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Presentazione di PowerPoint - Dipartimento di Fisica

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Presentazione di PowerPoint - Dipartimento di Fisica
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
1
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
I rivelatori di radiazione hanno avuto un’importanza fondamentale nella storia
della fisica e tuttora costituiscono una delle basi cu cui si appoggiano misure
ed esperimenti.
Il loro impiego si è esteso a numerose altre scienze e a settori applicativi
molto diversificati. Fra questi:
• la diagnostica medica
• la biologia
• la radiografia industriale
• le scienze ambientali
• la sicurezza del territorio
• la radioprotezione
• le applicazioni della difesa
• lo studio di reazioni chimiche
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
2
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
E’ INOLTRE IMPORTANTE SOTTOLINEARE COME LA
RICERCA SUI PRINCIPI DI RIVELAZIONE E
L’OTTIMIZZAZIONE
DELL’
INFORMAZIONE
ESTRAIBILE DA UN RIVELATORE COSTITUISCA UN
AFFASCINANTE SETTORE DI IMPIEGO PER UN
FISICO.
MOLTI SONO I PROBLEMI TUTTORA APERTI NEL
CAMPO DELLA RICERCA E SVILUPPO SUL TEMA DEI
RIVELATORI E REQUISITI SEMPRE PIU’ DIFFICILI
DA SODDISFARE VENGONO CONTINUAMENTE
AVANZATI DALLA SCIENZA PURA E DAI VARI
SETTORI DI APPLICAZIONE.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Un rivelatore può rappresentarsi con lo schema di figura:
l’interazione della radiazione con la regione sensibile produce un
segnale primario, non necessariamente di natura elettrica
radiazione
Regione
sensibile
conversione del segnale
primario in segnale
elettrico
elaborazione
elaborazione
del segnale
elettrico
r
Segnale primario
Segnale
l
elettrico
s
La conversione
in segnale elettrico è fondamentale per poter impiegare
b
le tecniche
elettroniche di elaborazione e immagazzinamento.
o
P.rF. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
4
a
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Funzioni svolte dai rivelatori:
 segnalare l’accadimento dell’interazione e il numero di
interazioni che si verificano in un tempo prefissato
(conteggio)
 fornire l’informazione relativa all’ energia rilasciata nella
regione sensibile
 definire l’istante di interazione (tempo di macchina)
 fornire l’informazione relativa alle coordinate del punto di
interazione in una regione sensibile segmentata (rivelazione
di posizione)
 identificare il tipo di radiazione interagente
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Per impostare lo studio dei metodi di elaborazione
dell’informazione fornita dai rivelatori di radiazione occorre
premettere una breve caratterizzazione di rivelatori come
sorgenti di segnale.
A tale scopo classifichiamo i rivelatori secondo le seguenti
categorie, definite in base al principio di rivelazione che sta alla
loro base.
1 - Rivelatori a ionizzazione
2 - Rivelatori a scintillazione
3 - Rivelatori di Cherenkov
4 - Rivelatori bolometrici
5 - Rivelatori basati su materiali superconduttori
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
PRINCIPI FONDAMENTALI DI RIVELAZIONE
o Ionizzazione - la radiazione crea lungo il suo percorso nella regione sensibile una
traccia di ionizzazione costituita da ioni di carica opposta. Se la zona sensibile è
racchiusa fra due elettrodi a cui è applicata dall’esterno una differenza di
potenziale, il campo elettrico risultante fa migrare gli ioni di segno opposto verso i
rispettivi elettrodi di raccolta, ai quali è prelevabile un segnale. In questo caso il
segnale primario è già di natura elettrica.
o Scintillazione – la regione sensibile è costituita da un materiale, detto
scintillatore, in cui parte dell’energia ceduta dalla radiazione provoca l’eccitazione di
molecole. Queste, ritornando allo stato fondamentale emettono luce. In questo caso
il segnale primario è di natura luminosa e la sua conversione in segnale elettrico
richiede un fotorivelatore.
o Effetto Cherenkov – consiste nell’’emissione di luce da parte di una particella
carica che attraversi un mezzo trasparente a una velocità superiore alla velocità
della luce in quel mezzo. Il segnale primario è di natura luminosa.
o Rivelazione bolometrica – l’energia depositata dalla radiazione nella zona sensibile
ne provoca un aumento di temperatura. Il segnale primario è di natura termica.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Ogni rivelatore viene descritto attraverso il suo circuito elettrico
equivalente, che nei primi tre casi elencati alla pagina precedente, peraltro
i più comuni nelle applicazioni, può essere ricondotto, almeno in prima
approssimazione alla struttura di figura.
oo
Q i(t)
CD
o
Q i(t)dt = Q
(1)
Nel caso dei rivelatori di tipo 1 e 2 la carica Q è proporzionale
all’energia E rilasciata dalle radiazione nella zona sensibile del rivelatore.
CON QUESTI RIVELATORI, PERTANTO, LA MISURA DI ENERGIA E’
RICONDOTTA ALLA MISURA DI UNA CARICA ELETTRICA, CIOE’
ALLA VALUTAZIONE DELL’INTEGRALE (1).
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DIPARTIMENTO DI FISICA UNIVERSITÀ DI PISA
LE MISURE DI ENERGIA COSTITUISCONO UN IMPORTANTE
SETTORE DI IMPIEGO DEI RIVELATORI DI RADIAZIONE.
ESSE COSTITUISCONO LA BASE DELL’ANALISI DISPERSIVA
IN ENERGIA DELLA RADIAZIONE O SPETTROMETRIA DELLA
RADIAZIONE, CHE CONSISTE NEL COSTRUIRE LA FUNZIONE
DENSITA’ DI PROBABILITA’ f(E), DEFINITA IN BASE ALLA
SEGUENTE RELAZIONE:
(2)
dN = f(E) dE
DOVE dN E’ IL NUMERO DI EVENTI CHE RILASCIANO NEL
RIVELATORE UN’ ENERGIA COMPRESA FRA E e E + dE.
LO SCHEMA A BLOCCHI DELLO STRUMENTO CHE COSTRUISCE
LA FUNZIONE DENSITÀ DI PROBABILITÀ È ILLUSTRATO
NELLA PAGINA SEGUENTE.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Aggiungi 1
REGISTRO CONTENUTO
B0 B1
aQ
D
B0
B1
0
A
Bn
R
E
G
I
N
D
I
R
I
Z
Z
I
Bk
periferiche
B0
B1
RAM
Bn
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
IL
PRINCIPIO DI OPERAZIONE DI QUESTO SISTEMA, CHE
COSTITUISCE
LA
STRUTTURA
BASE
PER
L’
ANALISI
SPETTROMETRICA DELLA RADIAZIONE CON RIVELATORI SI PUO’
COSI’ DESCRIVERE:
1.
Il convertitore analogico-digitale, che si immagina lineare, suddivide la
dinamica d’ingresso Vmin – Vmax in 2 n+1 intervalli eguali, detti canali. La
parola numerica B0, B1, …… Bn identifica il numero d’ordine del canale a cui
viene attribuita l’ampiezza aQ del segnale di ingresso.
2.
La parola B0, B1, …… Bn , viene immagazzinata in un registro e impiegata per
indirizzare una delle 2 n+1 celle della memoria, in numero eguale a quello dei
canali di ampiezza e poste in corrispondenza univoca con questi.
3.
Il contenuto numerico della cella di memoria RAM indirizzata viene
trasferito al registro di contenuto. Il contenuto preesistente nella cella
viene incrementato di un’unità e quindi ritrasferito nella cella della memoria
RAM che era stata indirizzata.
4.
Il risultato dell’accumulo cella per cella viene presentato su una periferica
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
UN SECONDO IMPORTANTE SETTORE DI IMPIEGO DEI
RIVELATORI E’ QUELLO DELLE MISURE DI INTERVALLI DI
TEMPO.
LA
FUNZIONE
BASE
DEL
RIVELATORE
IN
QUEST’APPLICAZIONE E’ LA DEFINIZIONE DELL’ ISTANTE
DI ACCADIMENTO DELL’ EVENTO “INTERAZIONE DELLA
RADIAZIONE CON LA ZONA SENSIBILE”.
UN METODO DI DEFINIZIONE TEMPORALE DI COMUNE
IMPIEGO CONSISTE NELL’ASSUMERE
COME TEMPO
OSSERVABILE L’ ISTANTE A CUI LA CARICA Q(t) = Qi(t)
RAGGIUNGE UNA FRAZIONE ASSEGNATA DELLA CARICA
TOTALE Q ASSOCIATA AL SEGNALE.
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DIPARTIMENTO DI FISICA UNIVERSITÀ DI PISA
IL TERZO SETTORE DI IMPIEGO E’ QUELLO DELLA
DEFINIZIONE
DELLE
COORDINATE
DEL
PUNTO
DI
INTERAZIONE DELLA RADIAZIONE CON LA ZONA SENSIBILE.
IN
MOLTI
CASI
DI
INTERESSE
PRATICO
QUESTA
DEFINIZIONE SI BASA SU RIVELATORI COSIDDETTI
SEGMENTATI, CIOE’ COSTITUITI DA MOSAICI DI RIVELATORI
ELEMENTARI, A CIASCUNO DEI QUALI SI PUO’ ASSOCIARE IL
CIRCUITO EQUIVALENTE VISTO.
ALLA DEFINIZIONE DELLE COORDINATE DEL PUNTO DI
INTERAZIONE SI COLLEGANO DUE ASPETTI APPLICATIVI DI
ESTREMO INTERESSE:
o IL TRACKING, CIOE’ LA RICOSTRUZIONE SPAZIALE DI
TRACCE DI PARTICELLE
o LA COSTRUZIONE DELL’IMMAGINE CHE RAPPRESENTA LA
DISTRIBUZIONE GEOMETRICA DELLA RADIAZIONE
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DIPARTIMENTO DI FISICA UNIVERSITÀ DI PISA
Ci limitiamo, per il momento ai rivelatori di tipo 1 e 2.
La caratterizzazione di un rivelatore di questo tipo richiede che si
definiscano:
 la dipendenza temporale i(t)
 la natura (lineare o nonlineare) della capacità CD e il suo valore
 la sensibilità dQ/dE
La conoscenza della dipendenza temporale i(t) permette di valutare quanto
si perde del valore di Q in una misura reale in cui l’integrazione venga
eseguita su un tempo finito.
area totale Q
Q i(t)
carica inutilizzata
T
t
misura che utilizza la carica compresa fra 0 e T.
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
RIVELATORI BASATI SUL PRINCIPIO DELLA IONIZZAZIONE
Sono correntemente impiegati rivelatori che sfruttano il processo
della ionizzazione nei seguenti mezzi:
• gassosi
• liquidi
• solidi (semiconduttori e isolanti)
LA STRUTTURA DI UN RIVELATORE A IONIZZAZIONE E’ QUI INDICATA
E
-
radiazione
ionizzante
elettrodo collettore
ioni positivi
+
regione
sensibile
ione positivo
ione negativo
elettrodo collettore ioni negativi
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Il campo elettrico determinato dalla batteria di
polarizzazione nella regione sensibile assolve una duplice
funzione:
• allontana i portatori di carica opposta impedendone la
ricombinazione
• li fa migrare verso i rispettivi elettrodi collettori
In questo processo di migrazione viene indotta sugli
elettrodi la corrente di segnale che contiene
l’informazione relativa alla carica Q.
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Nel caso illustrato la radiazione ionizzante non si arresta
nella regione sensibile del rivelatore. Se il rivelatore è
adibito a una misura d’energia, l’energia misurata è quella
depositata, inferiore all’energia totale dell’evento.
