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Presentazione Delia - Osservatorio Banche Imprese

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Presentazione Delia - Osservatorio Banche Imprese
Il valore aggiunto
dei comuni del Mezzogiorno
Stime 1995-2012 e previsioni 2013-2016
CNEL, Roma, 14 marzo 2013
Gli obiettivi del lavoro
• Contribuire ad una migliore conoscenza
dell’economia del Mezzogiorno
• Tracciare le dinamiche dei sistemi
economici locali nei prossimi anni,
evidenziando rischi e opportunità
• Fornire un supporto informativo per il
monitoraggio, la valutazione e la
progettazione delle politiche territoriali e
industriali
1
La metodologia
• L’informazione statistica a livello comunale è piuttosto carente e poco
tempestiva
• L’OBI ha sviluppato il modello TODOMUNDO (Stime TOp-DOwn MUNicipali
degli aggregati DOmestici), che fornisce proiezioni sul valore aggiunto a
livello comunale, sfruttando sia le informazioni statistiche territoriali di base
disponibili, sia le previsioni e le stime preliminari sui principali aggregati
nazionali, regionali e provinciali
• Il modello stima a cascata, i dati ripartizionali partendo dai nazionali, quelli
regionali in funzione di quelli ripartizionali, ecc.
• Un esperimento di simulazione ha mostrato che le stime regionali del VA
totale presentino errori dell’ordine dell’1% un passo in avanti e dell’1,3-2%
fino a 3 anni; l’errore medio aumenta a 2-4% per quelle provinciali. Solo in
un caso su 20 gli errori di previsione sul VA comunale un anno in avanti
superano il 3%
• Maggiori dettagli sono contenuti in appendice al Rapporto dello scorso anno
2
Il quadro di riferimento
•
•
•
•
•
L’analisi del territorio è tra gli scopi statutari dell’Osservatorio
Banche - Imprese
«I Mezzogiorni» d’Europa, oltre che d’Italia, sono stati al
centro delle giornate di Sorrento del 2011 e del 2012, della
Conferenza «The Triple European Mezzogiorno» di Varsavia
nel 2009, dei Rapporti su Impresa e Competitività dal 2008 in
poi
Sta per chiudersi un ciclo di politiche comunitarie a sostegno
delle aree svantaggiate
La crisi economica globale ha avuto effetti molto differenti sui
diversi territori e sui vari comparti dell’economia
Il processo di consolidamento dei conti pubblici e le riforme
strutturali hanno avuto ed avranno un impatto maggiore sul
proprio Mezzogiorno
3
Le conclusioni del Rapporto precedente
Il Rapporto presentato ad ottobre 2011 conteneva alcuni spunti di riflessione:
• Il Mezzogiorno è un’area estremamente eterogenea (sarebbe meglio
parlare dei «Mezzogiorni»)
• Le aree di forte sviluppo e di arretratezza si intrecciano tra loro senza
rispettare i confini amministrativi
• Solo in pochi casi un nucleo o un «corridoio» di sviluppo ha «contagiato» i
territori circostanti
• I comuni più avanzati sono quelli di medie dimensioni che anno avviato un
processo di sviluppo endogeno, basato su un mix equilibrato tra le diverse
attività produttive
• Lo sviluppo del Mezzogiorno dipende dal collegamento e l’integrazione tra
i sistemi locali più progrediti, più che da interventi a pioggia
• L’indispensabile riforma della PA avrà effetti depressivi sul Mezzogiorno
• Occorre trasformare la sfida delle riforme in una opportunità, utilizzando
in modo efficiente le risorse umane e materiali che si «liberano» dalla PA
