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PRODUZIONE DI FASCI DI IONI ACCELERATI PRESSO I
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA REGIONE SICILIANA Assessorato Regionale dell'Istruzione e della Formazione Professionale Dipartimento Regionale dell'Istruzione e della Formazione Professionale Unione Europea Fondo Sociale Europeo Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali SICILIA FONDO SOCIALE EUROPEO PROGRAMMA OPERATIVO 2007-2013 "Investiamo per il vostro futuro" UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI DIPARTIMENTO DI FISICA ED ASTRONOMIA Master Universitario di II livello in MONITORAGGIO DELLE RADIAZIONI IONIZZANTI E NON IONIZZANTI E RISCHIO AMBIENTALE PROGETTO CIP n. 2007.IT.051.PO.003/IV/12/F/9.2.14/1368 - CUP n. E65C10000850009 Direttore: Prof. Antonio Triglia PRODUZIONE DI FASCI DI IONI ACCELERATI PRESSO I LABORATORI NAZIONALI DEL SUD ED ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI ANTONELLA ALESSANDRA BLANCATO Tutor: Dott G.A.P. Cirrone Dott. S. Gammino Dott. D. Rifuggiato Sig. S. Russo Dott. G. Cuttone I.N.F.N. Laboratori Nazionali del Sud Catania A.A. 2010-2011 Catania - luglio 2012 Il futuro è una palla di cannone acceso e noi la stiamo quasi raggiungendo. Francesco De Gregori, I muscoli del Capitano INDICE INDICE ELENCO DELLE FIGURE ELENCO DELLE TABELLE SOMMARIO vii X xi 1. SORGENTI DI IONI 1 1.1. Introduzione ai processi di produzione ......................................... 1 1.1.1. Definizione di plasma e lunghezza di Debye ........................... 1 1.1.2. Le sorgenti ECR ....................................................................... 4 1.2. La sorgente superconduttiva SERSE ........................................... 7 1.3. La sorgente CAESAR ............................................................... 11 1.4. Produzione di ioni negativi:il processo di Sputtering................ 13 2. ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS 17 2.1. Gli acceleratori di particelle ..................................................... 17 2.1.1. Acceleratori elettrostatici: il Tandem Van der Graaff ............ 19 2.1.2. Acceleratori circolari: il Ciclotrone Superconduttore K800 .. 25 2.2. La linea di trasporto dei fasci ................................................... 36 2.2.1. I sistemi di deflessione e focalizzazione ............................... 37 2.2.2. Monitoraggio del trasporto .................................................... 40 3. ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI 43 3.1. Interazioni della radiazione con la materia ............................... 43 3.1.1. Interazioni delle particelle cariche con la materia ................. 44 3.1.2. Interazioni dei fotoni con la materia ...................................... 50 3.1.3. Interazioni dei neutroni .......................................................... 54 3.2. Cenni di dosimetria ................................................................... 57 3.2.1. Grandezze fisiche .................................................................. 59 3.2.2. Grandezze dosimetriche ........................................................ 60 3.2.3. Grandezze radioprotezionistiche ........................................... 63 3.2.4. Grandezze operative .............................................................. 64 3.3. Problematiche relative alla radioprotezione ............................. 68 3.3.1. Effetti biologici delle radiazioni ionizzanti ........................... 69 3.3.2. La radioprotezione nella normativa italiana .......................... 71 v INDICE 3.4. Dispositivi di radioprotezione .................................................. 79 3.4.1. Strumenti per la sorveglianza individuale ............................. 79 3.4.2. Strumenti portatili ................................................................. 82 3.4.3. Monitori del livello di irradiazione esterna ........................... 90 3.4.4. Misure di contaminazione: la spettroscopia gamma con HPGe. ................................................................................................. 93 3.5. Rischi di radiazione presso i LNS ............................................ 98 3.5.1. Radiazione pronta e radiazione residua ................................. 98 3.5.2. Schermature ......................................................................... 101 3.5.3. Sistemi di sicurezza, controllo e schermature ..................... 102 4. CONCLUSIONI 105 APPENDICE A ALTRE GRANDEZZE DOSIMETRICHE E RADIOPROTEZIONISTICHE BIBLIOGRAFIA 107 109 vi INDICE ELENCO DELLE FIGURE FIGURA 1.1 Schema di una sorgente ECR e forma del plasma al suo interno…. .......................................................................... 5 FIGURA 1.2 La sorgente superconduttiva SERSE ai LNS .................... 8 FIGURA 1.3 Schema della sorgente SERSE ai LNS-INFN e della relativa linea di fascio… ................................................. 10 FIGURA 1.4 La sorgente CAESAR ..................................................... 13 FIGURA 1.5 L'iniettore di ioni negativi da 450 kV ai LNS. ................ 15 FIGURA 2.1 Schema di un tipico acceleratore Van der Graaff. .......... 20 FIGURA 2.2 Rappresentazione schematica di un acceleratore Tandem. ........................................................................................ 21 FIGURA 2.3 Stati di carica prodotti dal processo di stripping nel caso di una sorgente di ioni O-. ............................................... 23 FIGURA 2.4 Acceleratore TANDEM ai LNS. .................................... 25 FIGURA 2.5 Principio di funzionamento di un ciclotrone................... 27 FIGURA 2.6 Schema della suddivisione in settori (creste e valli) delle espansioni polari di un ciclotrone. .................................. 29 FIGURA 2.7 Diagramma della variazione del campo magnetico in funzione dell'angolo azimutale. ...................................... 30 FIGURA 2.8 Schema di un ciclotrone a tre settori ............................... 31 FIGURA 2.9 Interno del Ciclotrone Superconduttore K800. ............... 32 FIGURA 2.10 Schema dell'estrazione mediante sistemi elettrostatici ... 33 FIGURA 2.11 Immagine completa del Ciclotrone Superconduttore K800 dei LNS e sue principali caratteristiche tecniche ............ 35 FIGURA 2.12 Deflessione da parte di un dipolo magnetico di un fascio di ioni di tre differenti masse .......................................... 38 vii INDICE FIGURA 2.13 Effetto di focalizzazione di due quadrupoli con polarità invertita posti in successione lungo la linea di fascio..... 39 FIGURA 2.14 Magneti quadrupolo usati per il sincrotrone SOLEIL a Saint Aubin vicino Parigi, Francia ................................. 40 FIGURA 2.15 Layout delle varie sale sperimentali presso i LNS di Catania ............................................................................ 42 FIGURA 3.1 Stopping power dell'acqua per diversi tipi di particelle cariche pesante e particelle beta ..................................... 48 FIGURA 3.2 Andamento del coefficiente di assorbimento massico in funzione dell'energia per il Piombo ................................ 54 FIGURA 3.3 Energia persa per unità di percorso in funzione della profondità in acqua ......................................................... 57 FIGURA 3.4 Fattori peso per radiazione a diverse energie ................. 64 FIGURA 3.5 Fattori peso dei diversi tessuti ed organi ........................ 65 FIGURA 3.6 Schematizzazione di campo reale (a), campo allineato ed espanso (b) ed espanso (c) .............................................. 67 FIGURA 3.7 Effetto delle radiazioni ionizzanti sulla catena del DNA ... ........................................................................................ 70 FIGURA 3.8 Limiti di dose fissati dal D.Lgs. 230/95 e s.m.i. per la classificazione dei lavoratori .......................................... 75 FIGURA 3.9 Schema riassuntivo della classificazione dei lavoratori . 76 FIGURA 3.10 Classificazione dei lavoratori esposti nelle categorie A e B come prevista dall'attuale normativa vigente .............. 77 FIGURA 3.11 Classificazione delle aree ............................................... 78 FIGURA 3.12 Alcuni tipi di dosimetri personali, di tipo passivo, attualmente in uso presso i LNS ..................................... 81 FIGURA 3.13 Rivelatore Berthold modello TOL/F per la rivelazione di radiazioni beta, X e gamma ............................................ 84 FIGURA 3.14 Rivelatore di neutroni Berthold modello LB 6411 ......... 85 viii INDICE FIGURA 3.15 Confronto tra spettri in energia teorici e spettri come misurati dal rivelatore BTI Spectroscopic Beta Probe per tre diverse sorgenti beta .................................................. 86 FIGURA 3.16 Rivelatore per spettroscopia beta BTI Spectroscopic Beta Probe ............................................................................... 87 FIGURA 3.17 Risposta del rivelatore Ludlum Model 44-9 normalizzata rispetto alla risposta ad una sorgente di 137Cs ........................................................................................ 88 FIGURA 3.18 Rivelatore tipo Pan - Cake Ludlum Model 44-9 accoppiato ad un Survey meter sempre della LUDLUM.... ........................................................................................ 89 FIGURA 3.19 Layout della disposizione dei monitor fissi presso le sale sperimentali dei LNS ...................................................... 92 FIGURA 3.20 Esempio di spettro relativo ad una sorgente per la calibrazione in efficienza e curva di calibrazione ........... 95 FIGURA 3.21 Rivelatore ORTEC Trans SPEC DX 100 per misure di contaminazione con spettroscopia gamma...................... 96 FIGURA 3.22 Spettro gamma di uno dei collimatori utilizzati nella protonterapia di CATANA ............................................. 98 ix INDICE ELENCO DELLE TABELLE TABELLA 1.1 Tipiche correnti prodotte dalla sorgente CAESAR ... 12 TABELLA 3.1 Descrizione dei parametri presenti nella formula di Bethe e Bloch ............................................................. 47 TABELLA 3.2 Valori di LET per alcune particelle ......................... 63 TABELLA 3.3 Elenco delle stazioni fisse di monitoraggio ambientale presso i LNS............................................................... 90 x SOMMARIO Sommario Questo project work prende spunto dall’attività di stage svolta dalla sottoscritta presso i Laboratori Nazionali del Sud di Catania dell’INFN. In occasione dello stage ho avuto modo di prendere coscienza delle diverse attività di ricerca che ivi si svolgono e di rendermi conto degli aspetti radioprotezionistici implicati all’interno di un laboratorio di ricerca di fisica nucleare. I LNS sono infatti dotati di due acceleratori, un Tandem Van de Graaff da 15MV ed un Ciclotrone Superconduttore K800, una macchina molto compatta dotata di bobine superconduttrici in grado di generare un campo magnetico fino a 4.8 Tesla. I fasci di ioni iniettati nel Ciclotrone sono prodotti, secondo le esigenze, da due sorgenti ECR chiamate SERSE e CAESAR. Le due macchine consentono di produrre ed accelerare fasci di ioni pesanti in un intervallo di energie molto ampio (1÷80 MeV/A) offrendo la possibilità di investigare le diverse proprietà della materia nucleare oltre che sperimentare e mettere a punto svariate applicazioni tecnologiche che vanno dalla terapia di diversi tipi di melanomi oculari (progetto CATANA, attivo dal Febbraio 2002), allo sviluppo di strumentazioni e metodi d’indagine "in situ" per l’analisi chimico-fisica non distruttiva su manufatti, monumenti ed opere d’arte (laboratorio LANDIS). I fasci accelerati possono essere inviati nelle diverse sale sperimentali dei LNS che sono dotate di complessi sistemi di rivelazione, camere di reazione, sistemi da vuoto e di tutta la strumentazione necessaria allo studio in questione. La prima parte del project work tratterà della produzione ed accelerazione dei fascio di ioni presentando, seppure nelle linee generali, i principi teorici su cui questi si fondano e le tecnologie sfruttate presso i LNS. La seconda parte affronterà invece i rischi in chiave radioprotezionistica che la presenza e l’utilizzo di questo tipo di macchine può causare ai lavoratori. In particolare verranno descritte le principali interazioni della radiazione con la materia, introdotte le principali grandezze dosimetriche e radioprotezionistiche, i mezzi normativi che legislazione italiana mette a disposizione per la tutela dei lavoratori esposti al rischio di radiazioni ionizzanti e gli effetti che queste possono avere sugli organismi viventi. XI SOMMARIO Verranno altresì descritti i principali rivelatori, tra fissi e mobili, impiegati dal servizio di radioprotezione dei LNS per la sorveglianza fisica ed individuale dei lavoratori. XII CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI 1. SORGENTI DI IONI Per sorgente di ioni si intende definire una macchina in grado di produrre un plasma con particolari caratteristiche, e quindi di estrarre il contenuto ionico con una determinata distribuzione di carica e corrente. In particolare, le sorgenti ECR (acronimo che sta per Electron Cyclotron Resonance) sfruttano la proprietà degli elettroni di dar luogo ad assorbimento risonante di onde elettromagnetiche in presenza di un campo magnetico statico. In generale si può affermare che, attraverso un opportuno sistema di iniezione di gas e di microonde all’interno di una camera sotto vuoto e grazie ad un opportuno sistema di confinamento magnetico, è possibile riscaldare i pochi elettroni liberi presenti nel gas per mezzo dell’ECR e produrre un plasma grazie agli urti ionizzanti elettrone-ione. Il plasma sarà quindi formato da elettroni ed ioni con differenti stati di carica, la cui distribuzione può essere in qualche modo predetta a partire da considerazioni sulle proprietà fisiche del plasma. Prima di passare a descrivere le sorgenti di ioni presenti ai LNS è necessario quindi capire cosa si intenda per plasma, comprenderne le caratteristiche principali e come sia composta una sorgente ECR. Queste argomentazioni saranno trattate, sebbene in linee generali, nel seguente paragrafo. 1.1 Introduzione ai processi di produzione 1.1.1 Definizione di plasma e lunghezza di Debye Noto come quarto stato della materia, il plasma è lo stato più diffuso nell’universo, rappresentando circa il 99% della materia che in esso è contenuta. Si compone essenzialmente di tre tipi di particelle: ioni positivi, elettroni e molecole neutre. Sulla terra la sua presenza risulta essere alquanto limitata e, se escludiamo gli impieghi tecnologici e industriali, lo si trova nell’atmosfera, costituendo lo strato detto ionosfera che tanta importanza riveste nell’ambito delle 1 CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI telecomunicazioni, e nelle cosiddette fasce di Van Allen che fungono da efficace schermo contro le radiazioni solari. Il motivo di tale rarità lo si intuisce facilmente osservando l’equazione di Saha [2]: 3 U ni T 2 kTi = 2.4 10 21 e nn ni (1.1) la quale indica che il numero di atomi ionizzati ni rispetto al numero di atomi neutri nn varia con legge esponenziale in funzione dei parametri T temperatura del gas, Ui potenziale di ionizzazione, k costante di Boltzmann. Sostituendo all'equazione (1.1) valori numerici tipicamente riscontrabili sulla terra, otteniamo: ni = 10 122 (1.2) nn che giustifica l’impossibilità di osservare plasmi sulla terra in condizioni normali. Non un qualunque gas ionizzato può essere definito plasma, quest’ultimo, infatti è definito come un gas quasi-neutro di particelle cariche e neutre che esibisce comportamenti collettivi. Per comportamenti collettivi si intende che il moto delle particelle in una determinata regione del plasma non dipende solo dalle condizioni locali, bensì risente dello stato complessivo del sistema anche in regioni remote rispetto a quella in esame. Per comprendere il significato di quasi-neutro invece, è necessario introdurre una nuova grandezza fisica: la lunghezza di Debye. Una delle caratteristiche fondamentali del plasma è la sua capacità di neutralizzare eventuali campi elettrici che vengono applicati al suo interno. Se il plasma fosse freddo, ove per freddo si intende che ioni ed elettroni non abbiano moto dovuto all’agitazione termica, la presenza di un eventuale corpo carico al suo interno comporterebbe la formazione di uno strato di cariche di segno opposto sulla superficie, le quali neutralizzerebbero in tal modo il sistema. Tuttavia, poiché nella realtà ioni ed elettroni possiedono un’energia termica, essi hanno la possibilità di allontanarsi dal corpo carico e formare una sorta di nube attorno a questo. Una stima delle dimensioni della nuvola può essere effettuata supponendo che, data l’energia termica kT, nelle regioni in cui eφ≃kT, con φ potenziale elettrostatico, le particelle del plasma non risentano più 2 CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI dell’effetto del campo applicato. Se indichiamo con M la massa degli ioni e con m quella degli elettroni, risulta: M 1 m (1.3) si può ritenere che gli ioni non risentano affatto delle interazioni in questione, almeno per campi non troppo intensi e soprattutto se a confronto con gli elettroni. Dato un potenziale applicato all’interno del plasma1, per le regioni che non vi si trovano immediatamente a ridosso si ha [2]: = 0e | x| D (1.4) dove, se con n indichiamo la densità del plasma e Te la temperatura elettronica: 1 kT 2 D = 0 2 e ne (1.5) è la cosiddetta lunghezza di Debye. ΛD è un parametro che permette di stimare la distanza oltre la quale eventuali campi elettrostatici applicati al plasma cessano quasi del tutto di far sentire la loro influenza e per distanze dell’ordine di 4-5 volte ΛD possiamo considerare nullo il potenziale elettrostatico φ. Si noti come ΛD decresca al crescere di n; ciò si spiega facilmente tenendo conto che una maggiore concentrazione di elettroni è in grado di schermare meglio e su brevi distanze il campo applicato. Inoltre essa cresce al crescere di Te ed, in particolare, è nulla per Te = 0, ossia la nuvola di carica si riduce ad uno spessore nullo quando gli elettroni non hanno moto termico. È finalmente possibile comprendere il significato di quasi-neutro. Infatti se L è una grandezza che descrive le dimensioni del plasma, qualora fosse possibile ottenere: L D 1 (1.6) Per esempio mediante l’applicazione di una griglia carica. 3 CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI per larga parte della sua estensione il plasma non risentirebbe praticamente di nessun campo elettrico esterno se non per distanze confrontabili con ΛD. In tal caso è dunque possibile scrivere: ni ne n (1.7) Tuttavia, poiché il concetto di lunghezza di Debye è stato ottenuto a partire da considerazioni statistiche esso è valido solo quando si ha un numero molto elevato di particelle. Se in queste condizioni 4 N D = n 3D 3 (1.8) è il numero totale di particelle all’interno della cosiddetta sfera di Debye, deve valere: ND≫1.2 Se, ancora, supponiamo che in un plasma il moto delle particelle sia regolato da interazioni elettromagnetiche piuttosto che da collisioni interatomiche, otteniamo l’ulteriore condizione per cui: 1 (1.9) ove τ è il tempo che intercorre in media tra due collisioni e ω è la pulsazione delle tipiche oscillazioni del plasma. In definitiva, in virtù di ciò che è stato appena discusso si può affermare che un plasma è un gas per il quale valgono le relazioni: D L N D 1 . > 1 (1.10) 1.1.2 Le sorgenti ECR I costituenti una sorgente ECR possono essere riassunti come segue: • Cavità risonante: si tratta di una camera da vuoto contenente il plasma che funge da cavità risonante per le microonde necessarie affinché si possa avere la risonanza ECR. Essa viene isolata dal 2 La sfera di Debye è la sfera di raggio ΛD. 4 CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI sistema magnetico e solitamente caricata positivamente per consentire l’estrazione degli ioni; • Sistema di iniezione del gas ed iniezione delle microonde per la creazione del plasma; • Sistema di magneti per il confinamento magnetico del plasma: è formato da due o più solenoidi che generano un campo per il confinamento assiale e da un multipolo magnetico (solitamente un esapolo) per migliorare il confinamento radiale del plasma; • Estrattore dei fasci di ioni con differenti stati di carica presenti nel plasma. Figura 1.1: Schema di una sorgente ECR e forma del plasma al suo interno. La figura 1.1 mostra uno spaccato di una sorgente di ioni di tipo ECR. Si possono osservare i solenoidi responsabili del confinamento assiale e parte dell’esapolo per il confinamento radiale. Sono inoltre indicate le regioni nelle quali avviene l’iniezione delle microonde e l’alimentazione del gas, e la regione di estrazione degli ioni. É infine interessante notare la particolare forma assunta dal plasma, strettamente connessa con la struttura e la forma del campo magnetico di confinamento. 