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La verità come testimonianza în Emmanuel Lévinas

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La verità come testimonianza în Emmanuel Lévinas
La verità come testimonianza
în Emmanuel Lévinas
Victor Dumitrescu
Abstract
Infinity, the absolute transcendence, cannot manifest itself on
the level of being, since truth is transmitted by means of thematising
the being in the subject’s conscience. But thematising the being
erases any kind of subjectivity, included that of Infinity itself. And
Infinity can be testified only through human subjectivity. E.
Lévinas centers the problem of truth on the subject and makes it
into a place where Truth is manifested. Truth is understood not
only as the revelation of a content, but also as the absolute exposure
of a subject made unto another subject. This new way is the
testimony. Testimony is the place of inspiration and prophecy, and
inspiration is nothing else but a kind of “alterity” already present
“in the identity” of the witness. Lévinas describes truth as the
sincerity/truthfulness of the act of speech, and “the Glory of
Infinity” “is being glorified” by the image and the act of speech of
a subject responsible to his human fellow.
Keywords: testimony, truth, Lévinas, infinity, glory,
inspiration, subjectivity.
Il saggio di E. Lévinas intitolato Verità come svelamento e
verità come testimonianza1 è in realtà la primitiva elaborazione
e pubblicazione del quinto capitolo intitolato: «Soggettività ed
Infinito» dell’opera Altrimenti che essere o al di là dell’essenza,
1
Questa è la traduzione del titolo dal francese, secondo diversi autori
tra i quali anche G. Ferretti, La filosofia di Lévinas. Alterità e trascendenza, Rossenberg & Sellier, Torino 1996, p. 267.
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nel quale l’autore completa il suo studio sulla soggettività
umana in rapporto all’Infinito. La soggettività etica dell’uomo
prende qui i connotati di una «straordinaria trascendenza»
perché radicata nell’Infinito, sia circa il passato immemorabile
da cui viene, sia per quanto riguarda il fine sempre più lontano
verso cui tende2.
L’Infinito a sua volta, non potendo essere ricompreso sul
piano rappresentabile dell’essere, può essere testimoniato solo
dalla soggettività umana, «l’unico “luogo” in cui l’Infinito – o
Dio – può significare positivamente, “passando” così nei nostri
pensieri e nelle nostre parole come diverso dal “nulla”; anche
dal “nulla” di quella sublime “negatività” in cui la teologia
negativa, al fine di salvaguardarne la trascendenza assoluta
rispetto all’essere, ha finito per rilegarlo»3.
Per una migliore comprensione dei concetti e del pensiero
di Lévinas, ho dovuto portare avanti questa elaborazione della
problematica, leggendo il saggio alla luce della sua
rielaborazione definitiva contenuta del quinto capitolo
dell’opera a cui ho accennato sopra.
1. Verità, essere e soggetto
1.1. Il problema della verità dell’essere in rapporto
all’Infinito
Lévinas parte dalla constatazione che la verità del
disvelamento o come svelamento «suppone l’indifferenza
dell’essere circa i fantasmi soggettivi che si proietterebbero
2
«Nascita del soggetto nel senza-inizio dell’anarchia e nel senza-fine
dell’obbligo, gloriosamente crescente come se in essa passasse (se passait) l’infinito. Nella convocazione assoluta del soggetto si ode enigmaticamente l’Infinito: l’al di qua e l’al di là» (E. Lévinas, Autrement qu’être
ou Au-delà de l’essence, La Haye, Martinus Nijhoff, 1974, p. 178; trad. it.
a cura di S. Petrosino e M. T. Aiello, Altrimenti che essere o al di là
dell’essenza, Jaca Book, Milano 1983, pp. 175-176).
3
G. Ferretti, La filosofia di Lévinas. Alterità e trascendenza, Rossenberg & Sellier, Torino 1996, p. 267.
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sulla sua faccia scoperta, sulla sua nudità»4. La verità fa in
qualche modo resistenza al soggetto e ciò «significa che quando
l’essere è riferito alla coscienza, esso ricusa la pretesa che sia
questo l’ordine mediante il quale si mostri»5. Questo porta a
supporre che sia possibile intravedere un’altra modalità del
rapporto tra verità ed essere che il soggetto può cogliere.
