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La verità 2° seminario: La teoria della verità di Tarski (alla Quine) e l

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La verità 2° seminario: La teoria della verità di Tarski (alla Quine) e l
Collegio Superiore dell’Università di Bologna
febbraio 2014
La verità
Paolo Leonardi
1.
2.
3.
4.
Una mappa del problema e delle soluzioni disponibili.
La teoria della verità di Tarski (alla Quine) e l’abbozzo di una teoria della verità di Kripke.
Paradossi e illusioni.
Minimalismo e teoria modestaVerità relativa.
La sostanza della verità.
2° seminario: La teoria della verità di Tarski (alla Quine) e l’abbozzo di
una teoria della verità di Kripke. Paradossi e illusioni.
La settimana scorsa ero nervoso. Tornare al Collegio. E vi ho precipitato
nella discussione sulla verità trattandovi abbastanza come filosofi, tutti, o
come persone che conoscevano l’argomento.
Non posso rimediare. Vorrei però brevemente riassumere cosa ho detto e
darvi un po’ di spazio, prima di andare avanti.
La verità, ho sostenuto, è una proprietà delle rappresentazioni linguistiche.
In qualche modo, come verosimiglianza, possiamo estenderla ad altre
forme di rappresentazione. Le altre forme di rappresentazione, però, non
sono completamente arbitrarie. Un ritratto realistico, che renda i tratti di
un volto, è comandato dalla forma del volto. Le leggi della prospettiva
possono dirci, di principio, se un ritratto è somigliante o meno, se è
verosimile o meno. Gli enunciati sono ciò cui si addice la proprietà della
verità. Derivativamente possiamo parlare della verità come proprietà degli
eventi, o degli stati di cose, di cui gli enunciati parlano.
Come le raffigurazioni realistiche sono state importanti nel trasmetterci
informazione visiva, così la verità degli enunciati è la proprietà che permette
di trasmettere verbalmente informazione.
Con la flow chart di Künne ho proposta una mappa di tante posizioni
diverse, almeno in alcuni dettagli importanti. Perché ci sono tante posizioni
diverse in filosofia? Perché possiamo ancora considerare rilevanti le
definizioni di Protagora (la verità è relativa perché l’uomo è la misura di
tutte le cose), o quelle di Platone e Aristotele?
I filosofi si occupano di due cose. Una è di suggerire un senso al tutto –
questa è una cosa che non so fare, una cosa che posso solo sfiorare. L’altra
è di discutere i fondamentali. La verità, l’esistenza, l’essere, la passione, la
ragione, il bello, il buono, il giusto, la conoscenza, sono fondamentali.
Sono tutti fondamentali? E come funziona ciascuno di essi. Come ho
detto la verità è fondamentale per trasmettere informazione
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linguisticamente, e, come mi proverò ad accennare, per costituire una
lingua. Ora, i fondamentali non possono essere studiati servendosi di altri
strumenti di analisi, e bisogna articolarli per discuterne e arrivare a capire
esattamente come funzionano. Le molte posizioni sulla verità cui ho
accennato articolano diversi modi in cui la verità potrebbe funzionare.
I fondamentali sono quello che sono, non crescono come crescono le
teorie o i sistemi giuridici che costruiamo per mezzo loro. Protagora,
Platone, Aristotele, ci offrono tre (o due) articolazioni diverse sulla verità,
che possiamo discutere assieme a trenta altre. È la qualità
dell’argomentazione ciò che ci induce a scegliere per un’articolazione
rispetto a un’altra, e la qualità di un’argomentazione si valuta
confrontandola con altre argomentazioni. Protagora, Platone e Aristotele li
usiamo come termini con cui confrontarci, cercando di capire i limiti delle
articolazioni che ci hanno proposto della nozione di verità.
Ho accennato anche ai portatori di verità. Künne, e Horwich, come Frege,
sostengono che le proposizioni sono i portatori della verità, intendendo
questo termine come fanno i contemporanei, cioè come l’interpretazione
semantica di un enunciato (un enunciato meno la farse che lo esprime), io
sosterrò che sono gli enunciati i portatori della verità. Ho accennato anche
al fatto che per Frege enunciati diversi dalle asserzioni e dalle interrogazioni
non sono adatte alla verità. Nel secolo passato c’è stata una ricca
discussione che ha negato che gli enunciati prescrittivi, le norme, le regole,
gli imperativi, siano adatti alla verità.