5 CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI La radiazione elettromagnetica ha solitamente frequenze caratteristiche delle microonde, ossia frequenze che possono andare da qualche GHz (circa 2 GHz) sino a qualche decina di GHz (circa 30 GHz) per le sorgenti ECR di nuova generazione. Opportuni generatori di microonde (Magnetron, TWT, Klystron) sono in grado di fornire microonde a queste frequenze e con potenze che vanno da qualche decina o centinaia di watt, sino a qualche chilowatt.3 Le microonde sono convogliate nella camera del plasma mediante guide d’onda circolari o rettangolari. Dal momento che l’Electron Cyclotron Resonance può verificarsi laddove è soddisfatta la relazione ωRF= qB/m , con m e q rispettivamente massa e carica dell’elettrone, B campo magnetico e ωRF frequenza delle microonde, senza la presenza di un campo magnetostatico non sarebbe dunque possibile ottenere ECR. Inoltre la forma di tale campo è importante poiché da questa dipende la capacità di confinare le particelle cariche in una regione ben definita dello spazio. Poiché in generale è necessario che la particella si muova all’interno di una regione di campo debole circondata da una regione di campo più intenso, ecco che la configurazione magnetica a B-minimo ottenuta con i magneti elencati in precedenza e mostrati in figura 1.1 è quella che garantisce un confinamento migliore. Questa condizione è necessaria dal momento che la qualità di una sorgente si misura soprattutto in funzione delle densità elettroniche raggiunte e dai tempi di confinamento ottenibili, senza contare che il libero cammino medio dell’elettrone è talmente elevato che sarebbe sostanzialmente impossibile ottenere ionizzazione senza un confinamento opportuno. Se il campo magnetostatico non fosse più costante spazialmente, l’elettrone spiraleggerebbe attorno alle linee di forza del campo con velocità e frequenza di rotazione differente a seconda della regione nella quale si trova. Ciò significherebbe che l’assorbimento risonante potrebbe avvenire solo in una determinato punto dello spazio. Infine per questo tipo di sorgenti è possibile identificare vantaggi e svantaggi [17] del loro impiego come segue. 3 Le problematiche relative ai sistemi magnetici da utilizzare per una sorgente ECR sono di non facile risoluzione da un punto di vista tecnologico, poiché i campi magnetici in gioco, per frequenze superiori a 18GHz, richiedono magneti superconduttori 6 CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI • VANTAGGI: correnti intense anche per alti stati di carica ionica, lunga vita media, elevata stabilità temporale di funzionamento, produzione sia di fasci continui che di fasci pulsati. • SVANTAGGI: elevato consumo di potenza nel caso in cui i magneti non siano permanenti, tecnologia e progettazione dei dispositivi per microonde costosa, ripple elevato per i fasci a più alto stato di carica (anche ∼10%), lunghi tempi di condizionamento, difficoltà nella produzione di ioni metallici. 1.2 La sorgente superconduttiva SERSE La sorgente superconduttiva SERSE è una delle sorgenti più performanti tra quelle in uso attualmente nei diversi laboratori del mondo. La sorgente è stata costruita per produrre fasci intensi e stabili di ioni positivi ad alto stato di carica da iniettare nel ciclotrone superconduttore in funzione presso i LNS. La figura Errore. L'origine riferimento non è stata trovata. mostra un’immagine della sorgente SERSE nella sua postazione ai LNS. 7 CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI Figura 1.2: La sorgente superconduttiva SERSE ai LNS. La camera del plasma è costituita da un cilindro d’alluminio lungo 450 mm ed avente un diametro di 130 mm, chiuso dalla flangia di iniezione e dalla flangia di estrazione alle estremità. Attorno alla camera, coassialmente, si trovano un esapolo e tre solenoidi superconduttori costituiti da Nb-Ti. Il sistema di di raffreddamento dei magneti utilizza un criostato lungo 1310 mm e con un diametro di 1000 mm contenente elio liquido (LHe) alla temperatura di 4.5 K. Il campo magnetico in iniezione è più intenso che in estrazione e, d’altra parte, tale differenza è necessaria poiché il confinamento deve essere meno forte in estrazione così da permettere l’estrazione degli ioni. Il sistema da vuoto è generato per mezzo di due pompe turbomolecolari poste in iniezione ed estrazione, rispettivamente da 600 e 1000l.s−1. Il gas da cui generare il plasma viene inserito attraverso due ingressi, entrambi regolati da valvole che permettono di dosarne la quantità con precisione. 8 CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI Le microonde necessarie alla formazione del plasma per mezzo dell’ECR sono fornite dai seguenti generatori: • due Klystron SAIREM capaci di erogare microonde con una potenza fino a 2kW ad una frequenza, rispettivamente, di 14 e 18GHz; • un Klystron CPI in grado di erogare microonde con una potenza fino a 2kW ad un frequenza di 18GHz; • un TWT (Travelling Wave Tube) in grado di erogare microonde con potenze fino a 600W e con possibilità di variare con continuità la frequenza di emissione da 13.75 a 14.25GHz; • un TWT capace di erogare microonde con una potenza fino a 300W e con la possibilità di variare con continuità la frequenza di emissione da 8 a 18GHz. Le microonde sono trasportate fino alla camera per mezzo di guide d’onda rettangolari di tipo WR 62 che permettono la propagazione monomodale ad entrambe le frequenze operative. L’estrazione degli ioni avviene mediante un sistema di elettrodi, con potenziali che si attestano sui 20 kV, con una tensione massima applicabile di 25kV. Una volta estratto, il fascio viene focalizzato da un solenoide verso il magnete di analisi, il quale è in grado di analizzare le diverse specie ioniche ed i diversi stati di carica in base al rapporto z/m. Superato il magnete di analisi, la corrente del fascio può essere misurata mediante una Faraday Cup (maggiori dettagli sul monitoraggio del trasporto del fascio sono riportati nel paragrafo 2.2.2). La figura 1.3 mostra uno schema dell’intero apparato. 9 CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI Figura 1.3: Schema della sorgente SERSE ai LNS-INFN e della relativa linea di fascio. Si può osservare il posizionamento delle due Faraday Cup: la FC1 misura la corrente totale, la FC2 la corrente relativa a ciascuno stato di carica dopo che il fascio è stato selezionato dal magnete di analisi a 90°. Un opportuno sistema di controllo remoto permette di variare diversi parametri in tempo reale: • Profilo del campo magnetico di confinamento; • Pressione del gas in iniezione; • Tensione d’estrazione; • Potenza delle microonde; • Valore del campo magnetico del magnete di analisi, così da selezionare lo ione di cui si vuole misurare la corrente estratta. 10 CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI 1.3 La sorgente CAESAR La seconda sorgente ECR di cui sono dotati i LNS è CAESAR. Costruita dalla compagnia francese Pantechnik nel 1988, la sua installazione presso i Laboratori venne completata nel Marzo 1999. Da allora opera come iniettore per il Ciclotrone Superconduttore. Nel 2000 la trasmissione del fascio attraverso la sezione di analisi della linea di fascio è stata ottimizzata mediante un nuovo sistema di estrazione. Una ulteriore semplificazione della sezione di iniezione a microonde ha limitato negli ultimi anni la massima potenza iniettata e di conseguenza le prestazioni ottenibili in termini di produzione di elevato stato di carica. Le sue caratteristiche principali possono essere riassunte come segue: • Campo magnetico elevato (fino a 1.58T assiale, 1.1T radiale), per far funzionare la sorgente a 14GHz in High B Mode e a 18GHz con B/BECR prossimo a 2; • Camera per il plasma in alluminio; • Sistema di estrazione a tre elettrodi; • Tensione massima di 30kV. I risultati in termini di produzione di HCI (High Charge Ions) sono buoni e sono riassunti in tabella 1.1. 11 CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI Ione Corrente (eA) N 6 15 N 7 160 25 O 6 O 7 720 105 Ne8 Ne9 170 14 Ar 11 Ar 16 Ca12 Ca14 Ni17 Kr 22 Kr 28 Ta 27 120 2 52 6 18 10 1 10 Tabella 1.1: Tipiche correnti prodotte dalla sorgente CAESAR. 12 CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI Figura 1.4: La sorgente CAESAR. 1.4 Produzione di ioni negativi: il processo di Sputtering Dal punto di vista della produzione, mentre è sempre possibile trovare un metodo per togliere elettroni ad un atomo, non è sempre possibile invece un metodo analogo per aggiungerne. L’aggiunta di un elettrone infatti comporta l’esistenza di un livello energetico disponibile da parte dell’atomo, e non sempre ciò si verifica. Questo dipende dalla struttura elettronica dell’atomo stesso. Inoltre gli ioni negativi hanno la caratteristica di essere quasi tutti di carica unitaria, uno ione negativo di carica superiore a uno è difficilmente producibile. Un parametro molto utile ad esprimere quantitativamente questo concetto è l’affinità elettronica che esprime numericamente la disponibilità dell’atomo ad acquistare un elettrone. Quanto più alto è tale valore tanto più alta è la probabilità di produrre uno ione negativo. Da 13 CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI ciò ci si può rendere conto che non tutti gli elementi sono ionizzabili negativamente.4 Il metodo di Sputtering è quello attualmente usato per produrre i fasci ionici negativi presso i LNS. Consiste nel bombardamento mediante ioni pesanti di un opportuno materiale (detto target) che contiene i componenti del fascio da produrre. In seguito a questo bombardamento il materiale viene eroso formando nelle immediate vicinanze un plasma dal quale vengono estratti, mediante un potenziale elettrico, gli ioni negativi che vi si sono formati. Il materiale usato per il bombardamento è solitamente Argon, ma in tal caso vengono usati vapori di Cesio perché, a causa della sua bassa energia di ionizzazione, favorisce grandemente la formazione di ioni negativi.5 Ovviamente tale bombardamento implica la preventiva produzione di un altro fascio ionico, questa volta positivo, accelerato e focalizzato sul target. Nel nostro caso i vapori di Cesio vengono ionizzati per contatto con un filamento o una superficie di forma opportuna portati a 1100°C. Altri metodi possono comunque essere utilizzati. Le sorgenti Sputtering sono molto usate perché consentono di ottenere una vastissima gamma di fasci ionici con un’intensità adeguata. Possono essere prodotti quasi tutti gli elementi, ad eccezione dei gas nobili, per i quali vi sono notevoli difficoltà nel processo di creazione dello ione negativo in quanto instabile. Sono particolarmente adatte all’impiego di target solidi, ma con opportune modifiche possono utilizzare anche gas. Esistono moltissime varianti, si possono suddividere fondamentalmente in due classi: • Sorgenti a sputtering diretto, in cui il fascio di bombardamento ed il fascio negativo estratto viaggiano nella stessa direzione; • Sorgenti a sputtering inverso, in cui il fascio di bombardamento va nella direzione opposta a quello negativo. Queste ultime costituiscono un’evoluzione delle prime. Questo tipo di sorgente, progettualmente più semplice rispetto alle ECRIS è utilizzato negli acceleratori di tipo Tandem (descritti nel 4 Ad esempio, per gli elementi facenti parte del secondo gruppo della tavola periodica, avendo questi affinità elettronica nulla, la formazione di ioni negativi è impossibile. 5 Vi sono anche sorgenti che li utilizzano entrambi: Argon per il bombardamento e Cesio per aumentare la resa del fascio. 14 CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI dettaglio al paragrafo 2.1.1) poiché questi accettano in ingresso fasci di particelle con carica −1e. Una volta prodotto il fascio ionico questo subisce un primo stadio di accelerazione tramite un preiniettore che assolve il compito di immettere gli ioni negativi direttamente all’interno del Tandem Van der Graaff. Il preiniettore attualmente in uso presso i LNS lavora ad una tensione di 450 kV ed ha sostituito il precendente da 150 kV garantendo una migliore trasmissione del fascio. Figura 1.5: L’iniettore di ioni negativi da 450kV ai LNS. 15 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS 2. ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS 2.1 Gli acceleratori di particelle Gli acceleratori dei dispositivi che permettono di fornire energia a delle particelle, vale a dire di aumentarne la loro velocità. Nei casi di nostro interesse le particelle da accelerare sono particelle cariche, ovvero protoni, elettroni, ioni, clusters di ioni. Nati originariamente nell’ambito della ricerca sulla fisica nucleare, gli acceleratori di particelle sono oggi utilizzati per un vasto spettro di applicazioni; se è infatti ancora la ricerca fondamentale che finanzia e realizza le enormi macchine attive presso i più importanti laboratori del mondo, un gran numero di acceleratori di tutti i tipi e di tutte le dimensioni sono oramai realizzati in maniera industriale per soddisfare le necessità dei più svariati settori: da quello medico a quello dell’industria alimentare da quello militare a quello dell’elettronica. Gli acceleratori hanno avuto un impressionante sviluppo durante il secolo appena trascorso. Dalla loro prima apparizione negli anni 20 ad oggi si è passati da energie di poche centinaia di keV all’attuale regione dei TeV. Esistono diverse tipologie di classificazione degli acceleratori, in funzione dei principali parametri di funzionamento. Distinguiamo quindi: • Classificazione in base al tipo di particelle accelerate. In base a questa classificazione, gli acceleratori vengono a loro volta suddivisi in: + − 1. acceleratori di elettroni-positroni (e -e ); 2. acceleratori di protoni (p); 17 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS 3. acceleratori di ioni pesanti (α→U). Il criterio che sta alla base della soprastante classificazione è stabilito dal rapporto carica-massa (q/m) della particella da accelerare; gli acceleratori menzionati sfruttano tutti il principio di accelerazione dovuto all’azione di un campo elettrico. In realtà, l’accelerazione di particelle cariche non può che avvenire per mezzo dell’interazione con un campo elettrico; tuttavia le modalità con cui tali campi possono essere prodotti variano di volta in volta. É possibile utilizzare semplicemente un campo elettrostatico, o servirsi di un campo a radiofrequenza, calcolando opportunamente le traiettorie delle particelle così che queste possano sempre trovarsi in fase con il campo elettrico dell’onda, o possono essere prodotti campi elettrici ricorrendo alla legge dell’induzione magnetica. Appare evidente che elettroni e positroni presentano il medesimo valore di rapporto carica-massa e quindi una macchina che accelera positroni può anche accelerare elettroni. L’enorme differenza in tale rapporto tra elettroni e protoni rende invece assolutamente incompatibili gli acceleratori di elettroni con quelli di protoni, mentre questi ultimi possono in qualche caso accelerare qualche ione composito, per esempio particelle alfa. • Classificazione in base alla tipologia del bersaglio. 1. acceleratori a target fisso; 2. acceleratori a collisione (collider). La principale differenza è dovuta all’interazione tra il fascio accelerato ed il bersaglio. Nel primo caso, infatti, il bersaglio è un target fisso, formato da atomi di un determinato materiale con i quali avvengono le reazioni nucleari che si vogliono studiare. Nel secondo caso, viceversa, i fasci di particelle vengono accelerati in una struttura a forma di anello, e collidono l’uno contro l’altro con un netto guadagno energetico nel centro di massa del sistema rispetto al precedente metodo, in quanto tutta l’energia delle particelle è spesa nelle reazioni nucleari che avvengono in virtù del fatto che il centro di massa del sistema resta in quiete. • Classificazione riconducibile alle modalità di interazione con il campo elettrico. Distinguiamo così tra: 18 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS 1. acceleratori elettrostatici; 2. acceleratori lineari; 3. acceleratori circolari; 4. storage ring e beam collider. Presso i Laboratori Nazionali del Sud dell’INFN sono operativi due acceleratori di particelle, un Tandem Van der Graaff ed un Ciclotrone, il primo di tipo elettrostatico, il secondo circolare. I LNS sono dotati di due acceleratori di particelle, un Tandem Van De Graaff col quale venne iniziata la sperimentazione nei primi anni 80 ed un Ciclotrone Superconduttore in pieno esercizio dal 1996. Nei seguenti paragrafi verrà fornita una breve descrizione dei principi di funzionamento di entrambi i tipi di macchina e delle caratteristiche specifiche di tali acceleratori, soffermandoci sulle performance raggiungibili in termini di energia, correnti e qualità del fascio. Queste informazioni, infatti, sono di fondamentale importanza per comprendere appieno i rischi da radiazione che possono conseguire dall’utilizzo di tali macchine radiogene. 2.1.1 Acceleratori elettrostatici: Il Tandem Van der Graaff Negli acceleratori di tipo Van de Graaff il campo elettrico è generato tramite un trasporto fisico di carica. Il range energetico raggiunto si aggira tra i 10 ed i 15MeV, con correnti intorno ai 100μA.6 In figura 2.1 è mostrata una schematizzazione di questo tipo di macchina che, come si vede, sfrutta la presenza di un tubo a vuoto all’interno del quale vengono accelerati le cariche, affiancato da un sistema nel quale le cariche positive vengono depositate su una cinghia di cuoio che le trasporta fisicamente fino al terminale superiore. La regolazione della carica avviene dunque semplicemente modificando la velocità della cinghia. 6 I valori di energia riportati si riferiscono ad un singolo stato di carica. Naturalmente, l’utilizzo di una sorgente di ioni a stato di carica multiplo consentirebbe di aumentare considerevolmente tali valori, raggiungendo energie pari a q-volte, dove q è lo stato di carica ionica, le energie menzionate . 19 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS Figura 2.1: Schema di un tipico acceleratore Van der Graaff. Il grosso limite di questo tipo di acceleratore consiste nell’isolamento dell’ambiente all’interno del quale si trova il terminale: la carcassa del contenitore è infatti collegata a terra e quindi anche tra questa ed il terminale si forma una differenza di potenziale che porta, superata una certa soglia, a scariche con effetti potenzialmente distruttivi oltre che pericolosi. Data l’impossibilità di aumentare oltre una certa soglia il campo elettrostatico a causa del rischio delle scariche, intorno al 1960 si pensò di sfruttare più di una volta un’unica differenza di potenziale; nacque così l’acceleratore denominato Tandem. Il Tandem sfrutta il medesimo metodo di creazione del campo elettrico visto nel caso del Van der Graaff, ovvero il trasporto di cariche, ma utilizza una configurazione che permette, appunto, di accelerare due volte le particelle. In figura 2.2 è mostrato lo schema di un acceleratore di questo tipo. 20 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS Figura 2.2: Rappresentazione schematica di un acceleratore Tandem. Invece degli ioni positivi, il Tandem utilizza ioni negativi che vengono accelerati sfruttando un’unica differenza di potenziale per due volte. La creazione della tensione acceleratrice avviene per mezzo dello stesso principio utilizzato per l’acceleratore Van De Graaff, ossia mediante il trasporto di carica. Un fascio di ioni carichi negativamente viene immesso nel dispositivo ed ivi accelerato verso la regione mediana dello stesso grazie alla presenza di un campo elettrico opportunamente orientato, in modo tale che lo ione negativo veda un campo attrattivo (e quindi un potenziale positivo) nel punto di mezzo dell’acceleratore. Proprio nella regione mediana, la presenza di un sottile foglio di materiale solido (ad esempio carbonio), o la presenza di gas inerte (ad esempio elio), permettono di togliere allo ione negativo non soltanto l’elettrone che lo ha reso tale, ma pure un certo numero di altri elettroni delle shells atomiche, permettendo di ottenere uno ione positivo molteplicemente carico. Lo stesso campo elettrico di cui sopra, è quindi in grado di accelerare nuovamente lo ione che ha invertito il suo stato di carica. Pertanto, l’energia complessiva acquisita nel doppio processo di accelerazione (da qui il nome di acceleratore Tandem) sarà data da: E = (1 qTandem)V (2.1) mentre, nel caso del Van De Graaff si aveva: E = qVVdG (2.2) 21 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS A prima vista, il vantaggio che si ha nell’utilizzare l’acceleratore Tandem sembrerebbe dovuto all’incremento di un solo stato di carica nel termine moltiplicativo (1+q) nell’equazione (2.1). Al contrario, il netto incremento in termini di performance è attribuibile al fatto che, grazie al processo di stripping di un fascio energetico, qTandem>qVdG, vale a dire che con tale sistema si possono ottenere degli stati di carica più elevati e quindi una maggiore energia complessiva delle particelle. Un ulteriore vantaggio è la possibilità di utilizzare sorgenti di ioni esterne alla macchina, che consente una certa rapidità di azione e la possibilità di cambiare componenti della sorgente senza dover aprire il Tandem. L’apertura dell’acceleratore è, infatti, un’operazione che richiede uno o due giorni ed implica l’entrata di lavoratori addetti all’interno di esso con conseguente esposizione alle radiazioni ed incremento delle dosi assorbite. Ciò comporta non solo un aumento dei rischi da esposizione, ma anche un consumo di risorse in termini economici e di tempo, oltre che l’usura di tutti i dispositivi coinvolti allo "spegnimento" e riavvio della macchina. Lo svantaggio principale è dovuto al fatto che lo stripping è un processo squisitamente statistico, pertanto all’uscita dell’acceleratore si avrà una certa distribuzione energetica degli ioni in relazione agli stati di − carica ottenuti. A titolo di esempio, si consideri il caso di ioni O che attraversano il filtro con un’energia pari a 15 MeV, la curva relativa allo stripping sarà quella qualitativamente mostrata in figura 2.3. Se ne deduce che su 100 ioni di ossigeno che vanno incontro allo stripping, 40 6+ 5+ 7+ diventeranno O , 20 diventeranno O , 20 diventeranno O , 10 4+ 3+ 8+ diventeranno O , 5 diventeranno O e 5 diventeranno O . 