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Psicologia del lavoro e delle organizzazioni

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Psicologia del lavoro e delle organizzazioni
Psicologia del lavoro e delle
organizzazioni
Dott.ssa Rossella Paolicchi
1
Definizione
La psicologia del lavoro o psicologia delle
organizzazioni è lo studio dei comportamenti delle
persone nel contesto lavorativo e nello svolgimento della
loro attività professionale in rapporto alle relazioni
interpersonali, ai compiti da svolgere, alle regole e al
funzionamento dell'organizzazione.
In altre parole, la psicologia delle organizzazioni prende i
modelli e le teorie della psicologia e li applica
all'ambiente di lavoro, cercando di:
• favorire sia il massimo benessere per le persone che
lavorano, sia il massimo vantaggio per l'organizzazione
per cui lavorano;
• migliorare le condizioni psicologiche, la motivazione ed i
rapporti con gli interlocutori di ruolo, con l'azienda e con
l'ambiente di lavoro in genere.
2
La psicologia delle organizzazioni, quindi,
utilizza molti degli aspetti propri della psicologia
generale, nell'ambito organizzativo-gestionale. I
campi d'applicazione della psicologia delle
organizzazioni sono soprattutto: la gestione del
personale, la leadership, la selezione, la
valutazione, la formazione professionale, la
comunicazione e i rapporti, le dinamiche di
gruppo, la motivazione al lavoro, il sistema
premi-punizioni, lo sviluppo della carriera.
3
Le origini
La psicologia delle organizzazioni nasce come
psicologia industriale. La denominazione psicologia
industriale apparve per la prima volta nel 1904, in un
articolo di Bryan, come un errore tipografico al posto di
psicologia individuale; negli Stati Uniti questo termine
venne usato fino agli anni '70. Negli anni ’50 per indicare
la psicologia del lavoro, nella letteratura anglosassone,
entrò in uso l’espressione Occupational Psychology, che
negli Stati Uniti era invece riferita solo allo studio
dell’orientamento professionale. Fu in Italia, in un
convegno del 1951, che Alberto Marzi propose di
utilizzare l'espressione Psicologia del lavoro invece di
psicologia industriale.
4
Elton George Mayo nel 1920 dette con i suoi studi, alla
psicologia industriale un ruolo fondamentale nell'ambito
delle scienze sociali ed organizzative. Mayo, fondatore
della scuola delle Human Relations, attraverso gli
esperimenti condotti presso lo stabilimento di Hawthorne
della Western Electric, fu il primo a descrivere
scientificamente il collegamento tra elementi sociali,
come le relazioni nel gruppo e il gioco di squadra, con
elementi tangibili come la produttività e i risultati.
Individuò quello che viene definito effetto Hawthorne,
fenomeno per cui i lavoratori ai quali viene affidata una
nuova esperienza interessante, lavorano di più e meglio.
Da altre sue ricerche Mayo concluse che:
5
• L’uomo è fondamentalmente motivato da bisogni di
natura sociale, e si costruisce nel rapporto con gli altri il
suo senso di identità
• In conseguenza della rivoluzione industriale e
dell’organizzazione scientifica del lavoro, il lavoro stesso
è privo di significato intrinseco, che va ricercato nelle
relazioni sociali che si formano sul lavoro
• Il lavoratore è più influenzato dalla forza sociale del
gruppo, che da incentivi e controlli della Direzione
• Il lavoratore risponde alla Direzione nella misura in cui
essa ne rispetta i bisogni sociali.
6
Queste nuove concezioni vanno ad opporsi all’
immagine di Homo oeconomicus, la quale
sosteneva che l’uomo è motivato in primo luogo
da interessi economici e che ogni sentimento o
altro interesse devono essere eliminati in modo
che non interferiscano con il calcolo razionale
dell’interesse economico. Al concetto di uomo
economico si contrappose quello di uomo
psicologico. In questa nuova visione viene
riconosciuta l’importanza dei sentimenti e delle
emozioni, che vanno ad influenzare la sua
prestazione lavorativa.
7
La psicologia del lavoro, una volta evidenziati questi
nuovi paradigmi, cercò di dare il suo contributo per
migliorare le condizioni dei lavoratori. Innanzitutto
esplorò il campo della "human engineering", allo scopo
di individuare le condizioni di lavoro più adatte alle
proprietà sensoriali, fisiche e sociali del lavoratore
(buona visibilità dell'ambiente, livello acustico
sopportabile, leggibilità delle apparecchiature, postura
durante il lavoro, meccanizzazione per risparmiare
energia fisica, durata del lavoro e intervalli).
8
Una svolta metodologica importante della psicologia del
lavoro, si ha con gli studi e le sperimentazioni effettuati
dalla scuola socio-analitica che a Londra, negli anni ‘50,
al Tavistock Institute of Human Relations, mise a punto
un metodo di ricerca per applicare al comportamento
sociale, i fondamenti della psicoanalisi freudiana. Con
questo modello metodologico fu realizzato un intervento
per la Glacier Metal Company (1948), sotto la guida di
Elliot Jaques, per la sperimentazione di nuovi metodi di
gestione nell'ambito dell'organizzazione aziendale. Nello
stesso periodo, l'Istituto Londinese attuò una ricerca sui
metodi produttivi nelle miniere di carbone. Questi studi e
sperimentazioni portarono alla definizione del modello
organizzativo dell'azienda come sistema aperto, una
rappresentazione dell'organizzazione ricca di sviluppi e
di applicazioni sia teoriche sia pratiche.
9
• In Italia, la psicologia del lavoro nacque tra la fine del XIX secolo e i
primi anni del XX, in concomitanza con la rivoluzione industriale;
infatti già ai primi del Novecento a Modena venne fondato un
laboratorio di psicologia del lavoro.
Il mondo italiano dei ricercatori era molto fertile in quegli anni, basti
pensare all'invenzione della definizione di "Psicotecnica" effettuata
da Guido Dalla Valle, oltre alla figura di Agostino Gemelli,
considerato il padre della psicologia del lavoro in Italia, che dal 1908
in poi si attivò con una lunga serie di iniziative in questo ambito:
studi, ricerche, riviste scientifiche e insegnamento. Nel 1921 trasferì
da Torino a Milano la sede del Laboratorio di psicologia
sperimentale, eppure nonostante tutti questi sforzi profusi, ancora
nel 1923, quando fu organizzato a Milano, sempre da Gemelli il
terzo Congresso internazionale di psicologia applicata all'esercizio
professionale, l'attenzione generale, in Italia, fu pressoché nulla.[1]
10
• Fu sempre Gemelli a polemizzare con il filosofo e
ministro del governo fascista Giovanni Gentile, a causa
del tentativo di asservire e inaridire la psicologia al
potere economico e politico, e nel caso tedesco, dopo il
1933, addirittura di annientarla.[2]
• In Italia negli anni venti e trenta, mancò la
determinazione ed il coraggio di mutare la psicotecnica
in psicosociologia, a causa di fattori politici, della scarsa
penetrazione della psicanalisi, della mancanza di
strumenti essenziali come la ricerca e la scuola; questo
fatto indusse gli psicologi ad allontanarsi dal mondo del
lavoro, per rientrarvi solo nel secondo dopoguerra,
quando incapparono, a causa di un ritardo formativo,
giuridico, culturale, in una serie di equivoci e conflitti sia
con le organizzazioni sindacali e gli imprenditori, sia con
altri gruppi di ricercatori appartenenti ad altre discipline
affini, come la medicina del lavoro, la sociologia[3].
11
• In Italia, ancora nel 1961, il 90 per cento delle attività dei centri di
psicologia del lavoro si occupava della selezione del personale, e
solo in seguito i processi selettivi sono stati convertiti in orientativi.[4]
Ma proprio in quegli anni il quadro dello sviluppo della psicologia del
lavoro era sconfortante, perdurando l'assenza di Facoltà di
psicologia, annoverando solo una scuola di specializzazione
disponibile ai laureati in medicina o in filosofia. Quindi il numero
degli operanti nell'industria a livello nazionale era stimato a poche
decine, a fronte, di una richiesta, dal mondo del lavoro, stimabile
intorno al migliaio.
• Il 16 maggio 1961 nacque, a Milano, l'Associazione per la psicologia
italiana del lavoro nella duplice veste di coordinatrice delle
esperienze e delle professionalità degli psicologi e di
sensibilizzatrice degli enti e degli ambienti interessati e coinvolti
nello studio e nella ricerca.
Nel 1962 venne elaborata la relazione Miotto che rappresentò il
primo tentativo dell'era post-Gemelli di denunciare l'incomprensione
esistente tra la psicologia ed il mondo del lavoro, oltre ad elencare
minuziosamente le possibili applicazioni della psicologia.
12
Definizioni e differenze
• La Psicologia del lavoro e la psicologia delle Organizzazioni sono
due discipline unite nel loro complesso, ma distinte da alcune
peculiarità.
• La psicologia del lavoro si occupa dell'analisi psicologica delle
interazioni tra individuo ed attività lavorativa. All'individuo viene
richiesto lo svolgimento di un compito all'interno dell'organizzazione.
Tale compito comprende al suo interno numerose variabili che
vanno ad influenzare la messa in opera da parte dell'individuo
stesso: il carico di lavoro, l'ambiente lavorativo, gli atteggiamenti
verso l'attività lavorativa, le caratteristiche del soggetto e le sue
aspettative, il clima lavorativo ecc.
