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prof.ssa M. Di Sisto
Organismi Politici Internazionali e Globalizzazione e sue alternative Monica Di Sisto, vicepresidente [Fairwatch] Coordinate… 1. “La Chiesa stima degna di lode e di considerazione l’opera di coloro che, per servire gli uomini, si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità.” (C. Vat. II, Gaudium et spes, n. 75). 2. “La politica è una maniera esigente di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri” (Paolo VI, Octogesima adveniens, 1971, n. 46). E visioni… Scriveva Alexis de Tocqueville nel 1847, riflettendo sulla democrazia in America: «il grande campo di battaglia sarà la proprietà…». Ridare un senso alle parole In quest’ultimo periodo, ma soprattutto dopo il Summit sullo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite Rio+20, una delle più potenti campagne di green marketing degli ultimi anni, tutti ci stanno raccontando di come i mercati ed il privato green salveranno il pianeta. E’ il mantra del momento Ambiente e clima come asset l’ambiente e il clima, prima ancora di essere ambiti da tutelare per le generazioni che verranno, sono diventati veri e propri asset su cui investire. I mercanti hanno bisogno di estrarre valore economico dall’acqua, il clima, la terra e l’energia. In un modo a volte talmente insostenibile, che c’è bisogno di ingenti risorse per costruire campagne di marketing ad hoc, per convincere le persone che la scelta green è oramai realtà. Il sogno delle Nazioni Unite Il 10 dicembre 1948, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato e proclamato la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Tutti gli esseri umani nascono con uguali e inalienabili diritti e libertà fondamentali. Le Nazioni Unite si impegnano a sostenere, promuovere e proteggere i diritti umani di ciascun individuo. Questo impegno deriva dallo Statuto delle Nazioni Unite, che riafferma la fede dei popoli del mondo nei diritti umani fondamentali e nella dignità e nel valore della persona umana. La mano invisibile… (1750 e oggi) Sono 842 milioni le persone - vale a dire una su otto - che nel stanno ancora soffrendo di malnutrizione cronica, denuncia l’ultimo rapporto FAO sulla fame nel mondo (2013) Le Nazioni Unite nel 2005 identificano vincitori e perdenti nella scena globale L’UNEP (UN Environment program) in un rapporto con alcuni casi-studio su prodotti agricoli “sensibili” “è difficile che faccia fiorire nuovi mercati, in particolare agricoli, per le nazioni più povere senza che questo avvenga a spese dell’ambiente naturale”. L’UNEP denuncia che i principali “vincitori” della liberalizzazione dei mercati sono gli importatori, i produttori medi e di grande scala, mentre i “perdenti” sono per lo più i produttori locali e I piccoli agricoltori, il cui reddito è sceso in picchiata. L’UNEP chiarisce anche che i consumatori possono risultare perdenti anch’essi in molti casi, perché la riduzione dei prezzi ai produttori progressiva e drastica non ha alcun riflesso sui costi finali di alcuni prodotti, oppure è la qualità a risentirne. Rio+20: cambiare o perire? L’ultimo vertice delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo, svoltosi a Rio de Janeiro nel giugno del 2012, a vent’anni esatti dal primo Earth Summit, ha consolidato questo scenario: il privato, e il mercato, saranno le chiavi di volta della «rivoluzione verde» prossima ventura. Occorre rimettere in gioco un «quinto elemento»: la società civile, la fiducia in un mondo diverso, la costruzione di un nuovo umanesimo globale, che sia capace di opporsi alla nuova corsa all’oro e di dimostrare come alla green economy dei privilegiati possano opporsi tante piccole buone economie da mettere in rete: economia ecologica e solidale, finanza etica, esercizio della sobrietà e della sovranità alimentare e degli altri diritti in spazi di dono, di scambio e di mercato necessariamente locali e solidali, se vogliamo che siano vitali, organici e a misura umana. La CoP 19 di Varsavia Nel Novembre 2013 nel corso della Cop 19 conferenza sul clima dell’Onu organizzata