22 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS Figura 2.3: Stati di carica prodotti dal processo di stripping nel caso di una sorgente di ioni O−. La presenza di una distribuzione di probabilità siffatta (il cui picco si sposta verso l’alto con l’aumentare dell’energia delle particelle) porta dunque a ben 6 fasci che escono dal filtro centrale, ognuno con un’energia differente. Per questo motivo è necessario l’utilizzo di un sistema magnetico atto a selezionare il fascio con l’energia voluta; ciò comporta che ad un incremento sostanziale delle energie ioniche, segue un decremento altrettanto sensibile delle intensità del fascio, in quanto per le particelle non selezionate dal sistema magnetico si è spesa un’energia che è andata irrimediabilmente persa. In sintesi, i valori realisticamente ottenibili per energia e correnti si attestano rispettivamente a E≃100MeV, I∼1÷100μA. L’acceleratore Tandem dei LNS era originariamente un HVEC MP Tandem con una tensione nominale massima di 13MV. Tale acceleratore divenne operativo nel 1983, ed a partire da quella data numerosi miglioramenti sono stati apportati così da avere, in questo momento, un voltaggio operativo massimo di 16MV ed un ottima affidabilità a 15MV. Trattandosi di un acceleratore elettrostatico il Tandem presenta anch’esso il problema delle scariche distruttive, difficilmente prevedibili. Per diminuire la possibilità che tali scariche abbiano luogo, l’interno della tank è riempito con esafluoruro di zolfo (SF6) alla pressione di 23 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS 7bar, un gas che presenta un’alta rigidità dielettrica e che permette di ridurre il pericolo di scariche, ma che risulta altamente velenoso. Un’importante caratteristica di tale acceleratore è l’eccellente trasmissione, che raggiunge valori dell’ordine del 100%; il raggiungimento di tali prestazioni è stato possibile, come accennato nel capitolo precedente, grazie all’utilizzo del nuovo preiniettore da 450kV che ha sostituito il precedente da 150kV. Uno dei parametri fondamentali che caratterizzano i fasci di particelle cariche, in particolare modo quelli estratti da sorgenti di ioni, è la cosiddetta emittanza. Essa rappresenta grossomodo il prodotto tra il diametro del fascio e l’ampiezza del momento trasverso, si misura in mm⋅mrad ed è una quantità che deve essere minimizzata. Senza scendere ulteriormente nel dettaglio, è sufficiente dire che l’emittanza del fascio accelerato dal Tandem è eccellente e si attesta a 5π mm⋅mrad. Per quanto riguarda le energie ottenibili, si è visto dalla relazione (2.1) che esse dipendono dallo stato di carica raggiungibile nello stripper. Per questo tipo di Tandem, operando alla tensione di 15MV, è possibile ottenere ioni totalmente strippati per gli elementi leggeri, mentre per gli elementi più pesanti qTandem raggiunge il valore di 10−12. Pertanto la massima energia ottenibile si attesta attorno ai 105MeV per il carbonio, e 135MeV per l’ossigeno con un valore limite di quasi 200MeV per gli ioni più pesanti. Infine la massima corrente ottenibile dipende molto dal tipo di ione accelerato oltre che dallo stato di carica dello stesso. Pertanto si ha un ampio range di variazione con valori che vanno da 10 a 100 nA. 24 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS Figura 2.4: Acceleratore TANDEM ai LNS. 2.1.2 Acceleratori circolari: Il Ciclotrone Superconduttore K800 Il principio basilare sul quale si fonda la loro utilizzazione è costituito dall’utilizzo concomitante di campi magnetici ed elettrici, che permette di sfruttare un’unica struttura di accelerazione per un numero imprecisato di volte, ottenendo in questo modo energie elevatissime. Una particella di carica q può seguire una traiettoria circolare di raggio r solamente se viene immersa in un campo magnetico B e sfrutta la ben nota forza di Lorentz FL = qv B (2.3) se la particella mantiene una traiettoria circolare allora sarà sottoposta ad una forza centripeta di modulo: Fcp = mv2 r (2.4) dove m, v, e r indicano rispettivamente massa e velocità della particella. Imponendo che tale forza sia dunque dovuta alla presenza del campo magnetico si ottiene infine: 25 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS mv2 = qvB r che può essere riscritta come: Br = mv . q (2.5) Il termine Br prende il nome di Rigidità Magnetica e costituisce un parametro fondamentale per gli acceleratori circolari in quanto ne fissa i parametri costitutivi, ossia, sostanzialmente, dimensioni e campo magnetico di operatività.7 Nel ciclotrone, le particelle cariche sono confinate da magneti e quindi dalla forza di Lorentz su un unico piano. Si compone essenzialmente di due semicilindri cavi a forma di D (e per questa ragione detti dee), distanziati tra loro da un gap nel quale viene creato il campo elettrico oscillante (la cui frequenza è dell’ordine dei MHz responsabile dell’accelerazione. Una schematizzazione del processo di accelerazione è mostrato in figura 2.5. Una particella carica, iniettata nella regione centrale della macchina con velocità non nulla, subirà una curvatura della propria traiettoria ad opera del campo magnetico. L’attraversamento del gap, e la conseguente interazione col campo elettrico che ivi si trova, incrementa l’energia della stessa particella e pertanto aumenta il raggio di curvatura di questa all’interno del campo magnetico. Dopo avere percorso una semi-circonferenza la particella si troverà nuovamente in prossimità del gap. Se la relazione tra il tempo impiegato e la variazione del campo elettromagnetico ha la fase opportuna, il campo elettrico potrà nuovamente trovarsi in condizione di accelerare la particella. Il processo si ripeterà ad ogni semi-giro, generando un raggio di curvatura via via crescente, ed avrà termine nel momento in cui la particella, per via delle dimensioni della macchina, ne avrà raggiunto i bordi e dovrà quindi essere estratta. L’energia acquisita durante la fase di accelerazione sarà pertanto funzione della intensità del campo elettrico nel gap, del proprio stato di carica e, naturalmente, di quante volte è avvenuto il transito nel gap. 7 Ad esempio per accelerare protoni fino ad 1TeV con campi magnetici confinanti di 1 tesla è necessario un acceleratore di circa 3km di raggio! 26 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS Figura 2.5: Principio di funzionamento di un ciclotrone. Un elettromagnete genera il campo magnetico ortogonale alla direzione di propagazione del fascio; due elettrodi cavi, detti dee, posti all’interno del magnete generano il campo elettrico usato per accelerare le particelle cariche; una radiofrequenza genera la tensione alternata applicata ai dee. Quest’ultimo aspetto non può che dipendere dall’intensità del campo magnetico, in quanto campi più intensi riescono a confinare le particelle energetiche in uno spazio ridotto, e quindi a farle compiere un numero maggiore di orbite. La condizione fondamentale per il funzionamento di una macchina di questo tipo è la sincronizzazione tra la particella che gira e il campo elettrico che oscilla. L’isocronismo quindi impone che: 27 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS 0 = qB = RF = costante m (2.6) dove ω0 e ωRF sono le frequenze, rispettivamente di rivoluzione (o di ciclotrone) della particella e del campo elettrico oscillante.8 All’aumentare dell’energia della particella tale condizione, però, non è più rispettata poiché l’incremento relativistico della massa oltre un certo valore di energia per le particelle relativamente pesanti non è più trascurabile.9 Essendo infatti m0 m= v2 1 2 c , (2.7) per mantenere il sincronismo tra la RF ed il moto della particella accelerante si deve variare il campo magnetico in funzione del raggio dell’orbita. Pertanto pertanto deve essere: 0 = qB(r ) qB0 = = RF = costante m m0 da cui si ricava: B(r ) = B0 2 v 1 2 c = B0 qB r 1 0 m0 c 2 . (2.8) La scelta di variare B con il raggio dell’orbita risulta tecnicamente semplice e mantiene intatte le caratteristiche peculiari del ciclotrone, quali l’alta intensità e la continuità del fascio; presenta tuttavia un 8 In genere quest’ultima può essere multiplo intero della prima ωRF=hω ed h prende il nome di numero armonico. 9 Anche in un piccolo ciclotrone da 18MeV per la produzione di radioisotopi l’effetto relativistico è importante, infatti per un protone da 18MeV l’aumento della massa è del 2% circa (la sua velocità è di circa 0.2c, il che comporta una variazione nel raggio dell’ultima orbita prevista di più di 1 cm). 28 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS problema assolutamente non trascurabile, l’incremento del campo magnetico col raggio fa perdere, infatti, stabilità verticale al fascio. Figura 2.6: Schema della suddivisione in settori (creste e valli) delle espansioni polari di un ciclotrone. L’effetto è di ottenere un campo magnetico variabile lungo la direzione azimutale. Il problema è in parte risolto facendo variare il campo magnetico, oltre che radialmente, anche azimutalmente, cioè lungo la direzione del fascio. Ciò si ottiene suddividendo le espansioni polari del ciclotrone in settori in corrispondenza dei quali i campi magnetici presentano dei valori medi differenti: le creste o hill, in cui il campo è più elevato e le valli o valley in cui è minore. Il campo magnetico B(r,θ) varia quindi azimutalmente come mostrato in figura 2.7. 29 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS Figura 2.7: Diagramma della variazione del campo magnetico in funzione dell’angolo azimutale. Per aumentare ulteriormente l’effetto focalizzante lungo la direzione verticale del fascio si sfrutta l’effetto fringing lungo i bordi dei settori in cui è suddiviso il ciclotrone. In pratica il fascio, nel passaggio da una valle ad una cresta, subisce un effetto focalizzante (assialmente) in relazione all’angolo di ingresso nella cresta. Più è grande questo angolo maggiore è l’effetto focalizzante. Per ragioni di simmetria il passaggio dalla valle alla cresta ha un effetto defocalizzante che però in coppia con quello precedente dà un contributo globalmente focalizzante (effetto doppietto [12]). Dato che si necessita di maggiore focalizzazione verso i raggi esterni, dove l’energia del fascio è maggiore, il bordo delle creste viene sagomato come una spirale (si veda la figura 2.8), in modo da incrementare l’angolo d’incidenza del fascio con l’aumentare del raggio. 30 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS Figura 2.8: Schema di un ciclotrone a tre settori. La forma a spirale di ogni settore assicura un effetto globalmente focalizzante lungo la direzione verticale. Il ciclotrone installato ai LNS ed attualmente operativo possiede magneti superconduttori che lo rendono particolarmente compatto. Si tratta di una macchina a tre settori del tipo mostrato in figura 2.8 con un raggio dei poli magnetici di 90cm. A causa dell’ampia varietà di ioni accelerati le tre cavità operano in un range di frequenze compreso fra i 15 e i 48MHz. L’isocronia tra RF e frequenza di rivoluzione è sempre garantita entro qualche Gauss. Il campo magnetico raggiunge valori ragguardevoli che variano tra 2.2 e 4.8T. Campi magnetici di questo tipo sono generati da bobine superconduttrici di Nb-Ti raffreddate da un bagno di elio liquido alla temperatura di 4.4K, poste simmetricamente rispetto al piano mediano ed attraversate da una corrente massima di 6.5MA. Le energie ioniche raggiungibili possono variare tra 8 e 100 AMeV. Progettato dal team del Prof. Resmini della sezione INFN di Milano ed ivi parzialmente assemblato, il ciclotrone superconduttore di Catania fu trasportato nel 1990 presso i Laboratori Nazionali del Sud dove venne 58 completato e produsse il primo fascio di Ne a 30AMeV nel Giugno del 1995. La progettazione e la realizzazione dei magneti ha inoltre permesso di ottenere un ottimo accordo tra i calcoli teorici e i risultati 31 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS ottenuti. Negli anni successivi il funzionamento del ciclotrone si è caratterizzato per una affidabilità ottimale che ha consentito di perdere solamente il 5% del tempo programmato nel 1997. Durante i primi quattro anni di funzionamento il CS era alimentato da una sorgente esterna ed il fascio arrivava già ionizzato e preaccelerato dal Tandem. L’iniezione era dovuta a deflettori elettrostatici con il compito di guidare il fascio nella zona centrale del ciclotrone. Figura 2.9: Interno del Ciclotrone Superconduttore K800. A causa di numerose problematiche operazionali che questa tecnica comportava, si decise la costruzione della sorgente superconduttiva SERSE, capace di ottime performance ed in grado di far funzionare il ciclotrone nella modalità appropriata. Venne quindi deciso di far funzionare il ciclotrone per mezzo di un’iniezione assiale ottenuta grazie ad un inflettore elettrostatico elicoidale opportunamente realizzato. Il disaccoppiamento tra i due acceleratori avvenne nel 1999 e permise il loro utilizzo separatamente ed in contemporanea. Per ciò che concerne l’estrazione del fascio accelerato il ciclotrone utilizza due deflettori elettrostatici, sette canali magnetici e due barre 32 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS compensatrici. Il posizionamento di tali elementi dipende dalle caratteristiche degli ioni da estrarre oltre che dalle energie degli stessi. Figura 2.10: Schema dell’estrazione mediante sistemi elettrostatici. I deflettori costituiscono gli elementi più critici degli acceleratori ad estrazione elettrostatica. Questi, applicando dei campi via via più deboli, generano il deconfinamento del fascio e rendono la sua traiettoria rettilinea favorendone l’estrazione. Il campo elettrico è applicato tra due elettrodi curvati che formano un condensatore cilindrico. Il piatto interno, chiamato setto, è a massa, mentre quello esterno è denominato elettrodo ed è a tensione. Ogni deflettore è costituito da due setti in tungsteno accoppiati tramite uno snodo e movimentati da motori per "adattare" ogni deflettore al fascio utilizzato. Ciò si rende necessario dal momento che il ciclotrone non è 33 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS "monofascio", ma è in grado di accelerare fasci di particelle aventi rapporto Z/A = 1/2.10 Purtroppo non tutte le particelle accelerate che arrivano al deflettore vengono estratte, una frazione di esse, infatti, andrà ad urtare il setto ed andrà irrimediabilmente persa. Oltre a penalizzare l’efficienza del sistema di estrazione, la perdita di fascio crea problemi di attivazione del setto e non solo ed è pertanto necessario minimizzarle. Per questo motivo i deflettori sono gli elementi più pericolosi dal punto di vista radioprotezionistico, presentando livelli di attivazione molto elevati. Infine, affinché si abbia una buona efficienza di estrazione le orbite devono essere ben separate. In alcuni ciclotroni la separazione delle orbite non è sufficientemente grande da permettere una buona estrazione, per questo motivo vengono utilizzate le perturbazioni magnetiche sulla dinamica del fascio (risonanze), per aumentare il gap radiale fra le orbite. L’efficienza di estrazione si aggira intorno al 40−50%. Un’immagine di insieme del Ciclotrone Superconduttore K800 è mostrata in figura 2.11. 10 Questo è il motivo per cui prima del 1999 non era possibile accelerare protoni dal momento che gli stati di carica prodotti dall’accoppiamento dei due acceleratori erano in media 3+ e 4+. 34 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS Figura 2.11: A destra è mostrata un’immagine completa del Ciclotrone Superconduttore K800 dei LNS, mentre a sinitra sono riportati le principali caratteristiche tecniche del CS. La macchina ha un’altezza di 2.86m, peso 176ton e diametro massimo di 4m. In figura 2.11 sono riportati alcune caratteristiche tecniche del CS. Tra queste i parametri che definiscono le macchine di questo tipo sono essenzialmente i primi due, che sono, rispettivamente, il KBending ed il KFocusing. Il primo si ricava dai parametri strutturali della macchina quali il raggio di estrazione ed il campo magnetico massimo che si ha in corrispondenza appunto dell’estrazione, da cui dipende la rigidità magnetica massima raggiungibile per le particelle accelerate. Questo parametro limita l’energia degli ioni estratti Tmax nel modo seguente: 35 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS 2 Tmax Z K bend , A A (2.9) mentre il KFocusing esprime il limite focalizzante intrinseco della macchina, anch’esso dipendente da parametri strutturali quali il massimo angolo di spirale e il flutter, e limita l’energia degli ioni estratti nel modo seguente: Tmax Z K foc . A A (2.10) + Quindi ad esempio nel caso in cui si voglia accelerare H2 alla massima energia si deve tenere conto che per Z/A=0.5 (stato di carica dello ione) il limite di operatività è dato dalle caratteristiche focalizzanti Kfoc, che vale 200, e dunque dalla (2.10) si ha: Tmax 0.5 K foc = 0.5 200 = 100MeV A (2.11) ovvero l’energia massima sarà 100MeV. In realtà l’energia è ancora inferiore poiché vi sono dei limiti tecnici dovuti ad altri componenti che costituiscono la macchina (come i deflettori elettrostatici) che impediscono a quest’ultima di raggiungere le massime prestazioni. L’intensità media varia 0.02 e 0.04nA, che è piuttosto bassa a causa anche della bassa efficienza di estrazione dovuta ai deflettori. In ogni caso la grande varietà di ioni accelerati permette la realizzazione di diversi esperimenti nell’ambito della fisica nucleare e dal Febbraio 2002 anche nell’ambito della protonterapia per la cura di varie forme di tumore intraoculare (progetto CATANA [3]). 2.2 La linea di trasporto dei fasci In analogia con i principi dell’ottica fisica, un fascio di particelle è considerato alla stregua di un fascio di fotoni che interagendo con i dispositivi ottici (lenti) viene opportunamente focalizzato. Nel caso del trasporto dei fasci l’interazione, che è di tipo elettromagnetica, avviene con dispositivi che in genere sono sistemi magnetici, che hanno il 36 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS compito di guidare (dipoli magnetici) e focalizzare (quadrupoli, sestupoli, ecc.) le particelle cariche. Lo studio dell’ottica dei fasci si basa sull’approccio matriciale, per cui ad ogni sistema magnetico è associato una matrice di trasferimento contenente i parametri fisici e strutturali del sistema stesso come i valori di campo magnetico, la lunghezza, i gaps, i gradienti, ecc.. Un sistema particolarmente significativo da trattare con il metodo della matrice di trasferimento è quello delle lenti sottili (thin lens). Nel caso di lenti convergenti o focalizzanti la relazione che descrive l’azione della lente è rappresentata nel formalismo matriciale nel modo seguente: X = RX 0 (2.12) Dove la matrice X0 rappresenta le condizioni iniziali e X quelle finali, mentre R è la matrice di trasferimento che contiene le informazioni geometriche della lente in questione. Si dimostra che una sequenza di lenti divergente e convergente, o viceversa, ha un effetto comunque focalizzante, purché L>f (effetto di overfocusing) con L distanza tra le lenti ed f distanza focale. Ad ogni elemento utilizzato nel trasporto dei fasci è associata una matrice di trasferimento (MQF, MQD, MBend, ecc.) contenente le informazione fisiche e geometriche dello stesso. Poiché le linee di trasporto sono costituite da una successione dei suddetti elementi è possibile definire una matrice di trasferimento unica (Mtotal) risultante dal prodotto delle singole matrici di trasferimento in grado di descrivere così l’intera linea M total = M QF M QD M Bend . (2.13) 2.2.1 I sistemi di deflessione e focalizzazione Gli elementi preposti alla guida dei fasci accelerati sono i dipoli magnetici. Questi sono in genere elettromagneti alimentati da una coppia di bobine, posizionate simmetricamente rispetto al piano mediano su cui viaggiano le particelle dove è indotto il campo magnetico necessario a guidarle. 37 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS Sotto l’azione della forza di Lorentz il fascio è così deflesso con un m raggio di curvatura dipendente dal rapporto dello ione accelerato. q Un esempio di come un ipotetico dipolo magnetico possa deflettere e selezionare ioni è mostrato in figura 2.12, dove il fascio accelerato è costituito da ioni di tre differenti masse (M1<M2<M3). Il diagramma mostra la linea focale inclinata. È visibile, inoltre la linea focale ideale per il corretto posizionamento dei collettori. Figura 2.12: Deflessione da parte di un dipolo magnetico di un fascio di ioni di tre differenti masse. Il raggio di curvatura dipende dal rapporto m/q dello ione accelerato. Lungo la linea di trasporto sono posti anche altri elementi di guida e deflessione del fascio, gli steerer. Essi vengono utilizzati ogni qual volta si abbia la necessità di piccole deflessioni lungo una certa direzione (verticale ad esempio) e sono costituiti da bobine conduttrici che, percorsi da corrente, generano campi magnetici periferici (non centrati quindi al centro della bobina) di bassa intensità (dell’ordine di qualche Gauss). 38 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS Gli steerer giocano un ruolo particolarmente importante durante la procedura di centraggio del fascio di protoni per le applicazioni cliniche di CATANA, dove è richiesta un’altissima precisione. I quadrupoli magnetici hanno la funzione di focalizzare il fascio sul piano trasverso. Anch’essi sono degli elettromagneti il cui campo magnetico è indotto da due coppie di bobine simmetricamente posizionate rispetto al centro del sistema. Figura 2.13: Effetto di focalizzazione di due quadrupoli con polarità invertita posti in successione lungo la linea di fascio. Si prenda ad esempio lo schema mostrato in in figura 2.13. Per la sua configurazione magnetica e nel caso di ioni positivi, il primo quadrupolo genera una forza focalizzante su una sola direzione (nel caso della figura, lungo quella orizzontale), mentre il secondo, di polarità invertita, fa lo stesso lungo la direzione verticale. La successione dei due genera quindi un effetto generale focalizzante. 