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Slides prof. Chiarello (RelazioniIntergruppi)

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Slides prof. Chiarello (RelazioniIntergruppi)
LE RELAZIONI INTERGRUPPI
La ricerca sul comportamento intergruppi si è
focalizzata principalmente sulle cause che determinano
il pregiudizio
Esistono varie spiegazioni del pregiudizio e della
discriminazione nei confronti di gruppi estranei. Questi
possono dipendere:
• da variabili di personalità (Adorno, 1950),
• dalla competizione per uno stesso bene (Sherif,
1966),
• dalla semplice appartenenza di gruppo (Tajfel,
1978).
1
Fattori di personalità come causa del pregiudizio
La personalità autoritaria. Secondo Adorno (1950),
il pregiudizio nei confronti dell’outgroup dipende da
caratteristiche di personalità. Traendo spunto dalle
teorie psicoanalitiche, Adorno sostiene che l’ostilità
verso alcuni gruppi dipende dal tipo di educazione
ricevuto durante l’infanzia.
Secondo questa prospettiva, quando i genitori sono
troppo severi, il bambino svilupperebbe aggressività
nei loro confronti. Non potendo palesare tale
aggressività, per timore delle conseguenze, essa viene
ridiretta nei confronti di persone più deboli o inferiori.
Il risultato è una persona sottomessa all’autorità, e
ostile nei confronti delle minoranze etniche.
2
Partendo da questi presupposti Adorno creò la ScalaF, per rilevare le tendenze fasciste o democratiche
delle persone.
Gli individui che ottenevano alti punteggi sulla Scala-F
avevano avuto un educazione rigida e conservatrice e
manifestavano pregiudizio nei confronti di vari gruppi.
Al contrario, chi otteneva bassi punteggi aveva avuto
un educazione equilibrata e non manifestava alcun tipo
di pregiudizio.
3
Limiti
• Quando si focalizza la causa del pregiudizio su
fattori di personalità di dimenticano i fattori
socioculturali che, invece, sono molto rilevanti
(perché mostrano pregiudizio sia persone con alti
punteggi sia persone con bassi punteggi di
autoritarismo?).
• Le spiegazioni basate sulle differenze individuali non
sono in grado di spiegare l’uniformità del
pregiudizio (è possibile che un’intera popolazione
abbia la stessa personalità?).
• Le spiegazioni basate sulle variabili di personalità
non tengono conto della specificità storica del
pregiudizio, ovvero non tengono conto dell’aumento
del pregiudizio che si verifica in alcuni periodi storici
(è possibile che di colpo tutte le famiglie abbiano
4
cambiato il modo di educare i figli?)
Hovland e Sears: la teoria del capro espiatorio.
La teoria del capro espiatorio sostiene che in situazioni
di frustrazione si sfoga la propria aggressività su
persone più deboli.
Essa trae origine dalla teoria della frustrazioneaggressività, secondo cui, l’aggressività di un individuo
dipende dalla frustrazione: in seguito a frustrazioni
aumenta l’aggressività. Tale aggressività, quando non
può essere diretta verso la fonte della frustrazione, si
dirige verso un bersaglio più debole (il capro
espiatorio).
5
In un esperimento Miller
dimostrarono tali ipotesi.
e
Bugelski
(1948),
• Dissero ad un gruppo di ragazzi che soggiornava in un
campo estivo che la sera sarebbero andati in paese.
• Rilevarono, quindi, gli atteggiamenti del gruppo di
ragazzi verso alcune minoranze etniche.
• Successivamente dissero ai ragazzi che la gita in paese
era stata annullata (evento frustrante).
• Rilevarono nuovamente gli atteggiamenti nei confronti
delle minoranze etniche.
• I risultati mostrano che gli atteggiamenti dopo la
frustrazione erano peggiorati.
6
Limiti
• Il primo limite riguarda i risultati delle ricerche:
in alcune ricerche viene confermata la teoria della
frustrazione-aggressività, in altre no.
• Inoltre, sembra che l’aggressività non dipenda tanto
da livelli assoluti di frustrazione, quanto da livelli
relativi (teoria della deprivazione relativa).
