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Psicologia del lavoro e delle organizzazioni
Psicologia del lavoro e delle organizzazioni Dott.ssa Rossella Paolicchi 1 Definizione La psicologia del lavoro o psicologia delle organizzazioni è lo studio dei comportamenti delle persone nel contesto lavorativo e nello svolgimento della loro attività professionale in rapporto alle relazioni interpersonali, ai compiti da svolgere, alle regole e al funzionamento dell'organizzazione. In altre parole, la psicologia delle organizzazioni prende i modelli e le teorie della psicologia e li applica all'ambiente di lavoro, cercando di: • favorire sia il massimo benessere per le persone che lavorano, sia il massimo vantaggio per l'organizzazione per cui lavorano; • migliorare le condizioni psicologiche, la motivazione ed i rapporti con gli interlocutori di ruolo, con l'azienda e con l'ambiente di lavoro in genere. 2 La psicologia delle organizzazioni, quindi, utilizza molti degli aspetti propri della psicologia generale, nell'ambito organizzativo-gestionale. I campi d'applicazione della psicologia delle organizzazioni sono soprattutto: la gestione del personale, la leadership, la selezione, la valutazione, la formazione professionale, la comunicazione e i rapporti, le dinamiche di gruppo, la motivazione al lavoro, il sistema premi-punizioni, lo sviluppo della carriera. 3 Le origini La psicologia delle organizzazioni nasce come psicologia industriale. La denominazione psicologia industriale apparve per la prima volta nel 1904, in un articolo di Bryan, come un errore tipografico al posto di psicologia individuale; negli Stati Uniti questo termine venne usato fino agli anni '70. Negli anni ’50 per indicare la psicologia del lavoro, nella letteratura anglosassone, entrò in uso l’espressione Occupational Psychology, che negli Stati Uniti era invece riferita solo allo studio dell’orientamento professionale. Fu in Italia, in un convegno del 1951, che Alberto Marzi propose di utilizzare l'espressione Psicologia del lavoro invece di psicologia industriale. 4 Elton George Mayo nel 1920 dette con i suoi studi, alla psicologia industriale un ruolo fondamentale nell'ambito delle scienze sociali ed organizzative. Mayo, fondatore della scuola delle Human Relations, attraverso gli esperimenti condotti presso lo stabilimento di Hawthorne della Western Electric, fu il primo a descrivere scientificamente il collegamento tra elementi sociali, come le relazioni nel gruppo e il gioco di squadra, con elementi tangibili come la produttività e i risultati. Individuò quello che viene definito effetto Hawthorne, fenomeno per cui i lavoratori ai quali viene affidata una nuova esperienza interessante, lavorano di più e meglio. Da altre sue ricerche Mayo concluse che: 5 • L’uomo è fondamentalmente motivato da bisogni di natura sociale, e si costruisce nel rapporto con gli altri il suo senso di identità • In conseguenza della rivoluzione industriale e dell’organizzazione scientifica del lavoro, il lavoro stesso è privo di significato intrinseco, che va ricercato nelle relazioni sociali che si formano sul lavoro • Il lavoratore è più influenzato dalla forza sociale del gruppo, che da incentivi e controlli della Direzione • Il lavoratore risponde alla Direzione nella misura in cui essa ne rispetta i bisogni sociali. 6 Queste nuove concezioni vanno ad opporsi all’ immagine di Homo oeconomicus, la quale sosteneva che l’uomo è motivato in primo luogo da interessi economici e che ogni sentimento o altro interesse devono essere eliminati in modo che non interferiscano con il calcolo razionale dell’interesse economico. Al concetto di uomo economico si contrappose quello di uomo psicologico. In questa nuova visione viene riconosciuta l’importanza dei sentimenti e delle emozioni, che vanno ad influenzare la sua prestazione lavorativa. 7 La psicologia del lavoro, una volta evidenziati questi nuovi paradigmi, cercò di dare il suo contributo per migliorare le condizioni dei lavoratori. Innanzitutto esplorò il campo della "human engineering", allo scopo di individuare le condizioni di lavoro più adatte alle proprietà sensoriali, fisiche e sociali del lavoratore (buona visibilità dell'ambiente, livello acustico sopportabile, leggibilità delle apparecchiature, postura durante il lavoro, meccanizzazione per risparmiare energia fisica, durata del lavoro e intervalli). 8 Una svolta metodologica importante della psicologia del lavoro, si ha con gli studi e le sperimentazioni effettuati dalla scuola socio-analitica che a Londra, negli anni ‘50, al Tavistock Institute of Human Relations, mise a punto un metodo di ricerca per applicare al comportamento sociale, i fondamenti della psicoanalisi freudiana. Con questo modello metodologico fu realizzato un intervento per la Glacier Metal Company (1948), sotto la guida di Elliot Jaques, per la sperimentazione di nuovi metodi di gestione nell'ambito dell'organizzazione aziendale. Nello stesso periodo, l'Istituto Londinese attuò una ricerca sui metodi produttivi nelle miniere di carbone. Questi studi e sperimentazioni portarono alla definizione del modello organizzativo dell'azienda come sistema aperto, una rappresentazione dell'organizzazione ricca di sviluppi e di applicazioni sia teoriche sia pratiche. 9 • In Italia, la psicologia del lavoro nacque tra la fine del XIX secolo e i primi anni del XX, in concomitanza con la rivoluzione industriale; infatti già ai primi del Novecento a Modena venne fondato un laboratorio di psicologia del lavoro. Il mondo italiano dei ricercatori era molto fertile in quegli anni, basti pensare all'invenzione della definizione di "Psicotecnica" effettuata da Guido Dalla Valle, oltre alla figura di Agostino Gemelli, considerato il padre della psicologia del lavoro in Italia, che dal 1908 in poi si attivò con una lunga serie di iniziative in questo ambito: studi, ricerche, riviste scientifiche e insegnamento. Nel 1921 trasferì da Torino a Milano la sede del Laboratorio di psicologia sperimentale, eppure nonostante tutti questi sforzi profusi, ancora nel 1923, quando fu organizzato a Milano, sempre da Gemelli il terzo Congresso internazionale di psicologia applicata all'esercizio professionale, l'attenzione generale, in Italia, fu pressoché nulla.[1] 10 • Fu sempre Gemelli a polemizzare con il filosofo e ministro del governo fascista Giovanni Gentile, a causa del tentativo di asservire e inaridire la psicologia al potere economico e politico, e nel caso tedesco, dopo il 1933, addirittura di annientarla.[2] • In Italia negli anni venti e trenta, mancò la determinazione ed il coraggio di mutare la psicotecnica in psicosociologia, a causa di fattori politici, della scarsa penetrazione della psicanalisi, della mancanza di strumenti essenziali come la ricerca e la scuola; questo fatto indusse gli psicologi ad allontanarsi dal mondo del lavoro, per rientrarvi solo nel secondo dopoguerra, quando incapparono, a causa di un ritardo formativo, giuridico, culturale, in una serie di equivoci e conflitti sia con le organizzazioni sindacali e gli imprenditori, sia con altri gruppi di ricercatori appartenenti ad altre discipline affini, come la medicina del lavoro, la sociologia[3]. 11 • In Italia, ancora nel 1961, il 90 per cento delle attività dei centri di psicologia del lavoro si occupava della selezione del personale, e solo in seguito i processi selettivi sono stati convertiti in orientativi.[4] Ma proprio in quegli anni il quadro dello sviluppo della psicologia del lavoro era sconfortante, perdurando l'assenza di Facoltà di psicologia, annoverando solo una scuola di specializzazione disponibile ai laureati in medicina o in filosofia. Quindi il numero degli operanti nell'industria a livello nazionale era stimato a poche decine, a fronte, di una richiesta, dal mondo del lavoro, stimabile intorno al migliaio. • Il 16 maggio 1961 nacque, a Milano, l'Associazione per la psicologia italiana del lavoro nella duplice veste di coordinatrice delle esperienze e delle professionalità degli psicologi e di sensibilizzatrice degli enti e degli ambienti interessati e coinvolti nello studio e nella ricerca. Nel 1962 venne elaborata la relazione Miotto che rappresentò il primo tentativo dell'era post-Gemelli di denunciare l'incomprensione esistente tra la psicologia ed il mondo del lavoro, oltre ad elencare minuziosamente le possibili applicazioni della psicologia. 12 Definizioni e differenze • La Psicologia del lavoro e la psicologia delle Organizzazioni sono due discipline unite nel loro complesso, ma distinte da alcune peculiarità. • La psicologia del lavoro si occupa dell'analisi psicologica delle interazioni tra individuo ed attività lavorativa. All'individuo viene richiesto lo svolgimento di un compito all'interno dell'organizzazione. Tale compito comprende al suo interno numerose variabili che vanno ad influenzare la messa in opera da parte dell'individuo stesso: il carico di lavoro, l'ambiente lavorativo, gli atteggiamenti verso l'attività lavorativa, le caratteristiche del soggetto e le sue aspettative, il clima lavorativo ecc. • La psicologia delle organizzazioni si occupa dell'analisi psicologica del comportamento di individui e gruppi in relazione al funzionamento delle organizzazioni. In questo campo l'individuo è visto come un soggetto membro di un gruppo definito organizzazione. Vengono analizzati i sistemi di interdipendenza tra individui ed organizzazione che portano al raggiungimento di uno scopo comune e le relazioni che possono portare miglioramenti all'interno del gruppo. 