...

Diapositiva 1 - Italia Solidale

by user

on
Category: Documents
11

views

Report

Comments

Transcript

Diapositiva 1 - Italia Solidale
LA FORZA DI DIO NELLA
CULTURA GRECA
Mentre nel Vicino Oriente il popolo di Abramo procede nel suo
cammino di purificazione e concorre alla realizzazione del più
grande progetto di salvezza per gli uomini: la nascita di Cristo,
cosa accade di rilevante all’uomo in Occidente da dover essere
ricordato?

Nascono e muoiono due civiltà, quella greca e quella romana,
che per secoli e fino ad oggi sono state considerate la “culla”
della nostra cultura e sono state studiate, meditate, copiate,
diffuse, in quanto ritenute fonte della conoscenza in tutti i
campi, nella letteratura, nell’arte, nella poesia, nelle scienze.

Nell’accostarci al mondo greco, dovremmo liberarci da molti
condizionamenti che ci impediscono di vedere la Grecia per ciò
che è stata veramente, un popolo debole, lontano da Dio,
separato dalla propria anima, che proprio nel sesso, come
Adamo ed Eva tentati dal serpente, si è staccato dalla Grazia e
dalla fecondità; ma soprattutto un popolo che ha partorito e
diffuso il più grande e diabolico male della nostra “civiltà
occidentale”: una mente separata dall’anima e da Dio.



Mentre nel Vicino Oriente l’impossibilità di arrivare a Dio
e la sofferenza che questo produce spinge Abramo a
partire alla ricerca di un incontro personale con il
Signore, in Occidente l’insoddisfazione per la riduzione
del politeismo produce una critica degli dei che porta
l’uomo a distaccarsi sempre di più da Dio, cadendo in un
errore molto grande: pensare di poter trovare soluzioni
più idonee per la propria vita attraverso la ragione.
La tensione verso il trascendente che aveva animato le
popolazioni antiche sembra sempre più morire,
percorrendo una via di ricerca che invece di avvicinare
alla conoscenza di Dio, conduce sempre più lontano, fino
alla sua stessa negazione.
Il mito e l’inconscio



Il popolo greco come le popolazioni primitive possiede dei miti,
ma li spoglia del loro significato più profondo e li riduce ad un
esercizio formale che comunque contraddistingue la sua arte, la
poesia e tutta la sua letteratura.
Il mito in ogni popolazione che lo produce è, in realtà, religione.
Racconta degli dei e del mondo e parla all’inconscio, racconta
per immagini, traduce la realtà, la grandezza del mondo, le
origini dell’universo e dell’uomo in avvenimenti apparentemente
illogici, ma che utilizzano invece i meccanismi dei sogni.
Il mito parla all’inconscio e racconta agli uomini di Dio, sia pure
nell’errore e nella riduzione di religioni primitive o politeiste, ma
che ancora possiedono un’anima alla ricerca di Dio.
Nei racconti mitici non esistono coordinate
spazio-temporali e i personaggi che vi agiscono
sono diversi da quelli “storici”.



Essi sono fuori dal tempo e dalla storia
Gli avvenimenti narrati fondano, e non spiegano,
la realtà, attraverso un incidente mitico, che ha
la caratteristica di non avere una ragione del
suo accadere: accade a basta, ma da quel
momento qualcosa che non esisteva, c’è.

Un mito del Sudan
Dopo aver fatto il mondo Dio invitò il
sole, la luna, le stelle e l’uomo a
mangiare della pianta della vita
perchè vivessero eternamente. Tutti
vennero e si sedettero ad aspettare
l’uomo. Dio mandò qualcuno a cercare
l’uomo, ma l’uomo si era da poco
messo in cammino. Dio allora diede
l’immortalità al sole, alla luna ed alle
stelle e quando l’uomo giunge per lui
non c’era più nulla e da allora deve
morire.
L’uomo è l’unica creatura che non
rispetta la relazione con il Creatore
della vita e per questo da allora muore
e questa realtà viene comunicata con
immediatezza e senza ragionamenti
attraverso un’immagine.

