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Borgo di Terzo libro.qxp - Museo della Val Cavallina
Copyright © 2009 Comune di Borgo di Terzo Museo Valle Cavallina Coordinamento editoriale: Museo Valle Cavallina Fotografie e cartografie: Raffaele Cambianica, Mario Suardi Impaginazione grafica: Raffaele Cambianica Stampa: Grafica Monti Immagine di copertina: Elaborazione grafica su edificio medievale in Borgo di Terzo a cura di Raffaele Cambianica La riproduzione di atti notarili presenti nell’Archivio di Stato di Bergamo è stata autorizzata con n° 115 dell’1/12/2009. Mario Suardi DA TERZO A BORGO Evoluzione di una comunità sul finire del Medioevo Comune di Borgo di Terzo 2009 INDICE Presentazione 7 Introduzione 9 1. Il territorio comunale 11 2. L'insediamento antico 26 3. Il luogo di Terzo 31 4. S. Pietro in Aria 4.1 Le monache 4.2 Il patrimonio del convento di San Pietro 4.3 La stesura del Rotolo 34 38 42 49 5. S. Michele e Bartolomeo 51 6. Santa Maria a Borgo di Terzo 60 7. I Terzi 7.1 Paxino detto Abate 7.2 Alberto e Merino 7.3 Terzo e il suo “castro” 7.4 Pariboni da Terzo 7.5 Sgobati 7.6 Lupo de Lunatis 7.7 Mantenuto 7.8 Ardezone 68 70 74 80 84 85 85 88 88 8. I Suardi 90 5 9. Terzo e il Borgo di Terzo, due comuni 93 10. La popolazione 10.1 Terzo 10.2 Borgo di Terzo 105 106 111 11. Ad regias faciendas 11.1 Magli e fucine 11.2 Le famiglie che lavorano il ferro 11.3 Proprietà dei mezzi di produzione 116 121 128 133 12. Supremazia dei cereali 138 13. Notai, ma non solo 145 14. Ma i cavalli dove sono? 153 15. Lana e pannilana 159 16. Nubere polcellas 161 17. Il sogno di una casa 169 18. Alcune conclusioni 186 6 PRESENTAZIONE Da un po’ di tempo l’Amministrazione Comunale di Borgo di Terzo “lavora” con il Museo della Val Cavallina, realtà con sede a Casazza ma con interessi diffusi su tutto il territorio della Valle, per significative iniziative culturali; basti ricordare la mostra di dipinti nel Chiostro di San Michele, le esposizioni in Sala Consiliare su “Lorenzo Plebani Madasco”, “La valigia della memoria”, “Castanea”, gli interventi storico culturali nelle pause dei concerti di ”Bergamo chitarra”. Da questa passione comune per il territorio, l’ambiente e la storia locale è nata l’idea di realizzare un “quaderno”, primo - spero - di una serie, per sviluppare, approfondire e comprendere aspetti della nostra Comunità apparentemente lontani nel tempo, che tuttavia convivono con la cultura attuale. In particolare qui si analizzano i periodi del ‘300 e del ‘400 attraverso la lettura di atti notarili, ricavandone informazioni utili per capire l’economia ed il tessuto sociale di quegli anni che hanno visto prosperare a Borgo di Terzo una ricca attività legata alla lavorazione del ferro. L’auspicio è che la conoscenza e la consapevolezza del nostro passato siano bagaglio culturale e stimolo, soprattutto per le nuove generazioni, a ben operare nel futuro e pongano le basi per una sensibilità maggiore di noi tutti verso il nostro bel centro storico. Un ringraziamento sentito a tutte le persone che con il loro impegno hanno permesso questa pubblicazione; un grazie di cuore al Prof. Mario Suardi, artefice principale del lavoro. Buona lettura. Il Sindaco MAURO FADINI 7 INTRODUZIONE Dopo il volume di Don Felice Bellini, dal titolo Borgo di Terzo, presentato nel 1990, che proponeva una varietà di fonti recuperate all’epoca della ricerca, questo quaderno punta all’approfondimento del periodo tardo medievale, scegliendo una cronologia ben più ristretta. E nonostante la scelta di restringere l’indagine non si può certo dire che, rispetto al periodo analizzato, la ricerca si possa considerare esaustiva. La ricerca prende in considerazione un arco cronologico omogeneo, più vicino alle origini della comunità, partendo dalla metà del Trecento, epoca dalla quale la documentazione notarile conservata appare decisamente abbondante. La scelta di un periodo ristretto ha permesso di concentrare l’attenzione sull’analisi estesa della documentazione notarile conservata. La storia delle periferie e delle comunità locali negli ultimi decenni ha visto una grande produzione, e un ampliamento della ricerca, accompagnata da altrettanto interesse del pubblico; spesso tuttavia la trattazione soffre il limite della mancanza di dati, sufficienti per tracciare un percorso giustamente documentato. Non è questo il caso di Borgo, dove la documentazione è invece sovrabbondante e rischia di offuscare i fenomeni per eccesso di notizie. Per l’arco di tempo che va dalla metà del Trecento all’epoca attuale la documentazione notarile di questo luogo è estremamente analitica, supportata dagli atti di alcune decine di notai, e consentirebbe, se esplorata appieno, di tracciare una storia quantitativa lungo il corso di sei secoli, sia di Borgo che del territorio che va da Entratico a Grone, di cui Borgo risulta essere l’epicentro organizzativo. In questo quaderno si è cercato di tracciare alcuni ambiti di ricerca, riguardanti fenomeni generali, quali le famiglie, le attività produttive, le istituzioni, il ruolo del Convento e del potere signorile, 8 l’assetto urbanistico; questa scelta può consentire di attualizzare la prospettiva storica rendendo più facile il confronto con altri periodi, quando sarà da altri affrontato, oppure consentirà la più generale valutazione delle trasformazioni storico-ambientali. Sarà possibile ampliare la conoscenza della storia della Valle Cavallina attraverso il confronto con altre analoghe pubblicazioni promosse dalle comunità vicine, nella prospettiva di comprendere i processi che hanno caratterizzato e modificato il territorio. La grande mole di documentazione che caratterizza l’area di Borgo e il circondario, va spiegata con la presenza di numerose famiglie notarili che hanno rogato in questo luogo. Nella seconda metà del Trecento operano in prevalenza su questa piazza i notai Fachino de Modiis de Gaverina, quasi in contemporanea con Venturino de Muttis de Grono; nei decenni successivi qui hanno operato Antonio e Lorenzo, figli di Venturino e, in seguito, il nipote Cristoforo. Altro notaio originario di Grone, attivo verso la fine del Trecento, è Pre Gasparino de Baldis che compare come riferimento in vari atti dei Mutti, ma del quale non si è conservata documentazione; oltre ai notai Terzi, presenti in abbondanza dal sec. XIII in poi e per tutta la seconda metà del Trecento, a Borgo è attivo Gidino detto Mirane, la cui molteplice attività (commerciante, ufficiale della ferrarezza e del dazio, appaltatore) compare ampiamente documentata, ma del quale non ci è pervenuta documentazione dell’attività notarile. La ‘storia’ che ci accingiamo a leggere, utilizza quindi soprattutto gli atti dei notai cercando di sopperire alle lacune di determinati periodi mediante raffronti con i notai successivi. 9 1. Il territorio comunale Borgo di Terzo, posto nella parte inferiore della Valle Cavallina, è un comune con una superficie territoriale tra le meno estese tra quelle dei comuni della Valle. Essa è costituita da una striscia di terra che si spinge dal fondovalle, dove segue in parte il corso del fiume Cherio, fino al crinale del Monte Pranza (m.1.099) che separa la Valle Cavallina dalla contigua Valle del Luio e dalla Valle Seriana. Il territorio, pur risultando esposto sul versante destro della Valle, quello più solatio, a causa della morfologia poco idonea alla trasformazione agraria, ha dato luogo all’insediamento delle colture del seminativo e delle vite solo nella parte posta alle quote più basse; la parte più fertile, frutto certamente di più antica colonizzazione, è quel lembo di terra che si colloca sul terrazzo di Terzo. La condizione ambientale di tutta la parte alla quota intermedia, che si insinua nella Valle del Closale e oltre il terrazzo di Terzo, risulta meno idonea alle colture del seminativo come è ricordato anche nella toponomastica che nomina quest’area il Vago (ol vàch), nome tipico di tutte le aree poco esposte al sole. L’ombra pomeridiana del Colle Novessa (m. 672) si proietta sul versante destro della Valle del Closale riducendo il periodo di insolazione per questa parte del versante. La scarsità del territorio comunale, che risulta tale anche dopo l’unione dei due comuni storici di Terzo e di Borgo di Terzo, potrebbe apparire in contraddizione con le condizioni economiche del Borgo, caratterizzato ab antiquo da una robusta economia fondata sulla lavorazione del ferro e sulla molitura dei cereali. Già in epoca medievale i due comuni titolari di questo territorio, Terzo e il suo Borgo, si presentavano come luoghi ricchi per attività e traffici commerciali, in grado di competere con comunità ben più popolose, diventando il centro politico ed economico più rilevante della media e bassa Valle Cavallina. I centri abitati di questo territorio, la cui economia era fondata sull’agricoltura o sull’allevamento, presentano territori molto più estesi sia sul fondovalle che 11 in quota; ciò risulta facilmente comprensibile se si considera la diversa necessità di terra presente nelle economie agricole che hanno caratterizzato gli insediamenti rurali della Valle. La presenza di un territorio comunale particolarmente esteso non necessariamente segnala una condizione di ricchezza, ma sottolinea il tipo di attività cui sono dediti gli abitanti. La molitura dei cereali e il traffico della ferrarezza hanno reso ininfluente la necessità di un territorio abbondante, garantendo altre opportunità per la sopravvivenza degli abitanti e per l’approvigionamento di derrate alimentari. Il comune di Borgo in diversi momenti storici è diventato riferimento municipale per le comunità viciniori, l’ultima volta nel 1927 con la costituzione del Borgo Unito, poi perigliosamente sciolto tra gli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento. A partire dal Trecento emerge più volte la proposta di unione dei comuni di quest’area, con finalità essenzialmente fiscali senza giungere mai ad una unione amministrativa. Non esiste una descrizione del territorio, risalente ad epoca medievale, ma si può ricorrere a diverse fonti storiche che propongono una documentazione frammentaria, seppure estremamente utile, soprattutto se confrontata con le informazioni derivanti dalle tracce urbanistiche ed ambientali ancora presenti. Borgo, nel Trecento, è comune autonomo, rispetto al contiguo Terzo, di cui risulta essere di fatto una espansione urbanistica, posta ai piedi della collina di Terzo, dove ha sede l’insediamento più antico. La descrizione dei confini del Comune di Borgo, con atto rogato sulla pubblica via, in data 30 giugno 13921, avviene alla presenza dei consoli Zanuco Gironi e Pecino detto Zuparino; l’estensione del territorio è facilmente ricavabile dalle descrizioni dei tre cippi segnalati oltre che dalle indicazioni confinarie dei comuni limitrofi, in primo luogo da quelle di Vigano. All’epoca il comune di Borgo è racchiuso in un quadrilatero di poche centina- 1 Marchetti V., a cura di, Confini dei Comuni del territorio bergamasco (1392 -1395), Fonti per lo studio del territorio bergamasco XIII, Bergamo 1996. 12 ia di metri, delimitato dai confini di Vigano verso Nord-Est (Cimaborgo) e Nord-Ovest (contrada di Mura). A Sud-Ovest il torrente Closale traccia una delimitazione naturale con il contiguo comune di Terzo, fino alla sua confluenza nel Cherio, mentre a sud e a sud-est i limiti sono quelli del corso d’acqua principale, il fiume Cherio. Tali confini delimitano il centro storico, così come ancora oggi si presenta, e i broli limitrofi. Un atto analogo del comune di Terzo non si è conservato, ma i confini risultano definiti dalle segnalazioni emergenti dai comuni limitrofi, in particolare per i cippi confinari che separano Terzo dal comune di Luzzana, alla cui ricognizione partecipano Pecino, console di Terzo, e Zinino, un vicino dello stesso luogo. Gli atti per la revisione dei confini comunali, stesi dal notaio Cristoforo Terzi nel 1456, indicano la presenza di cippi che separano il comune di Terzo e di Borgo di Terzo dai comuni di Berzo S. Fermo, Vigano e Luzzana; la narrazione contiene dettagli descrittivi più analitici che permettono talvolta di valutare le trasformazioni ambientali e colturali, avvenute nei diversi periodi2. Nel documento citato i comuni di Terzo e di Borgo di Terzo si comportano come un unico comune, rappresentati per l’occasione dal console Antonio Gosini e da Tonino Monchi, vicino di Borgo. I confini con Berzo sono così descritti: partendo in Sumo Burgi Tertii (in Cimaborgo), di fianco alla casa degli eredi di Benedetto de Begis (Bega), e andando lungo il corso del Cherio fino al ponte sul fiume3, seguono la strada che arriva a Borgo da Entratico, fino al sentiero posto sotto la via di Berzo e alla pietra sotto la Ripa di Quaglia; da lì si va al Dossello oltre la strada della Ripa, vicino alla strada per Quaglia, e lungo quella strada fino sotto le case di 2 Confini mss, vol I. 3 Il ponte che attraversa il Cherio e permette l’accesso a Berzo S. Fermo è citato come esistente a questa data, ma compare occasionalmente anche in atti notarili della metà del Trecento, confermando la sua antichità, oltre che l’esistenza di un tracciato stradale su quel versante. La volgata locale indica questo ponte come ‘ponte romano’. 13 Quaglia e poi alla Valle Drudi, che separa dal territorio di Maico o di Entratico. Il confine comunale con Vigano inizia dal Fontanello, posto a Cimaborgo, vicino alla suddetta casa de Begis e procede fino al Cherio; si prosegue poi dalla parte opposta, verso Vigano, fino in cima alle ortaglie di Borgo di Terzo e ai campi a seminativo sotto Mura e si raggiunge la casa degli eredi Togni di Borgo, posta vicino alla valle (Closale); dall’angolo della casa, seguendo il fondovalle verso monte, si giunge alla fonte posta ai piedi dei Prati di Novessa, chiamata Fonte di Novessa e da lì si sale verso il Colle per la via del comune fino ad un fienile del Monastero di S. Pietro di Terzo e alla cima del colle di Novessa, dove si dice in imo Cossere de Grandenone, ovvero ai piedi delle cave di pietra cote (cossèra) di Grandenone4, poste in cima a prati di Novessa. Questo cippo approssimativamente si può ritenere collocato in prossimità dell’attuale Fienile Gandello. Si sale fino al Corno di Gordo, ovvero sulla cima del crinale, dove si incontrano i Comuni di Terzo, Luzzana, Gaverina, Vigano e Bergamo. Appare strano che il territorio comunale di Borgo di Terzo risulti così poco esteso, quando proprio i signori di Terzo erano i più attivi nel sostenere i propri diritti signorili su terre confinanti; a tale proposito si può ricordare la controversia tra i signori di Terzo e l’Abbazia di S. Benedetto di Vallalta per il controllo dei beni posti sul crinale del Monte Pranza5; bisogna ritenere che i diritti d’uso delle comunità locali e il controllo signorile sul territorio abbiano radici più antiche e seguano percorsi indipendenti. I confini con Luzzana partono dal Cornello dei Laffranchi (Valle della Corna), quindi dalla parte sommitale del territorio e, passan- 4 La presenza di cave di pietra cote sia nel territorio di Borgo di Terzo che di Vigano è confermato da documenti notarili dei sec. XIV e XV. La formazione geologica che ha permesso l’estrazione di pietra cote a Grone e a Berzo attraversa in quest’area la Valle consentendone l’emersione in alcune località, a varie quote, nella direzione del M. Misma. 5 Compromesso stipulato il 12 agosto 1237. Vedi Zonca A., Gli uomini e le terre dell’abbazia di S. Benedetto di Vallalta (sec. XII-XIV), pg 49, Comune di Bergamo e Comune di Albino, 1998. 14 do per la Costa Pendezza (Valle Pendesico) si arriva ad un confine posto alla Preda Cagniani; verso est si arriva alla Valle Aseti e poi alla fonte Busneti, alla Piazza di Zuplano (località Zuplano) e alla costa del Boschetto in cima ai Frontali. Proseguendo verso Est fino alla pietra in mezzo alla strada del comune che va a Borgo di Terzo sotto la “muraca” dei Rastelli; poi alla Valzella del campo Lamponi ovvero Valzella Mineti e alla pietra posta nella strada del Comune di Bergamo e poi alla fonte di Allongino di Terzo in Gromerio, ossia in prossimità di Quaglia. Molti dei riferimenti toponomastici presenti in questo tracciato sono meno noti; la costa Pendezza o i Frontali, toponimi che anche ad Entratico sono presenti e contigui, sono legati alla presenza di beni comunali e forse proprio per questo il nome si è conservato fino ad oggi. Alcuni dei riferimenti toponomastici citati rimandano a contesti di cui si è perso il senso, particolarmente quelli legati a nomi di proprietari dell’epoca, nomi e famiglie confermati dalla documentazione trecentesca e quattrocentesca. Altre segnalazioni offrono spunti di ricerca interessanti; così potrebbe essere per le cossere di Grandenone, ovvero le cave di pietra cote, che non si trovano in altra documentazione, sebbene sia risaputa la presenza in questa parte del territorio delle formazioni geologiche utilizzate per attività estrattive sia a Grone, come a Vigano o sul versante seriano del Misma. Il paesaggio storico di Borgo di Terzo risulta confermato con il Fontanello di Cimaborgo, dove nel Trecento ha sede il molino Moretti, la presenza degli orti oltre le case di Borgo che si è protratta fino ad oggi, la località Mura, il colle Novessa con beni del Monastero, il centro abitato di Quaglia. La difinizione dei limiti territoriali quattrocenteschi di Terzo e di Borgo di Terzo è del tutto simile alla delimitazione territoriale che emerge dai catasti ottocenteschi per il comune di Borgo di Terzo. Vi sono differenze limitate riguardanti piccole superfici o raddrizzamenti del tracciato; ne è un esempio la coda di terra che scende verso Borgo, compresa tra la strada per Vigano e la valle del Closale, che nel Quattrocento apparteneva al comune di Vigano, ora invece al Comune di Borgo di Terzo. 15 La toponomastica offre spunti interpretativi rispetto alle attività che si sono svolte in un determinato luogo, rimarcando un carico di storicità ancora riscontrabile, sebbene non se ne possa generalizzare ed estendere l’uso senza un vaglio critico e con il raffronto con altra documentazione del medesimo periodo. Sul filo di rilevazioni più recenti, in particolare quelle dei catasti ottocenteschi, si registrano nomi che fanno riferimento a situazioni colturali di varia epoca e ne definiscono l’ambiente colturale; talvolta è ancora possibile documentare tracce morfologiche, elemento di continuità, frutto di secoli di interventi sistematici di trasformazione. Tra i nomi elencati dal Catasto lombardo-veneto è scomparso il termine Cossèra, nominato invece nel Quattrocento; è bensì presente Noèssa, o Novessa, possedimento storico delle monache benedettine di Terzo, che ricorda l’insediamento ex novo di un impianto agrario, avvenuto in epoca medievale, già presente tuttavia nella documentazione due-trecentesca. Sul versante del colle di Noèssa si collocano diversi appezzamenti con nomi interessanti per la ricostruzione delle caratteristiche ambientali del paesaggio medievale; tali sono ad es. Casgneto e Gazzoli. Il termine Casgneto sta per castagneto e riguarda spesso aree comuni, con impianto di castagne da frutto, destinate allo sfruttamento collettivo da parte dei vicini del luogo. Una conferma della presenza in quest’area di castagneti da frutto del comune di Borgo e del Monastero di Terzo si trova in atti dell’inizio Quattrocento. Gazzoli si riferisce ad un’area chiusa all’attività dei vicini, destinata all’affitto o ad altre attività controllate dal Comune. Casgneto e Gazzo, come Gazzoli, sono termini ricorrenti in quasi tutti i comuni della valle e si collocano in aree dove hanno trovato spazio attività di pascolo collettivo e di raccolte naturali; normalmente si tratta di aree comuni, legate alla frequentazione dei vicini. Nell’area del Vago, che delimita geograficamente un bene di interesse collettivo, nell’Ottocento si nota la presenza di una località detta Ronco Fachetto, a quella data coltivata come ‘bosco castanile da taglio’; si può ritenere che la stessa area in epoca più 16 antica fosse un ronco6, ovvero una coltura a seminativo e vite, realizzato all’interno di beni comuni e che la sua evoluzione colturale lo abbia riportato alla condizione di un bosco di castagno, coltivato per il taglio di pali. Nella stessa area troviamo anche Scalvata, posta poco distante dal monastero di S. Pietro, a salire sul versante destro della valle Bonella, piccolo corso d’acqua che lambisce il dosso su cui sorge il monastero medesimo. Lo scalvare è la tipica operazione associata al taglio del bosco con la successiva pulitura dei tondelli e formazione dei carichi di legna; la scalvata è sottoposta ad un regime di maggiore controllo rispetto alle attività comunitarie, con divieto di pascolo per le capre o esclusione dello stramatico e del legnatico7 durante i primi anni della ripresa del bosco. Tutte queste località che conservano una toponomastica di origine medievale si trovano sul versante meno esposto del colle di Novessa, evocando quale poteva essere il paesaggio di quest’area nei primi secoli di vita del monastero di S. Pietro in Aria, ovvero tra XII e XV sec. Salendo in quota oltre Novessa si incontra Pramonte (Piamontè), un ampio slargo a prato con cascina, posta ai confini con la fascia del territorio comunale coperta da boschi; a queste quote le originarie riduzioni a coltura passavano dalla estirpazione del bosco spontaneo con formazione di un prato da taglio e in seguito l’insediamento di un edificio rurale ovvero di una teggia8 per la stabulazione stagionale del bestiame bovino. 6 Roncare indica in epoca medievale l’opera di riduzione a coltura di aree incolte, quali pascoli, castagneti e boschi, mediante lo scasso e, se necessario, la sistemazione di terrazzature. In epoca successiva il termine ronco si è identificato praticamente con le terrazzature realizzate su terreni acclivi. 7 Lo stramatico è il diritto di raccolta delle foglie morte e dei residui di erba secca da utilizzare quale lettiera per gli animali; l’operazione si sviluppava lungo tutto l’arco invernale. Il legnatico comprendeva diverse operazioni di raccolta di legna secca, ceppi secchi, cimaglie e minutaglie derivanti dal taglio del ceduo o anche la raccolta delle ciape ovvero scaglie di risulta, derivanti dal taglio degli alberi mediante scure. 8 Teggia deriva dal latino teges, copertura, ossia ambiente con un tetto. Può riferirsi a un ricovero di legno con tetto in paglia (teges paleata) o in coppi (teges copata) o in pietre (teges plodata). 17 Ci sono varie località indicate come Costa, ad esempio i grandi appezzamenti che a sembianza di ‘strigie’ regolari dividono sia parte del Vago che il bosco Canali (Canai), posti nella parte più alta del territorio comunale. In alto si trova anche Serradello, che deriva il nome da una elegante varietà di quercia, il cerro9, ancora presente in Valle Cavallina, ma molto più diffusa in epoca medievale, selezionata a quell’epoca per l’allevamento brado dei suini che si alimentavano dalla buona produzione di ghiande, o per la produzione di ottimo legname da opera. Un’area pianeggiante piuttosto ampia, posta sulla sinistra del Cherio, sul lembo di fondovalle lungo il corso del fiume, è denominata Chiosi, ovvero campi chiusi da siepi o da palizzate, dove trovavano posto colture più pregiate, in particolare la vite, meritevoli di essere protette dagli animali e dagli uomini. L’area antistante i Chiosi, sulla sponda opposta del fiume Cherio, è detta Moia, termine che definisce caratteristiche di un’area umida; già nel Quattrocento è presente una ‘muraca’, forse a difesa dal Cherio, e altri terrazzamenti, ma la bonifica viene completata presumibilmente dalla realizzazione dalla seriola del maglio Nazari10, in epoca cinquecentesca. Il curioso microtoponimo Pisterla, posto in prossimità della Valle del Closale, comprende un solo appezzamento, peraltro di modeste dimensioni, e trova notizia in documenti del XIV e XV sec. dove si cita la Pusterla del castello di Terzo, ovvero la porta secondaria posta sul versante del Closale, in corrispondenza del sentiero che conduceva al castello e alla chiesa di S. Michele. Interessanti Cassanico e Pesino, Pessino nel Trecento, posti nell’area del terrazzo di Terzo, lungo l’asse viario antico tra Terzo e Luzzana; su questi terreni ben esposti, probabilmente ridotti a col- 9 Quercus cerris, varietà di quercia di bel portamento e legno duro per botti e raggi delle ruote dei carri; diffusa nell’area mediterranea. 10 Il maglio Nazari, posto a sud del paese, è l’ultimo maglio realizzato a Borgo e rimasto attivo fino agli anni Sessanta del Novecento. 18 tura in epoca antica, il seminativo e la vite hanno trovato l’ambiente ideale. La conservazione della toponomastica è legata alla memoria delle attività svolte in un luogo, e spesso si mantiene anche quando la comprensione del significato dei termini è ormai venuta meno; allorchè altre attività si sovrappongono a quelle più antiche nuovi nomi prendono il posto di quelli precedenti e anche nel nostro immaginario cambia la geografia dei luoghi. La trasformazione del territorio porta alla naturale cancellazione e sostituzione della toponomastica, oltre ogni ragionevole sforzo di conservazione. 19 Valle Cavallina inferiore con localizzazione dei centri abitati presenti nel sec. XIV. 20 Borgo di Terzo, il colle di Terzo con il convento di S. Michele e Bartolomeo, l’antica sede del convento di S. Pietro e, verso Ovest, il colle di Novessa. Cartolina anni ’60 del Novecento (Archivio Giuseppe Pasinetti). 21 Carta del territorio comunale di Borgo di Terzo con localizzazione dei principali toponimi medievali. Paesaggio della Valle Cavallina con la conca di Berzo S. Fermo. Sullo sfondo la Valle del Closale con Terzo, il colle di Novessa, il Monte Pranza. Il disegno del centro storico del Borgo con edifici assiepati sulla via, a ridosso del corso della seriola dei magli. 23 Confine tra i comuni di Vigano e di Borgo di Terzo, segnato dalla linea di contatto tra i due edifici. Nei confini quattrocenteschi è segnalato il ponte sul Cherio che permetteva il collegamento con Berzo S. Fermo, localmente detto ‘ponte romano’. 24 Pessino, ora Pesino, insediamento già ricordato nella seconda metà del Trecento. 25 2. L’insediamento antico Il centro abitato di Borgo di Terzo si contraddistingue dagli altri insediamenti, posti all’interno della Valle Cavallina, per la sua collocazione fisica sul fondovalle, in prossimità del fiume Cherio. Solo l’abitato di Molini di Colognola, a distanza di circa tre chilometri, presenta una condizione analoga, di prossimità fisica e funzionale con il fiume, e si caratterizza per la presenza di un borghetto fortificato risalente ai secoli XIII-XIV, coetaneo all’insediamento del Borghetto di Terzo. Borgo non ha confronti in Valle Cavallina sia per lo sviluppo di attività artigianali, tra loro diverse, sia per l’uso della risorsa idrica che in questo contesto hanno raggiunto un livello ottimale, realizzando una condizione di integrazione e interdipendenza tra le attività artigianali presenti, ma anche tra queste e le attività agrarie del territorio circostante. Il Borgo, sorto come fondazione medievale, appare già ben articolato nella prima metà del sec. XIII, epoca a partire dalla quale la documentazione notarile e gli Satuti di Bergamo offrono le prime informazioni sulla presenza di un centro abitato e di un Comune; alla stessa data gli altri insediamenti della Valle Cavallina occupavano i terrazzi sopraelevati, più salubri e meglio adatti alle colture agrarie del seminativo e della vite. Il popolamento storico della Valle Cavallina medio-bassa, da Grone a Entratico, o da Luzzana a Vigano, si colloca su terrazzi fluvioglaciali, costruiti dalle deposizioni alluvionali del fiume Cherio in epoca antica e riscavati in epoca successiva dallo stesso corso d’acqua, creando una morfologia variegata e di particolare interesse scientifico. Questi terrazzi hanno ospitato insediamenti preistorici, cui si legavano spazi aperti e terre dissodate, insediamenti storici sparsi (Cantoni, Contrade), attività agrarie sviluppate in continuità secolare, in grado di orientare di fatto anche la localizzazione dei centri abitati medievali e più recenti. La statale SS 42, che scorre sul fondovalle, ripercorre, seppure con qualche variante, il tracciato medievale della strata Comunis Pergami ossia quello dell’antica strada del Comune di Bergamo. 26 Proprio all’altezza del centro storico di Borgo la SS 42 passa ora all’esterno del paese, a ridosso del fiume Cherio, con una variante tracciata all’inizio del Novecento. In antico, ad esempio in epoca romana, l’asse stradale originario quasi sicuramente scorreva più a monte, in fregio ai terrazzi che segnano la destra idrografica, lungo la direttrice stradale che da Redona, in comune di Trescore Balneario, raggiunge la Costa di Luzzana e da qui, mantenendo un andamento senza grandi dislivelli, attraversava l’abitato di Terzo. Il tracciato probabilmente proseguiva scendendo nella Valle del Closale e, superato il torrente in prossimità dell’attuale ponticello in legno, proseguiva in rettifilo poco a monte della attuale via S. Luigi. L’ipotesi della presenza di un asse viario, che sommariamente si sviluppava lungo un percorso tutt’oggi esistente, viene ricavato dalla distribuzione delle emergenze archeologiche di epoca romana, quelle individuate fino ad ora, con relativa toponomastica, e mai studiate in modo sistematico. Il ritrovamento di una tomba, databile al IV sec. d.C.11, avvenuta a Terzo negli anni Novanta, e i residui di un’area cimiteriale ad essa contigua, posta in corrispondenza dell’asse viario che porta al Convento di S. Michele, fa supporre la presenza di un abitato, poco discosto dall’area cimiterale medesima. Forse l’asse viario che si protende verso l’apice dello sperone roccioso, di cui è costituito il dosso di Terzo, rappresentava il percorso d’accesso all’abitato originario posto in luogo rilevante e strategico. Il toponimo Carobbio, all’ingresso di Terzo, richiama la presenza di un incrocio stradale e ricorda l’incontro tra l’asse viario proveniente da Luzzana e quello di accesso all’insediamento di Terzo; oggi tuttavia quel quadrivio è un trivio, rivelando una variazione urbanistica evidente. Sul colle opposto, detto monte Villa (Mut Vèla), ove ora sorgono la chiesa e le strutture del centro parrocchiale di Berzo S. Fermo, sorgeva una villa 11 Si veda il saggio di Fortunati M., Presenze archeologiche di età romana e alto medievale in Valle Cavallina, Cavellas, 1999. 