SAFFO - FINCHÈ IN ME CI SIA RESPIRO (Ispirato alla vita e alle
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SAFFO - FINCHÈ IN ME CI SIA RESPIRO (Ispirato alla vita e alle
Compagnia Teatrale Il Baule SAFFO - FINCHÈ IN ME CI SIA RESPIRO (Ispirato alla vita e alle poesie di Saffo) Drammaturgia di Daniela Ariano (Testo selezionato per il XXI° Festival del Teatro Antico di Padova ) Personaggi Saffo Dika Coro delle fanciulle del thiaso Saffo si aggira inquieta nella sala principale, nel cuore della casa e della comunità che lei stessa ha fondato a Mitilene al ritorno del suo esilio in Sicilia. In realtà la sala è uno spazio sospeso (dentro/fuori) che rappresenta l’intimo della poetessa. A fondo scena due cubi: uno basso a fare da gradino a uno un po’ più alto che forma una pedana, ossia la veranda da cui si domina il porto in lontananza. Sulla pedana, nella penombra, s’intuisce la sagoma scura di Saffo in piedi di spalle al pubblico. Al centro del palcoscenico campeggia un cubo basso e nero su cui è appoggiato un braciere (una conca di metallo entro cui si immagina ci sia della cenere viva). Saffo – finché in me ci sia respiro Altri due cubi sono posizionati ai lati del palcoscenico. Musica di apertura, la luce azzurra illumina il braciere al centro del palco. Il resto della scena resta in penombra. La luce lentamente da azzurra diventa bianca illuminando tre quarti del palcoscenico. PROLOGO SAFFO - (sulla pedana, sempre di spalle al pubblico) Lo splendente carro del sole è caduto nel grembo scuro dei monti e già le prime luci delle candele rischiarano le bianche case di Mitilene. Fra poco Notte dai molti figli spalancherà le ali nere sulla città e Morfeo cingerà di un tenero abbraccio i suoi abitanti. (si volta e scende piano dalla pedana; avanza al centro del palcoscenico) Per me invece non ci saranno sogni né mi distenderò su morbidi cuscini a riposare. Invero alle prime luci dell’alba Atti la leggera toccherà le coste dell’isola per andare sposa per la seconda volta e io la rivedrò confusa tra la gente. Poi, quando Èspero si riaffaccerà dalle montagne, guiderò il corteo nuziale che la scorterà fino alla casa dello sposo. Forse i suoi occhi cercheranno i miei e per un solo istante riuscirò a placare le mie pene scorgendo il suo bel viso risplendere nel volto bianco del mattino. Lei forse mi sorriderà e invocherà il mio abbraccio come l’ultima volta che la vidi. (di nuovo sconsolata) Ma no, ciò è impossibile, troppe stagioni hanno lasciato il segno e lei si sarà dimenticata di me come quando decise di seguire il canto sgraziato di Andromeda volando via dalle mie braccia. Coloro che amo di più sono quelli che più di tutti mi fanno soffrire, lo so bene1. Ma non conosco ire e rancori: il mio cuore è mite e anche allora Afrodite t’invocai e tu mi ascoltasti vaticinando il suo ritorno. E un ritorno ci fu, breve ma dolce, amaro ma intenso, il ricordo più caro tra i ricordi. (passeggia di nuovo inquieta) Fobètore2 che attraverso la nera notte ti aggiri per la casa silenziosa mentre Hypno - dolce dio - afferra gli occhi mortali degli uomini appesantendoli di un molle torpore, davvero in quest’ora tarda affanni terribilmente la mia anima! Io non mi aspetto certo di partecipare alla gloria degli dei che ben distinta hanno la loro potenza da quella degli uomini, non sarei così inquieta altrimenti ma ballerei come un cerbiattino e mi vezzeggerei tra canti e trastulli ben sapendo che felice sarà il mattino che mi attende. Invece, sono consapevole che ai 1 2 Fr. Dio degli incubi. Per non ripetere sogno (con cui si apre il frammento ho specificato di quale sogno si tratta). Saffo – finché in me ci sia respiro celesti immortali - coloro che ogni cosa vedono dalle nubi d’Olimpo - nulla interessa dei dolori di Saffo e solo a me è dato sollevarmi oltre il baratro