Casi particolari:
radiazione
ionizzante
b)
-
+
a)
Arresto nella regione
sensibile. Misura di
energia totale
regione
sensibile
Regione sensibile molto
sottile. Misura di dE/dx
-
+
radiazione
ionizzante
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Parametro fondamentale di un mezzo rivelatore che impiega il processo di
ionizzazione è l’energia e necessaria a creare una coppia di portatori. Per un
assegnato valore di energia E depositata dalla radiazione nel rivelatore, il
numero di coppie di portatori resi liberi è dato da:
N = E/e ,
dunque tanto maggiore quanto più alto è e. Il disporre di un’elevata carica resa
disponibile dalla radiazione incidente è importante in particolare per i
rivelatori che non dispongono di un processo di moltiplicazione di carica. Come
risulterà chiaro più avanti, quanto maggiore è la carica resa disponibile dal
rivelatore, tanto meno critico risulta il processo di estrazione
dell’informazione dal segnale e tanto meno esposto è il segnale all’azione dei
disturbi esterni.
A titolo di esempio, per un gas come Ar e = 25 eV
per un semiconduttore a basso gap, come Ge e = 2.67 eV
per un isolante ad alto gap, come C (diamante) e = 13. 2 eV
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
SEGNALE UTILE
IL SEGNALE UTILE E’ RAPPRESENTATO DALLA CORRENTE
INDOTTA SUGLI ELETTRODI DAI PORTATORI DI NOME
OPPOSTO NEL LORO MOTO DI RACCOLTA VERSO I RISPETTIVI
ELETTRODI.
ENTRAMBI I PORTATORI INDUCONO CORRENTE SU CIASCUN
ELETTRODO COLLETTORE. AD ESEMPIO, GLI ELETTRONI
INDUCONO UN SEGNALE DI CORRENTE NEGATIVO MUOVENDOSI
VERSO L’ELETTRODO A POTENZIALE POSITIVO. DELLO STESSO
SEGNO E’ IL CONTRIBUTO DOVUTO ALL’ INDUZIONE DEGLI
IONI POSITIVI, IN QUANTO E’ VERO CHE HANNO CARICA DI
SEGNO OPPOSTO, PERO’ E’ ANCHE VERO CHE NEL LORO MOTO DI
RACCOLTA
SI
ALLONTANANO
DALL’
ELETTRODO
IN
QUESTIONE.
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
RIVELATORI A IONIZZAZIONE IN MEZZO GASSOSO
Le caratteristiche fondamentali del mezzo gassoso come costituente la regione
sensibile di un rivelatore a ionizzazione sono le seguenti:
 la densità è bassa, però può venire aumentata innalzando la pressione del gas
 alcuni gas impiegati come mezzi rivelatori permettono di ottenere la
moltiplicazione di carica, cioè consentono di ottenere agli elettrodi una carica
maggiore di quella rilasciata dalle ionizzazione primaria e legata a questa da un
fattore di proporzionalità affidabile e riproducibile.
 il gas di riempimento del rivelatore può essere fatto circolare continuamente,
ripristinando quindi le condizioni del gas di partenza se queste sono state
deteriorate da particolari situazioni, quali ad esempio il danno da radiazione.
 La velocità di deriva degli elettroni in gas come argon è relativamente bassa,
dell’ordine del cm/ms. Lo ione positivo è di circa tre ordini di grandezza più lento.
La velocità di deriva degli elettroni può venire aumentata usando come additivi gas
contenenti molecole organiche, che tuttavia presentano effetti collaterali.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
FRA I RIVELATORI SFRUTTANO COME PROCESSO PRIMARIO LA
IONIZZAZIONE IN UN MEZZO GASSOSO E’ DOVEROSO CITARE
I SEGUENTI TRE:
 la camera a ionizzazione, che ha costituito, fino all’avvento dei
rivelatori a stato solido la soluzione più idonea per la spettrometria a
 il contatore proporzionale, impiegante la moltiplicazione nel gas e
tuttora considerato utile in alcune misure di energia sulla radiazione X.
Il principio del contatore proporzionale è alla base del concetto
realizzativo delle camere proporzionali a filo (MWPC)
 il contatore di Geiger, in cui una moltiplicazione del gas molto
elevata conduce a un processo di scarica. Il contatore di Geiger è
impiegato a puri fini di conteggio di eventi.
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
CARATTERISTICHE DI GAS E MISCELE DI GAS PER RIVELATORI A
IONIZZAZIONE
Tipo di gas
Energia necessaria
Velocità in cm/s degli
per creare una coppia
elettroni a 1kV/cm
(eV)
di campo, P = 1 atm
Neon
36.2
---------
Argon
26.2
0.5 106
Argon+isobutane (70:30)
5 10 6
Argon+1% Nitrogen
Xenon
2.3 106
21.5
----------
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Lo studio della camera a ionizzazione in mezzo gassoso è importante
perché permette di stabilire in maniera semplice alcuni concetti
fondamentali relativi alla formazione del segnale.
La figura mostra
una camera a ionizzazione in mezzo gassoso impiegata per
spettrometria a. La sorgente è depositata su uno degli elettrodi e la
traccia di ionizzazione è interamente contenuta nella regione sensibile.
+
-
traccia di
ionizzazione
Sorgente di
particelle a
depositata
sull’elettrodo
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
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DIPARTIMENTO DI FISICA UNIVERSITÀ DI PISA
Calcolo della corrente indotta su uno degli elettrodi per effetto della
raccolta di una coppia di portatori. Il moto dei portatori, sotto l’effetto
combinato del campo elettrico, che tenderebbe a imporre accelerazione
costante e della diffusione da parte delle molecole del gas avviene a
velocità costante per entrambi i portatori.
coppia di
portatori
vel
+
L-x
vione
L
x
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-200525
DIPARTIMENTO DI FISICA UNIVERSITÀ DI PISA
Il calcolo della corrente indotta su uno egli elettrodi, ad esempio sull’elettrodo a
potenziale positivo, collettore per gli elettroni, si esegue applicando il TEOREMA
DI RAMO.
TEOREMA DI RAMO: in questo caso di velocità costante la corrente indotta è
costante lungo il percorso di raccolta dei portatori e il su valore è dato dal campo
efficace nel punto di creazione della coppia moltiplicato per la carica e la velocità
del portatore. Si definisce campo efficace quello che si ottiene attribuendo il
potenziale di 1V all’elettrodo su cui si vuole calcolare la corrente indotta e
potenziale zero a tutti gli altri.
x/vel
(L-x)/vion
t
iel = -qvion/L
correnti indotte sull’
elettrodo positivo
itotal
iel = -qvel/L
L’analisi di questa situazione, pur
nella sua semplicità, è estremamente
significativa. Ci dice, ad esempio
che:
• entrambi
corrente
i
portatori
inducono
• le correnti indotte hanno lo stesso
segno, in quanto i portatori hanno
cariche di segno opposto e però
anche le velocità hanno verso opposto
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
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DIPARTIMENTO DI FISICA UNIVERSITÀ DI PISA
La carica indotta sull’elettrodo positivo si rileva integrando la corrente
indotta. Lo schema indica come si esegue tale integrazione par mezzo di un
integratore operazionale.
x/velel
-V
camera
f
_
+
V
c
integratore
t
iel = -qvion/L
correnti indotte sull’
elettrodo positivo
Itot
C
(L-x)/vion
iel = -qvel/L
Vc(t)
qx/L
q
x/vel
(L-x)/vion
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
27
t
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
OSSERVAZIONI IMPORTANTI, che sono di validità generale e, come tali potranno
estendersi ai rivelatori allo stato solido.
1 - finchè il processo di raccolta di entrambi i portatori non è terminato, la carica
misurata dipende dalla posizione in cui la coppia si è formata.
2 - solamente quando entrambi i portatori sono raccolti la carica misurata
all’elettrodo è pari alla carica dei portatori, cioè a q.
3 - il calcolo di corrente e carica indotte nel caso di una traccia di ionizzazione
estesa si esegue ripetendo il calcolo del caso elementare e applicando il principio di
sovrapposizione degli effetti.
4 - pertanto, anche nel caso di una traccia estesa per conseguire un valore di
carica pari alla carica di ionizzazione creata dalla radiazione incidente occorre
attendere che tutti i portatori liberi siano raccolti.
5 - volendo eseguire misure di energia precisa occorre quindi rispettare la
condizione del punto precedente.
6 - il tempo operativo di un rivelatore impiegato in misure di energia di alta
precisione, e quindi in spettrometria della radiazione è determinato dalla velocità di
deriva del portatore più lento.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
In base a quanto detto, la camera a ionizzazione in mezzo gassoso è un rivelatore
estremamente lento, con tempi operativi deterrminati dalla raccolta degli ioni
positivi, cioè dell’ordine di millisecondi.
Un artificio che permette di superare
questo problema è mostrato qui sotto e si basa sull’introduzione di una griglia
posta di fronte all’elettrodo collettore con
Elettrodo di raccolta
la funzione di schermare quest’ultimo
dall’induzione da parte degli ioni positivi.
Chiaramente,
perché
questo
artificio
funzioni, occorre che non si formino ioni
positivi al di là della griglia, cioè che la
traccia di ionizzazione si esaurisca nella
zona di rivelatore fra l’elettrodo su cui è
depositata la sorgente e la griglia. In
questo modo il tempo operativo del
griglia
rivelatore è notevolmente ridotto, in
quanto determinato dalla velocità di deriva
degli
elettroni,
ciè
dell’ordine
dei
microsecondi e non, come nel caso
precedente, dei millisecondi.
Camera
veloce
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
La camera a ionizzazione a griglia non è più, oggigiorno, un rivelatore
che intervenga in molte applicazioni. La ragione per cui è stato
illustrato è la seguente. Introduce un’idea importante: può accadere
che un tipo di portatore liberato dalla ionizzazione abbia una velocità
di deriva molto iù bassa dell’altro e quindi condizioni negativamente la
velocità di operazione del rivelatore.
In questo caso, come insegna l’idea della griglia, si deve ricorrere a un
artificio che impedisca al portatore più lento di indurre carica
sull’elettrodo collettore.
Questo concetto è stato efficacemente impiegato da uno specialista di
rivelatori a stato solido (Paul Luke del Lawrence Berkeley National
Laboratory) per eliminare il contributo di induzione delle hole in
rivelatori a Tellururo di Cadmio, un materiale in cui le hole hanno un
avelocità di deriva molto più bassa degli elettroni.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
L’attenzione finora dedicata alla camera a ionizzazione, un rivelatore superato nelle
applicazioni spettrometriche dall’avvento dei rivelatori a semiconduttore è giustificata
dalle due considerazioni seguenti:
• la camera a ionizzazione, nella sua semplicità di funzionamento permette di
introdurre concetti che sono di importanza fondamentale anche nel caso dei rivelatori
allo stato solido.
• anche oggigiorno può costituire l’unica soluzione a problemi particolari, come si è
sperimentato nel seguente esempio.