39 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS Figura 2.14: Magneti quadrupolo usati per il sincrotrone SOLEIL a Saint Aubin vicino Parigi, Francia. 2.2.2 Monitoraggio del trasporto L’intensità di corrente oltre che rappresentare una caratteristica di un fascio accelerato è anche utile alla conoscenza della sua posizione e distribuzione nello spazio delle Fasi. Misure di intensità di corrente sono dunque necessarie per conoscere le caratteristiche spaziali e temporali del fascio e per poter, eventualmente, intervenire su esso. A questo scopo esistono svariati sistemi di rivelazione; essi si distinguono in distruttivi e non a seconda del tipo di interazione che hanno col fascio [5]. In particolare, si definiscono non distruttivi quei sistemi che riducono l’intensità del fascio che li attraversa di non oltre il 10%. Un metodo distruttivo tra i più semplici di utilizzo consiste in un cristallo di quarzo disposto a 45° rispetto alla direzione di propagazione del fascio. Se il quarzo viene colpito dal fascio emette una radiazione elettromagnetica nel visibile che osservabile direttamente dall’utente tramite telecamera. Questo tipo di dispositivo rientra nella categoria dei misuratori di intensità nel senso che è in grado di dire se la corrente di fascio sia uguale o diversa da zero. Un dispositivo che permette di quantizzare l’intensità di corrente è la cosiddetta Coppa di Faraday. Nonostante il carattere distruttivo delle misure, possono fornire informazioni precise sulla corrente del fascio in 40 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS un modo molto semplice: la carica totale trasportata dalle particelle viene raccolta su un elettrodo collocato lungo il percorso di fascio e misurata per mezzo di uno amperometro collegato al dispositivo. Dal momento che i dispositivi appena descritti sono di tipo distruttivo è necessario che al termine della misura essi possano essere tolti dalla traiettoria del fascio. Questa operazione si attua facilmente utilizzando un sistema ad aria compressa comandato da interruttori elettromagnetici, che assicura la necessaria rapidità di movimento. Un tipico esperimento di fisica nucleare, in generale, prevede che il fascio, una volta accelerato da una delle due macchine descritte in questo capitolo, venga estratto e trasportato al di là delle schermature principali nelle sale sperimentali dove, dopo aver colpito un bersaglio, "muore" in un pozzo di spegnimento, un assorbitore, cioè, in grado di assorbirlo completamente. Uno schema delle varie sale sperimentali prensenti ai LNS è mostrato in figura 2.15. Sono visibili le sorgenti ECR, i due acceleratori (le prime poste ad un piano inferiore rispetto ai secondi) e le linee di fascio disponibili che conducono ai rivelatori ospitati nelle diverse sale. È inoltre possibile vedere la sala adibita alla protonterapia. 41 CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS Figura 2.15: Layout delle varie sale sperimentali presso i LNS di Catania. 42 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI 3. ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI I processi di ionizzazione e di eccitazione degli atomi e delle molecole associati al passaggio delle radiazioni ionizzanti nella materia, sono all’origine degli effetti indotti osservati nei mezzi attraversati, in particolare degli effetti biologici che si manifestano nei tessuti umani irradiati. Questo capitolo affronta alcuni degli aspetti radioprotezionistici che si presentano all’interno dei LNS. Nella prima parte saranno introdotte, in linee generali, le possibili interazioni che le radiazioni ionizzanti hanno con la materia, le principali grandezze utilizzate in questo campo, gli effetti biologici ed i riferimenti legislativi riportati nella normativa italiana vigente. Queste nozioni risultano indispensabili per comprendere appieno la pericolosità ed i rischi derivanti dall’esposizione ai vari tipi di radiazione. La seconda parte sarà dedicata a descrivere alcuni aspetti del sistema radioprotezionistico all’interno dei LNS, illustrando i diversi mezzi della radioprotezione, che includono, tra l’altro, anche i sistemi di dosimetria personale e quelli di rivelazione ambientale, le schermature ed i sistemi di controllo. 3.1 Interazione della radiazione con la materia L’azione lesiva delle radiazioni ionizzanti sull’organismo è una diretta conseguenza dei processi fisici di eccitazione ed ionizzazione degli atomi e delle molecole dei tessuti biologici dovuti agli urti delle particelle, quando hanno un’energia sufficiente a produrre questi processi. A seconda che la ionizzazione del mezzo irradiato avvenga per via diretta o indiretta, si usa distinguere tra radiazioni direttamente ionizzanti e radiazioni indirettamente ionizzanti. Sono direttamente ionizzanti le particelle cariche (ad esempio elettroni, protoni, particelle alfa, eccetera) la cui energia cinetica è sufficiente per produrre ionizzazione per collisione; sono invece indirettamente ionizzanti le particelle prive di carica elettrica (neutroni, fotoni, eccetera) che, 43 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI interagendo con la materia, possono cedere tutta o parte della propria energia a particelle secondarie direttamente ionizzanti. 3.1.1 Interazione delle particelle cariche con la materia Le particelle cariche costituiscono le radiazioni direttamente ionizzanti. Le interazioni di queste particelle con la materia sono di natura elettromagnetica ed il loro passaggio è caratterizzato da due effetti: una perdita di energia da parte della particella incidente, ed una deflessione della medesima dalla sua direzione iniziale. Tali effetti sono fondamentalmente il risultato di collisioni anelastiche con gli elettroni atomici del mezzo attraversato e di "scattering" elastico dei nuclei. Nel caso di particelle leggere (elettroni e positroni), tuttavia, le collisioni anelastiche, eccitazione ed ionizzazione per urto sono le principali responsabili delle cessioni di energia soltanto ad energie relativamente modeste. A causa della loro piccola massa, per queste particelle assumono infatti grande rilevanza, già ad energie dell’ordine di pochi MeV, anche le perdite di energia per irraggiamento (radiazione di "bremsstrahlung" o di frenamento), vale a dire l’emissione di radiazioni elettromagnetiche derivanti dalla diffusione Coulombiana nel campo di un nucleo atomico. Esistono anche altri processi nei quali le particelle leggere possono perdere energia, anche se in misura minore. Tra questi vi sono la diffusione elastica da parte degli atomi, la diffusione multipla, la polarizzazione, eccetera [14]. Nel caso dei positroni, inoltre, è importante ricordare l’annichilazione da fermi o in volo, dopo la formazione di stati legati positrone-elettrone. Le particelle cariche pesanti dissipano la loro energia nella materia quasi esclusivamente per collisioni anelastiche con gli atomi o le molecole del mezzo attraversato (eccitazioni ed ionizzazioni).11 11 Possono presentarsi anche altri tipi di interazione fra gli ioni incidenti e gli atomi del mezzo come le reazioni nucleari o la diffusione elastica, ma si tratta di processi di minore importanza se non addirittura irrilevanti come nel caso dell’eccitazione Coulombiana dei nuclei e l’emissione di radiazione elettromagnetica. Pur tuttavia le reazioni nucleari non possono essere affatto trascurate quando si studia l’assorbimento nella materia di fasci costituiti da questo tipo di particelle ai fini dei progetti di schermature, per via delle radiazioni secondarie da esse originate. 44 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI Le modalità dell’interazione sono determinate dall’energia cinetica della particella carica incidente e dalla minima distanza a cui essa si avvicina all’atomo urtato. Se tale distanza è grande in confronto alle dimensioni dell’atomo, quest’ultimo reagisce nel suo insieme nel campo elettrico della particella incidente, che si comporta come una carica puntiforme, rimanendo eccitato o ionizzato. In tal caso si parla di collisioni "soft" o distanti.12 Se invece tale distanza è piccola, la collisione interessa direttamente uno degli elettroni periferici, che verrà liberato acquistando una considerevole energia cinetica, di norma molto maggiore della sua energia di legame. Questo tipo di collisioni sono note come collisioni "hard" o prossime. A seguito del processo di ionizzazione si ha la formazione di coppie elettrone-ione positivo che, in generale, tende a ricombinarsi, a meno che l’elettrone strappato non abbia acquisito un’energia cinetica tale da causare eventi di ionizzazione secondaria.13 Se le tracce di questi elettroni secondari sono sufficientemente lunghe da potersi distinguere dalla traccia della particella primaria si usa far riferimento ad essi con il termine di raggi δ. Le energie di soglia dei processi di eccitazione ed ionizzazione sono dell’ordine di alcuni eV nel caso degli elettroni meno legati. Si definisce stopping power lineare S o potere frenante la perdita di energia cinetica media che una particella subisce per unità di percorso. Essa si indica come: S= dE . dx 12 (3.1) In generale, durante i processi di eccitazione l’atomo o la molecola urtata vengono portati dal livello fondamentale ad uno eccitato. Il riassestamento degli atomi interessati avviene tramite l’emissione di fotoni o di elettroni "Auger", mentre nel caso di molecole hanno luogo processi più complessi che possono concludersi con la rottura dei legami chimici, spesso chimicamente reattivi. 13 Talvolta si verifica che l’elettrone rimosso "si attacchi" ad una molecola neutra dando così luogo ad uno ione negativo. 45 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI L’espressione del potere frenante fu determinata inizialmente da Bohr, sfruttando argomentazioni classiche, e successivamente fu calcolata da Bethe e Bloch sulle basi quantistiche della teoria perturbativa, ottenendo la relazione [11]: dE Z z 2 2me c 2 2 2Wmax C 2 2 2 , = 2N A re2 me c 2 ln 2 2 dx A I Z (3.2) comunemente nota come formula di Bethe e Bloch, valida per particelle cariche, distinte dagli elettroni, ad energie relativistiche nell’intervallo che va da qualche MeV a qualche GeV ed espressa nel SI delle unità di misura. Tutti i parametri che intervengono nell’equazione (3.2) sono definite in tabella 3.1. 46 CAPITOLO 3 Parametro NA re me c 2 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI Descrizione numero di Avogadro = 6.022 1023 mol 1 raggio classico dell’elettrone = 2.817 1013 cm Z A z v energia a riposo dell’elettrone = 0.511MeV densità del mezzo numero atomico del mezzo massa atomica del mezzo carica della particella incidente velocità della particella incidente termine relativistico = v Wmax I C Z c termine relativistico = 1 1 2 massima energia trasferita energia di eccitazione media termine di correzione per effetto densità termine di correzione per shell Tabella 3.1: Descrizione dei parametri presenti nella formula di Bethe e Bloch. In particolare Wmax rappresenta l’energia cinetica massima che può essere trasferita ad un elettrone libero in un singolo urto col proiettile, I l’energia di eccitazione media degli atomi del mezzo (potenziale di ionizzazione), mentre δ e C/Z costituiscono dei termini correttivi, rispettivamente, nel limite delle alte e delle basse energie.14 14 In altre parole, Wmax rappresenta l’energia massima persa dalla particella in un’unica collisione anelastica con un elettrone. 47 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI Figura 3.1: Stopping power dell’acqua (espresso in MeVcm−1) per diversi tipi di particelle cariche pesante e particelle beta. La correzione δ per effetto della densità è rilevante solo quando l’energia cinetica del proiettile è confrontabile o maggiore della sua energia di massa a riposo: in tal caso, il campo elettrico dello ione incidente tende a polarizzare gli atomi del mezzo in prossimità della sua traiettoria. A causa della polarizzazione così indotta, gli elettroni lontani dal cammino della particella verranno schermati dall’intensità totale del campo di radiazione e, di conseguenza, le collisioni anelastiche con questi elettroni contribuiranno in misura minore alla perdita di energia totale rispetto a quanto previsto della formula di Bethe e Bloch. Tale effetto risulta tanto più rilevante quanto più denso è il materiale attraversato.15 La correzione C/Z di shell assume importanza nel caso in cui la velocità del proiettile è confrontabile o minore della velocità orbitale degli elettroni legati agli atomi del mezzo. In questo intervallo di energie la (3.2) inizia a perdere di validità in quanto lo ione incidente, carico 15 Gli effetti di polarizzazione sono più significativi, infatti, in sostanze dense piuttosto che in quelle leggere come i gas [11]. 48 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI positivamente, tende ad acquistare elettroni dall’assorbitore riducendo così il suo stato di carica e, di conseguenza, anche il tasso di perdita di energia. Se si considerano particelle cariche di massa m e carica ze ad energie non relativistiche (v≪c, ma tali da supporre trascurabile la correzione di shell, la relazione (3.2) è esprimibile più semplicemente come segue [10]: dE mz 2 = C1 dx E E ln C2 m , (3.3) dove C1 e C2 rappresentano delle costanti.16 Nell’equazione (3.3) il termine logaritmico varia lentamente con l’energia per cui lo stopping power avrà un andamento inversamente proporzionale all’energia 1 incidente (o, analogamente, S 2 ) e dipenderà essenzialmente dal v prodotto mz2, assolutamente caratteristico del tipo di particella in esame. Si osservi che, nell’intervallo di energie in cui è da ritenersi valida la (3.2), lo stopping power tende a decrescere all’aumentare della velocità incidente finché non presenta un valore minimo, in corrispondenza di v≅0.96c: in tal caso, le particelle che rallentano entro il mezzo (dette minimamente ionizzanti), che siano inoltre caratterizzate dallo stesso valore di z, presentano approssimativamente lo stesso valore della perdita di energia specifica per cui non risultano più distinguibili. Dalla dipendenza energetica descritta dalla (3.2) è possibile ricavare, infine, l’andamento dell’energia depositata in un mezzo in funzione della profondità di penetrazione. La curva corrispondente è nota come curva di Bragg ed evidenzia come le particelle cariche pesanti perdano la maggior parte della loro energia alla fine del loro tragitto e vengano dunque frenate completamente ad una fissata distanza, dipendente dalla 4 Le costanti presenti nella (3.3) sono date da: C = NZe e C2 = 4me , avendo 1 2 I 8 0 me posto il numero di atomi o molecole bersaglio per unità di volume N = N A . A 16 49 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI loro energia iniziale, che prende il nome di range (si veda la figura 3.3 di pagina 57).17 L’aumento della ionizzazione nell’ultimo tratto del percorso, vale a dire il numero di coppie ione-elettrone prodotte dal passaggio della radiazione, si spiega con la dipendenza del potere frenante dall’inverso del quadrato della velocità. Quando la particella rallenta, quindi, la ionizzazione aumenta per poi annullarsi bruscamente allorché la sua energia è diminuita fino al livello del potenziale di ionizzazione del mezzo attraversato. 3.1.2 Interazione dei fotoni con la materia Tra i vari modi in cui i fotoni possono interagire con la materia, solo tre sono i principali meccanismi che giocano un ruolo importante nelle misure della radiazione: l’effetto fotoelettrico, che predomina per fotoni di bassa energia, fino a circa 0.5MeV, l’effetto Compton, per energie intorno al MeV e la produzione di coppie, che predomina per fotoni di alta energia, in particolare al di sopra dei 5-10MeV. Segue una breve descrizione dei processi. Effetto fotoelettrico: consiste nell’urto tra un fotone ed un atomo nel suo insieme, con conseguente assorbimento del fotone ed emissione di un elettrone, generalmente appartenente ad una delle orbite più interne.18 L’energia cinetica massima K e è data dall’equazione di Einstein: K e = h Eb (3.4) dove ν rappresenta la frequenza del fotone incidente, mentre Eb l’energia di legame del fotoelettrone nella sua "shell" di origine. L’effetto fotoelettrico è tanto più probabile quanto più l’elettrone è 17 A causa della natura statistica dei processi di interazione, questa distanza è soggetta ad una fluttuazione, che determina il cosiddetto fenomeno del range straggling. 18 Dato che un elettrone libero non può assorbire un fotone ed anche conservarne l’impulso, l’effetto fotoelettrico coinvolge sempre e soltanto elettroni legati a nuclei. 50 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI legato all’atomo. Pertanto avviene più frequentemente con gli elettroni dell’orbita K, che costituiscono circa l’80% di tutti i fotoelettroni emessi. Inoltre, per ogni orbita, l’emissione fotoelettrica è più probabile quando il fotone possiede giusto l’energia sufficiente per produrla. La sezione d’urto, il cui andamento qualitativo può essere osservato in figura 3.2, decresce con l’energia dei fotoni presentando delle improvvise discontinuità in corrispondenza delle energie di soglia del processo per le differenti orbite (K, L, M). Le discontinuità sono più evidenti e numerose per i materiali di elevato numero atomico. Gli atomi del mezzo assorbente, espellendo un elettrone, risultano eccitati, quindi, si diseccitano emettendo raggi X di fluorescenza o elettroni "Auger". Effetto Compton: consiste nella diffusione di un fotone da parte di un elettrone atomico. L’interazione avviene quando il fotone possiede energia sufficientemente elevata (prevalentemente tra 0.8 e 4 MeV circa) rispetto all’energia di legame dell’elettrone da poter interagire con quest’ultimo come se fosse libero. Nel processo il fotone è diffuso in direzione diversa da quella incidente, mentre l’elettrone viene a sua volta messo in moto con una certa energia cinetica. Poiché tutti gli angoli di "scattering" sono possibili, l’energia trasferita all’elettrone può variare da zero ad una larga frazione dell’energia del raggio gamma incidente.19 Produzione di coppie: è un processo in cui il raggio gamma è assorbito e la sua energia viene trasferita in parte in massa di quiete di una coppia elettrone-positrone ed in parte in energia cinetica di queste due particelle. Per i principi di conservazione dell’energia e del momento si può mostrare che quest’effetto è possibile soltanto nel campo Coulombiano di un nucleo o di un elettrone. Si tratta, inoltre, di un "processo a soglia" che può aver luogo soltanto se l’energia minima 2 del fotone è pari a 2m0c , vale a dire 1.022 MeV, cioè l’energia corrispondete alla massa a riposo della coppia elettrone-positrone. L’energia cinetica disponibile non si distribuisce però in parti uguali tra le due particelle, in quanto il positrone, a causa della repulsione da parte del nucleo, tende a riceverne un po’ più rispetto all’elettrone. Questa 19 Ad energie inferiori al MeV può avvenire anche diffusione coerente (o di "Rayleigh"), processo in cui un fotone, interagendo con un atomo, è esclusivamente deflesso da questo senza alcuna perdita di energia. 51 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI differenza finisce tuttavia per scomparire al crescere dell’energia riferimento [14]. Un materiale attraversato da un fascio di fotoni subisce i processi fisici fin qui descritti che, sebbene molto differenti tra loro nelle modalità e negli esiti finali, determinano un’attenuazione dell’intensità iniziale del fascio incidente. Alla luce della descrizione di questi effetti, è chiaro che un fotone non può essere "rallentato" dagli atomi del materiale attraversato. Esso infatti o interagisce con gli atomi tramite uno dei processi analizzati, così da essere rimosso dal fascio o, in alternativa, non viene assolutamente disturbato da essi, continuando a viaggiare lungo la direzione inizialmente posseduta. Se ci si pone in dN condizioni di "buona geometria", la frazione di fotoni che subisce N interazioni nell’attraversare uno spessore sottile di materiale è regolata da una precisa legge matematica funzione del numero iniziale di fotoni incidenti, delle caratteristiche dell’assorbitore considerato e della sezione d’urto atomica totale a tot .20 Quest’ultima è data dalla somma delle sezioni d’urto atomiche relative a tutte le interazioni che il fotone può subire nel mezzo poiché tutti gli effetti concorrono insieme all’attenuazione del fascio. dN Integrando l’equazione che esprime il rapporto si ottiene il N numero di fotoni trasmessi N in funzione dello spessore l attraversato: N = N0e l , (3.5) NA a tot A (3.6) avendo posto: = dove N 0 è il numero di fotoni senza assorbitore e il numero di atomi presenti per cm3 nel materiale [14]. 