di questa infinita attesa3. (afferra una pectis, strumento a corde simile alla lira di cui molto parla Saffo nei suoi frammenti. Lo strumento è appoggiato sopra uno dei cubi che fungono da sgabelli; scorre delicatamente le sue corde) Canta allora Saffo, poetessa delle tue stesse viscere, anche se la tua voce è diventata lamento e le dita sono tutte tremanti. Ormai la vecchiaia mi dissecca la pelle e il dolore per quello che è stato mi rincorre senza lasciarmi tregua. E’ una smania sottile e feroce che avvolge la mia mente e via da me vola il desiderio, inseguendo4 ricordi sbiaditi di una meravigliosa giovinezza. Suvvia divina tartaruga5, parlami di lei dal seno di viola prendendo voce dalle celesti Muse, e tu Saffo stordisci il tuo animo, ubriaca il tuo senno affinché il pensiero di chi è ancora lontana vada errando dentro a queste stanze che la conobbero giovane e bella. Atti per te sono stata madre, amante, sorella e quanto dolore il giorno in cui salpasti su una nave dagli stanchi legni per andare sposa a un principe lidio, il più fortunato tra gli uomini. Davvero6 vorrei essere morta in quel momento, lei mi lasciava piangendo e tra molte cose mi disse: “Che pena crudele soffriamo Saffo, io ti abbandono non per mio volere”. E a lei io rispondevo : “Va’ e sii felice, serba memoria di me: tu sai quanto ci amavamo. Ma se non ricordi allora voglio farti ricordare così che Mnemòsine7, colei che rischiara le menti degli uomini, possa rievocarti anche nella lontana Sardi tutti i momenti sereni e belli che abbiamo vissuto insieme: seduta sul prato accanto a me ponevi sul tuo capo molte corone di viole, di rose e di crochi e intorno al collo delicato molte collane intrecciate di fiori variopinti. E quando la notte calava dalle montagne ungevi tutto il tuo corpo di un unguento profumato degno di una dea e su soffici letti placavi il desiderio, dolcemente. E non c’era sacrificio, né festa né bosco da cui noi fossimo assenti, non canto, non danza, non imeneo che si accompagnasse al suono dolce dell’aulo o al fragore assordante dei crotali di cui non fossimo partecipi.”8 Così le parlai e la vidi sparire oltre le colonne con il cuore che gocciava lacrime. Dieci anni sono trascorsi da allora. Ora tu sei donna Atti, donna e madre, mentre io sono solo una vecchia poetessa ancora piena di voglie e di tormenti. La luce di nuovo si abbassa formando una penombra azzurra, luce concentrata solo sul braciere. PARODO DEL CORO DELLE FANCIULLE DEL THIASO 3 Fr. 63 con integrazioni personali. Liberamente tratto dai versi frammentati del Fr. 31 5 Fr. 118, la lira, la pectis e altri strumenti a corde avevano spesso la cassa di risonanza formata da un guscio di tartaruga. 6 Inizio del Fr. 94 con integrazioni personali nelle parti mancanti. E’ il famoso Addio a Atti. 7 Dea della memoria. Madre delle Muse e ispiratrice di poeti e protettrice di ogni attività intellettuale. 8 Fine del Fr. 94. 4 Saffo – finché in me ci sia respiro Musica di sottofondo, voci fuori campo introducono il primo dialogo. Esse sono le fanciulle del thiaso di Saffo. - CORO V.F.C. Brilla ormai tra le stelle l’astro più leggiadro, Èspero fratello d’Atlante. Lui che ogni cosa riporta che Aurora lucente disperde: riporta la pecora, riporta la capra, riporta ♠ la figlia alla madre9, riporta anche il sonno nelle case silenziose degli uomini. Presto le luci si scioglieranno in mezzo alla cera, la notte scenderà fitta e veloce e, fanciulle, conviene alla notte obbedire. Ma prima che l’ultima fiamma si spenga rallegriamoci dolci compagne, nella veglia notturna cantiamo, cantiamo Atti voce di miele. Quando Selene sul cocchio d’argento avrà percorso la volta celeste e Aurora sandali d’oro avrà spalancato colle dita di rosa il velo iridato del cielo, il piede purpureo di Atti poserà sulla sabbia azzurrina. E già Saffo