Il nostro tema è quello della testimonianza, ed in Lévinas
più precisamente si tratta della testimonianza che l’infinito fa
di sé nel soggetto. Ora, per comprendere, il modo di significare
proprio dell’infinito e che costituisce l’intento che Lévinas
ebbe nel perseguire questo saggio, è necessario chiarire questa
particolare nozione di verità, opposta alla verità dell’essere
intesa come svelamento.
La verità come svelamento è il manifestarsi dell’essere per
mezzo della sua tematizzazione per la coscienza. Questo modo
di concepire la «verità come correlativa dell’essere» è l’eredità
del pensiero greco che sta ancora a fondamento di tutta la
nozione di verità. Lévinas però distingue tra il fatto d’essere
tematizzato e il fatto di manifestarsi nell’intelligibilità,
rilevando un certo divario tra i due momenti. Il senso non sta
nel fatto di essere tematizzato perché «nella relazione i termini
ricevono uno splendore che sarebbe offuscata se essi fossero
presi separatamente»6. Perciò ci deve essere un passaggio dalla
tematizzazione alla manifestazione nell’intelligibilità e solo in
seguito il senso può essere sprigionato. «Tutta la confessione
della verità – afferma Lévinas – risale ad un preliminare
svelamento dell’essere, cioè, situato nei limiti dell’essere
pensato tutto sensato, subordina senso all’essere»7. Il tema
della verità in Lévinas è messo in relazione al tema dell’Infinito.
Ora, l’Infinito, siccome è caratterizzato da un’assoluta
4
E. Lévinas, Vérité du dévoilement…, op. cit., p. 102.
E questo è «coscienza teorica razionale nella sua purezza!» (ibidem).
6
Testimonianza «che è vera ma di una verità irriducibile alla verità
dello svelamento e che non narra niente che si mostri» (E. Lévinas, Autrement qu’être ou Au-delà de l’essence, La Haye, Martinus Nijhoff, 1974,
p. 184).
7
G. Ferretti, op. cit., p. 268.
5
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trascendenza, non può in alcun modo divenire presenza nel
piano dell’essere, cioè farsi manifestazione. Neanche la nozione
di verità come disvelamento è appropriata per la sua
significazione, perché questa riguarda il reale, «come
presentazione en original dell’essere svelato». Inoltre, le altre
nozioni di verità dette con i loro correlativi negativi come, ad
esempio, «assenza», «nascondimento», ecc., non corrispondono
all’Infinito che «né è, né avviene, né si manifesta, come è,
avviene, si manifesta l’essere o la verità dell’essere»8. Nemmeno
i termini di «sincerità» e «veracità» che sono in rapporto
semantico diretto con la nozione di verità, si possono dire
dell’Infinito, dato il loro legame intrinseco alla finitezza della
soggettività umana.
La mossa abile di Lévinas è quella di spostare la problematica
della verità sul soggetto, ma non in senso kantiano. Nella
prospettiva del soggetto, Lévinas, oppone al modo con cui il
soggetto è assorbito nel servizio della verità dell’essere (intesa
come svelamento) un altro modo, in cui il soggetto diventa
luogo stesso della verità, senza pericolo per essa di alienazioni
soggettive. Se nel primo modo, dato il divario, a cui si accennava,
tra il fatto di essere tematizzato e il fatto di manifestarsi
nell’intelligibilità «anche la soggettività si pensa integralmente
a partire dall’intelligibilità oggettiva»9, e dunque il soggetto
svanisce, in qualche modo, nell’intelligibilità o nell’oggettività
delle strutture10; adesso, in questo secondo modo, il soggetto
non si cancella più. La verità viene intesa non più come disvelamento, bensì come «esposizione» assoluta all’altro. Ora,
«un’esposizione all’altro che non dice altro che se stessa, in
questo senso è pura “testimonianza”11. […] Lévinas propone
quindi un concetto di verità non più come caratteristica
dell’essere che si mostra, bensì come caratteristica del soggetto
8
E. Lévinas, Autrement qu’être ou Au-delà de l’essence, La Haye, Martinus Nijhoff, 1974, capitolo introduttivo, par 9.
9
Cfr. G. Ferretti, op. cit., pp. 270-275.