per affrontare il tema dei cambiamenti climatici a Varsavia, i rappresentanti di 190 nazioni dovevano votare un documento programmatico per contrastare in maniera comune i cambiamenti climatici Proprio nel giorno dell’apertura, lunedi 11 Novembre 2013, i media di tutto il mondo hanno riportato le immagini del tifone Haiyan, e il delegato delle Filippine Naderev ha lanciato uno sciopero della fame per sensibilizzare gli altri rappresentanti ad assumersi delle responsabilità concrete. Ma in quegli stessi giorni giorni a Varsavia si è svolto un summit internazionale “Carbone e cambiamenti climatici” , organizzato dalla lobby del carbone World Coal Association e sostenuto dal ministero polacco dell’energia Garrett Hardin: La tragedia dei “commons” Era il 1968 quando questo tranquillo professore di biologia presso l’Università della California, a Santa Barbara, si concentra su: •La distruzione dell’ambiente •La crescita demografica •Le risorse naturali limitate •La privatizzazione della terra Si parte da un’evidenza… Il risultato del fallimento del modello è la costatazione dell’ipersfruttamento e del degrado in cui versano i beni comuni, distrutti al punto da non essere più in grado di nutrire il bestiame nei villaggi. L’incapacità della proprietà privata di preservare i beni comuni genera la tragedia La crisi non è meteorologica… sono passati oltre 10 anni da Seattle Lee Kyung Hae Giù le mani! “We can avoid tragedy only by altering our values.” Hardin, 1968 Darwin ha vinto Il sistema capitalistico si è sostituito, come telaio, alla società stessa, discriminandola tra chi ha in mano i mezzi di produzione e le risorse per poter investire moltiplicando il proprio capitale, e chi fa da ingranaggio di un sistema industriale destinato a crescere indefinitamente, come i profitti e i privilegi delle élite che lo controllano. Non vince il migliore ma il più adatto, come insegna Darwin, e se l’ambiente e il contesto possono essere modificati a piacimento da chi ha le risorse economiche, cognitive, militari per farlo, diventa abbastanza semplice capire chi riuscirà a imporsi e chi rischierà di soccombere. L’impronta dell’uomo pesa Il clima sta cambiando in modo sempre più veloce. La comunità scientifica concorda: è l’impronta dell’uomo a pesare sul clima, così come sulla perdita di biodiversità, sull’inquinamento, sulla scarsità di acqua, d’aria, di cibo, insomma di vita sul pianeta. I Signori dell’aria, della terra, dell’acqua e del fuoco si danno alla green economy in tutte le sue articolazioni: da un iperconsumismo tinto di sostenibilità a una proclamata quanto inconsistente responsabilità sociale ed ambientale, ad agenzie di rating con cui si autoattribuiscono patenti di sostenibilità. Il neocapitalismo verde macina buone pratiche, linguaggi, ricerche, saperi tradizionali, la vita stessa, incurante della condanna certa per le generazioni che verranno. Una bella favola: l’International Trade Organization John Maynard Keynes e Harry Dexter White alla Conferenza di Bretton Woods La Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale sono stati istituiti in un incontro tra i 43 “vincitori” a Bretton Woods, ridente località balneare del New Hampshire (USA) nel 1944. A fianco ad essi venne prevista la creazione di un’International Trade Organisation (ITO). Fu ratificata nel 1948 durante la Conferenza delle Nazioni Unite di L’Avana. Il commercio secondo l’Ito: un sistema di REGOLE Il Congresso USA ne esaminò più volte il documento istitutivo, ma non lo approvò mai Arriva il Gatt 6 Dicembre 1950: il presidente Truman annuncia che non avrebbe più presentato il documento istitutivo dell’ITO al Congresso. Al suo posto venne elaborato il General Agreement on Trade and Tariffs (GATT) che fino al 1995 ha ridotto del 40% le barriere non commerciali e introducendo misure Pochi sanno che il GATT ancora esiste Prima che il GATT compisse 40 anni i suoi membri decidero che il mondo era cambiato. L’ottavo round di negoziati, l’Uruguay Round, lanciato nel 1986 a Punta del Este, in Uruguay, raccolse il mandato più ambizioso di tutti i tempi: far entrare nello spazio del mercato globale nuovi “prodotti” (i servizi e la proprietà intellettuale) e liberalizzare di più i settori del tessile e dell’agricoltura. E poi la World Trade Organisation - Cade il muro di Berlino (1989) Il negoziato doveva chiudersi a fine 1990 ma Stati Uniti e Europa non si misero d’accordo. Nel 1991 scoppia la Guerra del Golfo Nel 1992 con il "the Blair House accord“ firmato nel 1994, in Marrakesh (Marocco) i think thanks di Clinton spingono alla creazione della World Trade Organization, che diventa operativa il 1 gennaio del 1995 Il sistema in vigore ha sei aree: l’accordo ombrello istitutivo della WTO L’accordo su beni e investimenti (GATT 1994 e TRIMS), L’accordo sui servizi (GATS), Quello sulla proprietà intellettuale and intellectual property (TRIPS); Il dispute settlement body (DSB); L’organismo di revisione delle politiche commerciali dei Governi (TPRM). Trade not aid: davvero? Trade: il commercio globale cresce nel 2011 del 5.0%, nel 2010 era il 13.8%, ed è cresciuto del 2,5% nel 2012. Le esportazioni delle economie sviluppate sono cresciute del 4,7% e quelle in via di sviluppo del 5,4%. In Africa le importazioni sono cresciute del 5.0% Si prevede per il mondo in via di sviluppo nel suo complesso che le importazioni crescano del 6.2% Gli aiuti, bontà nostra, calano: l’Ocse/Dac registra un crollo globale del 3,3% negli aiuti ai Paesi piu' poveri da parte dei Paesi donatori. Taglio che per i Paesi dell'area euro arriva al 6,4% rispetto al 2010. LDCs: Paesi meno sviluppati Nel 2013, il cuore del futuro, le popolazioni di ben 48 Paesi della Terra, 33 in Africa, 14 in Asia e nel Pacifico e uno in America Latina e Caraibi, Haiti, che rappresentano ben il 13% della popolazione mondiale, ancora sopravvivono con meno di 1 dollaro al giorno. I numeri della recessione Il FMI sostiene che il mondo è cresciuto appena del 3,6% nel 2013, e che il rallentamento in tutte le maggiori economie minacci sia la ripresa negli Usa, sia in area euro. Per il 2014 dovremmo rimanere intorno al 3.7% e nelle più rosee previsioni arrivare a un +3.9% nel 2015 La Cina, che cresceva di un 9,3 nel 2011 andrà al 7,7 nel 2012 è andata al 7,5% nel 2013 e si prevede scenderà al 7,5% nel 2014 Aumenta la disoccupazione anche in Cina. Secondo dati della banca Hsbc, il sub indice dell’occupazione e’ sceso al 47,7% a luglio 2013 rispetto al 48,8% di giugno, il suo peggior livello del marzo 2009. L’indice e’ in continua discesa da cinque mesi. E' una de-crescita con meno lavoro… Mancano all’appello 200 milioni di posti di lavoro, ivi compresi i 30 milioni di nuovi disoccupati dall’inizio della crisi. 74,8 milioni sono giovani. Il tasso mondiale di disoccupazione non cambierà da qui al 2016, rimanendo al 6% della forza lavoro mondiale. Quasi un miliardo di lavoratori continuano a vivere, insieme alle loro famiglie, sotto la soglia di povertà dei 2 dollari al giorno, soprattutto nei paesi in via di sviluppo e l’80% dei lavoratori nell’Africa sub sahariana e dell’Asia meridionale sono “working poor”. Nella stessa area l’85% delle lavoratrici sono precarie. Dal 1997 al 2007 mentre i fatturati globali crescevano del 4,2% l’anno, l’occupazione aumentava appena dell’1,6%. La dimensione europea… il commissario all’industria nonché vicepresidente della Commissione Antonio Tajani intervistato dice: "Very often I am told that the European Commission is too far removed from the daily reality of small businesses. We want to address this gap. Today, we are giving businesses the opportunity to identify those areas and pieces of legislation where we can make a difference. I am confident that our enterprises will seize this opportunity, and I am appealing to them to make their views known. Please do not hesitate to let us know where we could eliminate excessive burden." Le aree-fardello… Services: provision of services across borders, recognition of professional qualifications; Customs: customs controls and formalities, classification of goods, custom tariffs; Employment and Social Affairs: co-ordination and transferability of social