• La crisi globale sta allargando le distanze tra il Mezzogiorno e il resto del
Paese
• La crisi non è finita
4
A un anno di distanza
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Dopo un anno, quasi tutte le conclusioni del Rapporto precedente restano
valide (compresa la diagnosi sulla crisi)
… ma non è stato messo in pratica quasi nessuno dei suggerimenti per
arginare il declino del Mezzogiorno
Il 2012 è stato un anno molto difficile per l’Italia e per l’Europa e i
problemi specifici dei «Mezzogiorni d’Europa» sono passati in secondo
piano
La base produttiva si è ancora ristretta (dopo il «decennio perso» degli
anni 2000 e la crisi del 2008)
La crisi ha colpito più pesantemente il Mezzogiorno e la ripresa sarà meno
intensa rispetto al resto del Paese
L’instabilità politica è maggiore di un anno fa e la coesione sociale è
messa a dura prova
E’ stata riportata sotto controllo la crisi dei debiti sovrani (per ora)
Sono state avviate molte riforme (lavoro, welfare, liberalizzazioni) che
però avranno effetti positivi solo sul lungo periodo
Si è aperto il dibattito sulla efficacia delle politiche di rigore
5
Il quadro internazionale
• Dopo la crisi del 2008, nata negli US, si è riacceso un focolaio in
Europa nel 2011, legato alla crisi dei debiti sovrani dei PIIGS
• E’ seguita una stagione di politiche fiscali molto restrittive e politiche
monetarie sempre più espansive (quantitative easing, LITRO,
EFSF/ESM, OMT)
• Oggi la situazione sembra stabilizzata
• Per il 2013 si prevede una crescita mondiale del 3,5%, ma solo del
1,5% nei paesi industrializzati e un regresso del -0,5% nell’Area Euro
• Per gli anni successivi: Mondo +4,5%, OECD +2,5%, AE +1,5%
• All’interno della AE, Germania +0,5% nel 2013 e +1,4% tra 2014 e
2016
• Poche tensioni sui cambi (a parte la svalutazione dello yen) e sui
prezzi delle materie prime (ma nessun calo!)
6
Il quadro italiano di base
• Le previsioni comunali sul periodo 2013-2016 sono basate sulle ultime
stime ufficiali, contenute nella “Nota di Aggiornamento al DEF” di
settembre 2012
• L’OBI ha anche formulato uno scenario alternativo più aggiornato (slide
successiva)
• Nello scenario base, Il Pil dovrebbe rimanere sostanzialmente fermo
quest’anno (-0,2%) per poi accelerare dall’1,1% all’1,4% tra il 2014 e il
2016
• Il settore più dinamico dovrebbe essere quello industriale
• L’unica componente dinamica della domanda sarebbe quella estera,
mentre i consumi rimarrebbero sostanzialmente al palo e gli investimenti
riprenderebbero solo dal 2014. La PA è vista in ridimensionamento
• L’occupazione diminuirebbe quest’anno dello 0,3% e tornerebbe a
crescere ad un ritmo dello 0,5% dal 2014 in poi, soprattutto per effetto
delle riforme strutturali
7
Lo scenario base per il Mezzogiorno
• Il Mezzogiorno registrerà performance peggiori del resto del Paese
• Il Pil diminuirà dell’1% nel 2013 (contro –0,2% nazionale) e crescerà in
media dello 0,4% tra il 2014 e il 2016 (+0,9% nazionale)
• Rispetto al periodo pre-crisi, il ritmo di crescita nel Mezzogiorno si
dimezzerebbe, mentre rimarrebbe costante nella media del Paese
• L’occupazione nel Mezzogiorno dovrebbe diminuire dello 0,8% nel 2013
e rimanere ferma fino al 2016 (contro una crescita nazionale dello 0,3%
tra 2012 e 2016)
• Tra il 2000 e il 2016, il Pil del Mezzogiorno passerebbe dal 24,1% al
22,6% del totale nazionale
