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Diapositiva 1 - Italia Solidale
LA FORZA DI DIO NELLA CULTURA GRECA Mentre nel Vicino Oriente il popolo di Abramo procede nel suo cammino di purificazione e concorre alla realizzazione del più grande progetto di salvezza per gli uomini: la nascita di Cristo, cosa accade di rilevante all’uomo in Occidente da dover essere ricordato? Nascono e muoiono due civiltà, quella greca e quella romana, che per secoli e fino ad oggi sono state considerate la “culla” della nostra cultura e sono state studiate, meditate, copiate, diffuse, in quanto ritenute fonte della conoscenza in tutti i campi, nella letteratura, nell’arte, nella poesia, nelle scienze. Nell’accostarci al mondo greco, dovremmo liberarci da molti condizionamenti che ci impediscono di vedere la Grecia per ciò che è stata veramente, un popolo debole, lontano da Dio, separato dalla propria anima, che proprio nel sesso, come Adamo ed Eva tentati dal serpente, si è staccato dalla Grazia e dalla fecondità; ma soprattutto un popolo che ha partorito e diffuso il più grande e diabolico male della nostra “civiltà occidentale”: una mente separata dall’anima e da Dio. Mentre nel Vicino Oriente l’impossibilità di arrivare a Dio e la sofferenza che questo produce spinge Abramo a partire alla ricerca di un incontro personale con il Signore, in Occidente l’insoddisfazione per la riduzione del politeismo produce una critica degli dei che porta l’uomo a distaccarsi sempre di più da Dio, cadendo in un errore molto grande: pensare di poter trovare soluzioni più idonee per la propria vita attraverso la ragione. La tensione verso il trascendente che aveva animato le popolazioni antiche sembra sempre più morire, percorrendo una via di ricerca che invece di avvicinare alla conoscenza di Dio, conduce sempre più lontano, fino alla sua stessa negazione. Il mito e l’inconscio Il popolo greco come le popolazioni primitive possiede dei miti, ma li spoglia del loro significato più profondo e li riduce ad un esercizio formale che comunque contraddistingue la sua arte, la poesia e tutta la sua letteratura. Il mito in ogni popolazione che lo produce è, in realtà, religione. Racconta degli dei e del mondo e parla all’inconscio, racconta per immagini, traduce la realtà, la grandezza del mondo, le origini dell’universo e dell’uomo in avvenimenti apparentemente illogici, ma che utilizzano invece i meccanismi dei sogni. Il mito parla all’inconscio e racconta agli uomini di Dio, sia pure nell’errore e nella riduzione di religioni primitive o politeiste, ma che ancora possiedono un’anima alla ricerca di Dio. Nei racconti mitici non esistono coordinate spazio-temporali e i personaggi che vi agiscono sono diversi da quelli “storici”. Essi sono fuori dal tempo e dalla storia Gli avvenimenti narrati fondano, e non spiegano, la realtà, attraverso un incidente mitico, che ha la caratteristica di non avere una ragione del suo accadere: accade a basta, ma da quel momento qualcosa che non esisteva, c’è. Un mito del Sudan Dopo aver fatto il mondo Dio invitò il sole, la luna, le stelle e l’uomo a mangiare della pianta della vita perchè vivessero eternamente. Tutti vennero e si sedettero ad aspettare l’uomo. Dio mandò qualcuno a cercare l’uomo, ma l’uomo si era da poco messo in cammino. Dio allora diede l’immortalità al sole, alla luna ed alle stelle e quando l’uomo giunge per lui non c’era più nulla e da allora deve morire. L’uomo è l’unica creatura che non rispetta la relazione con il Creatore della vita e per questo da allora muore e questa realtà viene comunicata con immediatezza e senza ragionamenti attraverso un’immagine. Un mito del Kenya Wele (“colui che sta in alto”), la divinità suprema del cielo degli Abaluyia del Kenya, (un gruppo settentrionale del popolo Bantu) creò dapprima il cielo e lo sostenne con dei pilastri. Quindi fece due fratelli, il Sole e la Luna, che dovevano aiutarlo nella creazione del resto dell'universo. Ma quasi subito quei due corpi celesti