Un’ultima cosa, prima di lasciarvi un po’ di tempo per fare domande e
obiezioni.
Ho messo on line alcuni testi. Il libro di Künne sulla verità non ha eguali per
completezza nella presentazione, cura nell’esame critico di ciascuna
posizione, indipendentemente dalla cura, almeno pari, nel presentare la
propria posizione. Una buona introduzione, più limitata, è il volume Teorie
della verità di Giorgio Volpe, che insegna a Bologna. Un’introduzione
ancora più limitata è il volume sempre di Volpe La verità. Ho messo, e
metterò, on line anche ritengo fondamentali. Il saggio di Frege “Il
pensiero”, un’esposizione divulgativa di Tarski sulla propria teoria della
verità, l’esposizione, più tecnica, ma semplice, che Quine fa della teoria di
Tarski, l’abbozzo di una teoria della verità di Kripke, alcune pagine di
Horwich.
Oggi esporrò la teoria tarskiana così come la riformula Willard van Orman
Quine in Philosophy of Logic, e dopo alcune considerazioni più filosofiche di
Tarski (che non era un filosofo), quindi passerò all’abbozzo di teoria della
verità proposto da Kripke.
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Tarski - La definizione semantica della verità
Una definizione del genere è data per una lingua, che diremo lingua oggetto, in
una lingua che diremo metalingua. Tarski ritiene che una definizione del
genere sia possibile per le lingue formalizzate e non per quelle naturali. Per
elaborare una definizione del genere infatti una lingua deve avere due
requisiti: la sua grammatica deve essere descritta per intero; non deve
contenere i propri predicati semantici, come ‘è vero’, ‘si riferisce a’ , ‘è
assegnato a’, ‘soddisfa’ – ossia, non deve essere chiuso o universale (cfr
Tarski [1933]1956: 163 e Tarski 1944: 348).
Una lingua che contenga il proprio vocabolario semantico è esposta a
paradossi come quello del mentitore (che abbiamo già visto prima): se dico
«Io mento» o «Questo enunciato è falso», enunciati che se li assumiamo
veri, risultano falsi, e se li assumiamo falsi, risultano veri. (Il primo
paradosso è citato da San Paolo che cita Epimenide di Creta che dice «Tutti
i cretesi mentono»).
Un paradosso può essere prodotto anche da una serie di enunciati come: Il
prossimo enunciato è falso. L’enunciato precedente è vero.
Per le lingue che abbiano i requisiti indicati, Tarski dà una definizione
ricorsiva di soddisfazione, cioè una definizione induttiva di soddisfazione per
le funzioni enunciative della lingua a partire dalle forme più elementari alle
forme di qualunque complessità. Assumiamo una lingua, L, che contenga
parametri logici (connettivi: in italiano, espressioni come e, o, non, se… allora
___; il nome tecnico di questi connettivi è: congiunzione, disgiunzione,
negazione, condizionale; un modo in cui si esprimono in logica è &, v, ~,
… →___), variabili (x1, x2, …, xn, …), e predicati (F11 , F12 , …, F1n; F21 , F22 ,
…, F2n; …; Fm1 , Fm2 , …, Fmn; dove il numero ad esponente indica il numero
di argomenti che il predicato ha – in italiano ‘corre’ (‘x corre’) ha
normalmente un posto di argomento, ‘è fratello di’ (‘x è fratello di y’)ha due
posti di argomento, ‘ha regalato a’ (‘x ha regalato z a y’) ha tre posti di
argomento, ecc.) Una funzione enunciativa possiamo immaginarla
prodotta a partire da un enunciato sostituendo a un termine singolare una
variabile. Da ‘Giorgio corre’ ricaviamo la funzione enunciativa ‘xj corre’.
