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PRODUZIONE DI FASCI DI IONI ACCELERATI PRESSO I

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PRODUZIONE DI FASCI DI IONI ACCELERATI PRESSO I
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI
CATANIA
REGIONE SICILIANA
Assessorato Regionale dell'Istruzione
e della Formazione Professionale
Dipartimento Regionale dell'Istruzione
e della Formazione Professionale
Unione Europea
Fondo Sociale Europeo
Ministero del Lavoro
e delle Politiche Sociali
SICILIA
FONDO SOCIALE EUROPEO
PROGRAMMA OPERATIVO 2007-2013
"Investiamo per il vostro futuro"
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA
FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI
DIPARTIMENTO DI FISICA ED ASTRONOMIA
Master Universitario di II livello in
MONITORAGGIO DELLE RADIAZIONI IONIZZANTI E NON IONIZZANTI
E RISCHIO AMBIENTALE
PROGETTO CIP n. 2007.IT.051.PO.003/IV/12/F/9.2.14/1368 - CUP n. E65C10000850009
Direttore: Prof. Antonio Triglia
PRODUZIONE DI FASCI DI IONI ACCELERATI PRESSO I
LABORATORI NAZIONALI DEL SUD ED ASPETTI
RADIOPROTEZIONISTICI
ANTONELLA ALESSANDRA BLANCATO
Tutor:
Dott G.A.P. Cirrone
Dott. S. Gammino
Dott. D. Rifuggiato
Sig. S. Russo
Dott. G. Cuttone
I.N.F.N. Laboratori Nazionali del
Sud Catania
A.A. 2010-2011
Catania - luglio 2012
Il futuro è una palla di cannone acceso
e noi la stiamo quasi raggiungendo.
Francesco De Gregori, I muscoli del Capitano
INDICE
INDICE
ELENCO DELLE FIGURE
ELENCO DELLE TABELLE
SOMMARIO
vii
X
xi
1. SORGENTI DI IONI
1
1.1. Introduzione ai processi di produzione ......................................... 1
1.1.1. Definizione di plasma e lunghezza di Debye ........................... 1
1.1.2. Le sorgenti ECR ....................................................................... 4
1.2. La sorgente superconduttiva SERSE ........................................... 7
1.3. La sorgente CAESAR ............................................................... 11
1.4. Produzione di ioni negativi:il processo di Sputtering................ 13
2. ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
17
2.1. Gli acceleratori di particelle ..................................................... 17
2.1.1. Acceleratori elettrostatici: il Tandem Van der Graaff ............ 19
2.1.2. Acceleratori circolari: il Ciclotrone Superconduttore K800 .. 25
2.2. La linea di trasporto dei fasci ................................................... 36
2.2.1. I sistemi di deflessione e focalizzazione ............................... 37
2.2.2. Monitoraggio del trasporto .................................................... 40
3. ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
43
3.1. Interazioni della radiazione con la materia ............................... 43
3.1.1. Interazioni delle particelle cariche con la materia ................. 44
3.1.2. Interazioni dei fotoni con la materia ...................................... 50
3.1.3. Interazioni dei neutroni .......................................................... 54
3.2. Cenni di dosimetria ................................................................... 57
3.2.1. Grandezze fisiche .................................................................. 59
3.2.2. Grandezze dosimetriche ........................................................ 60
3.2.3. Grandezze radioprotezionistiche ........................................... 63
3.2.4. Grandezze operative .............................................................. 64
3.3. Problematiche relative alla radioprotezione ............................. 68
3.3.1. Effetti biologici delle radiazioni ionizzanti ........................... 69
3.3.2. La radioprotezione nella normativa italiana .......................... 71
v
INDICE
3.4. Dispositivi di radioprotezione .................................................. 79
3.4.1. Strumenti per la sorveglianza individuale ............................. 79
3.4.2. Strumenti portatili ................................................................. 82
3.4.3. Monitori del livello di irradiazione esterna ........................... 90
3.4.4. Misure di contaminazione: la spettroscopia gamma con HPGe.
................................................................................................. 93
3.5. Rischi di radiazione presso i LNS ............................................ 98
3.5.1. Radiazione pronta e radiazione residua ................................. 98
3.5.2. Schermature ......................................................................... 101
3.5.3. Sistemi di sicurezza, controllo e schermature ..................... 102
4. CONCLUSIONI
105
APPENDICE A ALTRE GRANDEZZE DOSIMETRICHE E
RADIOPROTEZIONISTICHE
BIBLIOGRAFIA
107
109
vi
INDICE
ELENCO DELLE FIGURE
FIGURA 1.1
Schema di una sorgente ECR e forma del plasma al suo
interno…. .......................................................................... 5
FIGURA 1.2
La sorgente superconduttiva SERSE ai LNS .................... 8
FIGURA 1.3
Schema della sorgente SERSE ai LNS-INFN e della
relativa linea di fascio… ................................................. 10
FIGURA 1.4
La sorgente CAESAR ..................................................... 13
FIGURA 1.5
L'iniettore di ioni negativi da 450 kV ai LNS. ................ 15
FIGURA 2.1
Schema di un tipico acceleratore Van der Graaff. .......... 20
FIGURA 2.2
Rappresentazione schematica di un acceleratore Tandem.
........................................................................................ 21
FIGURA 2.3
Stati di carica prodotti dal processo di stripping nel caso
di una sorgente di ioni O-. ............................................... 23
FIGURA 2.4
Acceleratore TANDEM ai LNS. .................................... 25
FIGURA 2.5
Principio di funzionamento di un ciclotrone................... 27
FIGURA 2.6
Schema della suddivisione in settori (creste e valli) delle
espansioni polari di un ciclotrone. .................................. 29
FIGURA 2.7
Diagramma della variazione del campo magnetico in
funzione dell'angolo azimutale. ...................................... 30
FIGURA 2.8
Schema di un ciclotrone a tre settori ............................... 31
FIGURA 2.9
Interno del Ciclotrone Superconduttore K800. ............... 32
FIGURA 2.10 Schema dell'estrazione mediante sistemi elettrostatici ... 33
FIGURA 2.11 Immagine completa del Ciclotrone Superconduttore K800
dei LNS e sue principali caratteristiche tecniche ............ 35
FIGURA 2.12 Deflessione da parte di un dipolo magnetico di un fascio
di ioni di tre differenti masse .......................................... 38
vii
INDICE
FIGURA 2.13 Effetto di focalizzazione di due quadrupoli con polarità
invertita posti in successione lungo la linea di fascio..... 39
FIGURA 2.14 Magneti quadrupolo usati per il sincrotrone SOLEIL a
Saint Aubin vicino Parigi, Francia ................................. 40
FIGURA 2.15 Layout delle varie sale sperimentali presso i LNS di
Catania ............................................................................ 42
FIGURA 3.1
Stopping power dell'acqua per diversi tipi di particelle
cariche pesante e particelle beta ..................................... 48
FIGURA 3.2
Andamento del coefficiente di assorbimento massico in
funzione dell'energia per il Piombo ................................ 54
FIGURA 3.3
Energia persa per unità di percorso in funzione della
profondità in acqua ......................................................... 57
FIGURA 3.4
Fattori peso per radiazione a diverse energie ................. 64
FIGURA 3.5
Fattori peso dei diversi tessuti ed organi ........................ 65
FIGURA 3.6
Schematizzazione di campo reale (a), campo allineato ed
espanso (b) ed espanso (c) .............................................. 67
FIGURA 3.7
Effetto delle radiazioni ionizzanti sulla catena del DNA ...
........................................................................................ 70
FIGURA 3.8
Limiti di dose fissati dal D.Lgs. 230/95 e s.m.i. per la
classificazione dei lavoratori .......................................... 75
FIGURA 3.9
Schema riassuntivo della classificazione dei lavoratori . 76
FIGURA 3.10 Classificazione dei lavoratori esposti nelle categorie A e
B come prevista dall'attuale normativa vigente .............. 77
FIGURA 3.11 Classificazione delle aree ............................................... 78
FIGURA 3.12 Alcuni tipi di dosimetri personali, di tipo passivo,
attualmente in uso presso i LNS ..................................... 81
FIGURA 3.13 Rivelatore Berthold modello TOL/F per la rivelazione di
radiazioni beta, X e gamma ............................................ 84
FIGURA 3.14 Rivelatore di neutroni Berthold modello LB 6411 ......... 85
viii
INDICE
FIGURA 3.15 Confronto tra spettri in energia teorici e spettri come
misurati dal rivelatore BTI Spectroscopic Beta Probe per
tre diverse sorgenti beta .................................................. 86
FIGURA 3.16 Rivelatore per spettroscopia beta BTI Spectroscopic Beta
Probe ............................................................................... 87
FIGURA 3.17 Risposta del rivelatore Ludlum Model 44-9 normalizzata
rispetto alla risposta ad una sorgente di 137Cs
........................................................................................ 88
FIGURA 3.18 Rivelatore tipo Pan - Cake Ludlum Model 44-9
accoppiato ad un Survey meter sempre della LUDLUM....
........................................................................................ 89
FIGURA 3.19 Layout della disposizione dei monitor fissi presso le sale
sperimentali dei LNS ...................................................... 92
FIGURA 3.20 Esempio di spettro relativo ad una sorgente per la
calibrazione in efficienza e curva di calibrazione ........... 95
FIGURA 3.21 Rivelatore ORTEC Trans SPEC DX 100 per misure di
contaminazione con spettroscopia gamma...................... 96
FIGURA 3.22 Spettro gamma di uno dei collimatori utilizzati nella
protonterapia di CATANA ............................................. 98
ix
INDICE
ELENCO DELLE TABELLE
TABELLA 1.1
Tipiche correnti prodotte dalla sorgente CAESAR ... 12
TABELLA 3.1
Descrizione dei parametri presenti nella formula di
Bethe e Bloch ............................................................. 47
TABELLA 3.2
Valori di LET per alcune particelle ......................... 63
TABELLA 3.3
Elenco delle stazioni fisse di monitoraggio ambientale
presso i LNS............................................................... 90
x
SOMMARIO
Sommario
Questo project work prende spunto dall’attività di stage svolta dalla
sottoscritta presso i Laboratori Nazionali del Sud di Catania dell’INFN.
In occasione dello stage ho avuto modo di prendere coscienza delle
diverse attività di ricerca che ivi si svolgono e di rendermi conto degli
aspetti radioprotezionistici implicati all’interno di un laboratorio di
ricerca di fisica nucleare. I LNS sono infatti dotati di due acceleratori, un
Tandem Van de Graaff da 15MV ed un Ciclotrone Superconduttore
K800, una macchina molto compatta dotata di bobine superconduttrici in
grado di generare un campo magnetico fino a 4.8 Tesla. I fasci di ioni
iniettati nel Ciclotrone sono prodotti, secondo le esigenze, da due
sorgenti ECR chiamate SERSE e CAESAR.
Le due macchine consentono di produrre ed accelerare fasci di ioni
pesanti in un intervallo di energie molto ampio (1÷80 MeV/A) offrendo la
possibilità di investigare le diverse proprietà della materia nucleare oltre
che sperimentare e mettere a punto svariate applicazioni tecnologiche
che vanno dalla terapia di diversi tipi di melanomi oculari (progetto
CATANA, attivo dal Febbraio 2002), allo sviluppo di strumentazioni e
metodi d’indagine "in situ" per l’analisi chimico-fisica non distruttiva su
manufatti, monumenti ed opere d’arte (laboratorio LANDIS).
I fasci accelerati possono essere inviati nelle diverse sale
sperimentali dei LNS che sono dotate di complessi sistemi di
rivelazione, camere di reazione, sistemi da vuoto e di tutta la
strumentazione necessaria allo studio in questione.
La prima parte del project work tratterà della produzione ed
accelerazione dei fascio di ioni presentando, seppure nelle linee generali,
i principi teorici su cui questi si fondano e le tecnologie sfruttate presso i
LNS.
La seconda parte affronterà invece i rischi in chiave
radioprotezionistica che la presenza e l’utilizzo di questo tipo di
macchine può causare ai lavoratori.
In particolare verranno descritte le principali interazioni della
radiazione con la materia, introdotte le principali grandezze dosimetriche
e radioprotezionistiche, i mezzi normativi che legislazione italiana mette
a disposizione per la tutela dei lavoratori esposti al rischio di radiazioni
ionizzanti e gli effetti che queste possono avere sugli organismi viventi.
XI
SOMMARIO
Verranno altresì descritti i principali rivelatori, tra fissi e mobili,
impiegati dal servizio di radioprotezione dei LNS per la sorveglianza
fisica ed individuale dei lavoratori.
XII
CAPITOLO 1
SORGENTI DI IONI
1. SORGENTI DI IONI
Per sorgente di ioni si intende definire una macchina in grado di
produrre un plasma con particolari caratteristiche, e quindi di estrarre il
contenuto ionico con una determinata distribuzione di carica e corrente.
In particolare, le sorgenti ECR (acronimo che sta per Electron Cyclotron
Resonance) sfruttano la proprietà degli elettroni di dar luogo ad
assorbimento risonante di onde elettromagnetiche in presenza di un
campo magnetico statico.
In generale si può affermare che, attraverso un opportuno sistema di
iniezione di gas e di microonde all’interno di una camera sotto vuoto e
grazie ad un opportuno sistema di confinamento magnetico, è possibile
riscaldare i pochi elettroni liberi presenti nel gas per mezzo dell’ECR e
produrre un plasma grazie agli urti ionizzanti elettrone-ione. Il plasma
sarà quindi formato da elettroni ed ioni con differenti stati di carica, la
cui distribuzione può essere in qualche modo predetta a partire da
considerazioni sulle proprietà fisiche del plasma.
Prima di passare a descrivere le sorgenti di ioni presenti ai LNS è
necessario quindi capire cosa si intenda per plasma, comprenderne le
caratteristiche principali e come sia composta una sorgente ECR. Queste
argomentazioni saranno trattate, sebbene in linee generali, nel seguente
paragrafo.
1.1 Introduzione ai processi di produzione
1.1.1 Definizione di plasma e lunghezza di Debye
Noto come quarto stato della materia, il plasma è lo stato più diffuso
nell’universo, rappresentando circa il 99% della materia che in esso è
contenuta. Si compone essenzialmente di tre tipi di particelle: ioni
positivi, elettroni e molecole neutre. Sulla terra la sua presenza risulta
essere alquanto limitata e, se escludiamo gli impieghi tecnologici e
industriali, lo si trova nell’atmosfera, costituendo lo strato detto
ionosfera che tanta importanza riveste nell’ambito delle
1
CAPITOLO 1
SORGENTI DI IONI
telecomunicazioni, e nelle cosiddette fasce di Van Allen che fungono da
efficace schermo contro le radiazioni solari. Il motivo di tale rarità lo si
intuisce facilmente osservando l’equazione di Saha [2]:
3
U
ni
T 2  kTi
= 2.4 10 21
e
nn
ni
(1.1)
la quale indica che il numero di atomi ionizzati ni rispetto al numero
di atomi neutri nn varia con legge esponenziale in funzione dei parametri
T temperatura del gas, Ui potenziale di ionizzazione, k costante di
Boltzmann. Sostituendo all'equazione (1.1) valori numerici tipicamente
riscontrabili sulla terra, otteniamo:
ni
= 10 122 (1.2)
nn
che giustifica l’impossibilità di osservare plasmi sulla terra in
condizioni normali.
Non un qualunque gas ionizzato può essere definito plasma,
quest’ultimo, infatti è definito come un gas quasi-neutro di particelle
cariche e neutre che esibisce comportamenti collettivi. Per
comportamenti collettivi si intende che il moto delle particelle in una
determinata regione del plasma non dipende solo dalle condizioni locali,
bensì risente dello stato complessivo del sistema anche in regioni remote
rispetto a quella in esame.
Per comprendere il significato di quasi-neutro invece, è necessario
introdurre una nuova grandezza fisica: la lunghezza di Debye.
Una delle caratteristiche fondamentali del plasma è la sua capacità di
neutralizzare eventuali campi elettrici che vengono applicati al suo
interno. Se il plasma fosse freddo, ove per freddo si intende che ioni ed
elettroni non abbiano moto dovuto all’agitazione termica, la presenza di
un eventuale corpo carico al suo interno comporterebbe la formazione di
uno strato di cariche di segno opposto sulla superficie, le quali
neutralizzerebbero in tal modo il sistema. Tuttavia, poiché nella realtà
ioni ed elettroni possiedono un’energia termica, essi hanno la possibilità
di allontanarsi dal corpo carico e formare una sorta di nube attorno a
questo. Una stima delle dimensioni della nuvola può essere effettuata
supponendo che, data l’energia termica kT, nelle regioni in cui eφ≃kT,
con φ potenziale elettrostatico, le particelle del plasma non risentano più
2
CAPITOLO 1
SORGENTI DI IONI
dell’effetto del campo applicato. Se indichiamo con M la massa degli
ioni e con m quella degli elettroni, risulta:
M
 1
m
(1.3)
si può ritenere che gli ioni non risentano affatto delle interazioni in
questione, almeno per campi non troppo intensi e soprattutto se a
confronto con gli elettroni.
Dato un potenziale applicato all’interno del plasma1, per le regioni
che non vi si trovano immediatamente a ridosso si ha [2]:
 = 0e

| x|
D
(1.4)
dove, se con n indichiamo la densità del plasma e Te la temperatura
elettronica:
1
  kT  2
D =  0 2 e 
 ne 
(1.5)
è la cosiddetta lunghezza di Debye. ΛD è un parametro che permette
di stimare la distanza oltre la quale eventuali campi elettrostatici
applicati al plasma cessano quasi del tutto di far sentire la loro influenza
e per distanze dell’ordine di 4-5 volte ΛD possiamo considerare nullo il
potenziale elettrostatico φ. Si noti come ΛD decresca al crescere di n; ciò
si spiega facilmente tenendo conto che una maggiore concentrazione di
elettroni è in grado di schermare meglio e su brevi distanze il campo
applicato. Inoltre essa cresce al crescere di Te ed, in particolare, è nulla
per Te = 0, ossia la nuvola di carica si riduce ad uno spessore nullo
quando gli elettroni non hanno moto termico.
È finalmente possibile comprendere il significato di quasi-neutro.
Infatti se L è una grandezza che descrive le dimensioni del plasma,
qualora fosse possibile ottenere:
L   D
1
(1.6)
Per esempio mediante l’applicazione di una griglia carica.
3
CAPITOLO 1
SORGENTI DI IONI
per larga parte della sua estensione il plasma non risentirebbe
praticamente di nessun campo elettrico esterno se non per distanze
confrontabili con ΛD. In tal caso è dunque possibile scrivere:
ni  ne  n
(1.7)
Tuttavia, poiché il concetto di lunghezza di Debye è stato ottenuto a
partire da considerazioni statistiche esso è valido solo quando si ha un
numero molto elevato di particelle. Se in queste condizioni
4
N D = n 3D
3
(1.8)
è il numero totale di particelle all’interno della cosiddetta sfera di
Debye, deve valere: ND≫1.2 Se, ancora, supponiamo che in un plasma il
moto delle particelle sia regolato da interazioni elettromagnetiche
piuttosto che da collisioni interatomiche, otteniamo l’ulteriore
condizione per cui:
  1
(1.9)
ove τ è il tempo che intercorre in media tra due collisioni e ω è la
pulsazione delle tipiche oscillazioni del plasma. In definitiva, in virtù di
ciò che è stato appena discusso si può affermare che un plasma è un gas
per il quale valgono le relazioni:
 D  L