si misero a lottare tra loro. Prima la Luna espulse il Sole dal cielo, in risposta il Sole lanciò la Luna nel fango così da ridurne la luminosità. Per mettere fine all'aspra battaglia, Wele decise che i due fratelli non sarebbero mai più apparsi insieme nel cielo: da allora il Sole splende di giorno e la Luna di notte. L’alternarsi del giorno e della notte è simbolo della separazione tra la “luce” e le “tenebre”, è un elemento fondamentale della creazione ed è semplicemente un atto divino, che non può essere spiegato e che viene attribuito ad un “incidente”, ad una lotta che non è importante per se stessa, ma perché conferisce valore tarscendente alla realtà . La creazione dell’uomo per i Sumeri Gli dei trovano difficoltà a procurarsi il cibo, quindi decidono di lamentarsi presso Enki, dio dell'acqua ma anche dio della saggezza. Enki, dice loro di creare dei "servi" che possano svolgere i lavori che gli dei non sono in grado di fare. Enki riflette, e consiglia quindi alla madre di creare delle forme con l'argilla dell'Abisso (l'Abzu), e di imprimere su di esse l'immagine degli dei: queste forme saranno chiamate "uomini". Per festeggiare questa decisione, gli dei organizzano un banchetto, durante il quale Enki e Ninmah, dea del parto, si ubriacano e perdono lucidità. Ninmah prende quindi un po' di argilla dell'Abisso, e con essa forgia sei individui anormali. Enki finisce l'opera decretando il loro destino, e dando loro da mangiare del pane. Gli ultimi due sono una femmina incapace di procreare ed un essere asessuato. Il destino della prima è quello di dimorare nel gineceo, quello del secondo di "camminare davanti al re". Enki forgia anche una creatura che è in qualche modo inanimato, debole di corpo e di spirito. Gli si offre del pane, ma lui non tende la mano per riceverlo, gli si parla ma lui non risponde; non riesce a stare in piedi, né seduto, né riesce a piegare le ginocchia. Enki chiede quindi agli dei di dare in qualche modo un aiuto a questa creatura, ma nessuno è in grado di fare qualcosa. Questo racconto parla della realtà dell’uomo sumerico costretto a dedicare tutta la sua vita a lavorare per le terre che erano di proprietà degli dei, parla delle debolezze di quella cultura che prevedeva ginecei ed eunuchi e che vedeva gli uomini comuni poveri mangiatori di pane senza diritti, ma non ne parla in chiave di rivendicazioni sociali, non intende dare ragioni o spiegazioni storiche, sociologiche o di costume, semplicemente dà valore a questa realtà facendone una realtà voluta dagli dei, che ubriachi hanno forgiato degli uomini che avrebbero voluto simili a sé ma che non gli sono venuti bene. Il messaggio che arriva, sia pure nelle contraddizioni e nelle difficoltà di queste culture, arriva all’inconscio della collettività ed è senza appello, perché è divino. La creazione del cielo per gli Egiziani Gheb e Nut, al momento della creazione, stavano coricati l’uno sull’altra. Per ordine di Ra, li separò Sciu; e Nut, puntando mani e piedi, si sollevò alta nel cielo formando la volta celeste che, è il ventre della dea. Il cielo e la terra sono dei che si distendono distanziandosi e differenziandosi, richiamando immediatamente e senza alcun dubbio la forza divina presente nel creato. Nel mito è la divinità che agisce e che comunque conferisce senso alle cose ed al mondo e la sua forza è garanzia di stabilità anche se gli avvenimenti appaiono agli uomini imperfetti e senza apparente significato. Non è la ragione o la ragionevolezza che dà significato al mondo, quanto piuttosto che Dio lo abbia così concepito e l’uomo trova il senso del creato e della sua stessa esistenza in una relazione con il divino che conferma e garantisce tale ordine. Se si allontana da questo tutto perde senso anche la vita stessa dell’uomo. Le feste, durante le quali si raccontavano i miti, avevano lo scopo di riattualizzare quel tempo senza tempo per fondare ancora una volta i valori della società in stretta connessione con il sacro. Anche Gesù del resto