rights, health & safety at work, organisation of working time, social security schemes, free movement of workers, posting of workers; Energy: energy supply, energy efficiency, renewable energy; Product safety: use of standards, demonstrating conformity in the absence of a harmonised standard, conformity assessment procedures, conformity assessment involving a conformity assessment body, EU declaration of conformity, CE marking rules, information/labelling/traceability obligations, controls / Inspections; Environment: tackling climate change, air quality/pollutants, biotechnology, nature and biodiversity, chemicals, industrial environmental audit, eco-labelling, noise, waste, water; Business environment: public procurement, company law, intellectual and industrial property, data protection; Taxation: VAT, excise duties, other indirect taxes, Direct taxes; Consumer protection: safe shopping, electronic commerce, legal redress and settlement of disputes, food safety, animal and plant health; Transport: transport of goods/ passengers, road transport, maritime / inland waterway transport, combined/ other transport modes Europa: un peccato originale La stessa Commissione Delors (1985-1994) ha collaborato a stretto contatto con la Tavola rotonda europea degli industriali (ERT) per la creazione di un mercato unico, la moneta unica, e varie altre iniziative politiche di alto profilo. Per Delors, un federalista convinto, l'alleanza con l'ERT è stato un modo per ottenere un’accelerazione nell'unificazione europea, dopo molti anni di stagnazione. Le grandi multinazionali che appartenevano alla ERT avevano il peso politico per convincere gli Stati membri. Egli può aver fatto questo nella convinzione che l'integrazione politica su vasta scala e di un’ 'Europa sociale' avrebbe seguito automaticamente. L'alleanza con le grandi imprese ha provocato un progetto di UE neoliberista, che ha scatenato le forze di mercato che hanno impedito non solo l'emergere di un'Europa sociale, ma che ora minacciano di smantellare lo stato sociale rimasto e le altre conquiste progressiste in una misura mai vista prima. TTIP: liberalizzazioni 2.0 Il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP) è stato definito come il più grande accordo commerciale del mondo. È un accordo commerciale tra l’Europa e gli Stati Uniti progettato per rimuovere le barriere commerciali in una vasta gamma di settori economici per facilitare l'acquisto e la vendita di beni e servizi tra Europa e Stati Uniti; I veri guadagni Secondo le rosee previsioni diffuse dal commissario del commercio Karel De Gucht infatti saranno creati 2 milioni di posti di lavoro in Europa, 119 miliardi di euro l’anno di Pil per l’Europa e 130 miliardi di dollari per gli Stati Uniti, cioè 545 euro in più l’anno per ogni famiglia di quattro persone nell’Unione, e 901 dollari negli Stati Uniti. tutto questo, tuttavia, si otterrebbe solo entro il 2027, nella migliore delle ipotesi, ed al prezzo di una totale deregulation. Le famiglie europee potrebbero, ad esempio, risparmiare acquistando più pollo a buon mercato esportato dagli Usa, ma non sappiamo quanti dei loro membri perderebbero il lavoro per la chiusura degli allevamenti europei di migliore qualità. Quello pollo poi, se di qualità peggiore rispetto a quanto previsto attualmente dai regolamenti europei, potrebbe farli ammalare e pesare di più sui servizi sanitari pubblici. Le sue caratteristiche I testi negoziali sono segreti La Commissione europea negozia senza condividere i testi con il Parlamento I Parlamenti nazionali sono coinvolti nella semplice ratifica La Commissione dialoga con i lobbisti, non con i cittadini Non solo dazi, ma diritti Dalle poche informazioni reperibili sull’accordo si evince che esso interverrà in favore di una riduzione delle barriere tariffarie (tasse doganali), ad oggi già basse tra i due continenti (media livello del 4 %). La maggior parte dei guadagni derivanti dal TTIP scaturiranno dalla riduzione delle cosiddette barriere non tariffarie l’insieme delle regole e degli standard che vengono imposti sui prodotti