ESEMPIO APPLICATIVO
Nello sviluppo dello strumento che dovrà misurare la luminosità dei fasci di protoni che
collidono in LHC, l’acceleratore attualmente in fase di realizzazione al CERN si è
presentato il problema di rivelare la perdita di energia specifica dE/dx di sciami di
particelle al minimo. Il rivelatore era richiesto rispettare due condizioni gravose
• resistere a dosi di radiaizone estremamente elevate, da due a tre ordini di
grandezze superiori a quelle previste nei rivelatori delle esperienze
• avere tempi operativi compatibili con l’intervallo fra due incroci di fasci successivi in
LHC, ossia 25 ns.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
L’analisi delle caratteristiche di resistenza alla radiazione di diverse soluzioni
di rivelatore ha portato a concludere che l’unica via percorribile era quella di
una camera a ionizzazione. Il problema successivo era la velocita’ di
operazione. Questo è stato risolto adottando gli accorgimenti seguenti.
• Il primo è consistito nel suddividere la zona sensibile in strati sottili, al fine
di ridurre il percorso dei portatori, come in figura. Ciascuna cella era spessa
0.5mm nella prima versione del rivelatore, 1mm nella seconda
+V
Sciame di
MIP
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
•Il secondo ha riguardato la scelta del gas di riempimento. Il requisito di
resistenza alla radiazione ha portato a escludere l’uso di miscele gassose
contenenti molecole organiche, soluzione frequentemente adottata per aumentare
la velocità di deriva dei portatori. Le molecole organiche possono polimerizzarsi
per effetto della radiazione, compromettendo il funzionamento del rivelatore.
Una ricerca approfondita ha diretto l’attenzione verso la miscela costituita da
Argon con l’aggiunta di piccole percentuali di Azoto. Con una miscela di Argon + 2%
di Azoto, e un valore del rapporto (campo electrico)/pressione di 1000 V/cm atm
si è ottenuta una velocità di deriva degli elettroni de 3.2 cm/ms.
d/vel
strato
rivelatore
++ --+---+
-- ++-+++d
traccia
della
particella
i(t)
t
Forma del segnale di
corrente indotta dagli
elettroni nel caso di una
traccia con densità di
portatori
liberi
uniforme. A tempi così
brevi il contributo degli
ioni è irrilevante.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
LA MOLTIPLICAZIONE NEL GAS. IL CONTATORE PROPORZIONALE. Come
anticipato, nei gas è possibile realizzare un processo di moltiplicazione
caratterizzato da fattori di proporzionalità affidabili. Per ottenere la
moltiplicazione è necessario ricorrere a una configurazione diversa da quella a
elettrodi piani e paralleli vista finora.
cilindro metallico esterno (catodo)
linea di campo elettrico costante
r
filo centrale (anodo)
La geometria cilindrica mostrata in figura presenta una dipendenza del campo
elettrico dalla distanza dal filo centrale di tipo 1/r. Pertanto il campo elettrico
è più intenso in prossimità del filo. La moltiplicazione è provocata dagli elettroni
accelerati e si verifica in una guaina cilindrica coassiale al filo centrale. E’ quindi
fondamentale che il filo centrale agisca da anodo.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
processo di moltiplicazione nel gas
5
4
t
2
E
forma del segnale anodico
nel contatore proporzionale
5
1
4
2
1
parte rapida dovuta agli
elettroni che si avvicinano al
filo
1
1
3
3
elettrone primario
parte lenta dovuta agli ioni
che se ne allontanano
carica indotta sull’ anodo
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
35
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
LA MOLTIPLICAZIONE DI CARICA RIVESTE UN RUOLO IMPORTANTE
NELL’ELABORAZIONE DEL SEGNALE. CONTRIBUISCE INFATTI AD
AUMENTARE LA SENSIBILITA’ dQ/dE DEL RIVELATORE.
PERTANTO, A PARI ENERGIA RILASCIATA NEL RIVELATORE, LA CARICA IN
USCITA NEL CASO DI RIVELATORE CON MOLTIPLICAZIONE INTERNA E’
AUMENTATA DEL FATTORE DI MOLTIPLICAZIONE RISPETTO AL CASO IN
CUI LA MOLTIPLICAZIONE SIA ASSENTE E QUUINDI SI RACCOLGA
SOLTANTO LA CARICA DI IONIZZAZIONE PRIMARIA.
E’ IMPORTANTE RICORDARE CHE: QUANTO MAGGIORE E’ LA CARICA IN
USCITA TANTO MINORE E’ L’EFFETTO DEL RUMORE E DEI DISTURBI
ESTERNI SULLA MISURA.
QUINDI L’ELABORAZIONE DEL SEGNALE E’ MENO CRITICA NEL CASO DI
UN
CONTATORE
PROPORZIONALE,
IL
CUI
COEFFICIENTE
DI
MOLTIPLICAZIONE HA VALORI COMPRESI FRA 103 E 104, RISPETTO AL
CASO DELLA CAMERA A IONIZZAZIONE IN CUI SI RACCOGLIE
SOLTANTO LA CARICA PRIMARIA.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
36
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
RIVELATORI A IONIZZAZIONE IN MEZZO LIQUIDO.
Il caso più comune è quello dei rivelatori che impiegano liquidi criogenici, come
Argon, Krypton e Xenon. In realtà in quest’ultimo spesso prevale l’interesse per
il processo di scintillazione più che quello per la ionizzazione pura. Argon e
Krypton liquidi sono da anni impiegati in rivelatori a ionizzazione, con
utilizzazione predominante nella calorimetria.
camera in
argon
liquido
Strato
di
+V
alto
numero atomico
calorimetro a campionamento ad argon liquido
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
37
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Il calorimetro mostrato in figura è del tipo a campionamento, costituito
dall’alternanza di strati di materiale di alto numero atomico in cui la
radiazione crea sciami e di strati rivelatori, che in questo esempio sono
delle camere a ionizzazione a liquido che campionano l’energia degli
sciami. I calorimetri sono impiegati per misurare l’energia della
radiazione incidente.
La forma d’onda del segnale di corrente è approssimativamente
triangolare, dato che in ogni strato rivelatore si può assumere una
densità uniforme di portatori mobili.
A differenza di quanto accade nel caso di un gas, in un liquido criogenico
si può assumere che gli ioni positivi siano praticamente immobili, e quindi
non contribuiscano alla formazione del segnale di carica in uscita.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
38
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
RIVELATORI A IONIZZAZIONE IN MEZZO SOLIDO.
Se il mezzo rivelatore è un isolante è possibile realizzare una camera di
ionizzazione a stato solido semplicemente evaporando gli elettrodi sulle facce
opposte di un pezzo di materiale, come è mostrato in figura nel caso del rivelatore
di diamante.
diamante
Una struttura analoga non sarebbe proponibile nel caso di semiconduttori come
germanio o silicio, materiali che hanno un gap di energia proibito fra banda di
valenza e banda di conduzione relativamente basso, rispettivamente 0.67 eV e
1.1 eV.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
39
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
A CAUSA DEL BASSO VALORE DEL GAP FRA BANDA DI
CONDUZIONE E BANDA DI VALENZA, QUESTI MATERIALI
PRESENTANO A TEMPERATURA AMBIENTE UNA CONDUCIBILITA’
ELEVATA. CONSEGUENTEMENTE, SE SI REALIZZASSE in Ge o Si
UNA CAMERA A IONIZZAZIONE DEL TIPO VISTO NEL CASO DEL
DIAMANTE,
SI
AVREBBE PASSAGGIO DI CORRENTE
STAZIONARIA NON TRASCURABILE, TALE DA NASCONDERE IL
PICCOLO SEGNALE LEGATO ALLA RIVELAZIONE DELLA
RADIAZIONE IONIZZANTE.
PER QUESTO MOTIVO I RIVELATORI A SEMICONDUTTORE IN
GERMANIO O SILICIO VENGONO REALIZZATI SOTTO FORMA DI
GIUNZIONE P-N E LA GIUNZIONE VIENE POLARIZZATA
INVERSAMENTE.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
40
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Strutture di rivelatori P-N in silicio
GIUNZIONE P-N
A
Silicio di tipo N
P
P+
B
Silicio di tipo N
GIUNZIONE RESISTIVA
Silicio di tipo
Silicio di tipo
N+
N+
A: la giunzione si ottiene depositando su una faccia un sottile strato di oro
per evaporazione sotto vuoto
B: la giunzione si ottiene creando lo strato P+ per impiantazione ionica
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
41
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
mobile
electrons
conduction band
- - - - - - - - - Ec
+++++++++
Intrinsic Fermi level
N-TYPE
donor level
Fermi level
fixed positive
Ev charge (donors)
electron
energy
P-TYPE
Intrinsic Fermi level
fixed negative
charge (acceptors)
Fermi level
acceptor level
- - - - - - - - -
mobile holes
+++++++++
valence band
valence band
fixed positive
charge (donors)
++++++++
------ - -
conduction band
mobile
electrons
fixed negative
charge (acceptors)
mobile holes
------ - ++++++++
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
42
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
ESEMPIO DI GIUNZIÓNE P-N
+
++++
+ + + +N
++++
P+
xp
-qNa
xN
qNd
densità di carica
non compensata
campo elettrico
potenziale
Zona P+: impurezze di tipo trivalente (B)
con densità Na- portatori liberi buchi (+),
atomi ionizzati con carica negativa
Zona N: impurezze di tipo pentavalente (As)
con densità Nd portatori liberi elettroni (-),
atomi ionizzati con carica negativa
Bilancio di carica: xPNa = xNNd che mostra
come la zona de carica spaziale si estenda
più profondamente nella regione di minor
densità di impurezze.
Caso in cui Na >> Nd, la zona svuotata si
estende quasi esclusivamente nella zona N,
xP << xN e xN è proporzionale a ( V/Nd)1/2
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
43
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Il calcolo della forma del segnale indotto in un rivelatore a stato solido si basa
ancora sul teorema di Ramo. Rispetto al caso della camera a ionizzazione in un
gas è reso più complicato dal fatto che il campo elettrico può non essere
costante. Il calcolo si esegue utilizzando il concetto di mobilità m.
m = velocità/campo elettrico e si esprime in cm2/Vxs.
x/meE
coppia di
portatori
L
qmhE/L
iagujero
m eE
m hE
L-x
(L-x)/mhE
x
ielectron
qmeE/L
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
44
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
CARATTERISTICHE DEI MATERIALI PIU’ FREQUENTEMENTE IMPIEGATI NELLA
REALIZZAZIONE DI RIVELATORI A STATO SOLIDO
MATERIALE
EG (eV)
me (cm2/Vxs)
mh (cm2/Vxs)
Ge
0.72
3900
1900
Si
1.13
1400
480
GaAs
1.43
8000
400
CdTe
1.44
1100
100
1350
120
CdZnTe
1.5 - 2.2
CdSe
1.73
720
75
HgI2
2.13
100
4
PbI2
2.32
8
2
C
5.4
ALLA TEMPERATURA DI 77 K LE MOBILITA’ DI Ge e Si HANNO VALORI
Ge: me = 3.6X104 cm2/Vxs mh = 4. 2X104 cm2/Vxs
Si: me = 2.3X104 cm2/Vxs mh = 1.1X104 cm2/Vxs
PIU’ ALTI.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
45
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Relazione fra gap di energia proibito e valore di e, energia necessaria per creare
una coppia elettrone-hole in diversi materiali solidi di interesse per la
realizzazione di rivelatori
e(eV)
C (diamante)
14
12
10
EG
8
6
CdZnTe
CdTe
4
2
Si
Ge
1
HgI2
GaAs
EG(eV)
2
3
4
5
6
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
46
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
ANCHE NEL CASO DEI RIVELATORI A STATO SOLIDO, COME NEL CASO
DELLE CAMERE A IONIZZAZIONE NEL GAS, IL TEMPO OPERATIVO E’
DETERMINATO DAL TEMPO DI RACCOLTA DEL PORTATORE PIU’ LENTO.