27 romana che ha lasciato poche tracce residuali, scarsamente leggibili, e molto materiale di demolizione, traportato anche a distanza di centinaia di metri, verso il fondovalle e ai piedi del colle. Da Terzo, scendendo al torrente Closale, e proseguendo in territorio di Vigano, si incontrava un agglomerato insediativo pure d’età romana, che ha lasciato traccia nel sedimento linguistico del toponimo Mura. Su questo insediamento la documentazione risulta frammentaria, sebbene la grande quantità di macerie, diversamente rimaneggiate, e le tracce di attività artigianali, facciano pensare alla presenza di un vicus, forse lo stesso dal quale è derivato in seguito il toponimo Vigano, da vicanus, con il significato di ‘territorio del vico’. L’insediamento romano di Terzo è difficile da individuare per le trasformazioni introdotte dalle successive attività insediative che si sono susseguite in questo luogo. La costruzione del castello, che accompagna l’emergere della famiglia Terzi, ha rimaneggiato tutta la parte terminale dello sperone sul quale oggi troviamo il manufatto del convento di S. Michele. L’insediamento medievale di Terzo, che nel sec. XIV non coincide con il castello, si collocava lungo l’asse viario d’accesso al medesimo, nella parte del terrazzo posta a monte, e in epoca più tarda sarà il luogo dei palazzi Terzi, ancora oggi presenti. Non si può escludere l’ipotesi che la contrada di Terzo sia sorta sui resti dell’abitato d’epoca romana, come potrebbe far supporre il residuo toponomastico Campo Villa, ancora ricordato in prossimità dei ritrovamenti tombali, datati al IV secolo; tuttavia ad oggi non vi sono dati sufficienti per identificare e per delimitare l’insediamento più antico. Senza dubbio Terzo è il luogo originario da cui ha preso corpo l’abitato di Borgo di Terzo, come del resto bene è sintetizzato nel nome attuale. 28 Catasto Lombardo Veneto 1853. La forma urbis del Borgo, quale aggregato lineare addossato sulla via. In termini urbanistici non vi è distinzione tra Borgo e Cimaborgo, quest’ultimo amministrativamente in territorio di Vigano. 29 Il dosso di Terzo in antico sede del castello Terzi, della chiesa originaria dei Santi Michele e Bartolomeo, poi del convento benedettino di San Michele. Chiostro del convento secentesco di S. Michele con architettonico pozzo, posto al centro del cortile interno. 30 3. Il luogo di Terzo Oggi il luogo di Terzo ospita importanti manufatti architettonici che testimoniano la storia locale sia di Borgo, come di tutta la media Valle. In particolare vanno ricordati il castello Terzi, le Chiese dei Santi Michele e Bartolomeo, la chiesa di S. Pietro, il vecchio convento benedettino di S. Pietro nella località Aria, il nuovo convento di San Michele, il palazzo Terzi. Questa località raccoglie un palinsesto di documentazione, memoria, monumenti e luoghi di forte connotazione per tutta la Valle Cavallina. Il castello di Terzo è uno dei più antichi della valle, di poco posteriore a quelli di Endine e del Niardo a Trescore; lo troviamo citato nel 1142 in un contesto che ci fa comprendere come esso fosse la residenza di un signore e della sua famiglia. Il castello di Terzo, come il Niardo a Trescore, si pone in continuità, o forse in contiguità, con i resti di un insediamento d’epoca romana. Le difficoltà di analisi del manufatto derivano anche dalla scomparsa delle tracce della fortificazione, per le ipotetiche distruzioni attribuite al Barbarossa, o per la ristrutturazione delle rovine, segnalate come ancora presenti in atti notarili del Quattrocento; una descrizione risalente al 1426, poco prima del controllo veneto sulle fortificazioni locali, sembra confermare la sopravvivenza di strutture fortificate, quali la roccheta e la fossa, in grado di supportare una funzione militare ancora attiva. Per ricostruire la tipologia e l’estensione dell’edificio dobbiamo quindi affidarci a tracce documentali d’epoca tarda12. Nel XII secolo la realizzazione del castello, sullo sperone roccioso che incombe sul fondovalle, obbedisce a logiche di rappresentanza di una famiglia locale, che prende nome dal luogo di origine, e segna l’influenza di questa famiglia o il suo ruolo dominan- 12 Instrumentum hereditatis Beti et Federici de Tertio, 29 aprile 1426, notaio Cristoforo Terzi, faldone 185, vol II°, pg 289. ASBg. 31 te sul territorio della bassa Valle Cavallina, oltre che nel territorio bergamasco. Il vico di Terzo, attestato già dall’inizio del secolo XI13, è presente come insediamento indipendente rispetto al castello dei Terzi; pertanto il lento processo di fortificazione di un villaggio, noto come incastellamento, non trova riscontro in questo caso. La fondazione autonoma e parallela del castello Terzi sottolinea l’emergere di una famiglia locale, il cui potere signorile si è già affermato sia nel contado che nella città. La modalità delle origini e la distanza fisica del villaggio dal castello, seppure modeste nel tempo e nello spazio, sembrano contrassegnare l’autonomia tra le due fondazioni. 13 Zonca A., L’organizzazione del territorio della Valle nel Medioevo, Cavellas, 1999, pg 101. 32 Terrazzo di Terzo e Valle del Closale in una cartolina degli anni ’30 del Novecento (Archivio Giuseppe Pasinetti). Urbanizzazione di fondovalle dalla quale emergono il monastero di San Michele a Terzo e il tracciato del Borgo. 33 4. S. Pietro in Aria L’ecclesia Sancti Petri compare nei primi decenni del XII sec. e, nella sua gestione, è sempre associata alle monache e alla fondazione del monastero. Nel 1156 due proprietari di Entratico, Alberto e Vuassone, figli di Corrado de Cunio de loco Trescurio14, ricevono dal converso Arnaldo e da domina Imelda, indicata anche come domina massara, 50 denari d’argento per i beni e le case cedute alla chiesa di S. Pietro di Terzo. Vent’anni più tardi, nel 1179, in un atto di acquisto di beni a Terzo, posti in località Noessa, si utilizza la formula accepimus a te Imelda ecclesie santi Petri de Tercio domina et ministratrice15; il ruolo di Imelda è assimilabile a quello di badessa, sebbene non si utilizzi ancora il termine monastero, ma si sottolinea che Imelda agisce a nome e per parte della chiesa di S. Pietro. Il documento del 1179 aggiunge alcune informazioni rispetto alla consistenza edilizia del complesso monastico; l’atto avviene in solario casa ecclesie sancti Petri segnalando che la chiesa possiede una casa con solaio, probabilmente posta presso l’edificio religioso, primo nucleo del futuro monastero. Nel 1215 Agnese, che agisce quale responsabile per S. Pietro, è indicata come abbatissa e domina della suddetta Chiesa; all’atto, rogato sub quodam porticu ecclesie Sancti Petri de Tertio, ossia sotto il portico della chiesa di S. Pietro, sono presenti le altre monache del capitolo, che costituiscono il nucleo effettivo di una struttura conventuale. Un atto simile del 1228 vede Agnese scambiare terre ad Entratico sempre con altri componenti della famiglia Terzi e, seppure non si parli ancora di monastero, è segnalata la presenza di altre monache. 14 I rapporti con persone provenienti da Conio ossia dal villaggio di Cuniolo, posto sul colle del Niardo a Trescore, derivano dal matrimonio tra Ugo da Terzo e Uselen de Conio. Si veda atto (a. 1142), citato in Borgo di Terzo di Felice Bellini, che utilizza materiale documentario individuato e trascritto da Andrea Zonca. 15 ‘Abbiamo ricevuto da te Imelda delle chiesa di S. Pietro di Terzo signora e amministratrice…’. Riportato in nota a pg. 81 del volume Borgo di Terzo di Felice Bellini. 34 Nel 1229 si usa espressamente la dizione super solarium ecclesie monasteri sancti Petri de ipso loco Terci; dovrebbe essere il medesimo solaio dell’atto rogato nel 1179, tuttavia qui si dice più esplicitamente ‘chiesa del monastero’. I due atti, datati 1249 e 1267, aprono alcuni spiragli sulla evoluzione del complesso monastico. La badessa Galizia, nel 1249 acquista una casa, con tegete e varia terra a S. Pietro, i cui confini fanno pensare che il nuovo acquisto si collochi entro il perimetro fisico del convento attuale; un secondo appezzamento di terra che risulta collocato poco discosto dal precedente, completa il corpo centrale dei beni monastici. La badessa Richelda, nel 1267, stipula un atto in claustro ecclesie Sancti Petri, rivelando per la prima volta la presenza di un chiostro del convento o di uno spazio chiuso. L’apparato conventuale, a questa data, appare costituito dalla Chiesa di S. Pietro, dal chiostro della chiesa medesima e da una casa con una o più teggie contigue al chiostro, oltre alle terre a ridosso del monastero e in plano. La configurazione urbanistica sembra avere raggiunto la sua versione quasi definitiva, quella che verrà mantenuta senza grandi variazioni fino al sec. XVII, epoca del trasferimento delle monache ad altra sede. Come si afferma anche in una recente tesi di laurea che analizza gli aspetti architettonici e di degrado del complesso edilizio di Aria16, il S. Pietro attuale è un edificio la cui costruzione va attribuita al sec. XVI, non però sulle fondamenta della omonima chiesa romanica. L’analisi dell’edificio attuale non conserva nelle proprie pareti tracce di brani murari o di elementi architettonici risalenti ai secoli XII-XIII; ciò fa supporre una fondazione ex-novo in uno spazio contiguo fino ad allora non ancora edificato e l’abbattimento dell’aula romanica. Accertato che l’edificio originario non può corrispondere a quello attuale, ed esclusa l’ipotesi che l’edificio nuovo sia stato intera16 Si veda a pg. 23 del volumetto Il monastero di S. Pietro a Borgo di Terzo, edito da L’Impronta, 1993. La pubblicazione è la sintesi della tesi di laurea degli architetti Luigina Bianchi, Roberto Castelli, Daniele Pontiggia. 35 mente rifatto sul medesimo sedime, possiamo lasciarci guidare da alcune tracce presenti all’interno del recinto conventuale, per collocare il S. Pietro originario. La parete del ‘luogo delle tine’, posto di fronte all’ingresso della cantina e la parete ad essa ortogonale conservano residui di intonaci con tracce di affresco ed elementi architettonici tamponati che fanno pensare ad una collocazione in questo spazio della chiesa romanica; essi segnalano un edificio precedente, costruito leggermente più a est, con diverso orientamento e in perfetta simbiosi con le strutture conventuali originarie. Una valutazione sulla consistenza di quell’edificio risulta tuttavia difficile, se non per un confronto induttivo e per analogia ad esempio con l’omonimo S. Pietro di Spinone, la cui fondazione risulta quasi coeva alla chiesa di S. Pietro in Aria. Resta da chiarire la motivazione della demolizione di un edificio cui le monache dovevano attribuire un particolare valore simbolico essendo legato all’origine dell’istituzione medesima; vedremo più avanti una possibile spiegazione di questo ‘misfatto’! Nel 1359 il capitolo generale delle monache si svolge in loco de Tercio ad Santum Petrum in Monasterio Santi Petri17, indicando le due entità come presenti nello stesso luogo, anzi la chiesa come interna al monastero; fino a questa data gli atti del monastero sono rogati nella chiesa di S. Pietro o sotto il portico della chiesa, talvolta super lobiam o in claustro. A partire dalla seconda metà del Trecento S. Pietro compare meno frequentemente negli atti delle monache, visto che il riferimento stabile a quella data è diventato il convento o la clausura; l’edificio religioso che originariamente conferiva titolo all’aggregato monastico si configura ancora per un largo periodo come una cappella, strettamente legata alla pratica religiosa conventuale. Solo verso la fine del Quattrocento si determina una rilevante variazione istituzionale con accorpamento a S. Pietro del beneficio della chiesa di Terzo e l’emergere di nuove necessità di culto e di apertura ad un pubblico più ampio, con conseguenti nuove esigenze di spazio. 17 Notaio Fachino de Modiis de Gaverina, faldone n. 80, ASBg. 36 Il complesso dell’edificio monastico di S. Pietro in località Aria. Sono leggibili la chiesa di S. Pietro, la casa conventuale con chiostro, i rustici. Convento di S. Pietro da ovest. La geometria dei tetti segna le diverse fasi costruttive storiche. 37 4.1 Le monache Il monastero delle monache benedettine di Terzo è l’unica istituzione monastica presente in modo documentato in Valle Cavallina, durata con alterne vicende circa 700 anni, fino alla soppressione napoleonica. La fondazione e i primi secoli di vita si intrecciano saldamente con la famiglia da Terzo, da cui trae origine l’assetto patrimoniale. Il convento di S. Pietro in Aria nasce già prima del 112218 e obbedisce ad una tradizione di molte famiglie nobili medievali, che vede in questo investimento, oltre ad una garanzia per l’eternità (pro remedio animae) anche una forma di salvaguardia del patrimonio familiare che, in qualche modo, continua a permanere sotto il controllo della famiglia. Resta incerta la data della fondazione, fatta risalire da alcuni al 110819, in ragione della trascrizione secentesca (a.1650) di un documento che reca tale data, riguardante l’acquisto di una casa con corte e beni in territorio di Maico20. E’ possibile costruire un elenco delle monache del convento attraverso gli atti notarili nei quali esse sono menzionate, visto che spesso tutto il capitolo è presente alla stipula; dagli atti emerge sia la provenienza, essenzialmente locale (Grone, Berzo, Terzo), che l’appartenenza a famiglie nobili o del notabilato. Durante il Medioevo sono presenti nel convento le figlie di diverse famiglie Terzi, Mutti, de Bullis e alcune altre monache provenienti dalle più importanti famiglie locali. La condizione patrimoniale del convento, frutto di donazioni dei Terzi e dell’apporto delle doti delle monache, ammonta nel Trecento ad alcune centinaia di pertiche, distribuite prevalentemente nei luoghi di Terzo, Vigano, Luzzana ed Entratico (Maico). 18 Zonca A., L’organizzazione del territorio della Valle nel Medioevo in Cavellas 1999, pg 201. 19 Si veda il quaderno pubblicato in occasione della mostra La presenza dei benedettini a Bergamo e nella bergamasca, edito nella collana Fonti per lo Studio del territorio Bergamasco, a cura della provincia di Bergamo, 1982. 20 Il documento citato da vari autori è L’inventario degli strumenti et scritture che hanno in casa le molto reverende madri di S. Pietro di Terzo, ACVBg, Archivio Conventi Soppressi. 38 Nel 1215 la badessa Agnese, supportata da un capitolo di quattro monache, acquista un terreno aratorio a Terzo, in località inter clusuras. Nel medesimo anno si concretizza l’acquisto un corpo importante di beni situati a Luzzana costituito da dodici appezzamenti di terra; tuttavia non si ha traccia di queste proprietà nella gestione trecentesca del monastero. La stessa badessa, nel 1217 e 1228, realizza due importanti ristrutturazioni fondiarie dei beni monastici, cedendo ad Adelardo e ad Enrico Terzi cinquanta appezzamenti di terreno a Bolgare, Telgate, Chiuduno e S. Stefano, e ricevendone in cambio numerose proprietà situate a Maico. Ancora nel 1228 Agnese scambia con i Terzi quattro proprietà ad Entratico, ottenendo la metà pro indiviso della sors Domenchonum, nel paese di Maico, costituita da ben ventinove appezzamenti, di cui nove prativi, quindici aratori, tre vitati e uno ortivo! Gli scambi e gli accorpamenti di terre sono importanti per una gestione più efficace del patrimonio; tuttavia dietro il buon esito di queste operazioni si intravede il ruolo di patronato e il sostegno che i Terzi esplicano nei confronti dell’istituzione monastica. L’acquisto di una terra in clusura, nel 1229, in prossimità del convento, completa l’opera di Agnese. La nuova badessa Galizia, figlia di Alberto da Terzo, nel 1243 riceve un quinto di una terra prativa a Gavazolo (Maico), poi l’investitura perpetua della decima su sette appezzamenti di terra a Terzo, relativa ai beni di Girardo e Bonapaxio Terzi, con affitto simbolico di un denaro. Nel ventennio della badessa Galizia il capitolo conta 6 monache, 5 di famiglie Terzi e una Richelda de Bullis, rappresentante di un importante ceppo berzese, esso pure di lontana derivazione dai Terzi. Sfugge a questa serie di acquisizioni l’elenco delle proprietà collocate nel territorio di Vigano, ad eccezione di un appezzamento, posto al Ronchello, pervenuto al monastero da un acquisto del 1265. Le presenze, tra Due e Trecento, variano da quattro a sei monache, qualche rara conversa e, per solito, uno o più frati conversi. Il primo documento sulla gestione effettiva del patrimonio fondiario lo fornisce ancora la badessa Galizia, nel 1265, attraverso l’in39 vestitura ai Masnati di Maico. Lanfranco e i fratelli Masenati o Masnati di Maico, in seguito Mocchi, e il figlio emancipato Vincenzo, ricevono in concessione come affitto per diciotto anni un appezzamento di terra a prato, posto a Gavazolo; pagheranno ogni anno 16 soldi imperiali e costruiranno una teggia di cinque spazi (spacia) entro un anno; sono testimoni due frati conversi, del convento di Terzo, e frate Giacomo detto Libera di Spinone. Seguono altri atti di investitura per affitti di terre, spesso si tratta di contratti ad meliorandum ad tempus longum (ventinove anni) come nella consuetudine del periodo. Nel 1290 la badessa Brexiana fu Maifredo da Terzo affitta a Viviano detto Alberto Bragazone di Maico un prato con un pero ed altri alberi, riscuotendo un affitto di 12 soldi; come nella tradizione dei contratti ad meliorandum, gli affittuari devono realizzare alcuni miglioramenti al fondo; in questo caso dovranno costruire tre spazi di una teggia palleata, ovvero con tetto coperto di paglia, e murata di buon muro fatto con malta di calcina, con tre pareti e una porta, a carico del convento; a sue spese Viviano dovrà fare un gratonum per la parete della teggia e garantire il legname e la copertura21. In entrambi i casi si rileva la propensione delle monache a realizzare negli appezzamenti a prato, una teggia ovvero un edificio rustico, oggi si potrebbe dire una baracca, idoneo per il ricovero del bestiame, del fieno e dello strame, suddiviso in spazi funzionali all’allevamento e al mantenimento del prato. Per queste aziende agricole, generalmente per i prati e i pascoli, diversamente che per i seminativi, l’affitto si paga in denaro e normalmente si accompagna alla valorizzazione della proprietà. Nella seconda metà del Duecento si avvia una politica di affitti dei beni del monastero e di oculata gestione, secondo canoni e condizioni che non sembrano molto dissimili da quelle operate dagli altri proprietari dell’epoca. 21 La documentazione duecentesca analizzata è sempre tratta dalla trascrizione di Andrea Zonca pubblicata alle pp. 162-176 del volume Borgo di Terzo di Felice Bellini, a cura dell’Amministrazione Comunale, 1990. Il gratonum riguarda un graticcio ottenuto da intreccio di legni di bosco, spesso virgulti di castagno, sui quali si poteva stendere uno strato di malta di calce. 40 La ‘nuova’ chiesa cinquecentesca di S. Pietro, addossata sul lato sud. 41 4.2 Il patrimonio del convento di S. Pietro Alla metà del Trecento è possibile fare una valutazione delle relazioni tra le monache e gli affittuari, oppure confrontare l’ammontare degli affitti e delle terre date in concessione22. La badessa domina Gisella de Bullis compare nel 1358 quale attrice in due atti stipulati con persone di Vigano, Zanino de Lavalle e Giovanni detto Zanca, per la vendita di cereali. Varie persone di Vigano compaiono nel 1360 quali affittuari di varie pezze di terra, in sei atti consecutivi, per il pagamento dell’affitto alle monache o per il ricevimento dell’investitura successiva, spesso di durata novennale. Il 18 ottobre nel Monastero di S. Pietro, in presenza di quattro testimoni di Vigano, la badessa Gisella, assistita dal capitolo, dal converso frate Fachino de Bonaxis e dalla conversa Paxina di Calcinate, da in affitto a Guarino fu Fapano di Terzo, abitante a Vigano, varie pezze di terra per un periodo di nove anni. Consistenza dei beni concessi in affitto a Guarino Fapano di Vigano, che abita a Terzo. N. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Coltura Aratoria Aratoria Aratoria Aratoria Aratoria, in parte vitata, ronchiva con alberi Aratoria, in parte vitata Aratoria Aratoria Aratoria e vitata con alberi Aratoria Superficie 15 tav. 22 tav. 18 tav. 9 tav. 2 pt 5 tav. 23 tav. 3.5 tav. 8.5 tav. 18 tavole Località A S. Martino In Mura In Mura In Plazolis Ad Ronchum In Campello In Dosso In Dosso In Castello Ad Fontanellum 22 Tutti gli atti del convento in questo periodo sono rogati dal medesimo notaio, Fachino de Modiis de Gaverina e si trovano nel faldone 80, ASBg. Va ricordato che il notaio de Gaverina è stato studiato nella tesi di laurea dal titolo La Valle Cavallina intorno alla metà del Trecento dagli atti del notaio Fachino de Modiis de Gaverina (1358-1361), di Silvana Rita Cafaro, Anno Accademico 1994/95, Università degli Studi di Milano. 42 Si può notare che la superficie degli appezzamenti è generalmente modesta e non raggiunge la pertica bergamasca di superficie. Tenuto conto che una pertica vale circa 663 metri quadrati e che una tavola è un ventiquattresimo di pertica, la superficie complessiva delle proprietà date in concessione a Guarino è di circa 4700 metri quadrati, un po’ meno di mezzo ettaro e poco più di sette pertiche. L’affittanze è costituita da piccoli appezzamenti distribuiti irregolarmente nel territorio di Vigano; la frammentazione delle proprietà rispecchia la condizione originaria di provenienza di ciascuna terra. L’affitto da pagare è di dodici staia23 di frumento e dodici di miglio all’anno, ossia circa 180 kg di frumento e un po’ meno di miglio. Confrontando l’ammontare degli affitti richiesti dai grandi possidenti laici per i terreni coltivati a seminativo, nello stesso periodo e negli stessi luoghi, è possibile valutare l’eventuale diversità di atteggiamento dei possidenti locali. Domino Venturino de Muttis (notaio), per terre in Grone, riceve in affitto due some24 di frumento e due di miglio, quattro staia in più rispetto alle richieste per gli affitti riscossi dal monastero su analoghe superfici. Nelle aree collinari il raffronto non è tuttavia così facile, perché oltre alla superficie complessiva delle terre contano anche la qualità del suolo, l’esposizione, ossia una serie di fattori che possono incidere fortemente sulla produttività. E’ più semplice porre a confronto le concessioni dei singoli affittuari delle monache considerando serie di atti stipulati nello stesso anno e in ambiti geografici simili. Molte delle concessioni degli affitti di Vigano vengono rinnovate nel 1360/61, come esposto nella seguente tabella. 23 Lo staio bergamasco è la misura di capacità più utilizzata localmente per gli aridi e vale 21.4 litri, che per il frumento corrisponde a circa 16 chili. 24 La soma vale 8 staia, 24 stopelli. 43 Anno Affittuari Località (Vigano) Affitto annuo 1360 Bertolotto e Giovanni Una casa con coppi e plode in villa di 11 staia di frumento, Folzone di Vigano Vigano, altri terreni in Mura, in Dosso, in 11 di miglio, 36 soldi Prata. 1360 Betino detto Faba di 3 appezzamenti ad Fopas de S. Martino, 2 some di frumento e 2 Vigano altri ad Roeram, ad Puxam, ad Roncum di miglio, 6 soldi, 2 Asini, ad Cornum, in Uniollo, in Mura, in capponi Tollis, in Canevallis 1360 Guerino fu Fappano di 12 appezzamenti a S. Martino, in Mura, in 12 staia di frumento, Plazzolis, ad Ronchum, in Dosso, in 12 di miglio Terzo Castello, ad Fontanellum 1360 Zoanino fu Giovanni 9 appezzamenti ad Ronchellum, ad 15 staia di frumento, Fastazium, in Uniollo, in Via Cava, in 15 di miglio, 13.5 solPecteno di Vigano Tollis, sub Solario, in Clusura, in Dosso, in di, 2 capponi Castello Vigani, in Honeta a Grone. Una casa in Villa de Vigano 1360 Iacopo fu Pietrobono de 7 appezzamenti a Sumprato, ad Concas, 18 staia di frumento, Sumprato di Vigano in Bonfato, in Quetla, ad Cornellum, ad 18 di miglio, 7 soldi, 2 Vagam, in Mura capponi 1361 Vitalino fu Bonazolo di 7 appezzamenti, di cui tre in Mura, uno in 9 staia di frumento, 9 Vigano Fopzolis, 1 ad viam de Ponte e una casa in di miglio, 30 soldi Villa de Vigano 1361 Betino fu Bonazolo 4 appezzamenti ad Cassinam, in Dosso, 3 staia frumento e 3 di super Cornello, subtu Dossum miglio Gli atti redatti per le monache sono sempre molto analitici nella descrizione degli appezzamenti, anche le condizioni dell’affittanza si ripetono con richieste in quantità di cereali, sempre in pari quantità di miglio e frumento. Il miglio presentava una valore commerciale minore rispetto al frumento, ma il rendimento della coltura era maggiore e perciò spesso veniva privilegiata dal coltivatore; esso era sempre richiesto negli affitti locali di questo periodo. A Borgo si registra un mercato del miglio con prezzi di poco inferiori a quelli del frumento; nel 1358 le stesse monache vendono a due persone di Vigano ben sei some di miglio (quarantotto staia, circa sette quintali). I terreni concessi in affitto a gente di Vigano, che si collocavano tutti nel territorio di quel comune, presentavano anche superfici coltivate a vite, mediamente un appez44 zamento per ogni affittanza, nei quali tale coltura si associava al seminativo. I canoni pagati non attestano però la presenza di uva o di vino, ma sempre solo cereali; il convento accoglie anche canoni in vino, che riguardano solo alcuni affitti di Entratico. Gli affittuari di Vigano traggono il loro utile solo dai beni avuti in concessione dal convento o godono di altri redditi? La valutazione che emerge dal riscontro sui confini delle proprietà signorili è la presenza di un buon numero di piccoli appezzamenti di proprietà delle famiglie di Vigano, il cui ruolo è importante nel raggiungimento di una condizione economica accettabile. Le affittanze accese dalle monache nel 1360 si riferiscono esclusivamente a Vigano, ma sappiamo che i beni del convento sono dispersi nella media Valle, anche in altre località: a Terzo, a Luzzana e a Entratico. La badessa nel 1361 affitta treantadue pezze di terra e una casa, situate a Maico, a persone del luogo per sei some di frumento, sei di miglio, ma anche quattro carri di vino, 36 soldi e quattro capponi; sembra che il vino di Maico sia particolarmente apprezzato dalle monache, visto che nell’atto si richiede esplicitamente de vino nostrano de Mayco25. Gli affitti per le terre di Terzo (Noexa, Plazmonteum, Zuplano, ad Cerum), date in concessione a quattro persone provenienti da Maico e da Quaglia, richiedono oltre a 10 lire anche sette libbre di cacio (formaggio) boni pulcri, sucti, salati e bene asestati26; la presenza del formaggio va posta in relazione con la proprietà di Noessa, costituita da circa trenta pertiche di prato sul monte di Terzo. In base alle caratteristiche ambientali dei terreni e quindi dei tipi di produzione vengono richiesti dei generi destinati al bisogno alimentare del convento piuttosto che alla commercializzazione; Vigano è la terra del grano e dei cereali, Terzo del formaggio, Entratico del vino. 25 Fachino del Modis de Gaverina, faldone 80. ASBg. Il carro vale circa 425 litri. 26 Una libra vale Kg 0.8 circa e pertanto la richiesta si aggira su 5.7 Kg di formaggio. Le ulteriori indicazioni riguardano la valutazione della qualità; si richiede un formaggio buono, asciutto, salato e ‘bene assestato’, si potrebbe dire bene maturato, senza bolle d’aria al proprio interno. 45 In questa periodo non sono mai menzionati i beni del monastero a Luzzana; ciò fa supporre che non siano più nella gestione diretta delle monache, anche se non vi sono atti di vendita o note che descrivano una diversa forma di gestione. Negli anni Sessanta il monastero, oltre alla badessa Gisella de Bullis, ospita altre tre monache, tutte provenienti da Grone (Mutti, Federici, Chinotto) e una conversa di Calcinate. Il rapporto con i Terzi appare più labile e la condizione economica delle monache non sembra presentare preoccupazioni; gli introiti degli affitti garantiscono una buona rendita. La badessa Gisella delega con maggiore frequenza la riscossione degli affitti e la stipula di atti a frate Fachino de Bonaxis di Berzo, converso del monastero, che sarà il fiduciario per alcuni decenni. Dopo un ventennio di vuoto notarile, nel 1382 un atto del monastero ripropone frate Fachino quale attore per la stipula di due contratti per una soccida di bestie bovine27, potremmo dire una strategia innovativa per il convento, forse ispirata dalle molteplici attività dello stesso converso e dal maggior peso che la sua presenza va acquistando in un capitolo decisamente debole. Un atto rogato nella chiesa del monastero, nel 1386, vede il capitolo generale costituito dalla badessa Benvenuta de Muttis e Zoanina figlia di Teutaldo, perché ‘nel monastero non vi è alcuna altra monaca’. L’atto viene stipulato su richiesta del converso Fachino de Bonaxis per registrare il versamento al monastero di quanto aveva riscosso a nome del convento e, di seguito, per ottenere la reinvestitura per altri nove anni del ruolo di fiduciario delle monache. Ci si chiede quale possa essere stata la causa di questa condizione di crisi e perché vi sia stata una riduzione del numero delle monache! Il ruolo dei Terzi sembra meno importante, sottolineato in questo periodo anche dal fatto che non vi sono discendenti dei Terzi tra le monache di S. Pietro. Va ricordata anche la ricorrenza 27 Notaio Antonio de Muttis, faldone 115, anni 1376-1386, ASBg. 46 delle epidemie di peste che nel secondo Trecento hanno colpito duramente nel 1361, nel 1371-1374 e nel 1381-138528, coinvolgendo anche i paesi della Valle Cavallina; non abbiamo tuttavia riferimenti certi per poter verificare tale ipotesi, rispetto alle presenze nel monastero. 28 La questione del ruolo della peste nella popolazione locale viene proposta nella tesi di laurea dal titolo La Valle Cavallina intorno alla metà del Trecento dagli atti del notaio Fachino de Modiis de Gaverina (1358-1361), di Silvana Rita Cafaro, Anno Accademico 1994/95, Università degli Studi di Milano. 47 Vigano e il suo territorio in una cartolina risalente agli anni ’20 del Novecento (Archivio Giuseppe Pasinetti). Valle di Quaglia con le terre del Comune di Maico, dove nel Trecento si collocavano varie proprietà del convento di Terzo. 