Un mito del Kenya
Wele (“colui che sta in alto”), la divinità suprema del
cielo degli Abaluyia del Kenya, (un gruppo
settentrionale del popolo Bantu) creò dapprima il
cielo e lo sostenne con dei pilastri. Quindi fece
due fratelli, il Sole e la Luna, che dovevano
aiutarlo nella creazione del resto dell'universo.
Ma quasi subito quei due corpi celesti si misero a
lottare tra loro.
Prima la Luna espulse il Sole dal cielo, in risposta
il Sole lanciò la Luna nel fango così da ridurne la
luminosità.
Per mettere fine all'aspra battaglia, Wele decise
che i due fratelli non sarebbero mai più apparsi
insieme nel cielo: da allora il Sole splende di
giorno e la Luna di notte.
L’alternarsi del giorno e della notte è simbolo della
separazione tra la “luce” e le “tenebre”, è un
elemento fondamentale della creazione ed è
semplicemente un atto divino, che non può
essere spiegato e che viene attribuito ad un
“incidente”, ad una lotta che non è importante
per se stessa, ma perché conferisce valore
tarscendente alla realtà .
La creazione dell’uomo per i Sumeri
Gli dei trovano difficoltà a procurarsi il cibo, quindi
decidono di lamentarsi presso Enki, dio dell'acqua ma
anche dio della saggezza. Enki, dice loro di creare dei
"servi" che possano svolgere i lavori che gli dei non sono
in grado di fare. Enki riflette, e consiglia quindi alla
madre di creare delle forme con l'argilla dell'Abisso
(l'Abzu), e di imprimere su di esse l'immagine degli dei:
queste forme saranno chiamate "uomini".
Per festeggiare questa decisione, gli dei organizzano un
banchetto, durante il quale Enki e Ninmah, dea del
parto, si ubriacano e perdono lucidità. Ninmah prende
quindi un po' di argilla dell'Abisso, e con essa forgia sei
individui anormali. Enki finisce l'opera decretando il loro
destino, e dando loro da mangiare del pane.

Gli ultimi due sono una femmina incapace di procreare ed
un essere asessuato. Il destino della prima è quello di
dimorare nel gineceo, quello del secondo di "camminare
davanti al re".
Enki forgia anche una creatura che è in qualche modo
inanimato, debole di corpo e di spirito.
Gli si offre del pane, ma lui non tende la mano per
riceverlo, gli si parla ma lui non risponde; non riesce a
stare in piedi, né seduto, né riesce a piegare le
ginocchia. Enki chiede quindi agli dei di dare in qualche
modo un aiuto a questa creatura, ma nessuno è in grado
di fare qualcosa.
Questo racconto parla della realtà dell’uomo sumerico
costretto a dedicare tutta la sua vita a lavorare per le
terre che erano di proprietà degli dei, parla delle
debolezze di quella cultura che prevedeva ginecei ed
eunuchi e che vedeva gli uomini comuni poveri
mangiatori di pane senza diritti, ma non ne parla in
chiave di rivendicazioni sociali, non intende dare ragioni
o spiegazioni storiche, sociologiche o di costume,
semplicemente dà valore a questa realtà facendone una
realtà voluta dagli dei, che ubriachi hanno forgiato degli
uomini che avrebbero voluto simili a sé ma che non gli
sono venuti bene.
 Il messaggio che arriva, sia pure nelle contraddizioni e
nelle difficoltà di queste culture, arriva all’inconscio della
collettività ed è senza appello, perché è divino.

La creazione del cielo per gli
Egiziani
Gheb e Nut, al momento della
creazione, stavano coricati l’uno
sull’altra. Per ordine di Ra, li
separò Sciu; e Nut, puntando
mani e piedi, si sollevò alta nel
cielo formando la volta celeste
che, è il ventre della dea.
Il cielo e la terra sono dei che si
distendono distanziandosi e
differenziandosi, richiamando
immediatamente e senza alcun
dubbio la forza divina presente
nel creato.
Nel mito è la divinità che agisce e che comunque conferisce
senso alle cose ed al mondo e la sua forza è garanzia di
stabilità anche se gli avvenimenti appaiono agli uomini
imperfetti e senza apparente significato.

Non è la ragione o la ragionevolezza che dà significato al
mondo, quanto piuttosto che Dio lo abbia così concepito e
l’uomo trova il senso del creato e della sua stessa esistenza in
una relazione con il divino che conferma e garantisce tale
ordine. Se si allontana da questo tutto perde senso anche la
vita stessa dell’uomo.

Le feste, durante le quali si raccontavano i miti, avevano lo
scopo di riattualizzare quel tempo senza tempo per fondare
ancora una volta i valori della società in stretta connessione con
il sacro.