10
E. Lévinas, Autrement qu’être ou Au-delà de l’essence, La Haye,
Martinus Nijhoff, 1974, p. 167.
11
Ibidem, p. 171.
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etico che si “espone” senza riserve. Una verità cui conviene più
il nome etico di sincerità e di veracità che non quello ontologico
di verità/svelamento; che precede e in qualche modo fonda lo
stesso concetto di verità/svelamento»12.
1.2. Il soggetto “assorbito” dall’essere
Nel passaggio dalla tematizzazione alla manifestazione
nell’intelligibilità c’è «un’esitazione, un tempo» che permette
alle strutture di sistemarsi. Ebbene, «questo evento o questo
divenire nell’intelligibilità, può chiamarsi soggettività»13. Ma
anche il soggetto è costretto a percepire se stesso tematizzandosi
ed essere «suscitato mediante l’intelligibilità». In altre parole,
il soggetto è concepito in funzione dell’evento dell’essere.
Sappiamo però che una delle tesi di Lévinas è quella che «la
soggettività non è una modalità dell’essenza»14. Questa tesi,
formulata nel capitolo introduttivo del Altrimenti che essere, è
presente anche nel quinto capitolo della stessa opera, dunque
nell’elaborazione definitiva di questo nostro saggio a cui faccio
riferimento. La problematica del soggetto è trattata a partire
dal problema della verità in collegamento a tre diversi modi
con cui nella cultura contemporanea il soggetto sarebbe
totalmente subordinato alla verità del suo lato oggettivo:
l’ontologia heideggeriana (del secondo Heidegger!), lo
strutturalismo ed una certa filosofia dell’intersoggettività e
del linguaggio15.
L’ontologia heideggeriana è illustrata dal «modo in cui
l’essere svolge il proprio cammino dal punto di vista oggettivo
assorbendo il soggetto correlativo dell’oggetto e trionfando –
nella verità delle sue “gesta” – sia sul primato del soggettivo
12
E. Lévinas, Vérité du dévoilement…, op. cit., p. 102.
Ibidem, p. 101.
14
«La struttura è precisamente intelligibile o razionale o significativa, allorquando in se stessi i suoi termini non hanno dei significati» (E.
Lévinas, Vérité du dévoilement…, op. cit., p. 102).
15
E. Lévinas, Autrement qu’être ou Au-delà de l’essence, La Haye,
Martinus Nijhoff, 1974, p. 171.
13
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che sulla correlazione soggetto-oggetto»16. La verità dell’essere,
secondo questa ontologia, non è altro che il suo manifestarsi,
cioè la «fenomenalità – l’esibizione dell’essenza dell’essere
nella verità»17.
Ma l’essere non può fare a meno della coscienza a cui la
manifestazione si manifesta, cioè dal soggetto, che in questo
caso è pura e semplice ricettività. Lévinas va ancora più in
profondità, quando afferma che «in quanto altro in rapporto
all’essere vero, in quanto differente dall’essere che si mostra,
la soggettività non è niente»18. In questa prospettiva «la
rappresentazione comanda la nozione di verità e, con ciò, tutto
significato è comandato tramite l’ontologia»19.