 N D  1 .
  > 1

(1.10)
1.1.2 Le sorgenti ECR
I costituenti una sorgente ECR possono essere riassunti come segue:
• Cavità risonante: si tratta di una camera da vuoto contenente il
plasma che funge da cavità risonante per le microonde necessarie
affinché si possa avere la risonanza ECR. Essa viene isolata dal
2
La sfera di Debye è la sfera di raggio ΛD.
4
CAPITOLO 1
SORGENTI DI IONI
sistema magnetico e solitamente caricata positivamente per
consentire l’estrazione degli ioni;
• Sistema di iniezione del gas ed iniezione delle microonde per la
creazione del plasma;
• Sistema di magneti per il confinamento magnetico del plasma: è
formato da due o più solenoidi che generano un campo per il
confinamento assiale e da un multipolo magnetico (solitamente un
esapolo) per migliorare il confinamento radiale del plasma;
• Estrattore dei fasci di ioni con differenti stati di carica presenti
nel plasma.
Figura 1.1: Schema di una sorgente ECR e forma del plasma al suo interno.
La figura 1.1 mostra uno spaccato di una sorgente di ioni di tipo ECR.
Si possono osservare i solenoidi responsabili del confinamento assiale e
parte dell’esapolo per il confinamento radiale. Sono inoltre indicate le
regioni nelle quali avviene l’iniezione delle microonde e l’alimentazione
del gas, e la regione di estrazione degli ioni. É infine interessante notare
la particolare forma assunta dal plasma, strettamente connessa con la
struttura e la forma del campo magnetico di confinamento.
5
CAPITOLO 1
SORGENTI DI IONI
La radiazione elettromagnetica ha solitamente frequenze
caratteristiche delle microonde, ossia frequenze che possono andare da
qualche GHz (circa 2 GHz) sino a qualche decina di GHz (circa 30 GHz)
per le sorgenti ECR di nuova generazione. Opportuni generatori di
microonde (Magnetron, TWT, Klystron) sono in grado di fornire
microonde a queste frequenze e con potenze che vanno da qualche
decina o centinaia di watt, sino a qualche chilowatt.3
Le microonde sono convogliate nella camera del plasma mediante
guide d’onda circolari o rettangolari. Dal momento che l’Electron
Cyclotron Resonance può verificarsi laddove è soddisfatta la relazione
ωRF= qB/m , con m e q rispettivamente massa e carica dell’elettrone, B
campo magnetico e ωRF frequenza delle microonde, senza la presenza di
un campo magnetostatico non sarebbe dunque possibile ottenere ECR.
Inoltre la forma di tale campo è importante poiché da questa dipende la
capacità di confinare le particelle cariche in una regione ben definita
dello spazio.
Poiché in generale è necessario che la particella si muova all’interno
di una regione di campo debole circondata da una regione di campo più
intenso, ecco che la configurazione magnetica a B-minimo ottenuta con i
magneti elencati in precedenza e mostrati in figura 1.1 è quella che
garantisce un confinamento migliore. Questa condizione è necessaria dal
momento che la qualità di una sorgente si misura soprattutto in funzione
delle densità elettroniche raggiunte e dai tempi di confinamento
ottenibili, senza contare che il libero cammino medio dell’elettrone è
talmente elevato che sarebbe sostanzialmente impossibile ottenere
ionizzazione senza un confinamento opportuno.
Se il campo magnetostatico non fosse più costante spazialmente,
l’elettrone spiraleggerebbe attorno alle linee di forza del campo con
velocità e frequenza di rotazione differente a seconda della regione nella
quale si trova. Ciò significherebbe che l’assorbimento risonante potrebbe
avvenire solo in una determinato punto dello spazio.
Infine per questo tipo di sorgenti è possibile identificare vantaggi e
svantaggi [17] del loro impiego come segue.
3
Le problematiche relative ai sistemi magnetici da utilizzare per una sorgente ECR
sono di non facile risoluzione da un punto di vista tecnologico, poiché i campi
magnetici in gioco, per frequenze superiori a 18GHz, richiedono magneti
superconduttori
6
CAPITOLO 1
SORGENTI DI IONI
• VANTAGGI: correnti intense anche per alti stati di carica ionica,
lunga vita media, elevata stabilità temporale di funzionamento,
produzione sia di fasci continui che di fasci pulsati.
• SVANTAGGI: elevato consumo di potenza nel caso in cui i
magneti non siano permanenti, tecnologia e progettazione dei
dispositivi per microonde costosa, ripple elevato per i fasci a più
alto stato di carica (anche ∼10%), lunghi tempi di
condizionamento, difficoltà nella produzione di ioni metallici.
1.2 La sorgente superconduttiva SERSE
La sorgente superconduttiva SERSE è una delle sorgenti più
performanti tra quelle in uso attualmente nei diversi laboratori del
mondo. La sorgente è stata costruita per produrre fasci intensi e stabili di
ioni positivi ad alto stato di carica da iniettare nel ciclotrone
superconduttore in funzione presso i LNS. La figura Errore. L'origine
riferimento non è stata trovata. mostra un’immagine della sorgente
SERSE nella sua postazione ai LNS.
7
CAPITOLO 1
SORGENTI DI IONI
Figura 1.2: La sorgente superconduttiva SERSE ai LNS.
La camera del plasma è costituita da un cilindro d’alluminio lungo
450 mm ed avente un diametro di 130 mm, chiuso dalla flangia di
iniezione e dalla flangia di estrazione alle estremità. Attorno alla camera,
coassialmente, si trovano un esapolo e tre solenoidi superconduttori
costituiti da Nb-Ti.
Il sistema di di raffreddamento dei magneti utilizza un criostato
lungo 1310 mm e con un diametro di 1000 mm contenente elio liquido
(LHe) alla temperatura di 4.5 K. Il campo magnetico in iniezione è più
intenso che in estrazione e, d’altra parte, tale differenza è necessaria
poiché il confinamento deve essere meno forte in estrazione così da
permettere l’estrazione degli ioni.
Il sistema da vuoto è generato per mezzo di due pompe
turbomolecolari poste in iniezione ed estrazione, rispettivamente da 600
e 1000l.s−1.
Il gas da cui generare il plasma viene inserito attraverso due ingressi,
entrambi regolati da valvole che permettono di dosarne la quantità con
precisione.
8
CAPITOLO 1
SORGENTI DI IONI
Le microonde necessarie alla formazione del plasma per mezzo
dell’ECR sono fornite dai seguenti generatori:
• due Klystron SAIREM capaci di erogare microonde con una
potenza fino a 2kW ad una frequenza, rispettivamente, di 14 e
18GHz;
• un Klystron CPI in grado di erogare microonde con una potenza
fino a 2kW ad un frequenza di 18GHz;
• un TWT (Travelling Wave Tube) in grado di erogare microonde
con potenze fino a 600W e con possibilità di variare con continuità
la frequenza di emissione da 13.75 a 14.25GHz;
• un TWT capace di erogare microonde con una potenza fino a
300W e con la possibilità di variare con continuità la frequenza di
emissione da 8 a 18GHz.
Le microonde sono trasportate fino alla camera per mezzo di guide
d’onda rettangolari di tipo WR 62 che permettono la propagazione
monomodale ad entrambe le frequenze operative.
L’estrazione degli ioni avviene mediante un sistema di elettrodi, con
potenziali che si attestano sui 20 kV, con una tensione massima
applicabile di 25kV. Una volta estratto, il fascio viene focalizzato da un
solenoide verso il magnete di analisi, il quale è in grado di analizzare le
diverse specie ioniche ed i diversi stati di carica in base al rapporto z/m.
Superato il magnete di analisi, la corrente del fascio può essere misurata
mediante una Faraday Cup (maggiori dettagli sul monitoraggio del
trasporto del fascio sono riportati nel paragrafo 2.2.2). La figura 1.3
mostra uno schema dell’intero apparato.
9
CAPITOLO 1
SORGENTI DI IONI
Figura 1.3: Schema della sorgente SERSE ai LNS-INFN e della relativa linea di
fascio.
Si può osservare il posizionamento delle due Faraday Cup: la FC1
misura la corrente totale, la FC2 la corrente relativa a ciascuno stato di
carica dopo che il fascio è stato selezionato dal magnete di analisi a 90°.
Un opportuno sistema di controllo remoto permette di variare diversi
parametri in tempo reale:
• Profilo del campo magnetico di confinamento;
• Pressione del gas in iniezione;
• Tensione d’estrazione;
• Potenza delle microonde;
• Valore del campo magnetico del magnete di analisi, così da
selezionare lo ione di cui si vuole misurare la corrente estratta.
10
CAPITOLO 1
SORGENTI DI IONI
1.3 La sorgente CAESAR
La seconda sorgente ECR di cui sono dotati i LNS è CAESAR.
Costruita dalla compagnia francese Pantechnik nel 1988, la sua
installazione presso i Laboratori venne completata nel Marzo 1999. Da
allora opera come iniettore per il Ciclotrone Superconduttore.
Nel 2000 la trasmissione del fascio attraverso la sezione di analisi
della linea di fascio è stata ottimizzata mediante un nuovo sistema di
estrazione. Una ulteriore semplificazione della sezione di iniezione a
microonde ha limitato negli ultimi anni la massima potenza iniettata e di
conseguenza le prestazioni ottenibili in termini di produzione di elevato
stato di carica.
Le sue caratteristiche principali possono essere riassunte come
segue:
• Campo magnetico elevato (fino a 1.58T assiale, 1.1T radiale), per
far funzionare la sorgente a 14GHz in High B Mode e a 18GHz
con B/BECR prossimo a 2;
• Camera per il plasma in alluminio;
• Sistema di estrazione a tre elettrodi;
• Tensione massima di 30kV.
I risultati in termini di produzione di HCI (High Charge Ions) sono
buoni e sono riassunti in tabella 1.1.
11
CAPITOLO 1
SORGENTI DI IONI
Ione
Corrente
(eA)
N 6
15
N 7
160
25
O 6
O 7
720
105
Ne8
Ne9
170
14
Ar 11
Ar 16
Ca12
Ca14
Ni17
Kr 22
Kr 28
Ta 27
120
2
52
6
18
10
1
10
Tabella 1.1: Tipiche correnti prodotte dalla sorgente CAESAR.
12
CAPITOLO 1
SORGENTI DI IONI
Figura 1.4: La sorgente CAESAR.
1.4
Produzione di ioni negativi: il processo di
Sputtering
Dal punto di vista della produzione, mentre è sempre possibile trovare
un metodo per togliere elettroni ad un atomo, non è sempre possibile
invece un metodo analogo per aggiungerne. L’aggiunta di un elettrone
infatti comporta l’esistenza di un livello energetico disponibile da parte
dell’atomo, e non sempre ciò si verifica. Questo dipende dalla struttura
elettronica dell’atomo stesso. Inoltre gli ioni negativi hanno la
caratteristica di essere quasi tutti di carica unitaria, uno ione negativo di
carica superiore a uno è difficilmente producibile.
Un parametro molto utile ad esprimere quantitativamente questo
concetto è l’affinità elettronica che esprime numericamente la
disponibilità dell’atomo ad acquistare un elettrone. Quanto più alto è tale
valore tanto più alta è la probabilità di produrre uno ione negativo. Da
13
CAPITOLO 1
SORGENTI DI IONI
ciò ci si può rendere conto che non tutti gli elementi sono ionizzabili
negativamente.4
Il metodo di Sputtering è quello attualmente usato per produrre i
fasci ionici negativi presso i LNS. Consiste nel bombardamento
mediante ioni pesanti di un opportuno materiale (detto target) che
contiene i componenti del fascio da produrre. In seguito a questo
bombardamento il materiale viene eroso formando nelle immediate
vicinanze un plasma dal quale vengono estratti, mediante un potenziale
elettrico, gli ioni negativi che vi si sono formati. Il materiale usato per il
bombardamento è solitamente Argon, ma in tal caso vengono usati
vapori di Cesio perché, a causa della sua bassa energia di ionizzazione,
favorisce grandemente la formazione di ioni negativi.5 Ovviamente tale
bombardamento implica la preventiva produzione di un altro fascio
ionico, questa volta positivo, accelerato e focalizzato sul target. Nel
nostro caso i vapori di Cesio vengono ionizzati per contatto con un
filamento o una superficie di forma opportuna portati a 1100°C. Altri
metodi possono comunque essere utilizzati.
Le sorgenti Sputtering sono molto usate perché consentono di
ottenere una vastissima gamma di fasci ionici con un’intensità adeguata.
Possono essere prodotti quasi tutti gli elementi, ad eccezione dei gas
nobili, per i quali vi sono notevoli difficoltà nel processo di creazione
dello ione negativo in quanto instabile. Sono particolarmente adatte
all’impiego di target solidi, ma con opportune modifiche possono
utilizzare anche gas. Esistono moltissime varianti, si possono
suddividere fondamentalmente in due classi:
• Sorgenti a sputtering diretto, in cui il fascio di bombardamento
ed il fascio negativo estratto viaggiano nella stessa direzione;
• Sorgenti a sputtering inverso, in cui il fascio di bombardamento
va nella direzione opposta a quello negativo.
Queste ultime costituiscono un’evoluzione delle prime.
Questo tipo di sorgente, progettualmente più semplice rispetto alle
ECRIS è utilizzato negli acceleratori di tipo Tandem (descritti nel
4
Ad esempio, per gli elementi facenti parte del secondo gruppo della tavola
periodica, avendo questi affinità elettronica nulla, la formazione di ioni negativi è
impossibile.
5
Vi sono anche sorgenti che li utilizzano entrambi: Argon per il bombardamento e
Cesio per aumentare la resa del fascio.
14
CAPITOLO 1
SORGENTI DI IONI
dettaglio al paragrafo 2.1.1) poiché questi accettano in ingresso fasci di
particelle con carica −1e. Una volta prodotto il fascio ionico questo
subisce un primo stadio di accelerazione tramite un preiniettore che
assolve il compito di immettere gli ioni negativi direttamente all’interno
del Tandem Van der Graaff. Il preiniettore attualmente in uso presso i
LNS lavora ad una tensione di 450 kV ed ha sostituito il precendente da
150 kV garantendo una migliore trasmissione del fascio.
Figura 1.5: L’iniettore di ioni negativi da 450kV ai LNS.
15
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
2. ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI
DI IONI AI LNS
2.1 Gli acceleratori di particelle
Gli acceleratori dei dispositivi che permettono di fornire energia a
delle particelle, vale a dire di aumentarne la loro velocità. Nei casi di
nostro interesse le particelle da accelerare sono particelle cariche, ovvero
protoni, elettroni, ioni, clusters di ioni.
Nati originariamente nell’ambito della ricerca sulla fisica nucleare,
gli acceleratori di particelle sono oggi utilizzati per un vasto spettro di
applicazioni; se è infatti ancora la ricerca fondamentale che finanzia e
realizza le enormi macchine attive presso i più importanti laboratori del
mondo, un gran numero di acceleratori di tutti i tipi e di tutte le
dimensioni sono oramai realizzati in maniera industriale per soddisfare
le necessità dei più svariati settori: da quello medico a quello
dell’industria alimentare da quello militare a quello dell’elettronica.
Gli acceleratori hanno avuto un impressionante sviluppo durante il
secolo appena trascorso. Dalla loro prima apparizione negli anni 20 ad
oggi si è passati da energie di poche centinaia di keV all’attuale regione
dei TeV.
Esistono diverse tipologie di classificazione degli acceleratori, in
funzione dei principali parametri di funzionamento. Distinguiamo
quindi:
• Classificazione in base al tipo di particelle accelerate. In base a
questa classificazione, gli acceleratori vengono a loro volta
suddivisi in:
+
−
1. acceleratori di elettroni-positroni (e -e );
2. acceleratori di protoni (p);
17
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
3. acceleratori di ioni pesanti (α→U).
Il criterio che sta alla base della soprastante classificazione è stabilito
dal rapporto carica-massa (q/m) della particella da accelerare; gli
acceleratori menzionati sfruttano tutti il principio di accelerazione
dovuto all’azione di un campo elettrico. In realtà, l’accelerazione di
particelle cariche non può che avvenire per mezzo dell’interazione con
un campo elettrico; tuttavia le modalità con cui tali campi possono
essere prodotti variano di volta in volta. É possibile utilizzare
semplicemente un campo elettrostatico, o servirsi di un campo a radiofrequenza, calcolando opportunamente le traiettorie delle particelle così
che queste possano sempre trovarsi in fase con il campo elettrico
dell’onda, o possono essere prodotti campi elettrici ricorrendo alla legge
dell’induzione magnetica.
Appare evidente che elettroni e positroni presentano il medesimo
valore di rapporto carica-massa e quindi una macchina che accelera
positroni può anche accelerare elettroni. L’enorme differenza in tale
rapporto tra elettroni e protoni rende invece assolutamente incompatibili
gli acceleratori di elettroni con quelli di protoni, mentre questi ultimi
possono in qualche caso accelerare qualche ione composito, per esempio
particelle alfa.
• Classificazione in base alla tipologia del bersaglio.
1. acceleratori a target fisso;
2. acceleratori a collisione (collider).
La principale differenza è dovuta all’interazione tra il fascio
accelerato ed il bersaglio. Nel primo caso, infatti, il bersaglio è un target
fisso, formato da atomi di un determinato materiale con i quali
avvengono le reazioni nucleari che si vogliono studiare. Nel secondo
caso, viceversa, i fasci di particelle vengono accelerati in una struttura a
forma di anello, e collidono l’uno contro l’altro con un netto guadagno
energetico nel centro di massa del sistema rispetto al precedente metodo,
in quanto tutta l’energia delle particelle è spesa nelle reazioni nucleari
che avvengono in virtù del fatto che il centro di massa del sistema resta
in quiete.
• Classificazione riconducibile alle modalità di interazione con il
campo elettrico. Distinguiamo così tra:
18
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
1. acceleratori elettrostatici;
2. acceleratori lineari;
3. acceleratori circolari;
4. storage ring e beam collider.
Presso i Laboratori Nazionali del Sud dell’INFN sono operativi due
acceleratori di particelle, un Tandem Van der Graaff ed un Ciclotrone, il
primo di tipo elettrostatico, il secondo circolare.
I LNS sono dotati di due acceleratori di particelle, un Tandem Van
De Graaff col quale venne iniziata la sperimentazione nei primi anni 80
ed un Ciclotrone Superconduttore in pieno esercizio dal 1996.
Nei seguenti paragrafi verrà fornita una breve descrizione dei
principi di funzionamento di entrambi i tipi di macchina e delle
caratteristiche specifiche di tali acceleratori, soffermandoci sulle
performance raggiungibili in termini di energia, correnti e qualità del
fascio. Queste informazioni, infatti, sono di fondamentale importanza
per comprendere appieno i rischi da radiazione che possono conseguire
dall’utilizzo di tali macchine radiogene.
2.1.1 Acceleratori elettrostatici: Il Tandem Van der Graaff
Negli acceleratori di tipo Van de Graaff il campo elettrico è generato
tramite un trasporto fisico di carica. Il range energetico raggiunto si
aggira tra i 10 ed i 15MeV, con correnti intorno ai 100μA.6 In figura 2.1 è
mostrata una schematizzazione di questo tipo di macchina che, come si
vede, sfrutta la presenza di un tubo a vuoto all’interno del quale vengono
accelerati le cariche, affiancato da un sistema nel quale le cariche
positive vengono depositate su una cinghia di cuoio che le trasporta
fisicamente fino al terminale superiore. La regolazione della carica
avviene dunque semplicemente modificando la velocità della cinghia.
6
I valori di energia riportati si riferiscono ad un singolo stato di carica.
Naturalmente, l’utilizzo di una sorgente di ioni a stato di carica multiplo
consentirebbe di aumentare considerevolmente tali valori, raggiungendo energie
pari a q-volte, dove q è lo stato di carica ionica, le energie menzionate .
19
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
Figura 2.1: Schema di un tipico acceleratore Van der Graaff.
Il grosso limite di questo tipo di acceleratore consiste
nell’isolamento dell’ambiente all’interno del quale si trova il terminale:
la carcassa del contenitore è infatti collegata a terra e quindi anche tra
questa ed il terminale si forma una differenza di potenziale che porta,
superata una certa soglia, a scariche con effetti potenzialmente distruttivi
oltre che pericolosi.
Data l’impossibilità di aumentare oltre una certa soglia il campo
elettrostatico a causa del rischio delle scariche, intorno al 1960 si pensò
di sfruttare più di una volta un’unica differenza di potenziale; nacque
così l’acceleratore denominato Tandem.
Il Tandem sfrutta il medesimo metodo di creazione del campo
elettrico visto nel caso del Van der Graaff, ovvero il trasporto di cariche,
ma utilizza una configurazione che permette, appunto, di accelerare due
volte le particelle. In figura 2.2 è mostrato lo schema di un acceleratore
di questo tipo.
20
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
Figura 2.2: Rappresentazione schematica di un acceleratore Tandem.
Invece degli ioni positivi, il Tandem utilizza ioni negativi che
vengono accelerati sfruttando un’unica differenza di potenziale per due
volte. La creazione della tensione acceleratrice avviene per mezzo dello
stesso principio utilizzato per l’acceleratore Van De Graaff, ossia
mediante il trasporto di carica.
Un fascio di ioni carichi negativamente viene immesso nel
dispositivo ed ivi accelerato verso la regione mediana dello stesso grazie
alla presenza di un campo elettrico opportunamente orientato, in modo
tale che lo ione negativo veda un campo attrattivo (e quindi un
potenziale positivo) nel punto di mezzo dell’acceleratore. Proprio nella
regione mediana, la presenza di un sottile foglio di materiale solido (ad
esempio carbonio), o la presenza di gas inerte (ad esempio elio),
permettono di togliere allo ione negativo non soltanto l’elettrone che lo
ha reso tale, ma pure un certo numero di altri elettroni delle shells
atomiche, permettendo di ottenere uno ione positivo molteplicemente
carico.
Lo stesso campo elettrico di cui sopra, è quindi in grado di accelerare
nuovamente lo ione che ha invertito il suo stato di carica. Pertanto,
l’energia complessiva acquisita nel doppio processo di accelerazione (da
qui il nome di acceleratore Tandem) sarà data da:
E = (1  qTandem)V
(2.1)
mentre, nel caso del Van De Graaff si aveva:
E = qVVdG
(2.2)
21
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
A prima vista, il vantaggio che si ha nell’utilizzare l’acceleratore
Tandem sembrerebbe dovuto all’incremento di un solo stato di carica nel
termine moltiplicativo (1+q) nell’equazione (2.1). Al contrario, il netto
incremento in termini di performance è attribuibile al fatto che, grazie al
processo di stripping di un fascio energetico, qTandem>qVdG, vale a dire
che con tale sistema si possono ottenere degli stati di carica più elevati e
quindi una maggiore energia complessiva delle particelle.
Un ulteriore vantaggio è la possibilità di utilizzare sorgenti di ioni
esterne alla macchina, che consente una certa rapidità di azione e la
possibilità di cambiare componenti della sorgente senza dover aprire il
Tandem. L’apertura dell’acceleratore è, infatti, un’operazione che
richiede uno o due giorni ed implica l’entrata di lavoratori addetti
all’interno di esso con conseguente esposizione alle radiazioni ed
incremento delle dosi assorbite. Ciò comporta non solo un aumento dei
rischi da esposizione, ma anche un consumo di risorse in termini
economici e di tempo, oltre che l’usura di tutti i dispositivi coinvolti allo
"spegnimento" e riavvio della macchina.
Lo svantaggio principale è dovuto al fatto che lo stripping è un
processo squisitamente statistico, pertanto all’uscita dell’acceleratore si
avrà una certa distribuzione energetica degli ioni in relazione agli stati di
−
carica ottenuti. A titolo di esempio, si consideri il caso di ioni O che
attraversano il filtro con un’energia pari a 15 MeV, la curva relativa allo
stripping sarà quella qualitativamente mostrata in figura 2.3. Se ne
deduce che su 100 ioni di ossigeno che vanno incontro allo stripping, 40
6+
5+
7+
diventeranno O , 20 diventeranno O , 20 diventeranno O , 10
4+
3+
8+
diventeranno O , 5 diventeranno O e 5 diventeranno O .
22
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
Figura 2.3: Stati di carica prodotti dal processo di stripping nel caso di una
sorgente di ioni O−.
La presenza di una distribuzione di probabilità siffatta (il cui picco si
sposta verso l’alto con l’aumentare dell’energia delle particelle) porta
dunque a ben 6 fasci che escono dal filtro centrale, ognuno con
un’energia differente.
Per questo motivo è necessario l’utilizzo di un sistema magnetico
atto a selezionare il fascio con l’energia voluta; ciò comporta che ad un
incremento sostanziale delle energie ioniche, segue un decremento
altrettanto sensibile delle intensità del fascio, in quanto per le particelle
non selezionate dal sistema magnetico si è spesa un’energia che è andata
irrimediabilmente persa.
In sintesi, i valori realisticamente ottenibili per energia e correnti si
attestano rispettivamente a E≃100MeV, I∼1÷100μA.
L’acceleratore Tandem dei LNS era originariamente un HVEC MP
Tandem con una tensione nominale massima di 13MV. Tale acceleratore
divenne operativo nel 1983, ed a partire da quella data numerosi
miglioramenti sono stati apportati così da avere, in questo momento, un
voltaggio operativo massimo di 16MV ed un ottima affidabilità a 15MV.
Trattandosi di un acceleratore elettrostatico il Tandem presenta
anch’esso il problema delle scariche distruttive, difficilmente prevedibili.
Per diminuire la possibilità che tali scariche abbiano luogo, l’interno
della tank è riempito con esafluoruro di zolfo (SF6) alla pressione di
23
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
7bar, un gas che presenta un’alta rigidità dielettrica e che permette di
ridurre il pericolo di scariche, ma che risulta altamente velenoso.
Un’importante caratteristica di tale acceleratore è l’eccellente
trasmissione, che raggiunge valori dell’ordine del 100%; il
raggiungimento di tali prestazioni è stato possibile, come accennato nel
capitolo precedente, grazie all’utilizzo del nuovo preiniettore da 450kV
che ha sostituito il precedente da 150kV.
Uno dei parametri fondamentali che caratterizzano i fasci di
particelle cariche, in particolare modo quelli estratti da sorgenti di ioni, è
la cosiddetta emittanza. Essa rappresenta grossomodo il prodotto tra il
diametro del fascio e l’ampiezza del momento trasverso, si misura in
mm⋅mrad ed è una quantità che deve essere minimizzata. Senza scendere
ulteriormente nel dettaglio, è sufficiente dire che l’emittanza del fascio
accelerato dal Tandem è eccellente e si attesta a 5π mm⋅mrad.
Per quanto riguarda le energie ottenibili, si è visto dalla relazione
(2.1) che esse dipendono dallo stato di carica raggiungibile nello
stripper. Per questo tipo di Tandem, operando alla tensione di 15MV, è
possibile ottenere ioni totalmente strippati per gli elementi leggeri,
mentre per gli elementi più pesanti qTandem raggiunge il valore di 10−12.
Pertanto la massima energia ottenibile si attesta attorno ai 105MeV per il
carbonio, e 135MeV per l’ossigeno con un valore limite di quasi 200MeV
per gli ioni più pesanti.
Infine la massima corrente ottenibile dipende molto dal tipo di ione
accelerato oltre che dallo stato di carica dello stesso. Pertanto si ha un
ampio range di variazione con valori che vanno da 10 a 100 nA.
24
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
Figura 2.4: Acceleratore TANDEM ai LNS.
2.1.2 Acceleratori circolari: Il Ciclotrone Superconduttore K800
Il principio basilare sul quale si fonda la loro utilizzazione è costituito
dall’utilizzo concomitante di campi magnetici ed elettrici, che permette
di sfruttare un’unica struttura di accelerazione per un numero
imprecisato di volte, ottenendo in questo modo energie elevatissime.
Una particella di carica q può seguire una traiettoria circolare di
raggio r solamente se viene immersa in un campo magnetico B e sfrutta
la ben nota forza di Lorentz