• Infine, secondo la teoria della frustrazioneaggressività il comportamento intergruppi è guidato
dalle emozioni, piuttosto che da uno scopo.
7
La teoria della deprivazione relativa
Runciman (1966) e Gurr (1970)
La teoria della deprivazione relativa sostiene che la
soddisfazione di una persona o di un gruppo non
dipendono dalla situazione oggettiva, ma dalla
situazione relativa rispetto da altre persone o
gruppi.
La persona o il gruppo provano deprivazione relativa
quando ottengono meno di quanto si aspettavano, non
in assoluto, ma rispetto ad una altra persona o un
altro gruppo.
8
Comportamento
interpersonale
vs.
comportamento di gruppo. Le spiegazioni del
conflitto intergruppi basate su caratteristiche di
personalità
sostengono
che
il
comportamento
dell’individuo quando è da solo e quando è inserito in
un gruppo è sostanzialmente uguale.
Questa assunzione non è in grado di spiegare
l’uniformità e la prevedibilità del comportamento degli
individui quando sono in gruppo.
A partire da questa evidenza, Tajfel (1978) ha distinto
il
comportamento
interpersonale
e
il
comportamento intergruppi.
9
Il comportamento interpersonale si riferisce al
comportamento dell’individuo in quanto individuo, che
possiede caratteristiche uniche e che ha relazioni
personali con altri individui. In questo caso, le
categorie sociali di appartenenza non sono importanti.
Il
comportamento
intergruppi,
invece,
fa
riferimento all’individuo in quanto membro di gruppo e
le categorie sociali a cui si appartiene rivestono un
ruolo importante.
10
Questi due tipi di comportamento costituiscono i poli di
un continuum.
• Al polo interpersonale ogni tipo di interazione è
determinata dalle relazioni personali tra gli individui
e dalle loro caratteristiche individuali.
• Al polo intergruppi ogni comportamento reciproco
di due o più individui è determinato dalla loro
appartenenza a diversi gruppi o categorie.
Ogni comportamento dell’individuo può essere posto in
un
punto
qualunque
del
continuum
interpersonale/intergruppi.
11
La collocazione nel continuum dipende da tre fattori:
1) Precisione con cui si possono identificare le
c
a
t
e
g
o
r
i
sociali
e
e
i
2
)
n
t
e
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divisioni
v
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e
o
n
c
t
i
a
i
l
i
Grado di variabilità o uniformità del
comportamento
o
degli
atteggiamenti
all’interno di un gruppo
salienza del gruppo
comportamento degli
Gli interessi del gruppo come causa del pregiudizio
È possibile considerare il pregiudizio e la discriminazione
intergruppi come risposte “normali” di persone “comuni”
che si trovano in una situazione intergruppi.
Nelle situazioni intergruppi, riveste molta importanza la
natura degli scopi dei due gruppi.
• Quando gli scopi sono incompatibili, ovvero quando un
gruppo per ottenere qualcosa deve farlo a scapito di un
altro gruppo, si adotta un orientamento competitivo ed
aumenta il pregiudizio e l’ostilità nei confronti dell’altro
gruppo.
• Quando gli scopi sono concordanti, ovvero quando i
gruppi hanno bisogno l’uno dell’altro per raggiungerli, i
due gruppi adottano un orientamento cooperativo e le
relazioni tra i gruppi sono più armoniose.
Il pregiudizio, quindi, potrebbe dipendere dalla presenza di
13
scopi incompatibili.
La teoria del conflitto realistico proposta da Sherif
(1966) sostiene, appunto, che i conflitti tra i gruppi
sorgano dalla competizione per le risorse.
Gli atteggiamenti e il comportamento intergruppi
riflettono gli interessi oggettivi del proprio gruppo
nel confronto con gli altri gruppi.
• Quando gli interessi sono in conflitto, aumenteranno
gli atteggiamenti negativi, il pregiudizio e la
discriminazione.
• Quando gli interessi dei gruppi sono comuni, il
comportamento dei due gruppi sarà più amichevole
e cooperativo, e diminuirà il pregiudizio.
14
Gli studi di Sherif sui campi estivi
Per verificare la sua teoria Sherif condusse tre esperimenti
sul campo.