48 4.3 La stesura del Rotolo Nel 1482 con Bolla papale di Sisto IV viene unificato il beneficio della chiesa di S. Michele e Bartolomeo alla chiesa di S. Pietro, con obbligo per le monache di mantenere il Parroco di Terzo. La scomparsa del beneficio determina un perdita di ruolo per la chiesa di S. Michele e Bartolomeo che si risolve a favore di S. Pietro e del monastero. L’unificazione di fatto, avvenuta nel 1488, è accompagnata nell’anno successivo dalla stesura del Rotolus seu instrumentum Monasteri Santi Petri de Tercio, stilato dal notaio Giovanni Terzi fu Comino29. Il Rotolo è una ricognizione generale delle proprietà del monastero che offre un quadro di tutti i beni in dotazione. Il complesso monastico a questa data è costituito da alcune case con un colombario, un torchio; all’interno del perimetro conventuale si trova anche la chiesa di S. Pietro, attorno si stendono venticinque pertiche di terra aratoria e vitata, con brolo e molti alberi da frutto; poco distante un altro appezzamento di sette pertiche, aratorio, prativo e con castagne, nella località al Pozzo, oltre ad altra terra ‘prativa castegniva e maroniva’, contigua alla precedente, nel luogo dove si dice nei ‘Maroni di Terzo’. L’aspetto più innovativo tuttavia non riguarda gli edifici o le terre di proprietà, che non hanno subìto variazioni, ma le componenti sociali che rappresentano la gestione e la popolazione conventuale; all’atto del Rotolo la badessa è domina Sofia Zappella di Vigano, mentre solo qualche mese prima il convento era rappresentanto da Margherita de Begis, entrambe discendenti di importanti famiglie del Borgo, che hanno raggiunto un nuovo stato sociale nel corso dell’ultimo secolo. 29 Notaio Giovanni fu Comino Terzi, faldone 741, vol. III, ASBg. 49 Frontespizio del quadernetto del Rotulus seu instrumentum monasteri sancti Petri de Tercio, rogato dal notaio Giovanni fu Comino Terzi nel 1489. 50 5. S. Michele e Bartolomeo La chiesa di S. Michele e Bartolomeo occulta le proprie origini, sotto le stratigrafie del tempo, che ascendono a quasi mille anni. Poiché si tratta della chiesa del villaggio di Terzo potremmo supporre che anch’essa vanti un’origine risalente agli albori dell’insediamento medievale, ossia ai sec. XI-XII e che risulti coeva e coerente con quella comunità. Anche in questo caso la mancata sopravvivenza di strutture murarie non ci permette un’analisi comparativa degli elementi architettonici e una datazione su pure basi materiali. La documentazione delle monache di Terzo, in particolare le pergamene che descrivono le proprietà acquisite dal convento nei primi secoli di vita, fanno registrare la presenza di chierici o di terreni di proprietà della chiesa di S. Michele e Bartolomeo. Il domino Vincenzo, presbitero della chiesa di S. Michele di Terzo, è presente quale teste negli atti del monastero, quelli redatti nel 1217 e nel 1229, confermando una gestione autonoma di S. Michele rispetto alla chiesa di S. Pietro di Terzo. La supposta distruzione del castello di Terzo ad opera del Barbarossa, secondo alcuni avrebbe avuto effetti disastrosi anche sull’edificio di S. Michele, che avrebbe seguìto il destino del castello. Non vi sono elementi per confermare tale versione o per immaginare una diversa collocazione dell’edificio religioso, anche se documenti trecenteschi appaiano talvolta contradditori nell’indicare il luogo dell’edificio. Le indicazioni ricorrenti collocano la chiesa extra castro, ossia fuori dal castello di Terzo, ma talvolta, anche se più raramente, in castro de Tertio; un atto rogato da Antonio de Grono, nel 1379, recita in loco de Tertio in ecclesia Sancti Michaelis et Bartolomei sita in castro ipsius loci de Tertio30, ovvero l’atto è rogato nella chiesa posta nel castello di Terzo. Non c’è motivo di credere che la sede della chiesa abbia cambiato luogo, evolvono invece l’uso e la destinazione degli spazi limitrofi e le pertinenze del castello. 30 Notaio Antonio de Grono, faldone 115, pg. 186. ASBg. 51 La chiesa dei Santi Michele e Bartolomeo, alla metà del Trecento, gode di autonomia economica ed amministrativa; gestisce infatti un patrimonio immobiliare, distribuito prevalentemente a Terzo, Vigano e Berzo, che consente la presenza e il godimento di un beneficio ecclesiastico. L’amministrazione è compito del Presbitero, equivalente dell’attuale parroco, che vede spesso presenti in tale ruolo membri della famiglia Mutti, quella stessa dei notai che risiedono a Borgo e che si alternano con i discendenti delle famiglie Terzi nella gestione del beneficio. Talvolta sono presenti anche chierici, sempre delle medesime famiglie. Non vi sono riferimento espliciti al cimitero della chiesa di Terzo, che sembra insistere nello spazio antistante la chiesa, come si può ipotizzare dalla presenza di lapidi tombali all’ingresso attuale e dalle disposizioni di un atto testamentario di particolare rilievo, quello di Pietro Terzi31, redatto nel 1428. Pietro lascia una parte dei propri beni a cinque amministratori che provvedano a tutte le incombenze previste per il funerali e alla gestione dei vari lasciti; nelle sue intenzioni testamentarie è previsto l’edificazione di un monumento funebre con annessa una tribulina dipinta con Crocefisso, la Madonna e il beato Giovanni ai lati, compresa l’immagine del testatore genuflesso sotto la Madonna; il monumento funebre deve essere realizzato ‘sopra il plazolo che si trova nel castello vicino la porta della chiesa’ di S. Michele e Bartolomeo. La realizzazione di un monumento funerario che possa contenere le sue spoglie suggerisce la contiguità del cimitero a ridosso della Chiesa. Quella di Terzo, nel Trecento, è la chiesa più importante delle due comunità di Terzo e di Borgo di Terzo e, probabilmente, anche la chiesa di Vigano ha un ruolo subordinato ad essa. Le altre chiese del luogo, S. Pietro in Aria e Santa Maria a Borgo hanno mansioni locali; S. Pietro infatti svolge un ruolo sussidiario al convento e Santa Maria di Borgo non gode di un beneficio che 31 Notaio Cristoforo Terzi, faldone 185, vol II, pg. 563. ASBg. 52 possa mantenere un chierico o un prete, pertanto è del tutto dipendente da Terzo per il mantenimento del clero e per il relativo servizio religioso. Il beneficio di S. Michele e Bartolomeo è costituito da un discreto patrimonio immobiliare, per la maggior parte frutto di lasciti testamentari, pro remedio animae. Il beneficiario dell’investitura deve garantire il mantenimento del prete e degli eventuali chierici per consentire di svolgere in modo adeguato le funzioni pastorali. La presenza di benefici genera anche una strategia di scambi incrociati tra i Terzi, i Mutti o i De Bullis, per il controllo di patrimoni che in alcuni casi, ad esempio il beneficio della Chiesa di S. Salvatore di Monasterolo, risultano di notevole entità. Dall’analisi della documentazione si registra soprattutto la continuità, con prevalenza di chierici e di preti delle stesse famiglie che si trasmettono la gestione delle chiese locali. I prelati Anno Prelati locali Ruolo Attività 1351 Teutaldo fu Paxino da Beneficiario di una chiesa di Bergamo Terzo Subentra a Nicolino fu Ugone di Terzo che rinuncia 1351 Adlongino fu Paxino Chierico beneficiario della chiesa di Subentra a Terzo con Monasterolo Teutaldino, rinunciando a S. Salvatore 1356 Bertolino de Lapiperata Presbitero delle chiese di S. Stefano e di S. Investe Teutaldo de RaFermo a Berzo stellis del beneficio della chiesa di Caleppio 1356 Pezolo fu Merino da Chierico beneficiario di S. Michele Terzo Agisce in suo nome, quale tutore, il fratello maggiore Merino 1360 Guglielmo de Bullis Presbitero beneficiario e rettore della chie- Riceve affitti dai de sa di S. Maria, dei S.ti Blasio e Jacopo a Bullis di Berzo Romano 1361 Pietro fu Alberto Terzi Chierico beneficiario della chiesa di Terzo, Investitura a Martino assistito dal presbitero Teutaldo Bonaga di Berzo 1361 Francesco fu Pietro de Presbitero della chiesa di S. Andrea di Iseo Riceve affitti a Vigano Muttis 53 1361 Ser Gasperino de Muttis Presbitero di Berzo de Baldis 1379 Francesco fu Pietro de Subentra a Terzo, sede vacante Muttis Rinuncia di Zanardino de Aratonibus di Scanzo 1379 Pietro di Alessio fu Chierico di S. Salvatore di Monasterolo Adlongino Terzi Investitura a Gidino fu Paxino delle possessioni di Solto e Monasterolo 1379 Bertolino de Lapiperata Presbitero beneficiario di S. Fermo e Rustico a Berzo 1386 Pre Bergamino di Vigano Presbitero della Chiesa di S. Michele e Detiene il beneficio, Bartolomeo riscuote gli affitti 1403 Giovanni fu Paxino di Subentra nel beneficio della Chiesa di Rinuncia di Salvino fu Terzo Monasterolo Giovanni di Terzo In particolare i benefici di Terzo e di Monasterolo sono legati rispettivamente ai Mutti e ai Terzi, senza soluzione di continuità, fino al sec. XV. I beni della chiesa di Terzo sono concentrati in modo speciale a Vigano e a Berzo, con alcune proprietà anche nel territorio di Terzo. L’analisi dei contratti non restituisce la completezza del patrimonio che viene concesso in affitto con modalità assai simili a quelle adottate dagli altri proprietari di terre, ossia dietro corresponsione di canoni, pagati nei due soliti cereali, miglio e frumento. Una differenza significativa rispetto alle modalità di gestione degli affitti del monastero riguarda l’ampiezza e l’entita di ciascuna concessione; le monache tendono a segmentare le proprietà, dividendo spesso gli appezzamenti in due o tre parti e stabilendo un rapporto diretto con gli affittuari, mentre la chiesa di Terzo preferisce accorpare nella medesima concessione un numero elevato di appezzamenti e si affida ad una gestione condotta attraverso intermediari. 54 Entrate della chiesa di Terzo Anno Presbitero/Chierico Concessionari 1351 Pre Teutaldo Pietro Zuparello fu Spinetto, sta a Terzo. 4 some di frumento, 4 Affitto della terra in Clausso a Terzo di miglio, 4 carri di vino Canoni riscossi 1360 Merino fu Alberto a Fachino fu Venturino detto Rondo; affitti a 11 some e 3 staia di nome del fratello Pezolo Berzo frumento, altrettanto miglio, 46 soldi, 4 capponi 1360 Merino fu Alberto a Iacopo fu Venturino Colombo di Vigano, 9 staia frumento, 9 di nome di Pezolo per varie terre miglio, 20 soldi, 1 cappone 1360 Merino fu Alberto a Tommaso Bonaga di Berzo per una terra a 18 soldi e 1 cappone nome di Pezolo Grone 1360 Pietro fu Alberto Investitura a Tommaso Bonaga di Berzo 12 some e 3 staia di per 28 appezzamenti a Berzo, una casa e frumento, altrettanto una tegete miglio, 4 lire e 6 capponi 1361 Pietro fu Alberto Investitura a 4 fratelli Gatusso di Vigano 11 staia frumento, per 26 appezzamenti a Vigano altrettanto miglio, 54 soldi, 2 capponi 1361 Pietro fu Alberto Investitura a Viviano fu Gidino di Vigano 9 staia e 3 quartari di per 15 appezzamenti di terra a Vigano frumento, altrettanto miglio, 3 capponi 1361 Pietro fu Alberto Martino Bonaga di Berzo per terre a Berzo 12 some e 3 staia di e a Grone frumento altrettando miglio, 4 lire, 6 capponi Nei decenni successivi al 1361 si può notare che, anche a distanza di tempo, le famiglie che ottengono in concessione le terre sono sempre le stesse e l’ammontare della quota degli affitti non subisce variazioni importanti, con la sola eccezione del Clausso, posto a Terzo, dove nel 1386 l’affitto è pagato da Gidino Mirane, versando 15 lire, piuttosto che canoni in cereali. Alcuni contratti quattrocenteschi rivelano i cambiamenti in atto nella gestione dei beni e nel ruolo delle chiesa di Terzo. 55 In particolare il testamento di Pietro Terzi, nel 142832, che lascia i propri beni alle chiese e ai comuni del territorio, inquadra alcune novità di rilievo; i legati istituiti da Pietro riguardano le chiese di Vigano, di Entratico, di Borgo, di Terzo, di Berzo, evidenziando che la chiesa di S. Michele e Bartolomeo non è più unica beneficiaria delle attenzione dei lasciti testamentari dei Terzi e della stessa famiglia di Merino e Alberto, i cui eredi sono proprietari del castello. Alla soglia del Quattrocento, risulta evidente anche l’esiguità della comunità di Terzo, per contrapposto alla crescita della popolazione del Borgo, che procede in parallelo con la perdita di ruolo a livello locale dei Terzi, in particolare dei discendenti di Alberto che risiedevano nel castello. 32 Notaio Cristoforo Terzi, faldone 185, vol. II°, pg. 563. ASBg. 56 Facciata della chiesa dei Santi Michele e Bartolomeo di Terzo nella veste architettonica ottocentesca. 57 Lapide cimiteriale settecentesca del sacerdote Bartolomeo Micheletti, posta nello spazio antistante la chiesa dei Santi Michele e Bartolomeo. 58 Pagina del testamento di Pietro Terzi, anno 1428. Tra i diversi legati quello relativo alla realizzazione delle figure degli apostoli sulle pareti della chiesa di Terzo e quello per la costruzione di una cappella mortuaria con il proprio monumento funebre e l’affresco di un crocefisso. 59 6. Santa Maria a Borgo di Terzo A Borgo, verso la metà del Trecento, risulta presente la chiesa di Santa Maria, segnalata come unica chiesa del paese. La prima citazione è presente in un atto del 1357, rogato in via comunis, ante ecclesiam dicti Burgi33. Il Censuale Soranzo (1550-1558), fonte decisamente attendibile, riporta l’esistenza di una antica chiesa, intitolata a S. Maria Assunta, ai Beati Giovanni Battista e Antonio Abate, consacrata dal vescovo Lanfranco de Saliverti il 15 agosto 135934. Nel Trecento tuttavia in questa chiesa non c’è un preposito o un presbitero e neppure si registra la presenza di un beneficio; per un certo lasso di tempo non vi sono lasciti testamentari pro remedio animae che prevedano la periodica celebrazione di messe nella sede di Santa Maria. Queste assenze confermerebbero la mancanza di una struttura amministrativa ordinaria della chiesa di Borgo. Un primo caso si ha nel 1360 con il testamento di Betino detto Baylone di Terzo, che sta a Borgo, il quale lascia alla chiesa di S. Maria 8 soldi pro remedio animae ossia per la propria salvezza eterna35. Bisogna aspettare tuttavia il testamento di Pietro Terzi nel 1428 per registrare un donativo importante volto alla costruzione di un patrimonio per il sostentamento della chiesa, consistente nella donazione di due appezzamenti di terra, uno aratorio e vitato di sette pertiche a Cassanico e una terra con un bregno e un colombario nel centro abitato di Terzo; il testamento prevede anche un legato per la chiesa di Santa Maria, per la celebrazione di un annuale con quattro sacerdoti. Sebbene Pietro Terzi nel proprio testamento non abbia dimenticato alcuna delle chiese del circondario appare importante questa attenzione per la chiesa di Borgo. In origine la gestione e la cura delle anime della comunità di Borgo sono legate al clero della Parrocchia di S. Michele e 33 Notaio Venturino de Grono, faldone n. 58. ASBg. 34 A differenza di quanto affermato in precedenti pubblicazioni (Borgo di Terzo, Bellini F.) non sembra sia mai esistita una ‘chiesa di Santa Maria, annessa al Monastero omonimo’. 35 Fachino del Modis de Gaverina, faldone 80. ASBg 60 Bartolomeo di Terzo. In realtà alla metà del Trecento l’edificio della chiesa di Borgo già presente, è indicato semplicemente come Santa Maria, e viene spesso trattato come riferimento fisico per atti notarili rogati in prossimità o anche al suo interno. Da tali atti non risulta una descrizione dell’edificio originario, ma se ne ricava l’esistenza, approssimativamente nel luogo attuale; qualche dubbio sulla collocazione potrebbe sorgere per la presenza di due edifici di culto, entrambi antichi, posti a breve distanza, e indurre a identificare l’originaria Santa Maria con l’attuale oratorio di S. Silvestro. Nel 1359 viene rogato un atto sulla loggia degli eredi di Paxino detto Abate di Terzo, sita ante ecclesiam Sante Marie in ipso Burgo36, riferimento che ci serve più per collocare la casa di Paxino Terzi, piuttosto che la chiesa. Analogo riferimento nel 1378 ove si dice in Burgo Tertij, in via comunis ante quadam lobiam cuiusdam domus heredum domini Paxini dicti Habatis de Tertio, iuxta ecclesiam de Burgo Tertij ossia sulla strada del comune davanti al loggiato della casa degli eredi di Paxino, vicino alla chiesa di Borgo di Terzo. O più genericamente nel 1376 il riferimento suona in loco de Burgo Tertij in via comunis ante ecclesiam Sancte Marie de ipso Burgo37. In un atto dei Terzi, risalente al 1361, rogato a Trescore sulla piazza del Mercato, Guglielmo detto Mino Bazeto paga l’affitto annuale di una casa posta a Borgo; essa confina a sud con la chiesa e il cimitero38. La casa di Pietro Bazeto, che compare altrove come casa con fucina, chiaramente identificata anche in altri atti, si trova sulla strada comunale con la chiesa che la fiancheggia a sud. Altre volte gli atti sono rogati all’interno della stessa chiesa; in un 36 Notaio Fachino de Modiis, faldone n. 80, ASBg. 37 Notaio Antonio de Grono, faldone 115, ASBg. 38 Notaio Fachino de Modiis, faldone n. 80, ASBg. 61 atto del 1376, un atto formale del Comune, viene rogato in Burgo Tertij in ecclesia domine Sancte Marie39. L’origine dell’edificio di culto sembra legata in qualche modo alla figura di Paxino Terzi; nel Trecento infatti la chiesa è circondata dai beni di questo nobile locale e si può ragionevolmente ritenere che la costruzione sia avvenuta su di un appezzamento di sua proprietà. Non emergono notizie sulla edificazione, che non risulta supportata dalla presenza del manufatto originario, sul quale sarebbe possibile una indagine più approfondita. Nel 1915 in occasione della rifattura del pavimento della attuale chiesa parrocchiale si potè constatare che la sopraelevazione del piano pavimentale, avvenuto in epoca precedente, aveva determinato la copertura di importanti lastre tombali appartenute alle famiglie Suardi, Madaschi, Lanzi, Terzi, Cassoni, Minoia, Micheletti, Cuni40. La presenza di tombe all’interno della parrocchiale già risultavano segnalate nel 157541, negli Atti delle Visite Apostoliche di S. Carlo Borromeo; nei decreti di tale visita infatti si chiede che tutti i sepolcri sotto o vicino all’altare entro tre mesi vengano riempiti e chiusi a pavimento. Gli stessi Atti confermano anche la presenza a quella data di due edifici religiosi, ossia la chiesa parrocchiale di Santa Maria e l’oratorio dei Disciplini al titolo di Santa Maria Maddalena e S. Silvestro; entrambe le chiese hanno un proprio prete, un proprio reddito e la celebrazione di una messa quotidiana. Santa Maria ha come parroco Francesco Micheli, con reddito di circa 200 lire, proveniente quasi in toto da un legato Terzi. L’oratorio dei Disciplini ha come cappellano Guglielmo Micheli, con un reddito di 210 lire, provenienti in buona parte dal Legato di Bartolomeo Terzi; sopra la porta maggiore vi è il coro o oratorio dei Discilpini. Nella chiesa ci sono affreschi che già all’epoca abbisognavano di restauro! 39 Notaio Antonio de Grono, faldone 115, ASBg. 40 Liber cronicus 1° 1845-1921. Archivio parrocchiale Borgo di Terzo. 41 Atti della Visita Apostolica di S. Carlo Borromeo a Bergamo (1575) a cura di Angelo Giuseppe Roncalli, vol II, Olschki, Fi 1938. Archivio Curia Vescovile di Bergamo. 62 Nel 1575 il cimitero si colloca tra le due chiese; esso diventa percorso necessario per accedere alla casa del parroco, posta a ridosso della sacrestia. Dalla descrizione riportata negli Atti si ricava che le due istituzioni, Santa Maria e l’Oratorio dei disciplini, godono di indipendenza e autonomia; non emergono dubbi sulla continuità della parrocchiale attuale con l’antica chiesa di Santa Maria. E’ possibile che l’edificio di S. Silvestro fosse in origine cappella cimiteriale di qualche notabile Terzi, presumibilmente della discendenza di Paxino detto Abbas, in seguito cresciuta ad edificio di maggior rilievo e dotata di un proprio reddito; tuttavia la presenza della chiesa dei disciplini emerge con certezza dal testamento di Gabriele Terzi, redatto nel 148942, per un legato di 30 soldi riferito esplicitamente alla chiesa di Santa Maria Maddalena ‘del consorzio dei Disciplini di Borgo di Terzo’. Nel 1710, sulle rovine della chiesa originaria di Santa Maria, demolita per le sue modeste dimensioni, venne edificata la nuova parrocchiale, con nuova intitolazione a Santa Maria Assunta. La successione delle vicende settecentesche dell’edificio trova traccia anche nella incisione che registra l’opera di ricostruzione dove compare una sovrascritta AEDIFICATUM, scolpito con mano incerta, sopra la precedente incisione originaria che recita ‘RESTAURATUM’. Quindi l’edificio prima venne restaurato, poi demolito o rifatto seppure con alcuni riutilizzi. Le vicende che hanno interessato la chiesa di Santa Maria, tra Sei e Settecento, hanno per conseguenza cancellato le tracce dell’edificio originario e degli affreschi che vi si trovavano. I lasciti Terzi e la centralità del Borgo hanno conferito a Santa Maria nuove e consistenti opportunità, a discapito della chiesa originaria di Terzo. 42 Notaio Giovanni fu Comino Terzi, faldone 741, vol III, ASBg. 63 Facciata della chiesa di Santa Maria nella veste architettonica conferitale dalla ricostruzione settecentesca. 64 Cartiglio posta sopra l’ingresso di Santa Maria dove si legge AEDIFICATUM grossolanamente inciso sopra un precedente RESTAURATUM. La successione dell’intervento rivela il riutilizzo del precedente manufatto che segnalava il restauro seicentesco della chiesa. 65 66 Frammento di affresco, probabilmente della seconda metà del Quattrocento, sulle pareti interne dell’oratorio di Santa Maria Maddalena. Si ritiene che parte delle opere pittoriche previste nel testamento di Pietro Terzi (a.1428) per la chiesa di Terzo sia stata realizzata nell’oratorio dei Disciplini. Tela dei Disciplini con compianto ai piedi del Crocefisso. E’ presente un orante che ricorda il legato testamentario di Pietro Terzi e un personaggio che suggerisce l’esecutore finale. La tela, frutto di ricomposizione nel tardo Cinquecento o nel primo Seicento, raccoglie una cronistoria degli eventi che hanno visto la nascita dell’oratorio di Santa Maria Maddalena ad opera del consorzio dei Disciplini. 67 7. I Terzi I Terzi compaiono nella storia di Borgo di Terzo con un ruolo signorile sin dalle prime attestazioni documentarie; a Terzo sono presenti in veste di signori fondatori dell’omonimo castello e del monastero di S. Pietro in Aria, rivestendo un ruolo determinante nella nascita del nuovo centro abitato di Borgo. Nel territorio della media Valle il peso della signoria dei Terzi è testimoniato dalle proprietà possedute nei diversi paesi e dai rapporti economici intrattenuti con le altre famiglie signorili bergamasche oltre che con gli abitanti del luogo. Tuttavia non è pensabile una storia della famiglia fondata solo sulla documentazione locale; la diffusione nel territorio bergamasco delle attività e delle proprietà dei diversi rami di questa famiglia richiede una valutazione più estesa e complessa del ruolo da essa svolto, già a partire dal sec. X-XI con Alberto vescovo di Bergamo. In questo percorso ci si limita a valutare l’attività locale dei rappresentanti delle diverse famiglie Terzi, la collocazione delle rispettive proprietà e in particolare i rapporti con gli abitanti di Terzo e di Borgo. Tutti i paesi della valle medio-bassa sono dominati, fino attorno alla metà del sec. XV, da una estesa presenza di grossi proprietari che condizionano la vita degli affittuari e tengono ben stretto il mercato delle terre e degli immobili; tra questi proprietari la posizione di maggiore rilievo spetta alle diverse famiglie Terzi. Uno strumento di pace, rogato nel 1240, a seguito dell’omicidio di Nantelmo Terzi, offre uno squarcio sulla abbondante genealogia43; vi si riconoscono i ceppi degli Adlongi, di Detesalvo, dei Loteri; tra la parentela Terzi si annovera anche Govanni Bulla. Nel Trecento i de Bullis sono un ceppo costitutivo di Berzo con un ruolo di piccoli signori locali, mentre a Terzo e a Borgo si ricono- 43 Vedi anche riferimento in Storia di Bergamo e dei bergamaschi, Belotti Bortolo, Ed. Bolis 1989, vol. II, pg 188. 68 sce la permanenza soprattutto del ceppo di Detesalvo con i discendenti di Paxino detto Abate o anche del ceppo di Alberto e Merino, che mantengono il controllo sul castello di Terzo. Ricostruire la genealogia appare opera complessa, e per certi versi dispersiva, anche per la numerosità delle famiglie che spesso presentano da sette a nove figli, cui si accompagna una distribuzione territoriale in altre aree della bergamasca e non solo (Crema, Cremona, Reggio Emilia,…) Con il territorio della media Valle Cavallina le relazioni sono particolarmente forti fino dalle origini; se analizziamo i rapporti intrattenuti con le comunità locali vicine possiamo scoprire che le proprietà di queste famiglie sono distribuite in forma massiccia a Entratico, Redona di Trescore, Berzo S. Fermo, Vigano, Borgo di Terzo, Grone e Monasterolo; ma già dal sec. XIII i diversi rami Terzi, oltre che a Bergamo e nella media valle, sono presenti a Zandobbio, Trescore, Cenate, Bolgare, Telgate, Palosco, Seriate, Valle Caleppio. Risalendo la Valle Cavallina le proprietà Terzi si interrompono a Mologno e a Colognola, dove a metà Trecento domina incontrastata la proprietà di Ameo Suardi e di Baldino poi, mentre il territorio di Molini di Colognola e di Colognola è quasi interamente posseduto da Alberto Suardi. I Terzi mantengono poi un forte rapporto con Monasterolo per la proprietà del castello, documentata a partire dal sec. XIV, e con la chiesa di S. Salvatore, di cui i discendenti della famiglia di Paxino gestiscono l’ampio beneficio. La proprietà Terzi appare meno diffusa a Luzzana e poco strutturati i rapporti con quell’abitato, dove prevale l’influenza di Scipione Suardi, con proprio centro organizzativo nel castello di quel luogo, trasformato in seguito nel seicentesco palazzo dei Giovanelli. Presumibilmente alla famiglia Terzi è legata la realizzazione della seriola che sarà il presupposto per lo sviluppo dei mulini e della lavorazione del ferro, nonché della nascita del Borgo. La realizzazione di un manufatto in grado di fornire energia idraulica ai magli e ai mulini presuppone una disponibilità economica e un articolato controllo sul territorio. 69 Accanto ai tanti traffici che si cercherà di presentare in seguito, il primo fondamento del potere della famiglia è una solida base fondiaria. Nel Trecento i Terzi dell’area di Borgo sono divisi in diversi ceppi familiari, con rapporti parentali estremamente labili, ma con frequenti scambi economici e di immobili. 7.1 Paxino detto Abate In Valle Cavallina i luoghi principali di residenza del ceppo di Paxino detto Abate sono Trescore, con una casa sulla piazza, dove risiede Bergamino, e Borgo, davanti alla chiesa di Santa Maria, che è il luogo di elezione per la stipula di molti atti notarili; gli altri edifici di proprietà dei figli di Paxino a Borgo, tra i quali forse si annovera il Torrazzo, sono concessi in affitto a famiglie locali. Le case della famiglia a Borgo si sviluppano prevalentemente a ridosso della chisa di Santa Maria. Rilevante la proprietà di Monasterolo che ha nel castello il proprio baricentro e che nel Quattrocento diventa la residenza stabile di un ramo notarile della famiglia, quello del notaio Cristoforo. Paxino lascia cinque figli: Adlongino, il chierico Teutaldo e poi presbitero della chiesa di Terzo, Guglielmo del quale si registrano solo alcuni atti nel 1382, Guidotto, Gidino detto Abbadino e Detesalvo. Dal 1351 al 1360 l’attore privilegiato è Adlongino, in conseguenza di un atto rogato nel 1348, che lo dichiara tutore per tutta la famiglia, composta da fratelli e nipoti minori; ciò fa supporre che la morte di Paxino dictus Abbas possa essere conseguenza della epidemia di peste diffusasi in quell’anno nei paesi della Valle Cavallina. In tale veste Adlongino riscuote affitti a Maico, Redona, Grone, Berzo, sia come canoni in cereali che in denaro, tra i quali le quote più consistenti provengono da Maico. Tra le terre di Berzo, quelle in affitto ai Bonaga sono gravate dalle decime della Chiesa di S. Salvatore di Monasterolo, che vengono regolarmente riscosse da Adlongino; le decime sono un tributo che persisterà a lungo associato ad estese proprietà situate a Berzo. 70 Detesalvo e il figlio Bergamino risultano già scomparsi nel 1351, mentre a collaborare con Adlongino troviamo dal 1357 i nipoti Nicolino e Giovanni. Il fratello Gidino detto Abadino, che ha sposato Franceschina Lanzi discendente di una nobile famiglia di Trescore, è proprietario di un edificio, posto oltre la seriola, idenficabile forse con il Torrazzo, e possiede una casa anche a Luzzana, pure in affitto. Riscuote affitti per terre a Grone, Berzo e negli anni Ottanta realizza alcuni contratti di soccida; i due figli Antonio e Nicolino sono attivi tra la fine del Trecento e il primo Quattrocento. Tra i figli di Adlongino vi sono Paxino e Pietro Alessio; quest’ultimo nel 1379 è chierico della chiesa di Monasterolo e concede in affitto allo zio Gidino le possessioni di Solto e Monasterolo che fanno capo al beneficio. Pietro Alessio abita a Trescore, ad pedem Ripe o Piè di Ripa; in quella sede, nel 1404, viene rogato un atto interessante nel quale Alessio cede ai fratelli Noris di Gandino, per la cifra significativa di 355 lire, i censi su varie terre che normalmente i Terzi riscuotevano dai consoli, credendari e uomini di Gaverina. La partecipazione di tutta l’universitas di Gaverina alla stesura dell’atto, oltre alla collocazione delle proprietà, fa pensare che si tratti di terre utilizzate come beni comuni; l’affitto perpetuo di svariate terre44 pagato ai Terzi risaliva ad un atto rogato nel 1322. Il beneficio della chiesa di Monasterolo si trasmette e rimbalza nella linea parentale dei nipoti di Paxino e nel 1404 fa capo a Giovanni detto Zoanello. Un atto dei fratelli Bergamino e Nicolino, viene rogato nel 1358 a Monasterolo nella abitazione di famiglia; tale atto segnala implicitamente la presenza del castello quale proprietà del ceppo parentale, anche se nella citazione non si utilizza il termine castello. Una conferma tardiva si trova in un atto rogato nel 1427 nel castello di Monasterolo; in quella data Adlungino, discendente di Nicolino, e Teutaldo effettuano uno scambio tra la metà del castro 44 Sono elencati una casa sul Monte di Gaverina e altri beni in Ceretina, sotto Paiaro, in Corneleta, in Faroso, alle Valli e in Foppa. Notaio Lorenzo Mutti, faldone n.148. ASBg. 71 di Prato Dexio, ovvero il castello detto di Monasterolo, e alcune proprietà poste a Terzo. Adlongino riceve i beni di Terzo, mentre a Teutaldo vanno la metà del castello di Monasterolo e numerosi appezzamenti di terra, quale divisione ereditaria e risoluzione della multiproprietà che la famiglia di Paxino vi possiede. Nei beni degli eredi di Paxino vi sono svariati edifici di proprietà che fanno parte di poderi dati in affitto: tra questi una casa sul monte di Grone e due a Vigano. Il rapporto con il Borgo passa prevalentemente attraverso l’attività di Adlongino per l’affitto di edifici con particolare concentrazione nell’area prossima alla chiesa di Santa Maria. Tra il 1357 e il 1362 si stipulano atti relativi a sei edifici posti a Borgo; quello concesso in affitto a Jacobo Muttello risulta dotata di una fucina e si affaccia sulla strada del comune di Bergamo. Altri edifici sono abitati da vari affittuari: Pietro Lio a Cimaborgo; Antonio Gratoni tra la Valle di Terzo e la via per Vigano; Giovanni detto Rosso Lio sulla strada comunale.; Giovanni Todeschino tra la seriola e la strada; Guglielmo detto Mino Bazeto sulla strada vicino alla chiesa di Santa Maria. La divisione tra i quattro figli di Donato di Terzo, con atto del 1446, evidenzia la persistenza di un discreto patrimonio, che si va assottigliando, visto che nella successione ereditaria molte delle proprietà vengono divise in quattro parti45. Il ramo Terzi, cui fa capo Adlongino, conserverà i beni di Monasterolo fino al XIX secolo. 