 
FL = qv  B
(2.3)
se la particella mantiene una traiettoria circolare allora sarà sottoposta
ad una forza centripeta di modulo:
Fcp =
mv2
r
(2.4)
dove m, v, e r indicano rispettivamente massa e velocità della
particella. Imponendo che tale forza sia dunque dovuta alla presenza del
campo magnetico si ottiene infine:
25
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
mv2
= qvB
r
che può essere riscritta come:
Br =
mv
.
q
(2.5)
Il termine Br prende il nome di Rigidità Magnetica e costituisce un
parametro fondamentale per gli acceleratori circolari in quanto ne fissa i
parametri costitutivi, ossia, sostanzialmente, dimensioni e campo
magnetico di operatività.7
Nel ciclotrone, le particelle cariche sono confinate da magneti e
quindi dalla forza di Lorentz su un unico piano. Si compone
essenzialmente di due semicilindri cavi a forma di D (e per questa
ragione detti dee), distanziati tra loro da un gap nel quale viene creato il
campo elettrico oscillante (la cui frequenza è dell’ordine dei MHz
responsabile dell’accelerazione.
Una schematizzazione del processo di accelerazione è mostrato in
figura 2.5. Una particella carica, iniettata nella regione centrale della
macchina con velocità non nulla, subirà una curvatura della propria
traiettoria ad opera del campo magnetico. L’attraversamento del gap, e la
conseguente interazione col campo elettrico che ivi si trova, incrementa
l’energia della stessa particella e pertanto aumenta il raggio di curvatura
di questa all’interno del campo magnetico. Dopo avere percorso una
semi-circonferenza la particella si troverà nuovamente in prossimità del
gap. Se la relazione tra il tempo impiegato e la variazione del campo
elettromagnetico ha la fase opportuna, il campo elettrico potrà
nuovamente trovarsi in condizione di accelerare la particella.
Il processo si ripeterà ad ogni semi-giro, generando un raggio di
curvatura via via crescente, ed avrà termine nel momento in cui la
particella, per via delle dimensioni della macchina, ne avrà raggiunto i
bordi e dovrà quindi essere estratta. L’energia acquisita durante la fase di
accelerazione sarà pertanto funzione della intensità del campo elettrico
nel gap, del proprio stato di carica e, naturalmente, di quante volte è
avvenuto il transito nel gap.
7
Ad esempio per accelerare protoni fino ad 1TeV con campi magnetici confinanti
di 1 tesla è necessario un acceleratore di circa 3km di raggio!
26
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
Figura 2.5: Principio di funzionamento di un ciclotrone. Un elettromagnete genera
il campo magnetico ortogonale alla direzione di propagazione del fascio; due elettrodi
cavi, detti dee, posti all’interno del magnete generano il campo elettrico usato per
accelerare le particelle cariche; una radiofrequenza genera la tensione alternata
applicata ai dee.
Quest’ultimo aspetto non può che dipendere dall’intensità del campo
magnetico, in quanto campi più intensi riescono a confinare le particelle
energetiche in uno spazio ridotto, e quindi a farle compiere un numero
maggiore di orbite.
La condizione fondamentale per il funzionamento di una macchina di
questo tipo è la sincronizzazione tra la particella che gira e il campo
elettrico che oscilla. L’isocronismo quindi impone che:
27
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
0 =
qB
= RF = costante
m
(2.6)
dove ω0 e ωRF sono le frequenze, rispettivamente di rivoluzione (o di
ciclotrone) della particella e del campo elettrico oscillante.8
All’aumentare dell’energia della particella tale condizione, però, non
è più rispettata poiché l’incremento relativistico della massa oltre un
certo valore di energia per le particelle relativamente pesanti non è più
trascurabile.9 Essendo infatti
m0
m=
v2
1 2
c
,
(2.7)
per mantenere il sincronismo tra la RF ed il moto della particella
accelerante si deve variare il campo magnetico in funzione del raggio
dell’orbita. Pertanto pertanto deve essere:
0 =
qB(r ) qB0
=
= RF = costante
m
m0
da cui si ricava:
B(r ) =
B0
2
v
1 2
c
=
B0
 qB r 
1   0 
 m0 c 
2
.
(2.8)
La scelta di variare B con il raggio dell’orbita risulta tecnicamente
semplice e mantiene intatte le caratteristiche peculiari del ciclotrone,
quali l’alta intensità e la continuità del fascio; presenta tuttavia un
8
In genere quest’ultima può essere multiplo intero della prima ωRF=hω ed h
prende il nome di numero armonico.
9
Anche in un piccolo ciclotrone da 18MeV per la produzione di radioisotopi
l’effetto relativistico è importante, infatti per un protone da 18MeV l’aumento
della massa è del 2% circa (la sua velocità è di circa 0.2c, il che comporta una
variazione nel raggio dell’ultima orbita prevista di più di 1 cm).
28
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
problema assolutamente non trascurabile, l’incremento del campo
magnetico col raggio fa perdere, infatti, stabilità verticale al fascio.
Figura 2.6: Schema della suddivisione in settori (creste e valli) delle espansioni
polari di un ciclotrone. L’effetto è di ottenere un campo magnetico variabile lungo la
direzione azimutale.
Il problema è in parte risolto facendo variare il campo magnetico,
oltre che radialmente, anche azimutalmente, cioè lungo la direzione del
fascio. Ciò si ottiene suddividendo le espansioni polari del ciclotrone in
settori in corrispondenza dei quali i campi magnetici presentano dei
valori medi differenti: le creste o hill, in cui il campo è più elevato e le
valli o valley in cui è minore. Il campo magnetico B(r,θ) varia quindi
azimutalmente come mostrato in figura 2.7.
29
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
Figura 2.7: Diagramma della variazione del campo magnetico in funzione
dell’angolo azimutale.
Per aumentare ulteriormente l’effetto focalizzante lungo la direzione
verticale del fascio si sfrutta l’effetto fringing lungo i bordi dei settori in
cui è suddiviso il ciclotrone. In pratica il fascio, nel passaggio da una
valle ad una cresta, subisce un effetto focalizzante (assialmente) in
relazione all’angolo di ingresso nella cresta. Più è grande questo angolo
maggiore è l’effetto focalizzante. Per ragioni di simmetria il passaggio
dalla valle alla cresta ha un effetto defocalizzante che però in coppia con
quello precedente dà un contributo globalmente focalizzante (effetto
doppietto [12]). Dato che si necessita di maggiore focalizzazione verso i
raggi esterni, dove l’energia del fascio è maggiore, il bordo delle creste
viene sagomato come una spirale (si veda la figura 2.8), in modo da
incrementare l’angolo d’incidenza del fascio con l’aumentare del raggio.
30
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
Figura 2.8: Schema di un ciclotrone a tre settori. La forma a spirale di ogni settore
assicura un effetto globalmente focalizzante lungo la direzione verticale.
Il ciclotrone installato ai LNS ed attualmente operativo possiede
magneti superconduttori che lo rendono particolarmente compatto. Si
tratta di una macchina a tre settori del tipo mostrato in figura 2.8 con un
raggio dei poli magnetici di 90cm. A causa dell’ampia varietà di ioni
accelerati le tre cavità operano in un range di frequenze compreso fra i
15 e i 48MHz. L’isocronia tra RF e frequenza di rivoluzione è sempre
garantita entro qualche Gauss.
Il campo magnetico raggiunge valori ragguardevoli che variano tra
2.2 e 4.8T. Campi magnetici di questo tipo sono generati da bobine
superconduttrici di Nb-Ti raffreddate da un bagno di elio liquido alla
temperatura di 4.4K, poste simmetricamente rispetto al piano mediano
ed attraversate da una corrente massima di 6.5MA. Le energie ioniche
raggiungibili possono variare tra 8 e 100 AMeV.
Progettato dal team del Prof. Resmini della sezione INFN di Milano
ed ivi parzialmente assemblato, il ciclotrone superconduttore di Catania
fu trasportato nel 1990 presso i Laboratori Nazionali del Sud dove venne
58
completato e produsse il primo fascio di Ne a 30AMeV nel Giugno del
1995. La progettazione e la realizzazione dei magneti ha inoltre
permesso di ottenere un ottimo accordo tra i calcoli teorici e i risultati
31
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
ottenuti. Negli anni successivi il funzionamento del ciclotrone si è
caratterizzato per una affidabilità ottimale che ha consentito di perdere
solamente il 5% del tempo programmato nel 1997.
Durante i primi quattro anni di funzionamento il CS era alimentato
da una sorgente esterna ed il fascio arrivava già ionizzato e preaccelerato dal Tandem. L’iniezione era dovuta a deflettori elettrostatici
con il compito di guidare il fascio nella zona centrale del ciclotrone.
Figura 2.9: Interno del Ciclotrone Superconduttore K800.
A causa di numerose problematiche operazionali che questa tecnica
comportava, si decise la costruzione della sorgente superconduttiva
SERSE, capace di ottime performance ed in grado di far funzionare il
ciclotrone nella modalità appropriata. Venne quindi deciso di far
funzionare il ciclotrone per mezzo di un’iniezione assiale ottenuta grazie
ad un inflettore elettrostatico elicoidale opportunamente realizzato. Il
disaccoppiamento tra i due acceleratori avvenne nel 1999 e permise il
loro utilizzo separatamente ed in contemporanea.
Per ciò che concerne l’estrazione del fascio accelerato il ciclotrone
utilizza due deflettori elettrostatici, sette canali magnetici e due barre
32
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
compensatrici. Il posizionamento di tali elementi dipende dalle
caratteristiche degli ioni da estrarre oltre che dalle energie degli stessi.
Figura 2.10: Schema dell’estrazione mediante sistemi elettrostatici.
I deflettori costituiscono gli elementi più critici degli acceleratori ad
estrazione elettrostatica. Questi, applicando dei campi via via più deboli,
generano il deconfinamento del fascio e rendono la sua traiettoria
rettilinea favorendone l’estrazione.
Il campo elettrico è applicato tra due elettrodi curvati che formano un
condensatore cilindrico. Il piatto interno, chiamato setto, è a massa,
mentre quello esterno è denominato elettrodo ed è a tensione. Ogni
deflettore è costituito da due setti in tungsteno accoppiati tramite uno
snodo e movimentati da motori per "adattare" ogni deflettore al fascio
utilizzato. Ciò si rende necessario dal momento che il ciclotrone non è
33
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
"monofascio", ma è in grado di accelerare fasci di particelle aventi
rapporto Z/A = 1/2.10
Purtroppo non tutte le particelle accelerate che arrivano al deflettore
vengono estratte, una frazione di esse, infatti, andrà ad urtare il setto ed
andrà irrimediabilmente persa. Oltre a penalizzare l’efficienza del
sistema di estrazione, la perdita di fascio crea problemi di attivazione del
setto e non solo ed è pertanto necessario minimizzarle. Per questo
motivo i deflettori sono gli elementi più pericolosi dal punto di vista
radioprotezionistico, presentando livelli di attivazione molto elevati.
Infine, affinché si abbia una buona efficienza di estrazione le orbite
devono essere ben separate. In alcuni ciclotroni la separazione delle
orbite non è sufficientemente grande da permettere una buona
estrazione, per questo motivo vengono utilizzate le perturbazioni
magnetiche sulla dinamica del fascio (risonanze), per aumentare il gap
radiale fra le orbite. L’efficienza di estrazione si aggira intorno al
40−50%.
Un’immagine di insieme del Ciclotrone Superconduttore K800 è
mostrata in figura 2.11.
10
Questo è il motivo per cui prima del 1999 non era possibile accelerare protoni dal
momento che gli stati di carica prodotti dall’accoppiamento dei due acceleratori
erano in media 3+ e 4+.
34
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
Figura 2.11: A destra è mostrata un’immagine completa del Ciclotrone
Superconduttore K800 dei LNS, mentre a sinitra sono riportati le principali
caratteristiche tecniche del CS.
La macchina ha un’altezza di 2.86m, peso 176ton e diametro
massimo di 4m.
In figura 2.11 sono riportati alcune caratteristiche tecniche del CS.
Tra queste i parametri che definiscono le macchine di questo tipo sono
essenzialmente i primi due, che sono, rispettivamente, il KBending ed il
KFocusing. Il primo si ricava dai parametri strutturali della macchina quali
il raggio di estrazione ed il campo magnetico massimo che si ha in
corrispondenza appunto dell’estrazione, da cui dipende la rigidità
magnetica massima raggiungibile per le particelle accelerate. Questo
parametro limita l’energia degli ioni estratti Tmax nel modo seguente:
35
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
2
Tmax  Z 
    K bend ,
A  A
(2.9)
mentre il KFocusing esprime il limite focalizzante intrinseco della
macchina, anch’esso dipendente da parametri strutturali quali il massimo
angolo di spirale e il flutter, e limita l’energia degli ioni estratti nel modo
seguente:
Tmax  Z 
    K foc .
A  A
(2.10)
+
Quindi ad esempio nel caso in cui si voglia accelerare H2 alla
massima energia si deve tenere conto che per Z/A=0.5 (stato di carica
dello ione) il limite di operatività è dato dalle caratteristiche focalizzanti
Kfoc, che vale 200, e dunque dalla (2.10) si ha:
Tmax
 0.5  K foc = 0.5  200 = 100MeV
A
(2.11)
ovvero l’energia massima sarà 100MeV. In realtà l’energia è ancora
inferiore poiché vi sono dei limiti tecnici dovuti ad altri componenti che
costituiscono la macchina (come i deflettori elettrostatici) che
impediscono a quest’ultima di raggiungere le massime prestazioni.
L’intensità media varia 0.02 e 0.04nA, che è piuttosto bassa a causa
anche della bassa efficienza di estrazione dovuta ai deflettori. In ogni
caso la grande varietà di ioni accelerati permette la realizzazione di
diversi esperimenti nell’ambito della fisica nucleare e dal Febbraio 2002
anche nell’ambito della protonterapia per la cura di varie forme di
tumore intraoculare (progetto CATANA [3]).
2.2 La linea di trasporto dei fasci
In analogia con i principi dell’ottica fisica, un fascio di particelle è
considerato alla stregua di un fascio di fotoni che interagendo con i
dispositivi ottici (lenti) viene opportunamente focalizzato. Nel caso del
trasporto dei fasci l’interazione, che è di tipo elettromagnetica, avviene
con dispositivi che in genere sono sistemi magnetici, che hanno il
36
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
compito di guidare (dipoli magnetici) e focalizzare (quadrupoli,
sestupoli, ecc.) le particelle cariche.
Lo studio dell’ottica dei fasci si basa sull’approccio matriciale, per
cui ad ogni sistema magnetico è associato una matrice di trasferimento
contenente i parametri fisici e strutturali del sistema stesso come i valori
di campo magnetico, la lunghezza, i gaps, i gradienti, ecc..
Un sistema particolarmente significativo da trattare con il metodo
della matrice di trasferimento è quello delle lenti sottili (thin lens). Nel
caso di lenti convergenti o focalizzanti la relazione che descrive l’azione
della lente è rappresentata nel formalismo matriciale nel modo seguente:
X = RX 0
(2.12)
Dove la matrice X0 rappresenta le condizioni iniziali e X quelle finali,
mentre R è la matrice di trasferimento che contiene le informazioni
geometriche della lente in questione.
Si dimostra che una sequenza di lenti divergente e convergente, o
viceversa, ha un effetto comunque focalizzante, purché L>f (effetto di
overfocusing) con L distanza tra le lenti ed f distanza focale.
Ad ogni elemento utilizzato nel trasporto dei fasci è associata una
matrice di trasferimento (MQF, MQD, MBend, ecc.) contenente le
informazione fisiche e geometriche dello stesso. Poiché le linee di
trasporto sono costituite da una successione dei suddetti elementi è
possibile definire una matrice di trasferimento unica (Mtotal) risultante dal
prodotto delle singole matrici di trasferimento in grado di descrivere così
l’intera linea
M total = M QF  M QD  M Bend .
(2.13)
2.2.1 I sistemi di deflessione e focalizzazione
Gli elementi preposti alla guida dei fasci accelerati sono i dipoli
magnetici. Questi sono in genere elettromagneti alimentati da una coppia
di bobine, posizionate simmetricamente rispetto al piano mediano su cui
viaggiano le particelle dove è indotto il campo magnetico necessario a
guidarle.
37
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
Sotto l’azione della forza di Lorentz il fascio è così deflesso con un
m
raggio di curvatura dipendente dal rapporto
dello ione accelerato.
q
Un esempio di come un ipotetico dipolo magnetico possa deflettere e
selezionare ioni è mostrato in figura 2.12, dove il fascio accelerato è
costituito da ioni di tre differenti masse (M1<M2<M3). Il diagramma
mostra la linea focale inclinata. È visibile, inoltre la linea focale ideale
per il corretto posizionamento dei collettori.
Figura 2.12: Deflessione da parte di un dipolo magnetico di un fascio di ioni di tre
differenti masse. Il raggio di curvatura dipende dal rapporto m/q dello ione accelerato.
Lungo la linea di trasporto sono posti anche altri elementi di guida e
deflessione del fascio, gli steerer. Essi vengono utilizzati ogni qual volta
si abbia la necessità di piccole deflessioni lungo una certa direzione
(verticale ad esempio) e sono costituiti da bobine conduttrici che,
percorsi da corrente, generano campi magnetici periferici (non centrati
quindi al centro della bobina) di bassa intensità (dell’ordine di qualche
Gauss).
38
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
Gli steerer giocano un ruolo particolarmente importante durante la
procedura di centraggio del fascio di protoni per le applicazioni cliniche
di CATANA, dove è richiesta un’altissima precisione.
I quadrupoli magnetici hanno la funzione di focalizzare il fascio sul
piano trasverso. Anch’essi sono degli elettromagneti il cui campo
magnetico è indotto da due coppie di bobine simmetricamente
posizionate rispetto al centro del sistema.
Figura 2.13: Effetto di focalizzazione di due quadrupoli con polarità invertita posti
in successione lungo la linea di fascio.
Si prenda ad esempio lo schema mostrato in in figura 2.13. Per la sua
configurazione magnetica e nel caso di ioni positivi, il primo quadrupolo
genera una forza focalizzante su una sola direzione (nel caso della
figura, lungo quella orizzontale), mentre il secondo, di polarità invertita,
fa lo stesso lungo la direzione verticale. La successione dei due genera
quindi un effetto generale focalizzante.
39
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
Figura 2.14: Magneti quadrupolo usati per il sincrotrone SOLEIL a Saint Aubin
vicino Parigi, Francia.
2.2.2 Monitoraggio del trasporto
L’intensità di corrente oltre che rappresentare una caratteristica di un
fascio accelerato è anche utile alla conoscenza della sua posizione e
distribuzione nello spazio delle Fasi. Misure di intensità di corrente sono
dunque necessarie per conoscere le caratteristiche spaziali e temporali
del fascio e per poter, eventualmente, intervenire su esso.
A questo scopo esistono svariati sistemi di rivelazione; essi si
distinguono in distruttivi e non a seconda del tipo di interazione che
hanno col fascio [5]. In particolare, si definiscono non distruttivi quei
sistemi che riducono l’intensità del fascio che li attraversa di non oltre il
10%.
Un metodo distruttivo tra i più semplici di utilizzo consiste in un
cristallo di quarzo disposto a 45° rispetto alla direzione di propagazione
del fascio. Se il quarzo viene colpito dal fascio emette una radiazione
elettromagnetica nel visibile che osservabile direttamente dall’utente
tramite telecamera. Questo tipo di dispositivo rientra nella categoria dei
misuratori di intensità nel senso che è in grado di dire se la corrente di
fascio sia uguale o diversa da zero.
Un dispositivo che permette di quantizzare l’intensità di corrente è la
cosiddetta Coppa di Faraday. Nonostante il carattere distruttivo delle
misure, possono fornire informazioni precise sulla corrente del fascio in
40
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
un modo molto semplice: la carica totale trasportata dalle particelle
viene raccolta su un elettrodo collocato lungo il percorso di fascio e
misurata per mezzo di uno amperometro collegato al dispositivo.
Dal momento che i dispositivi appena descritti sono di tipo
distruttivo è necessario che al termine della misura essi possano essere
tolti dalla traiettoria del fascio. Questa operazione si attua facilmente
utilizzando un sistema ad aria compressa comandato da interruttori
elettromagnetici, che assicura la necessaria rapidità di movimento.
Un tipico esperimento di fisica nucleare, in generale, prevede che il
fascio, una volta accelerato da una delle due macchine descritte in questo
capitolo, venga estratto e trasportato al di là delle schermature principali
nelle sale sperimentali dove, dopo aver colpito un bersaglio, "muore" in
un pozzo di spegnimento, un assorbitore, cioè, in grado di assorbirlo
completamente.
Uno schema delle varie sale sperimentali prensenti ai LNS è
mostrato in figura 2.15. Sono visibili le sorgenti ECR, i due acceleratori
(le prime poste ad un piano inferiore rispetto ai secondi) e le linee di
fascio disponibili che conducono ai rivelatori ospitati nelle diverse sale.
È inoltre possibile vedere la sala adibita alla protonterapia.
41
CAPITOLO 2
ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS
Figura 2.15: Layout delle varie sale sperimentali presso i LNS di Catania.
42
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
3. ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
I processi di ionizzazione e di eccitazione degli atomi e delle
molecole associati al passaggio delle radiazioni ionizzanti nella materia,
sono all’origine degli effetti indotti osservati nei mezzi attraversati, in
particolare degli effetti biologici che si manifestano nei tessuti umani
irradiati.
Questo capitolo affronta alcuni degli aspetti radioprotezionistici che
si presentano all’interno dei LNS.
Nella prima parte saranno introdotte, in linee generali, le possibili
interazioni che le radiazioni ionizzanti hanno con la materia, le principali
grandezze utilizzate in questo campo, gli effetti biologici ed i riferimenti
legislativi riportati nella normativa italiana vigente. Queste nozioni
risultano indispensabili per comprendere appieno la pericolosità ed i
rischi derivanti dall’esposizione ai vari tipi di radiazione.
La seconda parte sarà dedicata a descrivere alcuni aspetti del sistema
radioprotezionistico all’interno dei LNS, illustrando i diversi mezzi della
radioprotezione, che includono, tra l’altro, anche i sistemi di dosimetria
personale e quelli di rivelazione ambientale, le schermature ed i sistemi
di controllo.
3.1 Interazione della radiazione con la materia
L’azione lesiva delle radiazioni ionizzanti sull’organismo è una
diretta conseguenza dei processi fisici di eccitazione ed ionizzazione
degli atomi e delle molecole dei tessuti biologici dovuti agli urti delle
particelle, quando hanno un’energia sufficiente a produrre questi
processi.
A seconda che la ionizzazione del mezzo irradiato avvenga per via
diretta o indiretta, si usa distinguere tra radiazioni direttamente
ionizzanti e radiazioni indirettamente ionizzanti. Sono direttamente
ionizzanti le particelle cariche (ad esempio elettroni, protoni, particelle
alfa, eccetera) la cui energia cinetica è sufficiente per produrre
ionizzazione per collisione; sono invece indirettamente ionizzanti le
particelle prive di carica elettrica (neutroni, fotoni, eccetera) che,
43
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
interagendo con la materia, possono cedere tutta o parte della propria
energia a particelle secondarie direttamente ionizzanti.
3.1.1 Interazione delle particelle cariche con la materia
Le particelle cariche costituiscono le radiazioni direttamente
ionizzanti. Le interazioni di queste particelle con la materia sono di
natura elettromagnetica ed il loro passaggio è caratterizzato da due
effetti: una perdita di energia da parte della particella incidente, ed una
deflessione della medesima dalla sua direzione iniziale. Tali effetti sono
fondamentalmente il risultato di collisioni anelastiche con gli elettroni
atomici del mezzo attraversato e di "scattering" elastico dei nuclei.
Nel caso di particelle leggere (elettroni e positroni), tuttavia, le
collisioni anelastiche, eccitazione ed ionizzazione per urto sono le
principali responsabili delle cessioni di energia soltanto ad energie
relativamente modeste. A causa della loro piccola massa, per queste
particelle assumono infatti grande rilevanza, già ad energie dell’ordine di
pochi MeV, anche le perdite di energia per irraggiamento (radiazione di
"bremsstrahlung" o di frenamento), vale a dire l’emissione di radiazioni
elettromagnetiche derivanti dalla diffusione Coulombiana nel campo di
un nucleo atomico. Esistono anche altri processi nei quali le particelle
leggere possono perdere energia, anche se in misura minore. Tra questi
vi sono la diffusione elastica da parte degli atomi, la diffusione multipla,
la polarizzazione, eccetera [14]. Nel caso dei positroni, inoltre, è
importante ricordare l’annichilazione da fermi o in volo, dopo la
formazione di stati legati positrone-elettrone.
Le particelle cariche pesanti dissipano la loro energia nella materia
quasi esclusivamente per collisioni anelastiche con gli atomi o le
molecole del mezzo attraversato (eccitazioni ed ionizzazioni).11
11
Possono presentarsi anche altri tipi di interazione fra gli ioni incidenti e gli atomi
del mezzo come le reazioni nucleari o la diffusione elastica, ma si tratta di
processi di minore importanza se non addirittura irrilevanti come nel caso
dell’eccitazione Coulombiana dei nuclei e l’emissione di radiazione
elettromagnetica. Pur tuttavia le reazioni nucleari non possono essere affatto
trascurate quando si studia l’assorbimento nella materia di fasci costituiti da
questo tipo di particelle ai fini dei progetti di schermature, per via delle radiazioni
secondarie da esse originate.
44
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
Le modalità dell’interazione sono determinate dall’energia cinetica
della particella carica incidente e dalla minima distanza a cui essa si
avvicina all’atomo urtato.
Se tale distanza è grande in confronto alle dimensioni dell’atomo,
quest’ultimo reagisce nel suo insieme nel campo elettrico della particella
incidente, che si comporta come una carica puntiforme, rimanendo
eccitato o ionizzato. In tal caso si parla di collisioni "soft" o distanti.12
Se invece tale distanza è piccola, la collisione interessa direttamente
uno degli elettroni periferici, che verrà liberato acquistando una
considerevole energia cinetica, di norma molto maggiore della sua
energia di legame. Questo tipo di collisioni sono note come collisioni
"hard" o prossime.
A seguito del processo di ionizzazione si ha la formazione di coppie
elettrone-ione positivo che, in generale, tende a ricombinarsi, a meno che
l’elettrone strappato non abbia acquisito un’energia cinetica tale da
causare eventi di ionizzazione secondaria.13 Se le tracce di questi
elettroni secondari sono sufficientemente lunghe da potersi distinguere
dalla traccia della particella primaria si usa far riferimento ad essi con il
termine di raggi δ.
Le energie di soglia dei processi di eccitazione ed ionizzazione sono
dell’ordine di alcuni eV nel caso degli elettroni meno legati.
Si definisce stopping power lineare S o potere frenante la perdita di
energia cinetica media che una particella subisce per unità di percorso.
Essa si indica come:
S=
dE
.
dx
12
(3.1)
In generale, durante i processi di eccitazione l’atomo o la molecola urtata
vengono portati dal livello fondamentale ad uno eccitato. Il riassestamento degli
atomi interessati avviene tramite l’emissione di fotoni o di elettroni "Auger",
mentre nel caso di molecole hanno luogo processi più complessi che possono
concludersi con la rottura dei legami chimici, spesso chimicamente reattivi.
13
Talvolta si verifica che l’elettrone rimosso "si attacchi" ad una molecola neutra
dando così luogo ad uno ione negativo.
45
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
L’espressione del potere frenante fu determinata inizialmente da
Bohr, sfruttando argomentazioni classiche, e successivamente fu
calcolata da Bethe e Bloch sulle basi quantistiche della teoria
perturbativa, ottenendo la relazione [11]:

dE
Z z 2   2me c 2  2 2Wmax 
C
  2 2    2 ,
= 2N A re2 me c 2 
ln 
2  
2
dx
A  
I
Z

(3.2)
comunemente nota come formula di Bethe e Bloch, valida per
particelle cariche, distinte dagli elettroni, ad energie relativistiche
nell’intervallo che va da qualche MeV a qualche GeV ed espressa nel SI
delle unità di misura. Tutti i parametri che intervengono nell’equazione
(3.2) sono definite in tabella 3.1.
46
CAPITOLO 3
Parametro
NA
re
me c 2
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
Descrizione
numero di Avogadro = 6.022 1023 mol 1
raggio classico dell’elettrone = 2.817 1013 cm
Z
A
z
v
energia a riposo dell’elettrone = 0.511MeV
densità del mezzo
numero atomico del mezzo
massa atomica del mezzo
carica della particella incidente
velocità della particella incidente

termine relativistico = v


Wmax
I

C
Z
c
termine relativistico
=
1
1  2
massima energia trasferita
energia di eccitazione media
termine di correzione per effetto densità
termine di correzione per shell
Tabella 3.1: Descrizione dei parametri presenti nella formula di Bethe e Bloch.
In particolare Wmax rappresenta l’energia cinetica massima che può
essere trasferita ad un elettrone libero in un singolo urto col proiettile, I
l’energia di eccitazione media degli atomi del mezzo (potenziale di
ionizzazione), mentre δ e C/Z costituiscono dei termini correttivi,
rispettivamente, nel limite delle alte e delle basse energie.14
14
In altre parole, Wmax rappresenta l’energia massima persa dalla particella in
un’unica collisione anelastica con un elettrone.
47
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
Figura 3.1: Stopping power dell’acqua (espresso in MeVcm−1) per diversi tipi di
particelle cariche pesante e particelle beta.
La correzione δ per effetto della densità è rilevante solo quando
l’energia cinetica del proiettile è confrontabile o maggiore della sua
energia di massa a riposo: in tal caso, il campo elettrico dello ione
incidente tende a polarizzare gli atomi del mezzo in prossimità della sua
traiettoria. A causa della polarizzazione così indotta, gli elettroni lontani
dal cammino della particella verranno schermati dall’intensità totale del
campo di radiazione e, di conseguenza, le collisioni anelastiche con
questi elettroni contribuiranno in misura minore alla perdita di energia
totale rispetto a quanto previsto della formula di Bethe e Bloch. Tale
effetto risulta tanto più rilevante quanto più denso è il materiale
attraversato.15
La correzione C/Z di shell assume importanza nel caso in cui la
velocità del proiettile è confrontabile o minore della velocità orbitale
degli elettroni legati agli atomi del mezzo. In questo intervallo di energie
la (3.2) inizia a perdere di validità in quanto lo ione incidente, carico
15
Gli effetti di polarizzazione sono più significativi, infatti, in sostanze dense
piuttosto che in quelle leggere come i gas [11].
48
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
positivamente, tende ad acquistare elettroni dall’assorbitore riducendo
così il suo stato di carica e, di conseguenza, anche il tasso di perdita di
energia.
Se si considerano particelle cariche di massa m e carica ze ad energie
non relativistiche (v≪c, ma tali da supporre trascurabile la correzione di
shell, la relazione (3.2) è esprimibile più semplicemente come segue
[10]:
dE
mz 2

= C1
dx
E
  E 
ln  C2 m ,

 
(3.3)
dove C1 e C2 rappresentano delle costanti.16 Nell’equazione (3.3)
il termine logaritmico varia lentamente con l’energia per cui lo stopping
power avrà un andamento inversamente proporzionale all’energia
1
incidente (o, analogamente, S  2 ) e dipenderà essenzialmente dal
v
prodotto mz2, assolutamente caratteristico del tipo di particella in esame.
Si osservi che, nell’intervallo di energie in cui è da ritenersi valida la
(3.2), lo stopping power tende a decrescere all’aumentare della velocità
incidente finché non presenta un valore minimo, in corrispondenza di
v≅0.96c: in tal caso, le particelle che rallentano entro il mezzo (dette
minimamente ionizzanti), che siano inoltre caratterizzate dallo stesso
valore di z, presentano approssimativamente lo stesso valore della
perdita di energia specifica per cui non risultano più distinguibili.
Dalla dipendenza energetica descritta dalla (3.2) è possibile ricavare,
infine, l’andamento dell’energia depositata in un mezzo in funzione della
profondità di penetrazione. La curva corrispondente è nota come curva
di Bragg ed evidenzia come le particelle cariche pesanti perdano la
maggior parte della loro energia alla fine del loro tragitto e vengano
dunque frenate completamente ad una fissata distanza, dipendente dalla
4
Le costanti presenti nella (3.3) sono date da: C = NZe e C2 = 4me , avendo
1
2
I
8 0 me
posto il numero di atomi o molecole bersaglio per unità di volume N = N A  .
A
16
49
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
loro energia iniziale, che prende il nome di range (si veda la figura 3.3 di
pagina 57).17
L’aumento della ionizzazione nell’ultimo tratto del percorso, vale a
dire il numero di coppie ione-elettrone prodotte dal passaggio della
radiazione, si spiega con la dipendenza del potere frenante dall’inverso
del quadrato della velocità. Quando la particella rallenta, quindi, la
ionizzazione aumenta per poi annullarsi bruscamente allorché la sua
energia è diminuita fino al livello del potenziale di ionizzazione del
mezzo attraversato.
3.1.2 Interazione dei fotoni con la materia
Tra i vari modi in cui i fotoni possono interagire con la materia, solo
tre sono i principali meccanismi che giocano un ruolo importante nelle
misure della radiazione: l’effetto fotoelettrico, che predomina per fotoni
di bassa energia, fino a circa 0.5MeV, l’effetto Compton, per energie
intorno al MeV e la produzione di coppie, che predomina per fotoni di
alta energia, in particolare al di sopra dei 5-10MeV.
Segue una breve descrizione dei processi.
Effetto fotoelettrico: consiste nell’urto tra un fotone ed un atomo
nel suo insieme, con conseguente assorbimento del fotone ed emissione
di un elettrone, generalmente appartenente ad una delle orbite più
interne.18 L’energia cinetica massima K e  è data dall’equazione di
Einstein:
K
e
= h  Eb
(3.4)
dove ν rappresenta la frequenza del fotone incidente, mentre Eb
l’energia di legame del fotoelettrone nella sua "shell" di origine.
L’effetto fotoelettrico è tanto più probabile quanto più l’elettrone è
17
A causa della natura statistica dei processi di interazione, questa distanza è
soggetta ad una fluttuazione, che determina il cosiddetto fenomeno del range
straggling.
18
Dato che un elettrone libero non può assorbire un fotone ed anche conservarne
l’impulso, l’effetto fotoelettrico coinvolge sempre e soltanto elettroni legati a
nuclei.
50
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
legato all’atomo. Pertanto avviene più frequentemente con gli elettroni
dell’orbita K, che costituiscono circa l’80% di tutti i fotoelettroni emessi.
Inoltre, per ogni orbita, l’emissione fotoelettrica è più probabile quando
il fotone possiede giusto l’energia sufficiente per produrla. La sezione
d’urto, il cui andamento qualitativo può essere osservato in figura 3.2,
decresce con l’energia dei fotoni presentando delle improvvise
discontinuità in corrispondenza delle energie di soglia del processo per
le differenti orbite (K, L, M). Le discontinuità sono più evidenti e
numerose per i materiali di elevato numero atomico. Gli atomi del
mezzo assorbente, espellendo un elettrone, risultano eccitati, quindi, si
diseccitano emettendo raggi X di fluorescenza o elettroni "Auger".
Effetto Compton: consiste nella diffusione di un fotone da parte di
un elettrone atomico. L’interazione avviene quando il fotone possiede
energia sufficientemente elevata (prevalentemente tra 0.8 e 4 MeV circa)
rispetto all’energia di legame dell’elettrone da poter interagire con
quest’ultimo come se fosse libero. Nel processo il fotone è diffuso in
direzione diversa da quella incidente, mentre l’elettrone viene a sua volta
messo in moto con una certa energia cinetica. Poiché tutti gli angoli di
"scattering" sono possibili, l’energia trasferita all’elettrone può variare
da zero ad una larga frazione dell’energia del raggio gamma incidente.19
Produzione di coppie: è un processo in cui il raggio gamma è
assorbito e la sua energia viene trasferita in parte in massa di quiete di
una coppia elettrone-positrone ed in parte in energia cinetica di queste
due particelle. Per i principi di conservazione dell’energia e del
momento si può mostrare che quest’effetto è possibile soltanto nel
campo Coulombiano di un nucleo o di un elettrone. Si tratta, inoltre, di
un "processo a soglia" che può aver luogo soltanto se l’energia minima
2
del fotone è pari a 2m0c , vale a dire 1.022 MeV, cioè l’energia
corrispondete alla massa a riposo della coppia elettrone-positrone.
L’energia cinetica disponibile non si distribuisce però in parti uguali tra
le due particelle, in quanto il positrone, a causa della repulsione da parte
del nucleo, tende a riceverne un po’ più rispetto all’elettrone. Questa
19
Ad energie inferiori al MeV può avvenire anche diffusione coerente (o di
"Rayleigh"), processo in cui un fotone, interagendo con un atomo, è
esclusivamente deflesso da questo senza alcuna perdita di energia.
51
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
differenza finisce tuttavia per scomparire al crescere dell’energia
riferimento [14].
Un materiale attraversato da un fascio di fotoni subisce i processi
fisici fin qui descritti che, sebbene molto differenti tra loro nelle
modalità e negli esiti finali, determinano un’attenuazione dell’intensità
iniziale del fascio incidente. Alla luce della descrizione di questi effetti,
è chiaro che un fotone non può essere "rallentato" dagli atomi del
materiale attraversato. Esso infatti o interagisce con gli atomi tramite
uno dei processi analizzati, così da essere rimosso dal fascio o, in
alternativa, non viene assolutamente disturbato da essi, continuando a
viaggiare lungo la direzione inizialmente posseduta. Se ci si pone in
dN
condizioni di "buona geometria", la frazione di fotoni
che subisce
N
interazioni nell’attraversare uno spessore sottile di materiale è regolata
da una precisa legge matematica funzione del numero iniziale di fotoni
incidenti, delle caratteristiche dell’assorbitore considerato e della sezione
d’urto atomica totale a  tot .20 Quest’ultima è data dalla somma delle
sezioni d’urto atomiche relative a tutte le interazioni che il fotone può
subire nel mezzo poiché tutti gli effetti concorrono insieme
all’attenuazione del fascio.
dN
Integrando l’equazione che esprime il rapporto
si ottiene il
N
numero di fotoni trasmessi N in funzione dello spessore l attraversato:
N = N0e l ,
(3.5)
NA
a tot
A
(3.6)
avendo posto:
=
dove N 0 è il numero di fotoni senza assorbitore e 
il numero di atomi presenti per cm3 nel materiale [14].
20
NA
rappresenta
A
Verificate nel caso in cui un rivelatore posto lungo l’asse del fascio, dietro
l’assorbitore, difficilmente possa essere raggiunto da fotoni che hanno subito
interazioni nell’assorbitore stesso: solo i fotoni che non hanno subito alcuna
interazione verranno rivelati da esso.
52
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
Il coefficiente μ viene detto coefficiente di attenuazione lineare e
rappresenta la frazione di fotoni che interagisce per unità di spessore del
−1
mezzo attraversato. Si misura in cm ed è pari al reciproco del libero
cammino medio λ.21 Rigorosamente, questo coefficiente si può
considerare costante solo per fasci monoenergetici di fotoni, poiché la
sezione d’urto totale è fortemente correlata all’energia. Ci si aspetta
quindi che all’interno del materiale attraversato, un fascio di fotoni
subisca una continua attenuazione, la cui entità è tanto maggiore quanto
3
più elevato risulta il numero di atomi per cm presenti nell’assorbitore.
Spesso, in luogo di μ si preferisce utilizzare il coefficiente di
attenuazione massico