in termini di salute, condizioni di lavoro ecc. che, anche grazie alle grandi battaglie contro la carne agli ormoni, il pollo lavato col cloro, gli ftalati nei giocattoli, i residui di pesticidi nel cibo, gli Ogm e così via, tengono lontani dal nostro mercato prodotti non sicuri, tossici Le perdite Per quanto riguarda il nostro Paese, il ministero per lo Sviluppo economico ha commissionato a Prometeia spa una prima valutazione d’impatto mirata all’Italia I primi benefici delle liberalizzazioni si manifesterebbero non prima di 3 anni dall’entrata in vigore dell’accordo nella misura di un modesto 0,5% di Pil in uno scenario ottimistico. L’accordo rischia di favorire soltanto un numero ristretto di soggetti, ovvero quelle imprese italiane che esportano, molto spesso esternalizzando parti dell’impresa fuori dal territorio italiano. La fabbrica globale La trappola del “trade in task” Ci sono due grandi domande aperte nel commercio globale oggi. La prima è sul “dove si accumula il valore aggiunto”, e l’altra, che ci riguarda di più oggi è “chi produce che cosa per chi”. Sono al centro di una profonda revisione in corso dei modelli e della contabilità del commercio internazionale. Con la frammentazione della produzione, la parte di valore aggiunto dai fattori di produzione dei Paesi di origine dei componenti è estremamente ridotta. Il commercio dei beni intermedi La percentuale di input importati sul totale di input usati per produrre un’unità nell’area Ocse è cresciuta tra il 1995 e il 2005 dal 24 al 32%. Circa il 60% del commercio totale di beni (fatta eccezione per le materie prime) è commercio di beni intermedi. Dato che sale al 70% per i servizi. Circa il 20% di tutte le merci esportate dai Paesi in via di sviluppo fa capo alle Export processing zones I “vivai” delle funzioni Gli ambienti più adatti per questo tipo di produzione sono Export Processing Zones, (World Bank 2008) che sarebbero oltre 3mila in 135 Paesi, darebbero lavoro ad oltre 68 milioni di persone, in gran parte migranti, per oltre 500 miliardi di dollari di produzione. La sola Cina mette al lavoro nella EPZ 40 milioni di addetti, mentre nel resto del pianeta le presenze sono raddoppiate tra il 2002 e il 2006 passando da 13 a 26 millioni di addetti Le EPZs impiegano circa 1/3 della forza lavoro globale Il valore aggiunto dove va? Sfatiamo un mito: anche la Cina si è fatta fregare dalla fabbrica globale, nonostante la sua capacità di programmazione del mercato interno. Circa 2/3 del commercio di prodotti industriali realizzati nelle EPZ è saldamente nelle mani di imprese di investitori stranieri. E’ sotto questa spinta che il Paese è diventato l’esportatore leader a partire dal 2009 e patisce la crisi degli ordinativi. La differenza, poi, tra il valore delle esportazioni manifatturiere e industriali e il costo delle importazioni degli input intermedi riduce il valore aggiunto al 30-35% dei prodotti esportati. Chi controlla, chi decide Al centro le funzioni: e le persone? Il lavoro è assolutamente sparito dai diagrammi. Non è nemmeno considerato un fattore di produzione. Banalmente non c’è perché è una variabile dipendente dai task. Con il lavoro, sparisce il “chi” lavoratore. Il soggetto è, a seconda delle prospettive, il prodotto, il supplier, l’investitore/azienda. La crisi aumenta le possibilità di cambiamento? “C” factors per una nuova economia Comunità Cooperazione Conoscenza Comunicazione permettono di generare entrate, di intensificare i rapporti sociali e, soprattutto, di rispondere ad obbiettivi che sono al contempo economici, sociali e culturali C’è rete e rete… I termini "rete" e "network" sono diventati centrali sia nel mondo accademico che nel senso comune della nostra società e vengono sempre più usati in campi anche molto diversi tra loro. Sentiamo sempre più parlare di società in rete, rete delle comunicazioni, rete ferroviaria e stradale, reti neurali, di network informatici, ecc… Pensiamoci su… L’individuo biologico più le sue estensioni ed interconnessioni (…) Non sono l’uomo vitruviano, racchiuso in un singolo cerchio perfetto, che