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SAFFO - FINCHÈ IN ME CI SIA RESPIRO (Ispirato alla vita e alle
Compagnia Teatrale Il Baule
SAFFO - FINCHÈ IN ME CI SIA RESPIRO
(Ispirato alla vita e alle poesie di Saffo)
Drammaturgia di Daniela Ariano
(Testo selezionato per il XXI° Festival del Teatro Antico di Padova )
Personaggi
Saffo
Dika
Coro delle fanciulle del thiaso
Saffo si aggira inquieta nella sala principale, nel cuore della casa e della comunità che lei stessa
ha fondato a Mitilene al ritorno del suo esilio in Sicilia. In realtà la sala è uno spazio sospeso
(dentro/fuori) che rappresenta l’intimo della poetessa.
A fondo scena due cubi: uno basso a fare da gradino a uno un po’ più alto che forma una pedana,
ossia la veranda da cui si domina il porto in lontananza. Sulla pedana, nella penombra, s’intuisce
la sagoma scura di Saffo in piedi di spalle al pubblico.
Al centro del palcoscenico campeggia un cubo basso e nero su cui è appoggiato un braciere (una
conca di metallo entro cui si immagina ci sia della cenere viva).
Saffo – finché in me ci sia respiro
Altri due cubi sono posizionati ai lati del palcoscenico.
Musica di apertura, la luce azzurra illumina il braciere al centro del palco. Il resto della scena resta
in penombra.
La luce lentamente da azzurra diventa bianca illuminando tre quarti del palcoscenico.
PROLOGO
SAFFO
-
(sulla pedana, sempre di spalle al pubblico)
Lo splendente carro del sole è caduto nel grembo scuro dei monti e già le prime luci
delle candele rischiarano le bianche case di Mitilene. Fra poco Notte dai molti figli
spalancherà le ali nere sulla città e Morfeo cingerà di un tenero abbraccio i suoi
abitanti.
(si volta e scende piano dalla pedana; avanza al centro del palcoscenico)
Per me invece non ci saranno sogni né mi distenderò su morbidi cuscini a riposare.
Invero alle prime luci dell’alba Atti la leggera toccherà le coste dell’isola per andare
sposa per la seconda volta e io la rivedrò confusa tra la gente. Poi, quando Èspero
si riaffaccerà dalle montagne, guiderò il corteo nuziale che la scorterà fino alla casa
dello sposo. Forse i suoi occhi cercheranno i miei e per un solo istante riuscirò a
placare le mie pene scorgendo il suo bel viso risplendere nel volto bianco del
mattino. Lei forse mi sorriderà e invocherà il mio abbraccio come l’ultima volta che
la vidi. (di nuovo sconsolata) Ma no, ciò è impossibile, troppe stagioni hanno
lasciato il segno e lei si sarà dimenticata di me come quando decise di seguire il
canto sgraziato di Andromeda volando via dalle mie braccia. Coloro che amo di più
sono quelli che più di tutti mi fanno soffrire, lo so bene1. Ma non conosco ire e
rancori: il mio cuore è mite e anche allora Afrodite t’invocai e tu mi ascoltasti
vaticinando il suo ritorno. E un ritorno ci fu, breve ma dolce, amaro ma intenso, il
ricordo più caro tra i ricordi.
(passeggia di nuovo inquieta) Fobètore2 che attraverso la nera notte ti aggiri per la
casa silenziosa mentre Hypno - dolce dio - afferra gli occhi mortali degli uomini
appesantendoli di un molle torpore, davvero in quest’ora tarda affanni terribilmente
la mia anima! Io non mi aspetto certo di partecipare alla gloria degli dei che ben
distinta hanno la loro potenza da quella degli uomini, non sarei così inquieta
altrimenti ma ballerei come un cerbiattino e mi vezzeggerei tra canti e trastulli ben
sapendo che felice sarà il mattino che mi attende. Invece, sono consapevole che ai
1
2
Fr.
Dio degli incubi. Per non ripetere sogno (con cui si apre il frammento ho specificato di quale sogno si tratta).