• La psicologia delle organizzazioni si occupa dell'analisi psicologica
del comportamento di individui e gruppi in relazione al
funzionamento delle organizzazioni. In questo campo l'individuo è
visto come un soggetto membro di un gruppo definito
organizzazione. Vengono analizzati i sistemi di interdipendenza tra
individui ed organizzazione che portano al raggiungimento di uno
scopo comune e le relazioni che possono portare miglioramenti
all'interno del gruppo.
13
La ricerca in una fase iniziale, si pose l’obiettivo di
trovare le modalità di apprendimento maggiormente
funzionali (tempi e movimenti). Si iniziarono a studiare
gli strumenti per la selezione professionale, a seguire un
giusto criterio di "collocamento" e a studiare le
dinamiche di gruppo; a livello preventivo, vennero
approfondite le probabilità di rischi infortunistici per ogni
candidato.
Il nuovo concetto di lavoro subisce l’influenza di due
scuole: da quella psicoanalitica deriva l’idea di uomo
come possessore di una parte inconscia e, quindi, come
attore di comunicazioni non solo razionali ma anche
simboliche; dalla psicologia sociale eredita la
concezione di pensiero collettivo, che introduce
definitivamente nella definizione di lavoro, la dimensione
sociale e gruppale
14
Altri costrutti teorici cui la psicologia delle
organizzazioni fa riferimento sono: la
teoria dei sistemi, i principi della
termodinamica e l'entropia, la nascente
scienza della complessità.
15
La scuola socio-analitica è una scuola
innovativa di psicologia del lavoro che
nell'immediato dopoguerra, presso il
Tavistock Institute of Human Relations di
Londra, mise a punto un metodo di ricerca
per applicare al comportamento sociale i
fondamenti della psicoanalisi freudiana.
16
La supremazia, nel corso dell'ultimo
secolo e mezzo, è stata spesso attribuita
alla componente tecnico-organizzativa,
soprattutto grazie al grande sviluppo dei
modelli organizzativi derivati dal
Taylorismo ed alle sue diverse applicazioni
ed evoluzioni. Di contro, la componente
umana, ha spesso fatto fatica a prevalere,
pur avendo avuto sostenitori autorevoli,
come Elton Mayo.
17
Modello dell'esagono
Il modello dell'azienda, come sistema aperto del
Tavistock Institute ha portato a pensare che :
obiettivi e strategie, tecnologia, organizzazione,
sistema sociale, persone sono variabili
interdipendenti e di pari importanza per
l'azienda. Questo è noto anche come modello
dell'esagono. Nella rappresentazione
dell'esagono le sei variabili del sistema azienda
sono raggruppate in tre famiglie: variabili
tecniche, sociali e socio-tecniche.
18
Variabili tecniche
Le variabili tecniche rappresentano la struttura, i ruoli e
i meccanismi operativi dell'azienda, riguardano gli
aspetti tecnici e organizzativi. Struttura e ruoli sono le
variabili organizzative per eccellenza e si riferiscono
quindi a tutto ciò che è appartiene al dominio cognitivo e
metodologico dell'organizzazione.
Le variabili struttura e ruoli riguardano : l’
organigramma ( collegamenti gerarchici e funzionali tra
le posizioni, modello organizzativo globale), la
disposizione e il contenuto dei ruoli presenti nella
struttura (scopo della posizione, responsabilità, attività,
tempi e metodi di lavoro) e il disegno funzionale
dell'organizzazione.
19
I meccanismi operativi sono i meccanismi
organizzativi e gestionali che consentono e
facilitano, il funzionamento della macchina
organizzativa e ne determinano le caratteristiche
operative. Fanno parte quindi di questa famiglia
le procedure, i regolamenti e le disposizioni
interne, i sistemi di pianificazione, monitoraggio
e controllo, il sistema informativo ed informatico,
i regolamenti e le normative inerenti il compito
primario, il sistema di gestione e sviluppo delle
risorse umane .
20
Variabili sociali
Le variabili sociali comprendono il clima, la cultura, i
valori e le persone. Sono le variabili inerenti gli aspetti
socio-psicologici del sistema azienda, il lato destro
dell'esagono.
Clima, cultura e valori sono le componenti sociali del
sistema azienda che definiscono gli elementi
d'aggregazione, le caratteristiche, le finalità, le regole di
comportamento e di relazione dei gruppi e delle persone
all'interno dell'organizzazione e verso l'esterno.
Le persone sono il patrimonio di risorse umane
dell'organizzazione descritto in termini di qualità,
quantità, adeguatezza al ruolo, potenzialità di crescita,
competenze, professionalità.
21
Variabili socio-tecniche
Le variabili socio-tecniche comprendono gli obiettivi, le
strategie e il sistema premiante. Sono variabili di
natura mista, sia tecnica sia sociale .
Gli obiettivi e le strategie sono il ponte che connette il
sistema azienda con il suo ambiente di riferimento e
consentono di tradurre le opportunità ed i vincoli posti
dall'ambiente, in requisiti e linee guida per il sistema
stesso.
Il sistema premiante include i principi, le modalità e le
regole attraverso cui si premiano i risultati e i
comportamenti attesi. La parte tecnica del sistema
premiante, riguarda gli aspetti collegati al ruolo, alla
prestazione, agli obiettivi. La parte sociale coinvolge
invece gli aspetti motivazionali e comportamentali.
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Applicazioni del modello dell’esagono
Il modello dell'azienda come sistema aperto, ha
come base teorica la teoria dei sistemi, fornisce
un adeguato costrutto concettuale ed una
metodologia per la progettazione dei sistemi
organizzativi, coinvolgendo
contemporaneamente, in modo armonico ed
interdipendente, tutte le dimensioni del sistema
azienda, in modo tale che non è possibile agire
su una o più dimensioni, senza influenzare e
determinare i comportamenti di tutte le altre.
23
Per capire meglio questo concetto consideriamo
il seguente esempio: un'università pubblica
definisce il suo nuovo piano strategico in base
all'obiettivo di incrementare del 20% all'anno,
per i prossimi tre anni, le iscrizioni alle facoltà
tecniche. Mette a punto una strategia basata
sullo sviluppo dell'immagine anche al di fuori del
territorio di competenza, il miglioramento della
qualità dei servizi agli studenti, la creazione di
una scuola post universitaria in grado di
realizzare master di alta qualità e rispondenza
alle richieste del mercato del lavoro.
24
Per rendere fattivo il piano strategico, è necessario
pianificare e realizzare un programma di cambiamento
che riguarda le altre cinque dimensioni dell'esagono.
Nell'ambito di questo piano, viene creata la posizione di
Responsabile Marketing e Sviluppo, prima non presente
(struttura e ruoli). Questa posizione, per funzionare,
necessita di essere inserita in un flusso informativo
interno ed esterno e di collegarsi ad altre funzioni, ad
esempio quella preposta alla progettazione didattica
(meccanismi operativi), potendo influenzare ed
indirizzare le azioni di queste funzioni e scambiare con le
stesse le informazioni indispensabili per operare. Tutto
ciò ha un'influenza importante sulla cultura
organizzativa, che deve evolversi verso modelli di
maggiore orientamento ed attenzione ai propri clienti
esterni – gli studenti – ed interni – i colleghi che
partecipano all'erogazione del servizio (clima, cultura e
valori).
25
Inoltre è necessario individuare all'interno, oppure
acquisire dall'esterno, una o più persone in grado di
ricoprire in modo efficace la posizione (persone, ruoli ),
come pure sarà necessario attivare un'azione formativa
per il personale coinvolto nel progetto. Infine,
difficilmente questo progetto produrrà risultati se non
sarà sostenuto da opportune azioni retributive ed
incentivanti (sistema premiante), realizzate in modo
tale da non creare squilibri e sperequazioni retributive e
di carriera all'interno. In sintesi, anche agendo su una
singola dimensione del sistema azienda, tutte le altre
dimensioni sono influenzate e se non si controlla il
processo in modo mirato e consapevole, si rischia di
produrre eventi e reazione che faranno fallire il progetto
di cambiamento o ne faranno sfuggire il controllo a chi
governa l'azienda stessa.
26
La visione sistemica dell'azienda ha dato vita ad un
modo nuovo di affrontare la progettazione e l'attuazione
dei cambiamenti organizzativi, lo sviluppo
organizzativo nel suo insieme.
E’ un approccio innovativo che tratta il sistema
organizzativo come una struttura vitale, in costante
evoluzione, integrando modelli e metodi di progettazione
ed implementazione dell'organizzazione.
27
Lo sviluppo organizativo
Lo sviluppo organizzativo si definisce come una serie
d'attività basate sui concetti e metodi della scienza del
comportamento, e destinate a rafforzare l'efficienza
complessiva e lo stato di salute dell'organizzazione.
Temi principali sono l'ambiente organizzativo, lo scambio
d'informazioni, la comunicazione, la costituzione di
gruppi di lavoro, l'istituzione di rapporti di collaborazione
tra unità ed altri temi simili. Una speciale attenzione è
rivolta all'individuazione e alla trasformazione dei valori,
atteggiamenti, relazioni interpersonali e processi
organizzativi.
Operare secondo il modello dello sviluppo organizzativo
significa progettare, gestire e monitorare
l'organizzazione nel continuum temporale nel quale essa
si colloca, creando i presupposti perché l'organizzazione
stessa sviluppi i propri processi evolutivi nella direzione
voluta.