45 Partes et divissiones filliorum Donati de Tertio, notaio Cristoforo Mutti, faldone 173, pp 1-12. 72 Corpo di edifici, posti di fronte alla chiesa di Santa Maria, che nel Trecento sono di proprietà degli eredi di Paxino Terzi detto Abate. Ingresso al Torrazzo, unico edificio antico posto oltre la seriola, forse di proprietà di Gidino Terzi detto Abbadino. 73 7.2 Alberto e Merino La discendenza di Alberto e di Merino da Terzo presenta un forte radicamento a Borgo e nel suo territorio. A questo ceppo si ascrive un ruolo importante nella gestione di terre e nella stipula di affitti con gente del luogo; alla famiglia di Merino è legato il castello di Terzo che risulta anche sede per la stipula del maggior numero di atti notarili. Una descrizione della famiglia di Alberto fu Merino emerge dal testamento di Alberto redatto il 3 aprile 1359 dal notaio Fachino de Modiis de Gaverina46. Alberto giace ammalato nella sua camera nel castello di Terzo e decide di regolarizzare la situazione patrimoniale della famiglia, gestita in prima persona nell’ultimo decennio; egli nomina eredi i suoi quattro figli legittimi, ossia Merino, Pezolo chierico beneficiario della chiesa di Terzo, Adlungino ed Enrico, a pari dignità con il proprio fratello Girardo e i nipoti Bertolino e Sgobato, figli di Adlongino. I beni del fratello Pietro, già defunto, rientrano nella linea ereditaria dei fratelli, visto che ha lasciato solo un figlio naturale, Bartolomeo al quale vengono destinate 100 lire; in seguito Bartolomeo si ritrova negli atti notarili quale affittuario di grosse quantità di terre dei Terzi a Palosco. Fermina, unica figlia femmina, riceve L. 200 e una veste del valore di L. 25; alla nuora Datore, moglie di Merino, oltre alla dote vengono concesse 40 lire, mentre al proprio figlio naturale Barixio 50 lire. Alberto lascia infine 25 lire anche al nipote Giacomo, figlio naturale del defunto Adlongino; nulla a quanto sembra a Percivalle o Persevallo, altro figlio naturale di Adlongino. I beni immobili di Alberto sono pertanto divisi in tre parti tra il fratello Girardo, i nipoti Bartolomeo e Sgobatto, e i propri figli. Se le successioni rappresentano una transizione difficile, con ridistrubuzione delle proprietà, l’occassione di un miglioramento è spesso rappresentato da intrecci matrimoniali. Ne deriva che i matrimoni sono contratti quasi sempre tenendo d’occhio la condizione sociale; in alcuni casi tuttavia l’intreccio 46 Fachino de Modiis de Gaverina (1358/61). Faldone 80. ASBg. 74 parentale si fa complicato! Nel 1361 scopriamo che Sgobato fu Adlongino, i cugini Vincenzo e Antonio, figli di Girardo, hanno contratto matrimonio con Tonola, Tudoria e Bellina figlie del defunto Giovanni de Rosenis; nello stesso anno la madre Franceschina, vedova di Giovanni de Rosenis, è ricordata quale moglie di Bertolino di Terzo. Pezolo, figlio di Alberto e chierico della chiesa di S. Michele di Terzo, nel 1381 detta il proprio testamento in favore del figlio Federico; alla figlia Catellina lascia 250 lire e nomina il fratello Enrico tutore legale del figlio fino al raggiungimento del quattordicesimo anno e amministratore dei beni fino ai diciotto; in questo caso al figlio naturale in termini ereditari sembra riservato un destino migliore, forse perché deve dividere l’eredità solo con un’erede femmina. Altro testamento di particolare interesse per l’attenzione dimostrata alle chiese, al monastero di Terzo e ai poveri del territorio è quello di Pietro, nipote di Pezolo, rogato nel 1428 in territorio di Entratico. Enrico e nipoti, nel 1383, in qualità di eredi di Alberto, cedono varie terre ai figli di Giorgio de Ficienis per saldare un debito di 500 lire, contratto dal padre circa venticinque anni prima. Tra questi beni c’è una casa a Terzo, in Carobio, e una terra aratoria e vitata in Pessino47, quattro case e altre terre a Maico e ad Entratico, altre a Gavazolo, a Trescore e a Vigano per una superficie di circa 125 pertiche bergamasche. Le terre vengono riaffittate per tre anni agli stessi Terzi dietro corresponsione di un affitto di 40 lire l’anno; la reinvestitura è un meccanismo di riscatto dei beni medesimi fino a saldo del debito, con l’aggiunta di eventuali interessi. La serie degli atti, legati in particolare ad Alberto e al figlio Merino evidenzia la gestione economica della famiglia nell’area della media Valle Cavallina e offre una visione complessiva delle pro47 Notaio Antonio de Muttis de Grono, faldone n. 115, ASBg. Uno degli appezzamenti di terra, posto nella località di Pessino, confina a nord con una casa di Scipione Suardi. Si ha ragione di ritenere che tale edificio sia il nucleo storico dell’attuale Pesino. 75 prietà e dei redditi da essa ricavati. In particolare il biennio 13591360 presenta ben 72 atti notarili con una descrizione molto articolata delle terre e degli affittuari, sebbene monotona nelle condizioni degli affitti. La sede di rappresentanza della famiglia è il castello di Terzo dove avviene di norma la stipula dei contratti; il luogo di redazione dell’atto è variamente, seppur genericamente, descritto come ante portam seduminis o in castro heredum domini Merini, o spesso in castro in caminata domini Girardi de Tercio, ovvero nella stanza con camino del signor Girardo Terzi, oppure in platea dicti castri, nella piazza del castello. Nel complesso i beni di questa famiglia si distribuiscono da Trescore a Grone, in modo frammentario e irregolare, con particolare concentrazione a Redona di Trescore, a Entratico e a Vigano. Appartengono ai beni della famiglia vari edifici a Terzo e a Borgo, dati in affitto: una casa rurale a Novessa, il molino Moretti con due ruote per cereali e una casa al Fontanello di Vigano, un bregno in prossimità del molino Moretti, due case a Entratico, una a Redona, una a Borgo, tre bregni in cima a Terzo, una casa nel castello di Berzo; il molino è in affitto a Lanfranco Berbelio di Entratico. Un aspetto particolare, presente anche nei beni di questa famiglia, è la decima della chiesa di Monasterolo, che riguarda svariate proprietà poste a Berzo. La preponderanza delle proprietà e le quote maggiori per gli affitti riguardano le terre di Entratico, con introiti in cereali che mediamente oscillano tra 20-30 staia di frumento per ciascun affittuario e altrettanto miglio. Da Entratico provengono anche affitti in cereali desueti rispetto alla norma, in particolare dall’area del Corno; Pietro fu Crescimbene de Cornu deve versare quattro some di frumento, altrettanto miglio, diciassette staia di segale48, diciassette staia di panìco, 3 lire 8 capponi e due staia di castagne. 48 Per la segale non vi sono molti altri riscontri, se non per affitti di diverso periodo, sempre dalla stessa area di Entratico. Mentre per il panìco si trovano anche in epoche successive quote di affitto o pagamento di decime attraverso questo cereale; ad es. nell’area di Gaverina e di Bianzano. 76 Cressino de Cornu ha canoni simili. I fratelli Bonomino e Fachino de Lacosta di Vigano, oltre a 24 lire, devono dare invece un pense di formaggio e un capretto. Per Borgo in particolare si registra la proprietà della fucina con maglio, che si trova a Vigano o Cimaborgo; tale proprietà risulta come luogo di stesura di una atto49 che avviene nella fucina o maglio degli eredi di Girardo Terzi, in affitto a Teutaldo Bugia. Dagli affitti di Borgo emerge pertanto in questo periodo il controllo dei signori da Terzo sull’area produttiva posta a Cimaborgo, indicata spesso come molinum de Morettis, con due ruote da molino, il maglio e una fucina. La somma totale del rendimento in cereali sul biennio 1360-1361, quelli rilevati dai contratti stipulati per scritto, ammonta a 308.5 staia di frumento e altrettanto miglio, 53 capponi, 2 pollastre, 4 staia di castagne, 1 capretto, circa 8 hg di formaggio, 62.5 lire imperiali, 554.5 soldi, 19.5 denari. Una parte di questi prodotti va ad alimentare il mercato locale dei cereali, ma la quota più consistente manca al riscontro documentale e si presume che prenda altre strade, indirizzandosi verso il mercato della città. 49 Notaio Fachino de Modiis de Gaverina, faldone n. 80 , 3 nov. 1361, ASBg. 77 Fronte sud-ovest di palazzo Terzi, con giardino storico che mantiene alcune caratteristiche dell’impianto settecentesco. Nella seconda metà del Trecento l’edificio è di proprietà di Girardo Terzi, del ceppo Terzi che risiede nel castello. 78 Portale trecentesco di importante edificio, appartenuto esso pure a Girardo Terzi e ceduto ai de Ficienis di Gandino nel 1383, in seguito riacquistato dai Terzi. Settecentesco portale in arenaria sul fronte nord di palazzo Terzi. Sopra la parte centrale dell’arco un cartiglio con lo stemma Terzi. 79 7.3 Terzo e il suo ‘castro’ La citazione del castello di Terzo è assai frequente negli atti trecenteschi perché in esso, nella caminata di Girardo, di Merino o di Bertolino, nella stanza cubiculari di Alberto, o anche all’esterno dell’edificio in platea castri, si stipulano la maggior parte degli atti delle famiglie della discendenza di Alberto da Terzo. Confrontando le diverse formule utilizzate si riesce ad ottenere qualche informazione in più su questo luogo. Nel 1382 un atto è rogato in castro ipsius loci sub quadam ulmo sito in dicto castro iuxta abitationis Enrici50 ovvero sotto una pianta di olmo vicino all’abitazione di Enrico. Riferimenti al castello compaiono anche negli atti della chiesa di Terzo o nel testamento di Pietro Terzi. In un atto che contiene maggiore ampiezza descrittiva, stilato nel 1426 dal notaio Cristoforo Terzi, si incontra questa formulazione … ex canipa existens in castro de Tercio extra rochetam et prope scallam lapidum existentem prope dictam rochetam … a meridie fossa51 ovvero ‘all’esterno della cantina che si trova nel castello di Terzo, all’esterno della rocchetta e vicino alla scala di pietra che si trova presso la suddetta rocchetta… a sud la fossa’. E’ una descrizione che fa supporre una certa efficienza del manufatto, in particolare per la presenza di una rocchetta e di una fossa, strutture palesemente militari, a questa data ancora attive. Bisogna notare che questo ramo della famiglia Terzi ricopre un certo ruolo nella dinamica politica dello scontro tra Milano e Venezia, esponendosi o subendo un certo danno per il sostegno offerto a Venezia. Al ceppo di Alberto e Merino, nel Trecento proprietari del castello, fa riferimento l’atto del Senato veneto del 28 febbraio 1429 che esentava da tasse e gabelle Giovanni, Bertolino, Merino e Pietro Terzi che avevano patito distruzione di beni per il sostegno offerto alla Repubblica Veneta52. A Borgo negli anni Venti del Quattrocento 50 13 giugno 1382. Antonio de Muttis, faldone n 115. ASBg. 51 Notaio Cristoforo Terzi, faldone 185, vol. II, pg 289. ASBg. 52 Vedi Storia di Bergamo e dei bergamaschi, Belotti B., vol III, Ed. Bolis 1989, pg 318. 80 sono infatti attivi Merino fu Pietro e Joanello fu Alberto di Terzo, poi Giovanni fu Merino e Bertolino, figlio di Toni detto Boyate, ai quali fanno riferimento una serie di atti relativi a vendita di terre, effettuate prevalentemente nel territorio di Vigano tra il 1420 al 1426; probabilmente la distruzione di beni, cui fa riferimento il Senato Veneto, riguarda le vendite cui è costretta la famiglia per sopperire all’aiuto concesso ai veneziani in questo difficile frangente. Ulteriori riferimenti al castello si colgono in un atto divisionale del 1446 tra quattro fratelli Terzi, figli di Donato, della discendenza di Paxino detto Abate, una parentela le cui proprietà sono distribuite a Redona di Trescore, a Vigano e a Borgo, ma poco presenti a Terzo. In questa occasione Cristoforo si riserva il diritto su una casa o bregno che Cristoforo ha acquistato nel castello di Terzo da Adlongino fu Merino e la casa o bregno acquistato nel paese di Terzo da Adlongino fu Adlongino, vicino all’abitazione di Merino, con terra acclusa53. L’estimo del 1476 offre una descrizione più articolata di alcune pertinenze del castello vero e proprio. Michele di Terzo e il fratello Rinaldo sono proprietari di una casa divisa in due parti, abitate dalle rispettive famiglie e dal massaro, posta nel paese di Terzo, ossia lungo la contrada di accesso al castello54. Dominus Michael al presente abita a Bergamo nella vicinia di San Matteo, parrocchia di San Michele, in una casa di un certo pregio; le sue proprietà comprendono anche le pertinenze del castello, a memoria della sua appartenenza alla linea di Alberto. L’estimo elenca infatti tra le proprietà di Michele un appezzamento di terra nel detto territorio presso il castello di Terzo e sotto lo stesso castello, verso sud, contiguo al prato della Rivolta e in parte al castello ove si dice nei broli sotto il castello di Terzo e vicino al detto castello con sinigia ovvero corna del castello fino alla strada, che confina a est con la via di Bergamo, a sud con il prato della 53 Divissioni tra Cristoforo, Betino, Vegino e Lorenzo, fu Donato da Terzo, anno 1446, notaio Cristoforo Mutti, faldone 173, pp. 1-12. ASBg. 54 La casa cui si fa riferimento è certamente l’attuale palazzo Terzi, lungo la contrada di Terzo. 81 Rivolta, a ovest con la via, in parte la piazza del castello e il muro antico del castello, a nord il castello, di dieci pertiche. Poco oltre si ricorda che Michele possiede anche una parte del castello, tuttavia la parte di sua competenza è diroccata e distrutta con dentro certi orticelli e non è di alcun reddito, tuttavia lo stimano 100 lire55. La descrizione del 1476 pone in evidenza il degrado del castello, con orticelli al proprio interno che sembrano quasi ricavati nei residui di ambienti diroccati, ma viene utilizzato anche il termine deruptum come fosse stato distrutto da intervento umano e manifesta in ogni caso una fase recente di abbandono, mai emersa in precedenza; la fonte che offre questa immagine è una dichiarazione per il fisco e tale occasione spinge a ridurre, se possibile, il valore attribuito agli immobili. Si può tentare una riscostruzione approssimativa del castello utilizzando questi dati. Verso sud c’è il muro antico, con la fossa di difesa, a est la corna seu sinigia, che coincide con lo strapiombo che dà sul sottostante fondovalle verso il Cherio. Una rocchetta occupa l’angolo verso est del quadrilatero, in un punto di maggiore necessità di difesa; il castello ha una propria piazza, posta all’esterno dell’edificio, verso ovest, che confina probabilmente con la piazza del comune di Terzo; all’interno si trovano vari edifici e alcuni rustici (bregni) ed uno spazio adibito a canepa ovvero deposito di generi alimentari. Verso nord la Pusterla o piccola porta, come emerge da alcuni atti trecenteschi, nei quali viene citata come confinante con edifici posti a ridosso del Closale; infine la chiesa di S. Michele e Bartolomeo. Nel complesso si potrebbe pensare che il perimetro del monastero, eretto nel sec. XVII, rispetti l’impianto e il perimetro del castello di Terzo, anzi riutilizzi alcune delle strutture murarie del manufatto precedente, in particolare le fondazioni dell’antico muro. 55 Estimi 1476. BCBg. 82 Fronte nord del colle di Terzo, dove si collocano la chiesa dei Santi Michele e Bartolomeo, l’ingresso al convento nella sua collocazione secentesca e, in origine, la ‘pusterla’ o porta secondaria di accesso al castello. Cartolina anni Sessanta (Archivio Giuseppe Pasinetti). 83 7.4 Pariboni da Terzo Il testamento di Alberto fu Pariboni, rogato negli anni Quaranta del Trecento, lascia quali eredi i quattro figli: Teutaldo, Adlongino, Giovanni di Vigano, Plevanino. Tre di questi, Teutaldo, Adlongino e Plevanino, scompaiono prematuramente, a quanto pare, visto che si ritrovano citati solo negli atti degli eredi. Per Teutaldo l’unica erede è Maifreda, maritata a Stopa de Bullis di Berzo. Beatrice, vedova di Adlongino, agisce già negli anni ’40 quale esecutrice testamentaria del marito e tutrice dei figli Plevanino e Bertolino. I beni della famiglia sono presenti in grande quantità a Seriate. Vi sono poi un figlio naturale, Percivalle, e due figlie, Marchissa e Mantenina. Solo quest’ultima ha un riferimento preciso con Borgo, sposando Pietro Boita, un operatore del ferro; nel testamento rogato nel 1361 a Luzzana essa diventa erede universale della sorella Marchissa. Plevanino è ricordato per un legato ai poveri di Luzzana che impegna gli eredi per nove some e cinque staia di frumento annui. Giovanni di Vigano è l’unico tra i figli che risulta presente stabilmente a Borgo, o meglio a Cimaborgo, da cui deriva il nome ‘da Vigano’. Continua ad essere annoverato quale cives Pergami e quindi si ritrova nell’estimo della città. Giovanni è figlio naturale e pertanto, come tanti altri figli naturali dei Terzi, raccoglie le briciole dei beni di famiglia; in alcuni atti tuttavia viene ricordata la sua naturale ascendenza Terzi. Nel caso di Giovanni tuttavia la condizione economica appare di tutto rilievo, forse la capacità di mantenere buone relazioni parentali, o la morte prematura dei fratelli, in ogni caso è capostipite di una numerosa famiglia di sette figli, che si fregeranno con l’indicazione di Vigano. Possiede terre a Vigano, Grone, Berzo, Terzo sulle quali riscuote canoni in cereali e in denaro. Attivo alla metà del Trecento è il primo figlio Simone detto Mone che agisce quale procuratore della famiglia; il fratello Bonadeo detto Pino lavora nella fucina di Cimaborgo, di cui ha ceduto la propria quota a Minino de Nicazzis. Un importante atto di soccida, rogato nel 1357, elenca un numero decisa84 mente elevato di capi di bestiame dati in concessione a Zanino di Adrara, abitante di Quaglia; l’atto sottoline una delle strategie economiche adottate dalla famiglia. Oltre all’edificio di Cimaborgo il ceppo di Giovanni di Vigano possiede una casa a Terzo, in Carobio, con terra arativa e con vite, concessa in affitto a Bergamino Mazuco, console di Terzo, per due some di frumento e due di miglio. Ulteriore atto di particolare interesse, risalente al 1361, è il contratto per la costruzione di tre case in Cimaborgo, a ridosso degli edifici di proprietà, stipulato da Fachino con i fratelli Gatusso di Vigano, da cui emerge una particolare intraprendenza anche in ambito edilizio. 7.5 Sgobati Quello degli Sgobati e’ un ceppo poco rappresentato a Borgo, dove i quattro fratelli, figli di Martino, compaiono talvolta quali testimoni. Federico e Teutaldo possiedono modeste quantità di terre a Vigano, Grone, Berzo, Luzzana e Buzzone che concedono in affitto. 7.6 Lupo de Lunatis Negli atti trecenteschi compaiono occasionalmente Francesco, Alberto detto Recuperato, Maifredo, Pietro e Paxino, figli di Recuperato Lupo. Il ceppo de Lunatis alla metà del Trecento gode ancora della proprietà di una parte di quel sistema produttivo sul quale è nato Borgo. Alberto nel 1351 affitta a Venturino Zigala una casa con orto a Terzo, sulla Valle del Closale allora detta Valle di Terzo, posta subtu Pusterla, edificio che in seguito risulterà dotato di una fucina56. Drudino, figlio di Alberto, nel 1360 agisce a nome anche dei cinque fratelli e stipula un contratto d’affitto con Zenuco de Campionibus di Entratico e Pietro Betello di Borgo per l’affitto di 56 Notaio Venturino de Muttis, faldone n. 58, ASBg. 85 una casa con prato, due ruote da molino e una fuxina dove si dice ad Molinum Pedegazza57. Questo molino si collocava nella attuale piazzetta Plebani Madasco, che risultava uno dei due più importanti luoghi produttivi di Borgo, nati lungo il corso della seriola. Un atto del 1356, redatto a Tagliuno nella casa di Guglielmo erede delle quote di due fratelli, per risolvere alcune questioni ereditarie, rivela una parentela per via femminile con Pietro Zabeni e Giovanni Coldera di Borgo, personaggi impegnati in attività e traffici del ferro. Gli intrecci parentali dovuti ai matrimoni e la presenza di figli naturali, svolge un ruolo di rimescolamento sociale e, in parte, anche una rivalutazione economica di famiglie meno abbienti. Si trovano atti di affitto per le terre di Luzzana, Vigano, Berzo, Bianzano, Terzo, Entratico. Nella seconda metà del Trecento la famiglia è ormai frammentata e dispersa in altre aree del territorio bergamasco. Negli anni Settanta Temino, figlio di Giovanni, si distingue per una quantità rilevante di atti di soccida per vari tipi di bestiame; Temino abita a Cenate, tuttavia mantiene scambi commerciali con tutta l’area della media Valle Cavallina, particolarmente con Entratico e Berzo. Nel 1404 una controversia ereditaria, condotta da Belliflora dei conti Caleppio, moglie di Ziliolo, evidenzia lo spostamento verso la Valle Caleppio degli interessi e delle attività di questa famiglia. 57 Notaio Fachino de Modiis de Gaverina, faldone n. 80, ASBg. 86 Piazzetta Lorenzo Plebani Madasco, attraversata in origine dalla seriola, che a questa altezza alimentava il mulino Pedegazza. Edificio di proprietà di Alberto Terzi de Lunatis che, alla metà del Trecento, è tenuto in affitto da Jacopo Zornia che vi tiene una fucina. 87 7.7 Mantenuto Mantenuto fu Giovanni de Mantenutis nel 1351 abita a Luzzana. Il ceppo si è insediato anche a Berzo, con riferimento alla torre de Mantenutis, posta al Cantone di Sotto. Federico de Mantenutis (1356) affitta in perpetuo a Giovanni Lio una casa a Borgo e nell’anno seguente a Giacomo Mochi una casa a Terzo con una tegete paliata e un orto. Altre affittanze riguardano Berzo e Luzzana. 7.8 Ardezone Ardezone fu Guglielmo fu Guiscardo di Terzo abita al Canton di Trescore e possiede varie terre a Berzo e ad Entratico. Un atto del 1351, redatto in casa sua in contrada de Cantone, con la presenza di pre Teutaldo, presbitero di Terzo, e di domino Pietro, presbitero di S. Pietro di Trescore, sigilla la pace per la morte di Obesino fu Taddeo di Borgo, in seguito alle percosse subite da Giacomo detto Mazoco, figlio di Pietro Boita e Gidino Mirane fu Giovanni Bega. Il rilievo sociale ed economico delle diverse famiglie Terzi, alla metà del Trecento, è lontano ormai da quel ruolo signorile che le era appartenuto in epoche precedenti e la forte crescita del numero dei nuclei familiari, in conseguenza del numero elevato di figli, ha spinto sempre più a differenziare le attività e ne ha determinato la dispersione geografica. Le famiglie che confermano un ruolo significativo a Borgo sono quella di Merino, i discendenti di Paxino detto Abbas e di Giovanni di Vigano, quest’ultimo del ceppo Pariboni. Un segno della debolezza dei Terzi nell’area di Borgo è l’assenza di strategie per la formazione di nuovi appoderamenti o l’acquisizione di nuove proprietà; il mercato della terra è bloccato dagli stessi possedimenti signorili, frammentati in mille poderi dalle dimensioni modeste, la cui ricomposizione richiederebbe una strategia di lungo periodo, con possibilità di accordo tra i diversi proprietari signorili per realizzare scambi e accorpamenti. Tuttavia la 88 seconda metà del Trecento è caratterizzato da conflitti frequenti e da periodiche epidemie che rendono difficile la rielaborazione di una efficiente strategia fondiaria. In questo contesto la famiglia di Merino riesce a mantenere un discreto controllo sui beni originari, solo attraverso eventi familiari, occasionalmente favorevoli. Verso la fine del secolo e nell’avvio del Quattrocento le nuove famiglie che emergono a Borgo, in questo caso sarebbe appropriato il termine ‘borghesi, si dimostreranno in grado di condurre una politica aggressiva, con acquisizione di poderi e di case, risolvendo a proprio favore i contratti ad eredità perpetua e condizionando fortemente i traffici locali. 89 8. Suardi In Valle Cavallina è difficile immaginare la presenza dei Suardi senza quella dei Terzi e viceversa. Il territorio di Entratico è soggetto in parti quasi uguali ai Terzi e ai Suardi; a Luzzana prevalgono i Suardi, che detengono con Scipione sia il castello che molte terre; i beni di Scipione si spingono verso Terzo attraverso la casa di Pesino e alcuni appezzamenti di terra in quell’area. I Suardi sono presenti a Borgo con Plevano fu Bertolaxio, proprietario di un corpo di case al Cantone dell’Albara che negli anni ’80 concede in affitto a diversi di Borgo, prima a Bertolino Stuzio, poi a Nazario Boita. Altri edifici Suardi, distribuiti lungo la contrada a ovest della strada pubblica, verso la metà del Trecento sono dati in affitto da Ameo Suardi e più tardi dal figlio Baldino ai vicini di Borgo. Ameo e Baldino sono proprietari del castello di Mologno e di ampie possessioni in quel luogo; le loro proprietà sono diffuse anche in altre aree bergamasche, in particolare in Valle Seriana. Lungo la via di Borgo, in contiguità a quelle di Ameo, vi sono alcune proprietà di Alberto Suardi, che in Valle Cavallina concentra i propri possedimenti a Molini di Colognola. Da un atto rogato a Borgo nel 1361, davanti alla casa di Giovanni fu Guidino Suardi, apprendiamo che la sua attività è quella di tabernario, ovvero oste; altri due atti riguardano la restituzione di soldi a Giovanni fu Guidino da parte di Betino Camozia di Grone e di altre persone di Berzo, o anche la presenza di Giovanni e altri suoi fratelli quali attori o testimoni evidenzia il radicamento della famiglia in questo luogo; altri rappresentanti di questo ceppo si trovano in epoca successiva a Bianzano. 90 Chiave d’arco con aquila ad ali abbassate, caratteristica dello stemma Suardi. L’edificio sul quale è ricollocata appartenne nel Trecento a Bertolaxio Suardi. Stemma Terzi inciso nel cartiglio in arenaria, posto sopra il portale di palazzo Terzi. In entrambi compare l’aquila imperiale: quella dello stemma Terzi appare con ali spiegate, mentre quella dei Suardi con ali a riposo. 91 Portale d’accesso ad un blocco di case che, nel Tercento, sono di proprietà Suardi. 92 9. Terzo e Borgo di Terzo, due comuni Il comune rurale, nella sua amministrazione, oltre alle norme consuetudinarie si ispira ai capitoli e agli ordini del Comune di Bergamo, risalenti al XIII secolo, confermati nel 1331. Tra le norme degli Statuti si trovano anche disposizioni relative all’aggregazione dei piccoli comuni, con la finalità di realizzare una migliore raccolta dei cespiti fiscali ovvero delle imposte da versare al Comune di Bergamo. Se un aggregato risultava troppo piccolo per mantenere una regolare funzionalità della raccolta o se le famiglie assoggettabili ad imposte erano poche per garantire la quota fissata dalla città, ne veniva decretato l’accorpamento ad altro comune più efficiente. Negli Statuti del 1331 vengono identificati i comuni de Tertio e di Burgetti de Tertio, tuttavia nella seconda metà del secolo viene decisa l’aggregazione dei comuni di Terzo, Borgo di Terzo, Berzo, Grone e Vigano, fondata su di un criterio che non faceva riferimento tanto alla scarsità di famiglie o alla pochezza di questi comuni, ma a questioni di fiscalità e alla forte integrazione economica determinata dalla estensione fondiaria dei beni delle diverse famiglie Terzi su questa parte di territorio58. Negli atti locali dei comuni di Terzo e di Borgo di Terzo non si trovano riferimenti espliciti a processi di unificazione, neppure su basi fiscali, ma si verifica una sostanziale continuità degli scambi economici e produttivi con i paesi vicini. Nel comune le cariche elettive fanno riferimento in primo luogo all’arengo ossia all’assemblea di tutti i vicini; tale organismo si riunisce per l’elezione dei consoli, normalmente due, o di sindici e procuratori delegati a compiti specifici e di durata limitata. A Terzo l’organo consultivo convocato con maggiore frequenza è la credenza, un organismo più ristretto composto da tre o quattro credendari, una sorta di giunta esecutiva all’interno della quale si assumono le decisioni più rilevanti. Nel caso di Terzo, alla metà 58 Notaio Todeschino de Pilis, Faldone n. 52, vol. II, pg.10. ASBg. 93 del Trecento, forse anche per il numero limitato di nuclei familiari, spesso non si osserva una distinzione tra credenza ed arengo; accade che ad entrambe partecipino sia credendari che vicini, nelle medesima quantità. Le funzioni amministrative dell’organismo comunale si ripetono normalmente secondo una cadenza regolare per le elezioni dei consoli e dei campari; per altre figure elettive particolari quali gli estimatori, i sindici o procuratori per singole incombenze, le nomine si susseguono senza un ordine altrettanto preciso, ma in rapporto alle necessità. L’attività amministrativa del comune di Terzo emerge in modo più preciso a partire dall’annata 1359 nella quale si rilevano sette momenti assembleari. Questa annata risulta particolarmente completa nella documentazione per l’opera del notaio Fachino de Modiis che in queste assemblee svolge un’attività comparabile a quella di un attuale segretario comunale. Nella credenza del 17 gennaio 1359, cui partecipano il console in carica e tre credendari, vengono eletti due campari che hanno il compito importante di ‘custodire le terre’, ossia un ruolo di polizia campestre per le ‘proprietà e le acque del territorio comunale’, dichiarando i danni verificatesi, arrecati da persone del luogo o forestiere. I campari durano in carica fino al primo luglio dello stesso anno, ossia circa sei mesi in tutto e la loro attività, nel caso di Terzo, si estende a tutti i tipi di beni presenti, quelli dei vicini, ossia del comune, ma anche a quelli privati di nobili e cittadini presenti a Terzo; questo ruolo viene espresso in modo esplicito nei singoli atti di elezione, proprio perché era possibile che i grandi proprietari scegliessero propri incaricati. L’elezione dei campari è una funzione ordinaria, esplicata dalla credenza, e talvolta la scelta cade sul console o su membri della credenza medesima. Molto importante è l’elezione degli estimatores, come documenta l’assemblea convocata nella data del 2 febbraio 1358, nella quale si riconoscono la credenza, il consiglio, la concione e l’arengo del comune di Terzo, ossia l’insieme di tutte le forme decisionali; la stessa convocazione dell’assemblea avviene con particolare enfa94 si mediante il tamburo di latta (tolla sonatis). In questo caso la procedura appare più laboriosa del solito e prevede estrazione a sorte (ad sortem iactatis partibus); tutte le sorti portano al nome di Guarino fu Mutto Carpella il quale elegge due estimatores nelle persone di Bergamino fu Mazuco e di Betino detto Ramus. Per il comune di Terzo questa è una procedura particolare che sottolinea l’importanza del ruolo degli estimatori, tuttavia non viene ripetuta nella medesima forma nel 1359, allorchè si procede ad una normale elezione da parte dell’assemblea allargata ovvero arengo. I due estimatori devono produrre la stima dei beni mobili ed immobili del comune di Terzo e di ciascuna persona del luogo, in copia scritta (in scriptura reductum), compiendo il lavoro in buona fede e senza frode, dove si ritrovi quanto è dovuto da ciascuno (honera, fodra, talia) entro venti giorni, mentre ci sarà tempo un anno per pagare la relativa tassa. I due eletti giurano sui vangeli toccando la sacra scrittura (tactis scripturis). Nel 1359 gli entensori dell’estimo hanno a disposizione quindici giorni per la pubblicazione dell’estimo così redatto. Nella stima cui va sottoposto ogni famiglia (foco) e ogni maschio sopra i diciotto anni vanno onestamente dichiarati crediti e debiti, oltre ai beni materiali; per la detrazione dei debiti, fino al valore di un terzo, è necesserio presentare delle ‘pezze giustificative’ ovvero documenti scritti che attestino tali debiti, pena la multa di lire 5. Il compito di redazione dell’estimo è particolarmente delicato e incide sulle disponibilità economiche di ciascun vicino; la scelta di tale compito ricade naturalmente sui più esperti tra i vicini, ma anche dalla provata integrità e onestà. Alla stesura di questo estimo naturalmente sfuggono molte proprietà e beni immobili di Terzo, che appartengono in larga parte ai Terzi, al Monastero o sono beneficio della Chiesa di S. Michele e Bartolomeo. I Terzi sono tutti cives ossia cittadini di Bergamo, pertanto godono di un regime fiscale separato, che dipende dall’estimo cittadino. Per alcune annate ci sono pervenuti molti degli atti stilati dal notaio per le assemblee comunali; in particolare per il 1359 e il 1360 sembra siano conservati tutti gli atti formali del comune. 