Saffo – finché in me ci sia respiro
celesti immortali - coloro che ogni cosa vedono dalle nubi d’Olimpo - nulla interessa
dei dolori di Saffo e solo a me è dato sollevarmi oltre il baratro di questa infinita
attesa3. (afferra una pectis, strumento a corde simile alla lira di cui molto parla Saffo
nei suoi frammenti. Lo strumento è appoggiato sopra uno dei cubi che fungono da
sgabelli; scorre delicatamente le sue corde) Canta allora Saffo, poetessa delle tue
stesse viscere, anche se la tua voce è diventata lamento e le dita sono tutte
tremanti. Ormai la vecchiaia mi dissecca la pelle e il dolore per quello che è stato mi
rincorre senza lasciarmi tregua. E’ una smania sottile e feroce che avvolge la mia
mente e via da me vola il desiderio, inseguendo4 ricordi sbiaditi di una meravigliosa
giovinezza. Suvvia divina tartaruga5, parlami di lei dal seno di viola prendendo voce
dalle celesti Muse, e tu Saffo stordisci il tuo animo, ubriaca il tuo senno affinché il
pensiero di chi è ancora lontana vada errando dentro a queste stanze che la
conobbero giovane e bella. Atti per te sono stata madre, amante, sorella e quanto
dolore il giorno in cui salpasti su una nave dagli stanchi legni per andare sposa a un
principe lidio, il più fortunato tra gli uomini. Davvero6 vorrei essere morta in quel
momento, lei mi lasciava piangendo e tra molte cose mi disse: “Che pena crudele
soffriamo Saffo, io ti abbandono non per mio volere”. E a lei io rispondevo : “Va’ e sii
felice, serba memoria di me: tu sai quanto ci amavamo. Ma se non ricordi allora
voglio farti ricordare così che Mnemòsine7, colei che rischiara le menti degli uomini,
possa rievocarti anche nella lontana Sardi tutti i momenti sereni e belli che abbiamo
vissuto insieme: seduta sul prato accanto a me ponevi sul tuo capo molte corone di
viole, di rose e di crochi e intorno al collo delicato molte collane intrecciate di fiori
variopinti. E quando la notte calava dalle montagne ungevi tutto il tuo corpo di un
unguento profumato degno di una dea e su soffici letti placavi il desiderio,
dolcemente. E non c’era sacrificio, né festa né bosco da cui noi fossimo assenti,
non canto, non danza, non imeneo che si accompagnasse al suono dolce dell’aulo
o al fragore assordante dei crotali di cui non fossimo partecipi.”8 Così le parlai e la
vidi sparire oltre le colonne con il cuore che gocciava lacrime. Dieci anni sono
trascorsi da allora. Ora tu sei donna Atti, donna e madre, mentre io sono solo una
vecchia poetessa ancora piena di voglie e di tormenti.
La luce di nuovo si abbassa formando una penombra azzurra, luce concentrata solo sul braciere.
PARODO DEL CORO DELLE FANCIULLE DEL THIASO
3
Fr. 63 con integrazioni personali.
Liberamente tratto dai versi frammentati del Fr. 31
5
Fr. 118, la lira, la pectis e altri strumenti a corde avevano spesso la cassa di risonanza formata da un guscio di
tartaruga.
6
Inizio del Fr. 94 con integrazioni personali nelle parti mancanti. E’ il famoso Addio a Atti.
7
Dea della memoria. Madre delle Muse e ispiratrice di poeti e protettrice di ogni attività intellettuale.
8
Fine del Fr. 94.
4
Saffo – finché in me ci sia respiro
Musica di sottofondo, voci fuori campo introducono il primo dialogo. Esse sono le fanciulle del
thiaso di Saffo.
-
CORO
V.F.C.
Brilla ormai tra le stelle l’astro più leggiadro, Èspero fratello d’Atlante. Lui che ogni
cosa riporta che Aurora lucente disperde: riporta la pecora, riporta la capra, riporta
♠
la figlia alla madre9, riporta anche il sonno nelle case silenziose degli uomini. Presto
le luci si scioglieranno in mezzo alla cera, la notte scenderà fitta e veloce e,
fanciulle, conviene alla notte obbedire. Ma prima che l’ultima fiamma si spenga
rallegriamoci dolci compagne, nella veglia notturna cantiamo, cantiamo Atti voce di
miele. Quando Selene sul cocchio d’argento avrà percorso la volta celeste e Aurora
sandali d’oro avrà spalancato colle dita di rosa il velo iridato del cielo, il piede
purpureo di Atti poserà sulla sabbia azzurrina. E già Saffo smania dal desiderio di
rivederla. Dieci anni sono trascorsi ma il suo sentimento non è mutato, anzi è
divenuto più saldo e care sono ancora a lei le lettere che formano di Atti il nome.
La musica sfuma.