28
Lo sviluppo organizzativo genera organizzazioni
dinamiche, per le quali la rispondenza agli obiettivi
specifici di progetto, è solo il requisito di base di
partenza, la condizione necessaria ma non sufficiente,
mentre la vera qualità viene dalla capacità
dell'organizzazione stessa di autoaggiornarsi, di
mantenere, anzi di accrescere le proprie capacità,
sviluppandosi come un organismo vivente che è in grado
di apprendere dalle esperienze. Si paragona
l’oganizzazione ai sistemi viventi ( Bertalanffy e più
recentemente, un importante contributo teorico ci viene
dagli studi di Humberto Maturana e Francisco Varela sui
sistemi autopoietici )
29
Queste considerazioni dimostrano che la
psicologia del lavoro ha sempre più
bisogno di conoscere modelli e costrutti
teorici di altre discipline, anche d'origini
lontane, per integrare i suoi modelli ed
approcci, coerentemente con gli sviluppi
dell'epistemologia, verso un recupero di
quella trasversalità e multidisciplinarità che
ha caratterizzato per migliaia di anni la
conoscenza umana.
30
La psicologia sistemica
In questa prospettiva la famiglia viene vista come un
sistema, ossia come un'entità che possiede
caratteristiche, regole e norme proprie; diviene così
possibile comprendere i meccanismi e le dinamiche di
tale sistema nel momento in cui si analizzano e rendono
chiari i criteri alla base del suo funzionamento. Questo è
lo stesso principio che sta alla base della società
organizzata all'interno della quale ogni persona possiede
un suo posto, un suo ruolo e interagisce con gli altri. La
famiglia, che a sua volta è inserita in un contesto più
ampio che è quello della società, possiede dunque una
sua struttura di regole e meccanismi che la portano ad
evolvere in un certo modo e, ogni suo membro,
contribuisce al suo sviluppo
31
• La teoria della comunicazione del Gruppo di Palo Alto
Uno dei pilastri del modello milanese è il lavoro sulla comunicazione
di Paul Watzlawick e del suo gruppo (Watzlawick, Beavin, Jackson,
1967; Watzlawick, Weakland, Fisch, 1974). La prospettiva per cui
ogni sintomo è una forma di comunicazione offriva un modello assai
efficace per intervenire in maniera incisiva e rapida su disturbi che
fino ad allora avevano costituito una sfida importante per i clinici:
Mara Selvini Palazzoli ne era restata colpita e aveva coagulato
attorno a sé una nutrita squadra di psicoanalisti disposti a tentare
una via nuova per curare, ad esempio, i disturbi alimentari – ai quali
da sempre si dedicava, da psicoanalista – con un metodo più
soddisfacente di quanto molto spesso non si dimostrasse quello
analitico tradizionale. Coinvolse nell’entusiasmo della scoperta un
buon numero di colleghi. Tra loro Luigi Boscolo, Gianfranco Cecchin
e Giuliana Prata, con i quali avrebbe pubblicato nel 1975
“Paradosso e controparadosso”. Era il nucleo fondatore del Milan
Approach.
32
Le ricerche di Palo Alto si rifacevano ai lavori dell’antropologo
Gregory Bateson; questi però, tempo dopo ritirò la propria
“benedizione” al gruppo, reo a suo avviso di aver messo le sue idee
al servizio di una tecnologia tesa a cambiare altre persone. L’idea
del gruppo era che il sintomo si comprendesse alla luce del contesto
relazionale del “paziente”. Esso era, in un certo senso, un modo
“normale” di rispondere a un contesto di comunicazione “insano”. In
particolare il comportamento schizofrenico era visto come la risposta
coerente a un contesto di comunicazione paradossale, il cosiddetto
“doppio legame”.
La teoria matematica dei tipi logici di Russell veniva posta a
fondamento di un modello della comunicazione sana: così come
non può darsi una classe che sia membro di sé stessa, allo stesso
modo il paradosso comunicativo viene visto come un “incidente
logico” nella comunicazione. L’individuo destinatario di una
comunicazione paradossale si trova in una situazione relazionale
indecidibile e pertanto fonte di angoscia.
33
Assunti della teoria dei sistemi
Sino al periodo successivo al secondo conflitto mondiale, con qualche timida
eccezione, si riteneva che i sistemi orientati ad uno scopo potessero essere
spiegati solo se si attribuiva ad essi un principio vitalistico, quale
superamento del meccanicismo riduzionista. Questo atteggiamento, proprio
di una scienza ancorata alle prassi positivistiche e alla riduzione alle cause
efficienti, fu messo in discussione con l'introduzione della Teoria dei sistemi
(per una trattazione più esauriente si veda Capra, 1996, e Malagoli Togliatti,
Telfner, 1983).
La Teoria dei sistemi si sviluppa quando viene riconosciuto che fenomeni
fisici e biologici possono presentare in sé la caratteristica di essere un’entità
intera dove parti fra loro differenti sono interconnesse e fra loro interagenti.
Parti in relazione tra loro tali per cui la loro somma è comunque diversa
dall’intero. Dove un qualsiasi cambiamento in una delle parti influenza la
globalità del sistema. Diviene fondamentale considerare la presenza di un
ulteriore elemento, invisibile alla logica meccanicistica, i “rapporti
organizzanti” cioè “schemi di relazioni insiti nella struttura fisica
dell’organismo” (Capra, op. cit., p. 36). Ogni sistema, nella propria
organizzazione, possiede caratteristiche proprie rispetto alla modalità di
elaborare le informazioni, all’adattamento al mutare delle circostanze,
all’autorganizzazione, all’automantenimento, indipendentemente dalla sua
composizione (Guttman, p. 40).
34
La teoria dei sistemi ha costituito una rivoluzione che ha alimentato
la speranza in una scienza unificata e onnicomprensiva dei sistemi:
“Sia che si tratti di organismi, sia che si tratti di società, le
caratteristiche essenziali dell’organizzazione sono costituite da
nozioni quali quelle di totalità, crescita, differenziazione, ordine
gerarchico, ascendenza, controllo, competizione ecc.” (von
Bertalanffy, 1967, p. 86). Insomma: il tutto è più della somma delle
sue parti, perché è “un tutto integrato, le cui proprietà derivano dalla
relazione delle sue parti” (Capra, op. cit., p. 38), oltre che dalle loro
caratteristiche. Non basta cioè conoscere bene gli individui di un
insieme per sapere cosa fanno. L'illusione di Laplace di poter
prevedere le conseguenze di un evento conoscendo lo stato iniziale
e il modo in cui gli elementi di un insieme reagiscono alle forze cui
sono sottoposti, viene a cadere.
Per sostenere questa tesi però è necessario passare dall'attenzione
ai singoli elementi all’attenzione per le relazioni che uniscono questi
elementi. Per dirla con Gregory Bateson, una mano non è cinque
dita: è quattro relazioni.
35
Il concetto di sistema (dal greco systanai, “porre
insieme”) ci permette di ampliare la prospettiva di
osservazione e, di conseguenza, le possibilità di
cambiamento. Se un sistema è un insieme di persone
che comunicano fra loro ed intessono relazioni, allora
quest’insieme è più che la somma delle parti, le singole
persone: l’unità di osservazione, il focus del lavoro è la
relazione anziché la mente individuale, e il contesto in
cui essa si trova; è anche la loro connessione strutturale
e “la danza di parti interagenti […] vincolata da
limitazioni fisiche […] e dai limiti imposti in modo
caratteristico dagli organismi” (Bateson, 1979, p. 27). È
un salto di prospettiva che, nella terapia, implica
l’abbandono dell’etichetta di “paziente” come della
patologizzazione, e piuttosto l’assunzione di una
prospettiva che colga la complessità delle relazioni.
36
Assunti della Cibernetica
A cavallo con il secondo conflitto mondiale è nata anche una nuova
branca della scienza chiamata cibernetica, definita come “la scienza
del controllo e della comunicazione nell’animale come nella
macchina”. Requisiti essenziali per l’operatività dei sistemi sono la
comunicazione e la regolazione attraverso la comunicazione.
Diventa quindi fondamentale il concetto di “informazione”:
l’informazione riguardante i risultati delle attività passate è riportata
nel sistema, influenzando così il suo comportamento futuro. Questo
processo, denominato retroazione autocorrettiva, è l’interesse della
Cibernetica.
Un sistema tende a mantenersi in uno stato di equilibrio (omeostasi)
e a regolare gli stati di disordine; a tale scopo mette in atto dei
meccanismi per correggere la sua azione. Il sistema sfrutta il
continuo scambio di informazioni che c’è fra i suoi elementi.
Modifica la propria struttura per raggiungere un nuovo ordine.
37
La grande novità della cibernetica nella cura della schizofrenia in particolare è
la possibilità di pensare al sintomo come un prodotto delle tendenze
omeostatiche del sistema. Il “malato” è visto come “paziente designato”:
designato dal sistema familiare a “produrre” un comportamento tale da
garantire che nulla cambi, che un conflitto potenzialmente distruttivo non
appaia alla luce, che un mito condiviso e necessario all’unità familiare non
venga messo in discussione.