, dato dal rapporto tra il coefficiente di

attenuazione lineare e la densità del materiale attraversato. Questo
coefficiente ha la proprietà di essere indipendente dalla densità del
mezzo assorbitore.
La discussione appena affrontata fa comprendere quindi le due
caratteristiche principali dei fotoni: penetrano la materia molto più delle
particelle cariche e non subiscono degradazione in energia dentro la
materia, ma solo un’attenuazione in intensità [11].
21
Definito come lo spessore di assorbitore dopo il quale l’intensità del fascio si
riduce a
1
del suo valore iniziale.
e
53
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
Figura 3.2: Andamento del coefficiente di assorbimento massico μ/ϱ per il
Piombo in funzione dell’energia.
3.1.3 Interazione dei neutroni
Le interazioni dei neutroni con la materia sono fondamentalmente
diverse da quelle precedentemente descritte a proposito delle particelle
cariche e dei fotoni a causa della facilità con la quale queste particelle
possono raggiungere i nuclei degli atomi, dando luogo così a reazioni
nucleari. Essi, infatti, non possedendo carica elettrica, non sono soggetti
ad interazioni coulombiane con gli elettroni ed i nuclei della materia che
attraversano.
54
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
Non è oggetto di questo lavoro descrivere nel dettaglio le diverse
interazioni cui i neutroni sono soggetti nell’attraversare la materia.
Basterà in questa sede sapere che queste possono essere spiegate in
termini di formazione di un nucleo composto in uno stato eccitato, dove
l’energia di eccitazione, che comprende l’energia cinetica e di legame
del neutrone (7−8MeV), è rapidamente suddivisa tra tutti i nucleoni [14].
A seconda della loro energia i neutroni possono dare luogo ad una
vasta gamma di reazioni nucleari, le più importanti delle quali sono qui
di seguito brevemente illustrate.
Per energie inferiori a 0.1 MeV si parla di neutroni termici. Questi
interagiscono con i nuclei atomici dai quali vengono "catturati"; il
nucleo poi si diseccita emettendo un fotone. La probabilità di cattura
neutronica o radiativa aumenta al diminuire della energia del neutrone
e varia considerevolmente a seconda del materiale assorbente. La
sezione d’urto é grande per elementi quali l’idrogeno, il boro ed il litio.
Per 1MeV < E < 150MeV si hanno neutroni veloci. Il principale
meccanismo con cui questi perdono energia è la diffusione elastica con
i nuclei, nella quale tutta l’energia persa dal neutrone é trasformata in
energia cinetica del nucleo urtato. Il neutrone urta il nucleo e viene
diffuso secondo le leggi della dinamica dell’urto.22 Si parla in tal caso di
moderazione dei neutroni.
Il massimo trasferimento di energia si ha quando l’urto é frontale ed
il nucleo ha più o meno la stessa massa del neutrone, cioè quando il
bersaglio é un protone. Per questo motivo l’idrogeno costituisce il più
prezioso degli elementi per il rallentamento dei neutroni veloci. Si noti
che essendo il tessuto biologico ricco di idrogeno, il passaggio di
neutroni veloci in esso é caratterizzato in grandissima parte da questo
tipo di interazione che produce protoni di rimbalzo di energia uguale a
quella del neutrone incidente, i quali causano ionizzazione ed
eccitazione negli atomi e nelle molecole del mezzo. Altri danni al tessuto
vivente, sebbene in misura minore, sono causati dalle collisioni dei
neutroni con i nuclei di carbonio, ossigeno ed azoto (considerati nuclei
leggeri).
22
Nella trattazione non relativistica dell’urto tra neutrone e nucleo, considerati un
sistema isolato, si conservano quantità di moto ed energia cinetica. Il neutrone non
eccita il nucleo, che generalmente era e rimane nel suo stato fondamentale.
55
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
Neutroni di energia intermedia interagiscono mediante entrambi i
processi appena descritti di cattura e di diffusione elastica.
Altre due interazioni da ricordare sono gli urti anelastici e le
reazioni con emissione di particelle cariche.
Nei primi il neutrone viene catturato dal nucleo ed in seguito
riemesso con energia minore e la produzione di un fotone. Questo
processo si verifica solo se il neutrone ha un’energia almeno di 1 MeV,
necessaria ad eccitare il nucleo.
Nelle seconde, invece, il neutrone viene assorbito e come risultato
possono essere emessi protoni, particelle alfa, eccetera. Queste collisioni
hanno luogo per energie superiori a 5 MeV e la loro probabilità di
verificarsi cresce all’aumentare dell’energia.
Infine, per neutroni di energia intorno ai 100 MeV o superiore, si può
avere spallazione, cioè la cattura del neutrone da parte di un nucleo con
la conseguente emissione di vari tipi di particelle e frammenti.
La legge di attenuazione di un fascio sottile di neutroni
monoenergetici é simile a quella dei fotoni nel senso che vengono
anch’essi attenuati esponenzialmente tramite un coefficiente di
attenuazione lineare.
La figura 3.3 riassume quanto detto finora sui diversi meccanismi di
rilascio di energia nella materia da parte delle varie radiazioni. Dal
grafico emerge che mentre fotoni e neutroni sono radiazioni molto
penetranti e sparsamente ionizzanti, le particelle cariche hanno range
limitato e sono estremamente ionizzanti.
56
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
Figura 3.3: Energia persa per unità di percorso in funzione della profondità
in acqua. Il confronto è eseguito tra diversi tipi di radiazioni quali: protoni da
200 MeV, elettroni da 20 MeV, raggi X, fotoni emessi da 60Co e neutroni.
3.2 Cenni di dosimetria
Il problema fondamentale della dosimetria è quello di mettere in
relazione gli effetti osservati con le caratteristiche fisiche del campo di
radiazione.
Poiché tutte gli effetti (biologici, fisici, chimici) indotti dalle
radiazioni ionizzanti si manifestano solo quando avviene una cessione di
energia alla materia, si è tentato di risolvere il problema mediante
l’introduzione di una grandezza strettamente legata a tale cessione, la
dose assorbita (che sarà definita più avanti). La misura o il calcolo della
dose assorbita costituiscono il principale obiettivo della dosimetria. In
pratica, però, tale quantità, pur giocando un ruolo di fondamentale
57
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
importanza nell’interpretazione degli effetti biologici, non è in grado di
darne una spiegazione completa.
Nel 1990 l’ICRP (International Commission on Radiological
Protection, si veda il paragrafo 3.3.2) ha approvato le nuove
raccomandazioni fondamentali, che hanno sostituito quelle dell’ICRP
Pubblication 26 [7] ed i supplementi successivi.23 Queste sono state
pubblicate nel 1991 nella ICRP Pubblication 60, ed includono
l’introduzione di nuove grandezze per la radioprotezione [8]. Queste
ultime hanno richiesto una revisione di molti dei dati di base usati nella
protezione contro le sorgenti di radiazione ionizzanti, sia interne sia
esterne al corpo.
Tre tipi di grandezze sono definite specificamente per l’utilizzo in
radioprotezione:
• Grandezze fisiche. Caratterizzano il campo di radiazione, sono
direttamente misurabili e danno un’indicazione della dose
assorbita. Questi concetti sono definiti più avanti;
• Grandezze radioprotezionistiche. Sono definite dall’ICRP, non
sono direttamente misurabili, ma riferibili a calcoli se le
condizioni di irradiazione sono note. Queste grandezze servono a
tener conto dei diversi tipi di radiazione in termini di effetti su un
medesimo tessuto biologico, e delle diverse risposte degli organi
su cui incide la radiazione;
• Grandezze operative. Definite dall’ICRU (International
Commission on Radiation Units and Measurements, si veda il
paragrafo 3.3.2), sono utilizzate per il monitoraggio di aree ed
individui esposti alle radiazioni. Servono a fornire una stima delle
quantità dosimetriche, e come quantità di calibrazione dei
dosimetri utilizzati.
Sia le grandezze radioprotezionistiche che quelle operative possono
essere correlate alle grandezze fisiche. Le grandezze fisiche e quelle
operative sono fondamentali per misurare la radiazione esterna. I
coefficienti di conversione, che collegano grandezze operative e
radioprotezionistiche a grandezze fisiche, sono calcolati utilizzando
codici di trasporto della radiazione e modelli matematici appropriati.
23
ICRP 1978, 1980, 1985.
58
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
3.2.1 Grandezze fisiche
Quando in una certa regione dello spazio si propagano radiazioni di
qualsiasi genere, si dice che essa è sede di un campo di radiazione. Tale
campo è di natura intrinsecamente statistica; quindi le grandezze fisiche
atte a descriverlo, brevemente introdotte qui di seguito, sono sempre di
tipo stocastico.
Si definisce Fluenza di particelle Φ in un certo punto in un mezzo
irradiato:
=
dN
.
da
(3.7)
dove dN rappresenta il numero medio atteso delle particelle incidenti
su una sfera di sezione massima da, pensata perpendicolare alla
radiazione incidente, avente centro nel punto considerato; l’unità di
−2
−2
misura è m nel SI, o cm secondo le unità pratiche, spesso utilizzate.
La fluenza di particelle concerne il trasporto di particelle; è possibile,
e spesso risulta comodo, definirne altre analoghe, che descrivano il
trasporto di energia. Detta R l’energia radiante, cioè la somma delle
energie delle particelle (esclusa quella di quiete) emessa, trasferita o
ricevuta, espressa in joule nel SI, è intuitivo considerare la quantità
Fluenza di energia delle particelle Ψ, definita come:
=
dR
.
da
(3.8)
−2
espressa in J⋅m nel SI.
Per il seguito, risulta importante definire il concetto di equilibrio di
radiazione: si dice che in un certo punto in un mezzo vi è equilibrio di
radiazione quando il valore atteso dell’energia radiante R che entra in un
volume infinitesimo attorno a quel punto è uguale a quello dell’energia
radiante che ne esce.
Quando tali condizioni si verificano soltanto per le particelle cariche,
si parla di equilibrio di particelle cariche.
L’equilibrio di particelle cariche sussiste certamente quando
l’elemento di volume d’interesse si trova immerso in una porzione di
materia di dimensioni non inferiori al percorso massimo dei secondari
carichi messi in moto e purché la fluenza d’energia della radiazione
59
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
primaria non vari apprezzabilmente su distanze dell’ordine di tale
percorso.
Al contrario tale equilibrio viene a mancare in prossimità di una
sorgente puntiforme, a causa della variazione del campo di radiazione
con la distanza; all’interfaccia tra due mezzi diversi; e, più in generale,
in presenza di radiazioni indirettamente ionizzanti di energia
sufficientemente elevata cosicché il percorso dei secondari carichi
originati non sia affatto trascurabile rispetto al libero cammino medio
della radiazione primaria [1].
3.2.2 Grandezze dosimetriche
Poiché tutti gli effetti indotti dalle radiazioni ionizzanti si manifestano
quando avviene una cessione di energia alla materia, è chiaro che le
valutazioni di tipo dosimetrico implicano una conoscenza delle
caratteristiche sia del campo di radiazione che dei mezzi materiali
irradiati.
Le grandezze dosimetriche godono della proprietà di potersi
esprimere come prodotto di una grandezza di campo per una costante
caratteristica del mezzo coinvolto (coefficiente d’interazione).
Per descrivere la capacità dei raggi X di produrre ionizzazione in
aria, storicamente è stata introdotta la grandezza Esposizione X, definita
come:
X=
dQ
.
dm
(3.9)
dove dQ è il valore assoluto della carica totale degli ioni di un segno,
prodotti in aria quando tutti gli elettroni liberati dai fotoni nell’elemento
di massa dm sono completamente fermati; l’unità di misura è il C  kg 1
nel SI, o il roenteger R ( 1R = 2.58 104 Ckg 1 ), più frequentemente usato
nella pratica.
Il limite maggiore di questa grandezza è la ristrettezza dell’ambito di
validità: solo per fotoni e solo in condizioni di equilibrio di particelle
cariche quindi (per questioni di tecnica attuale) solo per energie dei
fotoni non superiori ai 3 MeV. Nonostante questi pesanti limiti, tale
unità è ancora oggi utilizzata per la semplicità concettuale della
60
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
strumentazione con cui si effettua la misura (come nel caso delle camere
ad ionizzazione ad aria libera).
Fondamentale ai fini dosimetrici è la grandezza chiamata Energia
impartita ε dalla radiazione ionizzante in un certo volume:
 = Rin  Rout   Q
(3.10)
dove Rin è l’energia radiante incidente sul volume, cioè la somma
delle energie delle particelle ionizzanti (esclusa quella di quiete), cariche
o meno, che entrano nel volume; Rout è l’energia radiante uscente dal
volume, cioè la somma delle energie delle particelle ionizzanti (esclusa
quella di quiete), cariche o meno, che lasciano il volume; Q infine è la
somma di tutti i cambiamenti nelle energie di massa di riposo dei nuclei
e delle particelle elementari in tutte le reazioni che avvengono nel
volume; nella somma, gli aumenti di energia di massa sono denotati con
(+) e le diminuzioni con (−).
L’unità di misura è il Joule. Si tratta di una grandezza stocastica, il
cui valore atteso ε, detto energia media impartita, è collegato alla più
importante delle grandezze dosimetriche, la dose assorbita come segue.
Si definisce Dose assorbita e si indica con D, la quantità:
D=
d
dm
(3.11)
come anticipato,  è l’energia media impartita nel volume
elementare di massa dm; l’unità di misura nel SI è il Gray (Gy)
( 1Gy = 1J  kg 1 ), ma è in uso anche l’unità convenzionale rad, essendo
1Gy = 100rad .
La valutazione di ε richiede, in linea di principio, ripetute esposizioni
di elementi finiti di massa nel campo di radiazione interessato, con
relativa operazione di media dei valori di ε misurati. Per questo motivo il
calcolo della dose assorbita è teoricamente possibile a prescindere della
presenza di condizioni di equilibrio di radiazione, ma risulta
notevolmente semplificato nel caso della loro sussistenza [14].
Il Kerma K (Kinetic Energy Released to the Matter), risulta definito
come:
61
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
K=
dEtr
dm
(3.12)
dove dEtr è la somma delle energie cinetiche iniziali di tutte le
particelle ionizzanti cariche, liberate dalle particelle ionizzanti neutre in
un elemento di volume di massa dm; l’unità di misura è nuovamente il
Gray.24
Ogni qual volta si è interessati a conoscere l’energia depositata in
una certa regione intorno alla traccia delle particelle incidenti si fa
ricorso ad una grandezza chiamata LET (Linear Energy Transfer)
definita come:
 dE 
L = 

