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Storia
STORIA • STORIA DELLA VALLE SCRIVIA • I FIESCHI: LA NOSTRA RICERCA • LEGGENDE: LA LEGGENDA DELLA FOSCA Ö MAGA UFO IN VALLE SCRIVIA STORIA DELLA VALLE SCRIVIA Le tracce dell’antichità in Valle Scrivia sono piuttosto numerose; la prima testimonianza è senza dubbio” l’ascia di Reopasso”, reperto ritrovato nei pressi della “Sella del Diavolo”. Questo ritrovamento ha permesso di far risalire a 4000-3500 anni fa la presenza dell’uomo nella valle. Ma il dominio assoluto nella nostra zona fu quella dei Liguri Irii, popolazione di origine preindoeuropea. Essi erano abili navigatori, dediti ai commerci e alla pirateria. Combattivi nel difendere la loro autonomia, lottarono strenuamente contro i Romani a partire dalla seconda metà del III sec. a.C. Dopo lunghe guerre vennero assoggettati da Augusto nel 14 a.C. Furono quindi i Romani a conquistare e civilizzare la valle. La zona archeologica del periodo romano che ha fornito più indicazioni, è quella del “Refundou”, (Savignone), disboscata nell’800. Qui sono state rinvenute le tracce di due villaggi. Nello strato più profondo frammenti di ceramica del periodo ligure-romano; in superficie reperti della tarda età imperiale(IV sec. d.C circa). Della stessa epoca è la necropoli scoperta a Crocefieschi. Il ritrovamento inoltre di monete di epoca imperiale, fa supporre che esistesse nel fondovalle una via di comunicazione parallela alla via Postumia.Tuttavia nessuna traccia di questa strada è stata trovata. Alla disgregazione dell’Impero romano, i Vandali razziarono il territorio fino all’arrivo dei Longobardi. Risale all’alto Medioevo la penetrazione del Cristianesimo in valle Scrivia. Sorsero le Pievi. Nell’ambito del loro territorio vi erano cappelle, una per villaggio, tutte dipendenti dalla chiesa madre. La pieve diventò così il centro di ogni attività. In Valle Scrivia è nota l’esistenza delle pievi di S. Maria di Ceta a Borgo Fornari, di S. Stefano di Radegabio a Casella e la pieve di Montoggio. Anche l’ordine monastico dei Benedettini contribuì a diffondere il Cristianesimo, fondando monasteri su tutto il territorio della valle. Annesso al monastero, di solito, esisteva un ospedale. Tutte queste celle monastiche sorgevano agli incroci di strade o lungo i principali percorsi della valle . Quando queste ultime scomparvero nel 1500, furono sostituite dalle “Confraternite “che continuarono le opere di misericordia. Oggi sono ancora presenti sul territorio, partecipano alle processioni, formano squadre di trasporto per i grandi crocifissi, rappresentano insomma, una manifestazione di folklore popolare. Cristo moro della confraternita di S.Antonio (Casella) Membro della Confraternita Nel medioevo, anche in Valle Scrivia andò affermandosi il feudalesimo. Documenti dell’epoca testimoniano il frequente passaggio di proprietà dei castelli, fino a quando non prevalsero due casate:i Fieschi nell’alta valle, da Torriglia a Savignone; gli Spinola nella media e bassa valle, da Busalla a Pietrabissara. La congiura dei Fieschi nel 1547 provocò il passaggio dei castelli e dei territori di Torriglia e di Montoggio nelle mani dei Doria. Per tutti fu la fine quando, nel 1797, Napoleone dichiarò decaduti i feudi imperiali. Ciò provocò il passaggio della valle Scrivia alla Repubblica di Genova che, a poco a poco, perse l’antica autonomia per diventare la “Repubblica Democratica Ligure “(1798) dipendente dalla Francia. Gli ideali francesi di “libertà ed uguaglianza “si diffusero tra la popolazione che sperò in un futuro migliore. In realtà non vi fu un effettivo mutamento delle condizioni economiche e civili della valle. Con il Congresso di Vienna, tutto