parlava per immagini, con le parabole non spiegava con la mente, spingeva invece a cogliere una esperienza più grande e divina dell’uomo e della vita. Dal mito al Logos Il popolo greco è un popolo politeista, come tutte le grandi civiltà del passato, ma molto presto, già dal VII-VI sec. a.c., comincia una accesa discussione sul mito, che abbiamo visto è la tradizione religiosa propria dei popoli antichi, anche di quelli non politeisti. Bisognava credere o no a questi racconti? Avevano valore storico? Gli dei potevano essere accettati per come apparivano in tali racconti, antropomorfi, bizzarri, incestuosi e violentatori? Dall’inconscio alla ragione Diventava indispensabile capire, non più credere e la verità, il sapere prima custodita dai sacerdoti o dal re, poteva anzi doveva divenire oggetto di indagine, per essere discussa e confrontata, accettata o rifiutata. La verità capovolta: dalla fede alla ragione Si giunge a separare il mito dalla consapevolezza del divino che in esso risiedeva, per poter affermare che, in quanto privo di senso, la verità può essere raggiunta solo attraverso la ragione. Il mito così privato ed impoverito del suo profondo significato religioso diviene invenzione senza fondamento anche se simile al vero. Nasce la filosofia Il Logos all’inizio nel linguaggio matematico indicava un rapporto tra due misure, dunque una relazione tra grandezze e nello stesso tempo descriveva un ordine presente nella realtà. Ora diviene parola, discorso e al tempo stesso ragione che rende conto delle cose e dell’ordine dell’universo, che viene comunque osservato, ma dal quale scompare il divino. L’uomo pretendendo di spiegare con la mente, si appropria di ciò che non gli appartiene, confinando Dio tra le ipotesi possibili, ma non dimostrabili. La riduzione delle parole La parola ed il discorso spiegano e contemporaneamente riducono, nominare è fissare in un unico significato, la complessità delle relazioni intercorrenti tra le cose, appropriandosene. Questa consapevolezza è propria di tutte le civiltà antiche ed anche di molti popoli “primitivi”. Nessuno di questi per esempio dà un nome proprio a Dio; per i Boscimani è Kkaang «colui che dimora nei cieli», presso i Bantu del Ruanda è Imana «colui che ha fatto i cieli e vi abita», è Ngai per i Masai «colui che abita nei cieli, dietro le nuvole». Presso i popoli primitivi australiani, l’essere supremo Nurelle, adorato dai Wimbajo, è «chi, salito al cielo, ogni mese distrugge la luna e ha fissato il sorgere e il tramontare del sole». L’Essere supremo presso altri popoli australiani è: colui che, abitando nel cielo, «ha come mogli le stelle» (Atnatu, presso i Kaitish) o, anche, «le stelle sono i fuochi del suo accampamento» (Tukura, presso i Loritja). Il nome di Ra Ra era il signore di tutti gli dèì e creatore del mondo, un antico dio, la cui sede preferita era il sole e che del sole aveva lo splendore quando l’astro radioso domina nel mezzo del cielo. Egli era il più potente di tutti per un particolare strano: nessuno degli dèi conosceva il suo nome segreto. In quel nome era raccolta la sua forza perchè esso rappresentava la parola magica che riassumeva in sè la verità di tutte le cose, chi lo avesse conosciuto sarebbe stato superiore a ogni altra divinità e nulla avrebbe potuto più contrastargli il dominio. Il nome di Jahvè Dio lo chiamò dal roveto e disse: "Mosè, Mosè!". Rispose: "Eccomi!". Riprese: "Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!". E disse: "Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe". Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio. Mosè disse a Dio: "Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?". Dio disse a Mosè: "Io sono colui che sono!". Poi disse: "Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi". Dio aggiunse a Mosè: "Dirai agli Israeliti: Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione. Dio non fissa nemmeno se stesso con un nome, ma si definisce nella relazione che hanno instaurato con Lui Abramo, Isacco e Giacobbe. Anche Gesù quando gli viene chiesto in più occasioni chi è, non risponde mai con un nome: “Gesù parlò loro di nuovo, dicendo: «Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» “(Gv 8,12). “Io sono il pane vivente, che è disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che io darò è la mia carne, [che darò] per la vita del mondo”.