ALTRO PARAMETRO IMPORTANTE E’ LA VITA MEDIA t DEL PORTATORE,
PARAMETRO LEGATO AL LIVELLO DI PUREZZA DEL MATERIALE.
PER
ESEMPIO, IN MATERIALI COME GERMANIO E SILICIO I VALORI DI t PER
ENTRAMBI I PORTATORI DA MOLTI ANNI SI SONO STABILIZZATI A
VALORI DELL’ORDINE DEL MILLISECONDO, MENTRE PER ALTRI MATERIALI
RESTANO TUTTORA NELLA REGIONE DEI MICROSECONDI. SI PUO’
DEFINIRE IL PERCORSO PRIMA DELL’INTRAPPOLAMENTO PER ELETTRONI
E HOLE:
ELETTRONE l e = meteE
HOLE l h = mhthE
DOVE E E’ IL CAMPO ELETTRICO.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
47
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
SETTORI DI IMPIEGO DEI RIVELATORI REALIZZATI
CON I DIVERSI MATERIALI ALLO STATO SOLIDO.
GERMANIO - E’ il materiale d’elezione per la spettrometria gamma a elevata
risoluzione. Oggigiorno i rivelatori al Ge si realizzano in strutture a giunzione
su materiale di elevata purezza (Ge iperpuro). I rivelatori a germanio devono
operare a temperatura criogenica (solitamente vengono raffreddati con azoto
liquido, T=77 K) per ridurre la corrente inversa.
Si realizzano strutture planari, cilindriche coassiali, a pozzo, di dimensioni
anche grandi (diversi centimetri di altezza e di diametro). In questi casi,
nonostante l’elevata mobilità dei portatori determinata dall’operazione a
temperatura criogenica, si possono avere:
• tempi di raccolta relativamente lunghi, fino a centinaia di ns
• notevoli variazioni nella forma del segnale
Le strutture coassiali o a pozzo di grandi dimensioni possono presentare
capacità relativamente elevate, 10-30 pF.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
48
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
SILICIO e’ il materiale che ricopre la più ampia varietà di applicazioni. Nella
struttura a giunzione P-N ottenuta per impiantazione ionica di drogante P su
materiale N di elevata resistività si è avvantaggiato del considerevole
progresso tecnologico intervenuto nei primi anni ‘80 quando si è pensato di
adottare per i rivelatori il processo planare già correntemente impiegato nella
realizzazione dei circuiti monolitici.
Queste strutture hanno spessori variabili da decine di micron a pochi millimetri
e sono adatti ai seguenti impieghi a temperatura ambiente :
• spettrometria delle particelle cariche emesse da sorgenti radioattive (a e b)
• misure di dE/dx per particelle al minimo in fisica delle particelle
Lo stesso principio realizzativo viene impiegato nei rivelatori a elevata
segmentazione (rivelatori microstrip e a pixel) di cui si parlerà più avanti.
IL PROCESSO DELLA DERIVA DI LITIO NEL SILICIO PERMETTE DI
OTTENERE RIVELATORI CON SPESSORI DELLA ZONA SVUOTATA FINO
AL CENTIMETRO E QUINDI ADATTI ALLA SPETTROMETRIA X FINO A
ENERGIE DEL CENTINAIO DI keV.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
49
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
PROCESSO DI DERIVA DI LITIO IN SILICIO. SERVE A OTTENERE ELEVATI
SPESSORI DI MATERIALE QUASI INTRINSECO
Sospensione di
litio in olio
semiconduttore di tipo P
impurezza trivalente boro
NLi
densità di atomi di litio dopo la
diffusione
Giunzione dopo la diffusione
NLi
Na densità di
impurezza boro
densità di atomi di litio dopo la deriva
provocata dal campo elettrico
compensazione Nli = Na
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
50
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
I rivelatori al silicio ottenuti con la deriva di litio vengono usati in condizioni
criogeniche. Costituiscono la soluzione più adatta per la spettrometria a elevata
risoluzione della radiazione X. Le caratteristiche del rivelatore sono:
• tempi di raccolta dell’ordine del centinaio di ns
• piccola capacità, dell’ordine del pF, grazie al grande spessore della zona intrinseca.
• correnti inverse inferiori al pA grazie alla condizione criogenica e al gap di energia
proibito superiore a 1 eV.
TELLURURO DI CADMIO CdTe o CdZnTe
E’ un materiale di alto numero atomico y pertanto può essere utilizzato per la
rivelazione dei raggi gamma. Inoltre ha un valore di EG abbastante grande da
permettere l’operaziona a temperatura ambiente o con un raffreddamento
moderato. I limiti sono:
• bassa mobilità di entrambi i portatori, in particolare delle hole.
• livello di purezza del materiale non elevato, quindi presenza di trappole.
• corrente inversa non trascurabile, soprattuto per il CdTe.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
51
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Esempio di rivelatore di CdTe con struttura a giunzione
ottenuta con barriera Schottky.
indio
CdTe di tipo P
CdTe
barriera Schottky
platino
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
52
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
RIVELATORI DI DIAMANTE
Parametri e caratteristiche del diamante come materiale rivelatore:
EG = 5.7 eV
e = 13.2 eV
• corrente inversa estremamente bassa
• elevata mobilità dei los portatori liberi e quindi tempi di raccolta molto brevi,
dell’ordine di pochi nanosecondi in rivelatori sottili
• elevata resistenza alla radiazione
• adatto per applicazioni ad alte temperature; ne sono state provate le qualità
spettrometriche fino a 250 °C
• è stato provato che il rivelatore al diamante è particolarmente indicato nella
spettrometria b a energie dell’ordine del centinaio di keV e in misure di dE/dx con
particelle al minimo.
Le caratteristiche di resistenza alla radiazione del diamante lo fanno
considerare un serio candidato alla realizzazione dei sistemi di tracking per gli
esperimenti all’acceleratore LHC in fase di realizzazione al CERN.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
53
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
OSSERVAZIONE IMPORTANTE
E’ utile introdurre una considerazione di confronto fra rivelatori di diversi
materiali, a esempio un rivelatore di silicio e uno di diamante che hanno valori di
e molto differenti fra loro: Silicio e = 3.67 eV
Diamante e = 13.2 eV Da
questi valori si conclude che a pari energia rilasciata dalla radiazione nei due
rivelatori, la carica disponibile nel rivelatore al silicio è 3.5 volte maggiore nel
rivelatore al silicio. Tuttavia, il fattore di merito di un rivelatore in impieghi
spettrometrici a elevata risoluzione non è e. Infatti, va osservato che in
entrambi i casi il termine limitante la risoluzione è il rumore nel processo di
amplificazione. Il confronto fra rivelatori va eseguito sulla base dello schema
seguente, dove il segnale di tensione Q/CD viene paragonato al rumore vn dell’
amplificatore. Si capisce allora che ha più
senso applicativo
l’assumere come
vn
A
Q
fattore di merito il rapporto e / costante
dielettrica. Su questa base, più realistica,
CD
il diamante, che ha una costante
dielettrica inferiore a quella del silicio,
appare, come deve, meno penalizzato.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
54
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
ALTRI RIVELATORI A STATO SOLIDO - Esistono altri materiali che sono
utilizzabili per la rivelazione della radiazione. Fra questi vale la pena citare:
• Ioduro di mercurio, HgI2, adatto alla spettrometria X a temperatura
ambiente. I rivelatori di ioduro di mercurio si realizzano come camere a
ionizzazione a stato solido.
• Arseniuro di gallio, GaAs, caratterizzato da una mobilità degli elettroni molto
elevata. I rivelatori di arseniuro di gallio si realizzano sotto forma di giunzione a
barriera Schottky. I rivelatori in arseniuro di Gallio sono adatti sia alla
rivelazione di particelle cariche sia alla spettrometria gamma a temperatura
ambiente.
• Carburo di Silicio, SiC4, adatto alla spettrometria di particelle cariche a
temperatura ambiente.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
55
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
RIVELATORI A SCINTILLAZIONE
Il rivelatore a scintillazione consiste in un sensore, detto scintillatore,dove
una frazione dell’energia rilasciata dalla radiazione provoca la transizione di
molecole del mezzo a stati di energia eccitati. Al ritorno delle molecole allo
stato fondamentale si accompagna emissione di luce, sotto forma di un breve
impulso.
Eexc
hn = Eexc - Efond
transizione con emissione
di luce di scintillazione
Efond
Lo scintillatore, che chiaramente deve essere trasparente alla luce che
emette, è accoppiato a un rivelatore di fotoni che fornisce un segnale
elettrico in risposta all’impulso luminoso proveniente dallo scintillatore.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
56
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
RIVELATORE A SCINTILLAZIONE
SCINTILLATORE
hn
hn
hn
hn
hn
hn
hn
hn
hn
hn
hn hn
hn
hn
hn
hn
hn
hn
hn
hncentri
hn
hn
hn
RIVELATORE DI
FOTONI
hn
di scintillazione
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
57
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
L’ impulso di luce di scintillazione può descriversi matematicamente con la legge:
I(t) = Io[exp(-t/tdecad) - exp(-t/texc)]
essendo I(t) l’ intensita’ luminosa all’ istante t, texc la costante di tempo di
eccitazione e tdecad la constante di decadimento della luce di scintillazione.
texc e’ la costante di tempo di
eccitazione de la luce di scintillazione
decadimento
t
tcaida
generalmente tdecad >> texc per cui spesso la legge di scintillazione si trova
rappresentata come:
i(t) = ioexp(-t/tdecad)
decadimento
tdecad
t
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
58
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
CARATTERISTICHE DI ALCUNI SCINTILLATORI
Tipo di scintillatore
Costante di tempo di decadimento (ns) Efficacia luminosa
NaI(Tl)
230
(fotoni/MeV)
38000
CsI(Tl)
1000
52000
300
11000
2
10000
BGO
NE 102A (plastico)
ANTRACENE
28
P-TERFENILE
4.5
STILBENE
<3
Gli ioduri alcalini NaI(Tl) e CsI(Tl) prima dell’avvento di rivelatori a semiconduttore costituivano la
soluzione più idonea alla rivelazione dei gamma e alla loro spettrometria. Si usano tuttora in queste
applicazioni quando si richiedano grandi volumi di rivelazione, che porterebbero a costi eccessivi se
realizzati con rivelatori allo stato solido.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
59
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Altri scintillatori della tabella presentano tempi di decadimento molto brevi, che li
rendono molto adatti agli impieghi nella definizione temporale dell’evento.
In alcuni casi la legge di decadimento della luce di scintillazione non è riconducibile
alla forma semplice contenente una sola costante di tempo, ma è interpretabile
come combinazione di due o più esponenziali di diverse costanti di tempo.
Valori della lunghezza d’onda l della luce di scintillazione per alcuni scintillatori:
NaI l = 4100 Angstrom
Naftalene l = 4100 Angstrom,
Antracene l = 4400 Angstrom,
per alcuni scintillatori liquidi l = 2700 Angstrom
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
60
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Un materiale interessante che, come già accennato, può essere impiegato sia
come mezzo di ionizzazione, sia come scintillatore è lo Xenon liquido ( criogenico).