In questa formula la variabile diciamo che occorre libera. Una funzione
enunciativa può essere trasformata in un enunciato o sostituendo una
variabile libera con una costante o vincolando la variabile per mezzo di un
quantificatore. Da ‘xj corre’ possiamo quindi, per es., tornare a ‘Giorgio
corre’ o arrivare a ‘Almeno un xj è tale che xj corre’. Nella lingua che
abbiamo introdotto poco fa non ci sono costanti. Una funzione
enunciativa elementare è una funzione enunciativa che non contenga alcun
parametro logico – cioè non contenga né connettivi né quantificatori né
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predicati come l’identità. La definizione di soddisfazione mette in relazione
(infinite) sequenze (infinite) di oggetti con funzioni enunciative. Le
sequenze di oggetti possiamo immaginarle come insiemi ordinati, cioè
insiemi in cui la posizione come primo oggetto, secondo, ecc., è rilevante, e
come insiemi ordinati di qualunque grandezza, e dunque anche insiemi
infiniti. Lo stesso oggetto può ricorrere in una sequenza più volte.
Possiamo immaginare tutte le sequenze come infinite introducendo un
piccolo stratagemma. Se una sequenza di oggetti è infinita, possiamo
allungarla quanto vogliamo, anche all’infinito, così: la sequenza sia di n
oggetti, allunghiamola mettendo come oggetto n+1, di nuovo l’oggetto n .
Le sequenze di oggetti non solo sono, o possono essere, infinitamente
lunghe, ma siccome assumiamo qualunque combinazione di oggetti, sono
esse stesse in numero infinito. Indicheremo le sequenze di oggetti così:
<o1, o2, …, on, …>. Abbineremo variabili a oggetti così: assegneremo alla
variabile xi in ciascuna sequenza l’oggetto oi. (Potete immaginare questa
come una regola linguistica analoga a quelle proprie dei pronomi personali:
‘io’ si riferisce nelle diverse situazioni a chi parla.) Tarski indica gli assiomi
per la soddisfazione delle funzioni enunciative elementari, e indica come
funzione della soddisfazione delle funzioni enunciative elementari la
soddisfazione di funzioni enunciative non elementari, dando una
definizione induttiva per casi della soddisfazione di una funzione
enunciativa qualunque. Una funzione enunciativa elementare con tre posti
di argomento Fm3 xixjxk sarà soddisfatta da una particolare sequenza di
oggetti <o1, o2, …, on, …> se è soddisfatta dalla tripla di oggetti oi, oj, ok
della sequenza.
Ma andiamo avanti con ordine.
Una funzione enunciativa come F1mxj è soddisfatta da una sequenza o1, o2,
…, on, …, se l’oggetto oj che assegniamo come valore alla variabile xj
soddisfa il predicato F1m xj.
Una funzione enunciativa come F2m xjxk è soddisfatta da una sequenza o1, o2,
…, on, …, se gli oggetti oj e ok che assegniamo come valori alle variabili xj e
xk soddisfano il predicato F2m xjxk.
Una funzione enunciativa come F3m xjxk xl è soddisfatta da una sequenza o1,
o2, …, on, …, se gli oggetti oj, ok e ol che assegniamo come valori alle
variabili xj, xk e xl soddisfano il predicato F3m xjxk xl.
Una sequenza o1, o2, …, on, … soddisfa F1m xj & F1n xj l se oj e ol che
assegniamo come valori rispettivamente a xj e a xl soddisfano
rispettivamente F1m xj e F1n xl.
Una sequenza o1, o2, …, on, … soddisfa ~ F1m xj se non soddisfa F1m xj.
Una sequenza o1, o2, …, on, … soddisfa ∃xj F1m xj se c’è una sequenza che,
diversa da essa al massimo per l’oggetto oj, soddisfa F1m xj.
La verità è quindi definita sulla base della soddisfazione. Un enunciato
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(cioè una funzione enunciativa con nessuna variabile libera) è vero quando
è soddisfatto da tutte le sequenze di oggetti, e falso quando non è
soddisfatto da nessuna. ∃xi∃xj∃xk Fm3 xixjxk è vera se è soddisfatta da tutte
le sequenze e falsa se non è soddisfatta da nessuna.
Sono chiare le condizioni di sfondo: la definizione di verità che Tarski
propone può essere data per il predicato di verità di qualunque lingua di cui
si possa dare una descrizione formale (in termini sintattici) e che sia
semanticamente aperta, cioè che non contenga i propri predicati semantici.