13 La ricerca in una fase iniziale, si pose l’obiettivo di trovare le modalità di apprendimento maggiormente funzionali (tempi e movimenti). Si iniziarono a studiare gli strumenti per la selezione professionale, a seguire un giusto criterio di "collocamento" e a studiare le dinamiche di gruppo; a livello preventivo, vennero approfondite le probabilità di rischi infortunistici per ogni candidato. Il nuovo concetto di lavoro subisce l’influenza di due scuole: da quella psicoanalitica deriva l’idea di uomo come possessore di una parte inconscia e, quindi, come attore di comunicazioni non solo razionali ma anche simboliche; dalla psicologia sociale eredita la concezione di pensiero collettivo, che introduce definitivamente nella definizione di lavoro, la dimensione sociale e gruppale 14 Altri costrutti teorici cui la psicologia delle organizzazioni fa riferimento sono: la teoria dei sistemi, i principi della termodinamica e l'entropia, la nascente scienza della complessità. 15 La scuola socio-analitica è una scuola innovativa di psicologia del lavoro che nell'immediato dopoguerra, presso il Tavistock Institute of Human Relations di Londra, mise a punto un metodo di ricerca per applicare al comportamento sociale i fondamenti della psicoanalisi freudiana. 16 La supremazia, nel corso dell'ultimo secolo e mezzo, è stata spesso attribuita alla componente tecnico-organizzativa, soprattutto grazie al grande sviluppo dei modelli organizzativi derivati dal Taylorismo ed alle sue diverse applicazioni ed evoluzioni. Di contro, la componente umana, ha spesso fatto fatica a prevalere, pur avendo avuto sostenitori autorevoli, come Elton Mayo. 17 Modello dell'esagono Il modello dell'azienda, come sistema aperto del Tavistock Institute ha portato a pensare che : obiettivi e strategie, tecnologia, organizzazione, sistema sociale, persone sono variabili interdipendenti e di pari importanza per l'azienda. Questo è noto anche come modello dell'esagono. Nella rappresentazione dell'esagono le sei variabili del sistema azienda sono raggruppate in tre famiglie: variabili tecniche, sociali e socio-tecniche. 18 Variabili tecniche Le variabili tecniche rappresentano la struttura, i ruoli e i meccanismi operativi dell'azienda, riguardano gli aspetti tecnici e organizzativi. Struttura e ruoli sono le variabili organizzative per eccellenza e si riferiscono quindi a tutto ciò che è appartiene al dominio cognitivo e metodologico dell'organizzazione. Le variabili struttura e ruoli riguardano : l’ organigramma ( collegamenti gerarchici e funzionali tra le posizioni, modello organizzativo globale), la disposizione e il contenuto dei ruoli presenti nella struttura (scopo della posizione, responsabilità, attività, tempi e metodi di lavoro) e il disegno funzionale dell'organizzazione. 19 I meccanismi operativi sono i meccanismi organizzativi e gestionali che consentono e facilitano, il funzionamento della macchina organizzativa e ne determinano le caratteristiche operative. Fanno parte quindi di questa famiglia le procedure, i regolamenti e le disposizioni interne, i sistemi di pianificazione, monitoraggio e controllo, il sistema informativo ed informatico, i regolamenti e le normative inerenti il compito primario, il sistema di gestione e sviluppo delle risorse umane . 20 Variabili sociali Le variabili sociali comprendono il clima, la cultura, i valori e le persone. Sono le variabili inerenti gli aspetti socio-psicologici del sistema azienda, il lato destro dell'esagono. Clima, cultura e valori sono le componenti sociali del sistema azienda che definiscono gli elementi d'aggregazione, le caratteristiche, le finalità, le regole di comportamento e di relazione dei gruppi e delle persone all'interno dell'organizzazione e verso l'esterno. Le persone sono il patrimonio di risorse umane dell'organizzazione descritto in termini di qualità, quantità, adeguatezza al ruolo, potenzialità di crescita, competenze, professionalità. 21 Variabili socio-tecniche Le variabili socio-tecniche comprendono gli obiettivi, le strategie e il sistema premiante. Sono variabili di natura mista, sia tecnica sia sociale . Gli obiettivi e le strategie sono il ponte che connette il sistema azienda con il suo ambiente di riferimento e consentono di tradurre le opportunità ed i vincoli posti dall'ambiente, in requisiti e linee guida per il sistema stesso. Il sistema premiante include i principi, le modalità e le regole attraverso cui si premiano i risultati e i comportamenti attesi. La parte tecnica del sistema premiante, riguarda gli aspetti collegati al ruolo, alla prestazione, agli obiettivi. La parte sociale coinvolge invece gli aspetti motivazionali e comportamentali. 22 Applicazioni del modello dell’esagono Il modello dell'azienda come sistema aperto, ha come base teorica la teoria dei sistemi, fornisce un adeguato costrutto concettuale ed una metodologia per la progettazione dei sistemi organizzativi, coinvolgendo contemporaneamente, in modo armonico ed interdipendente, tutte le dimensioni del sistema azienda, in modo tale che non è possibile agire su una o più dimensioni, senza influenzare e determinare i comportamenti di tutte le altre. 23 Per capire meglio questo concetto consideriamo il seguente esempio: un'università pubblica definisce il suo nuovo piano strategico in base all'obiettivo di incrementare del 20% all'anno, per i prossimi tre anni, le iscrizioni alle facoltà tecniche. Mette a punto una strategia basata sullo sviluppo dell'immagine anche al di fuori del territorio di competenza, il miglioramento della qualità dei servizi agli studenti, la creazione di una scuola post universitaria in grado di realizzare master di alta qualità e rispondenza alle richieste del mercato del lavoro. 24 Per rendere fattivo il piano strategico, è necessario pianificare e realizzare un programma di cambiamento che riguarda le altre cinque dimensioni dell'esagono. Nell'ambito di questo piano, viene creata la posizione di Responsabile Marketing e Sviluppo, prima non presente (struttura e ruoli). Questa posizione, per funzionare, necessita di essere inserita in un flusso informativo interno ed esterno e di collegarsi ad altre funzioni, ad esempio quella preposta alla progettazione didattica (meccanismi operativi), potendo influenzare ed indirizzare le azioni di queste funzioni e scambiare con le stesse le informazioni indispensabili per operare. Tutto ciò ha un'influenza importante sulla cultura organizzativa, che deve evolversi verso modelli di maggiore orientamento ed attenzione ai propri clienti esterni – gli studenti – ed interni – i colleghi che partecipano all'erogazione del servizio (clima, cultura e valori). 25 Inoltre è necessario individuare all'interno, oppure acquisire dall'esterno, una o più persone in grado di ricoprire in modo efficace la posizione (persone, ruoli ), come pure sarà necessario attivare un'azione formativa per il personale coinvolto nel progetto. Infine, difficilmente questo progetto produrrà risultati se non sarà sostenuto da opportune azioni retributive ed incentivanti (sistema premiante), realizzate in modo tale da non creare squilibri e sperequazioni retributive e di carriera all'interno. In sintesi, anche agendo su una singola dimensione del sistema azienda, tutte le altre dimensioni sono influenzate e se non si controlla il processo in modo mirato e consapevole, si rischia di produrre eventi e reazione che faranno fallire il progetto di cambiamento o ne faranno sfuggire il controllo a chi governa l'azienda stessa. 26 La visione sistemica dell'azienda ha dato vita ad un modo nuovo di affrontare la progettazione e l'attuazione dei cambiamenti organizzativi, lo sviluppo organizzativo nel suo insieme. E’ un approccio innovativo che tratta il sistema organizzativo come una struttura vitale, in costante evoluzione, integrando modelli e metodi di progettazione ed implementazione dell'organizzazione. 27 Lo sviluppo organizativo Lo sviluppo organizzativo si definisce come una serie d'attività basate sui concetti e metodi della scienza del comportamento, e destinate a rafforzare l'efficienza complessiva e lo stato di salute dell'organizzazione. Temi principali sono l'ambiente organizzativo, lo scambio d'informazioni, la comunicazione, la costituzione di gruppi di lavoro, l'istituzione di rapporti di collaborazione tra unità ed altri temi simili. Una speciale attenzione è rivolta all'individuazione e alla trasformazione dei valori, atteggiamenti, relazioni interpersonali e processi organizzativi. Operare secondo il modello dello sviluppo organizzativo significa progettare, gestire e monitorare l'organizzazione nel continuum temporale nel quale essa si colloca, creando i presupposti perché l'organizzazione stessa sviluppi i propri processi evolutivi nella direzione voluta. 