COMMENTO ALLE OPERE Chi getta semi al vento farà fiorire il
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COMMENTO ALLE OPERE Chi getta semi al vento farà fiorire il
COMMENTO ALLE OPERE Chi getta semi al vento farà fiorire il cielo Ci han spesso detto che gettar semi il vento è come sprecare occasioni a manciate, come se seminare fosse questione di polso e non di pugni, come se’l fine fosse precipitare comodi, qualche passò più in là dei propri timori. Viver eccezionale e d’assalto è invece gettarsi il precipizio della bufera, cullarsi gli strappi del vento e chissà ch’orizzonte avanti. Ecco oggi i miei semi gettati, ecco il vostro vento che li ha portati, eccoli d’incanto accanto persi distanti, ecco che domani s’avvera cielo fiorito dovunque inverno e primavera. “Chi getta semi al vento farà fiorire il cielo” precipita viva in una scultura di circa una ventina di metri d’estensione, composta da nove parole bianche in polistirolo, sagomate sul terreno con diverse angolazioni di taglio. L’idea è ritrovare il seme gettato ieri come fosse caduto oggi dal cielo, una scaglia poesia che si materializza nell’idea dei “semi gettati ed ora ben piantati in terra”, una rappresentazione onirica ma al tempo stesso concreta della lettera intesa come germinale dell’assalto poesia, precipitato fiorito tra la gente. Chi pesta i piedi fa tamburo del mondo Mi hanno insegnato in Africa che i tamburi parlano per voce di Dio, restano nell’eco dei deserti e delle valli anni, forse millenni. Avete mai provato a dar calci all’asfalto? Per quanto ci si spacchi le nocche insistendo, e so che tanti insistono, presto ne vedremo le crepe, poi gli spacchi, i tocchi e finalmente la terra liberata. Non ho timore di pestare i piedi in piazza a qualcuno se a dar fuoco alle danze son molti, se gl’altri son sordi e di certo si credono assolti. La strada è di chi la passa non di chi la spiana, perché è ora di farsi venir il fiatone, di strattonare il destino a calci, pur senza saperne la ragione. “Chi pesta i piedi fa tamburo del mondo” precipita viva grazie ad un’installazione poetico interattiva in cui ogni passo compiuto dallo spettatore genera poesia in parole e voci. Attraverso alcuni sensori celati sul pavimento, l’opera si costruisce e decostruisce nutrendosi del passare e del pestare i piedi dello spettatore. Al pubblico è data la possibilità di lasciare una propria orma al passaggio in mostra. Ognuno potrà condurre la propria poesia pestando i piedi e facendosi sentire. Lo spettatore partecipa così ad una vera e propria azione performativa, divenendo egli stesso poeta. Ancora una volta il ruolo il dialogo con il prossimo diventa discorso fondante della poetica di ivan, che basa su questo rapporto a due tra fruitore e artista tutta la sua opera. In questo lavoro si arriva addirittura ad un ribaltamento di ruoli, il poeta si fa da parte elevando al suo ruolo lo spettatore e cedendogli il campo. Chiudete gl'occhi, alzate lo sguardo (dolce è il sogno di chi sogna di giorno) Dico spesso che la poesia altro forse non è ch’emozione tradotta parola, scrivo, e ne sono certo, che chiunque è poeta e dovunque c’è da far poesia d’allerta. Solo c’è da incidere, faticare, grattare quel viver comune che ci strozza in un abbraccio comodo e ci seppellisce d’attenzioni velenose. Talvolta, nello sguardo dei sognatori ci son le occhiaie della veglia, le mura della realtà, la fame e la solidarietà. Ecco quindi, la nostra occasione di ritrovare quel sogno splendido perso mattina, quando sfugge e vorresti afferrarlo, quando sognar vuol dire star sveglio, correre avanti il riflesso della nostra vita, lasciandola sola a rigirarsi allo specchio. “Chiudete gli occhi ed alzate lo sguardo” precipita viva grazie a tre tronchi intagliati con versi e poesia. L’idea è creare un’esperienza poetica che riporti “l’emozione tradotta” al suo luogo d’origine, il sogno degli amanti accanto al loro