PRIMO EPISODIO
Luce su Saffo che nel frattempo si è seduta su un cubo.
SAFFO
-
Le ragazze non dormono e si perdono in musiche e canti. Beata giovinezza che
scioglie ogni affanno del cuore. (termina il sottofondo musicale) Ah, ecco, si sono
acquietate. Finalmente hanno ceduto al sonno e io sola rimango a vegliare in
compagnia dei miei pensieri.
Dika si affaccia dalla quinta più lontana.
DIKA
- Saffo divina, dal dolce riso e dal crine di viola10...
SAFFO
- Il mio riso è amaro e il crine ha ormai il colore del vento. (ancora seduta sul cubo, si
volta verso la voce di Dika) Chi è che parla nascosta nell’ombra? Dika, sei tu?
DIKA
- (avanza nel cono di luce) Sì maestra...
SAFFO
- La piccola Dika, che intreccia fiori alle Muse e segue i miei passi come un tenero
cucciolo tiene dietro alle orme della madre. Come mai ancora sveglia a quest’ora?
DIKA
- Ho ascoltato il tuo vagare agitato da una stanza all’altra e il molle torpore che mi
Voce Fuori Campo
Fr. 104
10
Tratto dal frammento di Alceo dedicato a Saffo.
♠
9
Saffo – finché in me ci sia respiro
chiudeva gli occhi è fuggito all’istante. Ora sono più sveglia di un’allodola.
SAFFO
- (le fa cenno di sedersi accanto a lei) Vieni avanti allora e fammi compagnia, una lunga
notte mi attende perché il sonno questa sera non vuole essere dalla mia parte.
DIKA
- Se con la mia presenza posso rendere leggera la tua veglia ne sarò felice. (si accuccia
ai piedi di Saffo)
SAFFO
- Le tue compagne dormono?
DIKA
- Tutte, la candela non ha fatto in tempo a consumarsi che erano già in compagnia di
Fàntaso a inseguire i loro sogni.
SAFFO
- E quali sono i sogni delle fanciulle del mio thiaso?
DIKA
- L’amore di certo e il matrimonio.
SAFFO
- Amore e matrimonio spesso non s’incontrano nello stesso letto.
DIKA
- Proprio tu dici questo? Tu che componi splendidi inni per accompagnare gli sposi il
giorno delle loro nozze?
SAFFO
- I canti, gli inni, gli imenei, sono solo un gioco. Servono a scacciare la malinconia della
ragazza costretta ad abbandonare la casa paterna per entrare in quella dell’uomo che
le è toccato in sorte. Questo è il destino di ogni donna ma non ce ne lamentiamo
perché fin da piccole veniamo costrette a imparare ciò che saremo da grandi. Nel
chiuso delle nostre stanze ci vengono messe in grembo bambole di terracotta, stoviglie
di creta e appena la natura ci trasforma in donne, non facciamo in tempo a riporre i
giochi nelle ceste che subito nostro padre si preoccupa di trovarci un marito. Dal
momento che oltrepassi l’architrave al grido d’Imeneo11 sarà lui, tuo marito, a dirti come
ti devi comportare: coi servi, coi parenti, coi figli che verranno. (si alza e continua a
parlare avanzando verso la ribalta come se si rivolgesse direttamente al pubblico; in un
crescendo) E sarà sempre lui a dirti di non portare scarpe alte, di non tinteggiare i
capelli, di non usare belletti; e t’indicherà in quale modo indossare la tunica, come
mangiare composta, come dormire in silenzio, quanto respirare. Come se tu non fossi
un essere pari a lui in dignità, ma poco più di un cane che segue fedele il padrone in
attesa che gli getti un osso sotto la tavola imbandita. Noi donne per gli uomini non
siamo altro che contenitori, uteri d’uso12 senz’anima. Ma se loro sapessero quanta
anima noi conteniamo ne avrebbero davvero spavento.
DIKA
- (turbata) Le tue parole sono dure ma tu stessa eri sposata un tempo.
SAFFO
- (si volta e torna a sedersi) E’ vero, io stessa da giovane intrecciavo ghirlande13
sognando le mie nozze dorate e quando arrivarono mi sembrò di avere realizzato il
sogno di tutta una vita. Ero così giovane allora e così ingenua.
(luce concentrata su Saffo)
Verginità, verginità, dove vai?
11
Vedi Fr. 111
Aristotele molti anni dopo Saffo dichiara che la donna è solo un vaso da cui non passa nulla al figlio.