guarda il mondo dalle coordinate della mia personale prospettiva (…). Io costruisco e sono costruito, in un processo mutuamente ricorsivo, che coinvolge continuamente i miei confini fluidi e permeabili e i miei network che si diramano all’infinito (Mitchell 2003: 39) Dove siamo? «Ce lo eravamo immaginato davvero come un mercato diverso quello equosolidale. Uno spazio a misura dei piccoli, che fosse efficace, ecologicamente sostenibile, e costruisse una relazione più diretta tra produttori e consumatori per cambiare davvero le regole del gioco. Non è successo, ed è chiaro che è nostra responsabilità far sì che qualcosa si modifichi, e il più presto possibile”. Franz van der Hoff L’economia solidale, per noi Il processo verso la realizzazione della Rete Italiana di Economia Solidale (RES) è stato inizialmente promosso dalla Rete di Lilliput (2001) e si è sviluppato successivamente con il sostegno delle Botteghe del Mondo, della Rete dei Gruppi di Acquisto Solidali, delle organizzazioni della finanza etica e di microcredito, del turismo responsabile e reti di cooperative sociali. Tale progetto è aperto a tutte le realtà che già operano, che si sentono parte, o che comunque intendono agire ispirandosi ai valori e ai princìpi dell'economia solidale. SOGNO GLOCALE Distretto di Economia Solidale (DES): definizione DES come attivazione di relazioni (rete) e di flussi economici di prodotti e servizi all’interno della rete (Saroldi) Tre principi e un metodo Valorizzazione della dimensione locale I distretti intendono valorizzare le caratteristiche peculiari dei luoghi (conoscenze, saperi tradizionali, peculiarità ambientali, ricchezze sociali e relazionali). Tali peculiarità sono viste come ricchezze (stock) da accrescere e valorizzare e non come risorse (flussi) da sfruttare a fini di profitto, nella convinzione che, nel lungo periodo, tale strategia si mostrerà conveniente anche sotto il profilo economico. Economia di giustizia (sostenibilità sociale) I soggetti appartenenti ai DES si impegnano a mantenere e a favorire condizioni di equità nella distribuzione dei proventi delle attività economiche, sia tra i membri dell'organizzazione produttiva, sia fra le diverse aree del sistema economico (tanto al Nord quanto al Sud del Mondo). Tre principi e un metodo/2 • Sostenibilità ecologica I soggetti aderenti ai DES si impegnano a svolgere le propria attività economica secondo modalità tali da consentire una riduzione dell'impronta ecologica del distretto e comunque tali da non compromettere, anche nel lungo periodo, l'organizzazione vitale (resilienza) degli ecosistemi. Si ritiene strategico, a tale fine, favorire la chiusura locale dei cicli bioeconomici. • La realizzazione pratica dei tre principi fondamentali enunciati viene perseguita attraverso il metodo della partecipazione attiva dei soggetti, nell'ambito dei distretti, alla definizione delle modalità concrete di gestione dei processi economici propri del distretto stesso. Tale modalità partecipativa presuppone da parte dei soggetti la disponibilità a confrontarsi e a condividere con altri idee e proposte su progetti definiti di volta in volta dai diversi soggetti, comunque nel rispetto di quei "criteri di appartenenza" che la RES si riserva di definire in seguito, in armonia ai principi generali della Carta. Si può fare! A partire dalle nostre scelte quotidiane Dalla rivitalizzazione degli spazi agricoli e industriali Dall’autorganizzazione ma anche da istituzioni in ascolto Da veri e propri laboratori locali solidali, per riattivare partecipazione e responsabilità Il «quinto elemento» da solo non basterà A partire dai movimenti sociali come “quinto elemento” a tutela dei quattro elementi naturali a rischio mercificazione, pensare che possano essere i mercati, ed il privato, anche se Green, a rimettere a posto le cose è pura ideologia. La transizione, quella vera, parla di una partecipazione diretta delle comunità e di una responsabilità diffusa, a cominciare dagli stili di vita di ognuno. E della consapevolezza che tutto questo non sarà una passeggiata, che i conflitti