Come mezzo di ionizzazione presenta i seguenti valori di e :
e = 19.5 eV per particelle a
e = 25 eV per elettroni
Le caratteristiche dello Xenon liquido come scintillatore sono:
Costante di tempo di decadimento (ns) 4, 22 per particelle a
45
Efficacia luminosa
(fotoni/MeV)
per elettroni
approx 40.000
Lunghezza d’onda l della luce di scintillazione
1780 Angstrom
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
61
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
FOTORIVELATORI - sono fondamentalmente di tre tipi:
• fotodiodi a stato solido, solitamente strutture P-I-N per ridurre la capacità
• fotodiodi a vuoto, la cui struttura è indicata in figura
fotocatodo
fotone
anodo
hn
fotoelettrone
• fototubi moltiplicatori, nei quali successivi passi di di emissione secondaria
permettono di ottenere fattori di moltiplicazione in carica il cui valore può
raggiungere 108
Esistono fotorivelatori a vuoto con strutture intermedie fra quella del
fotodiodo (assenza di moltiplicazione) e quella del fototubo moltiplicatore, quali
ad esempio i fototriodi a vuoto.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
62
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
STRUTTURA DI PRINCIPIO DI UN FOTOTUBO
MOLTIPLICATORE.
Vp
dinodi a tensioni crescenti
fotocatodo
D1 V 1
D3 V3
Dn-1 Vn-1
hn
k
1
fotoelectron
fotoelettrone
50
D2 V 2
D4 V4
Dn-1 Vn-1 h
dinodi a tensioni crescenti
Solitamente il guadagno in carica di un fototubo è talmente elevato che non
occorre amplificazione successiva e il segnale si preleva direttamente su un
carico resistivo collegato all’anodo collettore.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
63
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Come ogni sistema fisico lineare il fotomoltiplicatore può caratterizzarsi con la
risposta all’impulso d. Nel caso del fotomoltiplicatore l’impulso d di stimolo esiste
naturalmente, in quanto rappresentato dai singoli elettroni emessi dal
fotocatodo per effetto termoionico.
fotoelettrone
S.E.R.
tempo di transito
Istante di emissione
del fotoelettrone
dispersione dei
tempi di transito
t
Valore più probabile
del tempo di transito
La risposta al singolo elettrone si indica con l’acronimo S.E.R (Single Electron
Response ) e ha l’aspetto mostrato indicativamente in figura. Considerando la
statistica della SER su molti eventi di emissione del singolo elettrone si trova
che la SER fluttua in posizione, in forma e in area.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
64
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Se si trascurano gli aspetti statistici della legge di emissione della luce di
scintillazione e della S.E.R si può interpretare il fotomoltiplicatore come un
sistema causale di cui è nota la risposta alla d e per il quale la risposta all’impulso
di luce dello scintillatore è la convoluzione della legge esponenziale di decadimento
della scintillazione e della S.E.R.
decadimento
Effetto della
S.E.R.
tdecad
t
decadimento
tdecad
t
Se la larghezza della S.E.R. è trascurabile di fronte alla costante di decadimento
della scintillazione, la S.E.R interviene a determinare il fronte di salita del segnale
finale, come è mostrato qui sopra.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
65
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
RIVELATORI BOLOMETRICI
Con questi rivelatori si cerca di superare i limiti di risoluzione energetica che
intervengono nei rivelatori finora discussi, limiti che sono da ricercarsi nel fatto
che solo una frazione dell’energia rilasciata dalla radiazione nelo volume sensibile
viene utilizzata ai fini del processo di rivelazione. La frazione rimanente risulta
inutilizzata e generalmente si converte in calore.
Il principio del rivelatore bolometrico sfrutta il calore prodotto all’ atto dell’
interazione della radiazione con la regione sensibile del rivelatore.
La rivelazione si basa su una misura di temperatura, cioè si tratta di rivelare la
variazione termica prodotta dal calore sviluppato nel mezzo sensibile.
Il rivelatore bolometrico consiste in un assorbitore a cui viene ceduta energia
dalla radiazione incidente e di un sensore di temperatura che rivela la variazione
termica.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
66
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
sensore di temperatura
radiazione
assorbitore
La realizzazione pratica del rivelatore bolometrico deve considerare gli aspetti
seguenti:
• la scelta del materiale
assorbitore, che è ordinariamente un cristallo
dielettrico e diamagnetico. Può essere silicio o germanio. Altri materiali che
sono stati introdotti successivamente per questo impiego sono tuttora in fase di
sperimentazione.
• per raggiungere il rendimento di rivelazione più alto possibile è importante che
l’ assorbitore abbia una capacità termica molto bassa. Quanto più bassa e’ la
capacità termica, tanto più elevata è la variazione di temperatura per la stessa
quantità di calore prodotta.
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67
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
• Ciò significa che gli assorbitori, per funzionare con un rendimento di
rivelazione soddisfacente devono esser mantenuti a temperature molto basse,
fra le decine di milliKelvin e 1-2 Kelvin.
• Pertanto i rivelatori bolometrici richiedono tecniche criogeniche avanzate
sensore termico
rame a
temperatura
criogenica
assorbitore
rame a
temperatura
criogenica
Come sensori termici si impiegano solitamente termistori.
I rivelatori bolometrici permettono di raggiungere risoluzioni in energia molto
elevate. Tuttavia, come è facile intuire, il principio su cui si basano è
intrinsecamente lento, il che fa sì che questi rivelatori vadano impiegati con
eventi la cui frequenza di ripetizione sia sufficientemente bassa.
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RIVELATORI A MOLTI ELEMENTI E RIVELATORI SEGMENTATI
LA STRUTTURA QUI MOSTRATA E’ UN TELESCOPIO DI RIVELATORI CHE
VENIVA UTILIZZATA NEGLI ESPERIMENTI A BERSAGLIO FISSO
IMPIEGANTI IL CONCETTO DEL BERSAGLIO ATTIVO (SEDE DELL’
INTERAZIONE E AL CONTEMPO RIVELATORE DELLA POSIZIONE DELL’
INTERAZIONE E DEI VERTICI PRIMARI E SECONDARI.
1
2 3 4
5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23
particella o fotone primario
TELESCOPI DI QUESTA NATURA SONO REALIZZATI CON RIVELATORI
AL SILICIO E LA LORO FUNZIONE DI RIVELAZIONE ERA IL
CAMPIONAMENTO DELLA PERDITA SPECIFICA DI ENERGIA dE/dx
NELLA DIREZIONE DEL FASCIO.
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69
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
1
2 3 4
5 6 7 8
dE/dx radiazione
primaria corpuscolare
9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23
5 MIP
2 MIP
3 MIP
1 MIP
1
2 3 4
5
6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23
dE/dx radiazione
primaria fotone
rumore elettronica
5 MIP
2 MIP
3 MIP
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70
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Nelle strutture descritte lo spessore dei rivelatori determina la risoluzione
spaziale e la loro area l’ efficienza di rivelazione. Spessori di poche centinaia di
micron e aree attive di alcuni cm2 sono valori di frequente impiego. Come
conseguenza, i singoli rivelatori presentano capacità elevate e questo, come
risulterà chiaro più avanti, si traduce in considerevoli limitazioni di risoluzione
dovute al rumore elettronico. Un bersaglio attivo che evita questi problemi è la
struttura a strisce realizzata in Germanio quale componente di alto Z nel
bersaglio attivo dell’esperimento FRAM svoltosi al CERN negli anni 1980-1983.
Le strisce rivelano la densità di ionizzazione sottostante.
Ge
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71
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
RIVELATORI MULTIELETTRODO A STATO SOLIDO
I rivelatori segmentati a molti elettrodi, quali rivelatori a strisce
(microstrip) o a riquadri (pad o pixel) hanno acquistato
un’importanza
via
via
crescente
nella
ricerca
fisica
fondamentale e in applicazioni attinenti a settori altamente
diversificati.
Grazie, infatti, alla proprietà di permettere la determinazione
delle coordinate del punto di interazione della radiazione con il
rivelatore, le strutture a microstrip e pixel intervengono nella
ricostruzione delle tracce in fisica delle particelle elementari
(tracking) e costituiscono quindi gli elementi base dei rivelatori
di vertice.
Se a un rivelatore di uno dei tipi descritti si associa una
memoria che immagazzina il numero di eventi che cadono in
ogni riquadro della griglia definita dalle segmentazione in X e Y
il sistema costruisce l’immagine della radiazione incidente.
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72
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
I primi rivelatori di vertice sono entrati in
funzione attorno alla metà degli anni ’80 negli
esperimenti seguenti:
E687 a Fermilab (bersaglio fisso)
Delfi e Aleph al CERN, entrambi questi
esperimenti si svolgevano al collider LEP
Da allora molti altri rivelatori di vertice sono stati
installati in svariati esperimenti (CLEO, CDF, D0,
BaBar)
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73
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Un solo esempio che è sufficiente a
sottolineare l’importanza dei rivelatori di
vertice in esperimenti di fisica delle
particelle con acceleratori: l’introduzione
del rivelatore di vertice in CDF si è rivelata
fondamentale per la scoperta del TOP
QUARK.
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74
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
IMMAGINI
La costruzione di immagini si sta rivelando una tecnica di
fondamentale importanza in settori che vanno dalla medicina alla
scienza dei materiali, dalla biologia, alle scienze ambientali, dalla
chimica alla sicurezza, dalla ricerca nel settore farmaceutico alla
applicazioni della difesa
Contemporaneamente aumentano i requisiti a cui la strumentazione
per il rilievo delle immagini deve rispondere:
• capacità a operare con diversi tipi di radiazione: atomica, nucleare
o visibile
• ridurre i tempi necessari a costruire l’immagine
• adeguarsi alla richiesta di risoluzioni spaziali sempre più elevate
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Richeste di strumentazione raffinata per la rilevazione di immagini
vengono da esperimenti alle sorgenti di luce di sincrotrone.
Sono inoltre allo studio macchine acceleratrici specifiche per
eseguire radiografia con fasci di particelle quali i protoni, utile per
l’analisi radiografica di campioni di densità molto elevata.
Nuove applicazioni richiedono nuovi tipi
radiografia protonica è uno di questi casi).
di
rivelatore
(la
In altre situazioni la necessità di rilevare immagini con radiazioni
di energia più elevata fa sì che strutture di rivelatori multielettrodo esistenti, soprattutto in silicio, debbano essere realizzate
con materiali a numero atomico Z più elevato, quali CdTe o CZT o
GaAs.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Richeste di strumentazione raffinata per la rilevazione di immagini
vengono da esperimenti alle sorgenti di luce di sincrotrone.
Sono inoltre allo studio macchine acceleratrici specifiche per
eseguire radiografia con fasci di particelle quali i protoni, utile per
l’analisi radiografica di campioni di densità molto elevata.
Nuove applicazioni richiedono nuovi tipi
radiografia protonica è uno di questi casi).
di
rivelatore
(la
In altre situazioni la necessità di rilevare immagini con radiazioni
di energia più elevata fa sì che strutture di rivelatori multielettrodo esistenti, soprattutto in silicio, debbano essere realizzate
con materiali a numero atomico Z più elevato, quali CdTe o CZT o
GaAs.
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
THE IMAGER SHOWN BELOW WITH PHOTONS IN A VERY BROAD WAVELENGTH
RANGE, FROM INFRARED THROUGH VISIBLE, TO SOFT X-RAYS. SUITS APPLICATIONS
IN HIGHLY DIVERSIFIED FIELDS OF INVESTIGATION.
Microchannel plate
Figure 1.
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DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
P+
alluminio
silicio Nstrato di silicio N+
piano de alluminio
SiO2
P+
silicio N-
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79
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
verso identici canali di lettura
Rf
vsal
Cf
Circuito di
formatura
-
+--++-+
-++--+-
V+
+
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80
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
RIVELATORE MICROSTRIP A DOPPIA FACCIA. LETTURA IN CONTINUA SUL
LATO GIUNZIONE, IN ALTERNATA SUL LATO RESISTIVO.