95 Per una analisi di dettaglio si è scelto di presentare l’attività del comune di Terzo per l’anno 1359. Tabella delle assemblee del Comune di Terzo per l’anno 135959 Data Luogo Presenze Azione Eletti o nominati Terzo 17.01.1359 In piazza Credencia 1+4 Elezione campari fino a luglio Zanino fu Girondo Zanino Facamo Terzo 30.01.1359 In piazza Consilio creden- Elezione console cia, concione arengo 4+5 Guglielmo fu Pietro Mazucho Terzo 01. 02.1359 In piazza Credencia 1+4+5 Guglielmo Mazucho Terzo 27.02.1359 In piazza Credencia, con- Sindicato del sale. De- Appaltatore del dazio: cione, conscilio et lega al sindaco Gu- Bertolino de Garganis arengo 1+3+8 glielmo Mazuco per il sale Terzo 07.07.1359 In piazza Credencia 1+6 Terzo 09.09. 1359 In piazza Credencia, c o n - Elezione console cione 1+3+5 fino a gennaio Fredotto fu Bailone Terzo 09.09.1359 In piazza Credencia, concio- Elezione estimatori ne conscilio et arengo 1+3+8 Giovanni Zupa, Bergamino fu Pietro Mazuco Carta di sindicato Elezione campari fino a gennaio Guglielmo fu Pietro e Pietro Rizzolo L’assemblea si è svolta sempre nel medesimo luogo, sulla pubblica piazza di Terzo, ovvero uno spazio che si affacciava sulle case di Terzo, non meglio definito, ma che si può identificare con lo spazio esterno alla piazza del castello. Altre volte il riferimento è la pubblica strada, lungo la contrada di Terzo, davanti un edificio privato di cui si segnala la proprietà. Nella terza colonna si sitetizza l’indicazione sul tipo di assemblea e il numero dei presenti che richiamano la forma della rappresentanza: il primo numero si riferisce al console, che normalmente è uno solo. Il console è assente nell’assemblea del 30 gennaio in 59 Notaio Fachino de Modiis de Gaverina, faldone 80. ASBg. In questa annata il notaio risulta l’ufficiale incaricato di redigere gli atti del comune. 96 quanto si tratta di eleggere il nuovo console, pertanto quello in scadenza non viene contato quale console attivo. La credenza è composta normalmente da tre-quattro persone, ad eccezione dell’assemblea del sette luglio dove eccezionalmente la credenza è allargata a sei persone. L’arengo accoglie normalmnete da otto a dodici membri. Come si potrà notare nel paragrafo sulla popolazione l’arengo non esprime la totalità dei nuclei familiari o dei maschi presenti a Terzo in questo anno. Sono assenti i rappresentanti delle famiglie nobili, del clero, tuttavia una loro presenza di garanzia si trova tra i testimoni all’atto dell’assemblea, dove sia i Terzi e spesso i Mutti, risultano regolarmente presenti. A Terzo peraltro non esiste un comune dei nobili come si può registrare a Berzo nello stesso periodo. E’ da notare, sebbene appaia una considerazione ovvia, che non sono presenti rappresentanze femminili, che raramente sono attrici anche negli atti privati, ad esclusione dei testamenti e, indirettamente, negli atti relativi alle doti. Il console ha il massimo di responsabilità e riceve un riconoscimento economico per l’attività prestata. Egli dura in carica sei mesi, per cui nello stesso anno vi sono due consoli: Guglielmo detto Mazuco nella prima parte dell’anno e Fredotto fu Bailone nella seconda metà. In un arengo così ristretto, nell’arco di due o tre anni, la distribuzione delle cariche avviene su quasi o su tutti i membri componenti l’assemblea, rendendo di fatto impossibile una concentrazione di potere. Oltre alle funzioni ordinarie il console può svolgere funzioni straordinarie per le quali tuttavia riceve un incarico specifico come accade il 1 febbraio del 1359 attraverso una ‘carta di sindicato’, ossia una decisione della ‘credenza’, in questo caso allargata alla presenza di nove persone. Guglielmo dovrà presentarsi davanti a Pietro Visconti, podestà di Bergamo, o davanti al suo vicario per dare garanzia sulla fedeltà al signore di Bergamo, denunciare entro cinque giorni i reati compiuti entro il territorio di Terzo, catturare i malfattori e consegnarli alla giustizia, pagare le taglie e le imposte, impedire il transito nel territorio di merci non controllate. 97 Le funzioni elencate esulano dai normali compiti amministrativi e attengono alla gestione dello Stato, in questo caso il ducato visconteo, che richiede esplicitamente agli amministratori anche un ruolo di rappresentare localmente il potere centrale. Non sappiamo se Guglielmo questa garanzia l’abbia resa nelle mani del Podestà di Bergamo o del suo Vicario presente a Trescore, non ci sono infatti riferimenti espliciti alla esecuzione del mandato. In alcuni atti, nella seconda metà del Trecento, il ruolo del Vicario si esplica nel territorio di Borgo per la requisizione di beni immobili che dovranno essere in seguito rivenduti. Un atto importante è quello denominato sindicatus salis ovvero atto per il quale il console si impegna al rispetto delle regole imposte dall’appaltatore del dazio del sale, per quest’anno detenuto da Nicolino de Garganis; i vicini di Terzo che riceveranno tre pesi e cinque libbre di sale ogni mese, al prezzo di 2 soldi la libbra da pagarsi il quindici di ogni mese, si impegnano a non vendere liberamente sale nel territorio di Terzo, pena la notifica del reato entro tre giorni. Il sale è una risorsa scarsa sottoposta ad un controllo particolarmente rigido, come si vede anche nell’atto citato; la quantità distribuita e il prezzo fissato ufficialmente consentono di ricavare un gettito fiscale costante; pertanto è necessario impedire un mercato libero, parallelo, che sottragga una parte delle imposte dovute; in quel caso il comune dovrà rifondere la parte del mancato introito. Analizzando il nome dei presenti alle assemblee si nota una discreta variabilità. Il confronto tra due assemblee di due anni successivi può permettere di valutare il coinvolgimento dei vicini e i rispettivi ruoli. Normalmente vi è una rotazione degli incarichi; tuttavia è frequente il caso in cui la stessa persona per due volte successive svolga lo stesso ruolo o lo scambi con un altro; vista l’esiguità della popolazione è naturale che tutte le famiglie dei vicini si alternino nei vari ruoli. 98 Atto di elezione dei consoli del Comune di Terzo. Anno 1382, notaio Antonio Mutti. 99 Non è possibile stabilire un confronto ordinato su tutti gli atti del comune, in particolare per le molte lacune che si incontrano nei decenni successivi, tuttavia le modalità organizzative della gestione non sembrano subire forti cambiamenti. Tra 1376 e 1386 è presente una discreta documentazione relativa al comune di Terzo, che evidenzia l’introduzione di un diverso meccanismo elettivo dei consoli, mentre si mantine costante la continuità numerica nella frequenza alle assemblee60. Nella elezione dei consoli del gennaio 1383 sono presenti nove persone, di cui un console e tre credendari. Risulta eletto console Deleido de Sumprato, il quale a sua volta elegge Bertolino figlio emancipato di Jacobo Monchi. Si procede all’estrazione a sorte di Bonomino Petteni il quale elegge Tonolo de Lacosta. Segue poi l’elezione del camparo e risulta eletto Deleido de Sumprato. Il nuovo meccanismo introdotto è decisamente più macchinoso, mescolando elezione diretta con estrazione a sorte e nomina di secondo grado, avente lo scopo di rendere meno facile il controllo sulla gestione del Comune da parte delle medesime persone. Un ulteriore cambiamento di fatto riguarda la composizione dell’assemblea che presenta al proprio interno un certo numero di rappresentanti di famiglie provenienti da Vigano, tra i quali gli stessi eletti, sia uno dei due consoli (Tonolo de Lacosta) che il camparo (Deleido de Sumprato). Il comune di Borgo di Terzo conserva serie meno complete di atti riguardanti le assemblee comunali, distribuite in modo irregolare a partire dal 1351, anno della prima attestazione notarile di una assemblea comunale per questo comune. Il 10 aprile 1351 l’assemblea, composta da diciannove persone, nomina Giovanni detto Musa, Brigata Donesmani e Simonino Bugia per il dazio, la gabella e il teloneo del vino grosso e minuto, del panno albo61, delle bestie vive e morte, relativamente al comune di Borgo di Terzo. 60 Notaio Antonio de Muttis de Grono, vol. 115, pg 486. ASBg. 61 Le pezze di panno bianco, tessute con pettine alto, erano lunghe ventuno braccia. 100 Comune di Borgo di Terzo Presenze alla assemblea del 10 aprile N. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 13 14 15 16 17 18 19 Presenze Lanfranco fu Maifredo Bega Giovanni fu Pietro Zabeni Simonino fu Giovanni Bugia Giovanni detto Segramoxio Teutaldo fu Guglielmo Bugia Gidino fu Martino Monteno Giovanni detto Zambla Blancho fu Sanoldo Giovanni detto Mangione Guglielmo detto Coxia Giacomo detto Muttello Zornia Todesco fu Enrico Lanfranco detto Chino Framboy di Pietro Lio Fredino di Giovanni Bega Pietro Pagani Zano Pedegazza Antonio fu Pietro Gratoni a. 135162 Console Console Credendario Credendario Credendario Credendario Credendario Credendario Credendario Vicino Vicino Vicino Vicino Vicino Vicino Vicino Vicino Vicino L’organizzazione dell’arengo e le elezioni dei consoli seguono una diversa procedura rispetto a quella applicata dal comune di Terzo; ci sono infatti due consoli invece di uno, la credenza è decisamente più ampia, con sette credendari a fronte di un arengo di diciannove presenti, che segnala indubbiamente un comune più popoloso rispetto a quello di Terzo. Nel marzo del 1357, a Borgo, davanti all’abitazione di Gidino Mirane, in una affollata assemblea con ben 28 presenti, viene conferito l’incarico per il recupero dei debiti che i vicini hanno nei confronti del comune63. Ma la documentazione più estesa sull’attività del comune di Borgo 62 Notaio Venturino de Muttis de Grono, faldone n. 58, vol I, pg 66. ASBg. 63 Notaio Venturino Mutti, faldone n. 58, vol 1356/57, pg. 243. ASBg. 101 emerge dagli atti rogati attorno agli anni Ottanta dal notaio Antonio Mutti64. L’assemblea del 1376 per l’elezione dei consoli si tiene in ecclesia Sancte Marie, fatto non raro del resto anche per la stipula di atti privati, con testimoni di Grone e di Vigano, dove i nove partecipanti eleggono i due consoli Gidino detto Forzella e Bartolomeo Fredini. Il 13 gennaio 1382 l’arengo del comune composto da due consoli, quattro credendari e cinque vicini elegge consoli, Bertolino detto Mazza e Minetto detto Zambla, destinati a reggere i comune per l’intero anno, fino al gennaio del 1383. Il meccanismo è quello del sorteggio e i due sorteggiati ‘eleggono’ o designano ciascuno un console effettivo, come verificato anche per il Comune di Terzo nello stesso periodo. Con atto successivo, ma dello stesso giorno, Jacobo Fredotello viene nominato camparo per la medesima durata annuale. Un dato interessante di questo arengo è il luogo dove si svolge, in ‘domo comunis de Burgo Tertii, in qua congregantur vicini ipsius comunis’, ovvero ‘nella casa del Comune di Borgo dove si riuniscono i vicini del medesimo Comune’; il riferimento del luogo è nuovo e indica chiaramente che il comune di Borgo ha la disponibilità o la proprietà di una casa dove per solito si svolgono le assemblee. In questo perido vengono prese decisioni di particolare interesse soprattutto rispetto al dazio. In un atto del comune, del 1383, riguardante la satisdacionis feri, ossia il dazio del ferro, argomento particolarmente rilevante nell’economia del Borgo, l’assemblea nomina un valido officialle al fondego della ferrarezza, che ha sede in Bergamo, per tutto il ferro grezzo e lavorato da depositarsi e vendersi in tale fondego da parte degli operatori del ferro di Borgo. Si tratta di una mansione retribuita, anzi concessa ‘in affitto’ a Gidino Mirane, notaio, personaggio decisamente attivo nel comune e nelle molteplici attività private della bassa Valle Cavallina. Nel 1386 viene portata all’attenzione dell’assemblea comunale 64 Notaio Antonio de Muttis de Grono, faldone n. 115, anni 1376-1386, ASBg. 102 una lite, pendente davanti al comune di Bergamo, tra il comune di Borgo e i fratelli Baldello e Giovanni figli di Boni Secchi di Berzo, che abitano a Borgo. La lite tra il comune di Borgo e i rappresentanti del comune di Bergamo riguarda sette anni di arretrati nel pagamento delle taglie comunali da parte dei due fratelli di Berzo. I vicini di Borgo fanno donazione a Gidino Mirane di tutti i diritti e ricevono dallo stesso un paio caligarum panni blanetti mediolani65 in contraccambio; in pratica cedono la riscossione della taglia e la composizione della vertenza a mani alquanto esperte, che già hanno mostrato in varie occassione la capacità di rilevare debiti e di svolgere un ruolo di esattoria. Atti del comune di Borgo attorno agli anni Ottanta del Trecento Burgo Tertij Luogo 1376 29 dicembre Nella chiesa di Santa Consilio et arengo 2+4+3 Maria 1379 6 aprile Sulla via comune davan- Credencia, consilio, congrega- Elezione di Gidino Miti la casa di Gidino tione et arengo 2+4+5 rane missum sindicum Mirane 1382 13 gennaio Nella casa del comune Credencia, consilio, congrega- Elezione consoli dove si riuniscono i vi- tione et arengo 2+5+5 cini 1382 13 gennaio Nella casa del comune Credencia, consilio, congrega- Elezione camparo dove si riuniscono i vi- tione et arengo 2+5+5 cini 1382 13 gennaio Nella casa del comune Credencia, consilio, congrega- Carta satisdacionis (dadove si riuniscono i vi- tione et arengo 2+5+5 zio) cini 1383 28 dicembre Nella via comune 1386 9 gennaio Sotto il loggiato di Gi- Credencia, consilio, congrega- Composizione lite con dino Mirane tione et arengo Baldello e Giovanni fratelli 1386 29 gennaio Sotto il loggiato di Gi- Credencia, consilio, congrega- Carta satisdacionis salis. dino Mirane tione et arengo Taglia sul sale sotto pena di L 100 di multa Forma Ordine del giorno Elezione consoli e camparo Credencia, consilio, congrega- Carta satisdacionis feri tione et arengo (dazio del ferro) 65 Le caligie erano calze lunghe a coprire tutta la gamba che venivano confezionate con panno basso. In questo caso si intende due pezze di stoffa della misura giusta per ottenere caligie. 103 L’ingresso a Borgo di Terzo da sud, lungo il tracciato della SS 42, che ripercorre in buona parte la medievale strada del Comune di Bergamo. La versione attuale a confronto con cartolina degli anni Cinquanta (Archivio Giuseppe Pasinetti). 104 10. La popolazione I presenti alle assemblee pubbliche in epoca tardo-medievale sono uno dei metodi più utilizzati per la stima della popolazione complessiva. La formula ricorrente in tali atti è la conferma della validità dell’assemblea affidata alla presenza di almeno due terzi degli aventi diritto; se si moltiplica per cinque il numero delle persone presenti si ottiene una stima ritenuta attendibile della popolazione. Utilizzando questo criterio si stima che alla metà del secolo XIV Borgo di Terzo conti centodieci abitanti, sessantacinque Terzo, duecentotrenta Berzo S. Fermo, centoventicinque Entratico, ottantacinque Grone66. In questo caso la somma degli abitanti di Borgo di Terzo e di Terzo si avvicinerebbero alla popolazione di Berzo, che risulta il centro più popoloso di tutta la Valle Cavallina. Raramente questo valore è confermato da riscontri fatti sui singoli ceppi familiari ricavati da altre fonti, quali l’analisi sistematica di atti privati. Un riferimento d’obbligo per indagini sulla popolazione è il valore numerico riportato in statistiche più recenti, in particolare quella della visita pastorale di S. Carlo Borromeo, avvenuta nel 157567 e la rilevazione di Giovanni da Lezze del 159668. Alla fine del Cinquecento Borgo di Terzo è costituito da un unico comune che alla visita del Borromeo conta 400 anime e, secondo Da Lezze, è costituito da 90 fuochi con 450 persone. Un confronto di questo genere è puramente indicativo e non evidenzia le oscillazioni dovute a ricorrenti pestilenze e carestie, che hanno avuto effetti importanti sulla struttura della popolazione. 66 Cafaro S. R., La Valle Cavallina intorno alla metà del Trecento, dagli atti del notaio Fachino de Modiis de Gaverina (1358-1361), Tesi di laurea presso Università degli Studi di Milano, Relatore Mainoni P., Anno accademico 1994/95. 67 Gli atti delle visite apostoliche di S. Carlo Borromeo a Bergamo (1575), a cura di Angelo Giuseppe Roncalli, vol. II, Olschki, Fi, 1938, Archivio Curia Vescovile, Bg. 68 Giovanni da Lezze, Descrizione di Bergamo e suo territorio 1596, a cura di Marchetti V. e Pagani L., Bg 1988, pp. 380/81. 105 Nel Trecento gli uomini e i ceppi familiari di Borgo possono essere identificati quasi sempre tramite il soprannome visto che in molti casi il cognome non si è ancora stabilizzato, ad eccezione delle famiglie signorili, e spesso il soprannome prefigura il futuro cognome. La presenza dei vicini agli atti pubblici del Comune permette di identificare molte famiglie, spesso rappresentate solo dal capofamiglia, particolarmente le persone più attive nella gestione del comune. Frequenti casi di passaggio di famiglie da Terzo a Borgo o di spostamenti da e per i paesi vicini possono essere individuati; essi segnano un processo lento, ma continuo, che si può verificare anche nei secoli successivi, sull’onda delle diverse opportunità di lavoro e di una economia commerciale presente sul fondovalle. Si possono fare alcuni confronti articolati su di un arco di tempo ristretto, per valutare la frequenza effettiva alle assemble pubbliche in rapporto alla popolazione totale. 10.1 Terzo Il 2 febbraio 1358, nella piazza di Terzo, nella pubblica e generale credencia, consilio, concione et arengo, si procede alla elezione degli esperti del comune, incaricati di stendere l’estimo degli abitanti del villaggio assolvendo un compito importante e delicato69. Nella tabella si riportano le presenze a tale assemblea confrontandole con quelle di un’altra simile tenutasi il 7 settembre 135970 per l’elezione del console, da durare in carica fino al primo gennaio 1360. Nella tabella si segnala le presenze/assenze, la condizione di ruolo occupata dai singoli vicini nell’assemblea e il risultato della elezione effettuata. 69 Notaio Fachino de Modiis de Gaverina, 2 febbario 1358, faldone 80, ASBg. 70 Notaio Fachino de Modiis de Gaverina, 7 settembre 1359, faldone 80, ASBg. 106 N. 1 Presenze Bergamino fu Mazuco a. 135871 Console presente Credendario presente Credendario presente Credendario presente presente 2 Guarino fu Mutto Carpella 3 Betino detto Ramus 4 Guglielmo fu Pietro Mazuco 5 6 Martino fu Baylone Fachino fu Bergamino 7 8 9 10 Lanfranco detto Facamo Zanino fu Girondo Iacopo fu Fachino Monco Giovanni detto Zupa presente presente presente assente assente 11 Guarino fu Mutto Carpelle assente 13 14 15 16 Betino detto Greppo Mayfredo Fredotto fu Baylone Venturino fu Pietro Ocha Giovanni fu Bartolomeo detto Coxia assente assente assente assente a. 135972 assente presente Credendario presente presente assente Credendario presente assente assente presente Console presente Credendario presente presente presente presente presente Nelle due concioni si raggiunge il numero complessivo di sedici rappresentanti; all’assemblea del 1358 ne sono presenti otto, decisamente meno dei due terzi dichiarati nella ufficialità, necessari per la validità formale dell’assemblea. La dichiarazione dei due terzi, anche quando tale numero non sia stato raggiunto, sembra tuttavia una prassi ricorrente all’interno delle piccole comunità. Più numerosa risulta invece l’assemblea del 1359 per l’elezione del console che dura in carica fino al primo gennaio 1360, che registra dodici presenti. Valutando le presenze complessive a queste due assemblee comunali potremmo stimare in ottanta il numero degli abitanti di Terzo. Si deve tenere conto inoltre di una quota di presenze per il 71 Notaio Fachino de Modiis de Gaverina, faldone 80, ASBg. 72 Notaio Fachino de Modiis de Gaverina, faldone 80, ASBg. 107 Monastero73, per gli ecclesiastici e per esponenti delle famiglie Terzi, assenti alle assemblee dei vicini, o presenti in qualità di testimoni. Se gli atti del comune risultano interessanti per comprendere la dinamica delle diverse famiglie all’interno della comunità, spesso non sono sufficienti per ricavare una stima effettiva della popolazione e per cogliere altre dinamiche interne importanti, quali lo status sociale e l’attività. Un quadro ben più articolato dei nuclei familiari o delle singole persone presenti a Terzo nella seconda metà del Trecento può essere ricavato dagli atti notarili privati, rogati dai notai che operano sulla piazza di Borgo in questo periodo, ovvero Fachino de Modiis de Gaverina e Venturino de Muttis, a partire dal 1376 Antonio de Muttis. Rispetto ai dodici presenti, che costituiscono un livello di massima presenza, verificatosi nell’assemblea del 1359, abbiamo un margine di altre dieci persone che, per svariati motivi, risultano assenti. Se applicassimo il solito coefficiente cinque avremmo come risultato una popolazione di centodieci persone, ossia una cifra decisamente superiore ai sessantacinque riportati nella precedente stima. Valutare la dimensione di alcune di queste famiglie risulta comunque difficile. Il fatto che compaia una sola persona e per un arco limitato di tempo, senza segnalazione di altri parenti, fa pensare in alcuni casi che si tratti di possibili domestici dei Terzi o di persone la cui permanenza a Terzo sia stata molto breve, nonostante alcuni di essi abbiano assunto cariche significative nelle assemblee del comune. Confrontando con l’assemblea del gennaio 138374, solo venti anni più tardi, scopriamo che altre nuove famiglie si sono aggiunte a 73 A questa data il capitolo delle monache è composto da 3 monache, 1 conversa e 1 frate converso. 74 Anno 1351. Notaio Antonio de Muttis, ASBg, Faldone n. 115, pg 486. 108 quelle storiche, ma soprattutto che alcune delle precedenti sono scomparse, per destinazioni non sempre note. Sorprende una variabilità così forte registrata nell’arco di soli due decenni. L’assemblea del gennaio 1383 vede la presenza di un console, tre credendari e cinque vicini, in totale nove persone, una cifra non molto dissimile da quelle registrate negli anni Cinquanta dello stesso secolo. Cinque famiglie su nove, tra quelle rappresentate nell’assemblea per l’elezione dei consoli, sono però nuove rispetto a quelle configurate in precedenza e di queste quattro provengono da Vigano (Petteni, de Sumprato, de Lacosta, Rabamo), a sostituire altre famiglie locali che si sono spostate a Borgo oppure all’esterno di quest’area. Emerge in particolare un rapporto molto forte tra Terzo e Vigano, giocato principalmente sui beni del Monastero e della Chiesa di San Michele. Le proprietà estese degli Enti ecclesiastici locali rendono plausibile lo spostamento degli affittuari alla scadenza delle affittanze da un podere all’altro, ma anche da un paese all’altro. 109 Il Comune di Borgo di Terzo concede in affitto a Gidino Mirane alcuni appezzamenti di terra a Redona di Trescore Balneario. Notaio Cristoforo Terzi (a.1420). 110 10.2 Borgo di Terzo L’atto del comune di Borgo per la elezione dei concessionari del dazio, gabella e teloneo del vino grosso e minuto, del panno chiaro e delle bestie vive e morte risulta realistico rispetto alla consistenza e alla rappresentanza delle famiglie di Borgo75. I presenti all’assemblea sono 19, tra i quali due consoli e ben otto credendari, ossia dieci persone che hanno responsabiltà di conduzione del comune su diciannove presenti. Borgo di Terzo, alla metà del Trecento, si conferma quindi più popoloso del ben più antico Terzo, suo centro generatore, con famiglie numerose e ben strutturate. La conferma di tale condizione appare più evidente allorchè realizziamo un quadro d’insieme delle persone presenti negli atti notarili dell’epoca, legandole al contesto familiare. I cinquantotto ceppi registrati raccolgono nell’insieme circa centoventi persone di sesso maschile in età adulta, ossia in condizione di emancipazione, in grado di stipulare atti notarili o di comparire quali testimoni. Un confronto con gli anni Ottanta o con l’inizio del Quattrocento evidenzia che alcuni nuclei familiari scompaiono o per estinzione del capo famiglia senza discendenza maschile, o per altre cause; altri si ampliano e sviluppano nuove attività. Nel complesso la popolazione ha subito una drastica riduzione, nettamente evidenziata nel decennio a ridosso degli anni Ottanta, con la perdità di ben trentasei nuclei familiari sui cinquantanove presenti a metà del Trecento. 75 Notaio Venturino Mutti, faldone n. 58, pg 66. ASBg. 111 Borgo: situazione dei nuclei familiari all’inizio del Quattrocento 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 Ceppi sopravvissuti Bega Boita Brigata Bugia Coldera Gaia Gironi Gratoni Libera Lio Mangione Malerba Segramoxio Mazza Blanchi Mirane Pagano Parixio Rosetti Sbercia Zabeni Zambla Zenuchi Zornia Zuparino Ceppi emigrati Bazeto Bolgerolo Cavalera Chino de Nicazzi Coalia Contorno Coxia De Lacornella Ferari Grona Guglielmazzo Lavalle Medalia Menzino Merlone/Mussa Monteno Mutto Nigota o Loco Pedegazze Petergalli Peterzoli Pomina Riotto Saiotto Salacarnia Sanoldo Salvetti Scailina Siribello Sorania Tartano o Tarterio Tosegino Todesco Valtulina Zigala 112 Nuovi ingressi Bazini (Berzo) Benalige Berlende de Santo Gallo Betossi (Trescore) Bonini (Berzo) Burdiga De Lacosta (Vigano) Forzella Fredotello (Terzo) Manera (Vigano) Meyore (Adrara) Monchi (Terzo) Patinaze (Vigano) Pruiache (Vigano) Vulpe (Vigano) Sono scarse le indicazioni per capire la destinazione di chi si allontana, tranne per due casi, Chino de Nicazzis e Scaylina. Chi se ne va può essere individuato attraverso atti di divisione dei beni cui segue la cessione della propria quota ai parenti; ma la copertura notarile è discontinua e lascia molti vuoti, in particolare tra il 1362 e il 1376, o tra il 1386 e il 1402. Sappiamo che Chino de Nicazzis possiede una fucina ad Artogne, in Valle Camonica, ed è possibile che abbia scelto quella destinazione, così pure il ceppo Scaylina si trasferisce a Montecchio di Darfo. La permanenza a Borgo per alcuni è stata un episodio, in particolare per gli uomini di Vigano che tendono a spostarsi all’interno del Borgo, insediandosi a Cimaborgo o a Vigano a seconda delle condizioni economiche della famiglia e delle migliore opportunità di lavoro. La provenienza degli ingressi è più facile da riconoscere, visto che per i nuovi arrivati si segnalano quasi sempre le ascendenze onomastiche; il gruppo maggiore viene da Vigano, seguito da quello di Terzo e di Berzo. Borgo mantiene un potenziale di attrazione rispetto ai paesi confinanti; questi ingressi avvengono sulla base di meccanismi diversi da quelli che spingono le famiglie di Vigano verso Terzo. Chi si stabilisce a Borgo infatti non è legato a contratti agrari e alla lavorazione della terra, ma viene coinvolto nell’economia artigianale e commerciale, nel giro degli affitti delle case e nella circolazione di denaro. Alcuni membri delle famiglie di Berzo (Bazini, Bonini), che godono di un certo benessere economico, acquistano casa nel Borgo, non per utilizzarla quale residenza, ma per affittarla, quindi a scopo di investimento economico. Altri quattordici nuovi ceppi familiari subentrano ai quarantadue nuclei che sono spariti; la maggior parte dei nuovi ingressi ha percorso una distanza breve e spesso mantiene rapporti matrimoniali e parentali con l’ambiente dei paesi di origine. L’arrivo a Borgo, più che emigrazione, appare una normale rotazione tra paesi contigui che si comportano come un sistema produttivo integrato, in grado di raggiungere un proprio equilibrio fondato sulla differenza delle attività e delle professioni. 113 La diminuzione della popolazione dalla metà del secolo agli anni Ottanta appare evidente anche nelle assemblee del comune; nel 1351 si potevano trovare riuniti in assemblea fino a venti presenti, trent’anni più tardi se ne trovano al massimo dodici; le assemblee comunali seppure con una rappresentanzione non perfetta, esprimono un indicatore quantitativo della popolazione reale. E’ possibile che sulla condizione della popolazione di Borgo abbiano influito le carestie e la peste che hanno colpito duramente l’Europa e anche la bergamasca per tutto il Trecento. La peste del 1361, arrivata a Bergamo attraverso le truppe mercenarie di Giovanni II del Monferrato, si era diffusa anche nel contado e probabilmente ha raggiunto anche il territorio di Borgo. Alcuni segnali si hanno per gli anni ’60 dalla scomparsa quasi in contemporanea dei due notai Venturino Mutti e Fachino de Modiis de Gaverina, oltre che di Paxino detto Abate nel 1357, visto che dopo la scomparsa, evidentemente prematura, il figlio Adlongino agisce come tutore della schiera di fratelli minorenni. Non sembra sufficiente l’evento pestilenziale a giustificare una riduzione tanto consistente della popolazione locale; sembra più probabile una progressiva migrazione verso la città o verso centri di maggiore richiamo per possibili attività artigianali, in condizione più appetibili. A Lovere si trovano nel sec. XVI-XVII ceppi familiari quali Gaia, Bailoni, Bonetti, Ocha, gli stessi che scompaiono da Borgo nel secondoTrecento e che sono impegnati in attività artigianali; quella di caligario ovvero artigiano dei panni e di pelletteria per i Gaia, o per altri, mancando un riferimento all’affitto di terre, si può pensare ad un loro lavoro alle dipendenze delle diverse fucine attive nel Borgo. Tra i nuovi ingressi si nota per la prima volta un commerciante con interessi distribuiti su più larga area geografica; Giovanni Berlende de Santo Gallo, cittadino di Bergamo, di lontana origine brembana, si insedia a Borgo verso la fine del Trecento, dove incontra buone occasioni per i propri traffici. 