20 NA rappresenta A Verificate nel caso in cui un rivelatore posto lungo l’asse del fascio, dietro l’assorbitore, difficilmente possa essere raggiunto da fotoni che hanno subito interazioni nell’assorbitore stesso: solo i fotoni che non hanno subito alcuna interazione verranno rivelati da esso. 52 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI Il coefficiente μ viene detto coefficiente di attenuazione lineare e rappresenta la frazione di fotoni che interagisce per unità di spessore del −1 mezzo attraversato. Si misura in cm ed è pari al reciproco del libero cammino medio λ.21 Rigorosamente, questo coefficiente si può considerare costante solo per fasci monoenergetici di fotoni, poiché la sezione d’urto totale è fortemente correlata all’energia. Ci si aspetta quindi che all’interno del materiale attraversato, un fascio di fotoni subisca una continua attenuazione, la cui entità è tanto maggiore quanto 3 più elevato risulta il numero di atomi per cm presenti nell’assorbitore. Spesso, in luogo di μ si preferisce utilizzare il coefficiente di attenuazione massico , dato dal rapporto tra il coefficiente di attenuazione lineare e la densità del materiale attraversato. Questo coefficiente ha la proprietà di essere indipendente dalla densità del mezzo assorbitore. La discussione appena affrontata fa comprendere quindi le due caratteristiche principali dei fotoni: penetrano la materia molto più delle particelle cariche e non subiscono degradazione in energia dentro la materia, ma solo un’attenuazione in intensità [11]. 21 Definito come lo spessore di assorbitore dopo il quale l’intensità del fascio si riduce a 1 del suo valore iniziale. e 53 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI Figura 3.2: Andamento del coefficiente di assorbimento massico μ/ϱ per il Piombo in funzione dell’energia. 3.1.3 Interazione dei neutroni Le interazioni dei neutroni con la materia sono fondamentalmente diverse da quelle precedentemente descritte a proposito delle particelle cariche e dei fotoni a causa della facilità con la quale queste particelle possono raggiungere i nuclei degli atomi, dando luogo così a reazioni nucleari. Essi, infatti, non possedendo carica elettrica, non sono soggetti ad interazioni coulombiane con gli elettroni ed i nuclei della materia che attraversano. 54 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI Non è oggetto di questo lavoro descrivere nel dettaglio le diverse interazioni cui i neutroni sono soggetti nell’attraversare la materia. Basterà in questa sede sapere che queste possono essere spiegate in termini di formazione di un nucleo composto in uno stato eccitato, dove l’energia di eccitazione, che comprende l’energia cinetica e di legame del neutrone (7−8MeV), è rapidamente suddivisa tra tutti i nucleoni [14]. A seconda della loro energia i neutroni possono dare luogo ad una vasta gamma di reazioni nucleari, le più importanti delle quali sono qui di seguito brevemente illustrate. Per energie inferiori a 0.1 MeV si parla di neutroni termici. Questi interagiscono con i nuclei atomici dai quali vengono "catturati"; il nucleo poi si diseccita emettendo un fotone. La probabilità di cattura neutronica o radiativa aumenta al diminuire della energia del neutrone e varia considerevolmente a seconda del materiale assorbente. La sezione d’urto é grande per elementi quali l’idrogeno, il boro ed il litio. Per 1MeV < E < 150MeV si hanno neutroni veloci. Il principale meccanismo con cui questi perdono energia è la diffusione elastica con i nuclei, nella quale tutta l’energia persa dal neutrone é trasformata in energia cinetica del nucleo urtato. Il neutrone urta il nucleo e viene diffuso secondo le leggi della dinamica dell’urto.22 Si parla in tal caso di moderazione dei neutroni. Il massimo trasferimento di energia si ha quando l’urto é frontale ed il nucleo ha più o meno la stessa massa del neutrone, cioè quando il bersaglio é un protone. Per questo motivo l’idrogeno costituisce il più prezioso degli elementi per il rallentamento dei neutroni veloci. Si noti che essendo il tessuto biologico ricco di idrogeno, il passaggio di neutroni veloci in esso é caratterizzato in grandissima parte da questo tipo di interazione che produce protoni di rimbalzo di energia uguale a quella del neutrone incidente, i quali causano ionizzazione ed eccitazione negli atomi e nelle molecole del mezzo. Altri danni al tessuto vivente, sebbene in misura minore, sono causati dalle collisioni dei neutroni con i nuclei di carbonio, ossigeno ed azoto (considerati nuclei leggeri). 22 Nella trattazione non relativistica dell’urto tra neutrone e nucleo, considerati un sistema isolato, si conservano quantità di moto ed energia cinetica. Il neutrone non eccita il nucleo, che generalmente era e rimane nel suo stato fondamentale. 55 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI Neutroni di energia intermedia interagiscono mediante entrambi i processi appena descritti di cattura e di diffusione elastica. Altre due interazioni da ricordare sono gli urti anelastici e le reazioni con emissione di particelle cariche. Nei primi il neutrone viene catturato dal nucleo ed in seguito riemesso con energia minore e la produzione di un fotone. Questo processo si verifica solo se il neutrone ha un’energia almeno di 1 MeV, necessaria ad eccitare il nucleo. Nelle seconde, invece, il neutrone viene assorbito e come risultato possono essere emessi protoni, particelle alfa, eccetera. Queste collisioni hanno luogo per energie superiori a 5 MeV e la loro probabilità di verificarsi cresce all’aumentare dell’energia. Infine, per neutroni di energia intorno ai 100 MeV o superiore, si può avere spallazione, cioè la cattura del neutrone da parte di un nucleo con la conseguente emissione di vari tipi di particelle e frammenti. La legge di attenuazione di un fascio sottile di neutroni monoenergetici é simile a quella dei fotoni nel senso che vengono anch’essi attenuati esponenzialmente tramite un coefficiente di attenuazione lineare. La figura 3.3 riassume quanto detto finora sui diversi meccanismi di rilascio di energia nella materia da parte delle varie radiazioni. Dal grafico emerge che mentre fotoni e neutroni sono radiazioni molto penetranti e sparsamente ionizzanti, le particelle cariche hanno range limitato e sono estremamente ionizzanti. 56 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI Figura 3.3: Energia persa per unità di percorso in funzione della profondità in acqua. Il confronto è eseguito tra diversi tipi di radiazioni quali: protoni da 200 MeV, elettroni da 20 MeV, raggi X, fotoni emessi da 60Co e neutroni. 3.2 Cenni di dosimetria Il problema fondamentale della dosimetria è quello di mettere in relazione gli effetti osservati con le caratteristiche fisiche del campo di radiazione. Poiché tutte gli effetti (biologici, fisici, chimici) indotti dalle radiazioni ionizzanti si manifestano solo quando avviene una cessione di energia alla materia, si è tentato di risolvere il problema mediante l’introduzione di una grandezza strettamente legata a tale cessione, la dose assorbita (che sarà definita più avanti). La misura o il calcolo della dose assorbita costituiscono il principale obiettivo della dosimetria. In pratica, però, tale quantità, pur giocando un ruolo di fondamentale 57 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI importanza nell’interpretazione degli effetti biologici, non è in grado di darne una spiegazione completa. Nel 1990 l’ICRP (International Commission on Radiological Protection, si veda il paragrafo 3.3.2) ha approvato le nuove raccomandazioni fondamentali, che hanno sostituito quelle dell’ICRP Pubblication 26 [7] ed i supplementi successivi.23 Queste sono state pubblicate nel 1991 nella ICRP Pubblication 60, ed includono l’introduzione di nuove grandezze per la radioprotezione [8]. Queste ultime hanno richiesto una revisione di molti dei dati di base usati nella protezione contro le sorgenti di radiazione ionizzanti, sia interne sia esterne al corpo. Tre tipi di grandezze sono definite specificamente per l’utilizzo in radioprotezione: • Grandezze fisiche. Caratterizzano il campo di radiazione, sono direttamente misurabili e danno un’indicazione della dose assorbita. Questi concetti sono definiti più avanti; • Grandezze radioprotezionistiche. Sono definite dall’ICRP, non sono direttamente misurabili, ma riferibili a calcoli se le condizioni di irradiazione sono note. Queste grandezze servono a tener conto dei diversi tipi di radiazione in termini di effetti su un medesimo tessuto biologico, e delle diverse risposte degli organi su cui incide la radiazione; • Grandezze operative. Definite dall’ICRU (International Commission on Radiation Units and Measurements, si veda il paragrafo 3.3.2), sono utilizzate per il monitoraggio di aree ed individui esposti alle radiazioni. Servono a fornire una stima delle quantità dosimetriche, e come quantità di calibrazione dei dosimetri utilizzati. Sia le grandezze radioprotezionistiche che quelle operative possono essere correlate alle grandezze fisiche. Le grandezze fisiche e quelle operative sono fondamentali per misurare la radiazione esterna. I coefficienti di conversione, che collegano grandezze operative e radioprotezionistiche a grandezze fisiche, sono calcolati utilizzando codici di trasporto della radiazione e modelli matematici appropriati. 23 ICRP 1978, 1980, 1985. 58 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI 3.2.1 Grandezze fisiche Quando in una certa regione dello spazio si propagano radiazioni di qualsiasi genere, si dice che essa è sede di un campo di radiazione. Tale campo è di natura intrinsecamente statistica; quindi le grandezze fisiche atte a descriverlo, brevemente introdotte qui di seguito, sono sempre di tipo stocastico. Si definisce Fluenza di particelle Φ in un certo punto in un mezzo irradiato: = dN . da (3.7) dove dN rappresenta il numero medio atteso delle particelle incidenti su una sfera di sezione massima da, pensata perpendicolare alla radiazione incidente, avente centro nel punto considerato; l’unità di −2 −2 misura è m nel SI, o cm secondo le unità pratiche, spesso utilizzate. La fluenza di particelle concerne il trasporto di particelle; è possibile, e spesso risulta comodo, definirne altre analoghe, che descrivano il trasporto di energia. Detta R l’energia radiante, cioè la somma delle energie delle particelle (esclusa quella di quiete) emessa, trasferita o ricevuta, espressa in joule nel SI, è intuitivo considerare la quantità Fluenza di energia delle particelle Ψ, definita come: = dR . da (3.8) −2 espressa in J⋅m nel SI. Per il seguito, risulta importante definire il concetto di equilibrio di radiazione: si dice che in un certo punto in un mezzo vi è equilibrio di radiazione quando il valore atteso dell’energia radiante R che entra in un volume infinitesimo attorno a quel punto è uguale a quello dell’energia radiante che ne esce. Quando tali condizioni si verificano soltanto per le particelle cariche, si parla di equilibrio di particelle cariche. L’equilibrio di particelle cariche sussiste certamente quando l’elemento di volume d’interesse si trova immerso in una porzione di materia di dimensioni non inferiori al percorso massimo dei secondari carichi messi in moto e purché la fluenza d’energia della radiazione 59 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI primaria non vari apprezzabilmente su distanze dell’ordine di tale percorso. Al contrario tale equilibrio viene a mancare in prossimità di una sorgente puntiforme, a causa della variazione del campo di radiazione con la distanza; all’interfaccia tra due mezzi diversi; e, più in generale, in presenza di radiazioni indirettamente ionizzanti di energia sufficientemente elevata cosicché il percorso dei secondari carichi originati non sia affatto trascurabile rispetto al libero cammino medio della radiazione primaria [1]. 3.2.2 Grandezze dosimetriche Poiché tutti gli effetti indotti dalle radiazioni ionizzanti si manifestano quando avviene una cessione di energia alla materia, è chiaro che le valutazioni di tipo dosimetrico implicano una conoscenza delle caratteristiche sia del campo di radiazione che dei mezzi materiali irradiati. Le grandezze dosimetriche godono della proprietà di potersi esprimere come prodotto di una grandezza di campo per una costante caratteristica del mezzo coinvolto (coefficiente d’interazione). Per descrivere la capacità dei raggi X di produrre ionizzazione in aria, storicamente è stata introdotta la grandezza Esposizione X, definita come: X= dQ . dm (3.9) dove dQ è il valore assoluto della carica totale degli ioni di un segno, prodotti in aria quando tutti gli elettroni liberati dai fotoni nell’elemento di massa dm sono completamente fermati; l’unità di misura è il C kg 1 nel SI, o il roenteger R ( 1R = 2.58 104 Ckg 1 ), più frequentemente usato nella pratica. Il limite maggiore di questa grandezza è la ristrettezza dell’ambito di validità: solo per fotoni e solo in condizioni di equilibrio di particelle cariche quindi (per questioni di tecnica attuale) solo per energie dei fotoni non superiori ai 3 MeV. Nonostante questi pesanti limiti, tale unità è ancora oggi utilizzata per la semplicità concettuale della 60 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI strumentazione con cui si effettua la misura (come nel caso delle camere ad ionizzazione ad aria libera). Fondamentale ai fini dosimetrici è la grandezza chiamata Energia impartita ε dalla radiazione ionizzante in un certo volume: = Rin Rout Q (3.10) dove Rin è l’energia radiante incidente sul volume, cioè la somma delle energie delle particelle ionizzanti (esclusa quella di quiete), cariche o meno, che entrano nel volume; Rout è l’energia radiante uscente dal volume, cioè la somma delle energie delle particelle ionizzanti (esclusa quella di quiete), cariche o meno, che lasciano il volume; Q infine è la somma di tutti i cambiamenti nelle energie di massa di riposo dei nuclei e delle particelle elementari in tutte le reazioni che avvengono nel volume; nella somma, gli aumenti di energia di massa sono denotati con (+) e le diminuzioni con (−). L’unità di misura è il Joule. Si tratta di una grandezza stocastica, il cui valore atteso ε, detto energia media impartita, è collegato alla più importante delle grandezze dosimetriche, la dose assorbita come segue. Si definisce Dose assorbita e si indica con D, la quantità: D= d dm (3.11) come anticipato, è l’energia media impartita nel volume elementare di massa dm; l’unità di misura nel SI è il Gray (Gy) ( 1Gy = 1J kg 1 ), ma è in uso anche l’unità convenzionale rad, essendo 1Gy = 100rad . La valutazione di ε richiede, in linea di principio, ripetute esposizioni di elementi finiti di massa nel campo di radiazione interessato, con relativa operazione di media dei valori di ε misurati. Per questo motivo il calcolo della dose assorbita è teoricamente possibile a prescindere della presenza di condizioni di equilibrio di radiazione, ma risulta notevolmente semplificato nel caso della loro sussistenza [14]. Il Kerma K (Kinetic Energy Released to the Matter), risulta definito come: 61 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI K= dEtr dm (3.12) dove dEtr è la somma delle energie cinetiche iniziali di tutte le particelle ionizzanti cariche, liberate dalle particelle ionizzanti neutre in un elemento di volume di massa dm; l’unità di misura è nuovamente il Gray.24 Ogni qual volta si è interessati a conoscere l’energia depositata in una certa regione intorno alla traccia delle particelle incidenti si fa ricorso ad una grandezza chiamata LET (Linear Energy Transfer) definita come: dE L = dl (3.13) dove dE rappresenta l’energia ceduta localmente per collisioni da una particella carica lungo un segmento di traccia dl, considerando esclusivamente le collisioni che comportano un trasferimento di energia minore di Δ (solitamente espresso in eV). −1 L’unità di misura del LET è solitamente keV⋅μm . Considerando tutte le perdite di energia si ottiene per il LET, che in questo caso indicheremo con L∞, lo stesso valore numerico del potere frenante. Quando ci si riferisce al L∞ si distinguono particelle ad alto LET e particelle a basso LET, il confine fra le due si colloca in genere fra 30 e −1 50 keV⋅μm . Gli elettroni sono solitamente considerati particelle a basso LET, mentre protoni, particelle alfa ed i nuclei di rinculo sono ad alto LET. I dettagli sono mostrati in tabella 3.2. 24 Nel termine dE è anche inclusa l’energia che le particelle secondarie cariche tr irradiano sotto forma di radiazione di frenamento, o le energie delle particelle cariche prodotte in processi secondari (per esempio elettroni Auger) nell’elemento di volume considerato. 62 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI Particella LET [keV m1 ] Elettroni 0.2 ÷ 30 Protoni 50 ÷ 100 Particelle alfa 40 ÷ 250 Ioni pesanti 100 ÷ 400 Tabella 3.2: Valori di LET∞ per alcune particelle [14]. 3.2.3 Grandezze radioprotezionistiche Nessuna delle grandezze dosimetriche presentate (esposizione, dose assorbita, kerma ecc.) è per sua natura idonea ad interpretare in modo completo gli effetti provocati dal trasferimento di energia dalle radiazioni ionizzanti alla materia vivente. La dose assorbita, ad esempio, non consente di tenere conto della diversità degli effetti biologici indotti da radiazioni di diversa qualità. Infatti, a parità di dose assorbita, in un medesimo tessuto biologico possono manifestarsi effetti diversi, a seconda dei diversi tipi di radiazione incidente. Viceversa, a parità di dose assorbita e di qualità di radiazione incidente, il danno biologico può essere ben diverso a seconda del tipo di tessuto irradiato. Quindi in qualche modo, ciascun tipo di radiazione è caratterizzato da una propria "pericolosità" biologica, ed inversamente, ciascun tessuto (o organo umano) da una propria "suscettibilità" alle radiazioni. Le grandezze radioprotezionistiche possono essere intese come quantità dosimetriche specificate nel corpo umano dall’ICRP, nel tentativo di quantificare attraverso opportuni coefficienti, seppure in modo empirico, i rischi di esposizione ai diversi tipi di radiazioni ionizzanti. In questo ambito l’ICRP, ancora con la Pubblicazione 60, ha suggerito l’uso di fattori di peso della radiazione wR, i cui valori sono specificati in base alle caratteristiche della radiazione esterna incidente o 63 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI del radionuclide internamente depositato. Allo scopo di distinguere la ponderazione della dose assorbita con i fattori di peso introdotti, ha così definito una nuova grandezza, la dose equivalente, espressa da: H T = wR DT ,R , (3.14) R dove DT,R è la dose assorbita da ciascun tipo di radiazione. L’unità di misura è il Sievert nel SI oppure il rem, essendo 1Sv=100 rem. HT è definita relativamente ad un tessuto od organo T irradiato con vari tipi di radiazione, cui corrispondono i diversi fattori di peso wR i cui valori sono dedotti dalle rassegne di informazione biologica. In figura 3.4 sono riportati i valori numerici di wR in termini di tipo ed energia della maggioranza delle radiazioni ionizzanti [8]. Si noti come le particelle alfa, i frammenti di fissione e gli ioni pesanti presentino, in qualunque intervallo di energia, il valore più elevato. Figura 3.4: Fattori peso per radiazione a diverse energie. 64 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI Note le dosi equivalenti relative a tutti gli organi o tessuti del corpo è possibile determinare la dose efficace, data dall’espressione: E = wT H T , (3.15) T dove HT è la dose equivalente al tessuto o organo T e wT è il fattore peso per il tessuto T. Il fattore peso rende conto delle diversità del danno stocastico relativo, risultante dall’esposizione di differenti tessuti o organi ad una identica dose equivalente. Si può così pensare che mentre la dose equivalente dia una misura del danno biologico al tessuto o organo irradiato, la dose efficace fornisca una misura del danno biologico all’individuo esposto. In figura 3.5 sono presentati i valori numerici di wT per i diversi organi o tessuti. Figura 3.5: Fattori peso dei diversi tessuti ed organi. 65 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI 3.2.4 Grandezze operative In generale la dose assorbita agli organi non può essere valutata sperimentalmente in quanto ciò richiederebbe l’acquisizione di un gran numero di parametri. Basti pensare che per effettuare la misura sarebbe necessario praticare una cavità intorno al punto d’interesse ed introdurre in essa un materiale C sensibile alla dose, vale a dire un "dosimetro". Adesso, se il materiale C fosse della stessa natura del materiale costituente il mezzo irradiato, la procedura descritta non perturberebbe il campo preesistente ed il valore della dose assorbita così determinato non risulterebbe diverso dal quello cercato. In genere però il mezzo ed il rivelatore non sono affatto omogenei per cui l’energia assorbita sarà diseguale nei diversi materiali. Per risalire dalla dose misurata DC alla dose nel mezzo imperturbato (cioè il valore a cui si è effettivamente interessati) si dovrà pertanto moltiplicare la prima per un opportuno fattore di correzione. La determinazione di tale fattore non è affatto banale e costituisce l’obiettivo fondamentale della cosiddetta teoria della cavità, non affrontata in questa sede. Ulteriori dettagli sono riportati in letteratura [14] Da quanto detto emerge pertanto che anche le quantità HT ed E non possono essere direttamente misurate. Per questo motivo l’ICRU ha definito un’altra serie di grandezze, dette operative, che si distinguono per le seguenti caratteristiche [6]: • possibilità di essere misurate direttamente, o di essere ricavate dalle risposte degli strumenti; • a partire dalla loro misura, possibilità di ottenere una stima conservativa di quantità radioprotezionistiche e/o fisiche, ossia una stima che non sottovaluti in nessun caso l’entità reale della quantità radioprotezionistica o fisica; • contemporaneamente, capacità di evitare un’eccessiva sovrastima delle grandezze radioprotezionistiche e fisiche. Le quantità operative sono inoltre classificate in due categorie: quelle per il monitoraggio ambientale e quelle per il monitoraggio personale. 