I partecipanti alla ricerca erano tutti ragazzi bianchi, di 11 o
12 anni, di classe media, sani, ben adattati, provenienti da
famiglie stabili, psicologicamente equilibrati.
I ragazzi, inoltre, non si conoscevano prima di arrivare al
campo.
Gli studi di Sherif comprendono tre fasi:
1. formazione del gruppo
2. competizione intergruppi
3. riduzione del conflitto
La fase di formazione del gruppo è preceduta dalla fase di
scelta spontanea di amicizia interpersonale.
15
Scelta spontanea di amicizia interpersonale
Questa fase è presente solo nei primi due esperimenti, ed ha
la funzione di eliminare l’attrazione interpersonale come
fattore esplicativo, serve, cioè per diminuire la possibilità che i
risultati della ricerca dipendano dagli effetti dell’attrazione
interpersonale.
Durante questa fase i ragazzi alloggiano insieme e sono liberi
di interagire e lavorare con chi preferiscono. Una volta
stabilizzate le relazioni, si procede ad una valutazione
dell’attrazione interpersonale.
I ragazzi vengono quindi divisi in due capanne separando i
migliori amici
Da questo momento in poi i ragazzi interagiscono solo con i
membri del proprio gruppo.
Nel terzo esperimento i ragazzi non si incontrano mai prima
della formazione dei gruppi
16
Formazione del gruppo
Lo scopo principale di questa fase era assegnare un certo
numero di compiti al gruppo (ad es., cucinare,
campeggiare), che comprendevano un lavoro di squadra da
parte dei ragazzi di ciascun gruppo, senza avere a che fare
con l’altro gruppo.
Nei primi due esperimenti, già in questa fase vi furono
alcuni confronti spontanei tra i gruppi, in cui si favoriva il
proprio gruppo.
Il fa voritismo per il proprio gruppo si verificava prima
dell’inizio della fase di conflitto.
Nel terzo esperimento, invece, i ragazzi non erano a
conoscenza della presenza dell’altro gruppo, ma appena
seppero della sua presenza decisero spontaneamente di
sfidarlo in una competizione sportiva. La semplice presenza
17
dell’altro gruppo suscitava sentimenti competitivi.
Competizione intergruppi
In questa fase i due gruppi prendevano parte ad
una serie di competizioni, in ognuna delle quali il
gruppo vincente riceveva un premio, mentre il gruppo
che perdeva non riceveva nulla.
In questo modo si creava un oggettivo conflitto di
interessi tra i due gruppi.
I due gruppi si trovavano in una situazione di
interdipendenza negativa: un gruppo guadagna ciò
che l’altro gruppo perde
18
In questa fase Sherif notò che:
• la presenza dell’outgroup aveva aumentato la
coesione all’interno dei gruppi
• gli atteggiamenti nei confronti dell’outgroup erano
diventati negativi, mentre quelli nei confronti
dell’ingroup erano diventati più positivi
• il leader all’interno dei gruppi era cambiato, nel
senso che diventavano leader ragazzi più aggressivi
• gli eventi erano sistematicamente percepiti in
maniera da favorire l’ingroup
19
Riduzione del conflitto
L’obiettivo di questa fase era introdurre degli scopi
sovraordinati per trasformare le relazioni ostili in relazioni
cooperative.
Uno scopo sovraordinato è uno scopo che ha un forte richiamo
per ogni gruppo, ma che nessun gruppo può raggiungere
senza la partecipazione dell’altro.
Uno di questi scopi fu progettato in modo da far rompere
l’autocarro che portava le provviste. Per avere le provviste
bisognava trainare l’autocarro fino al campo.
I ragazzi erano motivati ad avere le provviste poiché era quasi
ora di pranzo, tuttavia l’autocarro era molto pensante e l’unico
modo per farlo arrivare al campo era che i membri di entrambi
i gruppi lo trainassero insieme.
L’introduzione di vari obiettivi sovraordinati portò a rendere le
20
relazioni tra i due gruppi più amichevoli.
I risultati di questi esperimenti dimostrano l’insufficienza
delle teorie che spiegano il conflitto tra gruppi in termini di
fattori di personalità.