Tarski riteneva che questo escludesse le lingue naturali. Oggi pensiamo di
no. Abbiamo descrizioni formali delle lingue naturali (grammatica
generativa, ecc) e basta che ci limitiamo a quella sottoparte di una lingua
naturale che non contiene i suoi predicati semantici. Cioè, proviamo a dare
la semantica non dell’italiano tutto intero, ma dell’italiano meno i suoi
predicati semantici.
L’idea generale è che una semantica può essere descritta solo da fuori, o
solo dall’alto.
Kripke – Un abbozzo di teoria della verità
Passo a Kripke – “Outline of a theory of truth” (The Journal of Philosophy
72, 1975: 690-716) – almeno alle parti che ho capito, cercando di metter in
evidenza i punti più interessanti del saggio. Qua e là vi indicherò cosa non
ho capito, e mi secca non aver capito, sperando che mi possiate aiutare voi.
I punti principali.
Un enunciato può risultare paradossale per ragioni empiriche – cioè un
enunciato non è paradossale per la sua forma.
… many, probably most, of our ordinary assertions about truth and falsity are liable, if the empirical
facts are extremely unfavorable, to exhibit paradoxical features. (691)
Prendo un esempio che viene presentato solo qualche pagina dopo (695-6).
Considerate i due enunciati seguenti.
All of Nixon’s utterances about Watergate are false.
Everything Dean says about Watergate is true.1
Immaginate che il primo sia stato proferito da John Dean, consigliere del
Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon fino al 29 aprile 1973 e che il
1
In realtà basterebbe immaginare, che dicano
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secondo sia stato proferito da Nixon stesso. Assumiamo che questi siano
gli unici due enunciati che Dean e Nixon proferiscono rispettivamente su
Watergate e Nixon e su Watergate e Dean. Allora se supponiamo vero
quelo che dice Dean, quello che dice Nixon sarà falso e di conseguenza
quello che dice Dean sarà esso pure falso, di conseguenza quello che dice
Nixon sarà vero, e così via. Risulterà cioè impossibile attribuire un valore
di verità a ciascuno dei due enunciati. Se Dean e Nixon avessero proferito
anche altri enunciati su Watergate e, rispettivamente, su Nixon e su Dean,
non sarebbe andata così. Per esempio, se Nixon avesse detto anche una
cosa vera su Dean e Watergate, l’enunciato riportato sopra come detto da
Dean sarebbe falso; se Dean avesse detto anche una cosa falsa su Nixon e
Watergate, l’enunciato riportato sopra come detto da Nixon sarebbe falso.
Nessuno dei due enunciati, si badi, di per sé ha qualcosa che non va,
nessuno dei due enunciati è malformato. Con questo argomento, Kripke
vuole mostrare che non ci sono criteri intrinseci formali per riconoscere un
enunciato paradossale. [È vero che non c’è un criterio formale per
riconoscere un paradosso, c’è un criterio sostanziale per cogliere un
paradosso? Provate questo: un enunciato il cui valore di verità dipenda
dall’attribuire un valore di verità a un enunciato che afferma il suo contrario
è paradossale. In alcuni casi, come in ‘(Io) Mento’ c’è un unico enunciato
che afferma – pretende sia vero – il proprio contrario.]
Due osservazioni, di Kripke, prima di continuare. Kripke applica il
predicato ‘è vero’ (o ‘è falso’) a enunciati (a nomi di enunciati), perché così
fa Tarski, ma forse si dovrebbe applicare, dice, a proposizioni. Ora, se si
applicasse a proposizioni si potrebbe immaginare che enunciati come (a)
non esprimano una proposizione. Ecco (a).
(a)
(a) è falso.
Così come si potrebbe pensare che (a) non è un buon enunciato, perché
‘(a)’ nell’enunciato viene interpretato dopo averlo costruito. Kripke
sostiene il contrario: perché, sostiene, ‘(a)’ non potrebbe essere un nome
della sequenza di segni finita (e non interpretata) ‘(a) è falso’? (693) [Perché
la sequenza non è paradossale, è solo la sequenza interpretata che lo è.]
La prima sezione si conclude presentando il veridico, (b). Eccolo:
(b) (b) è vero.
Ora ogni enunciato che contiene il predicato ‘è vero’ (o ‘è falso) per essere
valutato richiede che si prendano in considerazione altri enunciati. Se la
sequenza di enunciati che si prendono in considerazione non contiene un
predicato di verità, l’enunciato sarà fondato, altrimenti sarà infondato. Sia il
mentitore che il veridico sono enunciati infondati.