28 Lo sviluppo organizzativo genera organizzazioni dinamiche, per le quali la rispondenza agli obiettivi specifici di progetto, è solo il requisito di base di partenza, la condizione necessaria ma non sufficiente, mentre la vera qualità viene dalla capacità dell'organizzazione stessa di autoaggiornarsi, di mantenere, anzi di accrescere le proprie capacità, sviluppandosi come un organismo vivente che è in grado di apprendere dalle esperienze. Si paragona l’oganizzazione ai sistemi viventi ( Bertalanffy e più recentemente, un importante contributo teorico ci viene dagli studi di Humberto Maturana e Francisco Varela sui sistemi autopoietici ) 29 Queste considerazioni dimostrano che la psicologia del lavoro ha sempre più bisogno di conoscere modelli e costrutti teorici di altre discipline, anche d'origini lontane, per integrare i suoi modelli ed approcci, coerentemente con gli sviluppi dell'epistemologia, verso un recupero di quella trasversalità e multidisciplinarità che ha caratterizzato per migliaia di anni la conoscenza umana. 30 La psicologia sistemica In questa prospettiva la famiglia viene vista come un sistema, ossia come un'entità che possiede caratteristiche, regole e norme proprie; diviene così possibile comprendere i meccanismi e le dinamiche di tale sistema nel momento in cui si analizzano e rendono chiari i criteri alla base del suo funzionamento. Questo è lo stesso principio che sta alla base della società organizzata all'interno della quale ogni persona possiede un suo posto, un suo ruolo e interagisce con gli altri. La famiglia, che a sua volta è inserita in un contesto più ampio che è quello della società, possiede dunque una sua struttura di regole e meccanismi che la portano ad evolvere in un certo modo e, ogni suo membro, contribuisce al suo sviluppo 31 • La teoria della comunicazione del Gruppo di Palo Alto Uno dei pilastri del modello milanese è il lavoro sulla comunicazione di Paul Watzlawick e del suo gruppo (Watzlawick, Beavin, Jackson, 1967; Watzlawick, Weakland, Fisch, 1974). La prospettiva per cui ogni sintomo è una forma di comunicazione offriva un modello assai efficace per intervenire in maniera incisiva e rapida su disturbi che fino ad allora avevano costituito una sfida importante per i clinici: Mara Selvini Palazzoli ne era restata colpita e aveva coagulato attorno a sé una nutrita squadra di psicoanalisti disposti a tentare una via nuova per curare, ad esempio, i disturbi alimentari – ai quali da sempre si dedicava, da psicoanalista – con un metodo più soddisfacente di quanto molto spesso non si dimostrasse quello analitico tradizionale. Coinvolse nell’entusiasmo della scoperta un buon numero di colleghi. Tra loro Luigi Boscolo, Gianfranco Cecchin e Giuliana Prata, con i quali avrebbe pubblicato nel 1975 “Paradosso e controparadosso”. Era il nucleo fondatore del Milan Approach. 32 Le ricerche di Palo Alto si rifacevano ai lavori dell’antropologo Gregory Bateson; questi però, tempo dopo ritirò la propria “benedizione” al gruppo, reo a suo avviso di aver messo le sue idee al servizio di una tecnologia tesa a cambiare altre persone. L’idea del gruppo era che il sintomo si comprendesse alla luce del contesto relazionale del “paziente”. Esso era, in un certo senso, un modo “normale” di rispondere a un contesto di comunicazione “insano”. In particolare il comportamento schizofrenico era visto come la risposta coerente a un contesto di comunicazione paradossale, il cosiddetto “doppio legame”. La teoria matematica dei tipi logici di Russell veniva posta a fondamento di un modello della comunicazione sana: così come non può darsi una classe che sia membro di sé stessa, allo stesso modo il paradosso comunicativo viene visto come un “incidente logico” nella comunicazione. L’individuo destinatario di una comunicazione paradossale si trova in una situazione relazionale indecidibile e pertanto fonte di angoscia. 33 Assunti della teoria dei sistemi Sino al periodo successivo al secondo conflitto mondiale, con qualche timida eccezione, si riteneva che i sistemi orientati ad uno scopo potessero essere spiegati solo se si attribuiva ad essi un principio vitalistico, quale superamento del meccanicismo riduzionista. Questo atteggiamento, proprio di una scienza ancorata alle prassi positivistiche e alla riduzione alle cause efficienti, fu messo in discussione con l'introduzione della Teoria dei sistemi (per una trattazione più esauriente si veda Capra, 1996, e Malagoli Togliatti, Telfner, 1983). La Teoria dei sistemi si sviluppa quando viene riconosciuto che fenomeni fisici e biologici possono presentare in sé la caratteristica di essere un’entità intera dove parti fra loro differenti sono interconnesse e fra loro interagenti. Parti in relazione tra loro tali per cui la loro somma è comunque diversa dall’intero. Dove un qualsiasi cambiamento in una delle parti influenza la globalità del sistema. Diviene fondamentale considerare la presenza di un ulteriore elemento, invisibile alla logica meccanicistica, i “rapporti organizzanti” cioè “schemi di relazioni insiti nella struttura fisica dell’organismo” (Capra, op. cit., p. 36). Ogni sistema, nella propria organizzazione, possiede caratteristiche proprie rispetto alla modalità di elaborare le informazioni, all’adattamento al mutare delle circostanze, all’autorganizzazione, all’automantenimento, indipendentemente dalla sua composizione (Guttman, p. 40). 34 La teoria dei sistemi ha costituito una rivoluzione che ha alimentato la speranza in una scienza unificata e onnicomprensiva dei sistemi: “Sia che si tratti di organismi, sia che si tratti di società, le caratteristiche essenziali dell’organizzazione sono costituite da nozioni quali quelle di totalità, crescita, differenziazione, ordine gerarchico, ascendenza, controllo, competizione ecc.” (von Bertalanffy, 1967, p. 86). Insomma: il tutto è più della somma delle sue parti, perché è “un tutto integrato, le cui proprietà derivano dalla relazione delle sue parti” (Capra, op. cit., p. 38), oltre che dalle loro caratteristiche. Non basta cioè conoscere bene gli individui di un insieme per sapere cosa fanno. L'illusione di Laplace di poter prevedere le conseguenze di un evento conoscendo lo stato iniziale e il modo in cui gli elementi di un insieme reagiscono alle forze cui sono sottoposti, viene a cadere. Per sostenere questa tesi però è necessario passare dall'attenzione ai singoli elementi all’attenzione per le relazioni che uniscono questi elementi. Per dirla con Gregory Bateson, una mano non è cinque dita: è quattro relazioni. 35 Il concetto di sistema (dal greco systanai, “porre insieme”) ci permette di ampliare la prospettiva di osservazione e, di conseguenza, le possibilità di cambiamento. Se un sistema è un insieme di persone che comunicano fra loro ed intessono relazioni, allora quest’insieme è più che la somma delle parti, le singole persone: l’unità di osservazione, il focus del lavoro è la relazione anziché la mente individuale, e il contesto in cui essa si trova; è anche la loro connessione strutturale e “la danza di parti interagenti […] vincolata da limitazioni fisiche […] e dai limiti imposti in modo caratteristico dagli organismi” (Bateson, 1979, p. 27). È un salto di prospettiva che, nella terapia, implica l’abbandono dell’etichetta di “paziente” come della patologizzazione, e piuttosto l’assunzione di una prospettiva che colga la complessità delle relazioni. 36 Assunti della Cibernetica A cavallo con il secondo conflitto mondiale è nata anche una nuova branca della scienza chiamata cibernetica, definita come “la scienza del controllo e della comunicazione nell’animale come nella macchina”. Requisiti essenziali per l’operatività dei sistemi sono la comunicazione e la regolazione attraverso la comunicazione. Diventa quindi fondamentale il concetto di “informazione”: l’informazione riguardante i risultati delle attività passate è riportata nel sistema, influenzando così il suo comportamento futuro. Questo processo, denominato retroazione autocorrettiva, è l’interesse della Cibernetica. Un sistema tende a mantenersi in uno stato di equilibrio (omeostasi) e a regolare gli stati di disordine; a tale scopo mette in atto dei meccanismi per correggere la sua azione. Il sistema sfrutta il continuo scambio di informazioni che c’è fra i suoi elementi. Modifica la propria struttura per raggiungere un nuovo ordine. 37 La grande novità della cibernetica nella cura della schizofrenia in particolare è la possibilità di pensare al sintomo come un prodotto delle tendenze omeostatiche del sistema. Il “malato” è visto come “paziente designato”: designato dal sistema familiare a “produrre” un comportamento tale da garantire che nulla cambi, che un conflitto potenzialmente distruttivo non appaia alla luce, che un mito condiviso e necessario all’unità familiare non venga messo in discussione. Ma la cibernetica di cui abbiamo parlato fin qui è definibile come una cibernetica “morfostatica”. Si occupa, cioè, del modo in cui i sistemi rimangono uguali a sé stessi. È la cibernetica del feedback negativo, della retroazione che minimizza il cambiamento e garantisce l’omeostasi del sistema. Maruyama (1963) usò l’espressione “seconda cibernetica” per definire la cibernetica che si occupa del feedback positivo, una cibernetica “morfodinamica”: la retroazione positiva provoca infatti un cambiamento, una perdita di stabilità e di equilibrio. L’informazione in uscita rientra non per minimizzare la deviazione, ma per amplificarla. La prima cibernetica riguarda piuttosto il qui e ora, i pattern che mantengono la stabilità; la seconda, che guarda al cambiamento, introduce la dimensione temporale diacronica nell’osservazione del sistema. 