albero, l’idea di una poesia che scolpisca un’emozione bruciante, su di un muro vivo, con la volontà che duri per sempre. Dall’immaginario romantico alle suggestioni del bosco shakespeariano di mezz’estate, verso gli alberi magici di Prévert e la selva dantesca. “Chiudete gli occhi” è l’invito a perdersi tra immaginazione e fantasia, a scrivere di voi amanti sul tronco che resta ai vostri piedi, ad alzare lo sguardo di fronte alle paure del reale quotidiano, a leggere per perdervi fin oltre la cima. Il futuro non è più quello di una volta Quando vedo le aule colme e le rivolte scappare quando sento che il presente è già passato e poco ci resta da piagnucolare so che domani il futuro non vorrà più aspettare ch’ognuno di noi decida che fare se continuare a dormire o mettersi a faticare. Il mio non è un augurio ma un gridare una scaglia che non son stato bravo a scrivere ma noi pessimi a far’avverare che questo spicchio memoria ci picchi lo stomaco fin farci ricordare quanto fa male. “Il futuro non è più quello di una volta” precipita viva portando con sè poesia che si fa immagine, ovvero una poetica che si muova dalla forza della parola, allo stupore di una suggestione visiva contrastante. Dodici tele che trattano personaggi, luoghi e fatti rilevanti del secolo appena passato, grazie ad una riflessione sull’immaginario infranto del “futuro che oggi manca”, dipinte in bianco e nero perchè sia chiaro l’oscuro che trattano, perchè in fondo altro non sono che pagine libere sporcate poesia. Diverso è solo un altro modo per dire noi Non credo poi sia tanto una questione di volti, di voci, di nasi, di quello, quell’altro, uno, nessuno o centomila. E’ la memoria oggi che si scorda, son le distanze che non vogliamo più avvicinare, son gli altri che non vogliamo ascoltare, anzi, sguardo basso, schiviamo per oltrepassare. Diversi son i miei nonni in una foto passata, la faccia pulita, buone intenzioni, eppure a Como terroni; diverso intender noi come somma di tanti, senza nessuno altrimenti a far la differenza. Diverso è sapersi la mattina negro, frocio e zingaro, pranzare da zoppo, orbo e malato, cenare bombarolo, strattonare gl’uniformi addormentarsi mendicante, poeta e comunista. Talvolta chi non s’incontra è solo perchè poggia schiena ed infuria odio sbraitando, contro chi gli guarda le spalle. “Diverso è solo un altro modo di dire noi” precipita viva in dieci ritratti poesia di altrettante persone che hanno in qualche modo influenzato la vita e l’arte di ivan. Una commistione di materia alta e bassa, di eroi e giocolieri, di poeti e briganti, d’amici e cantanti. L’immagine, il volto, il significante soggettivo del riconoscersi fa da sfondo all’opera per trovare forza e dialettica grazie alla poesia. I personaggi ritratti: Giorgio Ambrosoli (Milano, 17 ottobre 1933 – Milano, 11 luglio 1979) è stato “l’eroe borghese” della lotta al potere ed agli interessi finanziari della mafia in Italia negli anni ‘70. L'11 luglio 1979, il giorno prima di depositare la sua dichiarazione formale in tribunale circa le collusioni tra le attività finanziarie fraudolente di Michele Sindona e ambienti massoni, la P2, il Vaticano e la Mafia, venne assassinato da un sicario sulla porta di casa. Fabrizio De André (Genova, 18 febbraio 1940 – Milano, 11 gennaio 1999) cantautore e poeta italiano, o meglio, poeta e cantautore popolare. Credo sia inutile dire altro, per quel che è già inutile aggiungere. Dario Fo (Sangiano, 24 marzo 1926) poeta, regista, drammaturgo, attore, giullare e scenografo italiano. Vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1997, fustigatore dei vizi dei potenti e cantore per la dignità dei più miseri e disperati. Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Roma, 2 novembre 1975) scrittore, poeta e regista italiano. Ucciso sul lungo mare di Ostia da militanti fascisti e apparati deviati dello Stato. Forse il più importante intellettuale italiano del XX secolo, di certo il più discusso e dirompente. Jacopo Perfetti (Milano, 16 Luglio 1981) compagno di lavoro e amico. Creatore dell’Illegal Art Show, co-fondatore di Art Kitchen, promotore e protagonista del movimento street art italiano. Il faro della ragione a guardia della mia follia. Jacques Prévert (Neuilly-sur-Seine, 4 febbraio 1900 – Omonville-la-Petite, 11 aprile 1977) poeta francese, attore e regista. Un innovatore della poesia del secolo appena passato, per lo stile, i contenuti espressi, per la sua volontà di alienarla dai suoi contesti classici di riferimento per portarla, ad esempio, sul palcoscenico d’un teatro. Subcomandante Marcos rivoluzionario messicano, portavoce dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Dopo il mio viaggio tra le comunità autonome e ribelli del Chiapas, scrivere di lui è un po’ come scrivere di tutto il popolo indigeno messicano in lotta, per la dignità e i diritti che gli sono negati. Michele Sindona (Patti, 11 maggio 1920 – Voghera, 22 marzo 1986) è stato banchiere e criminale italiano, coinvolto nell'affare Calvi insieme allo IOR dell'arcivescovo Paul Marcinkus, colluso con ambienti mafiosi e apparati deviati dello Stato Italiano. Essere infame e spregevole, lui e chi in quegl’anni gli permise di accrescere enormemente i suoi capitali ed il suo potere. Morì assassinato nel carcere di Voghera con un caffè al cianuro portatogli in cella. Marcel van Basten (Utrecht, 31 ottobre 1964) ex calciatore e allenatore di calcio olandese. Tre volte pallone d’oro e icona del “Grande Milan” dei primi anni ’90; per me, milanista accanito, una scelta obbligata per gettare una ventata d’umanità popolare e bassa. Claudio Varalli e Giannino Zibecchi, studente ed insegnante, uccisi rispettivamente il 16 e il 17 Aprile 1975 da un agguato fascista il primo, dai carabinieri il secondo. Vittime simbolo dell’antifascismo e della militanza di sinistra degl’anni ’70, esempio d’impegno e umanità unico nel genere. La foto scelta che li ritrae abbracciati nella vita ha l’incredibile potenza, onirica e poetica, di averli visti, solo qualche tempo dopo, abbracciati anche nella morte. Il poeta sei tu che leggi Ci hanno insegnato che ognuno di noi, solo, non vale nulla. Una cascata di parole per dire grazie, per dirti grazie, che senza te, proprio tu, io son qui a far niente. Ogni volta che ti troverai a scriver e a parlar poesia, ricorda di cacciarli via quei dotti impastati di sè, pozze asciutte di pance gonfie, che il poeta, e non c’è cosa più vera, per me sei te. “Il poeta sei tu che leggi” precipita viva nel racconto di quell’agire poesia che vede te, quindi noi, al centro dell’esperienza poetica e della diffusione della poesia stessa; spesso scrivo che “s’io ho gettato i semi, tu ne hai fatto vento, e solo grazie a te, insieme, domani primavera”. Un centinaio di parole fondanti del tradurre in poesia l’emozione, perchè mentre t’abbracciano dovunque, tu possa leggere sui muri ciò che è stato lasciato lungo il cammino: pensieri, urla e voci, d’ogni poeta che legge. Tanto il poeta quanto il lettore, sono protagonisti di un’azione artistico-poetica partecipata. All’interno di questo verso è chiara l’importanza dell’altro all’interno del processo creativo dell’artista, L’ordine è un disordine con scarsa fantasia Amo i mucchi ed i capricci i rovesci e gli sbeffeggi le lampare, i pescherecci i casacci ed i merletti. pensare poi che a casa do la polvere una volta il giorno pensare che non ho un vestito pulito senza vernice intorno. Un mucchio di disordine perchè se ne trovi capo e coda, come cento teste d’una bestia mostruosa, che doma la sicurezza e la disciplina, per ricordare i maestri arroganti che nulla resterà come prima. “L’ordine è un disordine con scarsa fantasia” precipita viva grazie ad un mucchio di lettere in legno che, nel loro intrecciarsi, compongono un ipotetico totem della parola, sbriciolata nella