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La più famosa teoria su verità e paradossi è quella di Alfred Tarski, che più
che vista abbiamo ‘bordesato’, cioè di cui abbiamo sfiorato i bordi. Kripke
la presenta così:
Let L be a formal language, built up by the usual operations of the first order predicate calculus from a
stock of (completely defined) primitive predicates, and adequate to discuss its own syntax (perhaps using
arithmetization). (I omit an exact characterization.) Such a language cannot contain its own truth
predicate, so a metalanguage L contains a truth (really satisfaction) predicate T1(x) for L . (Indeed, Tarski
shows how to define such a predicate in a higher-order language.) The process can be iterated, leading to
a sequence { L , L , L , L , …) of languages, each with a truth predicate for the preceding. (694)
0
1
0
1
2
0
3
La teoria tarskiana ha incontrato diverse obiezioni. Filosoficamente, la più
importante, per Kripke, è che non coglie le nostre intuizioni su ‘è vero’ così
come usiamo questo predicato. Notate questo predicato cioè in italiano, per
Kripke, c’è un predicato ‘è vero’ (‘è falso’) e non una serie di predicati ‘è
veron’ (‘è falson’) che si applicherebbero a lingue di livelli vieppiù alti. L’idea
che l’italiano sia una lingua il cui predicato ‘è vero’ sarebbe
sistematicamente ambiguo (avendo un livello implicito che viene fissato
contestualmente) è smontata da Kripke con due obiezioni. La prima è che
fissare il livello è estremamente difficile. Anche ammettendo che un uso di
‘è vero’ abbia un preciso livello, non sapremmo dire quale, perché dipende
da quanti enunciati bisogna andare a vedere per attribuirgli un valore di
verità, cioè quando si raggiunge un enunciato che non contiene il predicato
‘è vero’ (o ‘è falso’).
Il caso dei due esempi su Dean/Nixon che ho considerato sopra è anche
più arduo: infatti, a nessuno può davvero essere attribuito un livello
inferiore all’altro, perché ciascuno di essi per essere valutato richiede che si
consideri l’altro enunciato.
La terza sezione presenta, finalmente, la proposta di Kripke. La proposta,
appena delineata, come dice il titolo stesso del pezzo, vuole avere una
struttura matematico-formale ricca e cogliere intuizioni importanti. E,
aggiunge Kripke, vorrebbe essere valutata per la sua fertilità e appunto per
la sua capacità di catturare molte intuizioni, anche se non tutte. [E
naturalmente è “attaccata” per questo, o tentativamente ridimensionata –
Tyler Burge in un articolo del 1979, per es, lamenta che Kripke non
consideri il mentitore rafforzato pur sfiorando il problema, come se questo
bastasse a rendere ininteressante la proposta di Kripke.]
The meaningfulness or well-formedness of the sentence lies in the fact that there are specifiable
circumstances under which it has determinate truth conditions (expresses a proposition), not that it always
does express a proposition. A sentence such as (1) is always meaningful, but under various circumstances
it may not “make a statement” or “express a proposition.” (699-700)
Tecnicamente l’idea è resa concependo alcuni predicati come funzioni
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parziali anziché totali, cioè tali che hanno un’estensione e una contro
estensione, una coppia di insiemi disgiunti (S1, S2) ed essere quindi vero
degli oggetti nella sua estensione, falso in quelli della sua controestensione e
altrimenti nondefinito. Uno schema per applicare i connettivi qui è la
logica a tre valori forte di Kleene (Kleene-forte)
∃xAx è vero se Ax è vero per qualche assegnazione di elementi in D a x,
falso se Ax è falso per tutte queste assegnazioni, indeterminato altrimenti.
(x)Ax è definito come ~∃x~Ax.
We wish to capture an intuition of somewhat the following kind. Suppose we are explaining the word
‘true’ to someone who does not yet understand it. We may say that we are entitled to assert (or deny) of
any sentence that it is true precisely under the circumstances when we can assert (or deny) the sentence
itself. Our interlocutor then can understand what it means, say, to attribute truth to (6) (‘snow is white’)
but he will still be puzzled about attributions of truth to sentences containing the word ‘true’ itself. Since
he did not understand these sentences initially, it will be equally nonexplanatory, initially, to explain to him
that to call such a sentence “true” (“false”) is tantamount to asserting (denying) the sentence itself.