Il concetto di verità secondo lo “strutturalismo” parte dalla
constatazione che «la significazione e lo splendore dall’apparire,
vanno, in qualche modo, insieme»20. Ciò significa che il senso
dei termini si rivela in pienezza non presi in se stessi quando
si presentano con un forte titolo di astrattezza, ma nella
relazione reciproca, meglio, nell’unità di un sistema o di una
“struttura”21. Dentro questo concetto di verità, il compito del
soggetto è di permettere il raccogliersi dei vari elementi
nell’unità del sistema, ra-presentandoli. Anche qui, per quanto
riguarda il soggetto, abbiamo lo stesso esito, cioè il soggetto
non ha in se stesso alcuna significazione perché «la soggettività
16
E. Lévinas, Vérité du dévoilement…, op. cit., p. 103.
G. Ferretti, op. cit., p. 273.
18
E. Lévinas, Autrement qu’être ou Au-delà de l’essence, La Haye,
Martinus Nijhoff, 1974, p. 176.
19
G. Ferretti, op. cit., nota 313, p. 274.
20
«L’epifania del volto è visitazione […]. Il volto entra nel nostro
mondo, provenendo da una sfera assolutamente estranea, cioè precisamente da un assoluto che, d’altra parte, è il nome stesso dell’estraneità
profonda. Il Significato del volto nella sua astrattezza è, nel senso letterale del termine, stra-ordinario» (E. Lévinas, En découvrant l’existence
avec Husserl et Heidegger, Vrin, Paris 19672 (1a ed. 1949), pp. 194-195;
trad. it. a cura e con postilla di F. Ciaramelli, in La traccia dell’altro, Pironti, Napoli 1979, p. 35).
21
Questo è il senso della domanda: «Lo psichismo non può essere
pensato come una relazione con il non ra-presentabile?».
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del soggetto consisterebbe sempre nel cancellarsi davanti
all’essere»22.
Lo stesso risultato si riscontra anche in certe filosofie
dell’intersoggettività e del linguaggio, quando si riferiscono
alla «comunicazione dell’essenza manifestata ad altri». Il
problema consiste, secondo Lévinas, nell’intendere il Dire
della comunicazione come «pura comunicazione di un Detto»,
il che porta il soggetto parlante ad essere del tutto «assorbito
nel Detto». Ciò che Lévinas vuole salvaguardare è il Dire del
soggetto responsabile, perché la «soggettività che si cancella
facendo circolare le informazioni è capace di mala fede e di
bugie»23. Anche la testimonianza è passibile di questo, almeno
che non si tratti di una testimonianza in cui il Dire del
testimone è qualcosa di più di una semplice trasmissione di un
Detto, come vedremo in seguito.
2. Verso un «al di là dell’essere»
2.1. Il soggetto “irriducibile” all’essere
Lévinas constata che «la concezione circa la soggettività del
soggetto suppone la manifestazione dell’essere come punto di
partenza di tutto il senso»24. Questo è stato il cammino del
pensiero occidentale che partorì come frutto della sua
speculazione la «coscienza tematizzante». L’importanza che
viene data al concetto di «intenzionalità» è un’ulteriore
dimostrazione di questo.
Ora, la riflessione sulla testimonianza e sul Dire, ci fa
scorgere che essi hanno «un ruolo più direttamente “veritativo”,
22
«La presenza del volto significa così un ordine incontestabile – un
comandamento – che sospende la disponibilità della coscienza. […] La
visitazione consiste nello sconvolgere l’egoismo stesso dell’Io; il volto
sconcerta l’intenzionalità che lo prende di mira» (E. Lévinas, En découvrant l’existence avec Husserl et Heidegger, Vrin, Paris 19672 (1a ed.
1949), p. 195; tr. it. a cura e con postilla di F. Ciaramelli, in La traccia
dell’altro, Pironti, Napoli 1979, pp. 36-37).
23
E. Lévinas, Vérité du dévoilement…, op. cit., p. 105.
24
G. Ferretti, op. cit., p. 276.
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diverso da quello che hanno «nel diffondere e comunicare delle
esperienze ontologiche». Senza subordinarsi allo svelamento
dell’essere si presentano come «la source di una significazione
significata diversamente»25 in un «al di là dell’essere». Alla
base di questa affermazione sta la tesi di fondo di Lévinas,
secondo la quale il soggetto responsabile è “irriducibile” al
piano dell’essere che si manifesta o alle strutture in cui si
manifesta. L’io cambia la sua dinamica perché, se fino adesso
era caratterizzato dal suo «interesse» per l’essere, adesso,
paradossalmente, manifesta un completo «dis-inter-esse»,
ovvero,
«negativamente
svincolamento
dall’essere,
positivamente “l’uno per l’altro” della responsabilità»26.