114 Atto di elezione dei consoli del Comune di Terzo. Anno 1382, notaio Antonio Mutti. 115 11. Ad regias faciendas L’industria del ferro utilizza il minerale quale materia prima, la forza idraulica dell’acqua per muovere i magli, il carbone di legna per la fucinatura. Tutte queste risorse sono abbondantemente presenti nell’area alpina e prealpina. Gli impianti per la lavorazione del ferro, ossia le fucine e gli opifici per la trasformazione, sono sorti in primo luogo in prossimità di aree estrattive, dove si collocavano forni fusori per il primo trattamento del minerale e per la produzione di un semilavorato adatto alla successiva trasformazione con il maglio. Borgo di Terzo è piuttosto distante dalla Valle Camonica e dalla Valle di Scalve76, sedi di attività estrattiva del ferro risalenti ad epoca preistorica, dove si concentrava la presenza di miniere e di forni. Il dato rilevante per la nascita del traffico della ferrarezza a Borgo è la presenza del fiume Cherio, da cui viene derivata la seriola, all’altezza della confluenza nel fiume della Valle Secca, in territorio di Vigano e Grone; un contributo idraulico aggiuntivo è dovuto al torrente Closale, sufficiente a garantire acqua per alcune fucine poste a ridosso del medesimo. Alle origini il Borgo si affacciava su di una sola seriola, con un tracciato importante per portata e per lunghezza, sulla quale hanno trovato collocazione in tempi successivi tre diverse derivazioni d’acqua. Magli e mulini erano appaiati, con edifici contigui, che sfruttavano la medesima bocca di derivazione della seriola e lo stesso salto d’acqua. In effetti il modesto dislivello del fondovalle non permetteva uno sfruttamento più intensivo della forza idraulica. Solo in epoca cinquecentesca si caverà dal Cherio una seconda seriola, con innesto nel fiume a valle della precedente, destinata ad alimentare il nuovo maglio Nazari, posto a sud del paese, in luogo più decentrato e periferico. 76 Calegari M. Simoni C., Boschi miniere forni. Culture del lavoro nelle valli bergamasche e bresciane, Grafo, 1994. Per la Valle Camonica si veda Maculotti G., I Signori del Ferro, Circolo Culturale Ghislandi, La Cittadina, 1988. 116 In realtà la concentrazione di magli riguarda il Borgo più in senso geografico che amministrativo, visto che il maggior numero di magli si trova in comune di Vigano, nelle località di Cimaborgo e alla Cornella. Questo dato di fatto è confermato nella descrizione fornita da Giovanni da Lezze, alla fine del Cinquecento77, dove alla voce Borgo si ricorda che ‘Tre edifitii lavorano ferro per Roma, Napoli, Fiorenza, Milan et Brescia pagando a daciari per l’uscita scudi 50 del ferro lavorato avendo l’essentione del condurlo a lavorar e così dei carboni e molini de rote tre. Questo traffico importa l’anno circa scudi 5.000’. Mentre per Vigano si dice ‘Edifitii molini da grano rote n.6, edifitii da ferro grossi con doi rote l’uno numero quattro’. Tuttavia il sistema produttivo Borgo-Vigano viene sempre letto come unico e probabilmente anche la nota di Giovanni da Lezze affronta la produzione locale in tale modo, quando valuta in 5.000 scudi il valore complessivo del mercato locale del ferro. Le origini dell’impresa del ferro, in epoca medievale, hanno richiesto certamente una adeguata possibilità economica, in prima battuta per la realizzazione della seriola. La famiglia Terzi era in possesso sia degli strumenti economici che di un potere signorile, esercitato sulle comunità locali, tale da consentire opportune strategie e adeguati investimenti. Accanto ai Terzi tuttavia le famiglie Mutti di Grone e Della Valle di Vigano compaiono già nel XIII secolo quali comprimari nella gestione dei principali affari locali. Le relazioni politiche e i frequenti scambi matrimoniali tra i Terzi e i Federici di Valle Camonica hanno favorito anche la naturale connessione con una valle dove i metalli si lavoravano dalle origini dell’età del rame, ossia da quando compare una prima tecnologia che rende possibile la fusione; dalla Valle Camonica in particolare è possibile un flusso di materia prima e di semilavorati verso la Valle Cavallina, che accoglie insediamenti deputati alla sola trasformazione. 77 Giovanni da Lezze, Descrizione di Bergamo e suo territorio 1596, a cura di Marchetti V. e Pagani L., Bg, 1988 117 L’altra risorsa necessaria è il carbone di legna la cui produzione locale è garantita dalla abbondante copertura boschiva presente in Valle Cavallina; la produzione di carbone di legna trova conferma in tutta la documentazione storico-archeologica, oltre che nei documenti sull’uso dei boschi locali. Alla metà del Trecento il sistema del Borgo appare pienamente realizzato ed efficiente nello sfruttamento dell’acqua, con presenza di un gruppo di famiglie che operano nella produzione di manufatti. L’appalto del dazio sul ferro, regolato dagli Statuti di Bergamo del 1353, prevedeva un controllo stretto su tutto il ciclo della lavorazione, per impedire esportazioni abusive e conseguente distrazione di entrate daziarie; dalla fonte fiscale provengono infatti alcune importanti informazioni di natura quantitativa. Fino al 1374 l’intervento sul dazio da parte della signoria viscontea era gestito dal comune di Bergamo e passava attraverso appaltatori addetti alla riscossione, tra i quali per la Valle Cavallina possiamo identificare con certezza Bertolino de Garganis che, a questa data, compare quale appaltatore del dazio del ferro, del rame, dell’acciaio, della ferrarezza per la città e per il distretto di Bergamo78. Due successivi atti di credenza del comune di Borgo, risalenti al 17 e al 21 marzo 1361, si rifanno ad un analogo atto stilato nella credenza di Monasterolo il 12 marzo dello stesso anno, nel quale si dettano le condizioni per il traffico e la lavorazione del ferro: ‘i predetti consoli credendari e vicini non permettano di passare ne di trasportare o di portare del minerale di ferro (venam a ferro), o ferro crudo ne rame in qualche quantità ne ferro cotto oltre un pense79 ne azalle80 che superi le cinque libre nè carbone per il suddetto comune ne per il territorio dello stesso comune tranne che quelli i quali così traggono, portano, conducono abbiano autorizzazione scritta (partem et scriptum) dal suddetto conduttore (del 78 Notaio Fachino de Modiis de Gaverina, faldone 80, ASBg. 79 Pense. 1 pense equivale a 10 libre grosse, ovvero a kg 8.13. 80 Azalle: semilavorato in acciaio da utilizzare per il maglio. 118 dazio) o da suo incaricato. E chiunque degli stessi consoli del comune contravverrà debba versare al conduttore (del dazio) 100 soldi imperiali pro banno81 seu pena et nomine banni seu pene e il comune 25 lire imperiali’82. Dal documento emerge che le condizioni per il traffico del ferro sono formalmente rigide e, probabilmente, anche il controllo risulta altrettanto oculato; Monasterolo a quell’epoca non presenta opifici per la lavorazione del ferro, al più il controllo può essere effettuato sul passaggio di carichi, provenienti dalla Valle Camonica e destinati altrove; Monasterolo è fortemente interessato per contro alla produzione di carbone di legna, prodotto di un territorio prevalentemente boschivo, e alla esportazione dello stesso verso i carbonili dei magli. La vigilanza sulla corretta riscossione del dazio era demandata normalmente al vicario locale, la cui sede più prossima era Trescore; tuttavia non si trovano riferimenti espliciti a tale Vicario negli atti locali sul traffico del ferro, che sono regolati dalle grandi famiglie locali83. Dopo il 1374 il controllo sulla lavorazione del ferro sarà assunto direttamente dai Visconti, signori di Milano, che gestiranno attraverso propri ufficiali (offitiales ferraretie) la riscossione delle gabelle sulla produzione e lavorazione del metallo. A Borgo, forse proprio nella seconda metà del Trecento, si raggiunge per il ferro la massima concentrazione di fucine e di lavoranti impegnati in attività produttive; anzi sembra di capire che il sitema locale del ferro è già maturo per trasformazioni di tipo imprenditoriale. In un elenco dei debitori del Fundegum ferrarecie del comune di Bergamo, risalente al 1397, compaiono ben 17 ferarii di Borgo, 81 Banno: imposizione fiscale. 82 Notaio Fachino de Modiis de Gaverina. Si veda tesi di laurea La Valle Cavallina intorno alla metà del Trecento dagli atti del notaio Fachino de Modiis de Gaverina (1358-1361), di Silvana Rita Cafaro, Anno Accademico 1994/95, Università degli Studi di Milano. 83 Sull’argomento la documentazione recuperata nell’ambito di questa ricerca offre perfetta concordanza con quanto affermato da Andrea Zonca nel volume Cenate e Casco, Due comunità bergamasche nel Medioevo, Comune di Cenate Sopra e di Cenate Sotto, 2005, pg 48. 119 con una concentrazione che risulta essere la più alta registrata sia nella città di Bergamo che nel distretto bergamasco84. Questa concentrazione giustificherebbe, secondo alcuni autori, la presenza a Borgo di un offitiale visconteo, cui è demandato il compito di controllare il fondaco ovvero il locale dove viene depositata la mercanzia, in attesa di rilascio della bolletta da parte del daziere. Del funzionario non si trova tuttavia riscontro negli atti locali, anzi ancora in un atto del 1376 Francesco e Tiardino Mutti, assieme a Temino Terzi, agiscono officio et nomine comunis Pergami85, assumendo un ruolo che appare quello di esecutore daziario. La questione appare più chiara attraverso un atto del comune di Borgo, risalente al 16 dicembre 1383, nel quale Gidino Mirane di Borgo viene nominato officiale al fondego della ferrarezza, che ha sede a Bergamo, nel quale viene depositato il ferro grezzo e lavorato, da vendersi a cura del funzionario86. 84 Mainoni P., L’economia di Bergamo tra XIII e XV secolo, in STORIA ECONOMICA E SOCIALE DI BERGAMO, Il Comune e la Signoria, Fondazione per la storia economica e sociale di Bergamo, 1999. 85 Notaio Antonio de Muttis de Grono, faldone 115. ASBg. 86 Notaio Antonio de Muttis de Grono, faldone 115, pg 573. ASBg. 120 11.1 Magli e fucine A Borgo nel Trecento vi sono due edifici dotati di un maglio e la lavorazione del ferro sembra coinvolgere otto fucine. Dagli atti si ricava che le fucine locali fanno registrare una forte specializzazione nella produzione di folzoni da prato, ossia falci per il taglio dell’erba, e di regias, grossi nastri continui utilizzati per botti e tine. Le vendite del prodotto lavorato il più delle volte sono fatte all’ingrosso, quasi sempre nella confezione fatta da balle di folzoni da 60 pezzi; al riguardo la documentazione appare piuttosto omogenea. Compaiono in alcuni atti dettagli che attengono al tipo di lavorazione effettuata, come ad scartandum regias et folzonos, o lavorazioni fatte per filum et per costas. In un solo caso si usa la dizione ad coquendum ferrum ossia si fa riferimento all’attività del forno fusorio, dove il ferro crudo passa a ferro cotto; però l’impianto cui l’atto si riferisce sta ad Artogne, in Valle Camonica, nella fuxina di Giovanni detto Chino de Nicazzis. E’ un caso interessante che mostra ancora una volta il collegamento tra l’attività nelle due valli contigue e la capacità di alcuni operatori locali d’intraprendere ben oltre la realtà di Borgo. In qualche caso si trovano elenchi di attrezzi presenti nella fucina, che vengono dati in affitto, in particolare incudini medie e grosse. Nel 1351 Venturino detto Zigala fu Alberto detto Garbalia ottiene in affitto da Alberto Recuperato da Terzo una casa prope vallem subtu Pusterla; si tratta del primo edificio ad ovest del Closale, la stessa casa che Venturino aveva appena ceduto al Terzi con precedente atto. Per il fabbro Venturino Zigala si tratta certamente di un momento di ristrettezza economica, cui sopperisce cedendo la propria abitazione, con relativa fucina; la casa gli viene poi concessa in affitto con tutti gli attrezzi necessari all’attività di fabbro, stimati 20 soldi e per i quali paga 5 soldi di affitto al mese. Tra gli attrezzi troviamo due mantici per fucina, una incudine da fabbro, 121 cinque forbici da ferro87. Per poter proseguire nell’attività si paga un oneroso affitto! Questo meccanismo di vendita con riaffitto al venditore ritorna con una certa frequenza verso la metà del Trecento e segnala certamente condizioni di difficoltà, dovute a cause non sempre legate alla produzione. 87 Notaio Venturino de Muttis de Grono, faldone 58, pg 62. ASBg 122 Estratto di mappa catastale austro-ungarica (a. 1853). Area di Cimaborgo dove si localizzano gli opifici che sfruttano l’acqua della seriola: maglio (n. 671) e mulino (n. 666). 123 Zappone metallico utilizzato per movimentare tronchi. Schizzo di disegno per lavorazione di pezzo al maglio, relativo all’attività del maglio Bianchi, in funzione fino agli anni Sessanta del Novecento. 124 Cimaborgo, area degli opifici. Bocca di uscita della seriola dal mulino, detto nel Trecento ‘molendinum de Morettis’. 125 Edificio di Cimaborgo nell’area degli opifici; nel Trecento Pietro Mutti lo affitta a Pietro Coldera che vi tiene una fucina. 126 Edificio di proprietà di Alberto Recuperato da Terzo in affitto a Venturino Zigala che vi tiene una fucina (a. 1351). 127 11.2 Le famiglie che lavorano il ferro Le famiglie impegnate nella lavorazione del ferro si possono individuare sia da dichiarazioni esplicite, che segnano il luogo della stesura dell’atto notarile, ad esempio davanti alla casa e fucina di Bazeto, nella fucina di Zambla,… Spesso sono gli atti relativi alle vendite di manufatti, talvolta sono anche le successioni ereditarie a rivelare le condizioni degli operatori del ferro. Gli esempi sono numerosi. Nel 1351 Simone Bugia chiede a Pietro de Ferraris di Castione di pagare quei denari che gli erano dovuti per una certa quantità di folzoni. La riscossione dei debiti in certi casi può risultare difficile e, per maggiore cautela, la vendita o la scadenza del pagamento sono formalizzati con atto notarile; l’attività di Simone non è in espansione, anzi risulta minaccita da difficoltà di sopravvivenza. Lo si ricava da un atto dello stesso anno in cui Simone, con Giovanni Mussa e Bonadeo detto Pino cedono in affitto la fucina, posta a Cimaborgo, a Bertolino de Salaminis di Bienno. E’ un atto particolarmente interessante, sia per le condizioni contrattuali praticate sia perché segnala l’ingresso di un operatore di maggiore peso nel ciclo produttivo di Borgo; se da un lato sottolinea le difficoltà della locale lavorazione del ferro, evidenzia dall’altro la maggiore forza della imprenditorialità camuna, in questo caso rappresentata da Bertolino de Salaminis. Il nuovo imprenditore prende in consegna la fucina ad scartandum regias et folzonos con maglio grosso, rileva i materiali già presenti, compreso il carbone, mantiene gli stessi proprietari quali dipendenti, pagando loro un quota fissa di 14 soldi per ogni lavorazione a scartata88. La forza imprenditoriale di Bertolino deriva probabilmente dalla capacità di impiegare un numero maggiore di lavoranti e di aumentare sensibilmente la produzione, puntando su di una migliore rete commerciale! 88 Ad scartandum: tipo particolare di lavorazione che si applica per realizzare l’appiattimento e la piegatura. 128 Anche Iacopo e Zanino Zornia vivono del lavoro del ferro. Nel 1361 vendono a Bertramollo de Gatonibus di Milano, evidentemente un commerciante, sei balle di falci da prato, per una cifra interessante. In altra occasione Iacopo nomina il figlio Zanino procuratore per la vendita di quattro balle da sessanta falci lavorate dalla fucina, per filum et per costas. Nella fucina di Malerba ‘temperant folzonos’, si pratica la tempera delle falci, che consiste in un processo di raffreddamento con acqua per mutare le caratteristiche di durezza e resistenza del ferro. Nel 1361, con atto rogato nella sua stessa fucina annessa alla casa (in domo et fuxina), Guglielmo fu Pietro Bazeto subisce la confisca di un carico di falci di trecento pezzi, che viene requisito, ma lasciato in deposito allo stesso Guglielmo. Probabilmente si tratta di un debito non pagato, o più facilmente la requisizione di un bene per questioni di eredità. 129 Le fucine89 Anno 1351 Operatori del ferro Venturino detto Zigala (*) 1351 1351 Simone e Teutaldo Bugia (*) Simone Bugia (*) 1351 1359 Bonadeo detto Pino, Giovanni detto Mussa, Simone Bugia (*) Giovanni Mussa fu altro Giovanni detto Merlone (*) Giovanni detto Chino de Nicazzis (°) 1359 Giovanni detto Mangione (°) 1361 1361 Guglielmo Bazeto (°) Iacopo e Zanino Zornia fu Martino (°) 1361 Simone detto Mone e fratelli (°) 1383 Paxino Segramoxio d. Malerba (#) 1404 Giovanni Berlendino (§) 1357 Azioni Vende la casa con fucina e la riaffitta, posta prope Vallem de Tertio, subtu Pusterla Fucina ad scartandum regias et folzonos Richiesta a Pietro de Feraris di Castione dei soldi per le falci vendute Cedono il maglio grosso ad scartandum regias et folzonos al maestro Bertolino di Bienno Vende un carro di falci ‘scartatarum’ ai De Gatonibus di Milano Minino de Lacornella di Vigano si impegna a lavorare nella fucina di Giovanni, posta ad Artogne,‘ad coquendum ferro et ad regias faciendas’. Otterrà 27 denari per ogni regias Atto nella fucina di Giovanni detto Mangione fu Girado detto Gatto L’atto è steso in domo et fuxina dei Bazeto Vendono le loro falci, lavorate per ‘filum et costas’ ai mercanti De Gatonibus di Milano. Fucina sulla Valle di Terzo Affittano a Giovanni e Guglielmo de Nicazzis una fucina detta malium cum uno arbore90 Atto in casa Malerba nella fucina ubi temperant folzones Affitta una casa a Tonino Bega con incudine ferrea di 12 pesi e 2 quarte per 30 soldi annui. 89 (*) Notaio Venturino de Muttis de Grono; (°) Notaio Fachino de Modiis de Gaverina; (#) Notaio Antonio de Muttis de Grono; (§) Notaio Lorenzo de Muttis de Grono. 90 uno arbore si intende un solo martello mosso dall’acqua. Il trave cui è legato il grosso malleo per la battitura del ferro incandescente è detto ‘arbore’. 130 Interno del maglio Bianchi, in origine Nazari, verso la fine degli anni ‘70 quando, dismessa l'attività di lavorazione del ferro, si sfruttava la caduta d'acqua per ottenere energia idroelettrica. (Archivio NEVAS. Foto C. Piccinelli). 131 Atto del Comune di Borgo di Terzo sul dazio del ferro nel quale viene nominato Gidino Mirane quale ‘officiale’ della ferrarezza. Notaio Antonio Mutti (a. 1382). 132 11.3 La proprietà dei mezzi di produzione Sembra di capire che i luoghi della lavorazione del ferro presenti a Borgo e Cimaborgo nella seconda metà del Trecento siano otto, con diverse persone che lavorano in ciascuna di esse; per solito sono i familiari o parenti. La fucina acquistata da Bertolino in Cimaborgo tuttavia presenta dimensioni maggiori e vi si svolgono molteplici attività, in particolare vi si trova il maglio grosso. Quando Bertolino nel 1351 acquista la fucina del maglio accetta come lavoranti nella fucina i tre venditori, Bonadeo detto Pino, Giovanni detto Mussa e Simonino Bugia, pagandoli a cottimo. Questa vicenda sembra segnalare che la condizione degli operatori locali del ferro non è particolarmente florida e chi lavora il ferro non gode di un particolare stato di benessere. Gli uomini del ferro quasi sempre vivono in casa d’affitto, dove si trova la stessa fucina, e talvolta anche gli attrezzi non sono di proprietà. Compaiono un certo numero di requisizioni di prodotti lavorati (BetossiBazeto) oppure mancate consegne cui seguono confische di beni (Scailina-Bugia); anche nelle successioni ereditarie vengono contese con una certe frequenza delle balle di falci o vengono date in pegno per altri beni immobili. Tuttavia l’ambiente di Borgo è fertile per traffici di natura commerciale e pertanto richiama sia commercianti che acquistano i prodotti finiti, quali i De Gatonibus di Milano, che mantengono un costante rapporto con alcuni produttori, e acquistano carichi consistenti di falci o ferari di altre località che acquistano una o due balle di falci. Ma anche all’interno del Borgo vi sono rivenditori che commerciano i prodotti finiti, talvolta in piccole taglie, con prezzi decisamenti superiori al prodotto confezionato in balle. 133 I prezzi Anno Venditori Lavorati Valore unitario 1349 Giovanni Segramoxio 5 balle di folzoni a lire 180 (divisione 0,6 ereditaria) 1349 Giovanni Segramoxio/cugini Zabeni 3 balle a lire 114 0,63 1351 Giovanni Zambla/De Gatonibus 2 balle di folzoni per lire 96 0,8 1351 Zornia/Antoniolo de Gatonibus di 96 lire per 2 balle di folzoni Milano 0,8 1351 Teutaldo Bugia/Iacopo Tautesco 150 lire per 3 balle da 60 pezzi 0.83 1356 Osebino Brigata/Guiscardo di Castro 3,5 balle scartate ad mallium per 75 soldi aurei 1357 Girardo Mirane fu Giovanni Bugia/Tu- 5 falci a prato per 6 lire rino di Vigolo 1,2 1357 Girardo Mirane/Mazza fu Blanco 12 folzoni per lire 16 Malpili 1,3 1357 Giovanni Mazza/Paxino 1 balla di folzoni per 32 lire 0,53 1357 Guglielmo Bugia/Iacopo Schaylina 3 balle di folzoni per lire 102 (tuttavia 0,56 si riferisce ad un atto del 1328) 1359 Giovanni de Nicazzis/ Minino fu Betino 27 denari per ogni ‘regias’ lavorata de Lacornella 1361 Iacopo e Zanino Zornia/ Bertramollo de 6 balle per 60 soldi ovvero 39 fiorini 1,4 Gatonibus da Milano per balla 1361 Belina fu Giovanni Tautesco/ Pietro 1 balla folzoni valore 40 lire Riato 1361 Guglielmo Bazeto/Pietro Betossi 0,66 Una carga di 300 pezzi, valore stima- 0,8 to di 12 fiorini d'oro, 32 soldi ciascuno Il confronto sui prezzi, registrati nel periodo tra il 1349-1361, offre una valutazione generica, in quanto si basa su di un numero limitato di atti. L’oscillazione del prezzo unitario va da 0,56 a 0,83 lire per le falci vendute ‘a balle’ ossia a fasci da sessanta pezzi; tuttavia va ricordato che alcuni di questi atti si riferiscono a saldo di pagamenti su contratti stipulati in anni precedenti, uno addirittura risalente al 1328, che fa registrare un valore decisamente inferiore. In altri casi il prezzo fornito non è verosimile, forse perché il saldo della cifra pattuita per scritto non corrisponde al totale del 134 prezzo pagato; le vendite al minuto, praticate da rivenditori, come nel caso di Osebino Brigata o di Girardo Mirane, possono ammontare anche a 1,2/1,3 lire al pezzo, con un incremento del valore del 30-40%. L’intervento di operatori esterni si avvia già alla metà del Trecento, con la calata a Borgo di Bertolino de Salaminis di Bienno, che imprime un dinamismo nuovo al settore, acquistando una fucina e altri edifici. Ma forse la svolta decisiva viene conferita, nel primo Quattrocento, da Giovanni detto Berlende de Malabottis de Santo Gallo, cittadino di Bergamo, commerciante che traffica in panno e altri beni, ma soprattutto investe in case e in fucine. La famiglia Berlende lungo i primi decenni del Quattrocento era riuscita ad acquisire entrambi i poli produttivi di Borgo come si può ricavare da atti successivi di qualche decennio. Una serie di atti del 144791 ci mostrano Lorenzo Berlende de Malabottis acquistare la metà di un complesso di manufatti comprendenti: una casa con tre ruote da molino, posta a Borgo ad molendinum de Burgo con varie terre a ridosso del Cherio, inoltre la metà di una fossina o maglio in territorio di Vigano con tutte le attrezzature annesse e la metà di un carbonile, posto lì vicino. Marchetto de Alexandris di Adrara ha acquistato questi beni da Francesco Berlende e li cede per investitura perpetua o enfiteusi a Lorenzo Berlende, per la considerevole cifra di 1050 lire, per riottenerle subito in affitto. La questione, decisamente tortuosa, rivela una faticosa divisione ereditaria dei fratelli Francesco e Lorenzo Berlende e l’avvio di difficili convivenze nella gestione dei beni ereditati. In questa occasione viene riportata un descrizione interessante del maglio di Cimaborgo92. 91 Notaio Cristoforo de Grono, faldone 173, vol. I°, pp. 201-217 92 Et de medietatem divissionis facta in duabus partibus tam cuiusdam fossine seu edifici mallij ab aqua cassata et copata cum una zocha uno zochelo duabus canibas et una massa una canale cum uno mallio seu una boga duabus forbicibus et una inchudine parva suprascripto malio iacente in teritorio de Vigano districtus Pergami in contrata ubi dicitur in sumo Burgo ad mallium que medietas est de subtu pilastro existente in dicta fossina seu edifissio resservandum semper totum insuper pilastrum… Notaio Cristoforo de Grono, faldone 173, pp. 201-217. 135 Acquisto di ghisa per il maglio di proprietà Battista Bianchi; l’opificio, attivo da più di quattrocento anni rappresentava la continuazione del maglio Nazari, realizzato nel Cinquecento. 136 Maglio Bianchi. Disegni esecutivi per la realizzazione di una zappa-sarchiatore e di una scure. 137 12. Supremazia dei cereali Il ruolo dei cereali nell’economia locale risulta di primaria grandezza. E’ un dato evidente che passa attraverso gli affitti, dove i canoni sono normalmente pagati a ‘due grani’, il frumento e il miglio. Il commercio locale dei cereali rispecchia l’andamento del canone degli affitti delle terre a seminativo che insiste su questi stessi due cereali. Il ruolo primario è assunto dal frumento (Triticum aestivum) sia per l’ampiezza della produzione che per il valore economico; segue il miglio (Panìcum miliaceum), per il quale è nota la migliore produttività. Frumento e miglio sono la moneta corrente, utilizzata per gli affitti delle terre date in concessione, versati in uguale numero di staia. Casualmente compaiono altri cereali quali segale (Secale cereale), panìco (Setaria italica) e, in un solo caso, anche scandella e mistura93, associati in modo evidente ad alcune aree geografiche periferiche quali l’area del Corno di Entratico o terreni di Grone, posti nell’area di S. Antonio, alle quote limite per la coltura dei cereali in Valle Cavallina. La produzione cerealicola risulta dominante rispetto alla presenza della vite che nel Trecento appare ancora limitata solo ad alcuni appezzamenti. La moneta corrente per tutti i seminativi, vitati e no, sono appunto i cereali; il mercato locale dei cereali è sostenuto sia dai proprietari che riscuotono gli affitti, in primo luogo i Terzi, ma anche da altri operatori che vanno dai medi produttori, quali i Bonaga e i de Bullis di Berzo, o da commercianti di Borgo quali Bazeto e Bugia; particolarmente attivo risulta Venturino de Muttis, notaio, che probabilmente rivende il frutto delle proprie affittanze, ma non disdegna altri piccoli commerci, articolati soprattutto sul mercato interno. 93 La mistura è una mescolanza di frumento e veccia (Vicia sativa) o favino (Vicia faba), legume a crescita semispontanea, utilizzato anche per migliorare la qualità del suolo; cereale e legume venivano macinati asseme per formare una farina da polenta, piuttosto amara. La scandella è una varietà di orzo distico, precoce e a raccolta estiva, con buona produttività. 138 Tra gli acquirenti solo in un paio di casi troviamo operatori esterni che acquistano discrete quantità, con scopo commerciale, sono gli acquisti di Fredino de Plenico e Zentilino de Madiis di Cenate, che si presentano nel ruolo di commercianti. Gli acquirenti ordinari del mercato locale, per la maggior parte sono gli abitanti di Borgo o dei paesi vicini che acquistano poche some, evidentemente per proprio consumo; spesso sono gli stessi affittuari che acquistano dai propri padroni o da altri affittuari; talvolta tuttavia bisogna ricorrere a commercianti, pagando per solito cifre più alte. Se prendiamo in considerazione le vendite, tra il 1359 e 1361, ci sono oscillazioni dei prezzi dei cereali, che vanno da 2 e 4 lire alla soma; il miglio tende ad assumere un prezzo leggermente più basso rispetto al frumento; alcune eccezioni danno il miglio a una lira la soma e sembrano motivate da fattori occasionali o particolari. Sul mercato locale il valore del miglio tende a 3 lire la soma, mentre il frumento sfiora le 4 lire. Vi sono delle oscillazioni non sempre comprensibili con valori che variano nella medesima giornata, probabilmente in rapporto alle caratteristiche dell’acquirente; ad esempio lo stesso venditore impone un prezzo più basso per il proprio affittuario o più alto per un acquirente esterno. La serie riferita non è sufficiente per la valutazione della evoluzione dei prezzi sul medio periodo. E’ possibile rendersi conto della presenza di un mercato, controllato dai principali proprietari e, in subordine, da commercianti locali del Borgo che vendono prodotti cerealicoli sia in Valle che in aree più lontane. Mentre non compaiono acquisti di cereali provenienti da aree geografiche esterne si nota che la vendita dei cereali raccolti nelle grandi affittanze non vengono riversate per intero sul mercato locale; si deve supporre una certa esportazione di cereali. Se si assume il valore medio di 3 lire la soma possiamo effettuare un calcolo approssimativo delle rendite della famiglia di Merino Terzi per le annate 1359-1360. L’ammontare dei cereali raccolto attraverso gli affitti è di 308.5 staia di frumento e altrettanto miglio che a prezzo di mercato danno circa 925 lire per il frumento e altrettanto per il miglio, 139 in tutto 1850 lire, cui si aggiungono gli altri introiti calcolati in denaro, le regalie ed eventuali affitti che non compaiono negli atti e pertanto sfuggono al calcolo. Dai dati sui cereali si può grossolanamente risalire alle colture presenti e alla loro diffusione. Non è possibile una ricostruzione precisa, di tipo quantitativo, poiché non sempre si riportano le descrizioni colturali degli appezzamenti dati in affitto e le relative superfici, ma solo la generica indicazione terra aratoria; la saltuaria presenza di qualche appezzamento con vite, quasi sempre nella forma mista di seminativo vitato, non comporta la richiesta di un affitto calcolato in uva o in vino; esso ci permette unicamente di rilevare la presenza di tale coltura. Le viti risultano particolarmente presenti in prossimità degli edifici o nei terreni a ronco; una presenza più importante si può notare a Berzo S. Fermo, dove la vite compare in tutti i terreni del terrazzo e dei colli prospicienti il fondovalle. Negli atti analizzati non viene citata la vendita o l’acquisto di vino. Ai terreni coltivati a cereali corrisponde un affitto in cereali, quasi esclusivamente in frumento e miglio, mentre il prodotto in uva della coltura della vite non modifica la natura del canone; forse il dato quantitativo è troppo modesto per rappresentare un valore commerciale. Sono stati recuperati solo tre atti che prevedono delle quantità di vino interessanti: uno nel 135194, un secondo nel 137995, peraltro distribuiti a una certa distanza nel tempo, entrambi prevedono un canone con due carri di vino96. Nel 1361 anche le monache di Terzo ricevono del vino, quattro carri, per le terre di Maico. Il riferimento a diverse quantità di vino, nei lasciti testamentari o nei canoni, si può invece riscontrare con maggiore frequenza nel secolo successivo. Canoni misti in cereali e denaro sottintendono 94 Vitalizio di Margherita, vedova di Simone Bugia, che riceve due ‘carra’ di vino da Gidino Mirane. Notaio Venturino De Muttis, faldone 115 ASBg. 95 Pre Teutaldo della chiesa di S. Michele riceve da Spinetto due ‘carra’ di vino e vari cereali per un affitto del beneficio di S. Michele. Notaio Antonio de Muttis, faldone 115, ASBg. 96 La misura del carro dopo il 1355 equivale a 425 litri circa. 