Ma la cibernetica di cui abbiamo parlato fin qui è definibile come una
cibernetica “morfostatica”. Si occupa, cioè, del modo in cui i sistemi
rimangono uguali a sé stessi. È la cibernetica del feedback negativo, della
retroazione che minimizza il cambiamento e garantisce l’omeostasi del
sistema.
Maruyama (1963) usò l’espressione “seconda cibernetica” per definire la
cibernetica che si occupa del feedback positivo, una cibernetica
“morfodinamica”: la retroazione positiva provoca infatti un cambiamento,
una perdita di stabilità e di equilibrio. L’informazione in uscita rientra non per
minimizzare la deviazione, ma per amplificarla.
La prima cibernetica riguarda piuttosto il qui e ora, i pattern che
mantengono la stabilità; la seconda, che guarda al cambiamento, introduce
la dimensione temporale diacronica nell’osservazione del sistema.
38
Ma la cibernetica di cui abbiamo parlato fin qui è definibile come una cibernetica
“morfostatica”. Si occupa, cioè, del modo in cui i sistemi rimangono uguali a sé stessi.
È la cibernetica del feedback negativo, della retroazione che minimizza il
cambiamento e garantisce l’omeostasi del sistema.
Maruyama (1963) usò l’espressione “seconda cibernetica” per definire la cibernetica
che si occupa del feedback positivo, una cibernetica “morfodinamica”: la retroazione
positiva provoca infatti un cambiamento, una perdita di stabilità e di equilibrio.
L’informazione in uscita rientra non per minimizzare la deviazione, ma per
amplificarla.
La prima cibernetica riguarda piuttosto il qui e ora, i pattern che mantengono la
stabilità; la seconda, che guarda al cambiamento, introduce la dimensione temporale
diacronica nell’osservazione del sistema.
Descrivere il funzionamento dei sistemi in funzione di anelli di retroazione introduce
una prospettiva che supera la causalità lineare alla quale si usa ricondurre i fenomeni
che osserviamo. La causalità lineare vuole che, ad esempio, A sia la causa di B. A
sua volta, B potrebbe causare C che determina D. Ma se a questo punto
immaginiamo D come un’informazione che retroagisce su A, abbiamo un’idea di cosa
sia la causalità circolare. La cibernetica applicata ai sistemi viventi offre allora una
prospettiva per osservare sistemi complessi in un’ottica che renda ragione del livello
di complessità di cui ci si occupa.
39
Heinz von Foerster (1982) distingue “macchine banali” e “macchine non banali”. Le
prime sono caratterizzate da un input “x” e da un output “y”. Dal momento che esse
sono prevedibili e indipendenti dalla storia, saremo sempre in grado di prevedere y.
Nelle macchine non banali, al contrario, la risposta può cambiare nonostante lo
stimolo resti identico. Questo perché esse sono sensibili ai propri stati interni che von
Foerster indica con “z”. Al contrario delle macchine banali, dunque, esse sono
determinate dalla loro storia, e sono in larga misura imprevedibili.
Gli studiosi cileni Humberto Maturana e Francisco Varela (1980, 1987) forniscono un
ulteriore contributo per una scienza dei sistemi complessi. Essi sostengono che i
sistemi viventi sono “autopoietici”, cioè in grado di auto-organizzarsi, autoriprodursi
ed evolvere. Sono, insomma, più sensibili al loro stato interno che alle condizioni
esterne.
Questo vuol dire che i presupposti sistemici per cui gli elementi di un sistema sono
interdipendenti viene a cadere davanti all’evidenza che non è possibile cambiare “da
fuori” lo stato di un sistema? No. Vuol dire, però, che in nessun modo è possibile
modificare intenzionalmente lo stato di un sistema: il suo cambiamento non dipende
da un intervento esterno. Uno stimolo dell’ambiente può, per così dire, perturbare un
sistema: in qual modo, poi, il sistema interpreterà quella perturbazione, in che modo
esso si riorganizzerà per compensare i cambiamenti, è del tutto funzione delle
caratteristiche del sistema e della sua storia.
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I sistemi viventi, dunque, sebbene termodinamicamente aperti, sono chiusi
dal punto di vista dell’organizzazione. Ciò comporta che il luogo della
conoscenza, nei sistemi autopoietici, è interno al sistema: la vita è
conoscenza, e la conoscenza è il cambiamento di uno stato interno. Per
queste ragioni il contributo di von Foerster da una parte, e di Maturana e
Varela dall’altra, è noto con il nome di costruttivismo: la conoscenza – la vita
– è un processo di costruzione della realtà, non di percezione di qualcosa
che esiste oggettivamente “là fuori”.
Queste nuove teorie (v. Bertrando e Toffanetti, 2000, p. 287 e segg.) aprono
la strada, a cavallo degli anni 80, alla cosiddetta "cibernetica di secondo
ordine" (parliamo di cibernetica “del secondo ordine” nel senso che essa
compie un salto di ordine logico, dal sistema osservato al sistema
osservante che osserva il sistema osservato: in definitiva, è una cibernetica
della cibernetica) o cibernetica dell'osservatore: se la realtà è una
costruzione, e non qualcosa da conoscere oggettivamente, non è rilevante
tanto il modo in cui funzionano i sistemi che osserviamo, quanto il modo in
cui li conosciamo, il modo in cui funzioniamo come osservatori mentre ne
abbiamo cognizione. È una vigorosa spallata al mito dell’oggettività nelle
scienze umane.
41
Se gli individui di un sistema osservato sono interconnessi e si influenzano
reciprocamente, non possiamo trascurare che anche l’osservatore
influenza il sistema e ne è influenzato: troviamo utile pensare che
l’osservatore sia in un certo senso “parte” del sistema che osserva, e che la
sua importanza nel co-costruire la realtà osservata non sia trascurabile.
Un sistema autopoietico, si è detto, costruisce da solo le regole del proprio
funzionamento in maniera del tutto originale e peculiare.
Cosa comporta tutto ciò, in terapia?
Fondamentale è cercare con il sistema una definizione del bisogno,
conoscere come esso organizza, struttura e individua i propri bisogni.
Dunque il Professionista che si accosta alla realtà di un sistema non si
limita a “fotografare” ciò che “esiste”, ma lo costruisce mentre lo conosce.
Possiede così di volta in volta mappe (cioè teorie ed ipotesi) locali e
provvisorie, mai definitive: e se “la mappa non è il territorio”, allora le
nostre teorie ed ipotesi smettono di essere riferimenti esclusivi e diventa
importante, accanto ad esse, l’ascolto dell’individuo e del sistema, la
conoscenza delle loro mappe, delle loro premesse sulla realtà.
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Dunque il Professionista che si accosta alla realtà di un sistema non si limita
a “fotografare” ciò che “esiste”, ma lo costruisce mentre lo conosce.
Possiede così di volta in volta mappe (cioè teorie ed ipotesi) locali e
provvisorie, mai definitive: e se “la mappa non è il territorio”, allora le
nostre teorie ed ipotesi smettono di essere riferimenti esclusivi e diventa
importante, accanto ad esse, l’ascolto dell’individuo e del sistema, la
conoscenza delle loro mappe, delle loro premesse sulla realtà.
Il terapeuta, il consulente, pertanto non forniscono interpretazioni bensì
ipotesi, tentativi di connettere e rendere coerenti e dotate di senso le
relazioni e i comportamenti delle persone che partecipano al processo.
A loro, a chi consulta, è rimandata la responsabilità e il potere di accettare e
di confermare il senso.
Allo psicologo è lasciata la responsabilità di accettare la storia di una
persona, del sistema di cui è parte, pur decostruendola per farle acquisire
un nuovo senso, attraverso la messa a fuoco delle aspettative e delle
rappresentazioni di chi è nel sistema stesso.
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La progressiva messa in discussione del terapeuta come osservatore
oggettivo ed esperto della realtà si accompagna alla “crescente
consapevolezza della natura sociale di ciò che prendiamo per ‘vero
e giusto’” (McNamee e Gergen, 1992, p. 16): se per il costruttivismo
il luogo della conoscenza era il sistema nervoso, nella visione che
emerge tra gli psicologi sociali e i sociologi esso è da rintracciare
nella costruzione del mondo che si attua entro i vincoli e le
possibilità del linguaggio.
Le narrazioni (quelle presunte “esperte” e le altre) non sono più
ordinate gerarchicamente: se la realtà è nel linguaggio e nel
consenso, essa è inevitabilmente polifonica.
A partire da quest’assunto, il costruzionismo sociale si fa critica
politica, radicale messa in discussione del sapere psichiatrico. In
Italia il modello sistemico milanese lo adotta come nuova cornice di
pensiero. Negli USA (cfr. Hoffman, 1990) alcuni studiosi lo usano
come grimaldello per scardinare i modelli terapeutici e per superare
la cibernetica e le idee sistemiche.
44
• Mentre in Italia le idee costruzioniste e la narrativa si integrano col
pensiero batesoniano in un modello sistemico sempre più fedele
all’ottica della complessità, altrove qualcuno conierà il termine “postMilano” per designare un modello terapeutico “leggero” che rinuncia
(o almeno crede di rinunciare) ad avere premesse teoriche “forti”.
Le terapie “post-moderne” e conversazionali hanno spesso solo un
tenue legame con la tradizione sistemica (Minuchin, 1998),
rinunciando alla centralità della relazione e alla causalità circolare.
Il Milan Approach, dal canto suo, entra nell’era post-moderna non
rinunciando ad avere alle spalle una teoria, ma piuttosto col
disincantato convincimento che le teorie sono degli utili quanto
provvisori punti di vista.