Questo nuovo statuto del soggetto renderà possibile la
«significazione di un al di là dell’essere».
Per non lasciare il soggetto nella trappola dell’intenzionalità
tematizzante e manifestante (cioè subordinato alle vicende
dell’essere), «l’uno per altro della responsabilità» non è inteso
da Lévinas come un impegno che un soggetto liberamente si
assume. «Non è – quindi – l’impegno che descrive la
significazione, è la significazione – l’uno-per-l’altro della
prossimità – che giustifica ogni impegno»27. In altre parole, «il
soggetto non è qui considerato come primariamente in
riferimento al mondo, ad un “suo” mondo, oggetto della sua
conoscenza e del suo progetto, bensì in riferimento ad Altri,
agli altri uomini, in quella assoluta passività che, lungi
dall’alienarlo, lo identifica nella sua unicità insostituibile»28.
2.2 L’ispirazione o alterità nell’identità
Lévinas si chiede se «lo psichismo non possa essere pensato
come una relazione con il non ra-presentabile? con un passato
al di qua di tutto presente e tutta la rappresentazione non
25
«Questa passività della passività e questa dedica all’altro, questa
sincerità è Dire» (E. Lévinas, Autrement qu’être..., op. cit., pp. 181-182).
26
E. Lévinas, Vérité du dévoilement..., op. cit., p. 106.
27
Ibidem.
28
Ibidem, p. 186; cfr. Vérité du dévoilement…, op. cit., p. 106.
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appartenente all’ordine della presenza?»29. Ora, lo «psichismo»
è da intendere in Lévinas come animazione del soggetto in
virtù del «trauma» che il Medesimo subisce da parte dell’Altro.
La significazione della soggettività non può essere colta se non
all’interno di questo incontro “traumatico” con l’Altro. L’Altro
in quanto tale, «non si manifesta entrando pacificamente
nell’ambito ordinato di ciò che io posso comprendere e
interpretare alla luce del contesto delle mie coordinate
culturali, del mio orizzonte categoriale, del mio “mondo”,
bensì soltanto “scompigliando” e “stravolgendo” tale ordine»�.
Questo incontro è la visitazione manifestata nell’«epifania del
volto»� e per questo motivo è traumatico. L’interesse di
Lévinas, nel nostro contesto, mira al fatto che questa passività
dell’esposizione ad altri non finisca per trasformarsi di nuovo
in «posizione» da parte dell’io, attestando così «una
sostanzialità ultima dell’io», del tutto insuperabile. Il rischio
consiste nel trasformare la «visitazione» del volto in
«rivelazione» dell’Altro, cioè in una «rappresentazione vera» e
dunque sotto il segno dell’immanenza�. Lévinas sfugge a
questa trappola, accentuando la dimensione essenzialmente
etica della visitazione, perché il volto s’impone alla coscienza
capovolgendone l’intenzionalità in responsabilità�.
Questo capovolgimento dell’io da soggetto di coscienza in
soggetto di responsabilità, impedisce sia l’oggettivizzazione
dell’altro sia l’alienazione dell’io. Così «la significazione della
soggettività è inclusa nell’avvenimento quotidiano e
straordinario della mia responsabilità per gli altri»�, di una
«responsabilità illimitata» che «viene al di qua della mia
libertà, di un non-presente per eccellenza, di non-originale,
dell’anarchico, dell’al di qua o dell’al di là dell’essenza»�.
In questo contesto va vista l’introduzione del termine di
«ispirazione». Il trauma dell’Altro sul Medesimo è, infatti,
considerata come lo «spirito» (il pneuma) stesso della psyché,
ed in tal senso è detto la sua «ispirazione». «Lo psichismo
dell’anima
è
l’alterità
nell’identità,
l’animazione,
l’ispirazione»�.