140 invece una presenza di appezzamenti a seminativo accanto ad altri a prato, a bosco o a castagneto. Pertanto una ricostruzione dello stato delle colture si può fare a larga scala, tenendo conto della collocazione fisica delle affittanze. Sfugge a questo tipo di contratti tutta la parte dedicata all’autoconsumo, fatta da orti, seminativi di altro genere, alberi da frutto, tutto ciò che riguarda le famiglie degli affittuari, la cui sopravvivenza è legata spesso a risorse autonome quali il maiale, i polli, l’orto, e piccole colture. Gli orti sono presenti in abbondanza negli affitti degli edifici di Borgo, e spesso sono associati a una dizione che segnala la presenza di alberi da frutto. Gli edifici a monte della strada comunale di Borgo presentano ortaglie che raggiungono talvolta la località Mura, ossia il confine comunale, con diversis generibus arborum supra, con diversi generi di alberi, evidentementa da frutto; in caso diverso non ne sarebbe specificata la presenza. Analogamente gli orti verso il Cherio assumono talvolta la configurazione di broli per la condizione arborata. Perfino la sponda oltre il Cherio, la Ripa di Berzo, che oggi prende il nome di ‘Desèrt’, si configurava come un brolo arborato che si spingeva fino alla Campagna di Berzo. Quali siano questi alberi non è dato sapere! Nei contratti compaiono alcuni limitati casi di frutti richiesti quale canone di affitto; domina Maifreda vedova di Stopa de Bullis, a Berzo, riceve a titolo di affitto anche uno staio di noci e uno di mele. In qualche caso sono presenti, anche nei contratti delle monache di Terzo, alcuni staia di castagne, prevalentemente da Maico e da Gavazolo, aree eminentemente castanicole anche in epoca più recente; in un caso il convento riceve anche uno staio di ‘maroni’ da Noessa di Terzo, da ascrivere al terreno coltivato a marroni segnalato per quell’area e descritto nel Quattrocento come ‘terra maroniva di quelli di Borgo’. Tra i prodotti cerealicoli sono poco rappresentati i cereali minori; si ha ragione di credere che la loro presenza sia molto più importante di quanto appaia dai documenti; il panìco e la segale geograficamente sono sempre associati a contratti per affittuari che operano nell’area del Corno di Entratico. In un solo contratto si 141 segnala la richiesta di una certa quantità, tredici staia di scandella e tredici di mistura, conferiti da Zamboni del Monte di Grone. La maggior parte dei cereali viene trasformata in farina, direttamente nei due mulini presenti al Borgo, tuttavia non vi sono atti con vendita o acquisto di farina o derivati; si potrebbe dedurne che i mulini operano essenzialmente per la produzione destinata ad un mercato locale e per una vendita al dettaglio. Già alla fine del Trecento i Terzi hanno perso il controllo sui mulini di Borgo, non rinunciano tuttavia al tentativo di controllare appieno il ciclo locale dei cereali, che certamente serve a trasformare parte della loro produzione, rilevando nel 144497 dai fratelli Brignoli il mulino de La Lama di Entratico, con diritto di acqua dalla seriola che attinge al Cherio. 97 Notaio Cristoforo Mutti, faldone 172, vol. II°. 142 Il luogo del mulino Pedegazza, ancora segnalato nel catasto ottocentesco, trasformato nel Novecento mediante l’impianto di una centralina elettrica. Frumento (Triticum aestivum), il cereale più pregiato e più richiesto nei contratti locali di lavorazione delle terre per il suo valore commerciale. 143 Miglio (Panicum miliaceum), cereale storico, sempre associato al frumento nei contratti di affitto dei seminativi e sempre corrisposto in pari quantità. Case Zamboni al Monte di Grone, poste al limite superiore per la coltura dei cereali. Da quest’area provenivano la scandella e la mistura. 144 13. Notai, ma non solo Borgo è un luogo dove abbonda l’attività notarile e per secoli si susseguono famiglie che conservano la prerogativa di tale attività, trasmettendola di padre in figlio. La famiglia Mutti, originaria di Grone, come risulta dal cognome che riporta per secoli la specificazione de Grono, è legata ai Terzi già dal Duecento, e si presenta come una famiglia di signori locali, che si avvale del titolo di dominus. Nel Trecento questa famiglia possiede beni e proprietà diffuse in diversi luoghi della Valle Cavallina, ma in particolare a Grone, Vigano, Berzo, Entratico, Borgo; ad essa è legata in vario modo la documentazione sulla storia locale, attraverso la stesura di numerosi atti notarili relativi alle diverse comunità della Media Valle Cavallina. Accanto alla tradizione notarile nei diversi rami della famiglia si ripropone anche la scelta ecclesiastica o quella commerciale. La presenza dei Mutti, in numerosa progenie, e il loro legame con i Terzi, appare con evidenza nel documento del 124098, che porta a conclusione una faida familiare, ossia la vicenda dell’uccisione di Nantelmo Terzi; nel documento è ricordato Alberto de Muttis, chierico di Terzo. Accanto alla professione notarile altrettanto assidua è la presenza di chierici e prelati con benefici legati a diverse chiese, ma in primo luogo alla chiesa di San Michele e Bartolomeo, chiesa madre di Terzo e di Borgo di Terzo. Nel secolo XIII i Mutti, che sono distribuiti in quattro diverse famiglie (Andrea, Enrico, Lanfranco, Alberto), oltre che strettamente legati ai Terzi, appartengono ad una stirpe ormai inurbata, essi sono registrati come cives, sebbene conservino interessi diffusi nel territorio di provenienza e nella media Valle Cavallina e, in prevalenza, vi risiedano. Quello dei Mutti è un percorso che rispecchia la tendenza di un certo numero di famiglie locali benestanti, ad 98 Atto di pacificazione dei Terzi per l’uccisione di Nantelmo Terzi. Vedi riferimento in Storia di Bergamo e dei bergamaschi, Belotti B., Ed. Bolis 1989, vol. II, pg 188. 145 esempio i de Molonio99 o i de Cuniolo100, che abbandonano la valle per la città, dopo aver raggiunto uno status sociale rimarchevole nel proprio territorio. A Mologno di Casazza è presente infatti un ceppo de Molonio, caratterizzato dalla professione notarile, che tuttavia nel Trecento appare già inurbato. In origine quindi i Mutti si identificano con Grone e forse a loro vanno fatte risalire le strutture fortificate presenti in quel luogo, anche se fino ad oggi non ci sono conferme documentali; anche una famiglia Terzi infatti si localizza a Grone, quella di Zenone, presente in quel luogo nel 1303 con Zenosino di Federico. Da notare è la costante presenza dei Mutti negli stessi ambiti geografici nei quali i Terzi vantano propri possedimenti, e spesso sono coinvolti nelle medesime istituzioni e nei medesimi conflitti, in particolare per quanto riguarda il sostegno e la gestione del convento di S. Pietro in Aria, che ospita tra le monache anche le ragazze di queste famiglie. Nel 1283-1290 Passio de Muttis, figlio di Tiardo, notaio, roga gli atti del convento; alla seconda metà del Trecento sulla piazza di Borgo, dove risiede, sarà attivo a partire dal 1351 Venturino, figlio di Passio101, con una produzione che rispecchia le molteplici attività locali. Antonio, figlio di Venturino, seguirà le orme paterne (1376-1386) avendo tuttavia trasferito la propria attività professionale e la residenza nel castello di Entratico, divenuto casa di famiglia in seguito all’acquisto paterno. Nello stesso luogo svolge la propria attività anche Lorenzo, fratello di Antonio, la cui attività notarile si sviluppa tra la fine del Trecento e il primo Quattrocento, sebbene ci sia pervenuto un solo volume per il biennio 1402-1404. Entratico sarà sede per la professione notarile anche del nipote Cristoforo, attivo per un largo lasso di tempo, approssimativamente dal 1415 al 1472, con una produzione immane e in larga parte inesplorata. La famiglia Mutti, attraverso più di due secoli di attività notarile, 99 Bono de Mollonio e altri della stessa famiglia sono presenti in atti della prima metà del Trecento. 100 Si veda Trescore Medievale di Zonca A., Pro Trescore 1985. 101 Mutti Venturino de Grono, anni di attività 1351-1358. Faldone n. 58, in tre volumi. 146 lascia alcune migliaia di atti relativi alla media Valle Cavallina, riferibili con particolare rilevanza statistica a Borgo di Terzo. Nel Trecento Venturino Mutti risiede nel Borgo, luogo fervido di attività commerciali e di necessità notarili. La sede dei Mutti a Borgo si trova a Cimaborgo, a ridosso della seriola al confine con il Comune di Vigano. Il riferimento alla casa dei Mutti a Borgo compare più volte con indicazione generica ovvero quale luogo per la stesura di atti nella forma in domo mei notari. Il 15 luglio del 1357 pre Enrico Mutti, presbitero della chiesa di S. Andrea di Iseo, vende la propria casa a Borgo, che risulta essere circa la metà dell’edificio Mutti, a magistro Bertolino de Salaminis di Bienno; il giorno seguente il notaio Venturino cede la sua metà di edificio allo stesso magistro Bertolino102, trasferendosi ad Entratico. Entrambe le due metà della casa sono definite come terra casata copata plodata solerata cum curte e si collocano tra la seriola e la strada, a sud gli eredi di Girardo Terzi103, a nord la famiglia Bugia. Sembra il preludio per l’abbandono di Borgo; tuttavia l’edificio Mutti incontra diverse vicissitudini, peraltro in modo del tutto normale per gli edifici di questo luogo, cosicchè nel 1381 Enrico Mutti detto Carbonario riacquista la sua metà di casa da Giovanni Mangione; pure i tre fratelli Donato, Antonio e Lorenzo, figli di Venturino, acquistano la loro metà casa, da Grasso de Barillis, tornando a risiedere in questo luogo e a ricomporre in tale modo la casa del notaio Venturino. La vendita della casa da parte di Venturino non aveva determinato naturalmente l’alienazione degli altri beni presenti a Borgo, Grone e Vigano, beni che si possono identificare attraverso gli atti di affitto e che vanno a comporre un insieme di attività che si sviluppano accanto e talvolta in preponderanza rispetto a quella notarile. 102 I due atti, rogati dal notaio Venturino Mutti, sono conservati nel faldone n. 58, vol. II, pg 354 e pg 360. ASBg. 103 La casa di Girardo Terzi coincide pertanto con l’attuale casa Parigi. 147 Particolarmente stretto è il rapporto dei Mutti con la chiesa di S. Michele di Terzo, dove già alla metà del Duecento troviamo i chierici Alberto e Adlongino Mutti de Grono e nel 1379 Francesco fu Pietro. Una ricostruzione approssimativa della proprietà del notaio Venturino e la valutazione delle attività da lui svolte si può ricavare dagli atti di affitto, rogati nel periodo 1357-1361. Le attività del notaio Venturino Mutti anno Affittuario/acquirente Affitto/vendita valore 1357 Bertolino Bolgerello Casa a Cimaborgo (vendita) 80 lire 1358 Paxino de Briniollis di Entratico 25 some di frumento 50 lire 1359 Enrico Lio Un terreno a Vigano 21 staia frumento 21 miglio 1359 Guglielmo Madascha de Vigano Acquisto di 5 fiorini del valore 8 lire di 32 soldi 1359 Giovanni Gatusso di Vigano 8 some di miglio (vendita) 20 lire 1360 Martino de Blottis di Entratico 3 some di miglio (vendita) 10 lire 1360 Pietro fu Paganino di Entratico Casa a Grone 38 soldi e 1 cappone 1360 Zanino detto Colombo di Vigano 6 pt di terra aratoria in ‘Testa’ a 12 staia frumento 12 staia miglio Grone (affitto per 9 anni) 1 cappone 1360 Bartolomeo detto Checo di Grone 4 pezze di terra a Grone (affit- 2 some frumento 2 some di miglio to per 9 anni) 1 cappone 1360 Pecino fu Pietro Rotondo di Grone 6 some di miglio (vendita) 1360 Zanino detto Colombo di Vigano 1360 Anexia fu Bettino Rizzio di Terzo e il 3 some di miglio (vendita) figlio Martino 1360 Jacopo Boiaco di Entratico Terra a Solteto in Entratico. 3 staia di frumento 3 staia di miglio Investitura per 9 anni 1360 Pietro fu Paganino di Entratico Terra con una casa in villa di 38 soldi e 1 cappone Grone (affitto) 1360 Jacopo de Sumprato di Vigano 2 some di miglio 1360 Bartolomeo e Bettino Camozzia di Grone 6 some di miglio (vendita) 18 lire entro tre giorni 5 lire entro 1 anno 9 lire entro un anno 6 lire detti Terra a Honeta, con 5 ontani, 8 lire + 1 lira di decima pt 4 (acquisto di Venturino) all’anno 148 1361 Gidino Gatusso di Vigano 1361 Lanfranco Facuzzio de Briniollis di Acquisto di 5 fiorini Entratico 8 lire entro 3 giorni 1361 Giovanni fu Paganino Casa a Grone (affitto) 38 soldi e 1 cappone 1361 Antoniolo Bosso di Trescore Acquisto di 5 fiorini aurei 8 lire 1361 Iacopo Zambone di Serina, sta al 4 terre prative e boschive a 27 lire Monte di Grone Grone (acquisto Venturino) 1361 Giovanni Pecteno di Vigano 2 some di miglio (vendita) 1361 Betino Cornagia di Vigano Una mucca pelo chiaro (socci- 7 lire da) 1361 Venturino Mutti/Fachino Rondo Una terra in Ronchis Fossane, Vendita fittizia. Rondo versa 4 staia frumento e 30 tavole altrettanto miglio 1361 Betino Cornagia di Grone Soccida per una mucca e una 8 lire vitella 1361 Graziolo de Briniollis di Entratico 6 some di miglio 1361 Bettino detto Rosso fu Pietro Ca- Due terre a Grone, Cedrina. 32 soldi mozzia di Grone Una con 15 alberi e l’altra con 11 alberi di castagno (affitto) 1361 Venturino versa il dazio ‘traversi et Tercino de Mantenutis vini’ dei paesi della media Valle 3 some di miglio Quale prezzo di 6 fiorini ovvero 9,1 lire 6 lire 8 soldi 6 lire!! 27 lire in due rate Venturino possiede un patrimonio immobiliare non considerevole, potremmo dire medio-basso, che tuttavia alla metà del Trecento gli conferisce lo status di proprietario, ma che, entro la fine del secolo, si avvierà progressivamente a confondersi con quello delle famiglie emergenti di Borgo. Il podere di maggiore dimensione si trova a Grone, nella località Testa, per il quale si pagano ben dodici staia di cereali ovvero due staia di frumento e due di miglio alla pertica; altrettanto redditizi sembrano altri appezzamenti dati in concessione a Bartolomeo detto Checo di Grone. Altre proprietà immobiliari sono distribuite a pioggia nei paesi della media Valle. Il bilancio dell’attività di Venturino tuttavia attraversa tutte le possibilità che caratterizzano la vita del Borgo in questo periodo, escluso il commercio del ferro: possiamo trovare infatti la vendita 149 di cereali, quasi sempre il miglio, ma non il commercio all’ingrosso delle granaglie, e la soccida di bestiame con gente di Vigano. Un quadro delle molteplici attività di Venturino comprende anche la raccolta del dazio nei paesi da Entratico a Grone, fatto a nome del concessionario Tercino de Mantenutis di Terzo e il prestito di danaro. La forma del prestito, molto diffusa a Borgo in questo periodo, prevede il pagamento entro tre giorni dell’interesse sulla cifra ottenuta per un valore che rappresenta il 5% della somma; il prestito di denaro cui fanno ricorso gli artigiani di Borgo consente l’accesso al credito per l’avvio di attività artigianali o commerciali o per acquisti di beni, ma rappresenta anche la modalità più frequente che permette a chi detiene il credito di accaparrarsi i beni dei debitori. Un caso del genere si verifica nel 1381 allorchè pre Francesco, Enrico detto Carbonario e Tiardino Mutti acquisiscono la casa di Giovanni Mangione in seguito ad un mutuo contratto con il loro padre Pietro nel lontano 1353, quasi trent’anni prima. Lo stesso pre Enrico nel 1383 ottiene la restituzione di 200 aurei per un mutuo rogato nel 1381. Negli atti della seconda metà del Trecento compaiono più frequentemente quali testi o attori Pietro e Zinino, figli di Giacomo Mutti o i nipoti Tiardo, Francesco, Enrico e Paschina. Il più attivo in assoluto è Pre Francesco, che assume il beneficio della chiesa di Terzo nel 1379. Già nell’anno precedente, in qualità di presbitero della Chiesa di S. Andrea di Iseo riscuote un affitto per una casa a Vigano, in Roaria. Ma negli anni successivi compare assiduamente come teste in vari atti, che altrettanto spesso vengono rogati in casa sua o nei quali lui stesso si trova a riscuotere degli affitti per la chiesa di Terzo o per i fratelli. Un atto rogato nel solaio della casa di Maifredo Terzi, nel 1381, annota che in quel luogo Pre Francesco ‘tenet schollas’. E’ lecito pensare che le scuole cui si fa riferimento, più che luogo per qualche congregazione, riguardino le ‘scuole’ per la dottrina cristiana da impartire ai fanciulli del luogo. Nel 1381 a Borgo, nella casa di pre Francesco, si procede alla redazione dell’atto divisionale dei beni dei fratelli eredi di Pietro Mutti, dal quale possiamo ricavare un quadro più organico dei 150 beni della famiglia che comprendono oltre alla casa a Cimaborgo altri diciannove appezzamenti di terra di cui sei ad Entratico, quattro a Berzo, nove a Vigano, quattro a Grone. La casa di Cimaborgo può essere assunta come esempio di una condizione del periodo: usare la casa come bene mobile, ovvero vendere e acquistare lo stesso immobile, impegnandolo per garanzia; questo può permetterselo chi possiede la casa in proprietà o ne possiede più di una. Nel 1376 i fratelli Francesco, presbitero di Terzo, e Tiardino, figli di Pietro Mutti, assieme a Temino Terzi, in qualità di messi e procuratori degli eredi di Pietro vendono la casa con foxina, ossia con una fucina per la lavorazione del ferro, posta a Cimaborgo. Francesco e Tiardino nel 1381 riacquistano la stessa casa attraverso il meccanismo del mutuo non soddisfatto; nel 1404 dopo poco più di venti anni pre Enrico detto Carbonario rivende la stessa casa ad un acquirente comparso da poco sulla piazza di Borgo, il commerciante Berlendino fu Francesco detto Berlende. Il complesso di edifici che si trovano a sud e a nord del confine comunale tra Borgo e Vigano, a ridosso della seriola dove si localizzano sia il maglio che il molino, è il luogo storico dei Mutti; ciò fa pensare ad una relazione ancestrale e profonda tra il clan e la localizzazione degli stessi opifici, mulini e magli, dai quali hanno tratto vantaggi e si sono incrementate le loro attività che potremmo dire orientate al settore secondario e terziario. Antonio e Lorenzo fu Benedetto de Muttis nel 1381 vendono vino al minuto in casa di Barillis di Berzo, ossia la stessa casa Mutti in precedenza sede notarile, ora è divenuta osteria. 151 Fronte dell'edificio che nel Trecento appartenne a Girardo Terzi. Confinava a est con la seriola, a nord con la casa del notaio Mutti. Porticato voltato dell’antica casa Mutti. 152 14. Ma i cavalli dove sono? I dati sull’allevamento del bestiame compaiono con una certa frequenza nell’attività notarile dei secoli XIV e XV e derivano quasi esclusivamente da contratti di soccida e ad medium. In pochi casi si ricava indirettamente una presenza dell’allevamento dal pagamento di canoni affittuari dove è presente una certa quantità di casei, ovvero formaggio, o lana. Il dato più rilevante spetta all’allevamento bovino, per il forte rilievo da essi rappresentato nell’economia domestica per la produzione di latte e formaggio, a consumo decisamente locale, ma ancor più per la produzione di stallatico. Per realizzare un buon raccolto in cereali, la produzione più importante del periodo, serve la disponibilità di una buona stalla che garantisca giuste quantità di letame; per tale motivo troviamo tra i soccidari, ossia gli affittuari del bestiame, tutti i piccoli coltivatori e affittuari di terre. A Borgo dove la superficie coltivabile è modesta e l’economia si fonda su meccanismi produttivi e commerciali di altro genere, è più facile trovare concessionari di bestiame in soccida che instaurano rapporti con i coltivatori dei paesi circostanti. Nel contratto di soccida l’animale viene stimato dai contraenti che concordano il prezzo; la cifra fissata viene talvolta versata da uno dei due contraenti o anche da entrambi, con riserva che alla scadenza venga restituita sia la cifra totale o la metà mancante da parte dell’affittuario, assieme alla metà delle bestie; la durata del contratto è variabile, normalmente quattro o cinque anni, può raggiungere anche decenni, con particolari difficoltà nella verifica della proprietà delle bestie all’atto della risoluzione del contratto. Un caso esemplare è quello di Pino fu Giovanni da Vigano, risolto dopo circa cinquant’anni, con notevole carico di animali. Su trentasei atti di soccida recuperati, per il decennio 1351-1361, ventiquattro fanno capo a persone di Borgo, dove primeggiano al solito i Terzi, ma sono bene rappresentati anche i Mutti e altri di Borgo che non svolgono questa attività in forma professionale, ma integrano i propri traffici con investimenti anche in questo settore, 153 sviluppando la propria iniziativa nel bacino che va da Grone ad Entratico. La possibilità di dare in affitto animali evidenzia una disponibilità non alla portata di tutte le famiglie e segnala di conseguenza uno status economico di rilievo: troviamo infatti tra questi soccidari Gidino Mirane, Brigata Donesmani, Simonino Bugia, Teutaldo Malerba, Usebino Libera, la famiglia Mangione e i Bega, tutti operatori nell’ambito del piccolo commercio locale che si vanno configurando quale famiglie emergenti e nel Quattrocento costituiscono l’ossatura della popolazione locale. Tra i soccidari compaiono con una certa frequenza anche figure femminili quali Alena Terzi, Belliflora vedova di Adlongino Terzi, Anderbona Degoldeis, vedove di famiglie benestanti che si trovano a gestire contratti stipulati in anni precedenti dai rispettivi mariti; in qualità di tutrici dei figli hanno facoltà di attivare anche nuovi contratti. Pochi operatori superano il confine della bassa Valle Cavallina, proponendosi su un territorio più esteso; possiamo ricordare Alberto de Boaris, un grosso allevatore originario di Gandino, che sta a Bianzano, la cui attività si sviluppa da Entratico all’alta Valle, con soccide relative ad asini, capre, pecore e bovini in quantità superiori a quelle solite. Altro operatore importante, nella seconda metà del Trecento è Temino Terzi, del ceppo Lupo de Lunatis, che sta a Cenate, ma che sviluppa traffici di bestiame lungo tutta la media Valle Cavallina, con concessioni numericamente significative. Le informazioni sul bestiame che emergono dai contratti di soccida sono particolari e spesso servivano quali elementi identificativi del bestiame, oltre che a rappresentare gli standards per la stima dell’animale; due aspetti in particolare, il colore del pelo e la forma delle corna, vengono segnalati in quasi tutti i contratti. Per le mucche il colore del pelo può essere chiaro (pili clari), rosso che risulta il più frequente (pili rubri), e occasionalmente anche misto (briniolli) o bruno (pili bruni). Le corna offrono una grande varietà di condizioni: piegati (revolutis), piegati verso la testa (revolutis versus capitis), piegati in avanti (revolutis in antea), tagliati (muchi), tipo capriolo (capriolis), quasi retti (quasi recti), aperti (cornibus apertis). Una specificazione importante che inci154 de sul prezzo, è la presenza di gravidanza (pregnantem) o di vitelli da latte non ancora svezzati (cum una manzola subtu). In un solo caso viene concesso in soccida un bue cum cornibus rectis. La presenza di due colori fondamentali, rosso e chiaro, nell’allevamento bovino potrebbe indicare due diverse razze, con i relativi incroci attestate da colori ibridi; in epoca recente l’unica tipologia in Valle è stata la razza bruno-alpina, che seguendo la descrizione medievale saremmo portati a definire rossa o rossastra (pili rubri). Che fine ha fatto la razza a pelo chiaro? Gli elementi descrittivi introdotti nell’atto notarile, in assenza di segni di marchio, hanno una funzionalità nella identificazione dell’animale, anche in considerazione del fatto che le quote delle bestie in soccida sono in numero limitato, variano da una a cinque bestie, spesso una o due mucche con animali più giovani. Diverso il caso di chi traffica un maggior numero di animali e sposta mandrie in aree geografiche anche distanti. Le sei asinelle di Alberto de Boaris di Bianzano, date in soccida a Bertolaxio deTrate, sono marchiate (notatas) sull’orecchio e sulla guancia. Il valore attribuito agli animali varia entro alcuni limiti e non sembra dipendere da fattori di razza, ma da caratteristiche del singolo animale. Una mucca vale da 4 a 8 lire, con incidenza dell’età e della gravidanza; una tendenza ad aumento dei prezzi si registra attorno agli anni Ottanta del Trecento, con sostanziale riallineamento nel primo Quattrocento. Una manzola vale dalle 2 alle 3 lire, 7 lire un bue. Pecore e capre sono animali allevati in gregge la cui composizione attinge a una certa numerosità; tuttavia anche la soccida di questi animali riguarda quantità numeriche modeste, orientata, a quanto sembra, ad una economia di tipo familiare. Pecore bianche o nere, lanute o tonse, con agnelli (cum agnus subtu) sono affittate in numero variabile da tre a quattordici, con stime del valore che oscillano da 0.6 a 1 lira per anno. Nel contratto per le pecore spesso si prevede la restituzione di una certa quantità di lana. Nel 1351 sono date in affitto quattro peco155 re per lire 3 e soldi 12, con la restituzione ogni anno di 4 libbre di lana104, ovvero una libbra per animale, una quantità che può sembrare rilevante; va detto tuttavia che il contratto di riferimento risale al 1335 e le quattro pecore originarie a distanza di sedici anni potrebbero essere diventate un gregge numeroso. Nel 1381 cinque pecore vengono stimate in lire 5 e soldi 15; il concessionario deve pagare 4 lire e versare una quarta105 di lana zenerola ossia tosata a gennaio. La descrizione delle pecore presenta alcune varianti in primo luogo la distinzione tra pecore lanute e tosate (tonse), toselle, agnelli, con agnelli in allattamento (cum agnus subtu); si sottolinea talvolta la condizione di salute, non laschas nec de aliquo malo, oppure si specificano le caratteristiche della lana che ad es. deve essere mazenge in sudore bone e pulcre ossia lana tosata a maggio, detta maggenga, non lavata ovvero con il sudicio ancora accluso, buona e bella106. In sette diversi atti di soccida sono presenti anche le capre, quasi sempre facenti parte di contratti stipulati da persone di Borgo, sia con gente di Terzo, ma è più frequente l’assegnazione di bestiame a persone dei paesi vicini. Le capre garantiscono la produzione di latte, spesso utilizzato per il consumo domestico, e capretti da carne, tuttavia la loro presenza è giustificata anche da una possibilità di allevamento brado che sfrutta terreni marginali. Le soccide registrate comprendono modeste quantità, da cinque a dieci capre, maschi e femmine di varia età, con valori attorno a 1 lira per capre adulte e 0.5 lire per le caprette. Temino Terzi nel 1379 concede in soccida ai fratelli Nazari di Berzo dieci capre, di cui tre rosse tre nere, una chiara e nera, un castrone dal pelo rosso e 104 La libbra vale 0, 814 kg. 105 Notaio Venturino Mutti, faldone n. 58. ASBg. Si tratta della soccida concessa da Bonomino fu Tadeo di Borgo a Pietro Zanole di Berzo. La quarta vale un quarto di libbra. 106 Atto 10 giugno 1403 tra Giovanni detto Gosino di Borgo e Simone de Lacornela di Vigano. Notaio Lorenzo de Muttis, Faldone 148. ASBg. 156 uno dal pelo canino per 10 lire107, ossia circa 1.25 lire a capo, valori un po’ superiori alla media locale. Sono praticamente assenti altri animali: nel Trecento per i buoi si registra un solo caso, per gli asini solo alcuni contratti che non riguardano quest’area della Valle. In particolare nessun cavallo! I cavalli non sono animali che possano essere dati in soccida, il loro allevamento può essere finalizzato ad uso specialistico, per chi può permettersi di mantenere un cavallo per il trasporto personale. Tra i diversi contratti uno in particolare offre una vetrina sulla possibile evoluzione di un contratto di soccida: nel 1357 Simone detto Mone di Giovanni da Vigano e fratelli, stipulano un atto con con Pietro Zanini, originario di Adrara, che sta a Quaglia (de Coalia) per il recupero di un contratto di soccida steso nel 1307, in cui l’attore era Alberto, nonno di Pietro; il numero di animali coinvolto nella regolarizzazione, dopo 50 anni esatti, è rilevante rispetto alla media locale, comprendendo quaranta pecore, venti agnelli, tre vacche, quattro manzoli, tre buoi,… per un valore originario di 35 lire e soldi 13, ora rivalutato a 40 lire108. 107 Notaio Antonio de Muttis de Grono. Faldone n. 115, pg 130. ASBg. 108 Notaio Venturino de Muttis de Grono. Faldone n. 58, pg. 219. ASBg. 157 Aree montive e pascolive del Faeto e del Monte di Grone, legate a Borgo da frequenti contratti di soccida per l’affitto di animali e da scambi commerciali. 158 15. Lana e pannilana I contratti per la soccida di pecore rimandano ad un impiego locale delle modeste quantità di lana prodotta, utilizzata per la filatura o per la tessitura domestica; tale destinazione è confermata anche dal fatto che non compaiono produzioni significative di panno, associate a greggi consistenti, e vendite su mercati locali o esterni. Il mercato di pannilana risulta assai debole. Per la lana vi sono solo due contratti di un certo rilievo e riguardano entrambi due Terzi della medesima famiglia. Adlongino fu Paxino paga nel 1351, a due fratelli Zamboni di Valle Imagna, lire 155 e soldi 10 per settantanove pesi di lana; il nipote Bergamino acquista settantacinque pesi109 di lana zenerola sempre dai medesimi Zamboni de Valdimagna; acquisti che non sembrano tuttavia destinati al mercato locale. Attività commerciali in queste settore sono sviluppate all’avvio del Quattrocento da Giovanni detto Berlende de Santo Gallo che cede per L 200, a quindici persone di Borgo, quattro pezze di panno planette, alte cinquantadue braccia ciascuna110. Donato, figlio naturale di Zoanello di Terzo, compra da Merino de Noris di Gandino tre pezze panni albi pergamensis di quarantacinque braccia ciascuno, per L 27, due delle quali rivendute ai fratelli Crapane di Grone per L 20, con un guadagno di 2 lire. Nel 1404 Gidino Mirane di Borgo promette di dare ai fratelli Jacobo e Salvino Terzi L. 50 per quattro pezze di pannilana bergamasca di quarantaquattro braccia ciascuna. Si può notare che il commercio del pannilana e del panno in genere fa capo a famiglie Terzi o a commercianti che acquistano fuori dalla Valle Cavallina e rivendono in loco. Una sola eccezione: Graziolo Boita nel 1359 e nel 1379, a notevole distanza di tempo, acquista da Betino de Morceris di Prato Maiore diciassette braccia di panno bergamino verdeto. 