66 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI La definizione delle grandezze per il monitoraggio ambientale richiede qualche precisazione preliminare a proposito del significato di alcuni termini. Con il termine campo espanso ci si riferisce ad un campo di radiazione avente per tutto il volume di interesse la stessa fluenza di particelle, la stessa distribuzione angolare e lo stesso spettro in energia del campo che è effettivamente presente nel punto a cui ci si riferisce. Si definisce campo allineato ed espanso un campo di radiazione in cui si mantengono inalterate le precedenti quantità, fatta eccezione per la distribuzione angolare del campo di radiazione che viene assunta unidirezionale (figura 3.6). Figura 3.6: Schematizzazzione di campo reale (a), campo allineato ed espanso (b) ed espanso. Ora è possibile definire l’Equivalente di dose ambientale H * (d ) , in un certo punto immerso in un campo di radiazione. Essa è l’equivalente di dose che sarebbe prodotto dal corrispondente campo allineato ed espanso nella sfera ICRU centrata nel punto di interesse, a 67 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI una profondità d lungo il raggio opposto alla radiazione del campo allineato.25 Si definisce, inoltre, Equivalente di dose direzionale H (d , ) in un certo punto di un campo di radiazione l’equivalente di dose prodotto dal corrispondente campo espanso nella sfera ICRU ad una profondità d lungo un raggio in una specificata direzione . Per quanto riguarda, invece, il monitoraggio personale, si definiscono Equivalente di dose individuale penetrante H P (d ) e Equivalente di dose individuale superficiale H S (d ) gli equivalenti di dose in tessuto molle a specificate profondità d del corpo umano. Per le grandezze H*(d) e HP(d) il valore raccomandato per la profondità d è 10 mm (H* (10) e HP(10)), mentre per il monitoraggio in termini di H (d ) e HS(d) la distanza raccomandata è 0.07 mm (H'(0.07) e HS(0.07)). La loro unità di misura nel SI è, infine, il sievert. Da quanto detto finora appare dunque evidente che i valori di dose efficace sono valutati a partire dalle misure di grandezze operative. Le espressioni analitiche da utilizzare per il calcolo sono state recentemente ridefinite nella Pubblicazione 103 dell’ICRP [9]. 3.3 Problematiche relative alla radioprotezione La protezione dagli effetti delle radiazioni si fonda a livello generale sull’isolamento delle sorgenti radioattive dall’ambiente e dal contatto con l’uomo, ed a livello particolare sull’adozione di soluzioni progettuali, costruttive e tecnologiche, nonché sull’individuazione di comportamenti e prescrizioni atte a ridurre l’esposizione individuale e collettiva della popolazione in misura appropriata. 25 Con il termine sfera ICRU si intende una sfera di tessuto molle di diametro 30cm , densità 1gcm-3 e la cui composizione è data dal 76,2 di Ossigeno, 11,1 Carbonio, 10,1 Idrogeno e 2,6 Azoto. Essa quindi non è altro che un particolare fantoccio di riferimento. 68 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI 3.3.1 Effetti biologici delle radiazioni ionizzanti Gli effetti indotti dalle radiazioni ionizzanti si distinguono, dal punto di vista della possibilità di accadimento, in [8]: • Effetti non stocastici o deterministici, la cui gravità è in stretta relazione alla "qualità di radiazione" ricevuta nell’organo o tessuto d’interesse, che successivamente sarà definita in modo più preciso come "dose assorbita", e per ciascuno di essi, esiste un valore di soglia soltanto superato il quale, l’effetto stesso si manifesta. I valori delle dosi corrispondenti alle varie soglie sono, inoltre, sempre piuttosto elevati e conosciuti in genere con accettabile accuratezza. • Effetti stocastici, caratterizzati, invece, da una probabilità di accadimento in funzione della dose ricevuta, e dall’assenza di un valore di soglia, al di sotto del quale con certezza l’effetto non si manifesti. Dal punto di vista biologico invece, gli effetti indotti si distinguono in somatici e genetici, a seconda che si manifestino sull’individuo esposto o sui suoi discendenti. Gran parte degli effetti somatici sono di tipo non stocastico, mentre tutti gli effetti genetici ed una fetta comunque importante dei somatici (leucemia, carcinogenesi) hanno carattere stocastico. Quando le radiazioni ionizzanti arrivano su di un organismo vivente cedono in parte la loro energia alle cellule che lo compongono. Tale apporto di energia, negli organismi viventi, produce una ionizzazione delle molecole: da qui la definizione di radiazioni ionizzanti. Si possono distinguere in generale in questo processo due fasi: una "fase iniziale" e la fase del "danno biologico". Nella fase iniziale le radiazioni ionizzanti producono nella materia vivente alterazioni fisiche e fisico-chimiche, le quali, proprio perché si verificano in strutture biologiche, sono all’origine della successiva fase del danno biologico, che si manifesterà prima nei costituenti fondamentali della materia vivente, le cellule, poi nei tessuti e negli organi, ed infine nell’organismo considerato nel suo insieme. Si può affermare che i danni biologici, a livello cellulare e tessutale, vengono generati mediante un duplice meccanismo: 69 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI • Diretto, in cui le macromolecole cellulari e tessutali, essendo esse stesse bersaglio delle radiazioni, ne subiscono gli effetti ionizzanti ed eccitanti; • Indiretto, in cui le alterazioni a carico di queste macromolecole sono dovute ai radicali liberi prodotti dall’azione delle radiazioni sulla componente molecolare maggiormente rappresentata nell’organismo, cioè l’acqua.26 È dunque il DNA il bersaglio principale delle radiazioni: molti degli effetti acuti osservati negli organismi sono dovuti alla morte delle cellule quando cercano di riprodursi (morte riproduttiva della cellula). Non appena si ha un anomalia del DNA, vengono messi in moto meccanismi per la sua riparazione; nel caso in cui essa sia effettuata in maniera errata il DNA si modifica, con conseguenti danni biologici di varia entità. Figura 3.7: Effetto delle radiazioni ionizzanti sulla catena del DNA. Tipicamente nel caso di dosi molto elevate, con conseguenti effetti deterministici sull’organismo (per via di incidenti o di esposizioni dei 26 I radicali liberi sono atomi o raggruppamenti di atomi aventi in uno degli orbitali esterni delle specie che li costituiscono uno o più elettroni spaiati, indipendentemente dalla carica espressa. Responsabili, tra l’altro, di alterazioni aspecifiche della permeabilità delle membrane plasmatiche, possono reagire con le proteine denaturandole ed intercalarsi con gli acidi nucleici. 70 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI tessuti sani in caso di radioterapia), si assiste ad una diminuzione rapida della popolazione di cellule, nel giro di poche ore o giorni dall’esposizione. Tuttavia in popolazioni cellulari con ciclo riproduttivo lento, la morte non avviene per mesi o anche per anni. Il grado di uccisione delle cellule in una popolazione, nonché la gravità del detrimento complessivo all’organismo, aumentano con la dose, purché sia superata una certa soglia minima, come già spiegato sopra: se un numero sufficiente di cellule vengono uccise in un organo o tessuto si compromette la sua funzionalità ed, in casi estremi, l’organismo può morire. Invece nel caso di basse dosi, e quindi di effetti stocastici sull’organismo, si hanno variazioni nelle cellule normali, come presumibile risultato di mutamenti specifici al DNA, i quali avvengono in base ad un processo noto come "trasformazione neoplasica". Un risultato caratteristico è la capacità potenziale da parte di una cellula neoplasica di riproduzione illimitata. La presenza di tali cellule non determina necessariamente la comparsa di un cancro, il quale tuttavia può insorgere sotto l’azione concomitante di altri agenti, dopo un periodo di latenza. La probabilità di avere una neoplasia dopo esposizione alle radiazioni cresce all’aumentare della dose, tuttavia la sua gravità non è influenzata dalla dose stessa. 3.3.2 La radioprotezione nella normativa italiana La radioprotezione ha lo scopo di assicurare la protezione degli individui (e della loro progenie) e dell’ambiente dai rischi connessi all’esposizione a radiazioni ionizzanti. Essa si estrinseca in una serie di principi, raccomandazioni, requisiti, prescrizioni, tecnologie e modalità operative, e verifiche volte a proteggere la popolazione (intesa come individui in generale, lavoratori, soggetti sottoposti a pratiche mediche di diagnosi e cura facenti uso delle radiazioni ionizzanti). Il compito di fornire informazioni su questo tema è svolto dai due organismi internazionali: • l’ICRP (International Commission on Radiological Protection), nata nel 1928, formula i principi generali su cui s’ispira la radioprotezione, i quali sono poi recepiti dalle legislazioni dei vari Paesi; 71 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI • l’ICRU (International Commission on Radiation Units and Measurements), fondata nel 1925 dall’International Congress of Radiology, ha l’obiettivo di sviluppare raccomandazioni per le qualità e le unità di misura operazionali della radioprotezione, caratterizzandole in relazione agli aspetti fisici del campo di radiazione. Le raccomandazioni delle due commissioni vengono poi pubblicate sotto forma di documenti ICRP e ICRU. Da un punto di vista operativo, l’obiettivo più importante della radioprotezione è la limitazione degli effetti stocastici, la cui probabilità di accadimento dipende, come già detto, dalla dose ricevuta in maniera non ben chiara nell’intervallo delle basse dosi. L’ICRP costruisce il suo edificio protezionistico sull’ipotesi di una relazione probabilmente cautelativa, almeno in alcuni casi di tipo lineare, senza soglia fra effetti stocastici e dose ricevuta. Accettato questo principio, nessuna esposizione alle radiazioni, per quanto modesta, può pertanto considerarsi completamente sicura. Questo spiega l’introduzione dei seguenti tre principi fondamentali [7]: 1. Principio di giustificazione dell’attività. Nessuna attività umana deve essere accolta, a meno che la sua introduzione non produca un beneficio netto e dimostrabile; 2. Principio di ottimizzazione della radioprotezione o principio ALARA. Ogni esposizione alle radiazioni deve essere tenuta tanto bassa quanto è ragionevolmente ottenibile, facendo luogo a considerazioni economiche e sociali (As Low As Reasonable Achievable, da cui la denominazione ALARA); 3. Principio di limitazione delle dosi individuali. Le dosi ai singoli individui non devono superare i limiti raccomandati per le varie circostanze. Questi principi devono essere applicati in sequenza.27 Da quanto detto ed in accordo ai tre principi, emerge quindi chiaro che scopo della 27 Non sempre le attività con rischio da radiazione richiedono l’applicazione di tutte e tre i principi. Ad esempio, nel caso delle esposizioni mediche basterà considerare i primi due, non avendo alcun senso imporre limiti di dose al paziente, beneficiario della pratica, oltre a quelli che scaturiscono da una corretta 72 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI radioprotezione è eliminare i danni non stocastici o deterministici e ridurre a livelli accettabili il rischio relativo all’insorgenza di danni stocastici. Le disposizioni ICRP, recepite come Direttive Comunitarie, sono state accolte in Italia dai seguenti Decreti Legge: • D.Lgs. 230/95, D.Lgs. 241/00, D.Lgs. 257/01 per quanto riguarda la radioprotezione del lavoratore; • D.Lgs. 187/00 riguardo la radioprotezione del paziente. Il D.Lgs. 230/95 e s.m.i. stabilisce il rispetto, nella disciplina delle attività lavorative e del pubblico con rischio da radiazioni ionizzanti, dei tre principi su enunciati e costituisce pertanto la normativa di riferimento relativamente all’oggetto di questo lavoro di tesi.28 Al suo interno, all’articolo 61, sono stabili gli obblighi del Datore di Lavoro (DDL), dei dirigenti e dei preposti riassunti come segue: • Devono attuare le cautele di protezione e di sicurezza previste dal D.Lgs. 230/95 e sue applicazioni; • I DDL prima dell’inizio dell’attività debbono acquisire da un Esperto Qualificato (EQ) una relazione scritta contenente le valutazioni e le indicazioni di radioprotezione inerenti alle attività stesse; • Devono provvedere affinché gli ambienti di lavoro in cui sussista un rischio da radiazioni vengano individuati, delimitati, segnalati, classificati in zone e che l’acceso sia regolamentato; • Provvedere affinché i lavoratori interessati siano classificati dall’EQ; • Predisporre norme interne di protezione e sicurezza adeguate al rischio e curare che siano consultabili nei luoghi frequentati dai lavoratori ed in particolare nelle zone controllate; applicazione del principio di ottimizzazione. L’insieme dei tre principi andrà invece assicurato per i lavoratori addetti. 28 La normativa vigente costituisce un’attuazione delle direttive del Consiglio 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 92/3/Euratom e 96/29/Euratom in materia di radiazioni ionizzanti. 73 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI • Fornire ai lavoratori, ove necessari, i mezzi di sorveglianza dosimetrica e di protezione in relazione ai rischi a cui sono esposti; • Rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici, delle nome di protezione, delle conseguenze derivanti dalla mancata osservanza delle prescrizioni, delle modalità di esecuzione del lavoro e delle norme interne; • Provvedere affinché i singoli lavoratori osservino le norme interne, usino i mezzi di cui sopra ed osservino le modalità di esecuzione del lavoro; • Provvedere affinché siano apposte segnalazioni che indicano il tipo di zona, la natura delle sorgenti e siano indicate, mediante appositi contrassegni, le sorgenti; • Fornire al lavoratore esposto i risultati relativi alla sorveglianza dosimetrica che lo riguardano direttamente; • Per gli obblighi di cui sopra, escluso quelli relativi al comportamento degli operatori, i DDL, i dirigenti e i preposti devono avvalersi delle figure dell’Esperto Qualificato e dei Medici Autorizzati e Competenti. All’articolo 68 sono stabiliti gli obblighi dei lavoratori, riassunti come segue: • Osservare le disposizioni impartite dal DDL o dai suoi incaricati, ai fini della protezione individuale e collettiva della sicurezza; • Usare secondo le specifiche istruzioni i dispositivi di sicurezza, i mezzi di protezione e di sorveglianza dosimetrica predisposti o forniti dal DDL; • Segnalare immediatamente al DDL, al dirigente o al preposto le deficienze dei dispositivi e dei mezzi di sicurezza, di protezione e di sorveglianza dosimetrica, nonché le eventuali situazioni di pericolo di cui vengono a conoscenza; 74 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI • Non rimuovere né modificare, senza averne ottenuto l’autorizzazione, i dispositivi e gli altri mezzi di sicurezza, di segnalazione, di protezione e di misurazione; • Non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre che possano compromettere la protezione e la sicurezza • I lavoratori che svolgono, per più DDL, attività che li espongono al rischio da radiazioni ionizzanti, devono rendere edotto ciascun DDL delle attività svolte presso gli altri. Ai fini pratici la normativa prevede dunque la classificazione dei lavoratori le cui pratiche, obbedendo al principio di limitazione, non devono comportare il superamento di uno o più dei limiti di dose riassunti schematicamente in figura 3.8 (Articolo 82: Modalità di classificazione dei lavoratori ai fini della radioprotezione e della sorveglianza fisica, Allegato III).29 Figura 3.8: Limiti di dose fissati dal D.Lgs. 230/95 e s.m.i. per la classificazione dei lavoratori. Come si nota i limiti sono espressi in termini di dose efficace annua (quindi per esposizione globale) e di dose equivalente annua per il cristallino o per la pelle o per le mani (per esposizioni parziali). I lavoratori classificati esposti sono a loro volta classificati in due categorie come segue: • Categoria A, lavoratori esposti suscettibili di un’esposizione superiore, in un anno solare, ad uno dei seguenti valori - 6 mSv di dose efficace; 29 I limiti sono complessivi, si riferiscono alla somma delle dosi derivanti da esposizione interna ed esterna ed a tutte le esposizioni professionali svolte nell’anno solare. 75 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI - I 3/10 di uno qualsiasi dei limiti di dose equivalente fissati per il cristallino (150 mSv), per la pelle (500 mSv), per mani, avambracci, caviglie e piedi (500 mSv). • Categoria B, lavoratori esposti non classificati in categoria A. La figura 3.9 mostra uno schema riassuntivo della classificazione dei lavoratori.30 È importante notare che in generale sia i lavoratori classificati esposti che quelli non esposti possono praticare attività soggette ad esposizioni da radiazioni ionizzanti, ma, ovviamente, in quantità, per tempi e/o modi diversi. Figura 3.9: Schema riassuntivo della classificazione dei lavoratori. Il datore di lavoro ha l’obbligo di provvedere ad assicurare, mediante uno o più medici, la sorveglianza medica dei lavoratori esposti, in conformità alle norme ed alle disposizioni contenute nel decreto, tramite visite mediche periodiche.31 Più in dettaglio, per i lavoratori di categoria 30 Il D. Lgs. 230/95 ha inoltre introdotto la categoria degli apprendisti e studenti esposti al rischio da radiazioni ionizzanti, che devono essere suddivisi in relazione all’età ed al tipo di attività lavorativa o di studio. 31 La sorveglianza medica è l’insieme delle visite mediche, delle indagini specialistiche e di laboratorio, dei provvedimenti sanitari adottati dal medico 76 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI A sono previste la sorveglianza fisica individuale e la sorveglianza medica, con frequenza semestrale dei controlli.32 Per i lavoratori di categoria B, la sorveglianza fisica individuale può essere sostituita con quella ambientale ed i controlli medici hanno frequenza annuale. La classificazione dei lavoratori esposti nelle Categorie A e B con i corrispondenti limiti di dose è schematizzata in figura 3.10. La tabella riporta anche i limiti di esposizione per i lavoratori non esposti e gli eventuali obblighi di sorveglianza media e fisica con le loro periodicità. Figura 3.10: Classificazione dei lavoratori esposti nelle categorie A e B come prevista dall’attuale normativa vigente. Il decreto prevede inoltre la classificazione delle aree lavorative come segue (Allegato III paragrafo 4): • Zone Sorvegliate, quelle aree in cui sussiste per i lavoratori in esse operanti il rischio di superamento di uno dei limiti di dose fissati per le persone del pubblico, sempre riferiti ad un anno solare: - 1 mSv di dose efficace; autorizzato e dal medico competente, al fine di garantire la protezione sanitaria dei lavoratori esposti. 32 La sorveglianza fisica della radioprotezione viene definita come l’insieme dei dispositivi adottati, delle valutazioni, delle misure e degli esami effettuati, delle indicazioni fornite e dei provvedimenti formulati dall’EQ al fine di garantire la protezione sanitaria dei lavoratori e della popolazione in tutte le pratiche che implicano il rischio dovuto all’esposizione a radiazioni ionizzanti provenienti da sorgenti naturali o artificiali, come indicato nel D.Lgs 230/95 e s.m.i.. 77 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI - 1/10 di uno qualsiasi dei limiti di dose equivalente (per esposizione parziale), fissati per il cristallino (15 mSv), per la pelle (50 mSv), per mani, avambracci, caviglie e piedi (50 mSv). • Zone Controllate, quelle aree in cui sussiste per i lavoratori in esse operanti il rischio di superamento di uno dei seguenti valori, riferiti ad un anno solare: - 6 mSv di dose efficace; - I 3/10 di uno qualsiasi dei limiti di dose equivalente (per esposizione parziale), fissati per il cristallino (150 mSv), per la pelle (500 mSv), per mani, avambracci, caviglie, e piedi (500 mSv). Le Zone Controllate e le Zone Sorvegliate devono essere opportunamente segnalate in maniera visibile e comprensibile. Le Zone Controllate sono delimitate e le modalità di accesso ad esse sono regolamentate secondo procedure scritte indicate dall’EQ al DDL (ai sensi dell’articolo 61, comma 2, e dell’articolo 80). Le attività all’interno di queste zone sono, infine, regolamentate da norme di protezione e sicurezza specifiche, vale a dire adeguate al rischio derivante da esse. Il quadro riassuntivo della classificazione delle aree è mostrato in figura 3.11. Figura 3.11: Classificazione delle aree. 78 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI 3.4 Dispositivi di radioprotezione Lo scopo degli strumenti di radioprotezione è di fornire dati per aiutare il personale a proteggersi contro le irradiazioni esterne ed interne, per limitare la diffusione di contaminazioni radioattive negli ambienti di lavoro e dare informazioni utili per prevenire il rilascio di materiali radioattivi in concentrazioni superiori alle massime permesse nelle aree interne ed esterne dei laboratori. Nella pratica essi indicano oltre la presenza di radiazioni, il tipo di radiazione, il rateo di dose e la dose integrata in un tempo definito. Si possono distinguere: • Strumenti per la sorveglianza individuale, utilizzati dai lavoratori nelle zone con radiazioni e/o contaminazione, per indicare la dose accumulata in un certo intervallo di tempo e dare un allarme quando vengono superati livelli di dose prefissati; • Strumenti portatili, usati nella normale sorveglianza, per la misura delle contaminazioni superficiali e nella determinazione dei livelli di dose. • Monitori del livello di irradiazione esterna e della radioattività nell’ambiente di lavoro, normalmente fissi, la cui funzione è di fornire informazioni e una registrazione dei livelli di irradiazione e contaminazione ed un allarme al superamento di limiti prefissati. 