29
Ibidem, p. 189.
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Alla luce di questo modo nuovo di intendere la soggettività,
Lévinas supera il dualismo cartesiano dell’unione dell’anima
con il corpo. «Se infatti l’anima non è più pensata come
“pensiero tematizzante”, bensì come “sradicamento-da-séper-un-altro nel dare-all’altro-il-pane-della-propria-bocca”,
essa è fin dall’origine da intendersi come “corpo estirpato dal
suo conatus essendi nella possibilità del dare”, e il problema di
come unirla al corpo non si pone più»�.
3. Testimonianza, ispirazione, profezia
3.1. La «gloria» dell’Infinito
Secondo diversi commentatori di Lévinas, l’introduzione
nel seguito logico del discorso della nozione di «sincerità»
toglie il rischio che l’ontologia si appropri di nuovo della
soggettività e segna il passaggio dal discorso sulla significazione
della soggettività al discorso sulla «gloria dell’Infinito». La
sincerità del Dire è la riduplicazione della nozione di passività
e cioè la «passività della passività»�.
La sincerità non è da comprendere come un semplice
attributo del Dire, come quando il Dire è detto sincero in
quanto dice un Detto vero, ma coincide col Dire stesso. «Ed è
in questo modo che Lévinas giunge a descrivere la nozione di
verità come sincerità/veracità del Dire, più originaria e radicale
che non la verità/svelamento del Detto»�. Questa sincerità è
ciò che impedisce alla radice che il soggetto si riappropri di sé
con un atto di libera posizione e così rientri nell’ambito
dell’ontologia.
La nozione di sincerità è anche il ponte metodologico che
apre il discorso della trascendenza dell’infinito, indicando,
nello stesso tempo quale è il luogo in cui esso possa significare:
«Il senso della sincerità non rinvia forse alla gloria dell’infinito
che si affida alla sincerità come a un Dire?»�.
Il termine biblico “gloria” ha una carica semantica che va
vista alla luce del suo significato biblico. Lévinas lo ha scelto in
base a Es 33,18-22, dove, da una parte indica Dio nel suo farsi
riconoscere ad extra, dall’altra rivela la sua inaccessibilità per
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l’uomo perché non può essere vista, non può apparire e farsi
fenomeno, per entrare così nella presenza del soggetto. Ma ciò
che a noi interessa è il fatto che la gloria dell’Infinito «significa»
o «si glorifica» nella sincerità del Dire del soggetto responsabile
per l’altro. Questa «responsabilità per l’altro è precisamente
questo rapporto con un Infinito in-tematizzabile. Essa non è
né l’esperienza, né la prova: essa ne testimonia»�. Ecco l’unico
luogo dove l’Infinito può significare. Ma a questo luogo, a
questa sincerità del Dire del soggetto, è la «testimonianza» che
rinvia. «Questa testimonianza non viene ad aggiungersi ad un
“esperienza soggettiva”, per dichiarare la “congiuntura”
ontologica che si è svelata al soggetto. Questa testimonianza
appartiene alla stessa gloria dell’Infinito»�. La sincerità come
Dire è quindi «testimone della gloria dell’Infinito»�.
3.2. Il concetto di testimonianza
Abbiamo visto che il concetto di testimonianza in Lévinas
affiora quando egli tratta del rapporto tra il soggetto e la
trascendenza. La testimonianza compare qui come la modalità
originale ed esclusiva con cui l’Infinito significa o ha verità. La
verità che appare nella testimonianza, meglio, la verità come
testimonianza, si oppone alla verità come svelamento. La
chiave di volta è la responsabilità, perciò si tratta della
significazione del soggetto etico, unica situazione che può dare
attestazione dell’Infinito.
L’Infinito in nessun modo può farsi presenza tematizzabile.