45
• Nasce così un approccio polifonico nel lavoro con la famiglia, con
l’azienda, con il sistema scolastico: più voci permettono ad ognuno
di trovare valore in ciò che dice e ricevere conferma implicita del
proprio essere, trovando una nuova connessione col sistema. La
polifonia delle voci e delle narrazioni costruisce un contesto in cui
tutti i punti di vista sono importanti e legittimi e tutti insieme
descrivono la realtà. La qualità del Terapeuta, del Consulente, del
Formatore è quella di saper mantenere aperto un dialogo con i
colleghi e i clienti, cercando di capire e rispettare il punto di vista di
tutti. Ogni sistema ha le sue proprie soluzioni, e la sfida del
Consulente, del Formatore e del Terapeuta Sistemico è quella di
scoprirle insieme ad esso senza sovrapporre le proprie, giacché non
può esistere un solo modo di vedere le cose.
46
•
•
•
•
Attribuiamo al sistema una capacità critica e la possibilità di trovare le
proprie soluzioni: in questo senso, nell’ambito della terapia familiare, ci
sentiamo vicini – più che ad un punto di vista che vuole, per esempio, nei
genitori la radice dei problemi dei figli – ad una prospettiva che vede nei
genitori i principali esperti della famiglia e delle risorse che il sistema può
attivare.
Restano i punti cardine consolidati del lavoro sistemico (v. Bertrando e
Toffanetti, 2000, p. 248 e segg.) ; ad esempio:
l’ipotizzazione (vale a dire la creazione di una spiegazione plausibile che
connetta i comportamenti e le credenze di tutti i membri del sistema, vera
solo fino a che risulta utile al dialogo: v. Selvini Palazzoli et al., 1980, e
Boscolo, Cecchin, Hoffman, Penn, 1987);
la circolarità (la capacità di condurre la conversazione basandosi sulle
retroazioni della famiglia e di pensare per rapporti e differenze: v. ancora
Selvini Palazzoli et al., 1980, e Boscolo, Cecchin, Hoffman, Penn, 1987);
la connotazione positiva (l’utilizzo degli aspetti positivi per spingere al
cambiamento: la nostra esperienza ci insegna infatti che ridefinire in
positivo i problemi umani li ristruttura come situazioni con una via d’uscita e
di lavorare sul profondo valore evolutivo di una crisi, di un problema, di una
difficoltà; v. Selvini Palazzoli et al., 1975).
47
• Ad essi se ne affiancano di nuovi:
• la creatività, la curiosità e l’irriverenza che ci permettono di
privilegiare quanto accade nella relazione anziché quanto prescritto
dalle teorie di riferimento, e che sostengono continuamente la
capacità di “sorprendersi” trovando aspetti evolutivi sempre nuovi
nella relazione con il Cliente (v. Cecchin, 1987 e 1992);
• l’attenzione agli affetti e alle emozioni: gli affetti dell’individuo sono
la via d’accesso al sistema, al suo linguaggio, alle sue premesse;
• l’attenzione alle narrazioni e al tempo come connessione non
lineare ma ricorsiva tra passato, presente e futuro (Boscolo e
Bertrando, 1993).
• La psicologia clinica possiede uno strumento di lavoro particolare
poiché coincide con l'oggetto su cui si lavora, la relazione. La
psicoterapia diventa allora lo strumento di approccio alle relazioni
umane; le relazioni che definiscono gli individui e le relazioni che
influenzano il comportamento degli individui.
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La modalità sistemica, al di là della contrapposizione tra un modello
lockiano (“per quale motivo?”; “qual è la causa efficiente del
sintomo?”) e un modello kantiano (“a quale scopo?”; “qual è la
causa finale?”) della psicopatologia (Cingolani, 1995), si preoccupa
di fornire una spiegazione circolare degli eventi: quale pattern
determina il sintomo e ne è determinato? Anche Cecchin e Apolloni
(2003) sottopongono a critica il ricorso, nelle scienze umane, alla
causalità efficiente, l’unica forma di causalità cui il pensiero
scientifico riconosca una legittimità: guardare anche alla causa
finale permette di evidenziare l’effetto pragmatico
sull’organizzazione del sistema di comportamenti tradizionalmente
ritenuti “patologici” e di dar loro un senso che faccia emergere le
risorse, le capacità di un individuo o di un sistema.
Nell’indagine sistemica, di fronte ad un comportamento, ad una
comunicazione (un “sintomo”) non ci chiediamo solo “quali
circostanze hanno causato questo fatto?" ma anche "a che cosa
serve questo evento in questo particolare sistema relazionale?”.
49
Il terapeuta si interessa ai modi in cui i membri del
sistema si influenzano l’un l’altro. Il comportamento di un
individuo, un gruppo o un'organizzazione, ha un effetto
su chi riceve e ascolta il messaggio: è una
comunicazione. Il significato di un atto comunicativo
dipende da molti elementi: le caratteristiche del
messaggio, di chi lo emette e di chi lo riceve, del luogo in
cui questa comunicazione avviene – quell’insieme di
aspetti e contrassegni che chiamiamo contesto.
Si lavora sulla "danza delle parti interagenti", senza
avere la pretesa di controllarle o di controllare
l'evoluzione che prenderanno. È “una danza che crea” e
crea ciò che il sistema, la rete di relazioni che evolvono,
può diventare.
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• Da questi presupposti la teoria generale dei sistemi ha condotto alla
elaborazione di una forma di terapia che parte dall'idea che:
• Una malattia psicologica presenta una serie di schemi relazionali
che si ripetono con costanza. Sono dunque stabili.
• Per fare in modo che vi sia un cambiamento/miglioramento è
necessario interrompere o modificare questi schemi.
• Quando vengono interrotti o modificati tali schemi relazionali si apre
una fase caratterizzata da un periodo di riorganizzazione del
sistema individuo-famiglia-società.
• In quest'ultima fase del processo si inserisce l'operazione
terapeutica, attraverso la quale, il terapeuta, con i suoi strumenti e la
sua esperienza accompagna il processo di cambiamento verso una
direzione non più patologica.
51
Ogni membro del sistema esercita una serie di
effetti, di influenze, sugli altri membri; al tempo stesso
tali influenze si ripercuotono sul sistema intero della
famiglia. A differenza degli altri approcci che si basano
sull'individualità della persona, nella terapia della
famiglia l'individuo viene considerato una parte del tutto,
che è appunto il sistema. Secondo la prospettiva
sistemica, l'individuo è in grado di influire sul contesto,
come il contesto influisce sull'individuo. Premesso
questo, la persona che soffre viene inquadrata come
"espressione" di un contesto a sua volta sofferente, nel
quale esistono degli squilibri che provocano influenze
negative su di essa.
52
• Tuttavia, la stessa persona sofferente fa parte del sistema famiglia,
ed è quindi parzialmente responsabile della situazione che si è
creata. Il paziente, allora, non è solo colui che subisce ed
esibisce un sintomo, ma, paradossalmente, diviene esso
stesso un sintomo: quello di una famiglia disfunzionale. Ciò non
significa che la causa del suo disagio sia dovuta a colpe personali,
ma che comunque la persona contribuisce a mantenere in vita delle
dinamiche familiari disfunzionali. Per esempio, se un adolescente
soffre di una forte ansia e i membri della sua famiglia essendone al
corrente lo proteggono in maniera eccessiva, evitandogli
costantemente il confronto con le sue paure, egli tenderà a
mantenere vive le sue paure; contemporaneamente dipenderà in
maniera sempre maggiore dagli altri membri della famiglia,
mantenendo in vita tale dinamica disfunzionale. La terapia della
famiglia ha costruito quindi la sua metodologia clinica intorno all'idea
che il disagio psichico può essere colto attraverso l'osservazione
delle relazioni umane.
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• Da questi presupposti la teoria generale dei sistemi ha condotto alla
elaborazione di una forma di terapia che parte dall'idea che:
• Una malattia psicologica presenta una serie di schemi relazionali
che si ripetono con costanza. Sono dunque stabili.
• Per fare in modo che vi sia un cambiamento/miglioramento è
necessario interrompere o modificare questi schemi.
• Quando vengono interrotti o modificati tali schemi relazionali si apre
una fase caratterizzata da un periodo di riorganizzazione del
sistema individuo-famiglia-società.
• In quest'ultima fase del processo si inserisce l'operazione
terapeutica, attraverso la quale, il terapeuta, con i suoi strumenti e la
sua esperienza accompagna il processo di cambiamento verso una
direzione non più patologica.
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La complessità
• Un sistema complesso è un sistema in cui gli elementi subiscono
continue modifiche singolarmente prevedibili, ma del quale non è
possibile, o è molto difficile, prevedere uno stato futuro.
Alcuni esempi di sistemi complessi sono:
• gli automi cellulari
• la crosta terrestre, quando ad esempio si considerano le interazioni
che provocano i terremoti
• gli ecosistemi (anche i più semplici)
• i sistemi economici
• i sistemi sociali
• il sistema nervoso
• i sistemi viventi
• il sistema umano o sistema Io-soggetto
• il sistema climatico
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Maggiore è la quantità e la varietà delle relazioni fra gli elementi di
un sistema, maggiore è la sua complessità, a condizione che le
relazioni fra gli elementi siano di tipo non-lineare. Un'altra
caratteristica di un sistema complesso è che può produrre un
comportamento emergente, cioè un comportamento complesso non
prevedibile e desumibile dalla semplice sommatoria degli elementi
che compongono il sistema. Un esempio è l'andamento dei mercati
finanziari. Nonostante si possa prevedere e comprendere il
comportamento dei singoli investitori, della microeconomia, è
impossibile prevedere, data la conoscenza dei singoli traders,
l'andamento della macroeconomia: i recenti crolli dei mercati
finanziari mondiali sono un esempio paradigmatico.