38 Ma la cibernetica di cui abbiamo parlato fin qui è definibile come una cibernetica “morfostatica”. Si occupa, cioè, del modo in cui i sistemi rimangono uguali a sé stessi. È la cibernetica del feedback negativo, della retroazione che minimizza il cambiamento e garantisce l’omeostasi del sistema. Maruyama (1963) usò l’espressione “seconda cibernetica” per definire la cibernetica che si occupa del feedback positivo, una cibernetica “morfodinamica”: la retroazione positiva provoca infatti un cambiamento, una perdita di stabilità e di equilibrio. L’informazione in uscita rientra non per minimizzare la deviazione, ma per amplificarla. La prima cibernetica riguarda piuttosto il qui e ora, i pattern che mantengono la stabilità; la seconda, che guarda al cambiamento, introduce la dimensione temporale diacronica nell’osservazione del sistema. Descrivere il funzionamento dei sistemi in funzione di anelli di retroazione introduce una prospettiva che supera la causalità lineare alla quale si usa ricondurre i fenomeni che osserviamo. La causalità lineare vuole che, ad esempio, A sia la causa di B. A sua volta, B potrebbe causare C che determina D. Ma se a questo punto immaginiamo D come un’informazione che retroagisce su A, abbiamo un’idea di cosa sia la causalità circolare. La cibernetica applicata ai sistemi viventi offre allora una prospettiva per osservare sistemi complessi in un’ottica che renda ragione del livello di complessità di cui ci si occupa. 39 Heinz von Foerster (1982) distingue “macchine banali” e “macchine non banali”. Le prime sono caratterizzate da un input “x” e da un output “y”. Dal momento che esse sono prevedibili e indipendenti dalla storia, saremo sempre in grado di prevedere y. Nelle macchine non banali, al contrario, la risposta può cambiare nonostante lo stimolo resti identico. Questo perché esse sono sensibili ai propri stati interni che von Foerster indica con “z”. Al contrario delle macchine banali, dunque, esse sono determinate dalla loro storia, e sono in larga misura imprevedibili. Gli studiosi cileni Humberto Maturana e Francisco Varela (1980, 1987) forniscono un ulteriore contributo per una scienza dei sistemi complessi. Essi sostengono che i sistemi viventi sono “autopoietici”, cioè in grado di auto-organizzarsi, autoriprodursi ed evolvere. Sono, insomma, più sensibili al loro stato interno che alle condizioni esterne. Questo vuol dire che i presupposti sistemici per cui gli elementi di un sistema sono interdipendenti viene a cadere davanti all’evidenza che non è possibile cambiare “da fuori” lo stato di un sistema? No. Vuol dire, però, che in nessun modo è possibile modificare intenzionalmente lo stato di un sistema: il suo cambiamento non dipende da un intervento esterno. Uno stimolo dell’ambiente può, per così dire, perturbare un sistema: in qual modo, poi, il sistema interpreterà quella perturbazione, in che modo esso si riorganizzerà per compensare i cambiamenti, è del tutto funzione delle caratteristiche del sistema e della sua storia. 40 I sistemi viventi, dunque, sebbene termodinamicamente aperti, sono chiusi dal punto di vista dell’organizzazione. Ciò comporta che il luogo della conoscenza, nei sistemi autopoietici, è interno al sistema: la vita è conoscenza, e la conoscenza è il cambiamento di uno stato interno. Per queste ragioni il contributo di von Foerster da una parte, e di Maturana e Varela dall’altra, è noto con il nome di costruttivismo: la conoscenza – la vita – è un processo di costruzione della realtà, non di percezione di qualcosa che esiste oggettivamente “là fuori”. Queste nuove teorie (v. Bertrando e Toffanetti, 2000, p. 287 e segg.) aprono la strada, a cavallo degli anni 80, alla cosiddetta "cibernetica di secondo ordine" (parliamo di cibernetica “del secondo ordine” nel senso che essa compie un salto di ordine logico, dal sistema osservato al sistema osservante che osserva il sistema osservato: in definitiva, è una cibernetica della cibernetica) o cibernetica dell'osservatore: se la realtà è una costruzione, e non qualcosa da conoscere oggettivamente, non è rilevante tanto il modo in cui funzionano i sistemi che osserviamo, quanto il modo in cui li conosciamo, il modo in cui funzioniamo come osservatori mentre ne abbiamo cognizione. È una vigorosa spallata al mito dell’oggettività nelle scienze umane. 41 Se gli individui di un sistema osservato sono interconnessi e si influenzano reciprocamente, non possiamo trascurare che anche l’osservatore influenza il sistema e ne è influenzato: troviamo utile pensare che l’osservatore sia in un certo senso “parte” del sistema che osserva, e che la sua importanza nel co-costruire la realtà osservata non sia trascurabile. Un sistema autopoietico, si è detto, costruisce da solo le regole del proprio funzionamento in maniera del tutto originale e peculiare. Cosa comporta tutto ciò, in terapia? Fondamentale è cercare con il sistema una definizione del bisogno, conoscere come esso organizza, struttura e individua i propri bisogni. Dunque il Professionista che si accosta alla realtà di un sistema non si limita a “fotografare” ciò che “esiste”, ma lo costruisce mentre lo conosce. Possiede così di volta in volta mappe (cioè teorie ed ipotesi) locali e provvisorie, mai definitive: e se “la mappa non è il territorio”, allora le nostre teorie ed ipotesi smettono di essere riferimenti esclusivi e diventa importante, accanto ad esse, l’ascolto dell’individuo e del sistema, la conoscenza delle loro mappe, delle loro premesse sulla realtà. 42 Dunque il Professionista che si accosta alla realtà di un sistema non si limita a “fotografare” ciò che “esiste”, ma lo costruisce mentre lo conosce. Possiede così di volta in volta mappe (cioè teorie ed ipotesi) locali e provvisorie, mai definitive: e se “la mappa non è il territorio”, allora le nostre teorie ed ipotesi smettono di essere riferimenti esclusivi e diventa importante, accanto ad esse, l’ascolto dell’individuo e del sistema, la conoscenza delle loro mappe, delle loro premesse sulla realtà. Il terapeuta, il consulente, pertanto non forniscono interpretazioni bensì ipotesi, tentativi di connettere e rendere coerenti e dotate di senso le relazioni e i comportamenti delle persone che partecipano al processo. A loro, a chi consulta, è rimandata la responsabilità e il potere di accettare e di confermare il senso. Allo psicologo è lasciata la responsabilità di accettare la storia di una persona, del sistema di cui è parte, pur decostruendola per farle acquisire un nuovo senso, attraverso la messa a fuoco delle aspettative e delle rappresentazioni di chi è nel sistema stesso. 43 La progressiva messa in discussione del terapeuta come osservatore oggettivo ed esperto della realtà si accompagna alla “crescente consapevolezza della natura sociale di ciò che prendiamo per ‘vero e giusto’” (McNamee e Gergen, 1992, p. 16): se per il costruttivismo il luogo della conoscenza era il sistema nervoso, nella visione che emerge tra gli psicologi sociali e i sociologi esso è da rintracciare nella costruzione del mondo che si attua entro i vincoli e le possibilità del linguaggio. Le narrazioni (quelle presunte “esperte” e le altre) non sono più ordinate gerarchicamente: se la realtà è nel linguaggio e nel consenso, essa è inevitabilmente polifonica. A partire da quest’assunto, il costruzionismo sociale si fa critica politica, radicale messa in discussione del sapere psichiatrico. In Italia il modello sistemico milanese lo adotta come nuova cornice di pensiero. Negli USA (cfr. Hoffman, 1990) alcuni studiosi lo usano come grimaldello per scardinare i modelli terapeutici e per superare la cibernetica e le idee sistemiche. 44 • Mentre in Italia le idee costruzioniste e la narrativa si integrano col pensiero batesoniano in un modello sistemico sempre più fedele all’ottica della complessità, altrove qualcuno conierà il termine “postMilano” per designare un modello terapeutico “leggero” che rinuncia (o almeno crede di rinunciare) ad avere premesse teoriche “forti”. Le terapie “post-moderne” e conversazionali hanno spesso solo un tenue legame con la tradizione sistemica (Minuchin, 1998), rinunciando alla centralità della relazione e alla causalità circolare. Il Milan Approach, dal canto suo, entra nell’era post-moderna non rinunciando ad avere alle spalle una teoria, ma piuttosto col disincantato convincimento che le teorie sono degli utili quanto provvisori punti di vista. 