Infatti, in questi esperimenti si vede come dei bambini
normali
modificarono
sistematicamente
il
proprio
comportamento adeguandosi alla relazione intergruppi.
Inoltre, i cambiamenti avvenuti nei ragazzi erano stati
troppo veloci per poter essere attribuiti a caratteristiche di
personalità.
Sherif concluse che discriminazione e il pregiudizio tra i
gruppi dipendono dall’incompatibilità di obietti vi
materiali.
21
La semplice appartenenza al gruppo come causa
di pregiudizio
Alcuni studiosi hanno analizzato il favoritismo per il
proprio gruppo (ingroup bias) nel contesto dei gruppi
minimi.
I gruppi minimi o gruppi minimali sono gruppi in cui
la categorizzazione ingroup/outgroup viene effettuata
in base ad un criterio debole.
Inoltre, tra i due gruppi mancano le condizioni che di
solito sono associate al conflitto intergruppi (ad es.,
competizione per uno stesso bene che solo uno dei
due gruppi può ottenere).
22
Rabbie e Horwitz (1969) ipotizzarono che la
condizione essenziale di discriminazione intergruppi
possa essere determinata dalla percezione di una
interdipendenza nel destino dei membri del
gruppo.
Nel loro esperimento, alunni che non si conoscevano
venivano casualmente assegnati a due gruppi (verdi o
blu).
I membri dei due gruppi portavano delle targhette
identificative con il colore del proprio gruppo.
I membri dei due gruppi sedevano ai due lati di un
paravento (i verdi da una parte e i blu dall’altra), ogni
partecipante, quindi, poteva interagire solo con i
membri dell’ingroup.
23
Vennero create due condizioni sperimentali
• Nella condizione di controllo si passava
direttamente alla fase successiva.
• Nella condizione sperimentale i partecipanti
ricevevano (o no) delle radioline.
Nella fase successiva veniva tolto il paravento e ogni
membro dei due gruppi leggeva ad alta voce alcune
notizie biografiche.
I membri di entrambi i gruppi
partecipante che stava parlando.
valutavano
24
il
I risultati mostrano che nella condizione di destino
comune i partecipanti esibivano favoritismo per il
proprio gruppo: le valutazione dei membri dell’ingroup
erano più favorevoli delle valutazioni dei membri
dell’outgroup.
Nella condizione di controllo questo non si verificava.
La conclusione fu che l’appartenenza ad un gruppo
produce ingroup bias quando tale appartenenza
coincide con un’esperienza comune di ricompensa o
deprivazione (ricevere o meno la radiolina).
La condivisione di un destino comune, da sola,
può generare favoritismo per l’ingroup.
25
L’esperimento di Tajfel et al. (1971)
Tajfel e collaboratori minimizzarono ulteriormente le
caratteristiche della situazione intergruppi. L’obiettivo era
di definire le condizioni minime in cui un individuo
effettua delle distinzioni tra il proprio gruppo di
appartenenza e un altro gruppo.
L’ipotesi era che la semplice appartenenza di gruppo
(senza conflitto o destino comune) avrebbe prodotto
favoritismo per l’ingroup, la sola categorizzazione
ingroup/outgroup avrebbe prodotto discriminazione
26
Con lo scopo di eliminate dalla situazione sperimentale tutte
le variabili che di norma producono favoritismo, furono
adottati alcuni criteri nella strutturazione dell’esperimento.
• Non doveva esserci alcuna interazione faccia a faccia
tra i membri del proprio gruppo, del gruppo estraneo o
tra i gruppi
• L’appartenenza al gruppo doveva essere anonima
• Non doveva esserci alcuna precedente ostilità tra i
gruppi
• Non doveva esserci alcun conflitto di interesse tra i
gruppi
• Non doveva esserci alcun legame utilitaristico o
strumentale tra le risposte dei soggetti e i loro interessi
personali
• Non doveva esserci un destino comune tra i membri del
gruppo
27
L’esperimento si svolgeva in due fasi:
• Nella prima fase, i soggetti eseguivano un compito
banale che consisteva nell’esprimere una preferenza
per i dipinti di un pittore astratto (Klee o Kandinski).
Si creavano, quindi, due gruppi: quelli che preferivano
Klee e quelli che preferivano Kandinski.