 dl  
(3.13)
dove dE rappresenta l’energia ceduta localmente per collisioni da una
particella carica lungo un segmento di traccia dl, considerando
esclusivamente le collisioni che comportano un trasferimento di energia
minore di Δ (solitamente espresso in eV).
−1
L’unità di misura del LET è solitamente keV⋅μm .
Considerando tutte le perdite di energia si ottiene per il LET, che in
questo caso indicheremo con L∞, lo stesso valore numerico del potere
frenante.
Quando ci si riferisce al L∞ si distinguono particelle ad alto LET e
particelle a basso LET, il confine fra le due si colloca in genere fra 30 e
−1
50 keV⋅μm .
Gli elettroni sono solitamente considerati particelle a basso LET,
mentre protoni, particelle alfa ed i nuclei di rinculo sono ad alto LET. I
dettagli sono mostrati in tabella 3.2.
24
Nel termine dE è anche inclusa l’energia che le particelle secondarie cariche
tr
irradiano sotto forma di radiazione di frenamento, o le energie delle particelle
cariche prodotte in processi secondari (per esempio elettroni Auger) nell’elemento
di volume considerato.
62
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
Particella
LET [keV  m1 ]
Elettroni
0.2 ÷ 30
Protoni
50 ÷ 100
Particelle
alfa
40 ÷ 250
Ioni pesanti
100 ÷ 400
Tabella 3.2: Valori di LET∞ per alcune particelle [14].
3.2.3 Grandezze radioprotezionistiche
Nessuna delle grandezze dosimetriche presentate (esposizione, dose
assorbita, kerma ecc.) è per sua natura idonea ad interpretare in modo
completo gli effetti provocati dal trasferimento di energia dalle
radiazioni ionizzanti alla materia vivente. La dose assorbita, ad esempio,
non consente di tenere conto della diversità degli effetti biologici indotti
da radiazioni di diversa qualità. Infatti, a parità di dose assorbita, in un
medesimo tessuto biologico possono manifestarsi effetti diversi, a
seconda dei diversi tipi di radiazione incidente. Viceversa, a parità di
dose assorbita e di qualità di radiazione incidente, il danno biologico può
essere ben diverso a seconda del tipo di tessuto irradiato. Quindi in
qualche modo, ciascun tipo di radiazione è caratterizzato da una propria
"pericolosità" biologica, ed inversamente, ciascun tessuto (o organo
umano) da una propria "suscettibilità" alle radiazioni.
Le grandezze radioprotezionistiche possono essere intese come
quantità dosimetriche specificate nel corpo umano dall’ICRP, nel
tentativo di quantificare attraverso opportuni coefficienti, seppure in
modo empirico, i rischi di esposizione ai diversi tipi di radiazioni
ionizzanti.
In questo ambito l’ICRP, ancora con la Pubblicazione 60, ha
suggerito l’uso di fattori di peso della radiazione wR, i cui valori sono
specificati in base alle caratteristiche della radiazione esterna incidente o
63
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
del radionuclide internamente depositato. Allo scopo di distinguere la
ponderazione della dose assorbita con i fattori di peso introdotti, ha così
definito una nuova grandezza, la dose equivalente, espressa da:
H T = wR DT ,R ,
(3.14)
R
dove DT,R è la dose assorbita da ciascun tipo di radiazione. L’unità di
misura è il Sievert nel SI oppure il rem, essendo 1Sv=100 rem. HT è
definita relativamente ad un tessuto od organo T irradiato con vari tipi di
radiazione, cui corrispondono i diversi fattori di peso wR i cui valori sono
dedotti dalle rassegne di informazione biologica. In figura 3.4 sono
riportati i valori numerici di wR in termini di tipo ed energia della
maggioranza delle radiazioni ionizzanti [8]. Si noti come le particelle
alfa, i frammenti di fissione e gli ioni pesanti presentino, in qualunque
intervallo di energia, il valore più elevato.
Figura 3.4: Fattori peso per radiazione a diverse energie.
64
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
Note le dosi equivalenti relative a tutti gli organi o tessuti del corpo è
possibile determinare la dose efficace, data dall’espressione:
E = wT H T ,
(3.15)
T
dove HT è la dose equivalente al tessuto o organo T e wT è il fattore
peso per il tessuto T. Il fattore peso rende conto delle diversità del danno
stocastico relativo, risultante dall’esposizione di differenti tessuti o
organi ad una identica dose equivalente.
Si può così pensare che mentre la dose equivalente dia una misura
del danno biologico al tessuto o organo irradiato, la dose efficace
fornisca una misura del danno biologico all’individuo esposto. In figura
3.5 sono presentati i valori numerici di wT per i diversi organi o tessuti.
Figura 3.5: Fattori peso dei diversi tessuti ed organi.
65
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
3.2.4 Grandezze operative
In generale la dose assorbita agli organi non può essere valutata
sperimentalmente in quanto ciò richiederebbe l’acquisizione di un gran
numero di parametri. Basti pensare che per effettuare la misura sarebbe
necessario praticare una cavità intorno al punto d’interesse ed introdurre
in essa un materiale C sensibile alla dose, vale a dire un "dosimetro".
Adesso, se il materiale C fosse della stessa natura del materiale
costituente il mezzo irradiato, la procedura descritta non perturberebbe il
campo preesistente ed il valore della dose assorbita così determinato non
risulterebbe diverso dal quello cercato.
In genere però il mezzo ed il rivelatore non sono affatto omogenei
per cui l’energia assorbita sarà diseguale nei diversi materiali. Per
risalire dalla dose misurata DC alla dose nel mezzo imperturbato (cioè il
valore a cui si è effettivamente interessati) si dovrà pertanto moltiplicare
la prima per un opportuno fattore di correzione.
La determinazione di tale fattore non è affatto banale e costituisce
l’obiettivo fondamentale della cosiddetta teoria della cavità, non
affrontata in questa sede. Ulteriori dettagli sono riportati in letteratura
[14]
Da quanto detto emerge pertanto che anche le quantità HT ed E non
possono essere direttamente misurate. Per questo motivo l’ICRU ha
definito un’altra serie di grandezze, dette operative, che si distinguono
per le seguenti caratteristiche [6]:
• possibilità di essere misurate direttamente, o di essere ricavate
dalle risposte degli strumenti;
• a partire dalla loro misura, possibilità di ottenere una stima
conservativa di quantità radioprotezionistiche e/o fisiche, ossia
una stima che non sottovaluti in nessun caso l’entità reale della
quantità radioprotezionistica o fisica;
• contemporaneamente, capacità di evitare un’eccessiva sovrastima
delle grandezze radioprotezionistiche e fisiche.
Le quantità operative sono inoltre classificate in due categorie: quelle
per il monitoraggio ambientale e quelle per il monitoraggio personale.
66
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
La definizione delle grandezze per il monitoraggio ambientale
richiede qualche precisazione preliminare a proposito del significato di
alcuni termini.
Con il termine campo espanso ci si riferisce ad un campo di
radiazione avente per tutto il volume di interesse la stessa fluenza di
particelle, la stessa distribuzione angolare e lo stesso spettro in energia
del campo che è effettivamente presente nel punto a cui ci si riferisce.
Si definisce campo allineato ed espanso un campo di radiazione in
cui si mantengono inalterate le precedenti quantità, fatta eccezione per la
distribuzione angolare del campo di radiazione che viene assunta
unidirezionale (figura 3.6).
Figura 3.6: Schematizzazzione di campo reale (a), campo allineato ed espanso (b)
ed espanso.
Ora è possibile definire l’Equivalente di dose ambientale H * (d ) ,
in un certo punto immerso in un campo di radiazione. Essa è
l’equivalente di dose che sarebbe prodotto dal corrispondente campo
allineato ed espanso nella sfera ICRU centrata nel punto di interesse, a
67
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
una profondità d lungo il raggio opposto alla radiazione del campo
allineato.25
Si definisce, inoltre, Equivalente di dose direzionale H (d , ) in
un certo punto di un campo di radiazione l’equivalente di dose prodotto
dal corrispondente campo espanso nella sfera ICRU ad una profondità d
lungo un raggio in una specificata direzione  .
Per quanto riguarda, invece, il monitoraggio personale, si
definiscono Equivalente di dose individuale penetrante H P (d ) e
Equivalente di dose individuale superficiale H S (d ) gli equivalenti di
dose in tessuto molle a specificate profondità d del corpo umano.
Per le grandezze H*(d) e HP(d) il valore raccomandato per la
profondità d è 10 mm (H* (10) e HP(10)), mentre per il monitoraggio in
termini di H (d ) e HS(d) la distanza raccomandata è 0.07 mm (H'(0.07) e
HS(0.07)). La loro unità di misura nel SI è, infine, il sievert.
Da quanto detto finora appare dunque evidente che i valori di dose
efficace sono valutati a partire dalle misure di grandezze operative. Le
espressioni analitiche da utilizzare per il calcolo sono state recentemente
ridefinite nella Pubblicazione 103 dell’ICRP [9].
3.3 Problematiche relative alla radioprotezione
La protezione dagli effetti delle radiazioni si fonda a livello generale
sull’isolamento delle sorgenti radioattive dall’ambiente e dal contatto
con l’uomo, ed a livello particolare sull’adozione di soluzioni
progettuali, costruttive e tecnologiche, nonché sull’individuazione di
comportamenti e prescrizioni atte a ridurre l’esposizione individuale e
collettiva della popolazione in misura appropriata.
25
Con il termine sfera ICRU si intende una sfera di tessuto molle di diametro 30cm ,
densità 1gcm-3 e la cui composizione è data dal 76,2 di Ossigeno, 11,1 Carbonio,
10,1 Idrogeno e 2,6 Azoto. Essa quindi non è altro che un particolare fantoccio di
riferimento.
68
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
3.3.1 Effetti biologici delle radiazioni ionizzanti
Gli effetti indotti dalle radiazioni ionizzanti si distinguono, dal punto
di vista della possibilità di accadimento, in [8]:
• Effetti non stocastici o deterministici, la cui gravità è in stretta
relazione alla "qualità di radiazione" ricevuta nell’organo o tessuto
d’interesse, che successivamente sarà definita in modo più preciso
come "dose assorbita", e per ciascuno di essi, esiste un valore di
soglia soltanto superato il quale, l’effetto stesso si manifesta. I
valori delle dosi corrispondenti alle varie soglie sono, inoltre,
sempre piuttosto elevati e conosciuti in genere con accettabile
accuratezza.
• Effetti stocastici, caratterizzati, invece, da una probabilità di
accadimento in funzione della dose ricevuta, e dall’assenza di un
valore di soglia, al di sotto del quale con certezza l’effetto non si
manifesti.
Dal punto di vista biologico invece, gli effetti indotti si distinguono
in somatici e genetici, a seconda che si manifestino sull’individuo
esposto o sui suoi discendenti. Gran parte degli effetti somatici sono di
tipo non stocastico, mentre tutti gli effetti genetici ed una fetta
comunque importante dei somatici (leucemia, carcinogenesi) hanno
carattere stocastico.
Quando le radiazioni ionizzanti arrivano su di un organismo vivente
cedono in parte la loro energia alle cellule che lo compongono. Tale
apporto di energia, negli organismi viventi, produce una ionizzazione
delle molecole: da qui la definizione di radiazioni ionizzanti. Si possono
distinguere in generale in questo processo due fasi: una "fase iniziale" e
la fase del "danno biologico".
Nella fase iniziale le radiazioni ionizzanti producono nella materia
vivente alterazioni fisiche e fisico-chimiche, le quali, proprio perché si
verificano in strutture biologiche, sono all’origine della successiva fase
del danno biologico, che si manifesterà prima nei costituenti
fondamentali della materia vivente, le cellule, poi nei tessuti e negli
organi, ed infine nell’organismo considerato nel suo insieme.
Si può affermare che i danni biologici, a livello cellulare e tessutale,
vengono generati mediante un duplice meccanismo:
69
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
• Diretto, in cui le macromolecole cellulari e tessutali, essendo esse
stesse bersaglio delle radiazioni, ne subiscono gli effetti ionizzanti
ed eccitanti;
• Indiretto, in cui le alterazioni a carico di queste macromolecole
sono dovute ai radicali liberi prodotti dall’azione delle radiazioni
sulla componente molecolare maggiormente rappresentata
nell’organismo, cioè l’acqua.26
È dunque il DNA il bersaglio principale delle radiazioni: molti degli
effetti acuti osservati negli organismi sono dovuti alla morte delle cellule
quando cercano di riprodursi (morte riproduttiva della cellula). Non
appena si ha un anomalia del DNA, vengono messi in moto meccanismi
per la sua riparazione; nel caso in cui essa sia effettuata in maniera errata
il DNA si modifica, con conseguenti danni biologici di varia entità.
Figura 3.7: Effetto delle radiazioni ionizzanti sulla catena del DNA.
Tipicamente nel caso di dosi molto elevate, con conseguenti effetti
deterministici sull’organismo (per via di incidenti o di esposizioni dei
26
I radicali liberi sono atomi o raggruppamenti di atomi aventi in uno degli orbitali
esterni delle specie che li costituiscono uno o più elettroni spaiati,
indipendentemente dalla carica espressa. Responsabili, tra l’altro, di alterazioni
aspecifiche della permeabilità delle membrane plasmatiche, possono reagire con le
proteine denaturandole ed intercalarsi con gli acidi nucleici.
70
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
tessuti sani in caso di radioterapia), si assiste ad una diminuzione rapida
della popolazione di cellule, nel giro di poche ore o giorni
dall’esposizione.
Tuttavia in popolazioni cellulari con ciclo riproduttivo lento, la
morte non avviene per mesi o anche per anni. Il grado di uccisione delle
cellule in una popolazione, nonché la gravità del detrimento complessivo
all’organismo, aumentano con la dose, purché sia superata una certa
soglia minima, come già spiegato sopra: se un numero sufficiente di
cellule vengono uccise in un organo o tessuto si compromette la sua
funzionalità ed, in casi estremi, l’organismo può morire.
Invece nel caso di basse dosi, e quindi di effetti stocastici
sull’organismo, si hanno variazioni nelle cellule normali, come
presumibile risultato di mutamenti specifici al DNA, i quali avvengono
in base ad un processo noto come "trasformazione neoplasica". Un
risultato caratteristico è la capacità potenziale da parte di una cellula
neoplasica di riproduzione illimitata. La presenza di tali cellule non
determina necessariamente la comparsa di un cancro, il quale tuttavia
può insorgere sotto l’azione concomitante di altri agenti, dopo un
periodo di latenza. La probabilità di avere una neoplasia dopo
esposizione alle radiazioni cresce all’aumentare della dose, tuttavia la
sua gravità non è influenzata dalla dose stessa.
3.3.2 La radioprotezione nella normativa italiana
La radioprotezione ha lo scopo di assicurare la protezione degli
individui (e della loro progenie) e dell’ambiente dai rischi connessi
all’esposizione a radiazioni ionizzanti. Essa si estrinseca in una serie di
principi, raccomandazioni, requisiti, prescrizioni, tecnologie e modalità
operative, e verifiche volte a proteggere la popolazione (intesa come
individui in generale, lavoratori, soggetti sottoposti a pratiche mediche
di diagnosi e cura facenti uso delle radiazioni ionizzanti). Il compito di
fornire informazioni su questo tema è svolto dai due organismi
internazionali:
• l’ICRP (International Commission on Radiological Protection),
nata nel 1928, formula i principi generali su cui s’ispira la
radioprotezione, i quali sono poi recepiti dalle legislazioni dei vari
Paesi;
71
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
• l’ICRU (International Commission on Radiation Units and
Measurements), fondata nel 1925 dall’International Congress of
Radiology, ha l’obiettivo di sviluppare raccomandazioni per le
qualità e le unità di misura operazionali della radioprotezione,
caratterizzandole in relazione agli aspetti fisici del campo di
radiazione.
Le raccomandazioni delle due commissioni vengono poi pubblicate
sotto forma di documenti ICRP e ICRU.
Da un punto di vista operativo, l’obiettivo più importante della
radioprotezione è la limitazione degli effetti stocastici, la cui probabilità
di accadimento dipende, come già detto, dalla dose ricevuta in maniera
non ben chiara nell’intervallo delle basse dosi.
L’ICRP costruisce il suo edificio protezionistico sull’ipotesi di una
relazione probabilmente cautelativa, almeno in alcuni casi di tipo lineare,
senza soglia fra effetti stocastici e dose ricevuta. Accettato questo
principio, nessuna esposizione alle radiazioni, per quanto modesta, può
pertanto considerarsi completamente sicura. Questo spiega
l’introduzione dei seguenti tre principi fondamentali [7]:
1. Principio di giustificazione dell’attività. Nessuna attività umana
deve essere accolta, a meno che la sua introduzione non produca
un beneficio netto e dimostrabile;
2. Principio di ottimizzazione della radioprotezione o principio
ALARA. Ogni esposizione alle radiazioni deve essere tenuta tanto
bassa quanto è ragionevolmente ottenibile, facendo luogo a
considerazioni economiche e sociali (As Low As Reasonable
Achievable, da cui la denominazione ALARA);
3. Principio di limitazione delle dosi individuali. Le dosi ai singoli
individui non devono superare i limiti raccomandati per le varie
circostanze.
Questi principi devono essere applicati in sequenza.27 Da quanto detto
ed in accordo ai tre principi, emerge quindi chiaro che scopo della
27
Non sempre le attività con rischio da radiazione richiedono l’applicazione di tutte
e tre i principi. Ad esempio, nel caso delle esposizioni mediche basterà
considerare i primi due, non avendo alcun senso imporre limiti di dose al paziente,
beneficiario della pratica, oltre a quelli che scaturiscono da una corretta
72
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
radioprotezione è eliminare i danni non stocastici o deterministici e
ridurre a livelli accettabili il rischio relativo all’insorgenza di danni
stocastici.
Le disposizioni ICRP, recepite come Direttive Comunitarie, sono
state accolte in Italia dai seguenti Decreti Legge:
• D.Lgs. 230/95, D.Lgs. 241/00, D.Lgs. 257/01 per quanto riguarda
la radioprotezione del lavoratore;
• D.Lgs. 187/00 riguardo la radioprotezione del paziente.
Il D.Lgs. 230/95 e s.m.i. stabilisce il rispetto, nella disciplina delle
attività lavorative e del pubblico con rischio da radiazioni ionizzanti, dei
tre principi su enunciati e costituisce pertanto la normativa di riferimento
relativamente all’oggetto di questo lavoro di tesi.28
Al suo interno, all’articolo 61, sono stabili gli obblighi del Datore di
Lavoro (DDL), dei dirigenti e dei preposti riassunti come segue:
• Devono attuare le cautele di protezione e di sicurezza previste dal
D.Lgs. 230/95 e sue applicazioni;
• I DDL prima dell’inizio dell’attività debbono acquisire da un
Esperto Qualificato (EQ) una relazione scritta contenente le
valutazioni e le indicazioni di radioprotezione inerenti alle attività
stesse;
• Devono provvedere affinché gli ambienti di lavoro in cui sussista
un rischio da radiazioni vengano individuati, delimitati, segnalati,
classificati in zone e che l’acceso sia regolamentato;
• Provvedere affinché i lavoratori interessati siano classificati
dall’EQ;
• Predisporre norme interne di protezione e sicurezza adeguate al
rischio e curare che siano consultabili nei luoghi frequentati dai
lavoratori ed in particolare nelle zone controllate;
applicazione del principio di ottimizzazione. L’insieme dei tre principi andrà
invece assicurato per i lavoratori addetti.
28
La normativa vigente costituisce un’attuazione delle direttive del Consiglio
89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 92/3/Euratom e 96/29/Euratom in materia di
radiazioni ionizzanti.
73
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
• Fornire ai lavoratori, ove necessari, i mezzi di sorveglianza
dosimetrica e di protezione in relazione ai rischi a cui sono
esposti;
• Rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici, delle nome di
protezione, delle conseguenze derivanti dalla mancata osservanza
delle prescrizioni, delle modalità di esecuzione del lavoro e delle
norme interne;
• Provvedere affinché i singoli lavoratori osservino le norme
interne, usino i mezzi di cui sopra ed osservino le modalità di
esecuzione del lavoro;
• Provvedere affinché siano apposte segnalazioni che indicano il
tipo di zona, la natura delle sorgenti e siano indicate, mediante
appositi contrassegni, le sorgenti;
• Fornire al lavoratore esposto i risultati relativi alla sorveglianza
dosimetrica che lo riguardano direttamente;
• Per gli obblighi di cui sopra, escluso quelli relativi al
comportamento degli operatori, i DDL, i dirigenti e i preposti
devono avvalersi delle figure dell’Esperto Qualificato e dei
Medici Autorizzati e Competenti.
All’articolo 68 sono stabiliti gli obblighi dei lavoratori, riassunti
come segue:
• Osservare le disposizioni impartite dal DDL o dai suoi incaricati,
ai fini della protezione individuale e collettiva della sicurezza;
• Usare secondo le specifiche istruzioni i dispositivi di sicurezza, i
mezzi di protezione e di sorveglianza dosimetrica predisposti o
forniti dal DDL;
• Segnalare immediatamente al DDL, al dirigente o al preposto le
deficienze dei dispositivi e dei mezzi di sicurezza, di protezione e
di sorveglianza dosimetrica, nonché le eventuali situazioni di
pericolo di cui vengono a conoscenza;
74
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
• Non rimuovere né modificare, senza averne ottenuto
l’autorizzazione, i dispositivi e gli altri mezzi di sicurezza, di
segnalazione, di protezione e di misurazione;
• Non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre che
possano compromettere la protezione e la sicurezza
• I lavoratori che svolgono, per più DDL, attività che li espongono
al rischio da radiazioni ionizzanti, devono rendere edotto ciascun
DDL delle attività svolte presso gli altri.
Ai fini pratici la normativa prevede dunque la classificazione dei
lavoratori le cui pratiche, obbedendo al principio di limitazione, non
devono comportare il superamento di uno o più dei limiti di dose
riassunti schematicamente in figura 3.8 (Articolo 82: Modalità di
classificazione dei lavoratori ai fini della radioprotezione e della
sorveglianza fisica, Allegato III).29
Figura 3.8: Limiti di dose fissati dal D.Lgs. 230/95 e s.m.i. per la classificazione dei
lavoratori.
Come si nota i limiti sono espressi in termini di dose efficace annua
(quindi per esposizione globale) e di dose equivalente annua per il
cristallino o per la pelle o per le mani (per esposizioni parziali).
I lavoratori classificati esposti sono a loro volta classificati in due
categorie come segue:
• Categoria A, lavoratori esposti suscettibili di un’esposizione
superiore, in un anno solare, ad uno dei seguenti valori
- 6 mSv di dose efficace;
29
I limiti sono complessivi, si riferiscono alla somma delle dosi derivanti da
esposizione interna ed esterna ed a tutte le esposizioni professionali svolte
nell’anno solare.
75
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
- I 3/10 di uno qualsiasi dei limiti di dose equivalente
fissati per il cristallino (150 mSv), per la pelle (500 mSv),
per mani, avambracci, caviglie e piedi (500 mSv).
• Categoria B, lavoratori esposti non classificati in categoria A.
La figura 3.9 mostra uno schema riassuntivo della classificazione dei
lavoratori.30
È importante notare che in generale sia i lavoratori classificati
esposti che quelli non esposti possono praticare attività soggette ad
esposizioni da radiazioni ionizzanti, ma, ovviamente, in quantità, per
tempi e/o modi diversi.
Figura 3.9: Schema riassuntivo della classificazione dei lavoratori.
Il datore di lavoro ha l’obbligo di provvedere ad assicurare, mediante
uno o più medici, la sorveglianza medica dei lavoratori esposti, in