Nevertheless, with more thought the notion of truth as applied even to various sentences themselves
containing the word ‘true’ can gradually become clear. (701)
Consideriamo una serie di enunciati, cominciando dal più famoso in questo
contesto.
La neve è bianca.
È vero che la neve è bianca
Sul Corriere di oggi, 7 aprile 2010, c’è qualche enunciato vero.
È vero che c’è qualche enunciato vero.
La prima mossa indurrà chi è disposto ad asserire il primo esempio ad
asserire il secondo. Se il primo enunciato è scritto sul Corriere di oggi, il
nostro apprendista della verità sarà disposto, per generalizzazione
esistenziale, ad asserire anche il terzo esempio. Questo lo indurrà ad
asserire il quarto esempio per la stessa ragione per cui è passato dall’asserire
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il primo ad asserire il secondo. E così via.
In maniera appena un po’ più formale: sia L una lingua interpretata del
primo ordine con un numero finito (o un numero infinito numerabile) di
predicati primitivi, variabili, un dominio D non vuoto, su cui ciascun
predicato n-ario è interpretato (totalmente) da n-ple di elementi in D.
L’interpretazione dei predicati resta fissa. L supponiamo sia in grado di
esprimere la propria sintassi e di codificare espressioni di L in L stessa.
Immaginiamo una serie di estensioni di L. Con la prima estendiamo L alla
lingua L aggiungendovi il predicato T(x), la cui interpretazione può essere
parziale. T(x) è interpretato da un insieme parziale (S1, S2) – in cui S1 è
l’estensione di T(x) e S2 è l’antiestensione di T(x). Al di fuori dell’unione di
S1 e S2 (S1∪S2) T(x) è indeterminato. L(S1, S2) è l’interpretazione di L che
risulta interpretando T(x) via (S1, S2).
Sia S1’ l’insieme dei (codici degli) enunciati veri di L (S1, S2), e sia S2’
l’insieme di tutti gli elementi di D che non sono (codici) di enunciati di L
(S1, S2) o sono (codici) di enunciati falsi di L (S1, S2). S1’ e S2’ sono
determinati unicamente da (S1, S2). Perché T(x) esprima la verità per L –
quando L contenga T(x) – deve accadere che S1= S1’ e S2= S2’. (Cioè che
T(x) sia una funzione sugli enunciati di L, cosicché se A è un qualunque
enunciato di L A soddisfi (falsifichi) T(x) se e solo se A è vero (falso) in base
alle regole di valutazione.)
Una coppia (S1, S2) che soddisfa ciò è un punto fisso. Sia ϕ la funzione che da
(S1, S2) porta a (S1’, S2’). I punti fissi sono le coppie (S1, S2) in cui vale che ϕ
(S1, S2)= (S1, S2).
Costruiamo un punto fisso. Partiamo da una lingua L0 come L (Λ, Λ). In
T(x) è del tutto non definito. Per un intero qualsiasi α, immaginiamo di
aver definito Lα = L(S1, S2). Fissiamo quindi Lα+1 = L(S1’, S2’), S1’ e S2’
intesi come prima. La gerarchia di lingue che ne risulta è analoga a quella
tarskiana. (S1†, S2†) estende (S1, S2) se e solo se S1 ⊆S1†, S2 ⊆S2†.
Intuitivamente, ciò vuol dire che (S1†, S2†) si distingue da (S1, S2) solo perché
il primo definisce T(x) in alcuni casi in più di quanti ne definisce il secondo.
Insomma, estendendo l’interpretazione di T(x) non si cambia alcun valore
precedentemente definito né alcuno di essi torna a essere indefinito – ϕ è
una funzione monotòna. Per induzione si prova che l’interpretazione di T(x)
in Lα+1 estende sempre l’interpretazione di T(x) in Lα. (Per i livelli transfiniti
facendo l’unione di tutti i livelli precedenti). C’è un livello ordinale σ in cui
S1, = S1, σ+1 e S2,σ= S2, σ+1, cioè un livello in cui nessun nuovo enunciato è
dichiarato vero o falso. Ma se (S1, σ, S2, σ)=(S1, σ +1, S2, σ +1), siccome (S1, σ +1,
S2, σ +1)= ϕ(S1, σ, S2, σ), questo significa che (S1, σ, S2, σ) è un punto fisso.