(Giov 6:51) “Io sono la porta; se uno entra per me, sarà salvato, entrerà e uscirà, e troverà pastura.(Gv, 10-9)” “Pilato gli domandò: «Sei tu il re dei Giudei?» Gesù gli rispose: «Tu lo dici».” (Mc, 15,2) Se fino a questo momento nelle civiltà precedenti alla greca avevamo colto la grande difficoltà di incontrare Dio, ma, desiderandolo intensamente, si erano impegnate molto in questa ricerca, ora con la supremazia della parola e del discorso l’uomo perde la tensione verso il divino, lo sostituisce con la ragione non riuscendo a coglierlo più nel creato. Una operazione scientifica La filosofia, nata in Grecia nel VI sec.a.c., compie, molto presto, un’operazione apparentemente scientifica: Separa la forza di Dio dal creato, dalla natura e dall’uomo. Con i filosofi ionici si cerca un principio, un’origine del mondo nella natura stessa, nell’acqua, nell’aria , nel fuoco. Di Dio non si parla più. Il dubbio sugli dei Si insinua poi il dubbio che gli dei fossero un’invenzione. Senofane nel VI sec. comincia a discutere se gli dei non fossero stati uomini particolarmente forti da essere poi ritenuti dei. I nuovi idoli Anassagora nel V sec. a.c. per spiegare come dalla totalità indistinta si sia formato il mondo, elabora il concetto di Intelletto cosmico , (gr. Noùs) principio ordinatore di tutti i processi cosmici e lo elabora partendo dall’osservazione dell’intelligenza umana, capace di generare il movimento del corpo per es. Il relativismo Verso la metà del V secolo sorge un nuovo male: i sofisti. Il sofista è colui che fa professione del proprio sapere. Ma quale sapere?Per i sofisti il sapiente è colui che fa apparire buone le cose che per altri sono cattive. E’ vero solo ciò che si percepisce e riguardo agli dei non si può accertare né che sono, né che non sono perché non se ne può fare esperienza. L’ uomo diventa misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono. La parola poi diviene il mezzo attraverso cui far valere dei valori che non sono più sentiti da tutti come tali, ma che sono solo più convincentemente dimostrabili, in relazione non certo al Bene, ma all’Utile, ovvero alla convenienza personale; del resto è l’uomo la misura di tutto. Il linguaggio serve a persuadere, a suscitare emozioni per trascinare l’uditorio verso la posizione che si desidera. I sofisti insegnavano a pagamento queste tecniche, oratoria e retorica, e formavano i giovani che poi avrebbero guidato la città con l’attività politica. Si afferma che la religione è un’invenzione di un individuo particolarmente abile e scaltro, che introduce il timore degli dei come strumento di potere, per dare maggiore forza alle leggi. Il meccanicismo Democrito, sempre nel V sec. a.c., cerca una causa unitaria delle molteplici manifestazioni del mondo fisico e umano. Gli atomi sono i costituenti di tutte le cose, ma non si incontrano per la forza di un agente esterno, bensì a causa del proprio movimento che li porta a scontrarsi: se sono simili si aggregano, se non lo sono si respingono. Per riflettere… Il meccanicismo è stata la base filosofica della scienza a partire dall’Illuminismo, doveva servire a tranquillizzare l’uomo dalla paura della morte e del giudizio dopo la morte stessa, ponendo sotto il controllo della dea Ragione tutti i processi fisici e metafisici. Se però oggi la scienza sta cominciando a liberarsi da questo male e riesce a guardare al creato in modo diverso, il relativismo pervade invece ancora ogni campo della nostra esistenza, la politica, l’educazione, la comunicazione, l’arte. Troppa ragione staccata da Dio e senza anima porta sempre più lontano da Dio, dalla Sapienza e dalla