conformità alle norme ed alle disposizioni contenute nel decreto, tramite
visite mediche periodiche.31 Più in dettaglio, per i lavoratori di categoria
30
Il D. Lgs. 230/95 ha inoltre introdotto la categoria degli apprendisti e studenti
esposti al rischio da radiazioni ionizzanti, che devono essere suddivisi in relazione
all’età ed al tipo di attività lavorativa o di studio.
31
La sorveglianza medica è l’insieme delle visite mediche, delle indagini
specialistiche e di laboratorio, dei provvedimenti sanitari adottati dal medico
76
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
A sono previste la sorveglianza fisica individuale e la sorveglianza
medica, con frequenza semestrale dei controlli.32 Per i lavoratori di
categoria B, la sorveglianza fisica individuale può essere sostituita con
quella ambientale ed i controlli medici hanno frequenza annuale.
La classificazione dei lavoratori esposti nelle Categorie A e B con i
corrispondenti limiti di dose è schematizzata in figura 3.10. La tabella
riporta anche i limiti di esposizione per i lavoratori non esposti e gli
eventuali obblighi di sorveglianza media e fisica con le loro periodicità.
Figura 3.10: Classificazione dei lavoratori esposti nelle categorie A e B come
prevista dall’attuale normativa vigente.
Il decreto prevede inoltre la classificazione delle aree lavorative
come segue (Allegato III paragrafo 4):
• Zone Sorvegliate, quelle aree in cui sussiste per i lavoratori in
esse operanti il rischio di superamento di uno dei limiti di dose
fissati per le persone del pubblico, sempre riferiti ad un anno
solare:
- 1 mSv di dose efficace;
autorizzato e dal medico competente, al fine di garantire la protezione sanitaria dei
lavoratori esposti.
32
La sorveglianza fisica della radioprotezione viene definita come l’insieme dei
dispositivi adottati, delle valutazioni, delle misure e degli esami effettuati, delle
indicazioni fornite e dei provvedimenti formulati dall’EQ al fine di garantire la
protezione sanitaria dei lavoratori e della popolazione in tutte le pratiche che
implicano il rischio dovuto all’esposizione a radiazioni ionizzanti provenienti da
sorgenti naturali o artificiali, come indicato nel D.Lgs 230/95 e s.m.i..
77
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
- 1/10 di uno qualsiasi dei limiti di dose equivalente (per
esposizione parziale), fissati per il cristallino (15 mSv),
per la pelle (50 mSv), per mani, avambracci, caviglie e
piedi (50 mSv).
• Zone Controllate, quelle aree in cui sussiste per i lavoratori in
esse operanti il rischio di superamento di uno dei seguenti valori,
riferiti ad un anno solare:
- 6 mSv di dose efficace;
- I 3/10 di uno qualsiasi dei limiti di dose equivalente (per
esposizione parziale), fissati per il cristallino (150 mSv),
per la pelle (500 mSv), per mani, avambracci, caviglie, e
piedi (500 mSv).
Le Zone Controllate e le Zone Sorvegliate devono essere
opportunamente segnalate in maniera visibile e comprensibile. Le Zone
Controllate sono delimitate e le modalità di accesso ad esse sono
regolamentate secondo procedure scritte indicate dall’EQ al DDL (ai
sensi dell’articolo 61, comma 2, e dell’articolo 80).
Le attività all’interno di queste zone sono, infine, regolamentate da
norme di protezione e sicurezza specifiche, vale a dire adeguate al
rischio derivante da esse.
Il quadro riassuntivo della classificazione delle aree è mostrato in
figura 3.11.
Figura 3.11: Classificazione delle aree.
78
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
3.4 Dispositivi di radioprotezione
Lo scopo degli strumenti di radioprotezione è di fornire dati per
aiutare il personale a proteggersi contro le irradiazioni esterne ed interne,
per limitare la diffusione di contaminazioni radioattive negli ambienti di
lavoro e dare informazioni utili per prevenire il rilascio di materiali
radioattivi in concentrazioni superiori alle massime permesse nelle aree
interne ed esterne dei laboratori.
Nella pratica essi indicano oltre la presenza di radiazioni, il tipo di
radiazione, il rateo di dose e la dose integrata in un tempo definito. Si
possono distinguere:
• Strumenti per la sorveglianza individuale, utilizzati dai
lavoratori nelle zone con radiazioni e/o contaminazione, per
indicare la dose accumulata in un certo intervallo di tempo e dare
un allarme quando vengono superati livelli di dose prefissati;
• Strumenti portatili, usati nella normale sorveglianza, per la
misura delle contaminazioni superficiali e nella determinazione
dei livelli di dose.
• Monitori del livello di irradiazione esterna e della radioattività
nell’ambiente di lavoro, normalmente fissi, la cui funzione è di
fornire informazioni e una registrazione dei livelli di irradiazione e
contaminazione ed un allarme al superamento di limiti prefissati.
3.4.1 Strumenti per la sorveglianza individuale
Come previsto dalla normativa vigente l’Esperto Qualificato, negli
ambiti lavorativi in cui è presente personale classificato esposto, ha il
dovere di espletare il servizio di dosimetria personale ed ambientale.
Questo comprende il calcolo della dose, le valutazioni dosimetriche e
l’aggiornamento delle schede dosimetriche per i lavoratori esposti. La
conoscenza del dato dosimetrico consente inoltre di programmare
opportunamente le successive esposizioni in modo da mantenere la dose
ricevuta da ciascun lavoratore quanto più bassa possibile e comunque
sempre al di sotto dei limiti di legge. Questo tipo di controllo viene
esercitato tramite diverse tipologie di dosimetri:
79
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
• Dosimetri personali (a bracciale, al petto e total body). Vengono
indossati dai lavoratori radioprotetti ed indicano la dose assorbita
dalla persona che li indossa;
• Dosimetri ambientali. Indicano le radiazioni emesse
nell’ambiente nel dato periodo. Devono essere opportunamente
disposti nei pressi dei punti di frazionamento o delle macchine
radiogene, a seconda della natura delle sorgenti;
• Dosimetri di controllo o Testimoni. Indicano la dose assorbita da
tutto il set dei dosimetri a cui fanno riferimento per cause non
dipendenti dal loro utilizzo, prima fra tutte la radioattività
naturale, che varia da luogo a luogo in dipendenza da vari fattori.
Lo scopo della dosimetria personale è quello di garantire a coloro i
quali sono esposti a radiazioni ionizzanti, la determinazione della dose
assorbita nell’espletamento delle funzioni loro deputate, attraverso la
lettura periodica dei dosimetri. Questi devono essere sempre indossati da
chi manipola materiali radioattivi, all’interno delle camere calde e nelle
zone controllate, ma conservati all’esterno di esse quando non sono
adoperati.33
La dosimetria ambientale (mappatura ambientale), invece, ha lo
scopo di monitorare le esposizioni dei lavoratori e delle persone del
pubblico in ambienti soggetti a rischio da radiazioni ionizzanti.
Un discorso a parte va fatto per i dosimetri di controllo i quali
devono essere tenuti insieme ai personali ed agli ambientali durante la
conservazione ed il trasporto, ma custoditi all’esterno della camera calda
o laboratorio, in luoghi sicuramente non soggetti a radiazioni ionizzanti
di "lavoro" (amministrazione, direzione, aula, ecc.). Il loro compito è di
misurare il fondo ambientale che sarà poi sottratto dalla lettura degli altri
dosimetri.
Per la misura della dose al corpo intero, usualmente, ai LNS si
utilizzano due tipi di dosimetri personali che rivelano, rispettivamente, le
radiazioni X+gamma (sensibili in parte anche ai beta) ed i neutroni.
Essi sono di tipo passivo devono, cioè, essere sottoposti ad un
particolare trattamento chimico - fisico per risalire alla dose che hanno
assorbito. Tra questi i più utilizzati sono i dosimetri a
33
I dosimetri sono assegnati dal Servizio di Radioprotezione al quale devono essere
richiesti e sono etichettati con il nome dell’utilizzatore.
80
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
termoluminescenza (TLD), che consistono essenzialmente in cristalli di
fluoruro di litio (particolarmente adatto, per la sua elevata sensibilità alle
basse energie, per il controllo dosimetrico nella manipolazione di
radioisotopi allo stato sigillato e non), oppure film badge.
Tra le caratteristiche principali di questi sistemi dosimetrici vi è la
facilità di utilizzo, la praticità e la leggerezza nell’indossarli. Possono
essere inoltre forniti in misure e dimensioni di diverso taglio.
Per alcune attività vengono assegnati anche dosimetri a bracciale o
ad anello per X + gamma e beta che registrano la dose assorbita alle
estremità del corpo (mani o dita).
Per casi particolari vengono assegnati anche dosimetri per
X + gamma e beta di tipo attivo, realizzati con un rivelatore ed una
elettronica che forniscono la lettura della dose istantaneamente e sui
quali è possibile anche impostare delle soglie di allarme.
Un esempio di dosimetri personali a corpo intero ed a bracciale è
mostrato in figura 3.12.
Figura 3.12: Alcuni tipi di dosimetri personali, di tipo passivo, attualmente in uso
presso i LNS per la misura della dose al corpo intero, a sinistra, ed a bracciale, a destra.
Infine tra i dispositivi utilizzati per la sorveglianza individuale
ricordiamo i contaminametri mani-piedi. Sono di tipo fisso e sono
progettati per la rilevazione di contaminazione di mani, piedi, vesti,
guanti e calzature. Per questo motivo essi trovano solitamente posto
(questo è il caso dei LNS) subito fuori dalle camere con rischio di
contaminazione esterna, come ad esempio quelle al cui interno è previsto
l’uso di sorgenti non sigillate.
81
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
3.4.2 Strumenti portatili
Per strumenti portatili si intendono i rivelatori non fissi atti a misurare
i rate di dose o l’attività di un determinato campione.
Il rivelatore è uno strumento fondamentale alla base di tutte le
pratiche che coinvolgono le radiazioni ionizzanti. La conoscenza delle
potenzialità dello strumento oltre che dei suoi limiti è essenziale per
interpretare propriamente ed al meglio le misure.
Distinguiamo i principali tipi di rivelatori:
• Rivelatori a gas (tra i quali, a seconda della tensione di lavoro vi
sono le camere a ionizzazione, i contatori proporzionali ed i
contatori Geiger-Muller);
• Rivelatori a scintillazione (che utilizzano cristalli organici ed
inorganici);
• Rivelatori a stato solido (che utilizzano semiconduttori drogati).
La varietà degli strumenti a disposizione, unita alle loro
caratteristiche di rivelazione fa comprendere che la scelta del dispositivo
non può essere casuale nè affrettata. Essa infatti dipende da molti fattori,
quali:
• Scopo della misura;
• Tipo di radiazione da rivelare ed il suo range di energia;
• Grandezza da misurare (attività o dose equivalente, ad esempio);
• Intervallo di misura (gli strumenti hanno in generale range di
misura differenti);
• Esigenze di efficienza e risoluzione (ad esempio nel caso di misure
di spettroscopia);
• Altre considerazioni (ad esempio, velocità di conteggio, ambiente
di misurazione, disponibilità per lunghi tempi, trasportabilità,
costi, eccetera).
Infine, a seconda dell’informazione fornita, i rivelatori posso essere
classificati in:
82
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
• Contatori. Indicano il numero di interazione che avvengono al
loro interno;
• Spettrometri. Forniscono informazioni sulla distribuzione in
energia della radiazione incidente;
• Dosimetri. Indicano la quantità netta di energia depositata nel
rivelatore per interazioni multiple.
Per comprendere meglio come possono variare le caratteristiche di
misura da strumento a strumento, di seguito saranno descritti alcuni tipi
di rivelatori impiegati per misure di radioprotezione presso i LNS.
TOL/F Berthold.
Spesso per misure dirette sul fascio di radiazione di dose ambientale e
rateo di dose viene utilizzata una camera ad ionizzazione di piccolo
volume di tipo Berthold modello TOL/F. Questo rivelatore è sensibile ai
beta ed ai raggi X e gamma, nel range che va dai 10 keV fino a 7 MeV.
In dotazione con lo strumento vi è un cappuccio in plexiglass che,
una volta inserito, estende il range di energia fino a 10 MeV.
Funziona sia a regime di ionizzazione (per basse dosi), che a regime
proporzionale (per avere una sensibilità maggiore in dose).
90
Al suo interno è alloggiata una sorgente radioattiva di Sr
(emettitore beta) che, al momento dell’accensione o quando si passa da
una modalità di misura all’altra, serve per la calibrazione automatica del
rivelatore.
Esegue le misure in termini di H * (10) nel range di misura che
va dai 0.01
Sv
h
ai 10
mSv
.
h
Come tutti gli strumenti di misura è dotato del proprio certificato di
taratura rilasciato da un ente accreditato di taratura delle radiazioni
ionizzanti (ACCREDIA).34
34
La taratura dello strumento avviene impiegando i fasci di riferimento X e gamma
specificati nella apposita norma [ISO 4037-1]. Il laboratorio garantisce la
riferibilità ai campioni nazionali per le grandezze accreditate impiegando, in tal
caso, come campioni di prima linea camere ad ionizzazione a cavità di grafite.
83
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
Figura 3.13: Rivelatore Berthold modello TOL/F per la rivelazione di radiazioni
beta, X e gamma.
LB 6411 Berthold.
Questo rivelatore è costituito da una sonda (LB 6411 PROBE),
capace di rivelare neutroni, alla quale è accoppiata un’unità elettronica
digitale multifunzione dotata di monitor (LB 123 UMo.), per la
trattazione dei segnali.
La sonda è costituita da una sfera moderatrice in polietilene (che
degrada in energia i neutroni incidenti) contenente un contatore
3
proporzionale riempito di gas Trizio ( H).
Fornisce informazione in termini rateo di dose equivalente
ambientale H*(10) in accordo con l’ICRP Pubblication 60 [8].
Rivela neutroni da termici fino a 20 MeV in un range di misura che
nSv
mSv 35
va dai 30
ai 100
.
h
h
L’utilizzo di un contatore proporzionale come strumento di misura
migliora la sensibilità dello strumento fino a 3 conteggi per nSV nel
range di energia 1÷10 MeV.
35
Per estendere il range di energia a valori più elevati esistono delle coperture (in
Piombo, dello spessore di un 1 cm) con le quali ricoprire il rivelatore. Queste
vengono usate per la rivelazione di neutroni di alta energia (superiore ai 100 MeV,
ad esempio all’interno delle sale dove vi è il fascio di radiazioni.
84
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
Un rivelatore portatile di neutroni come questo viene impiegato,
presso i LNS, ogniqualvolta vi è un nuovo esperimento o un nuovo tipo
di fascio di ioni accelerati o ancora per testare le schermature nella varie
sale sperimentali (si veda in merito il paragrafo 3.5.2).
Figura 3.14: Rivelatore di neutroni Berthold modello LB 6411 .
BTI MICROSPEC Spectroscopic Beta Probe.
Si tratta di un rivelatore per spettroscopia beta portatile (BTI
Spectroscopic Beta Probe) associato ad un analizzatore (BTI
MICROSPEC) in grado di fornire informazioni su rateo di dose ed
identità del radionuclide emettitore beta.
La sonda beta è costituita da uno scintillatore a configurazione
phoswich che, oltre a restituire informazioni spettrali, ha un’efficienza
85
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
indipendente dall’energia della radiazione beta e riesce a discriminare i
fotoni di bassa energia.36
Le misure sono espresse in termini di rateo di HS(0.07) in un range di
energia che va dai 10 keV fino a 7 MeV.
Come si vede dalla figura 3.15 gli spettri misurati con il Beta Probe
mostrano un ottimo accordo con gli spettri beta e le dosi calcolate
teoricamente entro il 5%.
Figura 3.15: Confronto tra spettri in energia teorici e spettri come misurati dal
rivelatore BTI Spectroscopic Beta Probe per tre diverse sorgenti beta.
Previo utilizzo, è necessario effettuare una calibrazione con una
sorgente nota multi picco emettitrice beta. Nel momento in cui la sonda
36
Con il termine phoswich, provienete dalle parole inglesi PHOSphor e sandWICH,
si indica l’accoppiamento di due scintillatori, con tempi di decadimento della
scintillazione diversi.
86
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
riconosce i picchi di energia della sorgente esegue automaticamente la
calibrazione. La sorgente non è fornita dalla casa costruttrice e va posta
esternamente al dispositivo.
Figura 3.16: Rivelatore per spettroscopia beta BTI Spectroscopic Beta Probe.
Ludlum Model 44-9 GM Detector.
É tra i più popolari rivelatori di radiazione al mondo. Sensibile a
radiazioni alfa, beta e gamma, possiede dimensioni e geometria (si tratta
di un rivelatore di tipo Pan-Cake) che lo rendono estremamente
maneggevole.
Il rivelatore consiste di un tubo contatore Geiger-Muller operante tra
850 e 1000 Volt. La sua risposta dipende dall’energia, con una
sovrastima di fattore circa 6 nell’intervallo 60÷100 keV normalizzando
137
rispetto alla risposta ad una sorgente di Cs, come è mostrato in figura
3.17.
87
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
Figura 3.17: Risposta del rivelatore Ludlum Model 44-9 normalizzata rispetto alla
risposta ad una sorgente di 137Cs.
Trattandosi di un contatore Geiger-Muller naturalmente non
consente di eseguire analisi spettroscopiche, non riuscendo a
discriminare diversi tipi di radiazioni in ingresso, spesso viene impiegato
come misuratore di contaminazione superficiale, rivelando la presenza di
sostanze radioattive su superfici accessibili.
Il contatore opera accoppiato ad un’appropriata unità di
alimentazione che, oltre che fornire una tensione di 900 V dc, effettua la
digitalizzazione dei segnali. L’insieme dei due dispositivi può
funzionare sia da scaler (per il semplice conteggio degli eventi) o da
ratemeter (per il conteggio degli impulsi al secondo) o da survey meter
(per la misura, dopo opportuna calibrazione, di rateo di dose) a seconda
dell’unità accoppiata.
Per misure di contaminazione superficiale i dati forniti in cps (count
−1
−2
per second) o in s dovranno poi essere convertiti in Bq cm . La sua
efficienza di rivelazione dipende dal radionuclide rivelato variando da 0
32
fino a poco più 30% (questo è il caso del P).
88
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
Figura 3.18: Rivelatore tipo Pan - Cake Ludlum Model 44-9 accoppiato ad un
Survey meter sempre della LUDLUM.
In generale i contatori Geiger-Muller per raggi beta devono poter
offrire un piccolissimo assorbimento agli elettroni e per tale motivo una
parte del tubo viene provvista di una finestra ricoperta da un materiale
(solitamente mica) di spessore molto sottile, di bassa densità e di
resistenza meccanica sufficiente a sopportare la differenza tra la
pressione interna e quella esterna.
Nel caso del LUDLUM 44-9 tale finestra ha uno spessore di
mg
1.7  0.3 2 e permette la rivelazione di beta di bassa energia nel range
cm
10keV  2MeV .
89
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
3.4.3 Monitori del livello di irradiazione esterna
Ai LNS è operante un sistema fisso di monitoraggio che misura le
dosi ambientali da radiazioni ionizzanti. Le stazioni funzionanti,
installate nelle rispettive aree, sono riportate in tabella 3.3 con la loro
numerazione.
1. Iniettore
2. Sala Tandem
3. Sala CS
4. Sala 60°/70°
5. Sala 40°
6. Sala 20°
7. Sala 0°
8. Sala Ciclope
9. Sala Medea
10. Sala Catana
11. Sala Magnex
12. Sala Chimera
13. Sala Controllo
acceleratori
14. Locali impianti
tecnologici
15. Sala alimentat. CS
16. Sala Radiofrequenza
17. Locali Excyt
18. Attivazione CS
19. Sala ECR
20. Scarico aria Excyt
21. Contaminazione aria
LabAlfa
Tabella 3.3: Elenco delle stazioni fisse di monitoraggio ambientale presso i LNS.
In ciascuna delle stazioni da 1 a 16 sono installati un monitor per
neutroni ed uno per radiazioni gamma, nelle stazioni 17 e 18 sono
installati solo monitor per gamma e nella stazione 19 sono installati
monitor per X e gamma. Le stazioni 20 e 21 misurano l’eventuale
presenza di contaminazione nell’aria dei relativi locali.
Il posizionamento delle stazioni è effettuato dal Servizio di
Radioprotezione ed è vietato a chiunque di coprirli, ingombrarli o
spostarli.
Le letture dei rivelatori sono visualizzate in sala Controllo e
registrate in un PC.
In alcune stazioni la condizione di buon funzionamento, conseguente
alla corretta misura del fondo naturale ed all’assenza di allarmi, è
segnalata da una luce verde.
90
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
Ogni stazione di monitoraggio è dotata di segnalatori di allarme
acustici e luminosi che si attivano quando uno dei rivelatori montati
sulla stazione misura una dose superiore a quella impostata nelle
rispettive soglie. Le soglie di allarme, e le relative segnalazioni, sono tre:
preallarme, I allarme e II allarme. I valori di soglia sono fissati per le
singole classi di esperimenti e per le singole aree dal personale del
Servizio di Radioprotezione, su direttive stabilite dall’EQ.
L’attivazione di un allarme non indica che il personale
eventualmente presente nella sala interessata sia stato esposto ad alti
valori di dose, ma solamente che il rivelatore sta misurando, in quel
momento, un valore superiore alla soglia stabilita dall’EQ al fine di
attivare le segnalazioni acustiche e luminose e cambiare gli stati
operativi del sistema di sicurezza. Le soglie sono sufficientemente basse
da garantire ai lavoratori che si trovassero ad operare in sala, tenuto
conto della classificazione della stessa, la certezza del rispetto dei limiti
di dose stabiliti dalla legge e dalle norme di sicurezza.
In figura 3.19 è mostrata una pianta dei Laboratori con la
disposizione delle stazioni. Sono mostrate le sale così come denominate
in tabella 3.3 ed in ciascuna di queste vi sono, a titolo di esempio, due
valori misurati di rateo di dose ambientale, evidenziati in verde per la
rivelazione dei gamma, in bianco per quella neutronica. Le misure sono
Sv
riportate in
.
h
91
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
Figura 3.19: Layout della disposizione dei monitor fissi presso le sale sperimentali
dei LNS. Sono evidenziate in verde le misure di rivelazione gamma, in bianco quelle
neutroniche.
92
CAPITOLO 3
3.4.4
HPGe
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
Misure di contaminazione: la spettroscopia gamma con
Per concludere questa carrellata (non in grado comunque di esaurire
l’argomento estremamente vasto e vario) sui vari dispositivi per le
misure di radiazione si vuole illustrare una tecnica per misure di
spettroscopia gamma.
La spettrometria gamma è un metodo di analisi che consente la
determinazione qualitativa e quantitativa di nuclidi radioattivi gamma emittenti in un materiale. Usata in tutti quei casi in cui vi è bisogno di
misure di contaminazione, consente di:
• Identificare i radionuclidi emettitori gamma presenti in un dato
campione (liquido, solido, biologico, inorganico);
• Determinare l’attività dovuta a ciascun radionuclide presente nel
campione.
Schematicamente un sistema per spettrometria gamma è composto da
un sistema di rivelazione, comprendente rivelatore e schermatura, un
circuito elettronico associato che elabora il segnale proveniente dal
rivelatore, un sistema di analisi degli impulsi ed un sistema di
registrazione, visualizzazione ed analisi dei dati raccolti. I rivelatori
utilizzati sono rivelatori a scintillazione tipicamente cristalli inorganici,
Ioduro di Sodio attivato al Tallio NaI(Tl), e semiconduttori al Germanio
iperpuro, HPGe. Questi ultimi sono molto usati a causa della loro elevata
risoluzione energetica per questo motivo meritano un discorso un po’ più
ampio per comprenderne appieno i principi di base e le grandi
potenzialità.
Dopo opportuna taratura il sistema spettrometrico fornisce il valore
dell’attività di ciascun radionuclide presente nel campione.
Il circuito di misura ha la funzione di trasformare il segnale generato
nel rivelatore da parte delle singole particelle in impulsi di tensione di
cui si misura il numero e l’ampiezza. L’ampiezza di ogni impulso è