il territorio ligure passò al Regno di Sardegna. Compiuta l’unità d’Italia, la valle Scrivia risentì positivamente del nuovo corso della storia e la popolazione aumentò. Visita ai ruderi del castello deI Fieschi (Montoggio) alla fine dell’800 Verso la fine del secolo però gli abitanti valligiani, tagliati fuori dalle direttrici del traffico ( strada dei Giovi) e per questo sempre più poveri, cominciarono ad emigrare nelle Americhe. Iniziò la decadenza della montagna accentuata dall’avvento della prima guerra mondiale che sottrasse altre braccia preziose all’agricoltura.L’unica nota positiva fu la costruzione di ville di campagna che i ricchi genovesi costruirono nell’entroterra seguendo la moda della villeggiatura. Nel ventennio fascista le condizioni socio-economiche della valle sembrarono risollevarsi. L’apertura nel 1935 della camionale Genova-Serravalle, contribuì a potenziare le industrie esistenti in valle,a facilitare il commercio e le comunicazioni con la città. La seconda guerra mondiale tornò a sconvolgere le popolazioni della zona che fu oggetto di occupazione nazista con conseguenti bombardamenti. La valle si riempì di sfollati e sui monti si combattè la guerra partigiane Attualmente la valle Scrivia è un polo di attrazione turistica. E’ soprattutto turismo estivo di seconde case , di individui cioè che abitano in città e che si spostano in questa zona in cerca di tranquillità ed aria buona. In alcune località ,in estate, la popolazione si raddoppia. I FIESCHI Quella dei Fieschi fu un’importante famiglia patrizia italiana, discendente dei conti di Lavagna, i cui membri, tra il XII e il XVI secolo. Occuparono posizioni di rilievo nella Repubblica di Genova e ad essa appartennero numerosi illustri personaggi della storia della chiesa, fra cui due papi, Innocenzo IV e Adriano V, decine di cardinali e centinaia di vescovi. Nelle guerre che travagliarono l’Italia nella prima meta’ del secolo XVI i Fieschi si schierarono dalla parte dei francesi, contro il partito spagnolo sostenuto dai Doria; nel 1547 organizzarono una congiura ai danni dell’ammiraglio Andrea Doria,che si risolse pero’ in un fallimento. L’insuccesso segno’ l’inizio del progressivo declino del potere della famiglia, che si concluse con la sua emarginazione dalla vita politica di Genova.Un ramo dei Fieschi governò Savignone fino alla fine del 1700. PREMESSA In seguito alla gita nel bosco e alla visita ai ruderi del castello di Montoggio, abbiamo approfondito gli avvenimenti storici che hanno condotto alla distruzione della fortezza di proprietà dei Fieschi. Ci siamo chiesti come abbiano fatto a resistere, durante il lungo assedio, le truppe che volevano espugnare il castello e, soprattutto, cosa mangiassero. Per soddisfare le nostre curiosità abbiamo consultato il libro “Cucina di guerra nell’assedio di Montoggio del 1547” di Sergio Rossi. Abbiamo in seguito lavorato a gruppi per ricavarne le informazioni principali. Ecco l’esito della nostra ricerca. CUCINA DI GUERRA Nel 1547, in un paese lontano 10 miglia da Genova, le truppe genovesi erano pronte per assediare il castello di Montoggio. Per concludere al meglio l’assedio, allestirono un accampamento dove il cibo arrivava regolarmente. Prima di partire da Genova le truppe si rifornirono di: caviale, mosciame, tonina grassa e magra, pevero, spetie, safrano, fideli, macaroni, amandole, sucaro, botareghe, sebibo, olive di Spagna, archicioche, nisole, limoni e herbe. Si rifornirono anche di: sapone e carta de strassa. Anche se lontani da palazzo, le truppe, riuscivano a soddisfare le loro abitudini alimentari. Gli ingredienti erano ricchi e costosi e consentivano al cuoco una certa libertà. Ma per cucinare