Rf
accoppiamento
dc
Cf
+
R
f
Cf
Silicio N+
bande P+
accoppiamento
ac
bande N+
h
bande P+ (blocco)
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
81
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Cf
+
Pixel P+
Silicio NV+
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82
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
83
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Vanno sotto il nome di rumore forme d’onda casuali, la cui dipendenza
temporale non è a priori esprimibile attraverso una legge matematica
deterministica.
Il rumore nasce da fluttuazioni spontanee della materia e
dell’elettricità e non è eliminabile, in quanto il negare la sua esistenza
equivale a negare aspetti e principi fondamentali della Fisica quali
l’esistenza dell’agitazione termica, il secondo principio della
termodinamica e la struttura granulare dell’elettricità.
Per questo motivo il rumore va distinto dai disturbi deterministici i
quali possono pensarsi eliminabili per mezzo di sofisticate tecniche di
schermatura e di protezione dei circuiti dall’ influenza dei campi
elettromagnetici esterni.
Lo studio del rumore ha portato a formulare dei criteri che
permettono di ridurre la sua influenza sulla qualità dell’informazione,
ma non a eliminarlo.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
84
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
In linguaggio statistico il rumore può essere definito “un
processo stocastico continuo a parametro continuo, il
tempo, e indicato come { N(t), t }. Trattandosi di un
processo casuale, come già è stato detto, non possiamo
descrivere il rumore attraverso una legge temporale
deterministica. Nelle applicazioni ordinarie è sufficiente
operare sui momenti. Tra questi:
- il valor medio <N(t)>
- il valore quadratico medio <N(t)2>
- la varianza s2 = <N(t)2> - <N(t)>2
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
85
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Nella maggioraza delle applicazioni tratteremo casi di rumore a media nulla, per
i quali il valore quadratico medio coincide con la varianza. Nel caso di rumore a
media nulla e stazionario, cioè un rumore le cui proprietà statistiche rimangono
costanti nel tempo, s2 = <N(t)2> sono definiti attraverso il limite (se esiste).
+T
s2 = <N(t)2> = lim (1/2T) N(t)2dt
T->oo
-T
Misure di rumore
N(t)
A
termometro
Misura con termocoppia
A
y
N(t)
x
xy
integratore
R
Misura con tecnica elettronica
analogica nonlineare
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
86
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
RAPPORTO SEGNALE/RUMORE
si(t)
vp
A
Segnale idealmente
privo di rumore
t
t
N(t)
rumore
Si supponga ora applicato all’ingresso dell’amplificatore un segnale si(t), che
appaia all’uscita con un’ampiezza di picco Vp. Si definisce il rapporto
segnale/rumore nella misura dell’ampiezza di picco il quoziente:
h = Vp / s
e se il rumore è a media nulla
h = Vp / <N(t)2>1/2
Si tratta ora di imparare a calcolare il valore quadratico medio del rumore in
uscita a una rete lineare. A questo scopo occorre premettere come si
rappresenta il rumore. Considereremo sempre il caso di rumore stazionario.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
87
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Concetto fondamentale per i calcoli di rumore è quello di densità spettrale di
potenza di rumore, definita come la funzione S(f) che, moltiplicata per
l’intervallo di frequenza df rappresenta il contributo elementare al valore
quadratico medio <N(t)2> portato dalle componenti spettrali del rumore di
frequenza compresa nell’intervallo f, f+df:
d<N2>/df = S(f)
Nel seguito si utilizzerà la rappresentazione bilatera della densità
spettrale, definita sull’intervallo di frequenza - <f< +
Le dimensioni fisiche di S(f) dipendono dalla natura del rumore N. Così, se N è:
• una tensione, S(f) si esprimerà in V2/Hz
• una corrente, S(f) si esprimerà in A2/Hz
Il grafico della densità spettrale S(f) in funzione di f costituisce lo spettro del
rumore. La sua conoscenza è di importanza fondamentale nella caratterizzazione
delle proprietà di rumore dei dispositivi elettronici. Esistono strumenti,
denominati ANALIZZATORI DI SPETTRO che rilevano l’andamento della
densità spettrale in funzione delle frequenza per i componenti in istudio.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005 88
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Se la densità spettrale S(f) è filtrata nell’intervallo finito di frequenza f1 - f2 il
valore quadratico medio associato alle frequenze comprese nella banda
trasmessa si calcola integrando S(f) fra f1 ed f2 :
f2
<N(t)2>
f1,f2
= S(f) df
f1
La legge di trasformazione della densità spettrale Si(f) da parte di una rete
lineare descritta dalla funzione di trasferimento in onde sinusoidali H(f) è:
Si(f)
H(f)
So(f) = Si(f) x
So(f)
lH(f)l2
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
89
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Che permette di calcolare il rumore quadratico medio in uscita come:
+00
<N(t)2>o =
+00
So(f)df = Si(f) x lH(f)l 2df
-00
-00
RAPPRESENTAZIONE DEL RUMORE NEL DOMINIO DEL TEMPO. IL
TEOREMA DI CAMPBELL.
Un processo di rumore è suscettibile di un’interpretazione nel dominio del
tempo, grazie al seguente teorema di Campbell. Si consideri un segnale f(t) a
quadrato integrabile. Si costruisca a partire da f(t) il processo casuale
costruito come successione di f(t) che si ripetono a istanti casuali, distribuiti
nel tempo secondo una legge di Poisson.
f(t)
processo di rumore
{ N(t),t }
to
t1
t2
t3
tn
t
90
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Il teorema di Campbell afferma che, detta l la frequenza media di arrivo, valor
medio e varianza del processo di rumore sono dati da:
+00
<N(t)> = l
+00
f(t) dt
<N(t)2> - <N(t)>2 = l
[f(t)]2 dt
-00
-00
Se al secondo integrale si applica il teorema di Parseval, si giunge al risultato
interessante che la densità spettrale del processo di rumore così ottenuto si
calcola dalla conoscenza di l e della trasformata di Fourier F(f) di f(t), infatti:
<N(t)2> - <N(t)>2 = l
+00
+00
+00
[f(t)]2 dt = l lF(f)l 2df = SN(f)df
-00
-00
-00
dove SN(f) è la densità spettrale di potenza del processo N(t) e F(f) la
trasformata di Fourier di f(t). Dall’ultima relazione scritta si deduce che:
SN(f) = l F(f)l
2
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
91
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Il rumore negli elementi di circuito può essere interpretato sulla base dei
seguenti tre modelli:
• rumore termico, analizzato per la prima volta in relazione ai resistori
metallici
• rumore granulare, studiato per la prima volta in un diodo a vuoto in regime
di saturazione
• rumore di ripartizione, osservato per la prima volta in un tubo a vuoto
multigriglia (tetrodo)
Questi tipi di rumore, osservati in una prima istanza in dispositivi particolari,
sono in seguito stati riconosciuti poter interpretare i fenomeni di rumore in
classi più ampie di dispositivi elettronici, il che giustifica il fatto di assumerli
a modelli.
Esiste un tipo di rumore che non rientra direttamente in queste tipologie. E’
il rumore con densità spettrale 1/f. Questo rumore è presente in molti
componenti. A tuttora non si si è trovata una spiegazione generale di questo
tipo di rumore, anche se ne è stata spiegata l’origine in situazioni specifiche.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
92
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
RUMORE TERMICO - In un metallo è presente un gas di elettroni, che
descrivono traiettorie irregolari sotto l’effetto combinato di:
• agitazione termica
• scattering da parte degli atomi ionizzati nelle posizioni reticolari
Il moto erratico degli elettroni è responsabile dell’apparire di una tensione di
rumore ai capi del resistore. La conoscenza del rumore termico si deve alle
precise misure effettuate da Johnson e all’interpretazione teorica dovuta a
Nyquist. Questi studi risalgono agli anni ‘20 dello scorso secolo e sono stati
effettuati presso i Laboratori Bell (NJ). La formula teorica che conosciamo
della densità spettrale del rumore termico è stata ricavata con un
procedimento basato sul principio di equipartizione dell’energia secondo
Boltzmann.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
93
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
RAPPRESENTAZIONE DEL RUMORE TERMICO IN UN RESISTORE
d<v2>/df = 2kTR
rappresentazione
con sorgente di
tensione
R
k è la costante
di Boltmann, T
la temperatura
assoluta
trasformazione con
teorema di Thévenin
R
d<i2>/df =
2kT/R
rappresentazione
con sorgente di
corrente
L’ uso di una statistica quantistica nella deduzione della densità spettrale
introdurrebe un fattore correttivo del tipo (hf/kT) / [exp (h/kT) - 1], il cui
peso inizia a notarsi a frequenze nel campo delle microonde.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
94
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
PROPRIETÀ DEL RUMORE TERMICO.
• La densità spettrale del rumore termico rimane bianca, cioè
indipendente dalla frequenza, fino a frequenze estremamente elevate,
ben superiori a quelle di interesse per la elettronica dei rivelatori.
• La espressione della densità spettrale può considerarsi indipendente
dalla corrente che attraversa il resistore. Questo perché la velocità
ordinata imposta dal campo elettrico è trascurabile in confronto alla
velocità quadratica media di agitazione termica.
•Qualunque sia la sua natura e qualunque ne sia il materiale di base, in
condizioni di equilibrio termico, l’ unico rumore che presenta il resistore
è quello termico.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
95
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
RUMORE GRANULARE - studiato per la prima volta da Schottky in un diodo a
vuoto in regime di saturazione e spiegato nel modo seguente. Il gas di elettroni
all’ interno del metallo è soggetto all’agitazione termica. Si può assumere per la
velocità degli elettroni del gas una distribuzione maxwelliana. Gli elettroni di
energia più elevata possono superare la barriera di potenziale all’interfaccia
metallo-vuoto, uscire dal metallo ed essere accelerati verso l’anodo. L’ipotesi del
diodo in condizioni di saturazione sta a significare che non esiste carica spaziale
in prossimità dl catodo e quindi la statistica di emissione si riflette interamente
sulla statistica di raccolta.
-
catodo
+
metallo
distribuzione
di energia
anodo
gas di
elettroni
vuoto
barriera di
potenziale
anodo
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
96
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Osservata microscopicamente la corrente nel diodo sarebbe costituita da una
successione di eventi elementari che si presentano a istanti distribuiti
casualmente nel tempo. Ogni evento è rappresentato dalla corrente indotta
sull’elettrodo collettore da un singolo elettrone emesso dal catodo. Se si
trascura il tempo di transito, l’impulso di corrente elementare è assimilabile a
una d e la corrente anodica avrebbe l’aspetto illustrato qui sotto.
t
Si riconosce che il rumore granulare è riconducibile al tipo di processo studiato a
proposito del teorema di Campbell. In questo caso la frequenza l è pari alla
corrente stazionaria I nel diodo divisa per la carica elementare q: l = I/q. La
funzione f(t) è qd e ha per trasformata di Fourier q. Si conclude che la densità
spettrale bilatera del rumore granulare è:
l q2 = (I/q) q2 = qI
e che il rumore granulare
è rappresentabile come un generatore di corrente con questa densità spettrale
in parallelo al diodo.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
97
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
RUMORE DI RIPARTIZIONE - questo rumore è stato osservato per la prima
volta in un tetrodo a vuoto.
anodo
Elettroni che
raggiungono l’ anodo
seconda griglia
griglia di
controllo
catodo
Elettrone che
raggiunge la
griglia schermo
Nel tetrodo a vuoto la seconda griglia aveva la funzione di schermare il catodo
dalle variazioni di campo elettrico che si producono quando si sviluppa segnale
sull’anodo. Per questa funzione la seconda griglia veniva appunto denominata
griglia schermo.Il rumore di ripartizione nasce per il fatto che la divisione
della corrente catodica fra griglia schermo e anodo è un processo casuale.