Un sistema non-lineare è tanto più complesso quanto maggiori
parametri sono necessari per la sua descrizione.
Dunque la complessità di un sistema non è una sua proprietà
intrinseca, ma si riferisce sempre ad una sua descrizione, e dipende
quindi dal modello utilizzato nella descrizione e dalle variabili prese
in considerazione.
56
Il principale obiettivo della teoria della complessità è di
comprendere il comportamento dei sistemi complessi,
caratterizzati da elementi numerosi e diversi tra di loro e
da connessioni numerose e non lineari. In particolare,
uno dei centri di ricerca più importanti sulla teoria della
complessità - il Santa Fe Institute, fondato nel 1984 - si è
particolarmente dedicato allo studio dei sistemi
complessi adattativi (CAS - complex adaptive
systems), cioè sistemi complessi in grado di adattarsi e
cambiare in seguito all'esperienza, come ad esempio gli
organismi viventi, caratterizzati dalla capacità di
evoluzione (Holland, 2002). Vitali, mutevoli, cangianti:
cellule, organismi, animali, uomini, organizzazioni,
società, politiche, culture.
57
Il filosofo francesce Edgar Morin è sicuramente l'esponente di maggior
spicco della scienza della complessità. Uno dei referenti massimi in Italia
della teoria della complessità è Mauro Ceruti che ha introdotto e tradotto
numerosi testi sull'argomento.
Il connubbio tra la teoria dei sistemi e quella della complessità ha dato vita
alla teorizzazione dei sistemi dinamici complessi. Questo filone è stato
applicato all'essere vivente, in generale, e più nello specifico all'uomo da
noti studiosi come Ludwig von Bertalanffy, Humberto Maturana e Francisco
Varela. Più recentemente Sander ha applicato la teoria dei sistemi
complessi anche nella psicoanalisi, sviluppando un filone di ricerca
innovativo e interessante che trae le radici dallo studio dell'interazione
madre-bambino.
In Italia questa teoria è stata sviluppata e applicata in particolare dal Dott.
Michele Minolli che teorizza l'assunzione di tutti le caratteristiche dei sistemi
complessi anche nell'uomo e nell'applicazione alla psicoanalisi.
L'uomo viene concepito come un sistema Io-soggetto con caratteristiche
tipiche dei sistemi complessi come: auto-organizzazione, eteroorganizzazione, autopoiesi (termine inventato da Maturana), integrità,
comportamento emergente, unità e dinamismo.
58
Comportamento emergente
I sistemi complessi sono sistemi il cui comportamento non può
essere compreso a partire dal comportamento dei singoli elementi
che li compongono in quanto interagenti tra loro: l'interazione tra i
singoli elementi determina il comportamento globale dei sistemi e
fornisce loro delle proprietà che possono essere completamente
estranee agli elementi singoli.
Questa proprietà è chiamata comportamento emergente, nel
senso che a partire dalle interazioni tra i singoli componenti del
sistema emerge un "comportamento globale" non previsto dallo
studio delle singole parti.
Ne sono un esempio alcuni programmi per computer che simulano
parte del comportamento delle termiti: la singola termite (simulata)
compie azioni elementari come muoversi e spostare oggetti in modo
quasi casuale; globalmente però le termiti creano dei mucchi di
oggetti, senza che questo sia codificato nel loro comportamento
singolo. Un altro esempio è il gioco Life di Conway.
Dal punto di vista strettamente epistemologico tutto ciò conduce ad
un visione globale (olistica) dell'analisi dei sistemi a molte
componenti che è in aperto contrasto con l'impostazione classica
riduzionistica, costituendone allo stesso tempo anche il suo deciso
superamento
59
Auto-organizzazione
• I sistemi complessi adattivi (CAS in inglese) sono sistemi dinamici
con capacità di auto-organizzazione composti da un numero elevato
di parti interagenti in modo non lineare che danno luogo a
comportamenti globali che non possono essere spiegati da una
singola legge fisica. Alcuni esempi: comunità di persone interagenti,
il traffico, il cervello umano. Il campo della scienza che si occupa di
studiare e modellare questi sistemi è detto scienza della
complessità. Questa proprietà è sfruttata in varie applicazioni
pratiche, come ad esempio le reti radio militari e i sistemi antiintrusione delle reti informatiche.
• « Un CAS può essere descritto come un instabile aggregato di
agenti e connessioni, auto-organizzati per garantirsi l'adattamento.
Secondo Holland (1995), un CAS è un sistema che emerge nel
tempo in forma coerente, e si adatta ed organizza senza una
qualche entità singolare atta a gestirlo o controllarlo
deliberatamente. L'adattamento è raggiunto mediante la costante
ridefinizione del rapporto tra il sistema e il suo ambiente (coevoluzione). Il biologo americano Kauffman (2001) sostiene che i
sistemi complessi adattativi si muovono in paesaggi gommosi
(fitness landscape), in continua deformazione per l'azione congiunta
dei sistemi stessi, di altri sistemi, e di elementi esogeni. »
60
Caos
I sistemi caotici sono considerati complessi, sebbene
abbiano pochi gradi di libertà.
La complessità è fortemente legata al caos. La
sopravvivenza in ambienti così variabili viene ricercata
nel raggiungimento del confine del caos, quella
particolare area dove si massimizzano le possibilità di
evoluzione. I sistemi complessi adattativi, cioè, si situano
tra l'eccessivo ordine - una staticità che ricorda da vicino
un meccanismo - e l'eccessivo disordine - un caos fuori
controllo che può sconfinare nell'anarchia. Questo
specifico stato assunto dai sistemi complessi è anche
chiamato spazio delle possibilità, poichè è la situazione
in cui essi possono scegliere tra più comportamenti e
configurazioni alternative. E' in questo particolare stato,
infatti, che questi sistemi agiscono in maniera più
complessa e creativa, operando eventuali evoluzioni
sfruttando la proprie peculiari capacità di apprendimento
e adattamento.
61
Dinamiche inconsce nelle moderne
organizzazioni
62
Gli anni "caldi" iniziaronoin Italia nel 1968 con
gli scioperi della Pirelli e all'Italsider di Bagnoli,
dai quali emersero prepotentemente le istanze
dei lavoratori rivolte ad un miglioramento
complessivo della qualità del lavoro.
Dalla seconda metà degli anni sessanta sorsero
nuove scuole di specializzazione un po' in tutta
la penisola.
Dalla seconda metà degli anni settanta la
psicologia affronta le contraddizioni del mondo
del lavoro, cercando di intervenire, con
competenza, in ambiti interdisciplinari che
riguardano sempre più cioè il macrosistema
uomo-ambiente, uomo-macchina e uomo-uomo.
63
I modelli organizzativi della cultura industriale hanno, pur
nella loro diversità, un aspetto comune, cioè riconoscere
l'esistenza e i collegamenti delle due componenti base
del sistema impresa, che sono la componente tecnicoorganizzativa e la componente umana. In passato
queste dimensioni sono state spesso rappresentate,
alternativamente, secondo un modello di dipendenza e
subordinazione l'una rispetto all'altra, se non addirittura
in contrapposizione.
In sostanza, la domanda fondamentale, era se l'uomo
dovesse adattare sé stesso, i suoi comportamenti, la sua
motivazione, il modo con cui gestisce il suo ruolo, alle
esigenze della tecnologia e dell'organizzazione oppure
se, viceversa, fossero queste ultime a dover essere
progettate tenendo conto delle caratteristiche e dei
vincoli posti dalle persone.
64
Leadership
Il processo di leadership coloro che in una struttura di
stato occupano la posizione più elevata, altrimenti detti
leaders, col resto del gruppo. Una delle caratteristiche
fondamentali dei membri di un gruppo di stato elevato è
quella di proporre idee e attività nel gruppo utilizzando in
questo modo dei mezzi per influenzare i membri del
gruppo a modificare il loro comportamento. Ma, dal
momento che l'influenza sociale è comunque sempre un
processo reciproco, quello che caratterizza i leader è
che possono influenzare gli altri nel gruppo più di quanto
siano influenzati loro stessi. Per questo motivo nelle più
recenti teorie sulla leadership ci propone di ritenere la
leadership una relazione, anche perché il leader è colui
che ha dei seguaci, senza seguaci non ci possono
essere leader
65
Leadership formale e Leadership informale
E’ necessario porre un’importante distinzione tra due
concetti spesso imprecisi nella letteratura
sull’argomento: la leadership formale, che viene spesso
associata al leader imposto dall’esterno, nella psicologia
del lavoro al manager, e la leadership informale,
derivante dall’interno del gruppo; tale distinzione
corrisponde, al limite, a quella che corre tra leader
imposto dall'esterno (il "sergente" della oleografia
popolare) e il leader espresso dall'interno del gruppo (il
"profeta " o "guru" trascinatore). È possibile distinguere,
in lingua inglese, la leadership (che viene intesa come
capacità di influenzare) dalla headship (“capacità", saper
essere a capo di, funzionare da "duce" di qualcosa)
66
Leadership diretta e leadership indiretta
Quando si parla di leadership ci si rende conto
che spesso l’influenza scaturita dai grandi leader
non deriva dal diretto contatto con esso, ma
avviene attraverso alcuni intermediari. È
necessario dunque porre una chiara distinzione
tra leadership diretta, che comprende le
relazioni e le interazioni fra un leader
riconosciuto e i suoi immediati collaboratori e la
leadership indiretta detta anche leadership ‘a
distanza’, che consiste nell’influenza di un
leader riconosciuto su persone che non sono
subordinate direttamente a lui/lei.