13
Fr. 125
12
Saffo – finché in me ci sia respiro
Perché mi abbandoni?
Mai più ritornerò da te, mai più14.
(di nuovo luce sul palco)
DIKA
- Come si chiamava tuo marito?
SAFFO
- Il suo nome era Cercila ed era nativo di Andro.
DIKA
- Ne eri innamorata?
SAFFO
- No, innamorata non ero.
DIKA
- Eppure un uomo bello e ricco dovrebbe fare la felicità di ogni donna.
SAFFO
- Era quello che credevo anch’io. (pausa, Dika è ammutolita. Con freddezza) Il giorno più
bello della mia vita è stato quando ho deposto la lapide sulla sua tomba.
DIKA
- (ancora più turbata) E’ terribile quello che dici.
SAFFO
- (tornata calma, malinconica) Non più terribile della verità. (sorride all’ancella) Ma anche
dalla cenere può nascere un fiore e di lui mi è rimasta mia figlia Klei, il fiore più bello su
tutta la terra.
DIKA
- Tu hai una figlia Saffo?
SAFFO
- (sorride al ricordo; luce concentrata su di lei che si alza in piedi) Io ho una bella figlia
che nell’aspetto somiglia ai fiori d’oro, la mia Klei diletta, in cambio della quale non
darei né tutta la Lidia né l’incantevole Lesbo...15
(luce sul palco)
Da piccola Klei era la bambina più bella di Lesbo, aveva i capelli biondi, gli occhi colore
del mare e la pelle molto più candida di un uovo16. Non esiste eredità migliore che
Cercila potesse lasciarmi oltre alla mia libertà.
DIKA
- E dove vive adesso?
SAFFO
- (cammina inquieta mentre parla e Dika la segue con gli occhi stando sempre seduta a
terra) Come tutti coloro che ho amato, vive lontana da qui. Amaro il destino di noi
donne, seguire il marito in capo al mondo lasciando gli affetti più cari, quelli
dell’infanzia, dietro le nostre spalle. Noi non apparteniamo a noi stesse ma ai padri che
ci generano e ai mariti che ci sposano. Rimasi incinta che ero ancora esule in terra
straniera e quando poi, finalmente, il bando sulla mia famiglia venne tolto e potemmo
ritornare nelle nostre case, io ero già vedova da alcuni anni e Klei poco più di una
bambina. Fu allora che decisi di fondare questa comunità. Un sacro recinto dove poter
rendere grazie alle Muse e dove le giovani donne potessero riunirsi libere da ogni facile
convenzione, dove potessero imparare ad amare senza vincoli, protette dal caldo
sorriso di Afrodite.
DIKA
- Ma noi qui impariamo a diventare brave mogli. E’ per questo che le famiglie più nobili di
Lesbo e dei territori vicini ti affidano le loro figlie, perché tu le istruisca nel canto e
14
Fr. 114
Fr. 132
16
Fr. 167
15
Saffo – finché in me ci sia respiro
infonda loro le qualità necessarie per essere gradite a colui cui andranno spose.
SAFFO
- Sì, questo è quello che pensano fuori le mura del thiaso. In realtà voi qui imparate a
diventare donne. Essere mogli, figlie o madri è solo un aspetto della vostra esistenza a
cui non dovrete mai sacrificare la libertà di amare, di amare con tutte voi stesse. Anche
se amare spesso significa morire.
DIKA
- Tu mi spaventi, signora. Perché parli così? L’amore che canti nelle tue poesie è dolce
come il miele.
SAFFO
- E’ vero, esso quando è ricambiato è dolce come miele, anzi ancora più dolce. Ma
quando l’oggetto dei tuoi desideri è lontano o irraggiungibile allora diventa amaro come
la cicuta posata sulle labbra innocenti di una vergine.
DIKA
SAFFO
- Spero di assaggiare solo il miele allora.
(sorride e si blocca sedendosi dall’altra parte del palco sull’altro cubo scuro) Come
siete fragili voi fanciulle. Se non assaggi l’amaro della cicuta non potrai mai
comprendere quanto è dolce il sapore del miele; e se non conosci lo strazio del
distacco non saprai mai quanto è felice anche un solo attimo trascorso con la persona
amata. Un attimo che vale una vita intera.
DIKA
- (si rivolge a Saffo maliziosa mentre carponi la raggiunge) Sei in attesa del tuo attimo
felice Saffo? E’ per questo che ti aggiri per la casa come una lupa tra i boschi?