• Nella seconda fase, i partecipanti ricevevano un
blocchetto contenente delle matrici di assegnazione di
risorse. Tramite queste matrici assegna vano delle
quote di denaro a membri dell’ingroup e
dell’outgroup. Le persone a cui si assegnava il denaro
erano anonime, nel senso che era indicato solo il gruppo
di appartenenza e un numero.
In nessun caso i partecipanti avrebbero ricompensato se
stessi.
28
Esempi di matrice
a) Libretto per il gruppo Klee
Queste cifre indicano le ricompense a favore di:
Membro n. 74 del gruppo Klee
25 23 21 19 17 15 13 11 9 7 5 3 1
Membro n. 44 del gruppo Kandinski 19 18 17 16 15 14 13 12 11 10 9 8 7
b) Libretto per il gruppo Klee
Queste cifre indicano le ricompense a favore di:
Membro n. 15 del gruppo Kandinski 25 23 21 19 17 15 13 11 9 7 5 3 1
Membro n. 38 del gruppo Klee
19 18 17 16 15 14 13 12 11 10 9 8 7
Ogni matrice veniva presentata due volte, invertendo le
ricompense per i membri dei due gruppi.
I partecipanti dovevano scegliere una colonna della matrice.
Questa matrice era costruita in modo da rilevare la
tendenza a massimizzare la differenza tra l’ingroup e
l’outgroup.
29
Risultati
a) Libretto per il gruppo Klee
Queste cifre indicano le ricompense a favore di:
Membro n. 74 del gruppo Klee
25 23 21 19 17 15 13 11 9 7 5 3 1
Membro n. 44 del gruppo Kandinski 19 18 17 16 15 14 13 12 11 10 9 8 7
b) Libretto per il gruppo Klee
Queste cifre indicano le ricompense a favore di:
Membro n. 15 del gruppo Kandinski 25 23 21 19 17 15 13 11 9 7 5 3 1
Membro n. 38 del gruppo Klee
19 18 17 16 15 14 13 12 11 10 9 8 7
Nella matrice a i partecipanti di solito scelgono l’equità tra i
due gruppi (13/13).
Nella matrice b, invece, i partecipanti tendono ad assegnare
più al proprio gruppo (11/12), rinunciando a somme di
denaro superiori (25/19) pur di guadagnare più dell’altro
gruppo.
30
I risultati mostrarono una tendenza a favorire il proprio
gruppo anche quando l’assegnazione al gruppo è fatta su
una base insignificante.
La discriminazione rilevata in questo esperimento
• non dipende da attrazione personale per i membri
dell’ingroup
• non dipende da precedenti ostilità tra i gruppi
• non dipende dalla presenza di un conflitto di interessi
tra i gruppi
• non dipende dall’interesse personale
• non dipende dalla presenza di un destino comune
La discriminazione è determinata dalla categorizzazione
Klee/Kandinski (sovrastimatori/sottostimatori, X/Y).
Tajfel concluse che
ingroup/outgroup
discriminazione
la
è
semplice categorizzazione
sufficiente
a
creare
31
Spiegazioni della discriminazione nei gruppi minimi:
1. Ruolo delle norme
La consapevolezza dei membri di appartenere ad un
gruppo genera associazioni con squadre, il che rende
saliente un tipo di norma competitiva
Questa competitività non si manifesta del tutto perché
nelle varie culture è saliente anche un’altra norma, la
norma dell’imparzialità
Critiche a questa spiegazione
32
• Se si spiega il comportamento tramite le norme si
dovrebbe essere in grado di prevedere in quali
situazioni si adotta la norma competitiva e in quali
si adotta la norma dell’imparzialità
• Le spiegazioni di tipo normativo sono troppo
generali non consentono di prevedere variazioni
sistematiche che si possono osservare all’interno
di una cultura
33
2. La categorizzazione
L’individuo ha bisogno di organizzare l’ambiente in cui vive
e lo fa tramite il processo di categorizzazione. Gli elementi
del mondo fisico e sociale, quindi, vengono divisi in
categorie in base alle loro somiglianza. In questo modo
l’individuo avrà a che fare con un numero limitato di
categorie, invece che con innumerevoli casi singoli.