con l’attuale modello di sviluppo sono dietro l’angolo e che non basterà sensibilizzare ed informare, ma bisognerà mettersi in gioco, a cominciare dai propri territori. Un diverso quadro legislativo Elinor Ostrom recentemente scomparsa, ha vinto il premio Nobel per l’economia, con il suo lavoro “Governing the commons. The evolutions of institutions for collective actions”, pubblicato nel 1988, dopo diversi anni di studi e ricerche. In esso la Ostrom si pone il problema fondamentale di come un gruppo di soggetti, nel testo definiti “principals”, interdipendenti tra di loro, possano auto-organizzarsi e autogovernarsi al fine di ottenere benefici collettivi di lungo periodo, superando la tentazione di comportamenti freeriding e, più in generale, di tipo opportunistico. Dopo la tragedia, una terza via Alcuni articoli accademici sulla cosiddetta “tragedy of the commons” raccomandano il controllo statale di queste risorse al fine di salvaguardarne la sopravvivenza. Altri propongono, invece, di privatizzare detti beni in modo da garantirne un uso più efficiente. Le rilevazioni empiriche, tuttavia, suggeriscono che né lo stato, né tanto meno il mercato sono in grado di assicurare, sempre e in tutte le circostanze, una sostenibilità di lungo periodo e un uso produttivo delle risorse naturali. La Ostrom prospetta una terza via. Questa si concreta nella definizione di istituzioni nuove, appositamente create e governate direttamente dagli stessi cittadini, aventi il compito di gestire i cosiddetti commons. Le fabbriche recuperate Esperienze come le fabbriche autogestite in Argentina hanno creato un cambiamento anche legale nella relazione tra «padroni» e «lavoratori», provocando un corto circuito intorno al lavoro. Pochi ricordano la legge sui «provvedimenti per il credito alla cooperazione e misure urgenti a salvaguardia dei livelli di occupazione», approvata in Italia nell’85, la legge «Marcora». Si comincia a studiare e immaginare nuovi percorsi che possono riguardare il nord come il sud del mondo, le fabbriche come gli ospedali, le cave oppure gli alberghi, ma soprattutto movimenti e singoli lavoratori, se non altro nutre di speranza l’idea di cambiamento sociale. Ma tutto questo è anche un modo, come suggerisce lo scrittore e giornalista Raúl Zibechi, per «reinventare la vita dal lavoro». In Ecuador e Bolivia… I beni pubblici e i diritti della madre terra sono entrati nei testi costituzionali In Italia la Commissione Rodotà ha lavorato per la riforma della tutela della proprietà privata nel Codice civile La Costituente dei beni comuni Il 13 aprile 2013 a Roma al teatro Valle si è costituita un’inedita alleanza tra pratiche di lotta e mondo degli studiosi: a partire dagli spazi, dalle lotte, dalle soggettività che costruiscono conflitto, intelligenza politica e partecipazione Si sono riaperti così i lavori di una commissione di studio sulla base dei risultati della Commissione ministeriale per la Riforma del Libro III “Della Proprietà” del Codice Civile (Commissione Rodotà). Il lavoro collettivo si svolge su due piani: a partire dalle innovazioni sperimentate nelle lotte - usi civici, sentenze, Statuti, .. - indagare quali strumenti giuridici siano da potenziare o da creare: una produzione giuridico-normativa sui beni comuni che la Commissione – composta da giuristi e studiosi di alto profilo - possa ascoltare e tradurre in articolati e proposte legislative. * la produzione collettiva di una scrittura politica – multitestuale, partecipata, emendabile e aperta – per potenziare lo spazio pubblico di discorso e di azione nell'orizzonte condiviso dei beni comuni. Un processo generativo capace di generalizzare lotte diverse e costruire immaginario. Collaborazioni, strategie, alleanze Colmare il gap informativo Agire! E politica! «Chi cerca di sfuggire alla terra non trova Dio, trova solo un altro mondo, il suo mondo, più buono, più bello, più tranquillo, un mondo ai margini, ma non il Regno di Dio, che comincia in questo mondo» Dietrich Bonhoeffer Grazie Per info: [email protected] Commercio equo, sostenibilità, comunicazione