67
Definizioni
Per il concetto di leadership esistono diverse definizioni
qualificabili differentemente in base all’approccio teorico
adottato. In base ai diversi significati che i diversi
approcci attribuiscono alla figura del leader e a seconda
dei parametri presi in considerazione dai ricercatori, si
avranno tre categorie di definizioni, ognuna delle quali
focalizza l’attenzione su alcuni elementi che ne
influenzeranno lo sviluppo di una definizione.
• La prima categoria di definizioni è caratterizzata
dall’attenzione ai tratti e alle capacità caratteristiche dei
leader o alla funzione di conduzione. Questo insieme di
definizioni esamina solo le qualità intrinseche del leader,
trascurando il contesto.
68
• Il secondo insieme di definizioni focalizza
l’attenzione sul controllo, sulla spinta, sulla
direzione delle azioni o degli atteggiamenti che
un soggetto riesce ad imprimere ad altri soggetti
o ad un gruppo, con la più o meno acquiescenza
dei seguaci, senza usare la coercizione.
Con queste definizioni non si riconosce una
categoria speciale di persone che sono leader,
ne che particolari azioni o qualità conferiscano la
leadership. Si tratta di un complesso di
definizioni denominate anche funzionaliste
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• La terza categoria di definizioni si dedica
all’azione di influenza, qualunque essa sia, che
determina un cambiamento utile al
raggiungimento degli obiettivi del gruppo.
Questo terzo significato appare come valutativo:
esso sembra sottintendere che una leadership
auto-centrata non è leadership autentica e che
tutto si debba o si possa comunque ridurre ad
un problema di influenzamento, per di più ad
una sola via. .
70
Definizione
La leadership è il processo attraverso il
quale si influenzano le attività di un gruppo
organizzato, nei suoi sforzi per la
fissazione e il perseguimento dei propri
obiettivi
R.M.Stogdill,1950
71
Elementi della leadership
• Influenza : come ottenere che gli altri si
comportino in un dato modo
• Gruppo :il contesto in cui la laedership si
esercita
• Obiettivi: lo scopo dell’influenzamento è di
incidere sul modo in cui il gruppo stabilisce
o persegue i propri pbiettivi
72
Altra definizione di leadership
La leadership è il processo attraverso il
quale si attribuisce senso
all’organizzazione, ai suoi obiettivi ae alle
sue azioni e si costruisce consenso
sociale attorno a tale senso
J.Pfeffer,1981
73
Il leader come produttore di senso
• Ri-definisce per gli altri la realtà
organizzativa
• Fornisce una direzione e uno scopo
elaborando una visione
• Incide sui comportamenti influenzando il
modo di pensare degli altri riguardo a ciò
che è importante, possibile,necessario
74
Comportamento direttivo
Definizione: maggiore orientamento verso la
comunicazione ad una via,chiarire
esplicitamente il ruolo di collaboratore,dirgli cosa
deve fare,dove,quando e come,controllare
assiduamente il suo livello di prestazione.
Strutturare
Controllare
Supervisionare
75
Il leader :
Stabilisce mete ed obiettivi
Pianifica ed organizza il lavoro in anticipo
Comunica costantemente le priorità di lavoro
Chiarisce il ruolo del leader e del
collaboratore
76
Il leader:
Sceglie le opportunità
Determina i metodi di valutazione
Dimostra al collaboratore come svolgere un
compito specifico
Controlla il lavoro
77
Comportamento supportivo
Definizione:
Maggiore orientamento verso la
comunicazione a due vie
Ascoltare e fornire supporto e
incoraggiamento
Facilitare le interazioni
Coinvolgere il collaboratore nel processo di
decisione
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Comportamento supportivo
• Apprezzare il lavoro che viene svolto
• Ascoltare le opinioni,le lamentele
• Aiutare nei momenti di difficoltà,nei
problemi
79
Comportamento supportivo
Il leader:
Fornisce informazioni circa l’andamento generale
dell’organizzazione
Rivela aspetti personali
Facilita la risoluzione dei problemi del
collaboratore
Ascolta i problemi del collaboratore
Elogia il collaboratore
Chiede suggerimenti o informazioni
Incoraggia o rassicura
80
Prospettive e funzioni della leadership
• Leadership funzionale tecnica:emerge attraverso giochi
di influenza particolarmente legati al potere dell’esperto
e alla sua competenza
• Leadership relazionale e socio emotiva: ha effetti sul
clima e sulla produzione del gruppo e sulla qualità delle
interazioni e comunicazioni
• Leadership normativa e attitudine gerarchica: emerge
attraverso giochi di influenza particolarmente legati al
rispetto delle norme e degli obblighi organizzativi e
istituzionali; esprime un ascendente personale verso
l’ottemperanza
81
Tipologie della leadership
• Leader carismatico: considerato infallibile
e circondato di sacralità
• Leader tradizionale:considerato autoritario
e protettivo
• Leader democratico: considerato
partecipativo
82
La motivazione
La motivazione è l'espressione dei motivi che inducono
un individuo a una determinata azione. Da un punto di
vista psicologico può essere definita come l'insieme dei
fattori dinamici aventi una data origine che spingono il
comportamento di un individuo verso una data meta;
ogni atto che viene fatto senza motivazioni rischia di
fallire.
La motivazione svolge fondamentalmente due funzioni:
attivare e orientare comportamenti specifici. Nel primo
caso si fa riferimento alla componente energetica di
attivazione della motivazione. Nel secondo caso si fa
riferimento alla componente direzionale di orientamento
83
È possibile fare una prima distinzione tra motivazioni
biologiche, innate, che fanno riferimento a elementi
fisiologici, ed elementi motivazionali di tipo psicologicocognitivo, il cui dispiegamento è avvenuto durante
l'esperienza. Il meccanismo motivazionale si esplica
come continuo interagire di questi due elementi. Un'altra
distinzione fondamentale avviene attraverso il concetto
di motivazione intrinseca, o motivo, non sempre o
pienamente consapevole alla coscienza del soggetto, e
motivazione estrinseca, quella che il soggetto dichiara
verbalmente.
Per motivazione si intende uno stato interno che attiva,
dirige e mantiene nel tempo il comportamento di un
individuo. La motivazione è un concetto molto ampio che
viene suddiviso in tre filoni principali: la motivazione
estrinseca, la motivazione intrinseca e l'orientamento
motivazionale.
84
La motivazione estrinseca
La motivazione estrinseca avviene quando
un soggetto si impegna in un'attività per
scopi che sono estrinseci all'attività stessa,
quali, ad esempio, ricevere lodi,
riconoscimenti, buoni voti o per evitare
situazioni spiacevoli, quali un castigo o
una brutta figura.
85
La motivazione intrinseca
La motivazione intrinseca, al contrario, avviene quando
un soggetto si impegna in un'attività perché la trova
stimolante e gratificante di per se stessa, e prova
soddisfazione nel sentirsi sempre più competente. La
motivazione intrinseca è basata sulla curiosità, che viene
attivata quando un individuo incontra caratteristiche
ambientali strane, sorprendenti, nuove; in tale situazione
la persona sperimenta incertezza, conflitto concettuale e
sente il bisogno di esplorare l'ambiente alla ricerca di
nuove informazioni e soluzioni. Importante per la
motivazione intrinseca è, inoltre, la padronanza, cioè il
bisogno di sentirsi sempre più competenti (come sopra
accennato).
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L’orientamento motivazionale
L'orientamento motivazionale, infine, sta a sottolineare
l'evolversi degli studi: dal termine "motivazione" si è
giunti a valutare "orientamento motivazionale" come più
appropriato, in quanto, secondo l'approccio cognitivista,
un alunno costruisce attivamente il suo orientamento
motivazionale. Ciò avviene grazie alla rappresentazione
degli obiettivi che l'alunno stesso vuole raggiungere o
evitare; l'alunno percepisce i propri mezzi e limiti,
attraverso la stima di sé, e l'attribuzione causale, cioè
attribuire i propri successi/insuccessi a cause
interne/esterne, stabili/instabili,
controllabili/incontrollabili. (dove per interne-stabilicontrollabili si intendono abilità-impegno-uso di strategie
appropriate / per esterne-instabili-incontrollabili si
intendono fortuna-malessere temporaneo-attività troppo
difficile-pregiudizi altrui).
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La piramide dei Bisogni di Abraham Maslow
•
•
•
Una teoria che incentra il costrutto di motivazione
come base dello sviluppo individuale è la piramide dei
bisogni di Abraham Maslow, che identifica sei fasi di
crescita, successive e consecutive, tutte incentrate su
bisogni dal più semplice (legato all'aspetto fisiologico)
al più complesso (legato all'autorealizzazione):
Bisogni fisiologici, la prima motivazione sviluppata,
legati agli stati fisici necessari per vivere ed evitare il
disagio (acqua, cibo, urina, feci, igiene)
Bisogni di sicurezza, si manifestano solo dopo aver
soddisfatto i bisogni fisiologici, e constano della ricerca
di contatto e protezione.