Doise (1976) - Una conseguenza della categorizzazione è
la differenziazione categoriale, processo tramite cui si
massimizzano le differenze tra gli elementi che
appartengono a gruppi diversi e si minimizzano le differenze
tra gli elementi che appartengono allo stesso gruppo.
Questo processo aiuta a discriminare i membri di una classe
da chi non fa parte della stessa classe.
34
Il contesto dei gruppi minimali è una situazione
indefinita e per dargli chiarezza l’indi viduo si attacca
all’unica
informazione
disponibile,
o vve ro
l’appartenenza di gruppo.
Una volta adottata la classificazione ingroup/outgroup
entrerà in atto il processo di differenziazione categoriale.
Nella situazione dei gruppi minimi l’unico modo per
differenziare tra i due gruppi consiste nell’attribuire più
denaro al proprio gruppo rispetto all’altro gruppo.
Anche la spiegazione basata sulla categorizzazione non è
sufficiente. Essa non spiega, infatti, per quale motivo
quando si differenzia lo si fa sempre a fa vore del
proprio gruppo e mai dell’altro.
35
La teoria dell’identità sociale (Tajfel, 1978)
Tajfel definisce l’identità sociale come “quella parte
del concetto di sé di un individuo che deriva dalla
consapevolezza di appartenere ad un gruppo (o
gruppi) sociale unita al valore e al significato emotivo
attribuito a tale appartenenza”.
Dato che gli individui preferiscono avere un’immagine
di sé positiva, piuttosto che negativa, e dato che una
parte
dell’immagine
dell’individuo
proviene
dall’appartenenza di gruppo, ne deriva che gli individui
preferiscono
appartenere
a
gruppi
valutati
positivamente.
36
Per giudicare il valore del proprio gruppo lo si
confronta con altri gruppi
L’esito di questi confronti è importante poiché
influenza direttamente l’autostima delle persone.
Per questo motivo si tende a distorcere il confronto,
nel tentativo di creare una specificità o distintività
positiva per il proprio gruppo, ovvero nel tentativo di
differenziare positivamente il proprio gruppo dall’altro.
37
Uno studio sul campo
La teoria dell’identità sociale è applicabile anche a
gruppi reali. Un esempio è costituito da una ricerca di
Brown (1978) condotta in una fabbrica
Ai partecipanti, operai di tre diversi reparti (Sala
attrezzi, Sviluppo e Produzione), venivano mostrate
alcune matrici di assegnazione delle risorse simili a
quelle utilizzate da Tajfel
Interessanti sono i risultati del reparto Sala attrezzi:
Ai partecipanti era chiesto di scegliere la paga
settimanale da assegnare al proprio gruppo (Sala
attrezzi) e agli altri due gruppi
38
Anche in questo caso i partecipanti dovevano scegliere una
riga della matrice.
Sviluppo e Progettazione
Sala attrezzi
£ 70.30
£ 69.30
£ 69.30
£ 68.80
£ 68.30
£ 68.30
£ 67.30
£ 67.80
£ 66.30
£ 67.30
I risultati indicano che la maggior parte dei partecipanti del
reparto Sala attrezzi sceglie l’ultima riga della matrice
(66.30/67.30).
I
partecipanti
sono
disposti
a
sacrificare una parte di guadagno pur di guadagnare
più degli altri gruppi, o vve ro, pur di creare una
distintività positiva per il proprio gruppo.