correlata all’energia del fotone che lo ha generato tramite una taratura
del sistema di misura. La distribuzione del numero di impulsi in
funzione della loro ampiezza (comunemente chiamato spettro) è una
funzione svolta dall’analizzatore multicanale (MCA).
In sostanza l’MCA "classifica" gli impulsi provenienti
dall’amplificatore in predeterminati intervalli di energia in funzione
93
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
della loro ampiezza. Lo spettro delle ampiezze degli impulsi così
ottenuto può venire registrato per poter essere richiamato,visualizzato
sullo schermo di un computer ed analizzato tramite un software
opportuno.
Di fondamentale importanza per la corretta esecuzione delle analisi
sono le procedure di taratura a cui è necessario sottoporre i rivelatori al
germanio. Occorre in particolare eseguire:
1. Calibrazione in energia;
2. Calibrazione in efficienza;
3. Calcolo della FWHM (Full Width Half Maximum).
La calibrazione in energia è fondamentale, in quanto da essa dipende
la capacità del sistema spettrometrico di identificare correttamente i
radionuclidi eventualmente presenti nei campioni sottoposti a misura.
Consiste nella determinazione di una relazione (lineare) tra i canali di cui
dispone l’analizzatore multicanale (MCA) dello spettrometro e l’energia
dei fotoni incidenti sul rivelatore.
Per l’esecuzione delle procedure di taratura si fa uso di solito di
sorgenti multi picco, in modo tale da avere a disposizione più punti con i
quali determinare la retta di calibrazione ed il cui contenuto in
radioattività sia noto a priori (certificato da un istituto metrologico).
L’operazione di calibrazione in efficienza permette di eseguire anche
analisi quantitative, e quindi di risalire alla quantità di radioattività, in
termini di attività e/o di concentrazione, di ciascuno dei radionuclidi
identificati nel campione o nell’oggetto analizzato.
Si definiscono due tipi di efficienza:
• Efficienza assoluta di rivelazione (o di conteggio), la frazione di
eventi emessi dalla sorgente che si dirigono al rivelatore. È
funzione della geometria rivelatore-sorgente (angolo solido sotteso
dal rivelatore) e della probabilità di interazione della radiazione
nel volume sensibile;
• Efficienza intrinseca, il rapporto tra gli eventi incidenti nel
rivelatore e quelli effettivamente rivelati. È il valore che si trova
nelle specifiche dei rivelatori ed è funzione del tipo di radiazione,
della sua energia e del tipo di materiale di cui è composto il
rivelatore.
94
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
L’efficienza non ha un valore unico per tutte le energie, ma esiste una
curva di calibrazione in funzione dell’energia. É necessario disporre di
sorgenti di taratura il cui contenuto di radioattività sia accuratamente
certificato (incertezza tipica attorno all’1−1.5%) e determinare tale curva
per tutte le geometrie di misura impiegate.
Figura 3.20: Esempio di spettro relativo ad una sorgente per la calibrazione in
efficienza e curva di calibrazione.
La larghezza a metà altezza FWHM del full-energy peak esprime la
risoluzione energetica del rivelatore, ovvero la capacità che esso ha di
distinguere tra valori di energia prossimi tra loro. Se le due energie sono
troppo vicine rispetto alla risoluzione dello strumento, questo non è in
grado di separarle.
Presso i LNS vi è un rivelatore per spettroscopia gamma al
Germanio iper puro della ORTEC modello Trans SPEC DX 100. È di
tipo portatile, alimentato a batteria e per questo motivo può essere dotato
di carrello per facilitarne il trasporto. Al suo interno è alloggiato il
cristallo di Germanio di tipo p di 65 mm di diametro e 50 mm di
lunghezza, avente un’efficienza relativa maggiore del 40%. La sua
geometria cilindrica coassiale consente di ottenere un volume attivo
maggiore migliorandone l’efficienza. Questo tipo di tecnica di
95
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
rivelazione prevede il raffreddamento del cristallo per questo motivo lo
strumento è provvisto di criostato che raffredda il Germanio alla
temperatura di 100K.
Il dispositivo prevede anche che al suo interno possa essere
alloggiato anche un pozzetto per contenere sia il campione da analizzare
che il cristallo. Nel caso in cui il campione dovesse risultare troppo
grande per essere contenuto nel pozzetto si provvederà ad eseguire
l’irraggiare all’esterno del rivelatore.
Figura 3.21: Rivelatore ORTEC Trans SPEC DX 100 per misure di
contaminazione con spettroscopia gamma.
Tra i software più utilizzati vi è il Gamma Vision della ORTEC (in
uso anche presso i LNS) che permette, oltre all’acquisizione degli
spettri, l’analisi quantitativa dei radionuclidi eventualmente rivelati. È,
infatti, possibile creare e salvare al suo interno diverse librerie di
elementi radioattivi catalogati per famiglie, origine ed energia in modo
che esso sia in grado di identificarli, una volta selezionata accuratamente
la ROI (Region Of Interest) sullo spettro, a partire dall’energia rivelata.
96
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
Inoltre, fornisce il valore della quantità di radioattività del radionuclide
in esame presente nel campione analizzato e presenta vari tools utili, in
generale, ai fini di analisi quantitative di spettrometria gamma.
Eseguite le procedure di calibrazione in energia ed in efficienza, è
necessario acquisire uno spettro relativo al rumore di fondo ambientale
che dovrà essere sottratto allo spettro del campione da analizzare al fine
di eliminare il contributo dovuto alla radiazione normalmente presente
nell’ambiente del laboratorio, che non contribuisce utilmente all’analisi.
L’operazione di sottrazione degli spettri viene effettuata ancora dal
software tenendo conto, mediante un fattore correttivo, degli
eventualmente diversi tempi di acquisizione. Questi ultimi, infatti,
possono variare a seconda della concentrazione di attività nel campione
e dal livello di sensibilità che si vuole ottenere. In genere sono compresi
tra una e alcune ore, ma possono arrivare ad un giorno, specie se
l’attività presente del particolare radionuclide ricercato è particolarmente
bassa.
L’analisi degli spettri non è semplice: anche nel caso di fotoni di una
sola energia lo spettro si compone di un fondo continuo dovuto
all’effetto Compton e di un picco in cui tutta l’energia dei gamma è
assorbita nel cristallo (fotoelettrico, coppie). La sottrazione del fondo
Compton è effettuata automaticamente dal software di analisi secondo
un algoritmo che ne stima il contributo sotto il fotopicco, basandosi sul
valore del fondo Compton nei canali che si trovano a destra e a sinistra
della ROI scelta.
Un esempio di spettro gamma eseguito con questa strumentazione,
dopo aver eseguito le procedure di calibrazione e di sottrazione del
fondo è mostrata in figura 3.22. L’oggetto in esame è un collimatore in
ottone utilizzato nella protonterapia di CATANA. A termine del
trattamento del paziente il campione (ovviamente attivato) è stato
prelevato ed analizzato con lo spettrometro.
Sono stati identificati diversi isotopi del Rame, Zinco, Gallio e
Bismuto. Quest’ultimo è il più pesante avente numero di massa A=204.
97
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
Figura 3.22: Spettro gamma di uno dei collimatori utilizzati nella
protonterapia di CATANA.
3.5 Rischi da radiazione presso i LNS
3.5.1 Radiazione pronta e radiazione residua
Le principali sorgenti di radiazioni presenti presso i LNS sono
costituite dalle macchine radiogene, le più importanti delle quali sono gli
acceleratori di particelle, e dalle sorgenti radioattive.
Per quanto concerne gli acceleratori, i campi di radiazione presenti
attorno ad essi possono variare fortemente nel tempo e nello spazio in
relazione al tipo di macchina acceleratrice ed alle schermature messe in
opera. È possibile distinguere tra radiazione pronta e radiazione
residua.
La prima è quella prodotta direttamente dagli ioni accelerati al
momento del loro passaggio nella materia. Le interazioni producono una
radiazione che persiste fintanto che l’acceleratore è in funzione e
costituiscono il principale rischio radiologico causato dagli acceleratori.
98
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
La seconda invece consiste nella radioattività indotta generata
anch’essa dal passaggio del fascio nella materia, ma che persiste anche
dopo lo spegnimento delle macchine.
Una descrizione dettagliata del campo di radiazione pronta è
piuttosto complessa e richiederebbe la conoscenza dei vari meccanismi
di reazioni nucleari che entrano in gioco nel range di energia considerato
[13]. Tutto questo ovviamente va oltre gli scopi di questo lavoro,
pertanto ci limiteremo a sottolineare che la radiazione nelle sale dove
sono presenti gli acceleratori o le linee di fascio o i rivelatori viene
prodotta quando gli ioni accelerati interagiscono con i nuclei degli atomi
di qualsiasi materiale che circonda il fascio come collimatori fascio
schermi, magneti, cavi, criostati o il dump del fascio (perdite punto), ma
anche elementi degli acceleratori stessi (come i deflettori nel caso del CS
o il magnete di selezione posto all’uscita del Tandem). Il campo di
radiazione pertanto è una mistura di particelle cariche e neutre oltre che
di fotoni.
In realtà tutti i materiali presenti, solidi (fra i quali vi è plastica,
cemento, alluminio, acciaio, ferro, rame, ecc.), liquidi (come l’acqua di
raffreddamento), gassosi (per esempio l’aria) in prossimità del fascio
diventano radioattivi così come anche le sale sperimentali diventeranno
attivate [15].
In presenza di fasci accelerati vi è sempre una piccola perdita di ioni,
ma continua lungo la linea. Questi ioni perduti interagiscono con il
materiale che si trova in prossimità producendo particelle secondarie,
come neutroni, gamma, X, protoni ed altro.
Nel caso di energie elevate (al di sopra dei AGeV) alcune di queste
particelle secondarie possono avere energia sufficiente per interagire
nuovamente e causare la produzione di particelle terziarie e così via, si
parla in tal caso di cascata adronica.
I frammenti dei nuclei colpiti sono radioattivi e decadono su una
scala temporale molto ampia che va dalla frazione di secondo, ai molti
giorni se non addirittura anni. L’acceleratore continua così a produrre
radioattività, anche se il fascio non è più in circolazione.37
37
É anche importante notare che nel caso degli acceleratori dei LNS non sono
presenti schermature poste alla loro sommità e questo potrebbe implicare che un
contributo importante ai livelli di radiazione nelle zone circostanti sia attribuibile
alla diffusione verso il basso da parte dell’aria di radiazioni secondarie
inizialmente dirette verso l’alto, il cosiddetto effetto cielo (skyshine).
99
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
Il livello di attivazione dipende da molti fattori quali la quantità di
radiazione ricevuta, l’esatta composizione del materiale colpito, la
posizione di questo rispetto al fascio ed il tempo trascorso
dall’irradiazione.
Esistono diversi codici di simulazione che, considerando i diversi
meccanismi di reazione, permettono di stimare i diversi campi di
radiazione prodotta [4].
Di seguito sono riportati,a titolo di esempio, alcuni dei radionuclidi
più facilmente riscontrabili nelle strutture d’acciaio degli acceleratori
con il corrispondente periodo di dimezzamento:
7
11
18
22
Be (53.6 giorni); C (20.4 minuti); F (110 minuti); Na (2.6 anni);
42
48
51
54
K (12.5 ore); V (16 giorni); Cr (27.8 giorni); Mn (300 giorni);
55
56
57
60
Fe (2,94 anni); Co (77 giorni); Co (270 giorni); Co (5.27 anni).
Non appena cessato il funzionamento dell’acceleratore la radioattività
indotta diminuisce rapidamente a causa del decadimento dei nuclidi a
tempo di dimezzamento rapido, mentre successivamente il processo
diventa molto più lento [16]. Per questo motivo prima di qualunque
intervento è sempre buona norma attendere almeno il decadimento dei
prodotti di attivazione di breve vita media.
Per quanto concerne l’attivazione dell’aria questa comporta, in
generale, la produzione di gas radioattivi, quali
11
13
15
C (20.4 minuti); N (10 minuti); O (2.1 minuti).
Si tratta quindi di radionuclidi aventi tempi di dimezzamento
abbastanza brevi e che consentono, pertanto, un accesso alle sale
interessate con brevi tempi di attesa. All’irradiazione dell’aria può essere
associata anche la produzione di gas tossici, il pù importante dei quali è
l’ozono. La concentrazione di gas radioattivi e tossici in aria dipenda da
diversi fattoti quali l’intensità ed energia del fascio, il suo percorso, la
natura dei bersagli il volume degli ambienti, ala rapidità del ricambio
dell’aria, eccetera. Di norma questi problemi possono essere trascurati
nel caso di acceleratori di particelle cariche pesanti (protoni ed ioni
pesanti) di bassa energia.
100
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
Oltre agli acceleratori presso i LNS vengono usati anche altri tipi di
macchine radiogene (valvole di potenza, difrattometri, tubi a raggi X ad
esempio) intorno alle quali i rischi di esposizione sono prevalentemente
dovuti ai raggi X emessi. Naturalmente si ha l’emissione di radiazione X
ogniqualvolta si applichi un’alta tensione sottovuoto (come nel caso, ad
esempio, delle cavità a radiofrequenza).
In questa categoria rientrano anche i raggi X di frenamento emessi
durante la produzione di plasma e la messa in funzione delle sorgenti
ECR. I raggi X prodotti in questi casi hanno picchi di energia che varia
da alcuni keV fino a 50−60 keV con code che raggiungono 600−700 keV.
I valori di energia dipendono dalla strutture magnetiche e dalla potenza
impiegate dalle macchine. In quest’ottica i raggi X più energetici sono
certamente quelli prodotti dalla sorgente superconduttrice SERSE.
Altra causa di esposizione a radiazioni ionizzanti è ovviamente
l’utilizzo di sorgenti radioattive. Queste sono usate principalmente nella
calibrazione dei rivelatori e degli strumenti di misura. Ve ne sono di vari
tipi ed i relativi problemi di radioprotezione sono diversi a seconda delle
sorgenti impiegate. Sono sempre custodite in appositi contenitori di
sicurezza, manipolate con pinzette appropriate (mai a mani nude) e la
loro presenza deve essere sempre segnalata con gli appositi cartelli di
irradiazione.
3.5.2 Schermature
È noto che i fattori principali sui quali si può agire per la protezione
dall’irradiazione esterna sono la distanza dalla sorgente, il tempo di
esposizione e la presenza di schermature interposte.
Per schermature si intendono dispositivi che vengono difficilmente
attraversati dalle radiazioni.
Da quanto detto emerge chiaro come sia di fondamentale importanza
per una struttura come quella dei LNS la presenza e la composizione
delle schermature fissi o mobili che siano. Queste sono state progettate
in stretta collaborazione dell’EQ cercando ove possibile, di utilizzare
nella costruzione delle linee di fascio materiali più puri possibili e con
101
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
piccola probabilità di dar luogo a produzione di radioisotopi con elevati
tempi di dimezzamento.38
I neutroni costituiscono il principale rischio da radiazione pronta
all’esterno di schermature sottili [13].39
La schermatura per neutroni deve soddisfare due criteri:
• Interporre una massa sufficiente tra la sorgente ed il punto di
interesse;
• Attenuare efficacemente i neutroni di tutte le energie.
Il primo criterio viene soddisfatto facilmente utilizzando materiali
densi con elevato numero di massa, mentre si adempie al secondo con
l’impiego di idrogeno che, come visto al paragrafo 3.1.3, tramite
scattering elastico, garantisce un’efficace attenuazione dei neutroni.
Questi due criteri insieme alla necessità di avere delle schermature
quanto più stabili possibili, oltre che dai costi economicamente
contenuti, trovano il migliore accordo nell’utilizzo del cemento come
principale materiale da utilizzare nelle schermature delle sale
sperimentali. Questo avviene a causa dell’elevata concentrazione di
idrogeno contenuto nell’acqua necessaria per la formazione della
sostanza.40
Solitamente in tutte quelle sale poste in prossimità di uffici o aule,
vale a dire, vicino a luoghi di stazionamento di personale di servizio, le
schermature sono costituite da un’unica colata di cemento al fine di
impedire anche una minima fuga di radiazione. In tutti gli altri casi,
invece, si utilizzano dei blocchi di cemento sovrapposti in modo da
formare la parete schermante.
3.5.3 Sistemi di sicurezza, controllo ed allarmi
Presso i LNS, in tutte le aree in cui può essere presente il fascio di
ioni accelerato o in altre che comunque possono essere classificate con
38
Occorre ricordare che esistono inoltre una grande varietà di schermature di varie
forme e dimensioni utili al personale che lavora con le radiazioni. Esempi di
queste sono i grembiuli ed i guanti in materiale piombifero.
39
Il problema di attivazione neutronica secondaria sorgono nel caso di esperimenti
con elevati rate di fascio oppure nel caso di acquisizioni estremamente lunghe.
40
Nei casi in cui è richiesta una densità più elevata, spesso vengono poste delle
schermature in alluminio in prossimità al punto sorgente.
102
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
rischio da radiazioni ionizzanti sono operanti dei sistemi di sicurezza e
controllo accessi per la radioprotezione che provvedono a:
• Predisporre le sale, tramite l’esecuzione di un giro ronda, all’invio
del fascio;
• Effettuare lo stop degli acceleratori, del fascio o di altri dispositivi
radiogeni, se le sicurezze nelle sale non sono attuate o in caso di
apertura accidentale di una porta o per un’ emergenza;
• Controllare permanentemente tutti gli ingressi in ciascuna area e
consentire l’accesso solo al personale autorizzato, permettendo
una ricostruzione storica di tutte le operazioni o transiti del
personale nelle zone controllate;
• Effettuare le segnalazioni acustiche e luminose.
I componenti di campo principali sono i fine corsa sulle porte, le
elettro-serrature, i lettori di scheda per l’accesso del personale alle sale, i
segnalatori acustici e luminosi, i pulsanti di ronda e quelli di emergenza,
gli elementi che bloccano il fascio, eccetera.
La verifiche periodiche e la manutenzione dei sistemi sono affidate
all’Esperto Qualificato ed al Servizio di Radioprotezione.
Prima di inserire uno stato di controllo o chiuso è sempre necessario
effettuare un giro di ronda al fine di verificare l’assenza di persone.
L’operatore incaricato effettua il giro ronda ed ispeziona visivamente
tutti i locali della sala interessata, percorrendo l’area e premendo degli
appositi pulsanti nella giusta sequenza e nel tempo prestabilito. Durante
il giro le porte sono bloccate per impedire ulteriori accessi, solo la porta
principale può essere aperta nella fase iniziale e finale per consentire il
transito. Se nel corso della ronda l’operatore trova un altro lavoratore
all’interno della sala egli deve accompagnarlo fuori ed eseguire la ronda
partendo nuovamente dal primo pulsante. L’apertura di una porta fuori
sequenza genera un allarme ed obbliga a rieseguire la ronda.
A ronda conclusa correttamente il sistema inserisce lo stato richiesto
e genera i segnali di consenso agli acceleratori o agli elementi di linea.
Gli allarmi generati dal sistema avvengono solo negli stati di
controllo e di chiuso o durante le ronde all’interno delle sale
sperimentali, essi possono essere di tre tipi:
103
CAPITOLO 3
ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI
• Forzatura, che si verifica quando viene aperta manualmente una
porta sprovvista di lettori di schede o viene aperta una porta
provvista di lettori senza aver presentato una scheda abilitata.
Questo allarme può avere luogo anche quando viene aperta
manualmente una porta fuori sequenza durante l’esecuzione di una
ronda;
• Timeout, che si verifica quando viene tenuta aperta troppo a
lungo una porta che è stata aperta dopo la presentazione di una
scheda abilitata;
• Pressione emergenza, che si verifica quando è premuto un
pulsante di emergenza nello stato di chiuso.
Tutti gli allarmi comportano sempre il blocco del fascio prima
dell’ingresso nella sala interessata dall’allarme, inoltre vengono accese
le sirene ed i lampeggiatori rossi in sala e la segnalazione viene ripetuta
in sala controllo. Lo stato di allarme rimane attivo fino a quando
l’operatore non interviene. Lo spegnimento delle sirene può essere
effettuato immediatamente da consolle, con una operazione di "reset",
solo se la causa che ha prodotto l’allarme è stata rimossa (porta richiusa
o pulsante di emergenza ripristinato), mentre la cancellazione dello stato
di allarme avviene solo dopo aver rieseguito la ronda nell’area
interessata. Solo la cancellazione dell’allarme ed il reinserimento dello
stato di chiuso dopo la nuova ronda abilitano nuovamente l’invio del
fascio.
104
CAPITOLO 4
CONCLUSIONI
4. CONCLUSIONI
Questo project work ha preso spunto dalla personale esperienza di
stage svolta dalla sottoscritta presso i Laboratori Nazionali del Sud
dell’INFN di Catania.
Scopo dello stage era di prendere visione dei meccanismi di
produzione ed accelerazione di fasci di ioni e comprendere quale impatto
possano avere questi sulla radioprotezione dei lavoratori coinvolti.
Dalla complessità di tutti i processi in gioco e delle macchine
presenti, dal numero elevato di elementi che compongono le diverse
linee di trasporto, dalla varietà di radiazioni ionizzanti producibili e delle
loro energie e dalle molteplici applicazioni che queste hanno nelle varie
attività di ricerca, ci si rende conto che l’organizzazione ed il
mantenimento dell’efficienza del Servizio di Radioprotezione è
un’attività estremamente articolata, non banale e che affronta molteplici
aspetti. Questi vanno dalla dosimetria personale a quella ambientale, alla
progettazione e realizzazione delle diverse sale e sperimentali,
implicando la realizzazione delle appropriate schermature, la messa a
punto delle diverse procedure di controllo e degli allarmi.
Naturalmente questo project work non riesce ad esaurire le varie
problematiche di ambito radioprotezionistico che un laboratorio di
ricerca di fisica nucleare di livello internazionale come i LNS deve
affrontare, ma vuole semplicemente dare conoscenza dei rischi reali,
dovuti all’esposizione a radiazioni ionizzanti, e di alcuni dei mezzi
tecnologici e normativi che chi si occupa della radioprotezione dei
lavoratori ha a disposizione nello svolgere il suo compito.
105
APPENDICE A
ALTRE GRANDEZZE DOSIMETRICHE E RADIOPROTEZIONISTICHE
APPENDICE A
ALTRE GRANDEZZE
DOSIMETRICHE E RADIOPROTEZIONISTICHE
Grandezze derivate dalla fluenza di particelle  :
• Intensità o rateo di fluenza di particelle  :
=
d d 2 N
=
,
dt dtda
(A.1)
dove dt rappresenta l’intervallo di tempo in cui si effettua la misura;
l’unità di misura è m2 s 1 (S.I.) o cm 2 s 1 (unità pratiche).
• Radianza di particelle p :
d
d 3N
=
,
(A.2)
d ddtda
dove d rappresenta l’angolo solido considerato; l’unità di misura è
ancora m2 s 1 (S.I.) o cm 2 s 1 (unità pratiche).
p=
In perfetta analogia si definiscono:
• Intensità o rateo di fluenza di energia  :
=
d d 2 R
=
,
dt dtda
(A.3)
• Radianza di energia r :
r=
d
d 3R
=
,
d ddtda
(A.4)
con ovvio significato dei simboli.
Strettamente correlata all’esposizione, si definisce il Rateo di
esposizione o Intensità di esposizione X come:
107
APPENDICE A
ALTRE GRANDEZZE DOSIMETRICHE E RADIOPROTEZIONISTICHE
dX
X =
,
dt
(A.5)
dove dt è l’intervallo di tempo considerato, l’unità di misura è A  kg 1
nel S.I., o R  s 1 nelle unità pratiche.
In maniera del tutto analoga si definiscono
• Rateo di dose o intensità di dose assorbita X :
dD
D =
,
dt
dove dt è l’intervallo di tempo considerato;
• Rateo o intensità di kerma K :
dK
K =
,
dt
entrambe misurate in Gy  s 1 nel SI.
108
(A.6)
(A.7)
BIBLIOGRAFIA
BIBLIOGRAFIA
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