Bisogni di appartenenza, desiderio di far parte di
un'estesa unità sociale (famiglia, gruppo amicale), che
nasce solo dopo aver soddisfatto i bisogni di
sicurezza.
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• Bisogni di stima, esigenza di avere dai partner
dell'interazione un riscontro sul proprio apporto e
sul proprio contributo, si attiva solo dopo aver
soddisfatto i bisogni interpersonali.
• Bisogni di indipendenza, esigenza di
autonomia, realizzazione e completezza del
proprio contributo, si attiva solo dopo aver
soddisfatto i bisogni di stima.
• Bisogni di autorealizzazione, bisogno di
superare i propri limiti e collocarsi entro una
prospettiva super-individuale, essere partecipe
col mondo
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Le motivazioni cognitive e secondarie
Questo secondo livello delle motivazioni riguarda
gli aspetti che muovono il comportamento
umano verso condotte di tipo sociale, e, dal
punto di vista dello studio, vengono spesso
ricondotte a variabili di tipo cognitivo-affettivo.
Vengono identificati 3 motivazioni fondamentali:
• Il bisogno del successo (o della riuscita)
rispecchia il desiderio di successo e la paura per
il fallimento.
• Il bisogno di appartenenza combina i desideri di
protezione e socialità con la paura per il rifiuto
da parte di altri.
• Il bisogno di potere riflette i desideri di dominio e
il timore di dipendenza.
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Gli individui differiscono nella forza di ciascuno di tali
motivi, inoltre le situazioni variano nel grado in cui
incentivano l'uno o l'altro motivo.
Un ruolo significativo è attribuito ai processi cognitivi che
catalogano gli stimoli in relazione ai motivi,
determinando natura e intensità dei vettori motivazionali.
I motivi impliciti che spingono all'azione, sono originati
dagli incentivi esterni che attivano specifiche reazioni
emotive. Successivamente, con l'apprendimento, si
sviluppa uno schema cognitivo che organizza queste
reazioni emotive in categorie positive e negative,
delineando così gli stimoli da ricercare e quelli da
allontanare. Con l'esperienza e l'apprendimento, un
numero sempre maggiore di situazioni si associa a
questi forti incentivi, consolidando il motivo e
trasformandolo in motivazione esplicita.
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La comunicazione
La comunicazione non è soltanto un
processo di trasmissione di informazioni .
In italiano, il termine "comunicazione" ha il
significato semantico di "far conoscere",
"rendere noto". La comunicazione è un
processo costituito da un soggetto che ha
intenzione di far sì che il ricevente pensi o
faccia qualcosa.
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La comunicazione riguarda sia l'ambito quotidiano (ad
esempio un colloquio tra amici) sia l'ambito pubblicitario
e delle pubbliche relazioni: in ciascuno di questi ambiti la
comunicazione ha diverse finalità. Gli agenti della
comunicazione possono essere persone umane, esseri
viventi o entità artificiali.
Infatti è colui che "riceve" la comunicazione ad assegnare
a questa un significato, per cui è la potenzialità creativa
dell'essere umano ad assegnare significati ad ogni cosa,
creando il "sistema comunicazione" con le sue due
caratteristiche: l'immaginazione e la creazione di simboli.
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Il concetto di comunicazione comporta la
presenza di un'interazione tra soggetti diversi: si
tratta in altri termini di una attività che
presuppone un certo grado di cooperazione.
Ogni processo comunicativo avviene in
entrambe le direzioni e, secondo alcuni, non si
può parlare di comunicazione là dove il flusso di
segni e di informazioni sia unidirezionale. Se un
soggetto può parlare a molti senza la necessità
di ascoltare, siamo in presenza di una semplice
trasmissione di segni o informazioni.
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Nel processo comunicativo che vede coinvolti gli
esseri umani ci troviamo così di fronte a due
polarità: da un lato la comunicazione come atto
di pura cooperazione, in cui due o più individui
"costruiscono insieme" una realtà e una verità
condivisa ; dall'altro la pura e semplice
trasmissione, unidirezionale, senza possibilità di
replica, nelle varianti dell'imbonimento televisivo
o dei rapporti di caserma. Nel mezzo,
naturalmente, vi sono le mille diverse occasioni
comunicative che tutti viviamo ogni giorno, in
famiglia, a scuola, in ufficio, in città.
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Un modello formale di comunicazione
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•
•
•
Generalmente si distinguono diversi elementi che
concorrono a realizzare un singolo atto comunicativo:
emittente: la fonte delle informazioni effettua la codifica
di queste ultime in un messaggio
ricevente: accoglie il messaggio, lo decodifica, lo
interpreta e lo comprende
codice: parola parlata o scritta, immagine, tono
impiegata per "formare" il messaggio
canale: il mezzo di propagazione fisica del codice (onde
sonore o elettromagnetiche, scrittura, bit elettronici)
contesto: l' "ambiente" significativo all'interno del quale si
situa l'atto comunicativo
referente: l'oggetto della comunicazione, a cui si riferisce
il messaggio.
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Il processo comunicativo ha una intrinseca natura
bidirezionale, quindi il modello va interpretato nel senso
che si ha comunicazione quando gli individui coinvolti
sono a un tempo emittenti e riceventi messaggi.
In realtà, anche in un monologo chi parla ottiene dalla
controparte un feedback continuo, anche se il
messaggio non è verbale, un esempio ne è la frase:
"parla quanto vuoi, io non ti ascolto".
Questo fenomeno è stato riassunto con l'assioma)
secondo il quale, in una situazione in presenza di
persone, "non si può non comunicare“.
Perfino in una situazione anonima come in un vagone
della metropolitana noi emettiamo per i nostri vicini
continuamente segnali non verbali (che significano
pressappoco "anche se sono a pochi centimetri da te,
non ti minaccio e non intendo immischiarmi nella tua
sfera intima"), e i nostri compagni di viaggio accolgono il
messaggio, lo confermano e lo rinforzano ("bene; lo
stesso vale per me nei tuoi confronti").
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Già da questo semplice modello possiamo individuare diversi aspetti
potenzialmente problematici del processo comunicativo:
• Il processo di comunicazione, pur essendo formalmente cosa
separata dal mezzo attraverso il quale avviene, ne è altamente
influenzato: se utilizzo il codice Morse, cercherò di limitare il
messaggio allo stretto necessario, se utilizzo una lettera userò un
tono tendenzialmente più formale rispetto ad una telefonata. Il
mezzo influenza la comunicazione e quindi si potranno individuare
dei mezzi di comunicazione particolarmente adatti a trattare un certo
argomento, ma inadatti ad un altro.
• Non è detto che il gran numero di singoli messaggi, verbali e non
verbali, emessi in un dato momento , siano sempre congruenti tra
loro. Posso dire due cose diverse con le parole e con i gesti (ad
esempio dire al mio rivale in amore "lieto di conoscerti" con
un'espressione del volto assai contrariata).
• Non è detto che l'interpretazione del contesto all'interno del quale
avviene lo scambio comunicativo sia sempre identica o congruente.
Nell'aula di una scuola, il docente potrà pensare di avere uno stile
partecipativo e "democratico", mentre lo studente potrà sentirsi parte
di una relazione asimmetrica e autoritaria.
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Modelli di comunicazione interpersonale
Alcuni studiosi hanno introdotto una differenza di
fondamentale importanza nello studio della
comunicazione umana: ogni processo
comunicativo tra esseri umani possiede due
dimensioni distinte: da un lato il contenuto, ciò
che le parole dicono, dall'altro la relazione,
ovvero quello che i parlanti lasciano intendere, a
livello verbale e più spesso non verbale, sulla
qualità della relazione che intercorre tra loro.
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Il modello di comunicazione interpersonale che distingue quattro
dimensioni diverse, il cosiddetto "quadrato della comunicazione":
• contenuto: di che cosa si tratta? (lato blu del quadrato, in
alto)
• relazione: come definisce il rapporto con te, che cosa ti
fa capire di pensare di te, colui che parla? (lato giallo, in
basso).
• rivelazione di sé: ogni volta che qualcuno si esprime
rivela, consapevolmente o meno, qualcosa di sé (lato
verde, a sinistra).
• appello: che effetti vuole ottenere chi parla? Ciò che il
parlante chiede, esplicitamente o implicitamente, alla
controparte di fare, dire, pensare, sentire. (lato rosso, a
destra).
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Queste quattro dimensioni si possono tener presenti sia
nel formulare messaggi che nell'ascolto e
nell'interpretazione dei messaggi di altri Questo modello
visualizza come noi si sia sempre liberi di assegnare a
qualsiasi comunicazione un significato oppure un altro,
evidenzia così il potere di chi ascolta nel contribuire a
definire la qualità di una interazione. Con un poco di
allenamento è possibile, ad esempio, sintonizzarci
sull‘uno o sull’altro di queste dimensioni e chiederci,
dentro di noi, di fronte ad una comunicazione che per
es.ci pare irritante : "come si sente, la persona che parla,
per sentire il bisogno di parlarmi in questo modo?"
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