• L’occupazione passerebbe dal 27,8% al 25,7%
• La produttività crescerà come nel resto dell’Italia, facendo diminuire
lievemente il gap (da -3.7% nel 2000 a -3,1% nel 2016)
8
Uno scenario alternativo
• Le previsioni della “Nota di Aggiornamento al DEF” di settembre 2012 non tengono
conto di vari fattori (quasi tutti negativi: minore crescita mondiale, crisi locali nel
Mezzogiorno)
• Nel 2012, il Pil dovrebbe scendere del 2,1% invece del 2,4% (ma gli ultimissimi dati
confermano un calo del 2,4%)
• Nel 2013 il Pil diminuirà dell’1,1%, per poi crescere dello 0,7% nel 2014 e dell’1,2% nei
due anni successivi
• Nel Mezzogiorno il Pil cadrà dell’1,2% quest’anno, resterà fermo nel 2014 e crescerà
dell’1% circa nel biennio successivo
• Quest’anno l’occupazione calerà dell’1,7% nel Paese e del 2,2% nel Mezzogiorno
• Negli anni successivi gli addetti aumenteranno attorno allo 0,4% a livello nazionale e
diminuiranno lievemente (-0,1%) nel Mezzogiorno
• Le regioni più penalizzate rispetto allo scenario base saranno Campania, Puglia,
Sardegna e Basilicata
9
Alcuni punti fermi
A prescindere dallo scenario adottato, l’analisi dei dati comunali elaborati dall’OBI
consente di tracciare alcune conclusioni generali:
• I «Mezzogiorni» reagiscono in modo fortemente asimmetrico alle fluttuazioni
economiche generali:
• Dal 1995 ad oggi, l’OBI stima che un aumento del Pil nazionale dell’1% fa
aumentare quello del Mezzogiorno solo dello 0,9%
• Mentre un calo dell’1% a livello nazionale si traduce in una caduta
dell’1,1%-1,2% nel Mezzogiorno
• Il consolidamento dei conti pubblici e la razionalizzazione della PA avranno
effetti molto pesanti sul Mezzogiorno:
• Per portare l’incidenza del settore pubblico nel Mezzogiorno dal 30%
attuale al 23% in dieci anni, in modo da dimezzare il divario con il resto del
Paese, il reddito prodotto nelle regioni meridionali dovrebbe ridursi di
quasi 7 decimi di punto l’anno
• E’ difficile che questo handicap sia compensato da una corrispondente
crescita dell’attività degli altri settori.
10
Il VA pro capite nelle province nel 2012
(euro del 2005)
• Nessuna provincia del
Mezzogiorno oltre
26.000 €
• Solo Olbia-Tempio oltre
21.500 €
• Tutte le province sotto
14.500 € al Sud
• Solo una provincia tra
14.500 e 21.500 euro al
Nord
• Vaste aree in ritardo in
Puglia, Calabria e Sicilia
11
Le prospettive
(variazioni medie annue 2013-2016)
• Alcune aree di sviluppo anche
nel Mezzogiorno spesso legate al
turismo (in Sardegna e Puglia)
• Una vasta fascia di bassa crescita
sul versante adriatico centromeridionale, in Basilicata, Sicilia
e Sardegna
• Aree in forte difficoltà anche in
Liguria, Toscana, Lazio e
Lombardia
• Solo in FVG, ER e Marche
mancano zone in difficoltà
12
Il valore aggiunto pro-capite nel 2012
(euro 2005)
• Una rete di sistemi locali efficienti
in Abruzzo
• Un «corridoio» ad alto valore
aggiunto tra Napoli e il Molise
• Un «corridoio incompleto» tra
Basilicata e Gargano
• Una «mezza luna» ad alto valore
aggiunto tra Ionio e Basso
Adriatico
• Un «triangolo» dello sviluppo in
Sardegna
• Nuclei di sviluppo isolati anche in
Sicilia e sullo Stretto di Messina
• Uno sviluppo a macchia di
leopardo in Calabria e Sicilia, con
vaste aree depresse
13
Le prospettive
(variazione media del VA 2013-2016)
• Due «corridoi» di crescita tra
Campania e Molise
• Un «modello di ripresa»
salentino?