smania dal desiderio di rivederla. Dieci anni sono trascorsi ma il suo sentimento non è mutato, anzi è divenuto più saldo e care sono ancora a lei le lettere che formano di Atti il nome. La musica sfuma. PRIMO EPISODIO Luce su Saffo che nel frattempo si è seduta su un cubo. SAFFO - Le ragazze non dormono e si perdono in musiche e canti. Beata giovinezza che scioglie ogni affanno del cuore. (termina il sottofondo musicale) Ah, ecco, si sono acquietate. Finalmente hanno ceduto al sonno e io sola rimango a vegliare in compagnia dei miei pensieri. Dika si affaccia dalla quinta più lontana. DIKA - Saffo divina, dal dolce riso e dal crine di viola10... SAFFO - Il mio riso è amaro e il crine ha ormai il colore del vento. (ancora seduta sul cubo, si volta verso la voce di Dika) Chi è che parla nascosta nell’ombra? Dika, sei tu? DIKA - (avanza nel cono di luce) Sì maestra... SAFFO - La piccola Dika, che intreccia fiori alle Muse e segue i miei passi come un tenero cucciolo tiene dietro alle orme della madre. Come mai ancora sveglia a quest’ora? DIKA - Ho ascoltato il tuo vagare agitato da una stanza all’altra e il molle torpore che mi Voce Fuori Campo Fr. 104 10 Tratto dal frammento di Alceo dedicato a Saffo. ♠ 9 Saffo – finché in me ci sia respiro chiudeva gli occhi è fuggito all’istante. Ora sono più sveglia di un’allodola. SAFFO - (le fa cenno di sedersi accanto a lei) Vieni avanti allora e fammi compagnia, una lunga notte mi attende perché il sonno questa sera non vuole essere dalla mia parte. DIKA - Se con la mia presenza posso rendere leggera la tua veglia ne sarò felice. (si accuccia ai piedi di Saffo) SAFFO - Le tue compagne dormono? DIKA - Tutte, la candela non ha fatto in tempo a consumarsi che erano già in compagnia di Fàntaso a inseguire i loro sogni. SAFFO - E quali sono i sogni delle fanciulle del mio thiaso? DIKA - L’amore di certo e il matrimonio. SAFFO - Amore e matrimonio spesso non s’incontrano nello stesso letto. DIKA - Proprio tu dici questo? Tu che componi splendidi inni per accompagnare gli sposi il giorno delle loro nozze? SAFFO - I canti, gli inni, gli imenei, sono solo un gioco. Servono a scacciare la malinconia della ragazza costretta ad abbandonare la casa paterna per entrare in quella dell’uomo che le è toccato in sorte. Questo è il destino di ogni donna ma non ce ne lamentiamo perché fin da piccole veniamo costrette a imparare ciò che saremo da grandi. Nel chiuso delle nostre stanze ci vengono messe in grembo bambole di terracotta, stoviglie di creta e appena la natura ci trasforma in donne, non facciamo in tempo a riporre i giochi nelle ceste che subito nostro padre si preoccupa di trovarci un marito. Dal momento che oltrepassi l’architrave al grido d’Imeneo11 sarà lui, tuo marito, a dirti come ti devi comportare: coi servi, coi parenti, coi figli che verranno. (si alza e continua a parlare avanzando verso la ribalta come se si rivolgesse direttamente al pubblico; in un crescendo) E sarà sempre lui a dirti di non portare scarpe alte, di non tinteggiare i capelli, di non usare belletti; e t’indicherà in quale modo indossare la tunica, come mangiare composta, come dormire in silenzio, quanto respirare. Come se tu non fossi un essere pari a lui in dignità, ma poco più di un cane che segue fedele il padrone in attesa che gli getti un osso sotto la tavola imbandita. Noi donne per gli uomini non siamo altro che contenitori, uteri d’uso12 senz’anima. Ma se loro sapessero quanta anima noi conteniamo ne avrebbero davvero spavento. DIKA - (turbata) Le tue parole sono dure ma tu stessa eri sposata un tempo. SAFFO - (si volta e torna a sedersi) E’ vero, io stessa da giovane intrecciavo ghirlande13 sognando le mie nozze dorate e quando arrivarono mi sembrò di avere realizzato il sogno di tutta una vita. Ero così giovane allora e così ingenua. (luce concentrata su Saffo) Verginità, verginità, dove vai? 11 Vedi Fr. 111 Aristotele molti anni dopo Saffo dichiara che la donna è solo un vaso da cui non passa nulla al figlio. 