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il voto non paga, prendiamo il fucile!

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il voto non paga, prendiamo il fucile!
Terrorismo italiano
Brigate rosse
Le prime azioni
“IL VOTO NON PAGA,
PRENDIAMO IL FUCILE!”
(OPUSCOLO APRILE 1972)
L’attacco incessante, che da quattro anni la sinistra
rivoluzionaria
va
conducendo
all’organizzazione
capitalistica del lavoro e del potere, ha definitivamente
affossato ogni illusione di dare uno sbocco riformista
alla crisi di regime in atto nel paese.
È un fatto che la borghesia ha infilato diritta la strada
della repressione violenta e sistematica delle lotte e
che un generale spostamento a destra si è realizzato
all’interno del quadro istituzionale. Le vicende di
questi ultimi mesi lo dimostrano ampiamente e l’elezione
di Leone, coi voti palesi dei fascisti, o le elezioni
politiche anticipate, preparate da un monocolore che
raccatta ogni genere di rifiuti, fino a Pella e Gonella,
sono solo gli episodi più appariscenti.
Alla permanenza e all’intensificarsi della resistenza
proletaria
i
padroni
contrappongono
un
progetto
strategico di riorganizzazione reazionaria e neofascista
dello stato: il progetto di una grande destra nazionale.
Siamo ancora alle prime battute, ma al di là delle
contraddizioni tattiche con cui questo progetto deve fare
i conti se ne intravedono ormai le linee fondamentali.
Nelle grandi fabbriche, dove il rifiuto del lavoro cresce
fino a diventare rifiuto del potere, le lotte vengono
represse con ogni mezzo. Basta guardarsi in giro per
vedere come, sempre più, aumenta l’intransigenza dei
padroni pubblici e privati che, decisi a nulla concedere,
fanno intervenire con sempre maggior frequenza la polizia
nelle vertenze operaie. E poi c’è l’organizzazione dei
crumiri, dei nuovi sindacati padronali e delle squadracce
fasciste, queste ultime vere e proprie forze dell’ordine
civile che all’occorrenza si uniscono e danno manforte,
spiando, provocando, facendo del terrorismo, alle «forze
dell’ordine» dello stato.
I grandi giornali padronali, la radio e la tv fanno il
resto. Con il pretesto della «lotta alla criminalità»,
non perdono occasione per confondere le idee alla classe
operaia,
presentando e contrabbandando la crescente
militarizzazione e fascistizzazione dello stato come
«esigenza dell’ordine pubblico» e cioè preparano il
terreno per un «attacco finale», in tempi stretti, alle
avanguardie rivoluzionarie presentate come «minoranze
criminali».
Proprio per questo le grandi metropoli del nord sono
ormai
quotidianamente
sottoposte
a
giganteschi
rastrellamenti, a continui posti di blocco, vere e
proprie esercitazioni antiguerriglia, con impiego di
ingenti forze di polizia e carabinieri; (nell’ultimo a
Milano sono stati impiegati 5.000 uomini!).
Siamo cioè di fronte ad uno stato «militarizzato» che,
non riuscendo più ad organizzare, per via pacifica, il
consenso, si prepara ad impedirlo con le armi.
La borghesia utilizza per questo suo progetto tutte le
forze politiche disponibili sul mercato. Nessuno gli fa
schifo, né La Malfa, né Ferri, né Andreotti, né
Almirante. Ma la forza trainante in questo momento è il
msi.
Sarebbe dunque un errore ricondurre la questione del
neofascismo entro schemi preresistenziali. Oggi siamo di
fronte ad un tentativo «nuovo» di costruire, intorno alle
esigenze dello stato imperialista, una «base sociale»
stabile.
Il neofascismo, in altre parole - almeno in questa fase non mira tanto ad una liquidazione istituzionale dello
«stato democratico», quanto alla repressione ferocissima
del movimento delle lotte; non si manifesta come
appariscente modifica istituzionale, ma come pratica
quotidiana di governo.
In questa prospettiva, il disegno di una destra nazionale
raccolta intorno ad un progetto d’ordine, costruito su
misura delle attuali e future necessità produttive dei
padroni, ha certamente un respiro più lungo di quel
«centro-destra»
di
mediazione
messo
su
per
scopi
elettorali dai leaders scudocrociati.
Non è un caso che molti personaggi democristiani,
guardando lontano, siano tra i più solerti sostenitori
della destra nazionale, tra i più attivi promotori della
maggioranza silenziosa.
Del resto c’è spazio per tutti in questa prospettiva: sia
per chi vuol muoversi sul binario della «legalità»; sia
per chi, al contrario, preferisce la via delle bombe, del
terrorismo e dello squadrismo.
Ed è proprio nella
combinazione del terreno politico di scontro con quello
armato, che va vista la forza attuale del neofascismo:
maggioranza silenziosa e terrorismo non sono realtà
contraddittorie, come non lo sono i corpi armati dello
stato e le squadracce nere di Almirante.
A breve termine, il blocco neofascista insegue alcuni
obiettivi. Primo è quello di organizzare, utilizzando i
vari centri anticomunisti, quegli strati piccolo e medioborghesi esasperati dalla «crisi» o minacciati dallo
spettro delle lotte operaie, come massa di pressione
politica anticomunista nel gioco elettorale.