bene, ad un cuoco serviva una cucina completa di utensili e si rifornirono anche di questi. Una volta montato il campo, cibo e merci arrivavano con regolarità. Tutto il cibo, tra cui formaggi, carni, pane, vino, uova e frutta, riuscì a soddisfare le truppe per tutto il percorso dell’assedio .Il cuoco aveva un ruolo importante e doveva lavorare bene per guadagnarsi una paga sostanziosa e per raggiungere la fama che l’avrebbe portato ad uno stato di benessere non comune. Esso doveva essere molto bravo e le sue preparazioni elaborate (soprattutto per gli stati maggiori della Repubblica ). In un primo momento il cuoco utilizzava una cucina da campo; nell’accampamento erano presenti molte tende, ed una di queste era riservata alla cottura dei cibi. La cucina era stata messa sul confine del campo, questo significava avere abbastanza legna. Inoltre, visto che doveva essere difficile preparare un pasto caldo per 2.500 soldati, è assai probabile che diversi settori dell’accampamento fossero dotati di autonome cucine. In seguito quando l’accampamento fu avvicinato al castello, è probabile che egli preparasse cibi in una sorta di cucina nei pressi delle case. IL PANE E’ PER TUTTI Il pane veniva acquistato in “RESTE”. Si ipotizza che la “RESTA” fosse una “unità di misura” composta da sei pani. Mancano dati relativi alla provenienza .. A Montoggio si pensa che ci fosse qualche forno pubblico, anche se non ritroviamo notizie, al contrario dai documenti possiamo rilevare la presenza di diversi forni privati annessi alle case. Tra le fonti scritte non si fa cenno alla qualità del pane,si pensa però che si usasse farina bianca per il pane degli stati maggiori e “integrale” per il resto. Non è da escludere anche la produzione di “fugassa” ottenuta con impasti dalla consistenza liquida e cotte su superfici roventi. IL CIBO DEI SOLDATI, LAVORATORI E PRIGIONIERI Per le operazioni militari che servivano per predisporre l’assedio di Montoggio, serviva molto lavoro manuale e di preparazione e quindi l’ impegno di un grande numero di uomini richiamati da Gavi, Novi, Ovada, Chiavari Parodi, Vado e dalle valli Bisagno e Polcevera. Essi venivano utilizzate nelle operazioni di trasporto delle artiglierie, nella preparazione delle piazzole dove metterle e per tracciare strade. Erano impegnati tutto il giorno in zone vicine all’accampamento, nella fase iniziale dell’assedio. E‘ probabile che durante il giorno il loro pranzo consistesse in pane e formaggio, qualche volta con carne salata e naturalmente vino. I lavori di preparazioni ebbero luogo in un periodo compreso tra Marzo e Maggio, il tempo piovoso ostacolava le operazioni di trasporto dell’artiglieria costringendo gli uomini a lavorare in una situazione di estrema fatica. Questa gente alla sera aveva bisogno di nutrirsi in modo adeguato e trovare riparo per la notte. Tornando al cibo, è molto probabile che nella cucina da campo si preparassero vivande calde almeno per la sera. Così la grande quantità di carne che giungeva in campo, veniva cotta allo spiedo mentre una zuppa di cereali, verdura e pezzi di carne, rappresentava un buon pasto caldo accompagnato dal pane. Il vino era la bevanda più diffusa. Non si evidenziano differenze tra le qualità riservate ai commissari e quello per i soldati. Come era il cibo dei prigionieri? Dopo la conquista del castello, tutti coloro che si trovavano all’interno, furono trattenuti nelle prigioni per procedere all’individuazione di quelli che avevano preso parte “ al tumulto “ della notte del 2 Gennaio a Genova. Il cibo che in quei giorni fu distribuito ai prigionieri consisteva in pane accompagnato da formaggio salato. IL CIBO DEGLI STATI MAGGIORI Durante la