SAFFO
Non una lupa, ma una volpe ferita alla ricerca di una pozza d’acqua per lavare la sua
piaga. Quando amore ghermisce non c’è nulla da fare, è un forte vento che squassa il
petto come raffica sulle querce montane17. E non c’è scampo, puoi solo invocare gli dei
che in un modo o nell’altro diano quiete al tuo tormento.
DIKA
- Il tuo tormento si chiama Atti, vero mia signora? (intanto è di nuovo accucciata ai piedi
di Saffo)
SAFFO
- (irritata, sempre da seduta si volta frontale al pubblico) Vedo che la dea del
pettegolezzo, la stolta figlia di Èris che intreccia falsi discorsi, non ha perso tempo.
DIKA
- Mitilene è piccola e le notizie corrono di bocca in bocca saltando sulle lingue dei curiosi.
SAFFO
- E cosa si dice per le strade strette di Mitilene di me e di Atti?
DIKA
(abbassa la testa vergogandosi) Ti prego Saffo, non mi chiedere questo. E’
imbarazzante!
SAFFO
(si volta verso Dika ai suoi piedi e si china verso di lei mettendole delicatamente un
indice sotto il mento e costringendola a guardarla negli occhi) Come dissi un tempo ad
Alceo, amico e compagno della mia giovinezza: se la tua lingua non rimestasse
qualcosa di brutto, il pudore non ti abbasserebbe gli occhi confusi e diresti ciò che
desideri18.
DIKA
17
18
(schivando lo sguardo di Saffo) Dicono che tu e Atti eravate amanti e che ti comporti
Fr. 47.
Tratto dal Fr. 137
Saffo – finché in me ci sia respiro
come il più lascivo dei poeti sbavando dietro a una giovane che potrebbe esserti figlia!
SAFFO
(si alza irritata e cammina di nuovo su e giù mentre Dika cerca di nuovo di seguirla con
lo sguardo) Al diavolo le malelingue! Chi mi biasima il vento e gli affanni se lo portino
via19! (al pubblico) I nostri sentimenti erano sinceri e sulla terra non ho mai conosciuto
un amore più puro di quello che mi legava a lei.
DIKA
- Devi averla molto amata.
SAFFO
- Un tempo sì, l’amavo molto.
DIKA
- E adesso Saffo? L’ami come allora?
SAFFO
Adesso non solo l’amo, ma la desidero e la bramo20. E ancora una volta, ancora e per
sempre Èros che fiacca le membra mi assilla l’animo, bestia dolceamara, feria
invincibile21.
DIKA
- Nelle stanze del gineceo non si parla d’altro e le fanciulle del thiaso sono curiose di
vederla. Atti dev’essere davvero bella per suscitarti una simile passione.
SAFFO
- Non più bella di te, piccola Dika. La prima volta che si presentò nella mia casa
indossava una splendida veste ricamata d’oro e una sgargiante calzatura rossoporpora, splendido lavoro lidio, che le avvolgeva i piedi22. Nonostante il ricco
abbigliamento sembrava una bambina minuta e sgraziata23, eppure quel giorno stesso
ho iniziato ad amarla. Perché Èros che muove il mondo, che scioglie le membra a tutti
gli dei e a tutti gli uomini, che spezza il cuore nel petto e fiacca la volontà anche ai più
saggi24, non conosce regole e spesso si nutre delle creature più insignificanti.
DIKA
- Lei ti amava?
SAFFO
- Atti crebbe in fretta al suono della mia pectis offrendo la sua voce alle Muse e la scialba
bambina si trasformò ben presto in una fanciulla prodigiosa, generata chissà in quale
tempo e in quale cielo dalla grazia celeste delle Cariti e dal dolce canto di Armonia. Ella
emergeva nel cerchio delle sue compagne, proprio come le stelle intorno alla bella luna
nascondono la loro figura lucente quando piena essa risplende25. Danzava più leggera
di una ninfa, si muoveva più flessuosa d’un giunco, più provocante del barmos26 di
Alceo. Klei nel frattempo si era sposata e solo Atti era rimasta a condividere con me
quella mancanza. Fu allora che mi accorsi di amarla di un amore appassionato e
struggente. Un amore fatto di sguardi, di piccole complicità, di mani tremanti,
inconfessato e inconfessabile. Io divenni per lei maestra e compagna lasciando che
nulla scalfisse l’eternità di quei giorni. E sulle rive crescevano ceci d’oro e la terra,
adorna di corone, si colorava di fiori variopinti. Due stagioni trascorsero tra il cantare
19
Tratto dal Fr. 37
Fr. 36
21
Tratto dal Fr. 130
22
Fr. 39
23
Fr. 49
24
Tratto dalla Teogonia di Esiodo,
25
Fr. 34
26
Strumento a molte corde usato sia da Alceo che da Saffo.