Secondo obiettivo è quello di concretizzare, attraverso
la Cisnal e gli altri sindacati gialli padronali, una
spaccatura all’interno della classe operaia, puntando sui
suoi strati ideologicamente e politicamente più deboli,
in modo da arrivare alle vicine scadenze contrattuali con
la classe operaia divisa ed una «destra» organizzata
nelle fabbriche.
Il neosquadrismo è al servizio di questa prospettiva. Gli
attacchi squadristici servono infatti, facendo leva sulla
paura, a immobilizzare la grande massa operaia e a
«staccarla» dagli «estremisti», cioè dai militanti più
combattivi e dalle avanguardie rivoluzionarie che non
intendono farsi calpestare.
Terzo obiettivo è quello di creare nei rioni popolari
punti
di
riferimento
organizzati
per
svolgere
un
intervento
«politico»
demagogico
e
qualunquista
di
disturbo, in vista delle elezioni. Infine, ultimo
obiettivo, è la costruzione - a lato dello stato - di una
forza militare clandestina in grado di sviluppare,
secondo le necessità politiche generali, sia una attività
terroristica vera e propria (bombe di piazza Fontana),
sia una attività di provocazione - in combutta con la
polizia - contro le forze che si battono per affermare
nel movimento di resistenza popolare la necessità del
passaggio alla lotta armata (assassinio del compagno
Feltrinelli).
Tutti questi obiettivi hanno un elemento comune: la
volontà di annientamento della sinistra rivoluzionaria e
di neutralizzazione della sinistra istituzionale.
Opporsi a questo progetto non basta.
Ciò che noi sosteniamo è che questa opposizione deve
avere un respiro strategico, deve cioè essere una
opposizione armata.
La guerra contro il neofascismo è un momento della guerra
rivoluzionaria di classe, è un passaggio obbligato del
movimento di resistenza popolare nella sua lunga marcia
per edificare un potere proletario e comunista.
Come tutte le guerre essa va combattuta, oltre che sul
piano politico e ideologico, anche e soprattutto sul
piano militare.
Essa è cioè un fronte della lotta
armata.
Detto questo si capisce perché, nostro obiettivo in
questa lotta non è quello del pci o di altre forze
democratiche «sinceramente antifasciste», di denunciare
le violenze degli squadristi, facendo inchieste e dossier
per chiedere allo stato di intervenire a difesa della
legalità repubblicana.
I proletari non hanno stato: lo subiscono!
Lo stato per chi lavora non è altro che l’organizzazione
della violenza quotidiana. Per questo i proletari non
intendono più chiedere autorizzazioni a nessuno per
esercitare in modo diretto la loro infinita potenza; per
amministrare questa potenza secondo i criteri della
giustizia che nasce in mezzo al popolo.
La guerra al neofascismo e allo stato imperialista è una
conseguenza inevitabile della militarizzazione del regime
che caratterizza questa fase dello scontro di classe nel
nostro paese.
Essa non avrà tregua, né potrà cessare, fino a che i
fascisti non saranno annientati ed il vecchio apparato
statale distrutto.
C’è chi dice che con le elezioni si possono cambiare le
cose, che la «rivoluzione» si può fare anche con la
scheda elettorale.
Noi non ci crediamo. L’esperienza già fatta dopo la
guerra di liberazione partigiana non può essere nascosta.
La conosciamo tutti: abbiamo consegnato il fucile e da
quel momento ci hanno sparato addosso!
Quanti morti
nelle piazze dal ‘45? Quale il nostro potere oggi?
L’esperienza
della
lotta
di
classe
nell’epoca
dell’imperialismo ci insegna che la classe operaia e le
masse lavoratrici non possono sconfiggere la borghesia
armata senza la potenza dei fucili.
Questa è una legge marxista, non una opinione.
Non siamo astensionisti. Non siamo per la scheda bianca.
Ma diciamo a tutti i compagni, con chiarezza, che il voto
oggi divide inutilmente la sinistra rivoluzionaria; che
il voto non paga la nostra richiesta di potere; che non è
col voto che si combatte la controrivoluzione che
striscia in tutto il paese.
Unire la sinistra rivoluzionaria nella lotta armata
contro il neofascismo e contro lo stato che lo produce, è
il compito attuale dei militanti comunisti.
Liberare le grandi fabbriche ed i rioni popolari dalle
carogne fasciste; strappargli di dosso, con rapide azioni
partigiane, le pelli di agnello di cui si ammantano in
questi tempi di elezioni; mettere a nudo, con fulminee
azioni guerrigliere, le complicità nascoste, i legami
sotterranei, le trame reazionarie che uniscono i padroni,
lo stato e l’esercito nero di Almirante sono esigenze già
mature nell’animo delle grandi masse popolari.
Ma le forze rivoluzionarie devono, adesso, osare. Osare
combattere. Combattere armati. Perché nessun nemico è mai
stato abbattuto con la carta, con la penna o con la voce;
e a nessun padrone è mai stato tolto il suo potere con il
voto!
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