45 • Nasce così un approccio polifonico nel lavoro con la famiglia, con l’azienda, con il sistema scolastico: più voci permettono ad ognuno di trovare valore in ciò che dice e ricevere conferma implicita del proprio essere, trovando una nuova connessione col sistema. La polifonia delle voci e delle narrazioni costruisce un contesto in cui tutti i punti di vista sono importanti e legittimi e tutti insieme descrivono la realtà. La qualità del Terapeuta, del Consulente, del Formatore è quella di saper mantenere aperto un dialogo con i colleghi e i clienti, cercando di capire e rispettare il punto di vista di tutti. Ogni sistema ha le sue proprie soluzioni, e la sfida del Consulente, del Formatore e del Terapeuta Sistemico è quella di scoprirle insieme ad esso senza sovrapporre le proprie, giacché non può esistere un solo modo di vedere le cose. 46 • • • • Attribuiamo al sistema una capacità critica e la possibilità di trovare le proprie soluzioni: in questo senso, nell’ambito della terapia familiare, ci sentiamo vicini – più che ad un punto di vista che vuole, per esempio, nei genitori la radice dei problemi dei figli – ad una prospettiva che vede nei genitori i principali esperti della famiglia e delle risorse che il sistema può attivare. Restano i punti cardine consolidati del lavoro sistemico (v. Bertrando e Toffanetti, 2000, p. 248 e segg.) ; ad esempio: l’ipotizzazione (vale a dire la creazione di una spiegazione plausibile che connetta i comportamenti e le credenze di tutti i membri del sistema, vera solo fino a che risulta utile al dialogo: v. Selvini Palazzoli et al., 1980, e Boscolo, Cecchin, Hoffman, Penn, 1987); la circolarità (la capacità di condurre la conversazione basandosi sulle retroazioni della famiglia e di pensare per rapporti e differenze: v. ancora Selvini Palazzoli et al., 1980, e Boscolo, Cecchin, Hoffman, Penn, 1987); la connotazione positiva (l’utilizzo degli aspetti positivi per spingere al cambiamento: la nostra esperienza ci insegna infatti che ridefinire in positivo i problemi umani li ristruttura come situazioni con una via d’uscita e di lavorare sul profondo valore evolutivo di una crisi, di un problema, di una difficoltà; v. Selvini Palazzoli et al., 1975). 47 • Ad essi se ne affiancano di nuovi: • la creatività, la curiosità e l’irriverenza che ci permettono di privilegiare quanto accade nella relazione anziché quanto prescritto dalle teorie di riferimento, e che sostengono continuamente la capacità di “sorprendersi” trovando aspetti evolutivi sempre nuovi nella relazione con il Cliente (v. Cecchin, 1987 e 1992); • l’attenzione agli affetti e alle emozioni: gli affetti dell’individuo sono la via d’accesso al sistema, al suo linguaggio, alle sue premesse; • l’attenzione alle narrazioni e al tempo come connessione non lineare ma ricorsiva tra passato, presente e futuro (Boscolo e Bertrando, 1993). • La psicologia clinica possiede uno strumento di lavoro particolare poiché coincide con l'oggetto su cui si lavora, la relazione. La psicoterapia diventa allora lo strumento di approccio alle relazioni umane; le relazioni che definiscono gli individui e le relazioni che influenzano il comportamento degli individui. 48 La modalità sistemica, al di là della contrapposizione tra un modello lockiano (“per quale motivo?”; “qual è la causa efficiente del sintomo?”) e un modello kantiano (“a quale scopo?”; “qual è la causa finale?”) della psicopatologia (Cingolani, 1995), si preoccupa di fornire una spiegazione circolare degli eventi: quale pattern determina il sintomo e ne è determinato? Anche Cecchin e Apolloni (2003) sottopongono a critica il ricorso, nelle scienze umane, alla causalità efficiente, l’unica forma di causalità cui il pensiero scientifico riconosca una legittimità: guardare anche alla causa finale permette di evidenziare l’effetto pragmatico sull’organizzazione del sistema di comportamenti tradizionalmente ritenuti “patologici” e di dar loro un senso che faccia emergere le risorse, le capacità di un individuo o di un sistema. Nell’indagine sistemica, di fronte ad un comportamento, ad una comunicazione (un “sintomo”) non ci chiediamo solo “quali circostanze hanno causato questo fatto?" ma anche "a che cosa serve questo evento in questo particolare sistema relazionale?”. 49 Il terapeuta si interessa ai modi in cui i membri del sistema si influenzano l’un l’altro. Il comportamento di un individuo, un gruppo o un'organizzazione, ha un effetto su chi riceve e ascolta il messaggio: è una comunicazione. Il significato di un atto comunicativo dipende da molti elementi: le caratteristiche del messaggio, di chi lo emette e di chi lo riceve, del luogo in cui questa comunicazione avviene – quell’insieme di aspetti e contrassegni che chiamiamo contesto. Si lavora sulla "danza delle parti interagenti", senza avere la pretesa di controllarle o di controllare l'evoluzione che prenderanno. È “una danza che crea” e crea ciò che il sistema, la rete di relazioni che evolvono, può diventare. 50 • Da questi presupposti la teoria generale dei sistemi ha condotto alla elaborazione di una forma di terapia che parte dall'idea che: • Una malattia psicologica presenta una serie di schemi relazionali che si ripetono con costanza. Sono dunque stabili. • Per fare in modo che vi sia un cambiamento/miglioramento è necessario interrompere o modificare questi schemi. • Quando vengono interrotti o modificati tali schemi relazionali si apre una fase caratterizzata da un periodo di riorganizzazione del sistema individuo-famiglia-società. • In quest'ultima fase del processo si inserisce l'operazione terapeutica, attraverso la quale, il terapeuta, con i suoi strumenti e la sua esperienza accompagna il processo di cambiamento verso una direzione non più patologica. 51 Ogni membro del sistema esercita una serie di effetti, di influenze, sugli altri membri; al tempo stesso tali influenze si ripercuotono sul sistema intero della famiglia. A differenza degli altri approcci che si basano sull'individualità della persona, nella terapia della famiglia l'individuo viene considerato una parte del tutto, che è appunto il sistema. Secondo la prospettiva sistemica, l'individuo è in grado di influire sul contesto, come il contesto influisce sull'individuo. Premesso questo, la persona che soffre viene inquadrata come "espressione" di un contesto a sua volta sofferente, nel quale esistono degli squilibri che provocano influenze negative su di essa. 52 • Tuttavia, la stessa persona sofferente fa parte del sistema famiglia, ed è quindi parzialmente responsabile della situazione che si è creata. Il paziente, allora, non è solo colui che subisce ed esibisce un sintomo, ma, paradossalmente, diviene esso stesso un sintomo: quello di una famiglia disfunzionale. Ciò non significa che la causa del suo disagio sia dovuta a colpe personali, ma che comunque la persona contribuisce a mantenere in vita delle dinamiche familiari disfunzionali. Per esempio, se un adolescente soffre di una forte ansia e i membri della sua famiglia essendone al corrente lo proteggono in maniera eccessiva, evitandogli costantemente il confronto con le sue paure, egli tenderà a mantenere vive le sue paure; contemporaneamente dipenderà in maniera sempre maggiore dagli altri membri della famiglia, mantenendo in vita tale dinamica disfunzionale. La terapia della famiglia ha costruito quindi la sua metodologia clinica intorno all'idea che il disagio psichico può essere colto attraverso l'osservazione delle relazioni umane. 53 • Da questi presupposti la teoria generale dei sistemi ha condotto alla elaborazione di una forma di terapia che parte dall'idea che: • Una malattia psicologica presenta una serie di schemi relazionali che si ripetono con costanza. Sono dunque stabili. • Per fare in modo che vi sia un cambiamento/miglioramento è necessario interrompere o modificare questi schemi. • Quando vengono interrotti o modificati tali schemi relazionali si apre una fase caratterizzata da un periodo di riorganizzazione del sistema individuo-famiglia-società. • In quest'ultima fase del processo si inserisce l'operazione terapeutica, attraverso la quale, il terapeuta, con i suoi strumenti e la sua esperienza accompagna il processo di cambiamento verso una direzione non più patologica. 54 La complessità • Un sistema complesso è un sistema in cui gli elementi subiscono continue modifiche singolarmente prevedibili, ma del quale non è possibile, o è molto difficile, prevedere uno stato futuro. Alcuni esempi di sistemi complessi sono: • gli automi cellulari • la crosta terrestre, quando ad esempio si considerano le interazioni che provocano i terremoti • gli ecosistemi (anche i più semplici) • i sistemi economici • i sistemi sociali • il sistema nervoso • i sistemi viventi • il sistema umano o sistema Io-soggetto • il sistema climatico 55 Maggiore è la quantità e la varietà delle relazioni fra gli elementi di un sistema, maggiore è la sua complessità, a condizione che le relazioni fra gli elementi siano di tipo non-lineare. Un'altra caratteristica di un sistema complesso è che può produrre un comportamento emergente, cioè un comportamento complesso non prevedibile e desumibile dalla semplice sommatoria degli elementi che compongono il sistema. Un esempio è l'andamento dei mercati finanziari. Nonostante si possa prevedere e comprendere il comportamento dei singoli investitori, della microeconomia, è impossibile prevedere, data la conoscenza dei singoli traders, l'andamento della macroeconomia: i recenti crolli dei mercati finanziari mondiali sono un esempio paradigmatico. Un sistema non-lineare è tanto più complesso quanto maggiori parametri sono necessari per la sua descrizione. Dunque la complessità di un sistema non è una sua proprietà intrinseca, ma si riferisce sempre ad una sua descrizione, e dipende quindi dal modello utilizzato nella descrizione e dalle variabili prese in considerazione. 