13 Fr. 125 12 Saffo – finché in me ci sia respiro Perché mi abbandoni? Mai più ritornerò da te, mai più14. (di nuovo luce sul palco) DIKA - Come si chiamava tuo marito? SAFFO - Il suo nome era Cercila ed era nativo di Andro. DIKA - Ne eri innamorata? SAFFO - No, innamorata non ero. DIKA - Eppure un uomo bello e ricco dovrebbe fare la felicità di ogni donna. SAFFO - Era quello che credevo anch’io. (pausa, Dika è ammutolita. Con freddezza) Il giorno più bello della mia vita è stato quando ho deposto la lapide sulla sua tomba. DIKA - (ancora più turbata) E’ terribile quello che dici. SAFFO - (tornata calma, malinconica) Non più terribile della verità. (sorride all’ancella) Ma anche dalla cenere può nascere un fiore e di lui mi è rimasta mia figlia Klei, il fiore più bello su tutta la terra. DIKA - Tu hai una figlia Saffo? SAFFO - (sorride al ricordo; luce concentrata su di lei che si alza in piedi) Io ho una bella figlia che nell’aspetto somiglia ai fiori d’oro, la mia Klei diletta, in cambio della quale non darei né tutta la Lidia né l’incantevole Lesbo...15 (luce sul palco) Da piccola Klei era la bambina più bella di Lesbo, aveva i capelli biondi, gli occhi colore del mare e la pelle molto più candida di un uovo16. Non esiste eredità migliore che Cercila potesse lasciarmi oltre alla mia libertà. DIKA - E dove vive adesso? SAFFO - (cammina inquieta mentre parla e Dika la segue con gli occhi stando sempre seduta a terra) Come tutti coloro che ho amato, vive lontana da qui. Amaro il destino di noi donne, seguire il marito in capo al mondo lasciando gli affetti più cari, quelli dell’infanzia, dietro le nostre spalle. Noi non apparteniamo a noi stesse ma ai padri che ci generano e ai mariti che ci sposano. Rimasi incinta che ero ancora esule in terra straniera e quando poi, finalmente, il bando sulla mia famiglia venne tolto e potemmo ritornare nelle nostre case, io ero già vedova da alcuni anni e Klei poco più di una bambina. Fu allora che decisi di fondare questa comunità. Un sacro recinto dove poter rendere grazie alle Muse e dove le giovani donne potessero riunirsi libere da ogni facile convenzione, dove potessero imparare ad amare senza vincoli, protette dal caldo sorriso di Afrodite. DIKA - Ma noi qui impariamo a diventare brave mogli. E’ per questo che le famiglie più nobili di Lesbo e dei territori vicini ti affidano le loro figlie, perché tu le istruisca nel canto e 14 Fr. 114 Fr. 132 16 Fr. 167 15 Saffo – finché in me ci sia respiro infonda loro le qualità necessarie per essere gradite a colui cui andranno spose. SAFFO - Sì, questo è quello che pensano fuori le mura del thiaso. In realtà voi qui imparate a diventare donne. Essere mogli, figlie o madri è solo un aspetto della vostra esistenza a cui non dovrete mai sacrificare la libertà di amare, di amare con tutte voi stesse. Anche se amare spesso significa morire. DIKA - Tu mi spaventi, signora. Perché parli così? L’amore che canti nelle tue poesie è dolce come il miele. SAFFO - E’ vero, esso quando è ricambiato è dolce come miele, anzi ancora più dolce. Ma quando l’oggetto dei tuoi desideri è lontano o irraggiungibile allora diventa amaro come la cicuta posata sulle labbra innocenti di una vergine. DIKA SAFFO - Spero di assaggiare solo il miele allora. (sorride e si blocca sedendosi dall’altra parte del palco sull’altro cubo scuro) Come siete fragili voi fanciulle. Se non assaggi l’amaro della cicuta non potrai mai comprendere quanto è dolce il sapore del miele; e se non conosci lo strazio del distacco non saprai mai quanto è felice anche un solo attimo trascorso con la persona amata. Un attimo che vale una vita