20
Saffo – finché in me ci sia respiro
dell’usignolo nunzio di primavera e il freddo inverno che gela le acque dell’Ebro. Poi
una mattina accadde che l’occhio lucente del sole si nascose vergognoso dietro
l’argentea Selene. Fu un’eclissi prodigiosa e terrificante, presagio di sventura27. E
sventura ci fu. Per uno stupido litigio – una questione di gelosia – Atti decise di
abbandonare la mia casa e di rifugiarsi presso Andromeda.
DIKA
- Andromeda di Poluanatte, quella Andromeda?
SAFFO
- (luce solo su Saffo, rivolta al pubblico in piedi in direzione del proscenio) Tu giacerai
morta né più alcuna memoria di te mai resterà in futuro: ché tu non hai parte delle rose
della Pieria, ma anche nella casa di Ade vagherai, oscura ombra fra le ombre oscure
dei morti, sospesa in volo, lungi da qui28.
(luce sul palco)
DIKA
Un grande odio ti divora le viscere, eppure eravate amiche un tempo, almeno così si
racconta.
SAFFO
- Anche Leto e Niobe erano amiche un tempo29. Io e Andromeda, inclita prole di due
importanti casate di Lesbo, siamo cresciute insieme e insieme abbiamo sopportato la
tristezza dell’esilio, la gioia del ritorno. Quando Pittaco prese il potere a Mitilene e le
nostre famiglie vennero recluse nella lontana Nasso, Andromeda mi fu vicina come
neanche mia madre sarebbe stata capace di fare. Pensavo di aver trovato in lei una
sorella, la sorella che non avevo mai avuto, io unico fiocco di lana30 fra tre corone di
ulivo.
DIKA
- E cosa ha mai potuto scalfire una così forte amicizia?
SAFFO
- Come accadde alla materna Leto, quando già con gli anni ci avvicinavamo all’età
matura, Andromeda - gelosa della mia fama - volle colpirmi negli affetti più cari. Fece
correre voci maligne sul mio thiaso e mi sottrasse Atti con false promesse. Il giorno in
cui se andò io cercai di fermare l’amata fanciulla sulla soglia di casa mentre lei risoluta
mi abbandonava: “Chi è la rozza contadina che ti ammalia la mente?31” le urlavo
tirandola per un braccio, tentando di trattenerla. “E’ Andromeda dal riso sguaiato, vero?
La sozza signora che non è nemmeno capace di sollevare i suoi ridicoli cenci sopra le
caviglie32? Ma se anche adesso preferisci l’amore di una donna dei Pentelidi, io non ti
permetterò di abbandonarmi!” E’ difficile tenere a freno la lingua che abbaia a vuoto
mentre la rabbia si spande nel petto33. Lei superba non fiatò e sparì in una notte come
questa, accompagnata dal fiero vento della gelosia che trascina via con sé tutti gli
amori.
27
L’eclissi di sole predetta già da Talete tramite i suoi calcoli nel 621, si verificò intorno al 585 a.C.
Fr. 55
29
Fr. 142
30
Si usava appenderlo fuori la porta se nasceva una figlia femmina; se era maschio invece si appendeva una corona
31
Fr. 57
32
Fr. 57
33
Tratto dal Fr. 158
28
Saffo – finché in me ci sia respiro
Rumore forte del vento in sottofondo. Breve intermezzo musicale. Saffo e Dika restano immobili
nelle loro posizioni.
SAFFO
-
Quella notte alle bianche colombe si ghiacciò il cuore e lasciarono cadere le ali34.
DIKA
-
(trascinata dal racconto si alza in piedi) Ma poi Atti tornò...
(continua)
Questo documento è soltanto un breve estratto del testo completo, per cui è vietato qualsiasi tipo di utilizzo al di fuori
della semplice lettura senza l’esplicito consenso dell’autrice.
© Daniela Ariano 2004, tutti i diritti riservati
34
Fr. 42
Saffo – finché in me ci sia respiro
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