Anche Gesù del resto parlava per immagini, con le parabole
non spiegava con la mente, spingeva invece a cogliere una
esperienza più grande e divina dell’uomo e della vita.
Dal mito al Logos
Il popolo greco è un popolo politeista, come
tutte le grandi civiltà del passato, ma molto
presto, già dal VII-VI sec. a.c., comincia una
accesa discussione sul mito, che abbiamo visto è
la tradizione religiosa propria dei popoli antichi,
anche di quelli non politeisti.

Bisognava credere o no a questi racconti?
Avevano valore storico? Gli dei potevano essere
accettati per come apparivano in tali racconti,
antropomorfi, bizzarri, incestuosi e violentatori?

Dall’inconscio alla ragione
Diventava indispensabile capire, non più
credere e la verità, il sapere prima
custodita dai sacerdoti o dal re, poteva
anzi doveva divenire oggetto di indagine,
per essere discussa e confrontata,
accettata o rifiutata.
La verità capovolta: dalla fede alla
ragione
Si giunge a separare il mito dalla consapevolezza
del divino che in esso risiedeva, per poter
affermare che, in quanto privo di senso, la verità
può essere raggiunta solo attraverso la ragione.
Il mito così privato ed impoverito del suo profondo
significato religioso diviene invenzione senza
fondamento anche se simile al vero.
Nasce la filosofia
Il Logos all’inizio nel linguaggio matematico indicava un
rapporto tra due misure, dunque una relazione tra
grandezze e nello stesso tempo descriveva un ordine
presente nella realtà.

Ora diviene parola, discorso e al tempo stesso ragione
che rende conto delle cose e dell’ordine dell’universo,
che viene comunque osservato, ma dal quale scompare il
divino. L’uomo pretendendo di spiegare con la mente, si
appropria di ciò che non gli appartiene, confinando Dio
tra le ipotesi possibili, ma non dimostrabili.

La riduzione delle parole
La parola ed il discorso spiegano e contemporaneamente riducono,
nominare è fissare in un unico significato, la complessità delle
relazioni intercorrenti tra le cose, appropriandosene.
Questa consapevolezza è propria di tutte le civiltà antiche ed anche
di molti popoli “primitivi”.
Nessuno di questi per esempio dà un nome proprio a Dio; per i
Boscimani è Kkaang «colui che dimora nei cieli», presso i Bantu
del Ruanda è Imana «colui che ha fatto i cieli e vi abita», è Ngai
per i Masai «colui che abita nei cieli, dietro le nuvole».
Presso i popoli primitivi australiani, l’essere supremo Nurelle,
adorato dai Wimbajo, è «chi, salito al cielo, ogni mese distrugge
la luna e ha fissato il sorgere e il tramontare del sole».
L’Essere supremo presso altri popoli australiani è: colui che,
abitando nel cielo, «ha come mogli le stelle» (Atnatu, presso i
Kaitish) o, anche, «le stelle sono i fuochi del suo
accampamento» (Tukura, presso i Loritja).
Il nome di Ra

Ra era il signore di tutti gli dèì e
creatore del mondo, un antico
dio, la cui sede preferita era il
sole e che del sole aveva lo
splendore quando l’astro radioso
domina nel mezzo del cielo. Egli
era il più potente di tutti per un
particolare strano: nessuno
degli dèi conosceva il suo nome
segreto. In quel nome era
raccolta la sua forza perchè
esso rappresentava la parola
magica che riassumeva in sè la
verità di tutte le cose, chi lo
avesse conosciuto sarebbe stato
superiore a ogni altra divinità e
nulla avrebbe potuto più
contrastargli il dominio.
Il nome di Jahvè
Dio lo chiamò dal roveto e disse: "Mosè, Mosè!".
Rispose: "Eccomi!". Riprese: "Non avvicinarti! Togliti i
sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una
terra santa!". E disse: "Io sono il Dio di tuo padre, il Dio
di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe". Mosè
allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare
verso Dio.