intera. DIKA - (si rivolge a Saffo maliziosa mentre carponi la raggiunge) Sei in attesa del tuo attimo felice Saffo? E’ per questo che ti aggiri per la casa come una lupa tra i boschi? SAFFO Non una lupa, ma una volpe ferita alla ricerca di una pozza d’acqua per lavare la sua piaga. Quando amore ghermisce non c’è nulla da fare, è un forte vento che squassa il petto come raffica sulle querce montane17. E non c’è scampo, puoi solo invocare gli dei che in un modo o nell’altro diano quiete al tuo tormento. DIKA - Il tuo tormento si chiama Atti, vero mia signora? (intanto è di nuovo accucciata ai piedi di Saffo) SAFFO - (irritata, sempre da seduta si volta frontale al pubblico) Vedo che la dea del pettegolezzo, la stolta figlia di Èris che intreccia falsi discorsi, non ha perso tempo. DIKA - Mitilene è piccola e le notizie corrono di bocca in bocca saltando sulle lingue dei curiosi. SAFFO - E cosa si dice per le strade strette di Mitilene di me e di Atti? DIKA (abbassa la testa vergogandosi) Ti prego Saffo, non mi chiedere questo. E’ imbarazzante! SAFFO (si volta verso Dika ai suoi piedi e si china verso di lei mettendole delicatamente un indice sotto il mento e costringendola a guardarla negli occhi) Come dissi un tempo ad Alceo, amico e compagno della mia giovinezza: se la tua lingua non rimestasse qualcosa di brutto, il pudore non ti abbasserebbe gli occhi confusi e diresti ciò che desideri18. DIKA 17 18 (schivando lo sguardo di Saffo) Dicono che tu e Atti eravate amanti e che ti comporti Fr. 47. Tratto dal Fr. 137 Saffo – finché in me ci sia respiro come il più lascivo dei poeti sbavando dietro a una giovane che potrebbe esserti figlia! SAFFO (si alza irritata e cammina di nuovo su e giù mentre Dika cerca di nuovo di seguirla con lo sguardo) Al diavolo le malelingue! Chi mi biasima il vento e gli affanni se lo portino via19! (al pubblico) I nostri sentimenti erano sinceri e sulla terra non ho mai conosciuto un amore più puro di quello che mi legava a lei. DIKA - Devi averla molto amata. SAFFO - Un tempo sì, l’amavo molto. DIKA - E adesso Saffo? L’ami come allora? SAFFO Adesso non solo l’amo, ma la desidero e la bramo20. E ancora una volta, ancora e per sempre Èros che fiacca le membra mi assilla l’animo, bestia dolceamara, feria invincibile21. DIKA - Nelle stanze del gineceo non si parla d’altro e le fanciulle del thiaso sono curiose di vederla. Atti dev’essere davvero bella per suscitarti una simile passione. SAFFO - Non più bella di te, piccola Dika. La prima volta che si presentò nella mia casa indossava una splendida veste ricamata d’oro e una sgargiante calzatura rossoporpora, splendido lavoro lidio, che le avvolgeva i piedi22. Nonostante il ricco abbigliamento sembrava una bambina minuta e sgraziata23, eppure quel giorno stesso ho iniziato ad amarla. Perché Èros che muove il mondo, che scioglie le membra a tutti gli dei e a tutti gli uomini, che spezza il cuore nel petto e fiacca la volontà anche ai più saggi24, non conosce regole e spesso si nutre delle creature più insignificanti. DIKA - Lei ti amava? SAFFO - Atti crebbe in fretta al suono della mia pectis offrendo la sua voce alle Muse e la scialba bambina si trasformò ben presto in una fanciulla prodigiosa, generata chissà in quale tempo e in quale cielo dalla grazia celeste delle Cariti e dal dolce canto di Armonia. Ella emergeva nel cerchio delle sue compagne, proprio come le stelle intorno alla bella luna nascondono la loro figura lucente quando piena essa risplende25. Danzava più leggera di una ninfa, si muoveva più flessuosa d’un giunco, più provocante del barmos26 di Alceo. Klei nel frattempo si era sposata e solo Atti era rimasta a condividere con me quella mancanza. Fu allora che mi accorsi di amarla di un amore appassionato e struggente. Un amore fatto di sguardi, di piccole complicità, di mani tremanti, inconfessato e inconfessabile. Io divenni per lei maestra e compagna lasciando che nulla scalfisse l’eternità di quei giorni. E sulle rive crescevano ceci d’oro e la terra, adorna di corone, si colorava di fiori variopinti. Due stagioni trascorsero tra il cantare 19 Tratto dal Fr. 37 Fr. 36 21 Tratto dal Fr. 130 22 Fr. 39 23 Fr. 49 24 Tratto dalla Teogonia di Esiodo, 25 Fr. 34 26 Strumento a molte corde usato sia da Alceo che da Saffo. 