Infatti un elettrone emesso dal catodo ha probabilità finita sia di terminare
all’anodo sia di terminare alla griglia schermo.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
98
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Sia IC la corrente catodica, IA la corrente anodica, IS la corrente di griglia
schermo. Sia k la frazione di corrente catodica che giunge all’anodo, quindi la
frazione di corrente catodica che giunge alla griglia schermo sarà 1-k.
I A = k IC
IS = (1-k) IC
Se la ripartizione fosse rigida, una fluttuazione quadratica media < iC 2> nella
corrente catodica provocherebbe le seguenti fluttuazioni quadratiche medie
nelle correnti di anodo e di schermo:
< iA 2> = k2 < iC 2>
< iS 2> = (1-k)2 < iC 2>
In realtà la ripartizione è un processo statistico. Se si considerano molti
eventi costituiti dall’emissione di n elettroni dal catodo, può capitare che in
certi casi meno di kn elettroni giungano all’anodo e quindi più di (1-k)n
elettroni giungano alla griglia schermo o, viceversa che più di kn elettroni
giungano all’anodo, nel qual caso meno di (1-k)n giungeranno alla griglia
schermo. Le fluttuazioni dovute alla statistica del processo di ripartizione fra
anodo e griglia schermo sono chiaramente totalmente correlate, in quanto un
aumento di corrente di anodo si traduce in un’ eguale diminuzione nella
corrente di schermo.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
99
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Il problema del calcolo della fluttuazione aggiuntiva introdotta sulle correnti di
anodo e di schermo si formula calcolando la probabilità che su n elettroni
uscenti dal catodo p finiscano all’anodo e quindi n-p finiscano alla griglia
schermo, sapendo che la probabilità che un elettrone finisca all’anodo è k. E’ un
classico problema di statistica di Bernoulli, che fornisce come valore della
fluttuazione aggiuntiva dovuta alla ripartizione:
< iA 2>RIP = < iS 2>RIP = k(K-1) < iC 2>
Le fluttuazioni totali risultano pertanto:
< iA 2> = k2 < iC 2> + k(K-1) < iC 2>
< iS 2> = (1-k)2 < iC 2> + k(K-1) < iC 2>
NOTA: non deve meravigliare il fatto che si sia studiato in dettaglio un tipo di
rumore legato a un dispositivo che oggigiorno non ha alcun interesse applicativo
nel settore dei rivelatori. La ragione è che quest’analisi ci permetterà di capire
il rumore nei transistori bipolari. Ecco l’importanza dei modelli fondamentali di
rumore, di cui il rumore di ripartizione è un esempio.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
100
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
RUMORE CON DENSITA’ SPETTRALE 1/f (RUMORE 1/f)
questo rumore è stato osservato in molti processi fisici ed è presente in
molti componenti elettronici. In particolare è stato osservato nelle
seguenti situazioni:
•nella corrente dei tubi elettronici a vuoto, dove è stato interpretato
come dovuto alla presenza di zone di impurezza sulla superficie
emettitrice del catodo.
•nei resistori di natura non metallica attraversati da corrente (in
assenza di corrente non possono presentare altro rumore che quello
termico)
•nei condensatori reali, dove è stato associato alle perdite dielettriche.
•negli induttori reali, dove è stato associato alle perdite magnetiche
•nella corrente dei transistori MOS, dove costituisce una limitazione
importante in tutte le applicacioni richiedenti basso rumore.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
101
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
SORGENTI DI RUMORE NEGLI ELEMENTI ATTIVI - I modelli di rumore
discussi, uniti al rumore 1/f intervengono nell’interpretazione del rumore negli
elementi attivi. Infatti:
• Il rumore nel transistore bipolare è interpretabile sulla base di rumore
granulare e rumore di ripartizione a cui si aggiunge un contributo di rumore
termico di natura estrinseca
• Il rumore nel transistore a effetto di campo a giunzione (JFET) è
interpretabile sulla base rumore termico, di rumore granulare e di rumore
Lorentziano. Quest’ ultimo ne descrive il meccanismo di rumore in bassa
frequenza
• Il rumore nel transistore a effetto di campo a gate isolato (MOSFET) è
interpretabile sulla base rumore termico e di rumore 1/f
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
102
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
RUMORE IN UN TRANSISTORE BIPOLARE
emettitore
gas di
elettroni
IB=(1-a)IE
base
barriera di
potenziale
IE
collettore
Ic=aIE
ripartizione
Il gas di elettroni presente in emettitore si trova di fronte a una barriera di
potenziale, che opera una selezione sulla base della velocità. Questa situazione
richiama quella del diodo a vuoto in regime di saturazione, per cui è logico
attribuire alla corrente di emettitore rumore granulare:
d<iE2>/df = qIE
La corrente di emettitore si divide fra collettore (frazione a) e base
(frazione 1- a). Se la ripartizione fosse rigida (cfr esempio del tetrodo)
si avrebbe:
d<ic2>/df = qa2IE
d<iB2>/df = q(1-a)2IE
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
103
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
La natura statistica della ripartizione di corrente aggiunge a entrambi i
termini di rumore il contributo: qa(1-a)IE e pertanto:
d<ic2>/df = qa2IE+ qa(1-a)IE = qIc
d<iB2>/df = q(1-a)2IE + qa(1-a)IE = qIB
Il circuito equivalente del transistore atto a descriverne le proprietà di rumore
è mostrato in questa figura.
B
C
(b/rB)vBE
rB
qIB
qIC
E
In esso rB = kT/qIB
dove k è la costante di Boltzmann
T la temperatura assoluta
q la carica elementare
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
104
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
RUMORE NEL TRANSISTORE A EFFETTO D CAMPO A GIUNZIONE
• La corrente è determinata dal moto di deriva dei portatori nel
canale, la cui larghezza e’ controllata dagli elettrodi di gate G. Il
canale è un percorso resistivo, il che giustifica la natura di rumore
termico per la componente dominante del rumore associato alla
corrente di canale.
G
zona svuotata di portatori
N+
S
canale
P+
P+
N+ D
N
G trappola
zona svuotata di portatori
•Le trappole nel canale spiegano la presenza del rumore a bassa frequenza
nella corrente di canale.
•Si ha inoltre rumore granulare nella corrente inversa della giunzione P+,N.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
105
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Rumore termico nel JFET
E’ rappresentabile con un generatore di corrente che agisce fra drain e source e
la cui dnsità spettrale di potenza è data:
d<i2>/df = 2kTGgm
Dove gm è la transconduttanza del dispositivo e G un coefficiente numerico
dell’ordine dell’unità. G vale 0.7 per un dispositivo ideale a canale lungo. In
dispositivi a canale corto può raggiungere e superare l’unità.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
106
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
RUMORE LORENTZIANO NEL JFET
Questo rumore è legato al processo di intrappolamento di un portatore di
carica in un difetto del canale che agisce da trappola. Quando il portatore
viene intrappolato nasce una modificazione del campo elettrico locale che,
agendo sopra gi altri portatori genera un rumore a bassa frequenza.
Questo rumore, il cui studio può basarsi sulla teoria dei segnali telegrafici
casuali (random telegraph signals) è detto rumore lorentziano. La sua densità
spettrale può esprimersi come:
Si AL,i /(1 + w2ti2)
dove ti e’ la costante di tempo della trappola i-esima.
random telegraph signal
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
107
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
RUMORE NEL MOSFET
G
S
SiO2
N
canale
P
D
N
substrato
Caso del MOS ad arricchimento. Si ponga il source a tensione zero, il
substrato alla tensione più negativa disponibile. Se non esiste nel circuito
una tensione negativa, lo si colleghi al source. Il drain deve essere
mantenuto a tensione positiva. Il canale di conduzione si forma quando si
applichi fra gate e source una tensione positiva. Due componenti di rumore
sono presenti nel MOS ad arricchimento.
1.
2.
Rumore termico
Rumore 1/f
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
108
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Rumore termico nel MOS
E’ rappresentabile con un generatore di corrente che agisce fra drain e
source e la cui dnsità spettrale di potenza è data:
d<i2>/df = 2kTGgm
Dove gm è la transconduttanza del dispositivo. La formula è identica a quella
vista nel caso del JFET. Tuttavia, e soprattutto nel caso di MOS a canale
micrometrico e submicrometrico il coefficiente G ha valori più elevati,
superiori all’unità.
Rumore 1/f
E’ legato al processo di cattura e di riemissione di portatori da parte di
trappole all’interfaccia silicio-ossido di gate e di trappole all’interno
dell’ossido. Costituisce una importante limitazione nelle applicazioni a bassa
fraquenza.
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109
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Rappresentazione del rumore con generatori equivalenti nei diversi elementi attivi
qIc/gm2
qIB
Ci
qIc
qIB
Ci
(2kTGFgm+ KL/f2)/gm2
qIG
Ci
2kTGFgm+ KL /f2
qIG
Ci
(2kTGMgm+ Kf/lfl)/gm2
Ci
2kTGMgm+ Kf/lfl
Ci
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
110
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Il rumore associato alla corrente principale di un elemento attivo viene
solitamente caratterizzato attraverso la densità spettrale (nV/Hz1/2) del
generatore equivalente riferito in ingresso. Lo strumento di misura di densità
spettrali è mostrato in questa figura.
Vdd > 0
C1
R
La retroazione capacitiva
serve a definire il guadagno
con trascurabile aumento di
rumore
sorgente di
corrente a basso
rumore
Vb
C2 generatore
di taratura
Vss< 0
1
sorgente di
corrente a
basso rumore
A1
A2
analizzatore
di spettro
amplificatori di
tensione a
bassissimo rumore
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
111
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
N-MOSFET
(nV2/Hz)
den2/df
scala log
ANDAMENTO DELLA DENSITA’
SPETTRALE DI RUMORE NEI
DIVERSI DISPOSITIVI
P-MOSFET
Kn/f
JFET
KL/f2
Kp/f
S0 J-FET
S0 P-MOS
S0 N-MOS
frequenza (scala log)
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
112
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Confronto fra le densità spettrali di rumore in ingresso per un JFET e un MOS
100
Noise voltage spectrum [nV/Hz
Noise voltage spectrum [nV/Hz
1/2
1/2
]
]
100
a)
10
1
1
10
2
10
3
10
f [Hz]
JFET, canale N
4
10
5
10
b)
10
1
3
10
4
10
5
10
6
7
10
10
f [Hz]
MOS submicrometrico, canale P
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
113
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Confronto fra le densità spettrali di rumore di diversi dispositivi
6
1000000
10
NJFET 1828/5 um
PMOS 2000/0.5 um
5
100000
10
NMOS 2000/0.5 um
Noise [(nV)2/Hz]
DMILL PJFET 2000/1.2 um
4
10000
10
3
1000
10
2
100
10
1
1010
1001
2
3
4
5
6
7
100 1.E+0
101 1.E+0
1.E+0
10 1.E+0
10
1.E+0
10
1.E+0
10
1.E+0
10 1.E+0
10
0
1
2
3
4
5
6
7
Frequency [Hz]
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
114
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
100
1/2
Noise voltage spectrum [nV/Hz ]
noise voltage spectrum nv/Hz1/2
Nascita di componenti di rumore lorentziano in JFET a canale N e P sottoposti a
irragiamento di gamma del 60Co
N-channel
P-channel
10
1
0
10
1
10
2
10
3
10
4
10
5
10
6
10
f [Hz]
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
115
116
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Calcolo della tensione quadratica media di rumore in uscita al formatore.