Mosè disse a Dio: "Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico
loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi
diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò
loro?". Dio disse a Mosè: "Io sono colui che sono!". Poi
disse: "Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a
voi". Dio aggiunse a Mosè: "Dirai agli Israeliti: Il
Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di
Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo
è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò
ricordato di generazione in generazione.
Dio non fissa nemmeno se stesso con un nome, ma si definisce
nella relazione che hanno instaurato con Lui Abramo, Isacco
e Giacobbe.
Anche Gesù quando gli viene chiesto in più occasioni chi è, non
risponde mai con un nome: “Gesù parlò loro di nuovo,
dicendo: «Io sono la luce del mondo; chi mi segue non
camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» “(Gv
8,12).
“Io sono il pane vivente, che è disceso dal cielo; se uno mangia
di questo pane vivrà in eterno; e il pane che io darò è la mia
carne, [che darò] per la vita del mondo”.(Giov 6:51)
“Io sono la porta; se uno entra per me, sarà salvato, entrerà e
uscirà, e troverà pastura.(Gv, 10-9)”
“Pilato gli domandò: «Sei tu il re dei Giudei?» Gesù gli rispose:
«Tu lo dici».” (Mc, 15,2)
Se fino a questo momento nelle civiltà
precedenti alla greca avevamo colto la grande
difficoltà di incontrare Dio, ma, desiderandolo
intensamente, si erano impegnate molto in
questa ricerca, ora con la supremazia della
parola e del discorso l’uomo perde la tensione
verso il divino, lo sostituisce con la ragione
non riuscendo a coglierlo più nel creato.
Una operazione scientifica
La filosofia, nata in Grecia nel VI sec.a.c., compie,
molto presto, un’operazione apparentemente
scientifica:
Separa la forza di Dio dal creato, dalla natura e
dall’uomo.
Con i filosofi ionici si cerca un principio, un’origine
del mondo nella natura stessa, nell’acqua,
nell’aria , nel fuoco.
Di Dio non si parla più.
Il dubbio sugli dei
Si insinua poi il dubbio che gli dei fossero
un’invenzione.
Senofane nel VI sec. comincia a discutere se gli dei
non fossero stati uomini particolarmente forti da
essere poi ritenuti dei.
I nuovi idoli
Anassagora nel V sec. a.c. per
spiegare come dalla totalità
indistinta si sia formato il
mondo, elabora il concetto di
Intelletto cosmico , (gr. Noùs)
principio ordinatore di tutti i
processi cosmici e lo elabora
partendo dall’osservazione
dell’intelligenza umana, capace
di generare il movimento del
corpo per es.
Il relativismo
Verso la metà del V secolo sorge un nuovo male: i sofisti.
Il sofista è colui che fa professione del proprio sapere. Ma
quale sapere?Per i sofisti il sapiente è colui che fa
apparire buone le cose che per altri sono cattive.
E’ vero solo ciò che si percepisce e
riguardo agli dei non si può accertare né che sono, né che
non sono perché non se ne può fare esperienza.
L’ uomo diventa misura di tutte le cose, di quelle che sono
in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non
sono.
La parola poi diviene il mezzo attraverso cui far valere dei valori
che non sono più sentiti da tutti come tali, ma che sono solo
più convincentemente dimostrabili, in relazione non certo al
Bene, ma all’Utile, ovvero alla convenienza personale;
del resto è l’uomo la misura di tutto.
Il linguaggio serve a persuadere, a suscitare emozioni per
trascinare l’uditorio verso la posizione che si desidera.
I sofisti insegnavano a pagamento queste tecniche, oratoria e
retorica, e formavano i giovani che poi avrebbero guidato la
città con l’attività politica.
Si afferma che la religione è un’invenzione di un individuo
particolarmente abile e scaltro, che introduce il timore degli dei
come strumento di potere, per dare maggiore forza alle leggi.
Il meccanicismo
Democrito, sempre nel V sec.
a.c., cerca una causa unitaria
delle molteplici
manifestazioni del mondo
fisico e umano.
Gli atomi sono i costituenti di
tutte le cose, ma non si
incontrano per la forza di un
agente esterno, bensì a causa
del proprio movimento che li
porta a scontrarsi: se sono
simili si aggregano, se non lo
sono si respingono.
Per riflettere…
Il meccanicismo è stata la base filosofica della scienza a
partire dall’Illuminismo, doveva servire a tranquillizzare
l’uomo dalla paura della morte e del giudizio dopo la
morte stessa, ponendo sotto il controllo della dea
Ragione tutti i processi fisici e metafisici.

Se però oggi la scienza sta cominciando a liberarsi da
questo male e riesce a guardare al creato in modo
diverso, il relativismo pervade invece ancora ogni campo
della nostra esistenza, la politica, l’educazione, la
comunicazione, l’arte.