56 Il principale obiettivo della teoria della complessità è di comprendere il comportamento dei sistemi complessi, caratterizzati da elementi numerosi e diversi tra di loro e da connessioni numerose e non lineari. In particolare, uno dei centri di ricerca più importanti sulla teoria della complessità - il Santa Fe Institute, fondato nel 1984 - si è particolarmente dedicato allo studio dei sistemi complessi adattativi (CAS - complex adaptive systems), cioè sistemi complessi in grado di adattarsi e cambiare in seguito all'esperienza, come ad esempio gli organismi viventi, caratterizzati dalla capacità di evoluzione (Holland, 2002). Vitali, mutevoli, cangianti: cellule, organismi, animali, uomini, organizzazioni, società, politiche, culture. 57 Il filosofo francesce Edgar Morin è sicuramente l'esponente di maggior spicco della scienza della complessità. Uno dei referenti massimi in Italia della teoria della complessità è Mauro Ceruti che ha introdotto e tradotto numerosi testi sull'argomento. Il connubbio tra la teoria dei sistemi e quella della complessità ha dato vita alla teorizzazione dei sistemi dinamici complessi. Questo filone è stato applicato all'essere vivente, in generale, e più nello specifico all'uomo da noti studiosi come Ludwig von Bertalanffy, Humberto Maturana e Francisco Varela. Più recentemente Sander ha applicato la teoria dei sistemi complessi anche nella psicoanalisi, sviluppando un filone di ricerca innovativo e interessante che trae le radici dallo studio dell'interazione madre-bambino. In Italia questa teoria è stata sviluppata e applicata in particolare dal Dott. Michele Minolli che teorizza l'assunzione di tutti le caratteristiche dei sistemi complessi anche nell'uomo e nell'applicazione alla psicoanalisi. L'uomo viene concepito come un sistema Io-soggetto con caratteristiche tipiche dei sistemi complessi come: auto-organizzazione, eteroorganizzazione, autopoiesi (termine inventato da Maturana), integrità, comportamento emergente, unità e dinamismo. 58 Comportamento emergente I sistemi complessi sono sistemi il cui comportamento non può essere compreso a partire dal comportamento dei singoli elementi che li compongono in quanto interagenti tra loro: l'interazione tra i singoli elementi determina il comportamento globale dei sistemi e fornisce loro delle proprietà che possono essere completamente estranee agli elementi singoli. Questa proprietà è chiamata comportamento emergente, nel senso che a partire dalle interazioni tra i singoli componenti del sistema emerge un "comportamento globale" non previsto dallo studio delle singole parti. Ne sono un esempio alcuni programmi per computer che simulano parte del comportamento delle termiti: la singola termite (simulata) compie azioni elementari come muoversi e spostare oggetti in modo quasi casuale; globalmente però le termiti creano dei mucchi di oggetti, senza che questo sia codificato nel loro comportamento singolo. Un altro esempio è il gioco Life di Conway. Dal punto di vista strettamente epistemologico tutto ciò conduce ad un visione globale (olistica) dell'analisi dei sistemi a molte componenti che è in aperto contrasto con l'impostazione classica riduzionistica, costituendone allo stesso tempo anche il suo deciso superamento 59 Auto-organizzazione • I sistemi complessi adattivi (CAS in inglese) sono sistemi dinamici con capacità di auto-organizzazione composti da un numero elevato di parti interagenti in modo non lineare che danno luogo a comportamenti globali che non possono essere spiegati da una singola legge fisica. Alcuni esempi: comunità di persone interagenti, il traffico, il cervello umano. Il campo della scienza che si occupa di studiare e modellare questi sistemi è detto scienza della complessità. Questa proprietà è sfruttata in varie applicazioni pratiche, come ad esempio le reti radio militari e i sistemi antiintrusione delle reti informatiche. • « Un CAS può essere descritto come un instabile aggregato di agenti e connessioni, auto-organizzati per garantirsi l'adattamento. Secondo Holland (1995), un CAS è un sistema che emerge nel tempo in forma coerente, e si adatta ed organizza senza una qualche entità singolare atta a gestirlo o controllarlo deliberatamente. L'adattamento è raggiunto mediante la costante ridefinizione del rapporto tra il sistema e il suo ambiente (coevoluzione). Il biologo americano Kauffman (2001) sostiene che i sistemi complessi adattativi si muovono in paesaggi gommosi (fitness landscape), in continua deformazione per l'azione congiunta dei sistemi stessi, di altri sistemi, e di elementi esogeni. » 60 Caos I sistemi caotici sono considerati complessi, sebbene abbiano pochi gradi di libertà. La complessità è fortemente legata al caos. La sopravvivenza in ambienti così variabili viene ricercata nel raggiungimento del confine del caos, quella particolare area dove si massimizzano le possibilità di evoluzione. I sistemi complessi adattativi, cioè, si situano tra l'eccessivo ordine - una staticità che ricorda da vicino un meccanismo - e l'eccessivo disordine - un caos fuori controllo che può sconfinare nell'anarchia. Questo specifico stato assunto dai sistemi complessi è anche chiamato spazio delle possibilità, poichè è la situazione in cui essi possono scegliere tra più comportamenti e configurazioni alternative. E' in questo particolare stato, infatti, che questi sistemi agiscono in maniera più complessa e creativa, operando eventuali evoluzioni sfruttando la proprie peculiari capacità di apprendimento e adattamento. 61 Dinamiche inconsce nelle moderne organizzazioni 62 Gli anni "caldi" iniziaronoin Italia nel 1968 con gli scioperi della Pirelli e all'Italsider di Bagnoli, dai quali emersero prepotentemente le istanze dei lavoratori rivolte ad un miglioramento complessivo della qualità del lavoro. Dalla seconda metà degli anni sessanta sorsero nuove scuole di specializzazione un po' in tutta la penisola. Dalla seconda metà degli anni settanta la psicologia affronta le contraddizioni del mondo del lavoro, cercando di intervenire, con competenza, in ambiti interdisciplinari che riguardano sempre più cioè il macrosistema uomo-ambiente, uomo-macchina e uomo-uomo. 63 I modelli organizzativi della cultura industriale hanno, pur nella loro diversità, un aspetto comune, cioè riconoscere l'esistenza e i collegamenti delle due componenti base del sistema impresa, che sono la componente tecnicoorganizzativa e la componente umana. In passato queste dimensioni sono state spesso rappresentate, alternativamente, secondo un modello di dipendenza e subordinazione l'una rispetto all'altra, se non addirittura in contrapposizione. In sostanza, la domanda fondamentale, era se l'uomo dovesse adattare sé stesso, i suoi comportamenti, la sua motivazione, il modo con cui gestisce il suo ruolo, alle esigenze della tecnologia e dell'organizzazione oppure se, viceversa, fossero queste ultime a dover essere progettate tenendo conto delle caratteristiche e dei vincoli posti dalle persone. 64 Leadership Il processo di leadership coloro che in una struttura di stato occupano la posizione più elevata, altrimenti detti leaders, col resto del gruppo. Una delle caratteristiche fondamentali dei membri di un gruppo di stato elevato è quella di proporre idee e attività nel gruppo utilizzando in questo modo dei mezzi per influenzare i membri del gruppo a modificare il loro comportamento. Ma, dal momento che l'influenza sociale è comunque sempre un processo reciproco, quello che caratterizza i leader è che possono influenzare gli altri nel gruppo più di quanto siano influenzati loro stessi. Per questo motivo nelle più recenti teorie sulla leadership ci propone di ritenere la leadership una relazione, anche perché il leader è colui che ha dei seguaci, senza seguaci non ci possono essere leader 65 Leadership formale e Leadership informale E’ necessario porre un’importante distinzione tra due concetti spesso imprecisi nella letteratura sull’argomento: la leadership formale, che viene spesso associata al leader imposto dall’esterno, nella psicologia del lavoro al manager, e la leadership informale, derivante dall’interno del gruppo; tale distinzione corrisponde, al limite, a quella che corre tra leader imposto dall'esterno (il "sergente" della oleografia popolare) e il leader espresso dall'interno del gruppo (il "profeta " o "guru" trascinatore). È possibile distinguere, in lingua inglese, la