• Solo nuclei di sviluppo isolati
in Calabria
• Un nucleo di declino in Sicilia
«infiltra» una vasta area con
buone prospettive
• Una «farfalla» di sviluppo
costiero nella Sardegna
centrale (oltre al tradizionale
polo turistico del Nord)
• Quasi tutti fermi o in
contrazione gli altri sistemi
locali
14
Nuclei di sviluppo e di declino
2013-2016
• Lo sviluppo procederà sempre
più a macchia di leopardo
• Molti comuni ad alto VA pro
capite cresceranno più della
media (verde brillante)
• Vaste aree ad alto VA pro capite
al di fuori dell’ Abruzzo
cresceranno poco (grigio chiaro)
• Solo pochi comuni appenninici e
insulari a basso VA pro capite
recupereranno posizioni (verde
scuro)
• Le aree di declino (grigio scuro)
saranno diffuse soprattutto in
Abruzzo in Calabria e nelle isole
15
Le performance dei comuni
Quote sul VA totale nel 2012
Decili della
variazione
variazione
Media
VA procapite agricoltura,
variazione VA media VA 1995- media VA 2013- abitanti nel
nel 2012
silvicoltura e
1995-2013
2013
2016
2012
(a prezzi 2005)
pesca
costruzioni
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Media
(semplice)
industria in
senso stretto
servizi
-0.38%
-0.03%
0.06%
0.24%
0.35%
0.44%
0.58%
0.75%
1.00%
2.28%
-0.26%
0.25%
0.54%
0.74%
0.77%
0.77%
0.86%
1.28%
1.66%
3.00%
5595
4177
7716
8708
7152
8648
12205
8974
8142
9372
9672
9244
9990
10646
11212
12320
11450
11475
11580
11554
8.9%
9.2%
8.1%
9.2%
9.8%
9.0%
9.1%
7.7%
7.9%
10.0%
7.4%
8.4%
7.4%
7.4%
7.0%
7.0%
7.7%
6.8%
6.8%
7.0%
10.7%
11.8%
13.2%
11.7%
12.4%
13.1%
11.4%
11.9%
13.0%
8.8%
70.7%
70.0%
71.0%
71.9%
70.9%
71.1%
72.5%
74.1%
73.8%
79.0%
0.53%
0.96%
8068
10915
8.9%
7.3%
11.8%
72.5%
• In tre comuni su 10 la bassa crescita dal 1995 al 2007 e la crisi economica globale
hanno prodotto la decrescita o la stazionarietà del VA tra il 1995 e il 2013
• I comuni più performanti in passato lo saranno anche nei prossimi anni e quindi si
allargheranno i differenziali di crescita
16
La formula del successo
I sistemi produttivi comunali che sono cresciuti di più dal 1995 ad oggi (10° decile)
presentano alcune caratteristiche peculiari:
• Una dimensione demografica medio-alta (9400 abitanti in media)
• Un VA per abitante poco superiore alla media (11.600 €, meno dei comuni del
6° e 9° decile)
• Una quota rilevante di agricoltura (il 10% in media)
• Relativamente poche costruzioni (7%, come i comuni dal 5° al 6° decile ma più
di quelli dall’8° al 9°)
• Poche attività industriali (meno del 9%)
• Molti servizi (79% del loro VA)
In sintesi, i sistemi più performanti sono stati quelli che hanno risparmiato
territorio (molta agricoltura, poche costruzioni e industrie) puntando sui servizi;
hanno mantenuto una dimensione demografica intermedia (non troppo piccola,
ma neanche eccessiva); hanno assicurato ai propri abitanti un reddito sufficiente,
ma non troppo elevato (poche posizioni di rendita).
17
Un modello un po’ meno efficiente
I sistemi produttivi comunali appartenenti al 9° decile di crescita presentano
alcune caratteristiche molto diverse da quelli in assoluto più performanti:
• Una dimensione demografica più bassa (8100 abitanti in media, quasi come la
media del Mezzogiorno)
• Un VA per abitante quasi identico ai best performer del 10° decile (11.600 €)
• Una bassa quota di agricoltura (il 7,9% contro il 10% dei best performer)
• Meno costruzioni (6,8% contro il 7% del 10° decile)
• Molte attività industriali (13%)
• Servizi poco al di sopra della media (74% del loro VA)
In sintesi, questi comuni sono più piccoli dei best performer, non puntano sulle
costruzioni (al pari dei comuni migliori) e basano le loro buone performance
sull’industria (quindi sono più esposti alle fluttuazioni del ciclo economico) ,
piuttosto che sull’agricoltura e i servizi.
18
La sindrome del declino
I sistemi produttivi comunali che si sono ridimensionati di più dal 1995 ad oggi (1°
decile) presentano:
• Una dimensione demografica bassa (5600 abitanti in media, poco più dei
comuni del 2° decile)
• Un VA per abitante tra i più bassi (9.700 €, poco più dei comuni del 2° decile)
• Una quota di agricoltura pari alla media del Mezzogiorno (il 8.9% in media)
• Abbastanza costruzioni (7,4%, poco più della media, ma meno dei comuni del
2° e 7° decile)
• Poche attività industriali (il 10,7%, ad di sotto della media, ma più dei comuni
più performanti)
• Pochi servizi (71% del loro VA)
In sintesi, i sistemi più in difficoltà hanno puntato troppo sulle costruzioni e poco
sulle altre attività; sono troppo piccoli e troppo poveri per svilupparsi
endogenamente.