Troppa ragione staccata da Dio e senza anima porta
sempre più lontano da Dio, dalla Sapienza e dalla verità.
Platone e il mondo delle Idee


Platone sul finire del V secolo a.c.,
avversando le idee dei sofisti, si
scaglia contro il loro relativismo ed il
soggettivismo etico delle loro
convinzioni.
Sostiene che la verità è innata e non è
un’opinione e che l’anima è immortale.

La realtà però è una copia di Idee
perfette che sono oltre il cielo,
nell’Iperuranio. Le cose e l’uomo
partecipano delle idee, le uniche che
propriamente sono dotate di
esistenza.
La Sapienza viene dall’Intelletto
Con la teoria della conoscenza poi (percezione, credenza,
matematica, dialettica) le idee diventano conoscibili solo
nei gradi più alti, quelli che utilizzano l’intelletto: la
matematica e la dialettica.
La dialettica, la tecnica di discussione, è l’unica in grado di
portare l’intelletto alla verità.
Le Idee dunque sono un prodotto della mente e vi si può
arrivare con il ragionamento, la tecnica principe di ogni
pensiero che voglia approdare ad una verità.
Ma Dio dov’è?
Il divino artefice
Dio diventa il Demiurgo, il divino artefice che
plasma il mondo con una azione intelligente
sulla base delle Idee preesistenti; i risultati
sono imperfetti perché la materia resiste a tale
azione, ma egli è capace comunque di
imprimere la struttura ordinata e regolare delle
Idee al mondo.
L’idealismo
Il più grande pericolo della teoria platonica risiede
proprio nella imperfezione attribuita alla realtà, al
convincimento che le Idee, statiche ed immutabili,
risiedano in un altro mondo e che si possano conoscere
solo con la ragione.


Nel corso dei secoli e delle successive reinterpretazioni
del suo pensiero, si genererà la convinzione
dell’impossibilità di vivere la felicità in questa vita e
dell’irraggiungibilità della stessa perché, per quanto
cercata, rimane perfetta solo se resta ideale, cioè
comprensibile, ma non realizzabile qui ed ora.
“Siate perfetti come è perfetto il
Padre mio”


La creazione è perfetta e noi stessi siamo
chiamati in ogni momento alla perfezione.
La mente dell’uomo staccata dalle altre forze,
dall’anima e da Dio è imperfetta.
Dio non è ideale, è reale ed entra qui ed ora
nella storia per riportare l’uomo alla pienezza
della vita guarendo tutti i mali compreso il male
della mente.

Aristotele
Per Aristotele restano comunque in primo
piano l’intelletto e la dialettica, l’uno capace
di cogliere i principi propri di ogni scienza,
l’altra perché necessaria alla discussione delle
opinioni su ciascun problema.



Egli distingue poi la scienze in teoretiche :
fisica, matematica e metafisica; pratiche:
etica e politica.
La scienza ha come fine la dimostrazione della
verità, ma il suo principale strumento è la
dimostrazione, che pur procedendo con il
metodo deduttivo, è vincolata dal sillogismo,
un ragionamento concatenato strettamente
correlato alle premesse. E se le premesse
sono errate?
La metafisica
Se le premesse sono errate si arriva a dimostrare che
esiste un Motore Immobile, sempre in atto, pensiero che
continuamente pensa se stesso e tutte le nozioni
universali.



L’anima dell’uomo è intellettiva, con essa l’uomo arriva a
conoscere le nozioni universali puramente intellegibili.
La felicità per l’uomo consiste nell’uso delle ragione e le
virtù riguardano l’esercizio delle ragione (etiche e
dianoetiche).

Dio invece è Amore, è movimento, è vita e relazione, la
nostra anima è inconscio in collegamento con Dio, la
felicità per l’uomo è vivere le proprie forze in Dio ed
arrivare ad amare come Lui, solo da questo si genera la
sapienza e la pienezza della vita.
Per riportarci a questa bellezza Dio entra nella storia
come Bambino, per far rinascere ogni uomo in questo
Amore. E’ Natale qui ed ora, in ogni momento, per ogni
uomo che in Cristo ritorna alla pienezza della relazione
con Dio.