leadership (che viene intesa come capacità di influenzare) dalla headship (“capacità", saper essere a capo di, funzionare da "duce" di qualcosa) 66 Leadership diretta e leadership indiretta Quando si parla di leadership ci si rende conto che spesso l’influenza scaturita dai grandi leader non deriva dal diretto contatto con esso, ma avviene attraverso alcuni intermediari. È necessario dunque porre una chiara distinzione tra leadership diretta, che comprende le relazioni e le interazioni fra un leader riconosciuto e i suoi immediati collaboratori e la leadership indiretta detta anche leadership ‘a distanza’, che consiste nell’influenza di un leader riconosciuto su persone che non sono subordinate direttamente a lui/lei. 67 Definizioni Per il concetto di leadership esistono diverse definizioni qualificabili differentemente in base all’approccio teorico adottato. In base ai diversi significati che i diversi approcci attribuiscono alla figura del leader e a seconda dei parametri presi in considerazione dai ricercatori, si avranno tre categorie di definizioni, ognuna delle quali focalizza l’attenzione su alcuni elementi che ne influenzeranno lo sviluppo di una definizione. • La prima categoria di definizioni è caratterizzata dall’attenzione ai tratti e alle capacità caratteristiche dei leader o alla funzione di conduzione. Questo insieme di definizioni esamina solo le qualità intrinseche del leader, trascurando il contesto. 68 • Il secondo insieme di definizioni focalizza l’attenzione sul controllo, sulla spinta, sulla direzione delle azioni o degli atteggiamenti che un soggetto riesce ad imprimere ad altri soggetti o ad un gruppo, con la più o meno acquiescenza dei seguaci, senza usare la coercizione. Con queste definizioni non si riconosce una categoria speciale di persone che sono leader, ne che particolari azioni o qualità conferiscano la leadership. Si tratta di un complesso di definizioni denominate anche funzionaliste 69 • La terza categoria di definizioni si dedica all’azione di influenza, qualunque essa sia, che determina un cambiamento utile al raggiungimento degli obiettivi del gruppo. Questo terzo significato appare come valutativo: esso sembra sottintendere che una leadership auto-centrata non è leadership autentica e che tutto si debba o si possa comunque ridurre ad un problema di influenzamento, per di più ad una sola via. . 70 Definizione La leadership è il processo attraverso il quale si influenzano le attività di un gruppo organizzato, nei suoi sforzi per la fissazione e il perseguimento dei propri obiettivi R.M.Stogdill,1950 71 Elementi della leadership • Influenza : come ottenere che gli altri si comportino in un dato modo • Gruppo :il contesto in cui la laedership si esercita • Obiettivi: lo scopo dell’influenzamento è di incidere sul modo in cui il gruppo stabilisce o persegue i propri pbiettivi 72 Altra definizione di leadership La leadership è il processo attraverso il quale si attribuisce senso all’organizzazione, ai suoi obiettivi ae alle sue azioni e si costruisce consenso sociale attorno a tale senso J.Pfeffer,1981 73 Il leader come produttore di senso • Ri-definisce per gli altri la realtà organizzativa • Fornisce una direzione e uno scopo elaborando una visione • Incide sui comportamenti influenzando il modo di pensare degli altri riguardo a ciò che è importante, possibile,necessario 74 Comportamento direttivo Definizione: maggiore orientamento verso la comunicazione ad una via,chiarire esplicitamente il ruolo di collaboratore,dirgli cosa deve fare,dove,quando e come,controllare assiduamente il suo livello di prestazione. Strutturare Controllare Supervisionare 75 Il leader : Stabilisce mete ed obiettivi Pianifica ed organizza il lavoro in anticipo Comunica costantemente le priorità di lavoro Chiarisce il ruolo del leader e del collaboratore 76 Il leader: Sceglie le opportunità Determina i metodi di valutazione Dimostra al collaboratore come svolgere un compito specifico Controlla il lavoro 77 Comportamento supportivo Definizione: Maggiore orientamento verso la comunicazione a due vie Ascoltare e fornire supporto e incoraggiamento Facilitare le interazioni Coinvolgere il collaboratore nel processo di decisione 78 Comportamento supportivo • Apprezzare il lavoro che viene svolto • Ascoltare le opinioni,le lamentele • Aiutare nei momenti di difficoltà,nei problemi 79 Comportamento supportivo Il leader: Fornisce informazioni circa l’andamento generale dell’organizzazione Rivela aspetti personali Facilita la risoluzione dei problemi del collaboratore Ascolta i problemi del collaboratore Elogia il collaboratore Chiede suggerimenti o informazioni Incoraggia o rassicura 80 Prospettive e funzioni della leadership • Leadership funzionale tecnica:emerge attraverso giochi di influenza particolarmente legati al potere dell’esperto e alla sua competenza • Leadership relazionale e socio emotiva: ha effetti sul clima e sulla produzione del gruppo e sulla qualità delle interazioni e comunicazioni • Leadership normativa e attitudine gerarchica: emerge attraverso giochi di influenza particolarmente legati al rispetto delle norme e degli obblighi organizzativi e istituzionali; esprime un ascendente personale verso l’ottemperanza 81 Tipologie della leadership • Leader carismatico: considerato infallibile e circondato di sacralità • Leader tradizionale:considerato autoritario e protettivo • Leader democratico: considerato partecipativo 82 La motivazione La motivazione è l'espressione dei motivi che inducono un individuo a una determinata azione. Da un punto di vista psicologico può essere definita come l'insieme dei fattori dinamici aventi una data origine che spingono il comportamento di un individuo verso una data meta; ogni atto che viene fatto senza motivazioni rischia di fallire. La motivazione svolge fondamentalmente due funzioni: attivare e orientare comportamenti specifici. Nel primo caso si fa riferimento alla componente energetica di attivazione della motivazione. Nel secondo caso si fa riferimento alla componente direzionale di orientamento 83 È possibile fare una prima distinzione tra motivazioni biologiche, innate, che fanno riferimento a elementi fisiologici, ed elementi motivazionali di tipo psicologicocognitivo, il cui dispiegamento è avvenuto durante l'esperienza. Il meccanismo motivazionale si esplica come continuo interagire di questi due elementi. Un'altra distinzione fondamentale avviene attraverso il concetto di motivazione intrinseca, o motivo, non sempre o pienamente consapevole alla coscienza del soggetto, e motivazione estrinseca, quella che il soggetto dichiara verbalmente. Per motivazione si intende uno stato interno che attiva, dirige e mantiene nel tempo il comportamento di un individuo. La motivazione è un concetto molto ampio che viene suddiviso in tre filoni principali: la motivazione estrinseca, la motivazione intrinseca e l'orientamento motivazionale. 84 La motivazione estrinseca La motivazione estrinseca avviene quando un soggetto si impegna in un'attività per scopi che sono estrinseci all'attività stessa, quali, ad esempio, ricevere lodi, riconoscimenti, buoni voti o per evitare situazioni spiacevoli, quali un castigo o una brutta figura. 85 La motivazione intrinseca La motivazione intrinseca, al contrario, avviene quando un soggetto si impegna in un'attività perché la trova stimolante e gratificante di per se stessa, e prova soddisfazione nel sentirsi sempre più competente. La motivazione intrinseca è basata sulla curiosità, che viene attivata quando un individuo incontra caratteristiche ambientali strane, sorprendenti, nuove; in tale situazione la persona sperimenta incertezza, conflitto concettuale e sente il bisogno di esplorare l'ambiente alla ricerca di nuove informazioni e soluzioni. Importante per la motivazione intrinseca è, inoltre, la padronanza, cioè il bisogno di sentirsi sempre più competenti (come sopra accennato). 86 L’orientamento motivazionale L'orientamento motivazionale, infine, sta a sottolineare l'evolversi degli studi: dal termine "motivazione" si è giunti a valutare "orientamento motivazionale" come più appropriato, in quanto, secondo l'approccio cognitivista, un alunno costruisce attivamente il suo orientamento motivazionale. Ciò avviene grazie alla rappresentazione degli obiettivi che l'alunno stesso vuole raggiungere o evitare; l'alunno percepisce i propri mezzi e limiti, attraverso la stima di sé, e l'attribuzione causale, cioè attribuire i propri successi/insuccessi a cause interne/esterne, stabili/instabili, controllabili/incontrollabili. (dove per interne-stabilicontrollabili si intendono abilità-impegno-uso di strategie appropriate / per esterne-instabili-incontrollabili si intendono fortuna-malessere temporaneo-attività troppo difficile-pregiudizi altrui). 