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Catching up
Molti modelli di sviluppo regionali prevedono un meccanismo di diffusione della
ricchezza in cui le aree più ricche «trascinano» quelle inizialmente più povere
Sul lungo periodo, il tasso di sviluppo di tutte le aree converge verso un valore
intermedio
E’ stata verificata l’ipotesi del catching up (inseguimento) tra tutte le regioni
italiane e tra i soli comuni del Mezzogiorno all’interno della rispettiva provincia
nel periodo pre-crisi (1995-2008). I risultati sono interessanti:
• I sistemi regionali tendono a convergere verso un tasso di sviluppo comune.
Quindi le aree più sviluppate non possono crescere oltre un certo limite, a
meno che lo sviluppo non si diffonda rapidamente anche alle altre regioni. La
«questione meridionale» e quella «settentrionale» sono due facce di una
stessa medaglia
• La stragrande maggioranza dei comuni meridionali tende ad «inseguire» le
performance di quelli della provincia di appartenenza. Quindi la creazione di
pochi nuclei di eccellenza isolati non riesce a stimolare adeguatamente lo
sviluppo locale. E’ necessario che i sistemi locali facciano sistema per crescere
tutti insieme
20
Le politiche territoriali
Negli anni passati, il Mezzogiorno è stato un laboratorio/cavia per politiche di
sviluppo molto diverse tra loro (programmazione, interventi a pioggia,
assistenzialismo, sostegno a centri di eccellenza/cattedrali nel deserto,
politiche settoriali, aiuti alle grandi imprese, incentivi per le PMI, sgravi fiscali,
ecc.)
I risultati sono sotto gli occhi di tutti: in alcuni casi (soprattutto in Abruzzo e
Puglia) ci sono stati progressi rilevanti, in altri no
Nell’ultimo periodo, si è passati da un ciclo di programmazione comunitario
2000-2006 fondato su politiche territoriali integrate (PIT, ecc.) ad un settennio
2007-2013 più centrato sui poli di sviluppo urbani (PISUS, PISI, ecc.)
La crisi economica globale ha rallentato, se non bloccato, molti di questi piani
Nel 2014 inizierà un nuovo ciclo, che terminerà nel 2020, ossia proprio
nell’anno in cui dovrebbero/dovevano essere raggiunti gli obiettivi dell’agenda
Europa 2020, che per l’Italia prevedono, tra l’altro, il 68% di occupati, l’1,5% di
spesa in R&D, istruzione universitaria per il 27% della popolazione, meno di
2,2 mln di persone povere o escluse (tutti target inferiori a quelli europei)
21
Il ciclo di programmazione 2014-2020
La CE riconosce la forte disomogeneità del Mezzogiorno (anche grazie all’OBI?) e
concentrerà/limiterà gli interventi su Campania, Calabria e Sicilia
Gli interventi seguiranno prevalentemente l’approccio dello sviluppo locale partecipativo
(CLLD) in cui le comunità locali devono farsi parte dirigente dei progetti
L’OBI propone di attuare questo approccio attraverso interventi concentrati e selettivi sia
a livello territoriale che settoriale
Si devono sfruttare i vantaggi comparativi del Mezzogiorno, senza puntare a piani di
ristrutturazione industriale troppo ambiziosi
A livello settoriale, l’OBI propone di puntare sul modello TAC 3.0: turismo&territorio,
agroindustria&ambiente, cultura&creatività.
Il TAC 3.0 si integra bene con la filiera del TAC tradizionale (tessile&
abbigliamento&calzaturiero) e può usufruire di un ampio bacino di capitale umano e
risorse naturali.
A livello territoriale, l’OBI suggerisce di puntare sui poli di eccellenza già esistenti,
favorendo la diffusione dello sviluppo nelle aree circostanti attraverso l’integrazione dei
sistemi economici locali, piuttosto che tentare di rafforzare le aree deboli
I progetti devono essere gestiti secondo il principio di sussidiarietà: sovvenzioni globali
gestite a livello locale e progetti generali gestiti centralmente senza sovrapposizioni
22
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