Le conseguenze nella politica
Il bisogno di relazione dell’uomo è
soddisfatto dalla attività politica,
svolta nella polis.
Ma che tipo di attività è?
La politica è la vera grande passione
dei greci, dove poter sfoggiare l’arte
del discorso, del ragionamento, del
convincimento. Del proprio utile e
del proprio vantaggio.
Fin dal VII sec. troviamo una Grecia
caratterizzata da polis indipendenti ,
governate non da un re ma da
aristocratici che per arrivare al
potere, la tirannide, lottano, si
uccidono, si esiliano a vicenda.
La democrazia, invenzione periclea, per cui la Grecia è
rinomata, non lo era nel senso proprio, in quanto
l’accesso di tutte le classi sociali alle assemblee fu
proposto per evitare tensioni e conflitti politici e di fatto
solo i più ricchi vi partecipavano.
Quando Pericle inventò l’obolo, il gettone di presenza per
spingere le classi più povere alla partecipazione alle
assemblee, il risultato non fu affatto incoraggiante ed
aprì invece la via alla retribuzione di un incarico che non
era mai stato vissuto come un lavoro, ma come vita
stessa per l’uomo: la partecipazione attiva alla vita
politica.
La politica di Atene in particolare diventa
prestissimo una politica di sopraffazione nei
riguardi delle altre poleis greche, private della
libertà e costrette a pagare ad Atene grandi
quantità di dazi e tasse per continuare a
commerciare, fino alla ribellione di Sparta ed alla
guerra del Peloponneso dalla quale non solo
Atene uscirà distrutta, ma tutta la Grecia.
Le conseguenze nel teatro
Il teatro, la grande invenzione dei Greci
che ancora oggi invidiamo loro, era il
tentativo di attualizzare i miti di una
religione che non rispondeva più ai
bisogni profondi dell’uomo;
logorata dai dubbi e dall’incredulità,
perchè di fatto nessuno credeva più
agli dei, lasciava l’uomo solo di
fronte ad interrogativi senza
risposta.
Un uomo che invece aveva necessità di
comprendere il suo ruolo ed il suo
rapporto con il mondo dove, ormai,
agivano forze per lui ingovernabili
ed incomprensibili.
Un esempio: Edipo Re
Laio, padre di Edipo e re di Tebe, secondo il parere dell’oracolo di
Delfi, non avrebbe dovuto generare figli; la moglie, Giocasta, lo
fa ubriacare, si congiunge con lui e genera Edipo.
L’oracolo però insiste, Edipo avrebbe ucciso il padre e sposato la
madre e la madre lo abbandona nei boschi, preda dei lupi.
Lo trova un pastore che lo salva e lo dà alla regina di Corinto che
non poteva avere figli.
Divenuto uomo, Edipo viene a sapere di non essere figlio legittimo.
Consulta ancora l’oracolo che risponde: Conosci te stesso.
Ucciderai tuo padre e sposerai tua madre. Edipo fugge lontano
da Corinto e per strada si imbatte in un uomo, Laio suo padre, e
lo uccide per motivi di precedenza.
Arriva a Tebe, piegata e afflitta dalla piaga della Sfinge, risolve,
perché è intelligente, l’enigma che questa proponeva; ottiene in
sposa la regina, Giocasta sua madre, con cui genera quattro
figli.
Quando gli verrà chiesto, sempre dall’oracolo, di trovare
l’assassino di Laio, lui, intelligente, lo fa e scopre se stesso. Si
acceca e parte per purificarsi.
L’oracolo di Delfi, con la sua sacerdotessa che
profetizzava in stato di trance e forse grazie
all’uso di sostanze, richiama più volte Laio,
Giocasta e lo stesso Edipo ad intraprendere
un cammino di conoscenza interiore
profonda, di purificazione anche della
propria sessualità da errori e
condizionamenti generazionali,
avverte ripetutamente che il pericolo verso il
quale correvano era distruttivo, ma loro, il
padre, la madre ed il figlio, non capiscono
perché pretendono di vivere con la sola
ragione.
Edipo è famoso per la sua intelligenza, ma
sbaglia tutto, perché non coglie i
condizionamenti del suo inconscio e
commette errori terribili.
Come Edipo così i greci, resi ciechi da una
mente senza Dio, non capiscono più il
significato profondo di questo mito e i poeti
tragici ne fanno l’emblema dell’agire di
divinità che, senza motivo, colpiscono un
uomo innocente e senza colpa, rendendo
ancora più forte il dubbio sugli dei.
Le conseguenze nella sessualità


Le ripercussioni di un’anima così sofferente e così
lontana da Dio sono tutte sulla sessualità.
Per i Greci il matrimonio era un dovere da assolvere per
la riproduzione della specie ed un figlio per questo
bastava.
 Le donne vivevano in una zona della casa, il gineceo,
lontano dal marito, che invece viveva la sua vera vita
fuori dalle mura domestiche, nella palestre dove si
esercitavano nella arti ginniche i giovani adolescenti,
oggetto del vero amore.