39
Il modello di Hinkle e Brown (1990)
La teoria dell’identità sociale prevede che vi sia una
relazione tra il livello di identificazione e il favoritismo per
l’ingroup, nel senso che maggiore è l’identificazione più
si dovrebbe discriminare a favore del proprio gruppo
Tuttavia, in una rassegna di studi condotta da Hinkle e
Brown si è visto che non sempre si trova questa relazione
I due autori hanno, quindi, ipotizzato che le previsioni della
teoria dell’identità sociale possano valere solo per alcune
persone o gruppi
Hinkle e Brown propongono di dividere le persone e i gruppi
in quattro tipi derivati dall’incrocio di due dimensioni:
Colletti vismo/Indivi dualismo
e
Orientamento
Autonomo/Relazionale
40
Individualismo/Collettivismo
Il collettivi smo può essere definito come un modello
sociale che considera indi vidui strettamente legati tra
loro, individui che si vedono come parti di una o più
collettività (la famiglia, i colleghi di lavoro, la nazione); essi
sono motivati nel loro comportamento più dagli obiettivi del
gruppo d’appartenenza, che dagli obiettivi personali e
seguono le norme imposte dalla collettività
L’indi vidualismo può essere definito come quel modello
sociale che prende in esame indi vidui slegati tra loro, che
si percepiscono come indipendenti da qualsiasi
gruppo sociale, motivati nel loro comportamento più dalle
loro preferenze, dai propri bisogni e diritti, che da quelli del
gruppo; essi danno la priorità agli obiettivi personali e,
prima di associarsi con altri, fanno un’analisi razionale dei
costi e dei benefici derivanti da tale unione
41
Orientamento Autonomo/Relazionale.
Questa dimensione si riferisce alla tendenza a
valutare l’ingroup confrontandolo o meno con
altri gruppi
L’orientamento è autonomo nel caso in cui un gruppo
viene valutato senza essere confrontato con altri
gruppi
L’orientamento è relazionale, invece, nel caso in cui
un gruppo viene valutato tramite il confronto con altri
gruppi
Secondo i due autori gli individui e i gruppi che
mostreranno ingroup bias saranno quelli collettivistici
con orientamento relazionale; lo stesso non
dovrebbe valere per gli individui e i gruppi
42
individualistici con orientamento autonomo.
Questa ipotesi è stata confermata da Hinkle e Brown
dividendo gli individui che avevano partecipato a tre
esperimenti in base alla tassonomia proposta, e rilevando,
per ognuno dei quattro gruppi, la correlazione tra
identificazione e favoritismo per l’ingroup.
Orientamento relazionale
Orientamento
individualista
0.24
0.55
0.05
0.23
Orientamento
collettivista
Orientamento autonomo
Come appare dai risultati, per i membri classificati come
collettivisti, con orientamento relazionale, si trova una
correlazione elevata tra l’identificazione e la discriminazione.
43
I gruppi di status inferiore
In molti casi i gruppi che si confrontano non hanno lo
stesso status.
Per i membri dei gruppi di status inferiore il confronto
con i gruppi di status superiore potrebbe portare ad un
esito negativo, con conseguente calo dell’autostima.
Le strategie per ripristinare la positività dell’identità
sociale possono essere sia individuali sia collettive e
dipendono tre fattori.
• Permeabilità/Impermeabilità dei confini dei gruppi
• Legittimità/Illegittimità delle relazioni di status
• Stabilità/Instabilità delle relazioni di status
44
Il continuum mobilità individuale/cambiamento sociale
• Quando i confini tra i gruppi sono percepiti
permeabili (si può passare da un gruppo all’altro),
l’individuo usa strategie di mobilità individuale
per ripristinare la positività della propria identità
sociale ed elevare la propria autostima. Tenterà,
quindi, di passare nel gruppo di status superiore.
• Quando, invece, i confini tra i gruppi sono
percepiti impermeabili (non è possibile passare
da un gruppo all’altro), l’individuo usa strategie
collettive per risolvere i problemi legati alla propria
identità. Le strategie collettive possono produrre
cambiamento sociale.
45
Il tipo di strategia collettiva adottata dai membri del
gruppo di status inferiore dipende dalla stabilità e dalla
legittimità delle relazioni di status.
• Quando le relazioni di status sono legittime e stabili si
può ripristinare la positività dell’identità sociale:
 cambiando il gruppo di confronto, cioè confrontandosi
con un gruppo di status inferiore;
 modificando le dimensioni di confronto, cioè trovando
dimensioni in cui il proprio gruppo è superiore all’altro.
• Quando, invece, le relazioni di status sono percepite
illegittime e instabili è possibile ripristinare un’identità
sociale positiva:
 chiedendo un confronto diretto con il gruppo
dominante, con lo scopo di modificare lo status dei
due gruppi.