20 Saffo – finché in me ci sia respiro dell’usignolo nunzio di primavera e il freddo inverno che gela le acque dell’Ebro. Poi una mattina accadde che l’occhio lucente del sole si nascose vergognoso dietro l’argentea Selene. Fu un’eclissi prodigiosa e terrificante, presagio di sventura27. E sventura ci fu. Per uno stupido litigio – una questione di gelosia – Atti decise di abbandonare la mia casa e di rifugiarsi presso Andromeda. DIKA - Andromeda di Poluanatte, quella Andromeda? SAFFO - (luce solo su Saffo, rivolta al pubblico in piedi in direzione del proscenio) Tu giacerai morta né più alcuna memoria di te mai resterà in futuro: ché tu non hai parte delle rose della Pieria, ma anche nella casa di Ade vagherai, oscura ombra fra le ombre oscure dei morti, sospesa in volo, lungi da qui28. (luce sul palco) DIKA Un grande odio ti divora le viscere, eppure eravate amiche un tempo, almeno così si racconta. SAFFO - Anche Leto e Niobe erano amiche un tempo29. Io e Andromeda, inclita prole di due importanti casate di Lesbo, siamo cresciute insieme e insieme abbiamo sopportato la tristezza dell’esilio, la gioia del ritorno. Quando Pittaco prese il potere a Mitilene e le nostre famiglie vennero recluse nella lontana Nasso, Andromeda mi fu vicina come neanche mia madre sarebbe stata capace di fare. Pensavo di aver trovato in lei una sorella, la sorella che non avevo mai avuto, io unico fiocco di lana30 fra tre corone di ulivo. DIKA - E cosa ha mai potuto scalfire una così forte amicizia? SAFFO - Come accadde alla materna Leto, quando già con gli anni ci avvicinavamo all’età matura, Andromeda - gelosa della mia fama - volle colpirmi negli affetti più cari. Fece correre voci maligne sul mio thiaso e mi sottrasse Atti con false promesse. Il giorno in cui se andò io cercai di fermare l’amata fanciulla sulla soglia di casa mentre lei risoluta mi abbandonava: “Chi è la rozza contadina che ti ammalia la mente?31” le urlavo tirandola per un braccio, tentando di trattenerla. “E’ Andromeda dal riso sguaiato, vero? La sozza signora che non è nemmeno capace di sollevare i suoi ridicoli cenci sopra le caviglie32? Ma se anche adesso preferisci l’amore di una donna dei Pentelidi, io non ti permetterò di abbandonarmi!” E’ difficile tenere a freno la lingua che abbaia a vuoto mentre la rabbia si spande nel petto33. Lei superba non fiatò e sparì in una notte come questa, accompagnata dal fiero vento della gelosia che trascina via con sé tutti gli amori. 27 L’eclissi di sole predetta già da Talete tramite i suoi calcoli nel 621, si verificò intorno al 585 a.C. Fr. 55 29 Fr. 142 30 Si usava appenderlo fuori la porta se nasceva una figlia femmina; se era maschio invece si appendeva una corona 31 Fr. 57 32 Fr. 57 33 Tratto dal Fr. 158 28 Saffo – finché in me ci sia respiro Rumore forte del vento in sottofondo. Breve intermezzo musicale. Saffo e Dika restano immobili nelle loro posizioni. SAFFO - Quella notte alle bianche colombe si ghiacciò il cuore e lasciarono cadere le ali34. DIKA - (trascinata dal racconto si alza in piedi) Ma poi Atti tornò... (continua) Questo documento è soltanto un breve estratto del testo completo, per cui è vietato qualsiasi tipo di utilizzo al di fuori della semplice lettura senza l’esplicito consenso dell’autrice. © Daniela Ariano 2004, tutti i diritti riservati 34 Fr. 42 Saffo – finché in me ci sia respiro