verità. Platone e il mondo delle Idee Platone sul finire del V secolo a.c., avversando le idee dei sofisti, si scaglia contro il loro relativismo ed il soggettivismo etico delle loro convinzioni. Sostiene che la verità è innata e non è un’opinione e che l’anima è immortale. La realtà però è una copia di Idee perfette che sono oltre il cielo, nell’Iperuranio. Le cose e l’uomo partecipano delle idee, le uniche che propriamente sono dotate di esistenza. La Sapienza viene dall’Intelletto Con la teoria della conoscenza poi (percezione, credenza, matematica, dialettica) le idee diventano conoscibili solo nei gradi più alti, quelli che utilizzano l’intelletto: la matematica e la dialettica. La dialettica, la tecnica di discussione, è l’unica in grado di portare l’intelletto alla verità. Le Idee dunque sono un prodotto della mente e vi si può arrivare con il ragionamento, la tecnica principe di ogni pensiero che voglia approdare ad una verità. Ma Dio dov’è? Il divino artefice Dio diventa il Demiurgo, il divino artefice che plasma il mondo con una azione intelligente sulla base delle Idee preesistenti; i risultati sono imperfetti perché la materia resiste a tale azione, ma egli è capace comunque di imprimere la struttura ordinata e regolare delle Idee al mondo. L’idealismo Il più grande pericolo della teoria platonica risiede proprio nella imperfezione attribuita alla realtà, al convincimento che le Idee, statiche ed immutabili, risiedano in un altro mondo e che si possano conoscere solo con la ragione. Nel corso dei secoli e delle successive reinterpretazioni del suo pensiero, si genererà la convinzione dell’impossibilità di vivere la felicità in questa vita e dell’irraggiungibilità della stessa perché, per quanto cercata, rimane perfetta solo se resta ideale, cioè comprensibile, ma non realizzabile qui ed ora. “Siate perfetti come è perfetto il Padre mio” La creazione è perfetta e noi stessi siamo chiamati in ogni momento alla perfezione. La mente dell’uomo staccata dalle altre forze, dall’anima e da Dio è imperfetta. Dio non è ideale, è reale ed entra qui ed ora nella storia per riportare l’uomo alla pienezza della vita guarendo tutti i mali compreso il male della mente. Aristotele Per Aristotele restano comunque in primo piano l’intelletto e la dialettica, l’uno capace di cogliere i principi propri di ogni scienza, l’altra perché necessaria alla discussione delle opinioni su ciascun problema. Egli distingue poi la scienze in teoretiche : fisica, matematica e metafisica; pratiche: etica e politica. La scienza ha come fine la dimostrazione della verità, ma il suo principale strumento è la dimostrazione, che pur procedendo con il metodo deduttivo, è vincolata dal sillogismo, un ragionamento concatenato strettamente correlato alle premesse. E se le premesse sono errate? La metafisica Se le premesse sono errate si arriva a dimostrare che esiste un Motore Immobile, sempre in atto, pensiero che continuamente pensa se stesso e tutte le nozioni universali. L’anima dell’uomo è intellettiva, con essa l’uomo arriva a conoscere le nozioni universali puramente intellegibili. La felicità per l’uomo consiste nell’uso delle ragione e le virtù riguardano l’esercizio delle ragione (etiche e dianoetiche). Dio invece è Amore, è movimento, è vita e relazione, la nostra anima è inconscio in collegamento con Dio, la felicità per l’uomo è vivere le proprie forze in Dio ed arrivare ad amare come Lui, solo da questo si genera la sapienza e la pienezza della vita. Per riportarci a questa bellezza Dio entra nella storia come Bambino, per far rinascere ogni uomo in questo Amore. E’ Natale qui ed ora, in ogni momento, per ogni uomo che in Cristo ritorna alla pienezza della relazione con Dio. Le conseguenze nella politica Il bisogno di relazione dell’uomo è soddisfatto dalla attività politica, svolta nella polis. Ma che tipo di attività è? La politica è la vera grande passione dei greci, dove poter sfoggiare l’arte del discorso, del ragionamento, del convincimento. Del