109 Peso: se un peso corrisponde a 8,139 kg, 75 pesi equivalgono a circa 610 kg. 110 Notaio Lorenzo Mutti, faldone n. 148, ASBg. Tutti gli atti compresi tra il 1402 e il 1404 fanno riferimento al medesimo notaio. Il braccio mercantile misura circa 0.66 metri. 159 Nazario Boite, nel 1404, tiene in affitto da Berlende e poi acquista una culzedra111 panni lini et stoppe de penses 4 et libras sex, e un lentiamen, stimati in lire 10 e soldi 7. Segnali assai labili per attribuire a questa famiglia un interesse nel mercato del panno; è più facile immaginare che acquisti occasionali facciano parte degli scambi commerciali delle famiglie artigiane del Borgo. 111 Culzedra o culcitra, anche plumaxio: materasso da letto, trapunta. Panno di lino e canapa (stoppe) sono citati solo in questa occasione. Lintiamen o lantiamen sta per lenzuolo. 160 16. Nubere polcellas La badessa Gisella de Bullis agisce in prima persona nella gestione dei beni del Monastero di Terzo, confortata dal supporto del frate converso e del capitolo, cui partecipano tutte le altre monache. Lei è la rappresentante ufficiale della politica del convento. Ciò non accade per le altre donne dell’epoca che sono menzionate solo in alcuni tipi di atti, mentre la normalità della gestione dei beni familiari spetta ai capifamiglia maschi. Statisticamente la presenza femminile è poco evidente; la maggior parte delle donne resta confinata nelle pieghe degli atti stipulati dai rispettivi padri e mariti ed emerge in modo esplicito, sebbene indiretto, quando si tratta di investiture per la dote, nei testamenti o per il ruolo di tutrici dei figli minori. L’aspetto più rilevante è la condizione giuridica che esclude la linea femminile dall’eredità degli immobili, tranne in alcuni casi di assenza di eredi maschi, figli o fratelli del testatore. Nei testamenti le mogli e le figlie ricevono un riconoscimento in danaro, proporzionato alla consistenza dei beni familiari, che si aggiunge alla quota dotale già concessa dal padre o, in sua assenza, dai fratelli maschi. Queste modalità sono generalizzate e valgono sia per le famiglie signorili che per quelle più misere e discendono dalla tradizione longobarda. Un esempio significativo della presenza femminile viene riscontrata nel testamento di Alberto fu Merino da Terzo (a.1359) che lascia alla moglie, figlia di Rogerio de Lasalle, il diritto d’uso della camera matrimoniale, posta nel castello di Terzo e gli garantisce una rendita di annuale di otto some di frumento, altrettanto miglio, quattro carri di vino e altre 25 lire. Alberto lascia poi alla figlia Imiolla 200 lire e una veste del valore di 25 lire; da sola questa veste supera del doppio la dote di molte donne del popolo. Alla nuora Datore, figlia di Airoldo da Robiate, oltre alla dote, conferisce un donativo di 40 lire; la stessa Datore aveva ricevuto dal marito Merino una investitura dotale di 190 lire più altre 190 di donazione. 161 Il confronto è possibile con la condizione di Margherita, vedova di Simone Bugia, che nel 1379 riceve da Gidino Mirane tre some di frumento e tre di miglio, due carri di vino e lire 5 quali alimenti cui aveva diritto, ‘custodiendo lecto castitatis’ ovvero nel caso in cui non intendesse risposarsi e alla condizione che rinunci alla propria dote; quindi un vitalizio sostitutivo dei beni dotali al fine di non mettere in discussione il possesso degli immobili della linea maschile. L’appannaggio di Margherita è decisamente inferiore a quello della signora Terzi, tuttavia sottolinea una condizione di benessere e lo si comprende anche dalle ascendenze di Margherita, che proviene da una famiglia di rilievo, quella di Bono de Capitaneis di Cene. Nel 1357 Rogerina, moglie di Giovanni fu Mazza Coldera, riceve in eredità un appezzamento di terreno a Vigano con diritto di abitare nella casa maritale, in Cimaborgo, posidendo lecto et drapas de lecto, ossia con diritto sugli arredi della camera matrimoniale. Le due figlie Jacobina e Paxina, in assenza di eredi maschi, probabilmente non ci sono fratelli del padre, diventano eredi universali112. Il ruolo delle vedove è decisamente importante; spesso infatti si presentano quali attrici ‘tutorio nomine’ fino alla maggiore età dei figli; in questa veste le troviamo presenti in atti di soccida e per la riscossione di affitti. Non tutte le vedove si dedicano ad una fedeltà post mortem! Forse anche per l’assenza di prole, Francesca dei Ferrari di Bienno, che ha sposato un certo Agnello di Grone abitante a Bienno, si risposa con Bonadeo detto Pino di Borgo e cede i propri diritti sui beni del marito defunto per 100 soldi aurei e poi vende per 50 lire, di 25 soldi planetti alla lira, tutti gli arredi della camera da letto del precedente matrimonio (a. 1356)113. Domina Franceschina, vedova di Lancillotto de Rossenis si risposa con Bertolino di Terzo, prete di Berzo, realizzando un intreccio familiare complicato. Le 112 Testamento di Giovanni detto Mazza Coldera. Notaio Venturino de Muttis de Grono, faldone n. 58, ASBg. 113 Notaio Venturino de Muttis de Grono. Faldone n. 58. ASBg. 162 sue tre figlie infatti si accasano nella stessa famiglia: Tonola con Sgobato, figlio di Adlongino; Tudoria e Belina sposano i due fratelli Antonio e Vincenzo, cugini di Sgobato. Sposare le figlie è un impegno non indifferente che risulta più oneroso per le famiglie meno abbienti. Un patto familiare decennale dei fratelli de Lavalle di Vigano, figli di Giovanni detto Parixius, prevede esplicitamente che i fratelli siano obbligati nubere et maridare omnes polcellas seu filias eorum ossia a maritare le figlie procurando quanto necessario in danaro e in utensili, in modo paritario tra i fratelli che aderiscono al patto114. In certi casi o spesso, nei pochi testamenti femminili pervenuti, emerge un atteggiamento solidaristico, rivolto alle sorelle e alle altre donne di famiglia. Marchissa, figlia di Adlongino Terzi, sposa a Redulfo de Medicis di Castione, sta a Luzzana, lascia alla sorella Mantenina, vedova di Pietro Boita di Borgo, una terra a Gambarera, con obbligo ereditario di quattro staia di frumento per i poveri dei vari paesi di quest’area; ai poveri va il ricavato della vendita di una toga panni gentili coloris rosati; sempre alla sorella Mantenina lascia l’incarico di scegliere cinque fanciulle indigenti cui assegnare un plumaxio, in pratica un materasso, di dodici libbre di piuma e assegna una serie di attrezzi e arredi domestici, purchè alla morte siano distribuiti ai poveri. L’attenzione per i poveri e le fanciulle da maritare è presente ripetutamente nel testamento di Pietro Terzi115 dove si trova un legato di 20 lire al Convento di Terzo per il sostegno alle fanciulle povere e il lascito di una terra a Entratico, che vale lire 100, per maritare quattro ragazze povere. L’analisi di atti dotali e testamenti consente di far emergere una rete di rapporti parentali, le provenienze delle spose, le destinazioni delle ragazze che si sposano, rivelando indirettamente la condizione economica dei rispettivi nuclei familiari. 114 Notaio Fachino de Gaverina, 9 agosto 1361, faldone n. 80. 115 Notaio Cristoforo Terzi, faldone 185, vol. II°, ASBg. 163 Se nelle famiglie signorili la combinazione di matrimoni avviene a tutto campo, senza evidenti limiti geografici, con tendenza allo scambio di tipo paritario sul piano economico, ai livelli sociali più bassi prevale il matrimonio tra conterranei; per Borgo si possono considerare conterranei anche gli abitanti di Vigano, sia per la continuità fisica di Cimaborgo, posto in comune di Vigano, come per la costante migrazione di nuclei che da Vigano si spostano a Terzo e a Borgo. Qualche interessante eccezione compare nel ceto medio, che riesce ad accedere a matrimoni più remunerativi, con famiglie di maggiore benessere e dislocate anche in aree geografiche più lontane. Comparazione sul valore delle doti Coniuge Anno Beneficiaria dote 1351 Bella fu Accorsino detto Mazza Col- Venturino fu Alberto Zigala (Borgo) dere. Rinuncia sui diritti che gli spettavano per dote su di una casa (Borgo) 1351 Charina Giovanni Zambla (Borgo) 35 1351 Zoanina fu Gosino Tonini (Borgo) Guglielmo Coxia (Borgo) 14 1351 Anexia di Lorenzo de Bolpedis (Gor- Vascone Ferari (Borgo) lago) 1351 Venturina di Pietro Basetti (Borgo) 1351 Agnesina, figlia di Venturino Coxia Jacobo de Peterzoli (Borgo) (Borgo) 12 1351 Zoanina, figlia naturale di Fachino fu Pietro Mazucho (Terzo) Giovanni di Vigano (Terzo) 12.5 1356 Filipina, figlia di Pietro Zabeni (Borgo) Graziolo fu Pietro Boita (Borgo) 40 1357 Agnesina fu Guglielmo Sorania Giovanni Benzetti (Berzo) (Borgo) 16 1357 Benvenuta, figlia di Vincenzo de Tuzzis Guglielmo detto Mino Bugia 41 (Bergamo) (Borgo) 1357 Benvenuta figlia Codeferris (Berzo) 1357 Paxina di Jacobo de Lavalle (Vigano) Lanfranco Osebino Libera (Borgo) Dote/lire 12, soldi 10 20 Viganino fu Pagano fu Giovanni di 26 Vigano (Borgo) 164 1358 Zoanina fu Bonetto detto Gussio Gidino fu Lanfranco (Borgo) ovve- 40 Delotto (Vigano) ro Gidino Mirane 1358 Genzina fu Moro Predono (Vigano) Venturino fu Pietro di Vigano 22 (Terzo) 1360 Zoanina di Bonetto Fonizzio (Terzo) Betino fu Venturino (Comenduno) 12 1361 Zoanina fu Pietro de Coalia (Quaglia) Girardo detto Moro de Lavalle 19 (Vigano) 1379 Tonina fu Jacobo detto Pappa (Vigano) Graziolo fu Pietro Boita (Borgo). 15 Cede ai Terzi i diritti di dote su di una Nel 1381 Nazario Boita riacquista i diritti sulla dote per L 15 casa (Terzo) 1381 Dulcina di Jacobo Fachino Monchi Giovanni detto Gosino de Rosetti 31 (Terzo) (Borgo) 1381 Pecina di Simone fu Paxino Suardi Betino fu Merino Terzi (Terzo) (Bianzano) 200 La serie delle doti, pur soffrendo di un evidente limite statistico, è fortemente rivelatrice della condizione economica della famiglia sia di partenza che quella di arrivo e segnano una buona concordanza con altre valutazioni sullo stato economico delle famiglie coinvolte. Accanto alla evidente rilevanza delle doti delle famiglie Terzi e Suardi si nota la presenza di qualche nucleo che può vantare valori dotali sulle 40 lire, che coincidono con persone che per svariati anni sono annoverate tra i consoli del Comune di Borgo o che evidenziano un ruolo di rilievo negli affari locali; tali famiglie rappresentano il ceto emergente di questa comunità che esprime un dinamismo notevole e che sarà in grado di accumulare patrimoni interessanti nell’arco di qualche decennio. Tra questi ceppi le famiglie Bugia, Mirane, Boita, Rosetti e varrebbe la pena seguirne alcune in modo più analitico. I valori più bassi, che si attestano poco oltre le 10 lire segnalano una condizione di indigenza caratterizzata da frequenti difficoltà economiche e assenza di beni immobili. Alcuni scambi matrimoniali con la Valle Camonica (Bienno) sembrano riguardare solo famiglie coinvolte nelle attività del ferro. 165 Per le famiglie immigrate da Entratico o da Vigano, che nel Trecento sono i casi più frequenti, è consuetudine mantenere anche rapporti con l’ambito parentale di provenienza attraverso incroci matrimoniali frequenti tra i discendenti delle famiglie che hanno contratto la nuova parentela. Nel tempo prevale l’intreccio parentale con Vigano sia per gli scambi matrimoniali che per il progressivo insediamento nel Borgo di famiglie viganesi. 166 Tipica camera nuziale ottocentesca, da Borgo. Molti testamenti maschili prevedono per la vedova il diritto di utilizzare la camera matrimoniale maritale ‘custodiendo lecto’, ovvero con la condizione di onorare la vedovanza restando fedele al marito defunto. 167 Atto dotale per la dote di Pecina di Simone Suardi di Bianzano, sposa a Betino fu Merino Terzi. Notaio Antonio Mutti (a. 1382). 168 17. Il sogno di una casa Oltre alla grande quantità di documenti, che Borgo ci restituisce attraverso gli archivi, una documentazione altrettanto notevole proviene dalla consistenza edilizia storica del Borgo dove sono ancora riconoscibili molti degli edifici trecenteschi, citati nei documenti di quell’epoca, che sopravvivono seppure sommersi da intonaci e da manufatti, talvolta meno interessanti, che li contengono al proprio interno. Da questo punto di vista Borgo di Terzo è un centro storico che in discreta parte si è conservato e che è sopravvissuto nonostante qualche scriteriato sfondamento. La conservazione di questo tipo di documentazione richiede in primo luogo la comprensione della storicità dei manufatti. In particolare la configurazione attuale del centro storico di Borgo rispecchia esattamente l’impianto duecentesco e la prima espansione trecentesca, con le case che si affacciano sulla via centrale e sulla seriola. La doppia fila di case a destra e a sinistra della via comune o strada del Comune di Bergamo, sembra continua, già a metà Trecento e in rari casi si va oltre la seriola; un affitto a Oprandino Zambla, da parte degli eredi di Paxino detto Abate, riguarda un edificio posto oltre la seriola che potrebbe essere il cosidetto Torrazzo, mai citato come tale nel Trecento, bensì nominato solo nel secolo successivo nella descrizione di un appezzamento di terra (a.1447) che risulta posto ultra seriolam supra Toracium. All’interno del Borgo si registra una differenza toponomastica tra alcune aree, definite dalla presenza di attività o da condizioni fisiche facilmente osservabili. Un luogo bene identificato è il Cantone dell’Albara, triangolo compreso tra due strade e la Valle del Closale, ai tempi Valle di Terzo o di Vigano; il nome del Cantone ha origine da una presenza vegetazionale, forse dovuta ad un solo albero di pioppo di rilevanti proporzioni, che in dialetto prende il nome di albara. Di là dal Closale, ultra Vallem, vi sono un paio di edifici di proprietà dei Terzi, entrambi sede di fucine che seppure contigui al Borgo, appartengono al Comune di Terzo. 169 Altri luoghi ben identificati sono la localizzazione dei molini e dei magli, la chiesa di Santa Maria, il complesso degli edifici di Paxino detto Abate da Terzo, posti di fronte e a ridosso delle pertinenze della chiesa. La parte del Borgo collocata in territorio di Vigano normalmente è indicata come Cimaborgo, talvolta con la specificazione di appartenenza al comune di Vigano. La linea di separazione tra i due comuni segue l’attuale confine e non vi è distinzione significativa di proprietari prima e dopo tale linea, se non per la maggiore concentrazione delle proprietà degli eredi di Giovanni da Vigano, anch’egli un Terzi in origine, che sono collocate subito oltre la linea di confine. La maggior parte degli edifici appartengono ai Terzi, ai Mutti o ai Suardi. Tre distinti ceppi Suardi quello di Alberto, di Bertolaxio e di Baldino, risultano proprietari di case lungo la medesima contrada, quella ad ovest della via, che vengono date in affitto, secondo le regole del mercato locale. Le descrizioni offerte dai documenti spesso sono generiche e ripetititive. Per gli edifici di Borgo tuttavia emerge uno stile che comprende un certo numero di elementi architettonici formali e funzionali. La casa dove abita Venturino detto Zigala di Terzo si trova oltre il Closale ed è detta tera sedumata cum domo copata et solerata et ortiva cum pluribus generibus arborum, ossia edificio con una casa coperta da coppi, con solaio, un orto con dentro molte varietà di alberi; si riportano poi i confini che in questo caso a Ovest sono tracciati dalla Valle di Terzo (Closale) sotto la Pusterla; sugli altri tre lati confina con Alberto fu Recuperato da Terzo. Spesso però gli edifici comprendono anche ‘curte, hera e orto’. La presenza dell’orto e di un discreto numero di alberi, che in questo contesto sono certamente alberi da frutto, conferisce all’insediamento di Borgo un aspetto paesaggistico molto denso e caratterizzato. Se sul fronte strada si stende la cortina degli edifici, con i loggiati, sul retro la presenza dell’aia, dell’orto e talvolta di un campo annesso, forse chiuso da delimitazioni, offre l’immagine di tanti 170 clausi appaiati. Accanto agli edifici coperti da coppi un certo numero risulta coperto sia da coppi (copatis) che da pietre (plodatis). In qualche caso, tre o quattro, sono presenti dei bregni116 nel perimetro della corte o nelle pertinenze dell’edificio; gli stessi bregni, posti perimetralmente ai confini dell’aia sono l’avvio di ampliamenti edilizi che si svilupperanno nei secoli successivi fino ad estendere le pertinenze della casa o dare forma a nuovi edifici. Talvolta la casa è connessa ad un brolo più ampio con presenza di arativo e vite. Per alcuni edifici è segnalata la presenza del solaio e della ‘lobia’ o loggiato. La casa degli eredi di Paxino detto Abate, posta davanti alla chiesa, è dotata di un loggiato, al quale si accede mediante una scala esterna, che diventa un riferimento costante negli atti notarili. I proprietari delle case sono proprietari anche delle fucine, dei magli e dei mulini, e concedono in affitto questi immobili e riscutono regolari affitti annuali, talvolta biennali, che vanno da 20-40 soldi ad alcune lire all’anno e, in caso di mancato pagamento, danno luogo a pignoramenti o altri tipi di recupero del credito. Il centro abitato funziona come una sorta di grande condominio dove le diverse famiglie, in particolare quelle più modeste, si susseguono nell’occupare la stessa casa. Alcuni ceppi familiari già alla metà del Trecento hanno raggiunto una maggiore stabilità rispetto alla casa, continuando a risiedere nel medesimo edificio per tutto il secolo; la stabilizzazione deriva da un maggiore controllo sull’edificio, attraverso la stipula di un contratto ad ereditatem perpetuam, un contratto meno oneroso che offre la garanzia della trasmissione ereditaria. Le case sparse sono assai rare; se ne ricordano due, a Pessino e Noale. Pessino, oggi Pesino, è l’unico edificio presente sul terrazzo tra Terzo e Luzzana, ed è di proprietà del signore di Luzzana, ovvero Scipione Suardi; Noale fa parte del patrimonio delle 116 Per bregno si intendono sia rustici con tettoia o baracche di varia natura destinati a funzioni secondarie di deposito o anche di allevamento di bestiame. 171 monache. La diffusione degli edifici rurali si associa al tipo di gestione dei beni da parte dei grandi proprietari che in quest’area preferiscono piccoli appoderamenti, suddivisi in proprietà sparse nel territorio, e non puntano a realizzare poderi di maggiori dimensioni, con la necessaria conseguenza di costruire edifici rurali adeguati. La realizzazione della maggior parte delle case del Borgo va collocata a cavallo tra sec. XIII e XIV; ma già alla metà del Trecento l’apparato urbanistico risulta quasi completato ed è con evidenza frutto degli investimenti delle famiglie nobili, che occupano grandi comparti: Pariboni da Terzo nell’area del Mulino Pedegazza e parte del Cantone de Lalbara; Recuperato da Terzo possiede le case oltre il Closale; tutta l’area in prossimità e sul retro di Santa Maria è degli eredi di Paxino detto Abate, mentre gli eredi di Alberto e Merino, affiancati dai discendenti di Giovanni da Vigano, sono distribuiti nella parte alta del Borgo e a Cimaborgo, lungo la via a scendere i Suardi. Questa originaria partizione, che ricorda la presenza di grandi lotti edilizi, subisce una parziale revisione tra il 1350 e il 1380 e si sviluppa di pari passo con la trasformazione sociale in atto; tra queste due soglie si verifica la scomparsa di molte famiglie, spesso per emigrazione, e lo sviluppo di alcuni ceppi locali che conquistano la capacità di acquisire case e beni immobili, soprattutto attraverso l’attività commerciale. Un caso paradigmatico è l’insediamento al Cantone de Lalbara, dove il ceppo Zabeni già presente alla metà del secolo si espande con le sue diverse ramificazioni parentali a occupare tutti gli edifici disponibili. Nel 1382 Teutaldo Segramoxio vi tiene una ‘canippa’ ovvero (osteria), nella sua casa, in prossimità o addirittura in corrispondenza con l’osteria ancora presente negli anni Settanta del Novecento. Il figlio sviluppa l’iniziativa del padre mantenendo questa sede e nel 1383 acquista da Grasso de Barillis, un proprietario di Berzo che sta a Luzzana, una casa che si trova tra la seriola e la via centrale. L’edificio d’angolo a ridosso di Santa Maria appartiene a Gidino Mirane, complesso personaggio del ceppo Bugia, che risulta esse172 re uno dei principali attori del mercato immobiliare e degli scambi commerciali di tutta la fine del Trecento, non solo di Borgo, ma dei paesi della media Valle. Gidino svolge anche attività notarile e compare in molti atti nella diversa veste di venditore-acquirente, commerciante, testimone, notaio; della sua attività notarile tuttavia non si è conservata documentazione. Poco oltre, sulla via per Vigano, Pietro Boita, discendente esso pure di un ramo del ceppo Zabeni e Bugia, occupa la casa che prima era in affitto a Lanfranco detto Chino de Nicazzis. Le rapide e frequenti sostituzioni degli affittuari nell’ambito di un edificio quasi sempre denunciano una fragilità economica dell’affittuario e spesso preludono all’allontanamento di quel nucleo familiare verso altra destinazione. Verso la fine del Trecento i proprietari originari, Terzi ed affini, controllano sempre meno il mercato edilizio, riservandosi di rientrare in possesso degli stabili in particolar modo come risultato di mancati pagamenti. Gli affitti perpetui in molti casi non sono sufficienti a salvare l’edificio dalla requisizione; spesso la soluzione adottata prevede una finta vendita con conseguente riaffitto dell’edificio a chi lo godeva in precedenza, con garanzia di riscatto. Alcune cessioni di edifici da parte dei signori locali a piccoli proprietari tradiscono o una difficoltà economica o minore interesse per questo tipo di rendimento. Dopo la fase iniziale di insediamento del Borgo la costruzione di nuovi edifici risulta poco frequente. L’unico caso registrato nel Trecento riguarda un contratto che risale al 1361, in cui i fratelli Fachino e Girardo fu Giovanni da Vigano versano ai due fratelli Gatusso 50 lire per la realizzazione di tre edifici, nelle pertinenze delle case del suddetto Fachino, nell’area di Cimaborgo; il contratto prevede che l’altezza della costruzione raggiunga quella degli edifici già esistenti a Nord e a Sud, e che siano realizzati quattro porte a volta, quattro balconi, tre finestre; la strategia adottata prevede quindi il riempimento degli spazi che a questa data risultano ancora liberi, tra edificio ed edificio. Il committente dovrà fornire la calcina, gli assi, i coppi e tutti i materiali, eccetto le pietre, la sabbia e la manodopera che sono di competenza dei costruttori. 173 Viene fissata anche la scadenza per la realizzazione dell’opera, che deve essere pronta entro l’otto maggio successivo. Il tempo concesso appare modesto anche per un imprenditore attuale, in considerazione della necessità di trasporto delle pietre, di realizzare buona muratura in pietra e calce, di formazione delle volte, dei solai e dei tetti; bisogna immaginare che l’impresa dei fratelli Gatusso possa disporre di una buona e numerosa maestranza ed essere costituita da muratori professionali, specializzati nell’opera muraria in pietra; le cave di materiale edilizio tuttavia non sono molto distanti da Cimaborgo, poche centinaia di metri, e si collocano in prossimità del molino della Cornella, all’altezza della Valle Secca, dove c’è una ‘vena’ di buona maiolica. Un cambiamento rispetto al mercato della casa si percepisce nel primo Quattrocento con l’insediarsi a Borgo di un commerciante puro, potremmo dire, di un operatore che sviluppa i suoi traffici su di un mercato più allargato; l’espansione e le acquisizioni di Giovanni detto Berlendino de Santo Gallo, cittadino di Bergamo, comprendono la vendita del panno, l’acquisizione delle fucine, la soccida e il mercato delle case. 174 CIMABORGO 175 CANTONE DE L’ALBARA 176 Confronto tra immagine storica degli anni Trenta, si vedano le rotaie del trenino, e la versione attuale. L’edificio d’angolo, nel Trecento, era di proprietà del notaio Gidino detto Mirane. 177 Atto per l’affitto di tre edifici da parte di Gidino Mirane, posti nella parte alta del Borgo, due a ovest e uno a est della strada. Notaio Antonio Mutti (a. 1376). 178 Portale medievale d’accesso agli edifici di Bertolaxio Suardi. 179 Accesso ai broli verso Mura, nella parte alta di Borgo. L’arco del sottopasso segna il corpo di case originario, attribuibile al sec. XIII, disposto in parallelo con la via del paese; l’edificio nel Trecento è di proprietà di Alberto da Terzo. 180 Accesso alla seriola tra le case di Girardo Terzi, a destra, e casa Mutti, a sinistra. 181 Edificio di Cimaborgo, Comune di Vigano. Alla metà del Trecento è di proprietà di Girardo Terzi che lo affitta a Simone Bugia. 182 Corte interna di edifici Terzi, nell’area del mulino de Morettis, in concessione a diversi di Borgo (Bugia, de Nicazzis, Fredotello). 183 Arco medievale a sesto acuto sul fronte strada di accesso agli edifici di Alberto Suardi. 184 Leone di San Marco, in stato di parziale conservazione, sulla parete di una delle case di Giovanni da Vigano. 185 18. Alcune conclusioni L’analisi delle vicende della Comunità di Terzo e di Borgo di Terzo hanno mostrato una serie di trasformazioni di lungo periodo che è difficile racchiudere entro un arco cronologico preciso. Vi sono tuttavia delle date nelle quali un processo prima lento e sotterraneo si concretizza e diventa evidente. La crisi del Monastero alla fine Trecento con conseguente perdita di ruolo, segnalato anche dalla mancata sostituzione delle monache provenienti dalle famiglie nobili e signorili, si avvia nel Quattrocento ad una diversa fase di sviluppo e di incremento con l’ingresso di novizie provenienti da famiglie emergenti. L’incremento della consistenza numerica e pertanto della forza del monastero si intreccia con la progressiva debolezza della chiesa di Terzo, impoverita dalla riduzione della popolazione locale, che tendenzialmente migra verso il Borgo. L’epilogo di questo percorso si traduce nella unificazione del beneficio di San Michele e Bartolomeo, antica chiesa dei vicini di Terzo, a quello di San Pietro, chiesa del Monastero. Il potenziamento del ruolo di San Pietro comporta rinnovate responsabilità nella gestione della parrocchia; una scelta che produrrà l’evidente insufficienza dell’edificio originario di San Pietro e la necessità della sua sostituzione con un nuovo edificio, concretizzatasi in epoca cinquecentesca. La nuova condizione è segnalata anche dalla stesura del Rotolo dei beni del monastero, un inventario completo dei beni delle monache, nel quale si riconoscono tutte le proprietà, anche quelle acquisite in antico, in particolare fino alla metà del secolo XIV; il documento è emblematico di una nuova condizione di status e delle necessità di una maggiore efficienza nella gestione. L’avvento di Venezia, alla fine degli anni Venti del Quattrocento, coglie le famiglie Terzi in una condizione di evidente difficoltà, in modo del tutto simile a quanto accaduto a molte delle famiglie Suardi presenti in Valle Cavallina. L’assenza di interventi di ricostruzione fondiaria prima e le numerose dismissioni di terre poi, in particolare nel primo Quattrocento, indicano che i conflitti tra fazioni 186 e l’alleanza con il fronte antiveneziano hanno lasciato ferite strutturali, che non saranno facilmente rimarginate. I Terzi discendenti di Merino, che occupano il castello di Terzo, saranno in grado di gestire un rapido riposizionamente rispetto al nuovo ‘signore’ garantendosi un recupero economico derivante da esenzioni fiscali, come atto di benevolenza di Venezia per il cambio di alleanze; tuttavia non sarà possibile il ripristino di un ruolo signorile, pari a quello detenuto nel Trecento ed esercitato sulle comunità locali. Tra la fine del Trecento e il primo Quattrocento a Borgo si va profilando l’emergere di nuove famiglie che si affermano attraverso i commerci e diventano proprietarie di case e di terre; un fenomeno analogo caratterizza la comunità di Vigano con famiglie quali de Lavalle, de Lacornella, Parixio, Madasche, Gatusso, le cui fortune derivano da attività legate ai mulini (Madasche, De Lacornella), all’edilizia (Gatusso), o all’allevamento e ai mulini (de Lavalle); il miglioramento economico dei viganesi si accompagna alla proprietà di una casa nel Borgo, spesso acquistata dai Terzi, con edifici che andranno arricchendosi nei secoli successivi fino alla formazione di complessi edilizi di notevole rilievo. Il sistema agrario al contrario proseguirà secondo l’impianto tradizionale degli affitti, associando agli antichi proprietari signorili nuovi proprietari che provengono dalle stesse famiglie locali emergenti e conquistano un ruolo di piccoli proprietari terrieri. Il Quattrocento vede anche l’attività dei nuovi gestori commerciali concentrare il proprio sforzo sul controllo dei magli e dei mulini. Nel 1447 Marchetto de Alexandris di Adrara acquista la metà dei molini con tre ruote e la metà della fossina con mallio ab aqua, il carbonile e le pertinenze fino al Cherio per cederle in eredità perpetua a Lorenzo de Malabotis de Santo Gallo; in tale modo la famiglia di Berlende de Santo Gallo riesce ad avere il controllo su tutto l’area produttiva di Cimaborgo. I cambiamenti sociali importanti, veloci o lenti, si rispecchiano nelle trasformazioni ambientali e urbanistiche o si solidificano nei singoli manufatti architettonici. L’edificio della chiesa di Santa Maria di Borgo si trasformerà più di una volta, con aggiunta di un 187 nuovo oratorio e ristrutturazione delle pertinenze parrocchiali; mentre la chiesa di Terzo, espropriata delle funzioni parrocchiali, sarà ridotta ad un ruolo secondario. Lo specchio più evidente delle trasformazioni sono gli edifici storici di rilievo conservati fino ad ora, quelli non ancora cancellati o profondamente deformati. La scomparsa di emergenze storiche significative rispecchia fasi cruciali: la chiesa di S. Pietro, il castello di Terzo, i magli e i mulini, la seriola. Ognuna di queste perdite segna un profondo cambiamento storico e la sostituzione del ceto sociale che aveva espresso quel modo di produrre e di vivere. 188 Finito di stampare nel mese di dicembre 2009 dalla Grafica Monti - Bergamo stampato su carta certificata FSC Mixed Sources Product group from well-managed forest and other controlled sources Cert no. BV-COC-088416 www.fsc.org © 1996 Forest Stewardship Council marchio per la gestione forestale Responsabile