«La testimonianza che il soggetto dà dell’Infinito, infatti, non
tematizza ciò che testimonia, né lo rende presente in una
rappresentazione o in qualche forma di evidenza. Tanto meno
si potrebbe pensare che l’Infinito appaia a colui che lo
testimonia. Al contrario, “è la testimonianza che appartiene
alla gloria dell’Infinito”�, mentre l’Infinito si glorifica solo
nella voce stessa del testimone. Per cui, se da un lato si deve
dire che “non v’è testimonianza […] che dell’Infinito”,
dall’altro non si deve dimenticare che “dell’Infinito […]
testimonia il soggetto”»�.
Ciò che si afferma nel concetto di testimonianza, ciò che si
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riflette nel rapporto tra Infinito e soggetto è la dialettica tra
interiorità e l’esteriorità: «L’esteriorità dell’Infinito diviene,
in qualche modo, interiorità nella sincerità della testimonianza.
La gloria […] si glorifica nel mio dire, comandandomi attraverso
la mia bocca. […] L’infinitamente esteriore diviene voce
“interiore”»�.
Per Lévinas, figlio dell’eredità ebraica, il paradosso di un
Infinito in rapporto con il finito, sembra possibile solo nel
campo segnato dalla dimensione etica: «L’etica è l’esplosione
dell’unità originaria dell’appercezione trascendentale – cioè
l’al di là dell’esperienza. Testimoniato – e non tematizzato –
nel segno fatto ad altri, l’Infinito significa a partire dalla
responsabilità per altri, dall’uno per l’altro, da un soggetto che
sopporta tutto – è soggetto a tutto – che soffre per tutti»�.
L’etica implica l’obbedienza che in Lévinas precede ogni
ascolto del comandamento. L’Infinito che parla o significa
attraverso le parole stesse del soggetto finito che testimonia
per mezzo del suo Dire (senza Detto) agli altri, si fa obbedire
prima ancora che questo comando sia percepito o udito. Anche
questo è un altro paradosso levinassiano, ma che va interpretato
alla luce di altri due termini religiosi convergenti di
«ispirazione» e di «profetismo», dentro i quali va collocato lo
psichismo dell’anima o, detto con altre parole, la spiritualità
dell’uomo.
L’«ispirazione» è riferito all’Infinito nel rapporto all’uomo,
al di là di ogni forma di fenomeno che possa rappresentarsi e
tematizzarsi in qualche Detto. Dice Lévinas: «Possibilità
dell’ispirazione: essere autore di ciò che mi era stato a mia
insaputa ispirato – aver ricevuto, non si sa da dove, ciò di cui
sono l’autore. Nella responsabilità per altri, eccomi al cuore di
quest’ambiguità dell’ispirazione. Il dire inaudito è
enigmaticamente nella risposta an-archica, nella mia
responsabilità per l’altro»30.
Il «profetismo» secondo la definizione di Lévinas sarebbe
«questo ritorno la cui percezione dell’ordine coincide con la
significazione di questo ordine fatto da colui che vi obbedisce.
30
Ibidem, p. X.
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E, così, il profetismo sarebbe lo stesso psichismo dell’anima:
l’altro nel medesimo; e tutta la spiritualità dell’uomo sarebbe
profetica»31.
Si può vedere come le nozioni di «ispirazione» e «profetismo»
convergono in uno stesso significato che indica, che è traccia
dell’Infinito nel soggetto responsabile, nel testimone.
3.3. La traccia dell’altro o l’illeità
Siccome «l’Infinito non si annuncia nella testimonianza
come tema» bisogna vedere un po’ come intendere la traccia
che lascia nel soggetto, o, detto in un altro modo, come
«intendere un Dio non contaminato dall’essere»32. Il problema
viene abbordato quando Lévinas affronta la questione sul
nome di Dio33. «La frase dove Dio viene, per la prima volta, a
mescolarsi alle parole, non si enuncia: “Io credo in Dio”.
Testimoniare di Dio non è precisamente enunciare questa
parola stra-ordinaria, come se la gloria potesse alloggiarsi in
un tema, farsi essenza dell’essere»�.