proprio utile e del proprio vantaggio. Fin dal VII sec. troviamo una Grecia caratterizzata da polis indipendenti , governate non da un re ma da aristocratici che per arrivare al potere, la tirannide, lottano, si uccidono, si esiliano a vicenda. La democrazia, invenzione periclea, per cui la Grecia è rinomata, non lo era nel senso proprio, in quanto l’accesso di tutte le classi sociali alle assemblee fu proposto per evitare tensioni e conflitti politici e di fatto solo i più ricchi vi partecipavano. Quando Pericle inventò l’obolo, il gettone di presenza per spingere le classi più povere alla partecipazione alle assemblee, il risultato non fu affatto incoraggiante ed aprì invece la via alla retribuzione di un incarico che non era mai stato vissuto come un lavoro, ma come vita stessa per l’uomo: la partecipazione attiva alla vita politica. La politica di Atene in particolare diventa prestissimo una politica di sopraffazione nei riguardi delle altre poleis greche, private della libertà e costrette a pagare ad Atene grandi quantità di dazi e tasse per continuare a commerciare, fino alla ribellione di Sparta ed alla guerra del Peloponneso dalla quale non solo Atene uscirà distrutta, ma tutta la Grecia. Le conseguenze nel teatro Il teatro, la grande invenzione dei Greci che ancora oggi invidiamo loro, era il tentativo di attualizzare i miti di una religione che non rispondeva più ai bisogni profondi dell’uomo; logorata dai dubbi e dall’incredulità, perchè di fatto nessuno credeva più agli dei, lasciava l’uomo solo di fronte ad interrogativi senza risposta. Un uomo che invece aveva necessità di comprendere il suo ruolo ed il suo rapporto con il mondo dove, ormai, agivano forze per lui ingovernabili ed incomprensibili. Un esempio: Edipo Re Laio, padre di Edipo e re di Tebe, secondo il parere dell’oracolo di Delfi, non avrebbe dovuto generare figli; la moglie, Giocasta, lo fa ubriacare, si congiunge con lui e genera Edipo. L’oracolo però insiste, Edipo avrebbe ucciso il padre e sposato la madre e la madre lo abbandona nei boschi, preda dei lupi. Lo trova un pastore che lo salva e lo dà alla regina di Corinto che non poteva avere figli. Divenuto uomo, Edipo viene a sapere di non essere figlio legittimo. Consulta ancora l’oracolo che risponde: Conosci te stesso. Ucciderai tuo padre e sposerai tua madre. Edipo fugge lontano da Corinto e per strada si imbatte in un uomo, Laio suo padre, e lo uccide per motivi di precedenza. Arriva a Tebe, piegata e afflitta dalla piaga della Sfinge, risolve, perché è intelligente, l’enigma che questa proponeva; ottiene in sposa la regina, Giocasta sua madre, con cui genera quattro figli. Quando gli verrà chiesto, sempre dall’oracolo, di trovare l’assassino di Laio, lui, intelligente, lo fa e scopre se stesso. Si acceca e parte per purificarsi. L’oracolo di Delfi, con la sua sacerdotessa che profetizzava in stato di trance e forse grazie all’uso di sostanze, richiama più volte Laio, Giocasta e lo stesso Edipo ad intraprendere un cammino di conoscenza interiore profonda, di purificazione anche della propria sessualità da errori e condizionamenti generazionali, avverte ripetutamente che il pericolo verso il quale correvano era distruttivo, ma loro, il padre, la madre ed il figlio, non capiscono perché pretendono di vivere con la sola ragione. Edipo è famoso per la sua intelligenza, ma sbaglia tutto, perché non coglie i condizionamenti del suo inconscio e commette errori terribili. Come Edipo così i greci, resi ciechi da una mente senza Dio, non capiscono più il significato profondo di questo mito e i poeti tragici ne fanno l’emblema dell’agire di divinità che, senza motivo, colpiscono un uomo innocente e senza colpa, rendendo ancora più forte il dubbio sugli dei. Le conseguenze nella sessualità Le ripercussioni di un’anima così sofferente e così lontana da Dio sono tutte sulla sessualità. Per i Greci il matrimonio era un dovere da assolvere per la riproduzione della specie ed un figlio per questo bastava. Le