46
Secondo la teoria dell’identità sociale, i fenomeni di
discriminazione più forti si avranno quando i confini
intergruppi sono percepiti impermeabili e l’inferiorità
dell’ingroup è percepita illegittima e/o instabile.
47
Riduzione del conflitto
Scopi sovraordinati
Una
strategia
per
ridurre
il
conflitto
consiste
nell’introduzione di scopi sovraordinati. Tuttavia, questo
porta alla riduzione del conflitto solo se:
• l’esito della cooperazione è positivo
• i gruppi hanno ruoli distinguibili e complementari
Ridisegnare i confini della categoria
Come abbiamo visto la semplice categorizzazione
ingroup/outgroup produce discriminazione. Un modo per
ridurre la discriminazione consiste nel ridisegnare i confini
delle categorie
Questo si può fare in due modi:
• creando un ingroup comune
• incrociando le categorie
48
Creazione di un ingroup comune
Secondo Gaertner et al., (1993) per ridurre la
discriminazione gli individui appartenenti a gruppi
diversi devono percepirsi come membri di uno stesso
gruppo.
Bisogna passare, quindi, da una situazione in cui esiste
un noi e un loro, ad una situazione in cui esiste un
NOI più inclusivo.
49
Categorizzazione incrociata
La categorizzazione incrociata fa riferimento all’incrocio di
una dimensione di categorizzazione (ad es., italianoalbanese) con una seconda (ad es., maschio-femmina), in
modo da formare quattro gruppi (italiano/maschio,
italiano/femmina, albanese/maschio, albanese/femmina).
Es. Rispetto ad un maschio italiano:
• Un
maschio/italiano
condivide
entrambe
le
categorizzazioni è quindi membro di un doppio ingroup.
• una femmina/albanese è membro di un doppio
outgroup, poiché differisce in entrambe le dimensioni.
• una femmina/italiana e un maschio/albanese sono
membri di un ingroup parziale, poiché condividono solo
una dimensione.
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La categorizzazione incrociata dovrebbe ridurre la
discriminazione
perché
intervengono
processi
simultanei di differenziazione intercategoriale e
assimilazione intracategoriale che si neutralizzano.
Tuttavia, la discriminazione si dovrebbe ridurre solo
nei confronti dei membri del doppio ingroup e dei due
ingroup parziali, ma dovrebbe aumentare nei confronti
dei membri del doppio outgroup.
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L’ipotesi del contatto
(Allport, 1954) Secondo questa ipotesi il contatto positivo
tra membri di gruppi diversi riduce il pregiudizio. Tuttavia,
gli effetti del contatto dipendono da vari fattori:
 il contatto deve essere intimo e prolungato;
 i gruppi devono godere di uguale status nella situazione
di contatto;
 i gruppi devono cooperare nel raggiungimento di
obiettivi comuni;
 l’integrazione dei gruppi deve essere favorita dalle
istituzioni.
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Contatto interpersonale vs. contatto intergruppi
Secondo alcune teorie (Brewer & Miller, 1984) il contatto,
per essere efficace, deve avvenire a livello interpersonale,
tra individui decategorizzati, che si percepiscono come
individui singoli.
Infatti, se la categorizzazione produce pregiudizio,
l’eliminazione della categorizzazione dovrebbe ridurre il
pregiudizio.
Il
cambiamento
di
atteggiamento
generalizzarsi a tutti i membri del gruppo
potrebbe
non
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Visto che non è possibile generalizzare gli effetti positivi del
contatto se questo avviene a livello interpersonale
Hewstone e Brown (1986) propongono di mantenere
salienti le rispettive appartenenze categoriali nella
situazione di contatto. Il contatto, cioè, deve avvenire a
livello intergruppi, tra individui che si percepiscono
membri dei rispettivi gruppi.
In questo modo, gli atteggiamenti positivi nei confronti dei
membri dell’outgroup con cui si interagisce possono
estendersi all’outgroup in generale.
Tuttavia, se l’esperienza di contatto genera atteggiamenti
negativi, questi si ripercuoteranno sulle valutazioni
dell’outgroup.
Inoltre, quando il contatto avviene a livello intergruppi è
sempre presente un certo livello di “ansia intergruppi”, che
potrebbe diminuire gli effetti del contatto.
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