congiura, il cuoco doveva rinunciare alle sontuose preparazioni “cittadine”. Lui sceglieva i piatti semplici adatti a quella situazione. La pasta,” fideli e macaroni,” veniva condita con brodo di carne ristretto, poi cosparsa di formaggi, polvere di spezie e a volte zucchero. La pasta poteva essere preparata sul momento poiché avevano grandi scorte di farina. Le carni bollite usate per il brodo, venivano poi pestate nel mortaio, ridotte in poltiglia e, con l’aggiunta di verdure e spezie, venivano usate per i ripieni. Seguendo la tradizione genovese e ligure, veniva anche preparata la torta Pasqualina, allora veniva chiamata “Gattafura”. Si faceva uso anche di verdure che erano definite “ortaglie ed erbe” quindi è difficile comprendere di quali varietà si trattasse. I carciofi arrivavano in diverse partite e in discrete qualità. La coltura del carciofo era praticata molto; di conseguenza questo ortaggio veniva abbastanza utilizzato in cucina. I carciofi venivano usati per preparare stufati di carne, o cotti in brodo per accompagnarli a carni lessate oppure facendoli ripieni con carne, prosciutto, formaggio, uova e spezie. Oltre ai carciofi arrivavano anche “i garbuxi”, cioè cavoli col cappuccio. Fra aprile e maggio arrivavano da Nervi i piselli freschi. Le zucche lunghe venivano essiccate per la conservazione. IL VINO Il vino era la bevanda più consumata. Il trasporto, almeno nei percorsi più difficili, avveniva a dorso di mulo in pelli di capra. Sappiamo, da alcuni documenti che il vino accumulato nel castello, in vista dell’assedio, era stato acquistato, a Gavi, Serravalle e nel Tortonese. LA CARNE Uno degli alimenti durante l’assedio era la carne. La cottura allo spiedo era forse la più praticata per le carni tenere; le altre potevano essere lessate a lungo per ottenere un buon brodo e consumate come bolliti o pestate nel mortaio, per poi unirle ad altri ingredienti nella preparazione di ripieni, pasticci e torte. Inoltre si acquistavano capretti che finivano anch’essi allo spiedo, al forno o in composti per pasticci. Dell’animale si mangiavano tutte le parti commestibili quali il fegato, la testa, le zampe, gli occhi, i rognoni, la lingua, il polmone, il sangue e le trippe. Si consumavano anche polli e capponi, la loro carne era quindi assai apprezzata sulle tavole dei ricchi. La carne costava poco e quindi si poteva comprare sempre fresca. FORMAGGI FORESTI La varietà di formaggi consumata era piuttosto ricca: dalla robiola di Maiorca al caciocavallo proveniente probabilmente dalla Sicilia. Il formaggio salato risultava il più economico: Genova se ne riforniva dalla Sicilia alla Sardegna. Il “Piacentino”, spesso assimilato all’odierno Padano, era molto apprezzato sia come condimento, sia semplicemente come formaggio. FORMAGGI NOSTRANI Anche la produzione locale aveva la sua importanza. Diverse provviste di formaggi freschi “prescinseua e rechoti” provenivano dalla vallata; la produzione di formaggio era molto diffusa, fu sempre mantenuta la consuetudine di produrre formaggette da stagionare. I documenti non ci permettono di capire se si trattasse di formaggi caprini, ovini o vaccini, anche se è ragionevole supporre che spesso i diversi tipi di latte fossero mescolati assieme. La “prescinseua” trovava probabilmente il suo più semplice impiego nella preparazione di torte salate, mentre la ricotta poteva essere consumata con l’aggiunta di zucchero e spezie come ingrediente per ripieni. Poteva anche essere conservata mediante essicazione o affumicata. Il quadro generale della produzione casearia locale, ci riporta ad una economia integrativa che vede il formaggio, in tutte le sue varianti, come un prodotto che può essere anche