3.4.1 Strumenti per la sorveglianza individuale Come previsto dalla normativa vigente l’Esperto Qualificato, negli ambiti lavorativi in cui è presente personale classificato esposto, ha il dovere di espletare il servizio di dosimetria personale ed ambientale. Questo comprende il calcolo della dose, le valutazioni dosimetriche e l’aggiornamento delle schede dosimetriche per i lavoratori esposti. La conoscenza del dato dosimetrico consente inoltre di programmare opportunamente le successive esposizioni in modo da mantenere la dose ricevuta da ciascun lavoratore quanto più bassa possibile e comunque sempre al di sotto dei limiti di legge. Questo tipo di controllo viene esercitato tramite diverse tipologie di dosimetri: 79 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI • Dosimetri personali (a bracciale, al petto e total body). Vengono indossati dai lavoratori radioprotetti ed indicano la dose assorbita dalla persona che li indossa; • Dosimetri ambientali. Indicano le radiazioni emesse nell’ambiente nel dato periodo. Devono essere opportunamente disposti nei pressi dei punti di frazionamento o delle macchine radiogene, a seconda della natura delle sorgenti; • Dosimetri di controllo o Testimoni. Indicano la dose assorbita da tutto il set dei dosimetri a cui fanno riferimento per cause non dipendenti dal loro utilizzo, prima fra tutte la radioattività naturale, che varia da luogo a luogo in dipendenza da vari fattori. Lo scopo della dosimetria personale è quello di garantire a coloro i quali sono esposti a radiazioni ionizzanti, la determinazione della dose assorbita nell’espletamento delle funzioni loro deputate, attraverso la lettura periodica dei dosimetri. Questi devono essere sempre indossati da chi manipola materiali radioattivi, all’interno delle camere calde e nelle zone controllate, ma conservati all’esterno di esse quando non sono adoperati.33 La dosimetria ambientale (mappatura ambientale), invece, ha lo scopo di monitorare le esposizioni dei lavoratori e delle persone del pubblico in ambienti soggetti a rischio da radiazioni ionizzanti. Un discorso a parte va fatto per i dosimetri di controllo i quali devono essere tenuti insieme ai personali ed agli ambientali durante la conservazione ed il trasporto, ma custoditi all’esterno della camera calda o laboratorio, in luoghi sicuramente non soggetti a radiazioni ionizzanti di "lavoro" (amministrazione, direzione, aula, ecc.). Il loro compito è di misurare il fondo ambientale che sarà poi sottratto dalla lettura degli altri dosimetri. Per la misura della dose al corpo intero, usualmente, ai LNS si utilizzano due tipi di dosimetri personali che rivelano, rispettivamente, le radiazioni X+gamma (sensibili in parte anche ai beta) ed i neutroni. Essi sono di tipo passivo devono, cioè, essere sottoposti ad un particolare trattamento chimico - fisico per risalire alla dose che hanno assorbito. Tra questi i più utilizzati sono i dosimetri a 33 I dosimetri sono assegnati dal Servizio di Radioprotezione al quale devono essere richiesti e sono etichettati con il nome dell’utilizzatore. 80 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI termoluminescenza (TLD), che consistono essenzialmente in cristalli di fluoruro di litio (particolarmente adatto, per la sua elevata sensibilità alle basse energie, per il controllo dosimetrico nella manipolazione di radioisotopi allo stato sigillato e non), oppure film badge. Tra le caratteristiche principali di questi sistemi dosimetrici vi è la facilità di utilizzo, la praticità e la leggerezza nell’indossarli. Possono essere inoltre forniti in misure e dimensioni di diverso taglio. Per alcune attività vengono assegnati anche dosimetri a bracciale o ad anello per X + gamma e beta che registrano la dose assorbita alle estremità del corpo (mani o dita). Per casi particolari vengono assegnati anche dosimetri per X + gamma e beta di tipo attivo, realizzati con un rivelatore ed una elettronica che forniscono la lettura della dose istantaneamente e sui quali è possibile anche impostare delle soglie di allarme. Un esempio di dosimetri personali a corpo intero ed a bracciale è mostrato in figura 3.12. Figura 3.12: Alcuni tipi di dosimetri personali, di tipo passivo, attualmente in uso presso i LNS per la misura della dose al corpo intero, a sinistra, ed a bracciale, a destra. Infine tra i dispositivi utilizzati per la sorveglianza individuale ricordiamo i contaminametri mani-piedi. Sono di tipo fisso e sono progettati per la rilevazione di contaminazione di mani, piedi, vesti, guanti e calzature. Per questo motivo essi trovano solitamente posto (questo è il caso dei LNS) subito fuori dalle camere con rischio di contaminazione esterna, come ad esempio quelle al cui interno è previsto l’uso di sorgenti non sigillate. 81 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI 3.4.2 Strumenti portatili Per strumenti portatili si intendono i rivelatori non fissi atti a misurare i rate di dose o l’attività di un determinato campione. Il rivelatore è uno strumento fondamentale alla base di tutte le pratiche che coinvolgono le radiazioni ionizzanti. La conoscenza delle potenzialità dello strumento oltre che dei suoi limiti è essenziale per interpretare propriamente ed al meglio le misure. Distinguiamo i principali tipi di rivelatori: • Rivelatori a gas (tra i quali, a seconda della tensione di lavoro vi sono le camere a ionizzazione, i contatori proporzionali ed i contatori Geiger-Muller); • Rivelatori a scintillazione (che utilizzano cristalli organici ed inorganici); • Rivelatori a stato solido (che utilizzano semiconduttori drogati). La varietà degli strumenti a disposizione, unita alle loro caratteristiche di rivelazione fa comprendere che la scelta del dispositivo non può essere casuale nè affrettata. Essa infatti dipende da molti fattori, quali: • Scopo della misura; • Tipo di radiazione da rivelare ed il suo range di energia; • Grandezza da misurare (attività o dose equivalente, ad esempio); • Intervallo di misura (gli strumenti hanno in generale range di misura differenti); • Esigenze di efficienza e risoluzione (ad esempio nel caso di misure di spettroscopia); • Altre considerazioni (ad esempio, velocità di conteggio, ambiente di misurazione, disponibilità per lunghi tempi, trasportabilità, costi, eccetera). Infine, a seconda dell’informazione fornita, i rivelatori posso essere classificati in: 82 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI • Contatori. Indicano il numero di interazione che avvengono al loro interno; • Spettrometri. Forniscono informazioni sulla distribuzione in energia della radiazione incidente; • Dosimetri. Indicano la quantità netta di energia depositata nel rivelatore per interazioni multiple. Per comprendere meglio come possono variare le caratteristiche di misura da strumento a strumento, di seguito saranno descritti alcuni tipi di rivelatori impiegati per misure di radioprotezione presso i LNS. TOL/F Berthold. Spesso per misure dirette sul fascio di radiazione di dose ambientale e rateo di dose viene utilizzata una camera ad ionizzazione di piccolo volume di tipo Berthold modello TOL/F. Questo rivelatore è sensibile ai beta ed ai raggi X e gamma, nel range che va dai 10 keV fino a 7 MeV. In dotazione con lo strumento vi è un cappuccio in plexiglass che, una volta inserito, estende il range di energia fino a 10 MeV. Funziona sia a regime di ionizzazione (per basse dosi), che a regime proporzionale (per avere una sensibilità maggiore in dose). 90 Al suo interno è alloggiata una sorgente radioattiva di Sr (emettitore beta) che, al momento dell’accensione o quando si passa da una modalità di misura all’altra, serve per la calibrazione automatica del rivelatore. Esegue le misure in termini di H * (10) nel range di misura che va dai 0.01 Sv h ai 10 mSv . h Come tutti gli strumenti di misura è dotato del proprio certificato di taratura rilasciato da un ente accreditato di taratura delle radiazioni ionizzanti (ACCREDIA).34 34 La taratura dello strumento avviene impiegando i fasci di riferimento X e gamma specificati nella apposita norma [ISO 4037-1]. Il laboratorio garantisce la riferibilità ai campioni nazionali per le grandezze accreditate impiegando, in tal caso, come campioni di prima linea camere ad ionizzazione a cavità di grafite. 83 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI Figura 3.13: Rivelatore Berthold modello TOL/F per la rivelazione di radiazioni beta, X e gamma. LB 6411 Berthold. Questo rivelatore è costituito da una sonda (LB 6411 PROBE), capace di rivelare neutroni, alla quale è accoppiata un’unità elettronica digitale multifunzione dotata di monitor (LB 123 UMo.), per la trattazione dei segnali. La sonda è costituita da una sfera moderatrice in polietilene (che degrada in energia i neutroni incidenti) contenente un contatore 3 proporzionale riempito di gas Trizio ( H). Fornisce informazione in termini rateo di dose equivalente ambientale H*(10) in accordo con l’ICRP Pubblication 60 [8]. Rivela neutroni da termici fino a 20 MeV in un range di misura che nSv mSv 35 va dai 30 ai 100 . h h L’utilizzo di un contatore proporzionale come strumento di misura migliora la sensibilità dello strumento fino a 3 conteggi per nSV nel range di energia 1÷10 MeV. 35 Per estendere il range di energia a valori più elevati esistono delle coperture (in Piombo, dello spessore di un 1 cm) con le quali ricoprire il rivelatore. Queste vengono usate per la rivelazione di neutroni di alta energia (superiore ai 100 MeV, ad esempio all’interno delle sale dove vi è il fascio di radiazioni. 84 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI Un rivelatore portatile di neutroni come questo viene impiegato, presso i LNS, ogniqualvolta vi è un nuovo esperimento o un nuovo tipo di fascio di ioni accelerati o ancora per testare le schermature nella varie sale sperimentali (si veda in merito il paragrafo 3.5.2). Figura 3.14: Rivelatore di neutroni Berthold modello LB 6411 . BTI MICROSPEC Spectroscopic Beta Probe. Si tratta di un rivelatore per spettroscopia beta portatile (BTI Spectroscopic Beta Probe) associato ad un analizzatore (BTI MICROSPEC) in grado di fornire informazioni su rateo di dose ed identità del radionuclide emettitore beta. La sonda beta è costituita da uno scintillatore a configurazione phoswich che, oltre a restituire informazioni spettrali, ha un’efficienza 85 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI indipendente dall’energia della radiazione beta e riesce a discriminare i fotoni di bassa energia.36 Le misure sono espresse in termini di rateo di HS(0.07) in un range di energia che va dai 10 keV fino a 7 MeV. Come si vede dalla figura 3.15 gli spettri misurati con il Beta Probe mostrano un ottimo accordo con gli spettri beta e le dosi calcolate teoricamente entro il 5%. Figura 3.15: Confronto tra spettri in energia teorici e spettri come misurati dal rivelatore BTI Spectroscopic Beta Probe per tre diverse sorgenti beta. Previo utilizzo, è necessario effettuare una calibrazione con una sorgente nota multi picco emettitrice beta. Nel momento in cui la sonda 36 Con il termine phoswich, provienete dalle parole inglesi PHOSphor e sandWICH, si indica l’accoppiamento di due scintillatori, con tempi di decadimento della scintillazione diversi. 86 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI riconosce i picchi di energia della sorgente esegue automaticamente la calibrazione. La sorgente non è fornita dalla casa costruttrice e va posta esternamente al dispositivo. Figura 3.16: Rivelatore per spettroscopia beta BTI Spectroscopic Beta Probe. Ludlum Model 44-9 GM Detector. É tra i più popolari rivelatori di radiazione al mondo. Sensibile a radiazioni alfa, beta e gamma, possiede dimensioni e geometria (si tratta di un rivelatore di tipo Pan-Cake) che lo rendono estremamente maneggevole. Il rivelatore consiste di un tubo contatore Geiger-Muller operante tra 850 e 1000 Volt. La sua risposta dipende dall’energia, con una sovrastima di fattore circa 6 nell’intervallo 60÷100 keV normalizzando 137 rispetto alla risposta ad una sorgente di Cs, come è mostrato in figura 3.17. 87 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI Figura 3.17: Risposta del rivelatore Ludlum Model 44-9 normalizzata rispetto alla risposta ad una sorgente di 137Cs. Trattandosi di un contatore Geiger-Muller naturalmente non consente di eseguire analisi spettroscopiche, non riuscendo a discriminare diversi tipi di radiazioni in ingresso, spesso viene impiegato come misuratore di contaminazione superficiale, rivelando la presenza di sostanze radioattive su superfici accessibili. Il contatore opera accoppiato ad un’appropriata unità di alimentazione che, oltre che fornire una tensione di 900 V dc, effettua la digitalizzazione dei segnali. L’insieme dei due dispositivi può funzionare sia da scaler (per il semplice conteggio degli eventi) o da ratemeter (per il conteggio degli impulsi al secondo) o da survey meter (per la misura, dopo opportuna calibrazione, di rateo di dose) a seconda dell’unità accoppiata. Per misure di contaminazione superficiale i dati forniti in cps (count −1 −2 per second) o in s dovranno poi essere convertiti in Bq cm . La sua efficienza di rivelazione dipende dal radionuclide rivelato variando da 0 32 fino a poco più 30% (questo è il caso del P). 88 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI Figura 3.18: Rivelatore tipo Pan - Cake Ludlum Model 44-9 accoppiato ad un Survey meter sempre della LUDLUM. In generale i contatori Geiger-Muller per raggi beta devono poter offrire un piccolissimo assorbimento agli elettroni e per tale motivo una parte del tubo viene provvista di una finestra ricoperta da un materiale (solitamente mica) di spessore molto sottile, di bassa densità e di resistenza meccanica sufficiente a sopportare la differenza tra la pressione interna e quella esterna. Nel caso del LUDLUM 44-9 tale finestra ha uno spessore di mg 1.7 0.3 2 e permette la rivelazione di beta di bassa energia nel range cm 10keV 2MeV . 89 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI 3.4.3 Monitori del livello di irradiazione esterna Ai LNS è operante un sistema fisso di monitoraggio che misura le dosi ambientali da radiazioni ionizzanti. Le stazioni funzionanti, installate nelle rispettive aree, sono riportate in tabella 3.3 con la loro numerazione. 1. Iniettore 2. Sala Tandem 3. Sala CS 4. Sala 60°/70° 5. Sala 40° 6. Sala 20° 7. Sala 0° 8. Sala Ciclope 9. Sala Medea 10. Sala Catana 11. Sala Magnex 12. Sala Chimera 13. Sala Controllo acceleratori 14. Locali impianti tecnologici 15. Sala alimentat. CS 16. Sala Radiofrequenza 17. Locali Excyt 18. Attivazione CS 19. Sala ECR 20. Scarico aria Excyt 21. Contaminazione aria LabAlfa Tabella 3.3: Elenco delle stazioni fisse di monitoraggio ambientale presso i LNS. In ciascuna delle stazioni da 1 a 16 sono installati un monitor per neutroni ed uno per radiazioni gamma, nelle stazioni 17 e 18 sono installati solo monitor per gamma e nella stazione 19 sono installati monitor per X e gamma. Le stazioni 20 e 21 misurano l’eventuale presenza di contaminazione nell’aria dei relativi locali. Il posizionamento delle stazioni è effettuato dal Servizio di Radioprotezione ed è vietato a chiunque di coprirli, ingombrarli o spostarli. Le letture dei rivelatori sono visualizzate in sala Controllo e registrate in un PC. In alcune stazioni la condizione di buon funzionamento, conseguente alla corretta misura del fondo naturale ed all’assenza di allarmi, è segnalata da una luce verde. 90 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI Ogni stazione di monitoraggio è dotata di segnalatori di allarme acustici e luminosi che si attivano quando uno dei rivelatori montati sulla stazione misura una dose superiore a quella impostata nelle rispettive soglie. Le soglie di allarme, e le relative segnalazioni, sono tre: preallarme, I allarme e II allarme. I valori di soglia sono fissati per le singole classi di esperimenti e per le singole aree dal personale del Servizio di Radioprotezione, su direttive stabilite dall’EQ. L’attivazione di un allarme non indica che il personale eventualmente presente nella sala interessata sia stato esposto ad alti valori di dose, ma solamente che il rivelatore sta misurando, in quel momento, un valore superiore alla soglia stabilita dall’EQ al fine di attivare le segnalazioni acustiche e luminose e cambiare gli stati operativi del sistema di sicurezza. Le soglie sono sufficientemente basse da garantire ai lavoratori che si trovassero ad operare in sala, tenuto conto della classificazione della stessa, la certezza del rispetto dei limiti di dose stabiliti dalla legge e dalle norme di sicurezza. In figura 3.19 è mostrata una pianta dei Laboratori con la disposizione delle stazioni. Sono mostrate le sale così come denominate in tabella 3.3 ed in ciascuna di queste vi sono, a titolo di esempio, due valori misurati di rateo di dose ambientale, evidenziati in verde per la rivelazione dei gamma, in bianco per quella neutronica. Le misure sono Sv riportate in . h 91 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI Figura 3.19: Layout della disposizione dei monitor fissi presso le sale sperimentali dei LNS. Sono evidenziate in verde le misure di rivelazione gamma, in bianco quelle neutroniche. 92 CAPITOLO 3 3.4.4 HPGe ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI Misure di contaminazione: la spettroscopia gamma con Per concludere questa carrellata (non in grado comunque di esaurire l’argomento estremamente vasto e vario) sui vari dispositivi per le misure di radiazione si vuole illustrare una tecnica per misure di spettroscopia gamma. La spettrometria gamma è un metodo di analisi che consente la determinazione qualitativa e quantitativa di nuclidi radioattivi gamma emittenti in un materiale. Usata in tutti quei casi in cui vi è bisogno di misure di contaminazione, consente di: • Identificare i radionuclidi emettitori gamma presenti in un dato campione (liquido, solido, biologico, inorganico); • Determinare l’attività dovuta a ciascun radionuclide presente nel campione. Schematicamente un sistema per spettrometria gamma è composto da un sistema di rivelazione, comprendente rivelatore e schermatura, un circuito elettronico associato che elabora il segnale proveniente dal rivelatore, un sistema di analisi degli impulsi ed un sistema di registrazione, visualizzazione ed analisi dei dati raccolti. I rivelatori utilizzati sono rivelatori a scintillazione tipicamente cristalli inorganici, Ioduro di Sodio attivato al Tallio NaI(Tl), e semiconduttori al Germanio iperpuro, HPGe. Questi ultimi sono molto usati a causa della loro elevata risoluzione energetica per questo motivo meritano un discorso un po’ più ampio per comprenderne appieno i principi di base e le grandi potenzialità. Dopo opportuna taratura il sistema spettrometrico fornisce il valore dell’attività di ciascun radionuclide presente nel campione. Il circuito di misura ha la funzione di trasformare il segnale generato nel rivelatore da parte delle singole particelle in impulsi di tensione di cui si misura il numero e l’ampiezza. L’ampiezza di ogni impulso è correlata all’energia del fotone che lo ha generato tramite una taratura del sistema di misura. La distribuzione del numero di impulsi in funzione della loro ampiezza (comunemente chiamato spettro) è una funzione svolta dall’analizzatore multicanale (MCA). In sostanza l’MCA "classifica" gli impulsi provenienti dall’amplificatore in predeterminati intervalli di energia in funzione 93 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI della loro ampiezza. Lo spettro delle ampiezze degli impulsi così ottenuto può venire registrato per poter essere richiamato,visualizzato sullo schermo di un computer ed analizzato tramite un software opportuno. Di fondamentale importanza per la corretta esecuzione delle analisi sono le procedure di taratura a cui è necessario sottoporre i rivelatori al germanio. Occorre in particolare eseguire: 1. Calibrazione in energia; 2. Calibrazione in efficienza; 3. Calcolo della FWHM (Full Width Half Maximum). La calibrazione in energia è fondamentale, in quanto da essa dipende la capacità del sistema spettrometrico di identificare correttamente i radionuclidi eventualmente presenti nei campioni sottoposti a misura. Consiste nella determinazione di una relazione (lineare) tra i canali di cui dispone l’analizzatore multicanale (MCA) dello spettrometro e l’energia dei fotoni incidenti sul rivelatore. Per l’esecuzione delle procedure di taratura si fa uso di solito di sorgenti multi picco, in modo tale da avere a disposizione più punti con i quali determinare la retta di calibrazione ed il cui contenuto in radioattività sia noto a priori (certificato da un istituto metrologico). L’operazione di calibrazione in efficienza permette di eseguire anche analisi quantitative, e quindi di risalire alla quantità di radioattività, in termini di attività e/o di concentrazione, di ciascuno dei radionuclidi identificati nel campione o nell’oggetto analizzato. Si definiscono due tipi di efficienza: • Efficienza assoluta di rivelazione (o di conteggio), la frazione di eventi emessi dalla sorgente che si dirigono al rivelatore. È funzione della geometria rivelatore-sorgente (angolo solido sotteso dal rivelatore) e della probabilità di interazione della radiazione nel volume sensibile; • Efficienza intrinseca, il rapporto tra gli eventi incidenti nel rivelatore e quelli effettivamente rivelati. È il valore che si trova nelle specifiche dei rivelatori ed è funzione del tipo di radiazione, della sua energia e del tipo di materiale di cui è composto il rivelatore. 