Ragioniamo sullo schema già visto, in cui ora preciseremo il significato dei due
generatori di rumore in ed en.
circuito di
ripristino di carica
Cf
Cd* = Cd + Cstray
en
Idet
Qd
gm/sC
C d*
in
Ci
o
Vp,n
formatore
Vo,n
T(jwtp)
In(w)/JwCf +En(w)(Cf+ Cd*+Ci)/Cf
L’argomento della funzione T è la variabile adimensionale wtp, dove tp è il tempo
di picco del segnale formato.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
117
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
La densità spettrale di potenza della sorgente di rumore in può esprimersi con i
termini seguenti:
d <in2>/df = 2kT/Rp + q( IL + ID ) + c1 /f /+ c2 / f / -1
1
2
3
4
1
Rappresenta il rumore termico associato con la rete di polarizzazione del
rivelatore ed eventualmente con il circuito di ripristino di carica se attuato
in maniera resistiva.
2
E’ il rumore granulare associato con la corrente di fuga del rivelatore e
con la corrente di ingresso del preamplificatore.
E’ il rumore associato con le perdite dielettriche
E’ il rumore parallelo 1/f
3
4
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
118
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
corrispondenza tra la dipendenza da w di din2/df e la dipendenza da w di
dvp,n2/df
din2/df
dvp,n2/df
w0
w-2
3
IwI
IwI-1
4
IwI-1
1,2
IwI-3
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
119
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Espressione della densità spettrale d<en2>/df del generatore en.
Caso del MOSFET
d<en2>/df = S0,M + Kf /f a (a ~1)
S0,M = 2kTGM /gm
S0,M è il rumore termico nel MOSFET
Caso del JFET
d<en2>/df = S0,J + KL /f 2
S0,J = 2kTGF /gm
S0,J è il rumore termico nel JFET
gm the transconduttanza
G il coefficiente del rumore termico
KL la costante del rumore Lorentziano nel JFET
Kf la costante del rumore 1/f nel MOSFET
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
120
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
La tensione quadratica media di rumore all’uscita del formatore si calcola come:
+00
<vo,n2 > =
(d<vp,n2>/df )lT(jwtp)l2df
-00
E la densità spettrale del rumore all’uscita del preamplificatore si calcola come:
d<vp,n2>/df
= [d<in2>/df] (1/w2Cf2) + [d<en2>/df](Cf+ Cd*+Ci)2/Cf2
Il concetto di Carica Equivalente di Rumore ENC
Si definisce carica equivalente di rumore il valore della carica Q del
rivelatore che iniettata da un segnale a forma di d produce in uscita al
formatore un segnale la cui ampiezza di picco è uguale a <vo,n2 >1/2.
Supponiamo il guadagno del formatore normalizzato a 1, in modo che il valore
di picco del segnale in uscita al formatore sia Q/Cf. Applicando la definizione
si trova:
ENC2 = Cf2
<vo,n2 >
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
121
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Occorre adesso sostituire l’espressione di d<vp,n2>/df nell’integrale. A questo
proposito è utile tener presente la seguente corrispondenza:
corrispondenza fra la dipendenza da w di d<vp,n2>/df e la dipendenza da tp di
ENC2
d<vp,n2>/df
ENC2
w0
tp-1
IwI-1
tp0
w-2
tp+1
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
122
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
ENC2 TOTALE :
contributo di un MOSFET:
ENCM2 = (CD*+ Cf + Ci )2[A1 (2kTGM /gm) /tp + 2p Kf A2]
contributo di un JFET
ENCJ2 = (CD*+ Cf + Ci )2[A1 (2kTGF /gm) /tp + KL A3tp]
A ENCM2 o ENCJ2 si deve sommare il contributo portato da in ,
cioè:
ENCPAR2 = ( 2kT/Rp + q( IL + ID ) ) A3 tp + c1 A2 /2p + un termine
potenzialmente divergente
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
123
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
La forma finale di ENC2tot per il MOSFET è:
ENC2tot = (CD*+ Cf + Ci )2A1 (2kTGM /gm) /tp + (2p Kf (CD*+ Ci )2 + c1 / 2p ) A2
+ ( 2kT/Rp + q( IL + ID ) ) A3 tp
La forma finale di ENC2tot per il JFET è:
ENCJ2 = (CD*+ Cf + Ci )2[A1(2kTGF /gm) /tp + KL A3tp] + ( 2kT/Rp + q( IL + ID ) ) A3tp
+ c1A2 /2p
A1 , A2 , A3 sono i coefficienti del formatore per i termini di rumore la cui densità
spettrale presenta dipendenza da w rispettivamente del tipo w 0 , w -1 , w -2.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
124
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
COEFFICIENTI
+00
A1 = (2p) -1 IT(x)I2dx
-00
+00
A2 = (2p) -1 IxI-1IT(x)I2dx
-00
+00
A3 = (2p) -1 x-2IT(x)I2dx
-00
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005 125
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
ENC [electrons]
100
w0
w-2
w-1
10
1
0.1
1
10
100
t, shaping time [ms]
peaking time, ms
peaking time tp, ms
Dipendenza dal tempo di picco dei contributi a ENC dovuti alle densità spettrali
w0, w-1, w-2.
P. F. Manfredi
– Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
126
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Confronto fra gli andamenti di ENC in funzione di tp per un JFET e un MOSFET
NJFET
PMOS
ENC [e rms]
1000
100
CD = 15 pF
10
10
100
1000
4
10
5
10
t [ns]
P
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
127
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
IMPIEGO DEI RIVELATORI - PISA – Marzo 2004
128
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
129
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
ELABORAZIONE DEL SEGNALE
La strategia di elaborazione dei segnali forniti dai rivelatori vari a seconda
dell’informazione che si vuole estrarre dai segnali. Le misure che consideremo
per prime sono MISURE DELL’ ENERGIA RILASCIATA. Come già è stato
fatto notare l’informazione di energia si ottiene dalla misura della carica
associata all’impulso di corrente del rivelatore. Quindi il passo fondamentale in
una misura d’energia è l’integrazione del segnale di corrente. La pura
integrazione, tuttavia, non è sufficiente, in quanto non rispetterebbe i vincoli
imposti dalla misura, come ora illustreremo.
t
integrazione
pura
t
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
130
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Dove avviene questo primo passo nell’elaborazione dei segnali forniti dai
rivelatori? Avviene solitamente a livello della combinazione rivelatorepreamplificatore.
a) integrazione eseguita direttamente sul rivelatore
Q i(t)
CD
circuito di
+
_
compensazione
di carica
Si può utilizzare questa connessione a patto che la capacità del rivelatore sia
affidabile in valore e costante, come nel caso di una camera a ionizzazione in
mezzi gassosi, liquidi o solidi. Nel caso di un rivelatore a giunzione è
utilizzabile solo nel caso in cui il rivelatore sia totalmente svuotato.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
131
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
b) integrazione eseguita sulla capacità di reazione di un preamplificatore di carica
circuito di
compensazione di
carica
CF
_
Q i(t)
CD
Questa connessione, la più comunemente usata, ha il vantaggio di rendere il
risultato dell’integrazione indipendente dalla capacità del rivelatore.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
132
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Qualunque sia il tipo di preamplificatore usato, all’integrazione deve seguire una
formatura del segnale. La formatura svolge due funzioni:
1 - ripristinare l’individualità dei singoli eventi, il che può essere svolto da un una
differenziazione approssimata.
t
differenziazione approssimata
(circuito diferenziatore CR)
t
Va notato che la differenziazione CR svolge anche una funzione di filtro che
tende a ridurre le componenti di rumore in bassa frequenza.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
133
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
2) rallentare il fronte di salita del segnale, il che si può ottenere con una
soluzione di prima approssimazione attraverso un integratore approssimato
(integratore RC). Questo corrisponde, dal punto di vista della funzione di filtro
a un filtro passa-basso, che è essenziale al fine di ridurre il rumore più
importante, quello alle alte frequenze.
t
integrazione approssimata (integrazione RC)
t
Le operazioni eseguite sul segnale a scalinata determinato dall’integrazione
degli impulsi di corrente del rivelatore sono tutte lineari, per cui le ampiezze
di picco dei segnali formati sono proporzionali alle cariche associate ai singoli
impulsi di corrente del rivelatore. La misura di carica (e quindi la misura
dell’energia rilasciata dal singolo evento) è ricondotta alla misura dell’
ampiezza di picco dei segnali formati.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
134
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
135
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Il preamplificatore è un elemento estremamente importante in un sistema di
elaborazione dell’informazione fornita da un rivelatore. Infatti, poiché il
preamplificatore agisce direttamente sul segnale del rivelatore, un suo
difetto progettuale solitamente influenza negativamente le prestazioni
dell’intero sistema di elaborazione.
I requisiti che vincolano il progetto di un preamplificatore variano in maniera
considerevole in dipendenza delle caratteristiche del rivelatore e della natura
della misura che si vuole eseguire.
Così ad esempio, misure di basse energie con un rivelatore che non possegga
un meccanismo di moltiplicazione di carica, come una camera a ionizzazione o
un rivelatore a semiconduttore, pone nel progetto del preamplificatore
stringenti requisiti di rumore.
Misure con elevate intensità di radiazione richiedono solitamente che il
preamplificatore sia progettato in modo da presentare un breve tempo di
salita, così da contribuire in maniera trascurabile alla durata dei segnali lungo
il sistema di elaborazione.
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136
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Nella maggioranza dei casi il rivelatore è schematizzabile in prima
approssimazione con un generatore di corrente che eroga il segnale Qi(t) in
parallelo alla capacità Cd
Qi(t)
Cd
Q è la carica associata all’ impulso di corrente e i(t) si intende normalizzato ad
area unitaria.
La capacità Cd varia notevolmente da un tipo di rivelatore a un altro, da valori
minimi inferiori a 1 pF nel caso dell’elettrodo collettore di un rivelatore a pixel
a diverse migliaia di pF nel caso di rivelatori sottili di grande area sensibile o
di celle di un calorimetro.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
137
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
DIVERSE STRUTTURE DI PREAMPLIFICATORE
Cf
Cd
Qi(t)
Cd
0
Q/Cf
preamplificatore di
carica
E’ la struttura piu’ comunemente impiegata nelle applicazioni spettrometriche.
Il preamplificatore è un integratore operazionale.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
138
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
Rf
QRfi(t)
C*d
Qi(t)
preamplificatore di corrente
Ci
E’ una configurazione operazionale a transimpedenza che si impiega quando si
voglia preservare la forma dell’impulso di corrente del rivelatore.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
139
DIPARTIMENTO DI FISICA – UNIVERSITA’ DI PISA
0
0
Q/(Cd*+Ci)
(Q/(Cd*+Ci))(R1 + R2)/R1
Qi(t)
C*d
Ci
R1
R2
preamplificatore di tensione
Si impiega in misure spettrometriche nelle quali l’integrazione del segnale di
corrente si possa eseguire direttamente sul rivelatore, cioè quando la capacità
Cd è lineare, affidabile in valore e stabile.
P. F. Manfredi – Rivelatori ed Elaborazione del Segnale – AA 2004-2005
140
Fly UP