oggetto di commercio, ma in buona parte finisce consumato in famiglia, fresco o stagionato. LE SPEZIE Le spezie rappresentavano uno” status symbol” per le categorie più agiate. Esse erano costose e quindi la loro presenza in moltissimi piatti rappresentava per il padrone di casa un elemento di distinzione. Fra le spezie che arrivavano a Montoggio durante l’assedio vengono citate: pepe in grani e in polvere, cannella, chiodi di garofano, zafferano e una generica voce “spezie” di cui non si conosce la composizione. Anche lo zucchero figurava fra le spezie. Si trattava di zucchero di canna prodotta in Sicilia e ormai anche in America. Come detto, esso era utilizzato in molti piatti, sia insieme alle spezie, sia come elemento di rifinitura cosparso sulla preparazione prima di presentarla in tavola, infine entrò a far parte degli ingredienti di pasticceria dolce. Per i contadini il surrogato dello zucchero era il miele. IL PESCE Più volte nel libro si fa riferimento ad acquisti di pesce. Pare arrivasse da Recco e Sampierdarena. Il pesce fresco giungeva a Montoggio, vista la non eccessiva distanza dal mare e la favorevole stagione fredda. Per quanto riguarda il pesce conservato, i più comuni metodi per la conservazione erano: la salatura, il sottoaceto, l’essiccazione e l’affumicatura. Il singolo pesce di grossa taglia finiva quasi sempre sulle tavole dei nobili. Il pesce più buono era il tonno. Si trattava di tonno a pezzi, conservato sotto sale in barili. A Genova ne arrivavano grosse quantità. Per quanto riguarda i pesci d’acqua, vicino al fiume si sarebbe trovato quello che tutti definivano la “peschiera dei Fieschi” nella quale i signori di Montoggio avrebbero fatto allevare o semplicemente conservare: anguille, carpe, tinche, lamprede. LA LEGGENDA DELLA FOSCA Nella nostra valle esistono leggende molto belle, per esempio quella sul castello dei Fieschi di Savignone. Fosca, figlia genovese di un conte, incontrò a Milano un re che chiese la sua mano. I due si sposarono, ma la ragazza fu corrotta dalla vita di corte e diventò malvagia. Così per sfuggire alle colpe dovute al cambiamento del suo carattere, decise di vagare per altre città. Il giovane re decise di inseguirla per uccidere lei e il suo nuovo amante, un Gonzaga. Fosca lo venne a sapere e si rifugiò al castello di Savignone. Un giorno un uomo con un saio raggiunse il castello e chiese di poter rimanere nella cappella di S. Rocco. Fosca si recava spesso dal pellegrino per dargli cibo e l’elemosina, ma poi dovette ridurre le visite per paura che in giro ci fossero uomini mandati dal re. Il “ pellegrino” decise così di cambiare la sede degli incontri La leggenda dice che se ci fosse stata la luna in quella notte, e quindi più luce, si sarebbe visto Gonzaga che saliva le mura del castello per trovare Fosca. Quando stava per scendere però gli uomini del re lo imbavagliano e lo buttarono giù dal precipizio. Molti dicono di aver visto vicino a un masso due fiammelle cioè lui e lei avvicinarsi e splendere di più, poi una di queste allontanarsi e spegnersi. Il castello di notte Ö MAGA Un momento esaltante fu quando Angelo Mazzolino trovò i resti dell’abbazia di S.Andrea di Caserza in Valbrevenna nei pressi di Nenno. La gente diceva che in un bosco erano state sepolte delle campane. Mazzolino aveva anche sentito che c’era un monastero e i Monaci lo avevano abbandonato al tempo della neve rossa. Mazzolino riuscì a farsi accompagnare da alcuni contadini nel bosco. Era notte e c’era poca luce quando loro incominciarono a lavorare, finchè non trovarono le campane, però pensarono che, se c’erano le campane, doveva esserci anche il monastero. Si misero al lavoro finchè non lo