94 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI L’efficienza non ha un valore unico per tutte le energie, ma esiste una curva di calibrazione in funzione dell’energia. É necessario disporre di sorgenti di taratura il cui contenuto di radioattività sia accuratamente certificato (incertezza tipica attorno all’1−1.5%) e determinare tale curva per tutte le geometrie di misura impiegate. Figura 3.20: Esempio di spettro relativo ad una sorgente per la calibrazione in efficienza e curva di calibrazione. La larghezza a metà altezza FWHM del full-energy peak esprime la risoluzione energetica del rivelatore, ovvero la capacità che esso ha di distinguere tra valori di energia prossimi tra loro. Se le due energie sono troppo vicine rispetto alla risoluzione dello strumento, questo non è in grado di separarle. Presso i LNS vi è un rivelatore per spettroscopia gamma al Germanio iper puro della ORTEC modello Trans SPEC DX 100. È di tipo portatile, alimentato a batteria e per questo motivo può essere dotato di carrello per facilitarne il trasporto. Al suo interno è alloggiato il cristallo di Germanio di tipo p di 65 mm di diametro e 50 mm di lunghezza, avente un’efficienza relativa maggiore del 40%. La sua geometria cilindrica coassiale consente di ottenere un volume attivo maggiore migliorandone l’efficienza. Questo tipo di tecnica di 95 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI rivelazione prevede il raffreddamento del cristallo per questo motivo lo strumento è provvisto di criostato che raffredda il Germanio alla temperatura di 100K. Il dispositivo prevede anche che al suo interno possa essere alloggiato anche un pozzetto per contenere sia il campione da analizzare che il cristallo. Nel caso in cui il campione dovesse risultare troppo grande per essere contenuto nel pozzetto si provvederà ad eseguire l’irraggiare all’esterno del rivelatore. Figura 3.21: Rivelatore ORTEC Trans SPEC DX 100 per misure di contaminazione con spettroscopia gamma. Tra i software più utilizzati vi è il Gamma Vision della ORTEC (in uso anche presso i LNS) che permette, oltre all’acquisizione degli spettri, l’analisi quantitativa dei radionuclidi eventualmente rivelati. È, infatti, possibile creare e salvare al suo interno diverse librerie di elementi radioattivi catalogati per famiglie, origine ed energia in modo che esso sia in grado di identificarli, una volta selezionata accuratamente la ROI (Region Of Interest) sullo spettro, a partire dall’energia rivelata. 96 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI Inoltre, fornisce il valore della quantità di radioattività del radionuclide in esame presente nel campione analizzato e presenta vari tools utili, in generale, ai fini di analisi quantitative di spettrometria gamma. Eseguite le procedure di calibrazione in energia ed in efficienza, è necessario acquisire uno spettro relativo al rumore di fondo ambientale che dovrà essere sottratto allo spettro del campione da analizzare al fine di eliminare il contributo dovuto alla radiazione normalmente presente nell’ambiente del laboratorio, che non contribuisce utilmente all’analisi. L’operazione di sottrazione degli spettri viene effettuata ancora dal software tenendo conto, mediante un fattore correttivo, degli eventualmente diversi tempi di acquisizione. Questi ultimi, infatti, possono variare a seconda della concentrazione di attività nel campione e dal livello di sensibilità che si vuole ottenere. In genere sono compresi tra una e alcune ore, ma possono arrivare ad un giorno, specie se l’attività presente del particolare radionuclide ricercato è particolarmente bassa. L’analisi degli spettri non è semplice: anche nel caso di fotoni di una sola energia lo spettro si compone di un fondo continuo dovuto all’effetto Compton e di un picco in cui tutta l’energia dei gamma è assorbita nel cristallo (fotoelettrico, coppie). La sottrazione del fondo Compton è effettuata automaticamente dal software di analisi secondo un algoritmo che ne stima il contributo sotto il fotopicco, basandosi sul valore del fondo Compton nei canali che si trovano a destra e a sinistra della ROI scelta. Un esempio di spettro gamma eseguito con questa strumentazione, dopo aver eseguito le procedure di calibrazione e di sottrazione del fondo è mostrata in figura 3.22. L’oggetto in esame è un collimatore in ottone utilizzato nella protonterapia di CATANA. A termine del trattamento del paziente il campione (ovviamente attivato) è stato prelevato ed analizzato con lo spettrometro. Sono stati identificati diversi isotopi del Rame, Zinco, Gallio e Bismuto. Quest’ultimo è il più pesante avente numero di massa A=204. 97 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI Figura 3.22: Spettro gamma di uno dei collimatori utilizzati nella protonterapia di CATANA. 3.5 Rischi da radiazione presso i LNS 3.5.1 Radiazione pronta e radiazione residua Le principali sorgenti di radiazioni presenti presso i LNS sono costituite dalle macchine radiogene, le più importanti delle quali sono gli acceleratori di particelle, e dalle sorgenti radioattive. Per quanto concerne gli acceleratori, i campi di radiazione presenti attorno ad essi possono variare fortemente nel tempo e nello spazio in relazione al tipo di macchina acceleratrice ed alle schermature messe in opera. È possibile distinguere tra radiazione pronta e radiazione residua. La prima è quella prodotta direttamente dagli ioni accelerati al momento del loro passaggio nella materia. Le interazioni producono una radiazione che persiste fintanto che l’acceleratore è in funzione e costituiscono il principale rischio radiologico causato dagli acceleratori. 98 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI La seconda invece consiste nella radioattività indotta generata anch’essa dal passaggio del fascio nella materia, ma che persiste anche dopo lo spegnimento delle macchine. Una descrizione dettagliata del campo di radiazione pronta è piuttosto complessa e richiederebbe la conoscenza dei vari meccanismi di reazioni nucleari che entrano in gioco nel range di energia considerato [13]. Tutto questo ovviamente va oltre gli scopi di questo lavoro, pertanto ci limiteremo a sottolineare che la radiazione nelle sale dove sono presenti gli acceleratori o le linee di fascio o i rivelatori viene prodotta quando gli ioni accelerati interagiscono con i nuclei degli atomi di qualsiasi materiale che circonda il fascio come collimatori fascio schermi, magneti, cavi, criostati o il dump del fascio (perdite punto), ma anche elementi degli acceleratori stessi (come i deflettori nel caso del CS o il magnete di selezione posto all’uscita del Tandem). Il campo di radiazione pertanto è una mistura di particelle cariche e neutre oltre che di fotoni. In realtà tutti i materiali presenti, solidi (fra i quali vi è plastica, cemento, alluminio, acciaio, ferro, rame, ecc.), liquidi (come l’acqua di raffreddamento), gassosi (per esempio l’aria) in prossimità del fascio diventano radioattivi così come anche le sale sperimentali diventeranno attivate [15]. In presenza di fasci accelerati vi è sempre una piccola perdita di ioni, ma continua lungo la linea. Questi ioni perduti interagiscono con il materiale che si trova in prossimità producendo particelle secondarie, come neutroni, gamma, X, protoni ed altro. Nel caso di energie elevate (al di sopra dei AGeV) alcune di queste particelle secondarie possono avere energia sufficiente per interagire nuovamente e causare la produzione di particelle terziarie e così via, si parla in tal caso di cascata adronica. I frammenti dei nuclei colpiti sono radioattivi e decadono su una scala temporale molto ampia che va dalla frazione di secondo, ai molti giorni se non addirittura anni. L’acceleratore continua così a produrre radioattività, anche se il fascio non è più in circolazione.37 37 É anche importante notare che nel caso degli acceleratori dei LNS non sono presenti schermature poste alla loro sommità e questo potrebbe implicare che un contributo importante ai livelli di radiazione nelle zone circostanti sia attribuibile alla diffusione verso il basso da parte dell’aria di radiazioni secondarie inizialmente dirette verso l’alto, il cosiddetto effetto cielo (skyshine). 99 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI Il livello di attivazione dipende da molti fattori quali la quantità di radiazione ricevuta, l’esatta composizione del materiale colpito, la posizione di questo rispetto al fascio ed il tempo trascorso dall’irradiazione. Esistono diversi codici di simulazione che, considerando i diversi meccanismi di reazione, permettono di stimare i diversi campi di radiazione prodotta [4]. Di seguito sono riportati,a titolo di esempio, alcuni dei radionuclidi più facilmente riscontrabili nelle strutture d’acciaio degli acceleratori con il corrispondente periodo di dimezzamento: 7 11 18 22 Be (53.6 giorni); C (20.4 minuti); F (110 minuti); Na (2.6 anni); 42 48 51 54 K (12.5 ore); V (16 giorni); Cr (27.8 giorni); Mn (300 giorni); 55 56 57 60 Fe (2,94 anni); Co (77 giorni); Co (270 giorni); Co (5.27 anni). Non appena cessato il funzionamento dell’acceleratore la radioattività indotta diminuisce rapidamente a causa del decadimento dei nuclidi a tempo di dimezzamento rapido, mentre successivamente il processo diventa molto più lento [16]. Per questo motivo prima di qualunque intervento è sempre buona norma attendere almeno il decadimento dei prodotti di attivazione di breve vita media. Per quanto concerne l’attivazione dell’aria questa comporta, in generale, la produzione di gas radioattivi, quali 11 13 15 C (20.4 minuti); N (10 minuti); O (2.1 minuti). Si tratta quindi di radionuclidi aventi tempi di dimezzamento abbastanza brevi e che consentono, pertanto, un accesso alle sale interessate con brevi tempi di attesa. All’irradiazione dell’aria può essere associata anche la produzione di gas tossici, il pù importante dei quali è l’ozono. La concentrazione di gas radioattivi e tossici in aria dipenda da diversi fattoti quali l’intensità ed energia del fascio, il suo percorso, la natura dei bersagli il volume degli ambienti, ala rapidità del ricambio dell’aria, eccetera. Di norma questi problemi possono essere trascurati nel caso di acceleratori di particelle cariche pesanti (protoni ed ioni pesanti) di bassa energia. 100 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI Oltre agli acceleratori presso i LNS vengono usati anche altri tipi di macchine radiogene (valvole di potenza, difrattometri, tubi a raggi X ad esempio) intorno alle quali i rischi di esposizione sono prevalentemente dovuti ai raggi X emessi. Naturalmente si ha l’emissione di radiazione X ogniqualvolta si applichi un’alta tensione sottovuoto (come nel caso, ad esempio, delle cavità a radiofrequenza). In questa categoria rientrano anche i raggi X di frenamento emessi durante la produzione di plasma e la messa in funzione delle sorgenti ECR. I raggi X prodotti in questi casi hanno picchi di energia che varia da alcuni keV fino a 50−60 keV con code che raggiungono 600−700 keV. I valori di energia dipendono dalla strutture magnetiche e dalla potenza impiegate dalle macchine. In quest’ottica i raggi X più energetici sono certamente quelli prodotti dalla sorgente superconduttrice SERSE. Altra causa di esposizione a radiazioni ionizzanti è ovviamente l’utilizzo di sorgenti radioattive. Queste sono usate principalmente nella calibrazione dei rivelatori e degli strumenti di misura. Ve ne sono di vari tipi ed i relativi problemi di radioprotezione sono diversi a seconda delle sorgenti impiegate. Sono sempre custodite in appositi contenitori di sicurezza, manipolate con pinzette appropriate (mai a mani nude) e la loro presenza deve essere sempre segnalata con gli appositi cartelli di irradiazione. 3.5.2 Schermature È noto che i fattori principali sui quali si può agire per la protezione dall’irradiazione esterna sono la distanza dalla sorgente, il tempo di esposizione e la presenza di schermature interposte. Per schermature si intendono dispositivi che vengono difficilmente attraversati dalle radiazioni. Da quanto detto emerge chiaro come sia di fondamentale importanza per una struttura come quella dei LNS la presenza e la composizione delle schermature fissi o mobili che siano. Queste sono state progettate in stretta collaborazione dell’EQ cercando ove possibile, di utilizzare nella costruzione delle linee di fascio materiali più puri possibili e con 101 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI piccola probabilità di dar luogo a produzione di radioisotopi con elevati tempi di dimezzamento.38 I neutroni costituiscono il principale rischio da radiazione pronta all’esterno di schermature sottili [13].39 La schermatura per neutroni deve soddisfare due criteri: • Interporre una massa sufficiente tra la sorgente ed il punto di interesse; • Attenuare efficacemente i neutroni di tutte le energie. Il primo criterio viene soddisfatto facilmente utilizzando materiali densi con elevato numero di massa, mentre si adempie al secondo con l’impiego di idrogeno che, come visto al paragrafo 3.1.3, tramite scattering elastico, garantisce un’efficace attenuazione dei neutroni. Questi due criteri insieme alla necessità di avere delle schermature quanto più stabili possibili, oltre che dai costi economicamente contenuti, trovano il migliore accordo nell’utilizzo del cemento come principale materiale da utilizzare nelle schermature delle sale sperimentali. Questo avviene a causa dell’elevata concentrazione di idrogeno contenuto nell’acqua necessaria per la formazione della sostanza.40 Solitamente in tutte quelle sale poste in prossimità di uffici o aule, vale a dire, vicino a luoghi di stazionamento di personale di servizio, le schermature sono costituite da un’unica colata di cemento al fine di impedire anche una minima fuga di radiazione. In tutti gli altri casi, invece, si utilizzano dei blocchi di cemento sovrapposti in modo da formare la parete schermante. 3.5.3 Sistemi di sicurezza, controllo ed allarmi Presso i LNS, in tutte le aree in cui può essere presente il fascio di ioni accelerato o in altre che comunque possono essere classificate con 38 Occorre ricordare che esistono inoltre una grande varietà di schermature di varie forme e dimensioni utili al personale che lavora con le radiazioni. Esempi di queste sono i grembiuli ed i guanti in materiale piombifero. 39 Il problema di attivazione neutronica secondaria sorgono nel caso di esperimenti con elevati rate di fascio oppure nel caso di acquisizioni estremamente lunghe. 40 Nei casi in cui è richiesta una densità più elevata, spesso vengono poste delle schermature in alluminio in prossimità al punto sorgente. 102 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI rischio da radiazioni ionizzanti sono operanti dei sistemi di sicurezza e controllo accessi per la radioprotezione che provvedono a: • Predisporre le sale, tramite l’esecuzione di un giro ronda, all’invio del fascio; • Effettuare lo stop degli acceleratori, del fascio o di altri dispositivi radiogeni, se le sicurezze nelle sale non sono attuate o in caso di apertura accidentale di una porta o per un’ emergenza; • Controllare permanentemente tutti gli ingressi in ciascuna area e consentire l’accesso solo al personale autorizzato, permettendo una ricostruzione storica di tutte le operazioni o transiti del personale nelle zone controllate; • Effettuare le segnalazioni acustiche e luminose. I componenti di campo principali sono i fine corsa sulle porte, le elettro-serrature, i lettori di scheda per l’accesso del personale alle sale, i segnalatori acustici e luminosi, i pulsanti di ronda e quelli di emergenza, gli elementi che bloccano il fascio, eccetera. La verifiche periodiche e la manutenzione dei sistemi sono affidate all’Esperto Qualificato ed al Servizio di Radioprotezione. Prima di inserire uno stato di controllo o chiuso è sempre necessario effettuare un giro di ronda al fine di verificare l’assenza di persone. L’operatore incaricato effettua il giro ronda ed ispeziona visivamente tutti i locali della sala interessata, percorrendo l’area e premendo degli appositi pulsanti nella giusta sequenza e nel tempo prestabilito. Durante il giro le porte sono bloccate per impedire ulteriori accessi, solo la porta principale può essere aperta nella fase iniziale e finale per consentire il transito. Se nel corso della ronda l’operatore trova un altro lavoratore all’interno della sala egli deve accompagnarlo fuori ed eseguire la ronda partendo nuovamente dal primo pulsante. L’apertura di una porta fuori sequenza genera un allarme ed obbliga a rieseguire la ronda. A ronda conclusa correttamente il sistema inserisce lo stato richiesto e genera i segnali di consenso agli acceleratori o agli elementi di linea. Gli allarmi generati dal sistema avvengono solo negli stati di controllo e di chiuso o durante le ronde all’interno delle sale sperimentali, essi possono essere di tre tipi: 103 CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI • Forzatura, che si verifica quando viene aperta manualmente una porta sprovvista di lettori di schede o viene aperta una porta provvista di lettori senza aver presentato una scheda abilitata. Questo allarme può avere luogo anche quando viene aperta manualmente una porta fuori sequenza durante l’esecuzione di una ronda; • Timeout, che si verifica quando viene tenuta aperta troppo a lungo una porta che è stata aperta dopo la presentazione di una scheda abilitata; • Pressione emergenza, che si verifica quando è premuto un pulsante di emergenza nello stato di chiuso. Tutti gli allarmi comportano sempre il blocco del fascio prima dell’ingresso nella sala interessata dall’allarme, inoltre vengono accese le sirene ed i lampeggiatori rossi in sala e la segnalazione viene ripetuta in sala controllo. Lo stato di allarme rimane attivo fino a quando l’operatore non interviene. Lo spegnimento delle sirene può essere effettuato immediatamente da consolle, con una operazione di "reset", solo se la causa che ha prodotto l’allarme è stata rimossa (porta richiusa o pulsante di emergenza ripristinato), mentre la cancellazione dello stato di allarme avviene solo dopo aver rieseguito la ronda nell’area interessata. Solo la cancellazione dell’allarme ed il reinserimento dello stato di chiuso dopo la nuova ronda abilitano nuovamente l’invio del fascio. 104 CAPITOLO 4 CONCLUSIONI 4. CONCLUSIONI Questo project work ha preso spunto dalla personale esperienza di stage svolta dalla sottoscritta presso i Laboratori Nazionali del Sud dell’INFN di Catania. Scopo dello stage era di prendere visione dei meccanismi di produzione ed accelerazione di fasci di ioni e comprendere quale impatto possano avere questi sulla radioprotezione dei lavoratori coinvolti. Dalla complessità di tutti i processi in gioco e delle macchine presenti, dal numero elevato di elementi che compongono le diverse linee di trasporto, dalla varietà di radiazioni ionizzanti producibili e delle loro energie e dalle molteplici applicazioni che queste hanno nelle varie attività di ricerca, ci si rende conto che l’organizzazione ed il mantenimento dell’efficienza del Servizio di Radioprotezione è un’attività estremamente articolata, non banale e che affronta molteplici aspetti. Questi vanno dalla dosimetria personale a quella ambientale, alla progettazione e realizzazione delle diverse sale e sperimentali, implicando la realizzazione delle appropriate schermature, la messa a punto delle diverse procedure di controllo e degli allarmi. Naturalmente questo project work non riesce ad esaurire le varie problematiche di ambito radioprotezionistico che un laboratorio di ricerca di fisica nucleare di livello internazionale come i LNS deve affrontare, ma vuole semplicemente dare conoscenza dei rischi reali, dovuti all’esposizione a radiazioni ionizzanti, e di alcuni dei mezzi tecnologici e normativi che chi si occupa della radioprotezione dei lavoratori ha a disposizione nello svolgere il suo compito. 105 APPENDICE A ALTRE GRANDEZZE DOSIMETRICHE E RADIOPROTEZIONISTICHE APPENDICE A ALTRE GRANDEZZE DOSIMETRICHE E RADIOPROTEZIONISTICHE Grandezze derivate dalla fluenza di particelle : • Intensità o rateo di fluenza di particelle : = d d 2 N = , dt dtda (A.1) dove dt rappresenta l’intervallo di tempo in cui si effettua la misura; l’unità di misura è m2 s 1 (S.I.) o cm 2 s 1 (unità pratiche). • Radianza di particelle p : d d 3N = , (A.2) d ddtda dove d rappresenta l’angolo solido considerato; l’unità di misura è ancora m2 s 1 (S.I.) o cm 2 s 1 (unità pratiche). p= In perfetta analogia si definiscono: • Intensità o rateo di fluenza di energia : = d d 2 R = , dt dtda (A.3) • Radianza di energia r : r= d d 3R = , d ddtda (A.4) con ovvio significato dei simboli. Strettamente correlata all’esposizione, si definisce il Rateo di esposizione o Intensità di esposizione X come: 107 APPENDICE A ALTRE GRANDEZZE DOSIMETRICHE E RADIOPROTEZIONISTICHE dX X = , dt (A.5) dove dt è l’intervallo di tempo considerato, l’unità di misura è A kg 1 nel S.I., o R s 1 nelle unità pratiche. In maniera del tutto analoga si definiscono • Rateo di dose o intensità di dose assorbita X : dD D = , dt dove dt è l’intervallo di tempo considerato; • Rateo o intensità di kerma K : dK K = , dt entrambe misurate in Gy s 1 nel SI. 108 (A.6) (A.7) BIBLIOGRAFIA BIBLIOGRAFIA [1] G.A. Carlsson and C.A. Carlsson. Quantities and Concepts used in Radiaton Dosimetry. International Journal of Applied of Radiation and Isotopes, 33(11):953–965, 1982. [2] Francis Chen. Introduction to the Plasma Physics and Controlled Fusion: Plasma Physics. London Press, second edition, 1986. [3] G.A.P. Cirrone, M.G. Sabini, V. Salamone, C. Spatola, L.M. Valastro, G. Cuttone, et al. 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