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Kripke così riconduce la costruzione alle intuizioni che ho presentate:
Let us relate the construction of a fixed point just given to our previous intuitive ideas. At the
initial stage, L0, T(x) is completely undefined. This corresponds to the initial stage at which the
subject has no understanding-of the notion of truth. Given a characterization of truth by the
Kleene valuation rules, the subject can easily ascend to the level of L1. That is, he can evaluate
various statements as true or false without knowing anything about T(x) – in particular, he can
evaluate all those sentences not containing T(x). Once he has made the evaluation, he extends T(x),
as in L1. Then he can use the new interpretation of T(x) to evaluate more sentences as true or false
and ascend to L2, etc. Eventually, when the process becomes “saturated,” the subject reaches the
fixed point 2,. (Being a fixed point, Lσ is a language that contains its own truth predicate.) So the
formal definition just given directly parallels the intuitive constructions stated previously. (705)
(Variante per definire ‘soddisfa’ invece di ‘è vero’, in una lingua con nomi
per ogni oggetto e per una lingua senza nomi per ogni oggetto.)
La proposta, che ha evidentemente struttura, coglie le nostre intuizioni? Sia
il mentitore che il veridico risultano enunciati infondati, cioè enunciati che
non hanno un valore di verità nel punto fisso minimale, e dunque neanche
a un livello precedente a esso. Però mentre possiamo considerare un punto
fisso non minimale in cui il veridico ha un valore di verità – per esempio,
partendo attribuendo a T(x) come estensione a livello 0 solo proprio il
veridico – questo non ci renderà inconsistenti! – non possiamo fare
altrettanto per il mentitore: un enunciato paradossale, insomma, non ha un
valore di verità in nessun punto fisso.
Ogni punto fisso può essere esteso a un punto fisso massimale, cioè un
punto fisso che non può essere esteso a un altro punto fisso. A enunciati
infondati come il veridico può essere attribuito un valore di verità
arbitrario. Gli enunciati fondati hanno lo stesso valore di verità in tutti i
punti fissi. Ci sono enunciati infondati che hanno uno stesso valore di
verità in tutti i punti fissi in cui ne hanno uno, ma che appunto perché
infondati non l’hanno nel punto fisso minimale. Per esempio: Questo
enunciato o la sua negazione sono veri. Dove ‘questo’ si intende si riferisca
all’enunciato stesso. Questo enunciato può solo essere (arbitrariamente)
vero. Un punto fisso è intrinseco se assegna a ciascun enunciato un valore
di verità che non è in conflitto con quello che ha in un qualunque altro
punto fisso.
Tarski e Kripke
Il confronto fra Tarski e Kripke. La possibilità di sostituire a ‘è veron’ ‘è
vero (x) e An(x)’ dove ‘An(x)’ è un predicato sintattico vero esattamente
delle formule di L che non coinvolgono più di n-1 volte ‘è vero (x)’.
This means that all the truth predicates of the finite Tarski hierarchy are definable within L , and all the
languages of that hierarchy are sublanguages of L . (710)
⌠
⌠
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Cioè, nel quadro kripkeano abbiamo un solo predicato di verità, come
vorremmo, e, seppure solo parzialmente, una lingua contiene il proprio
predicato di verità. La
Intrinsecamente fondato. [Riprendere l’idea che non esistano criteri
intrinseci – criteri intrinseci diversi da criteri formali.]
Quadri alternativi: supervalutazioni (cfr van Fraassen “Presupposition,
Implication, and Self-Reference” (The Journal of Philosophy 65,1968:136-152),
la verità come coerenza (D. Davidson e gli idealisti), la verità come
giustificazione (M. Dummett), le teorie pragmatiste (ciò che ci conviene
credere, ossia la teoria del limite ideale, come punto di convergenza delle
credenze scientifiche, o ciò che sarebbe razionale accettare in una
situazione epistemicamente ideale, rispettivamente di C.S. Peirce e H.
Putnam).
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