In Grecia il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta
era un momento piuttosto difficile , perché i ragazzi
fino alla pubertà erano oggetto di attenzioni da parte
degli adulti, poi cambiavano ruolo e cercavano a loro
volta di conquistare i ragazzi più giovani.
Le palestre dei ginnasi erano i luoghi preferiti degli
adulti che lì potevano osservare i giovanetti esercitarsi
nella ginnastica nudi e corteggiarli. Pur essendoci delle
leggi che vietavano l’ingresso degli adulti nei ginnasi,
sembra che nessuno le osservasse.

Platone stesso quando parla di Eros, parla
prevalentemente di amore omosessuale e riguardo
all’età dei fanciulli da amare, tra i 12 ed i 17 anni, fa
una distinzione piuttosto rigorosa, che per lui diviene
condizione essenziale per distinguere l‘amore “celeste”,
per i ragazzi, da quello “volgare” per uomini e donne
indifferentemente.

Le conseguenze nell’arte
L’arte greca più ammirata è l’arte del IV secolo a.c., un’arte tutta tesa
all’esaltazione del corpo efebico, oggetto degli amori omosessuali dei
greci, i veri amori.
L’arte greca ritenuta, nell’opinione comune, l’arte per eccellenza è arrivata
fino a noi attraverso molte mediazioni, molte idealizzazioni ed
interpretazioni. Innanzi tutto ci è arrivata attraverso le copie in marmo
fatte dai romani, mentre gli originali per la maggior parte erano di
bronzo; poi queste copie in marmo bianco, attraverso il neoclassicismo,
sul finire del ‘700, vennero idealizzate come espressione purissima (
data dall’equazione: bianco = purezza ) di armonia, di distacco dalla
realtà e dalle passioni, mirabile equilibrio tra tensioni opposte.
Nulla di più lontano dalla realtà greca. La statuaria era per lo più bronzea, e
quando era in marmo era essenzialmente dipinta a colori forti,
ornamento per i tempi e le piazze.
Perché allora parliamo di mirabile bellezza dell’arte greca? Nella loro
statuaria i Greci contemplavano, in un atteggiamento narcisistico, quella
stessa bellezza maschile oggetto dei loro amori omosessuali e, in
qualche modo, se stessi.
La fine della civiltà greca si consumerà in un
paradosso: mentre Isocrate, maestro di retorica,
disquisirà nelle sue opere sulla bontà della
monarchia e Demostene, pur avvertendo il pericolo
di una possibile invasione macedone, cercherà con
dei discorsi, Le Filippiche, di spingere i Greci
all’unità ed alla difesa della propria civiltà, Filippo il
macedone arriverà ed in una sola battaglia
distruggerà per sempre questo mondo.
Ma questa devastazione della mente
giungerà attraverso i secoli fino a noi perché
è un condizionamento in cui il diavolo si
troverà molto bene perché possiede la
caratteristica di “fissare” come fa lui.


Sconfiggere questo male del prevalere della
mente significa sconfiggere il diavolo e solo
una Donna immacolata in relazione con Dio
potrà generare Colui che lo sconfiggerà.
Continuiamo a ragionare anche su
Cristo

Mentre le civiltà antiche pur avendo un inconscio più vicino
a Dio, non avevano Cristo e si sono estinte, noi pur avendo
Cristo, non prendiamo la nostra croce con la Sua Croce,
continuiamo a ragionare anche su Cristo e siamo destinati
ad estinguerci se non torniamo alla Verità, alla Via ed alla
Vita.
Per farlo è proprio necessaria una cultura nuova che
rimetta la ragione al suo posto, dopo le forze inconsce, e
che, partendo dalla forza di Dio e dalla forza dell’anima,
abbia luce sui condizionamenti di queste forze e ci guidi ad
incontrare la forza di Dio in Cristo per liberarci da tutte le
fissazioni e riduzioni del diavolo per tornare all’albero della
vita e non morire più

E’ Natale !
Questo Bambino che
nasce è la Forza di Dio
che l’uomo da sempre
ricerca, ma lo
possiamo incontrare
solo con l’inconscio
della nostra anima
purificata dal male
della nostra mente
Fly UP