donne vivevano in una zona della casa, il gineceo, lontano dal marito, che invece viveva la sua vera vita fuori dalle mura domestiche, nella palestre dove si esercitavano nella arti ginniche i giovani adolescenti, oggetto del vero amore. In Grecia il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta era un momento piuttosto difficile , perché i ragazzi fino alla pubertà erano oggetto di attenzioni da parte degli adulti, poi cambiavano ruolo e cercavano a loro volta di conquistare i ragazzi più giovani. Le palestre dei ginnasi erano i luoghi preferiti degli adulti che lì potevano osservare i giovanetti esercitarsi nella ginnastica nudi e corteggiarli. Pur essendoci delle leggi che vietavano l’ingresso degli adulti nei ginnasi, sembra che nessuno le osservasse. Platone stesso quando parla di Eros, parla prevalentemente di amore omosessuale e riguardo all’età dei fanciulli da amare, tra i 12 ed i 17 anni, fa una distinzione piuttosto rigorosa, che per lui diviene condizione essenziale per distinguere l‘amore “celeste”, per i ragazzi, da quello “volgare” per uomini e donne indifferentemente. Le conseguenze nell’arte L’arte greca più ammirata è l’arte del IV secolo a.c., un’arte tutta tesa all’esaltazione del corpo efebico, oggetto degli amori omosessuali dei greci, i veri amori. L’arte greca ritenuta, nell’opinione comune, l’arte per eccellenza è arrivata fino a noi attraverso molte mediazioni, molte idealizzazioni ed interpretazioni. Innanzi tutto ci è arrivata attraverso le copie in marmo fatte dai romani, mentre gli originali per la maggior parte erano di bronzo; poi queste copie in marmo bianco, attraverso il neoclassicismo, sul finire del ‘700, vennero idealizzate come espressione purissima ( data dall’equazione: bianco = purezza ) di armonia, di distacco dalla realtà e dalle passioni, mirabile equilibrio tra tensioni opposte. Nulla di più lontano dalla realtà greca. La statuaria era per lo più bronzea, e quando era in marmo era essenzialmente dipinta a colori forti, ornamento per i tempi e le piazze. Perché allora parliamo di mirabile bellezza dell’arte greca? Nella loro statuaria i Greci contemplavano, in un atteggiamento narcisistico, quella stessa bellezza maschile oggetto dei loro amori omosessuali e, in qualche modo, se stessi. La fine della civiltà greca si consumerà in un paradosso: mentre Isocrate, maestro di retorica, disquisirà nelle sue opere sulla bontà della monarchia e Demostene, pur avvertendo il pericolo di una possibile invasione macedone, cercherà con dei discorsi, Le Filippiche, di spingere i Greci all’unità ed alla difesa della propria civiltà, Filippo il macedone arriverà ed in una sola battaglia distruggerà per sempre questo mondo. Ma questa devastazione della mente giungerà attraverso i secoli fino a noi perché è un condizionamento in cui il diavolo si troverà molto bene perché possiede la caratteristica di “fissare” come fa lui. Sconfiggere questo male del prevalere della mente significa sconfiggere il diavolo e solo una Donna immacolata in relazione con Dio potrà generare Colui che lo sconfiggerà. Continuiamo a ragionare anche su Cristo Mentre le civiltà antiche pur avendo un inconscio più vicino a Dio, non avevano Cristo e si sono estinte, noi pur avendo Cristo, non prendiamo la nostra croce con la Sua Croce, continuiamo a ragionare anche su Cristo e siamo destinati ad estinguerci se non torniamo alla Verità, alla Via ed alla Vita. Per farlo è proprio necessaria una cultura nuova che rimetta la ragione al suo posto, dopo le forze inconsce, e che, partendo dalla forza di Dio e dalla forza dell’anima, abbia luce sui condizionamenti di queste forze e ci guidi ad incontrare la forza di Dio in Cristo per liberarci da tutte le fissazioni e riduzioni del diavolo per tornare all’albero della vita e non morire più E’ Natale ! Questo Bambino che nasce è la Forza di Dio che l’uomo da sempre ricerca, ma lo possiamo incontrare solo con l’inconscio della nostra anima purificata dal male della nostra mente