trovarono. Trovarono lo scheletro di una donna giovane con un bambino piccolo. Oggi tutti i reperti sono al museo di S. Bartolomeo. Un giorno Tiziano Manganni disse che: “ Dietro ogni favola o leggenda c’è sempre un fondo di verità e magari il filo conduttore di qualche importante scoperta”. UFO IN VALLE SCRIVIA: OLTRE 20 ANNI DI AVVISTAMENTI La Valle Scrivia e le altre valli sono ricche di segnalazioni di oggetti non identificati: si sarebbero anche svolti incontri con alieni… Il primo episodio si svolse a Bastia. Mentre un uomo era in macchina e passava lungo la strada che dava sul bosco. La sua attenzione fu attratta da un movimento nel bosco e lì vide due strane figure accovacciate. Il motore della macchina si spense e non ripartiva. L’uomo fu preso dal panico e si sentì sotto minaccia, ma infine l’auto ripartì. Il secondo episodio si svolse a Busalla: un vigile della zona notò nel bosco una forte luce azzurra.Quando andò a vedere, nei pressi di una linea dell’alta tensione, trovò pali scalfiti divelti e delle tracce che potevano far pensare ad un atterraggio di fortuna.. L’episodio più sorprendente (parliamo addirittura di “abduction” cioè rapimento da parte di alieni), si svolse a Torriglia nel 1978 ed ebbe per protagonista il metronotte Pier Fortunato Zanfretta. Quel giorno l’uomo era andato in perlustrazione a Marzano e notò quattro luci accese in una villetta isolata. La radio sembrava fuori uso e allora lui agì da solo; con torcia e pistola si avviò verso la villa, ma venne spinto alle spalle. Rialzatosi si voltò e vide un essere mostruoso, alto almeno tre metri, la pelle del torace ondulata e spine sulla testa. L’essere scomparve e da dietro la villa decollò un velivolo triangolare luminosissimo... Nei giorni seguenti Zanfretta si sottopose ad ipnosi regressiva per capire meglio: dalle sue parole venne fuori che sarebbe stato rapito da creature somiglianti a grossi rettili con la pelle verde e rugosa, vene rosse sulla testa e orecchie a punta. Questi animali portarono Zanfretta in un luogo molto luminoso e gli misero in testa un casco molto caldo che gli provocava dolore. Zanfretta comunicava con gli alieni tramite un apparecchio sulla sua bocca. Test effettuati su esso dimostrano la sua sincerità e il fatto che quella era una persona sana di mente; quest’uomo subirà altri 11 rapimenti. Il 28 dicembre a Torriglia è alla guida di una Fiat 127, quando ad un tratto la Fiat inizia a muoversi da sola nella nebbia percorrendo strade curve, fin quando l’auto si ferma in una piazzola. L’uomo chiama la polizia che arriva e lo trova in stato di shock e con gli abiti caldi e asciutti nonostante il freddo, vicino a lui trovano impronte lunghe 50 cm. Gli uomini della polizia segnalarono anch’essi malfunzionamenti ad auto e radio. Zanfretta fu di nuovo sottoposto a un esame chimico; secondo il suo racconto sarebbe stato disarmato e gli alieni avrebbero promesso che sarebbero tornati. Ci sono stati diversi avvistamenti nella notte del 5 maggio del 1979 vicino Torriglia e nella notte tra l’1 e il 2 dicembre 1979, mentre Zanfretta faceva rifornimento, gli alieni gli consegnarono una sfera da recapitare al professor Hynek, un famoso ufologo. L’uomo in preda al panico ruppe la sfera scatenando l’ira degli alieni. Zanfretta per 3 ore non rispose alle chiamate della polizia; quando essa arrivò sul posto vide oggetti luminosi allontanarsi. L’astronave viene descritta piccola all’esterno, ma all’interno sarebbe stata una vera e propria città, lo scopo di questi alieni, secondo alcuni, sarebbe di insediarsi sulla terra anche se il clima è troppo freddo per loro. Zanfretta è servito a loro sia come cavia sia come negoziatore per il loro insediamento.