In altre parole, il testimone non ha mai Dio di fronte a sé in
una esperienza, pur soprannaturale, o come diretto
interlocutore. Per Lévinas, Dio entra «per la prima volta» nel
linguaggio umano indirettamente ed obliquamente tramite il
Dire «Eccomi» della piena obbedienza, prima ancora ad ogni
Detto tematizzato. In questo modo, «l’Infinito non è davanti al
suo testimone, ma come al di fuori, o “all’inverso” della
presenza»�, è la sua trascendenza è salvaguardata e significata,
allo stesso tempo.
Ora, se Dio non significa come il “tu” di un interlocutore
(che sta davanti), in una reciprocità simmetrica, esso significa
solo alla terza persona, come ille. L’illeità, che è la traccia
31
La questione è affrontata non solo nel nostro saggio Vérité du
dévoilement… o nell’Autrement qu’être..., ma anche nell’opera Di Dio che
viene all’idea (1982), come anche nel Dio e la filosofia (1975).
32
E. Lévinas, Vérité du dévoilement…, op. cit., p. 110.
33
Giuseppe Schillaci, «Relazione senza relazione», Tip. P.U.G., Roma
1996, p. 283.
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Victor Dumitrescu
dell’altro, è al di là di ogni rappresentazione, al di là dell’essere,
oltre il volto stesso del prossimo (del “tu”). Questa è la
caratteristica più consona e più forte del nome di Dio, di cui si
può avere notizia solo «nella mia risposta stessa» al suo
comando, perché «iscritta nel puro Dire della mia
testimonianza».
«L’illeità è questa direzione del “io non so da dove”, di
questo che viene senza mostrarsi, del non-fenomeno e, di
conseguenza, del non-presente, d’un passato che non fu mai
presente, d’un ordine al quale io sono assoggettato prima di
sentirlo o che io sento nel mio proprio dire»�. L’illeità è la
traccia dell’altro che testimonia in me al momento stesso della
mia testimonianza. La relazione tra il testimone e l’”altro” di
cui egli testimonia è, in questo caso, identica a quella tra il
testimone e la sua testimonianza, in un rapporto di reciprocità
non simmetrico, ma a-simmetrico. Perciò la testimonianza del
testimone è sua per un verso, ma non è sua per l’altro verso.
Non si può chiamare questa una contraddizione per il fatto che
la testimonianza per sua natura non è logica perché si colloca
in un al di là o in un al di qua del discorso e dell’informazione.
L’illeità è «l’ulteriorità non simmetrica, cioè sempre aperta,
è il dinamismo stesso dell’infinito posto nell’uomo. L’uomo,
infatti aspira, desidera, vive in e di questo “dinamismo” a cui
continuamente fa riferimento, di cui non può fare a meno: in
quanto un più nel meno. Un di più che è fuori di sé. Un più che
è dentro di sé. Un di più che oltrepassa l’uomo ma che è già
dentro l’uomo e lo porta. La soggettività porta il segno di
questa precedenza che la oltrepassa»�.
Bibliografia
Lévinas, E., Autrement qu’être ou Au-delà de l’essence, La
Haye, Martinus Nijhoff, 1974.
__________, Vérité du dévoilement et vérité du témoignage,
in «Archivio di filosofia», 1-2 (1972) 101-110, a cura di E.
Castelli, La testimonianza, CEDAM, Padova 1972.
__________, En découvrant l’existence avec Husserl et
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La verità come testimonianza în Emmanuel Lévinas
151
Heidegger, Vrin, Paris 19672 (1a ed. 1949).
__________, La traccia dell’altro, trad. it. a cura e con
postilla di F. Ciaramelli, Ed. Pironti, Napoli 1979.
__________, Altrimenti che essere o al di là dell’essenza,
trad. it. a cura di S. Petrosino e M. T. Aiello, Jaca Book, Milano
1983.
Ferretti, G., La filosofia di Lévinas. Alterità e trascendenza,
Rossenberg & Sellier, Torino 1996.
Schillaci, G., Relazione senza relazione, Tip. P.U.G., Roma
1996.
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