sua forma prima, la lettera, pronta a nuove ed innumerevoli interpretazioni. Ogni parola è stata gettata e sciolta con disordine nel mucchio, ovvero con ordine caotico, o in disordine apparente o insomma come più vi piace credere. Una marmaglia che poggia su d’una fitta luce filtrante per ricordare quanto la scintilla dell’immaginare sia sempre all’erta, quanto forse tocchi a noi saltare, senza ordine e senza disciplina, oltre le fiamme più alte. Dal disordine apparente del mucchio nascono però delle parole precise, Ordine e Disordine, che si sfidano in un’eterna lotta, che nell’installazione si risolve in un’apparente complementarietà di compromesso. Ognuno merita il regime che sopporta Chissà che passa per S. Maddalena, per quella strada di fango, per le case d’assi fitte, fredde come solo la notte tra le nuvole sa essere gelata. Chissà Polhò, le lamiere dei tetti, gli abbracci dei vecchi, i piedi gelati di Margherita, la sua tosse ancora bambina. Chissà che dicon gli eserciti del male, chissà quanti giovani pronti a farsi ammazzare, chissà i ribelli che han smesso di farsi comandare per cominciare a respirare. Come non si scorda lo strascico dell’ingiustizie, il Chiapas resta, detta e muove la mano in poesia, trema la voce e semina un chicco di caffè pesante un quintale di ricordi. La libertà si guadagna e non si compra, ognuno merita il regime che sopporta. “Ognuno merita il regime che sopporta” precipita viva da Milano al Chiapas in un ideale viaggio di sola andata verso il Messico, sospeso tra parola ed immagine, tra poesia e racconto. Un’installazione video che lega le nostre case alle baracche della comunità di S.Maddalena de la Paz, che porta la poesia a farsi testimone delle vicende della lotta zapatista in Chiapas, che ricorda agli stanchi o ai ancora incerti i diritti negati delle popolazioni indigene di tutto il mondo. Realizzato in collaborazione con Simone Varano, registra, video-artista ed agitatore culturale che da sempre accompagna l’artista, Immensa Mexico nasce cinque anni fa con il suo indispensabile contributo, così come questa nuova versione ragionata a qualche anno di distanza. Un’opera che apre una porta immaginaria tra l’oggi e il domani, tra lampi ricordo e la poesia ormai passata del poema “Immensa Mexico”. Si scrive potere si pronuncia sfruttamento Haiti è il centro del pozzo del mondo, han tagliato la fune per risalire, han bucato il secchio e marciato sparando sulle acque marce. Haiti sanguina bambini da tutte le parti, è l’inferno in terra spicciolato di santi, è l’assurdo di un mondo spietato tra gl’ultimi e complice degl’assassini. Sporgiti il pozzo e getta una moneta di speranza, sott’acqua tra’l più scuro, tra le scuri, la vita brucia ancora nonostante affoghi, perché il fuoco resiste la pioggia se le scintille son testarde. “Si scrive potere si pronuncia sfruttamento“ precipita viva dal pozzo più fondo e scuro d’Haiti verso lo sguardo di chi s’è sporto un poco sull’orlo del pozzo. L’idea è trovare speranza pur laddove più manca, sguardi e sorrisi di bambini comunque felici, abbracciati per sempre nel ricordo e nella poesia. Come una voce dal fondo del mondo, racconta il viaggio nell’inferno vivo di Port au Prince ad Haiti, nel Settembre 2007. Una pagina bianca è una poesia nascosta Spesso si legge tra le righe, si scrive a caratteri cubitali, ci si mangia i romanzi, si divorano le storie. Cerca la tua poesia lampante, scrivi e non perder istante, tra le pieghe dei silenzi il rumore si fa assordante. Una pagina bianca è una poesia ch’aspetta prendi il gesso e scrivi che poi si fredda. “Una pagina bianca è una poesia nascosta” precipita viva grazie ad una grande tela bianca, a diecimila gessetti bianchi, a tre grandi pareti nere pronte ad esser spazio libero autogestito. La pagina come invito allo scoprire e al cercare, i gessi perchè tu possa sporcare, i muri liberi per tutti, senza nessuno a comandare.