… ed uno o più misure di
occorrenza di malattia (incidenza, mortalità).
STUDI ECOLOGICI (2)
Possono essere studiati due diversi paesi nello stesso
periodo o la stessa popolazione in due periodi differenti.
Sono utili per suggerire ipotesi, ma non possono essere
utilizzati per trarre conclusioni definitive sui rapporti di
associazione poiché non sono disponibili dati individuali,
l’associazione ottenibile dai dati individuali in teoria
potrebbe anche essere di segno opposto a quella
rivelata sui dati aggregati (fallacia ecologica).
STUDI ECOLOGICI (3)
Esempi di ipotesi eziologiche suggerite tramite studi
ecologici:
• associazione tra carie dentaria e bassi livelli di fluoro
nelle acque;
• osservazione tra la popolazione maschile di un picco di
tumori del polmone venti anni dopo il rapido incremento
del tabagismo; dopo venti anni lo stesso fenomeno fu
visto anche nella popolazione femminile.
STUDI TRASVERSALI (1)
(cross sectional o di prevalenza)
• hanno come obiettivo descrivere una popolazione in un
determinato tempo e includono tutti i soggetti di quella
popolazione o un campione rappresentativo della
stessa;
• utili per stimare la prevalenza di fattori di rischio nonché
la prevalenza di una malattia nella popolazione;
• Relativamente semplici ed economici da condurre;
STUDI TRASVERSALI (2)
• l’esposizione attuale rilevata nel corso di uno studio
trasversale non sempre però riflette l’esposizione
eziologicamente rilevante;
• Soprattutto utili quindi per studiare associazioni con
caratteristiche fisse dei soggetti come sesso, razza,
gruppo;
STUDI TRASVERSALI (2)
Uno dei problemi legati a questo tipo di studio è che sono
sovrarappresentati i casi di malattia di lunga durata e
sottorappresentati i casi di malattia di breve durata
(fenomeno del lenght-biased sampling o bias di
Neyman).
STUDI TRASVERSALI (3)
Questo comporta che se l’esposizione non altera il rischio
di malattia ma la rende più lieve prolungandone la
durata, l’esposizione sarà molto associata con la
patologia e quindi considerata erroneamente un fattore di
rischio; viceversa se l’esposizione pur non alterando il
rischio di malattia ne aggrava il decorso rendendola
rapidamente fatale, sarà poco prevalente tra i casi, lo
studio rileverà una associazione negativa e l’esposizione
sarà considerata erroneamente un fattore protettivo.
STUDI TRASVERSALI (4)
In molti paesi vengono condotte regolarmente indagini
trasversali su campioni rappresentativi della popolazione
per rilevare le caratteristiche personali e demografiche, le
malattie e le abitudini collegate alla salute.
Tali indagini sono definite Surveys e se ne distinguono
due tipi:
STUDI TRASVERSALI (5)
HIS: Health Interview Surveys basate solo su interviste,
spesso telefoniche
HES: Health Examination Surveys nelle quali i soggetti
sono sottoposti anche a visite mediche e/o indagini di
laboratorio
In Italia si conduce periodicamente una Survey di tipo
HIS: è l’Indagine Multiscopo dell’ISTAT.
STUDI CASO-CONTROLLO
Studi relativamente economici da effettuare, molto utilizzati.
Cercano di evidenziare l’associazione tra potenziali fattori di rischio
e malattie, effettuando un percorso a ritroso. Confrontano, rispetto
ai fattori di rischio, un gruppo di soggetti con la malattia (CASI)
con un adeguato gruppo privo di malattia (CONTROLLO).
Sono studi che possono sembrare semplici da condurre ma che
tuttavia, per essere condotti ed interpretati correttamente,
necessitano di una conoscenza approfondita dei presupposti logici
che ne stanno alla base. Ad essi sono dedicati due intere Unità
Didattiche a cui si rimanda.
STUDI DI COORTE (1)
Il termine coorte deriva dal latino cohorte che stava ad indicare la
decima parte della legione romana.
In epidemiologia sta ad indicare un gruppo di persone che sono
osservate per un certo periodo di tempo:
“ a designated group of person who are followed or traced over a
period of time” (Last IM. A dictionary of Epidemiology).
Ad esempio tutti i soggetti nati in Italia nel corso del 2000 e
seguiti per una anno, al fine di rilevare l’incidenza di patologie
respiratorie, rappresentano una coorte.
STUDI DI COORTE (2)
Lo studio di coorte, tra gli studi osservazionali, è quello più
simile allo studio sperimentale:
• si parte da gruppi di soggetti non malati, con differenti livelli
di esposizione a un fattore di rischio;
• questi sono seguiti nel tempo per un periodo sufficiente
perché si verifichi un certo numero di casi di malattia (periodo
di follow-up);
• si confrontano le diverse incidenze di malattia.
(Vedi unità specifica)
STUDI SECONDARI (1)
Quelli fin qui visti sono tutti definiti studi primari. Esiste
un’altra categoria di studi detti appunto secondari che cercano
di sintetizzare le evidenze scientifiche disponibili su un
determinato argomento. Sono le revisioni sistematiche e le
metanalisi.
Una revisione sistematica consiste in una raccolta esaustiva,
una disamina critica e una sintesi degli studi primari condotti
su un determinato argomento. Essa utilizza metodi rigorosi e
standardizzati per cercare di ridurre i possibili bias insiti in
tale tipo di operazione. Può includere al suo interno, non
necessariamente, anche una meta-analisi.
STUDI SECONDARI (2)
La meta-analisi consiste in una sintesi statistica di numerosi
studi, simili e comparabili , che conduce ad un unica misura
riassuntiva di effetto. Frequentemente utilizzata per
assemblare i risultati di vari trial randomizzati che presi
singolarmente non riescono ad avere una potenza sufficiente.
Oltre alla componente quantitativa ha molta importanza
anche l’aspetto qualitativo come ad esempio l’applicazione di
predeterminati criteri di qualità (completezza dei dati,
assenza di bias, ecc.) per decidere quali studi includere nella
meta-analisi.
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