87 La piramide dei Bisogni di Abraham Maslow • • • Una teoria che incentra il costrutto di motivazione come base dello sviluppo individuale è la piramide dei bisogni di Abraham Maslow, che identifica sei fasi di crescita, successive e consecutive, tutte incentrate su bisogni dal più semplice (legato all'aspetto fisiologico) al più complesso (legato all'autorealizzazione): Bisogni fisiologici, la prima motivazione sviluppata, legati agli stati fisici necessari per vivere ed evitare il disagio (acqua, cibo, urina, feci, igiene) Bisogni di sicurezza, si manifestano solo dopo aver soddisfatto i bisogni fisiologici, e constano della ricerca di contatto e protezione. Bisogni di appartenenza, desiderio di far parte di un'estesa unità sociale (famiglia, gruppo amicale), che nasce solo dopo aver soddisfatto i bisogni di sicurezza. 88 • Bisogni di stima, esigenza di avere dai partner dell'interazione un riscontro sul proprio apporto e sul proprio contributo, si attiva solo dopo aver soddisfatto i bisogni interpersonali. • Bisogni di indipendenza, esigenza di autonomia, realizzazione e completezza del proprio contributo, si attiva solo dopo aver soddisfatto i bisogni di stima. • Bisogni di autorealizzazione, bisogno di superare i propri limiti e collocarsi entro una prospettiva super-individuale, essere partecipe col mondo 89 90 Le motivazioni cognitive e secondarie Questo secondo livello delle motivazioni riguarda gli aspetti che muovono il comportamento umano verso condotte di tipo sociale, e, dal punto di vista dello studio, vengono spesso ricondotte a variabili di tipo cognitivo-affettivo. Vengono identificati 3 motivazioni fondamentali: • Il bisogno del successo (o della riuscita) rispecchia il desiderio di successo e la paura per il fallimento. • Il bisogno di appartenenza combina i desideri di protezione e socialità con la paura per il rifiuto da parte di altri. • Il bisogno di potere riflette i desideri di dominio e il timore di dipendenza. 91 Gli individui differiscono nella forza di ciascuno di tali motivi, inoltre le situazioni variano nel grado in cui incentivano l'uno o l'altro motivo. Un ruolo significativo è attribuito ai processi cognitivi che catalogano gli stimoli in relazione ai motivi, determinando natura e intensità dei vettori motivazionali. I motivi impliciti che spingono all'azione, sono originati dagli incentivi esterni che attivano specifiche reazioni emotive. Successivamente, con l'apprendimento, si sviluppa uno schema cognitivo che organizza queste reazioni emotive in categorie positive e negative, delineando così gli stimoli da ricercare e quelli da allontanare. Con l'esperienza e l'apprendimento, un numero sempre maggiore di situazioni si associa a questi forti incentivi, consolidando il motivo e trasformandolo in motivazione esplicita. 92 La comunicazione La comunicazione non è soltanto un processo di trasmissione di informazioni . In italiano, il termine "comunicazione" ha il significato semantico di "far conoscere", "rendere noto". La comunicazione è un processo costituito da un soggetto che ha intenzione di far sì che il ricevente pensi o faccia qualcosa. 93 La comunicazione riguarda sia l'ambito quotidiano (ad esempio un colloquio tra amici) sia l'ambito pubblicitario e delle pubbliche relazioni: in ciascuno di questi ambiti la comunicazione ha diverse finalità. Gli agenti della comunicazione possono essere persone umane, esseri viventi o entità artificiali. Infatti è colui che "riceve" la comunicazione ad assegnare a questa un significato, per cui è la potenzialità creativa dell'essere umano ad assegnare significati ad ogni cosa, creando il "sistema comunicazione" con le sue due caratteristiche: l'immaginazione e la creazione di simboli. 94 Il concetto di comunicazione comporta la presenza di un'interazione tra soggetti diversi: si tratta in altri termini di una attività che presuppone un certo grado di cooperazione. Ogni processo comunicativo avviene in entrambe le direzioni e, secondo alcuni, non si può parlare di comunicazione là dove il flusso di segni e di informazioni sia unidirezionale. Se un soggetto può parlare a molti senza la necessità di ascoltare, siamo in presenza di una semplice trasmissione di segni o informazioni. 95 Nel processo comunicativo che vede coinvolti gli esseri umani ci troviamo così di fronte a due polarità: da un lato la comunicazione come atto di pura cooperazione, in cui due o più individui "costruiscono insieme" una realtà e una verità condivisa ; dall'altro la pura e semplice trasmissione, unidirezionale, senza possibilità di replica, nelle varianti dell'imbonimento televisivo o dei rapporti di caserma. Nel mezzo, naturalmente, vi sono le mille diverse occasioni comunicative che tutti viviamo ogni giorno, in famiglia, a scuola, in ufficio, in città. 96 Un modello formale di comunicazione • • • • • • Generalmente si distinguono diversi elementi che concorrono a realizzare un singolo atto comunicativo: emittente: la fonte delle informazioni effettua la codifica di queste ultime in un messaggio ricevente: accoglie il messaggio, lo decodifica, lo interpreta e lo comprende codice: parola parlata o scritta, immagine, tono impiegata per "formare" il messaggio canale: il mezzo di propagazione fisica del codice (onde sonore o elettromagnetiche, scrittura, bit elettronici) contesto: l' "ambiente" significativo all'interno del quale si situa l'atto comunicativo referente: l'oggetto della comunicazione, a cui si riferisce il messaggio. 97 Il processo comunicativo ha una intrinseca natura bidirezionale, quindi il modello va interpretato nel senso che si ha comunicazione quando gli individui coinvolti sono a un tempo emittenti e riceventi messaggi. In realtà, anche in un monologo chi parla ottiene dalla controparte un feedback continuo, anche se il messaggio non è verbale, un esempio ne è la frase: "parla quanto vuoi, io non ti ascolto". Questo fenomeno è stato riassunto con l'assioma) secondo il quale, in una situazione in presenza di persone, "non si può non comunicare“. Perfino in una situazione anonima come in un vagone della metropolitana noi emettiamo per i nostri vicini continuamente segnali non verbali (che significano pressappoco "anche se sono a pochi centimetri da te, non ti minaccio e non intendo immischiarmi nella tua sfera intima"), e i nostri compagni di viaggio accolgono il messaggio, lo confermano e lo rinforzano ("bene; lo stesso vale per me nei tuoi confronti"). 98 Già da questo semplice modello possiamo individuare diversi aspetti potenzialmente problematici del processo comunicativo: • Il processo di comunicazione, pur essendo formalmente cosa separata dal mezzo attraverso il quale avviene, ne è altamente influenzato: se utilizzo il codice Morse, cercherò di limitare il messaggio allo stretto necessario, se utilizzo una lettera userò un tono tendenzialmente più formale rispetto ad una telefonata. Il mezzo influenza la comunicazione e quindi si potranno individuare dei mezzi di comunicazione particolarmente adatti a trattare un certo argomento, ma inadatti ad un altro. • Non è detto che il gran numero di singoli messaggi, verbali e non verbali, emessi in un dato momento , siano sempre congruenti tra loro. Posso dire due cose diverse con le parole e con i gesti (ad esempio dire al mio rivale in amore "lieto di conoscerti" con un'espressione del volto assai contrariata). • Non è detto che l'interpretazione del contesto all'interno del quale avviene lo scambio comunicativo sia sempre identica o congruente. Nell'aula di una scuola, il docente potrà pensare di avere uno stile partecipativo e "democratico", mentre lo studente potrà sentirsi parte di una relazione asimmetrica e autoritaria. 99 Modelli di comunicazione interpersonale Alcuni studiosi hanno introdotto una differenza di fondamentale importanza nello studio della comunicazione umana: ogni processo comunicativo tra esseri umani possiede due dimensioni distinte: da un lato il contenuto, ciò che le parole dicono, dall'altro la relazione, ovvero quello che i parlanti lasciano intendere, a livello verbale e più spesso non verbale, sulla qualità della relazione che intercorre tra loro. 100 Il modello di comunicazione interpersonale che distingue quattro dimensioni diverse, il cosiddetto "quadrato della comunicazione": • contenuto: di che cosa si tratta? (lato blu del quadrato, in alto) • relazione: come definisce il rapporto con te, che cosa ti fa capire di pensare di te, colui che parla? (lato giallo, in basso). • rivelazione di sé: ogni volta che qualcuno si esprime rivela, consapevolmente o meno, qualcosa di sé (lato verde, a sinistra). • appello: che effetti vuole ottenere chi parla? Ciò che il parlante chiede, esplicitamente o implicitamente, alla controparte di fare, dire, pensare, sentire. (lato rosso, a destra). 101 Queste quattro dimensioni si possono tener presenti sia nel formulare messaggi che nell'ascolto e nell'interpretazione dei messaggi di altri Questo modello visualizza come noi si sia sempre liberi di assegnare a qualsiasi comunicazione un significato oppure un altro, evidenzia così il potere di chi ascolta nel contribuire a definire la qualità di una interazione. Con un poco di allenamento è possibile, ad esempio, sintonizzarci sull‘uno o sull’altro di queste dimensioni e chiederci, dentro di noi, di fronte ad una comunicazione che per es.ci pare irritante : "come si sente, la persona che parla, per sentire il bisogno di parlarmi in questo modo?" 102 103