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Nascita e sviluppo dell`impresa negli Stati Uniti

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Nascita e sviluppo dell`impresa negli Stati Uniti
GRANDE IMPRESA
e
piccola manifattura
slides lezione 04.04.2012
 Il Veneto si caratterizza, nella sua lenta
evoluzione industriale, per una precoce
presenza di imprese di grandi dimensioni
nell’Alto Vicentino.
 L’Alto Vicentino rappresenta, con la sua
vocazione nella produzione laniera, il più
antico distretto industriale della regione,
anzi il distretto “primigenio”
 Una prima approssimazione sui c.d.
distretti industriali:
- aree limitate in cui è emersa una
prevalente specializzazione produttiva,
con un variegato numero di imprese
attive nella produzione dominante
- interscambio interno al distretto:
semilavorati, macchinari e/o accessori
- un “governo” del distretto, data la
omogeneità di interessi degli operatori
economici
- strutture aziendali di limitate dimensioni
Il paradosso del distretto alto-vicentino
è tuttavia l’emergere di due imprese maggiori,
una a Schio (il Lanificio Rossi) e l’altra a
Valdagno (il Lanificio Marzotto).
E’ un caso anomalo, che si ritroverà poi solo
in pochi altri distretti industriali italiani.
Caratteristiche di queste due imprese:
- ROSSI, impresa-leader
- MARZOTTO, competitore in crescita
il ruolo del “pettinato”, come produzione
innovativa e tecnologicamente avanzata
L’EMERGERE DELLA
PICCOLA MANIFATTURA
e della piccola impresa
 Qualche dato nazionale:
La manodopera industriale in Italia pre-1883
vedeva la presenza di
- 617.000 “operai”, suddivisi in 28 settori
merceologici
- di questi, quasi la metà (il 49,5%) erano
attivi nel tessile, di cui due terzi nel ciclo
della seta, vale a dire nel comparto più
arretrato di tale settore
Da questi numeri emerge la pochezza del
nostro apparato secondario, anche per la
elevata stagionalità della maggior parte delle
produzioni (e non solo nel ciclo serico, tipica
produzione di integrazione del lavoro
agricolo) ma anche nelle fornaci, nelle cave,
nei mulini, nelle c.d. industrie varie...
manodopera industriale
nel Veneto pre-1883
 42.000 “operai” (di cui il 67% nel tessile)
- Vicenza:
- Treviso:
- Venezia:
- Padova:
- Verona:
- Belluno:
- Rovigo:
( Udine:
9.924
7.601
4.240
3.666
3.241
1.849
1.581
9.878 )
 Da questi dati emergono tre indicazioni:
- il primato del Vicentino
- la tendenziale vivacità del Trevigiano
- il ritardo del Bellunese e del Rodigino
La “Statistica Industriale”
del 1883-1891
 Metodologia dell’indagine, molo più matura
dell’Inchiesta Industriale del 1870-74, la quale
era “a campione”.
 In questo caso abbiamo una rilevazione a
tappeto, condotta dalla Direzione Generale
della Statistica (la progenitrice di quello che
sarà poi l’Istat) con la collaborazione delle
Camere di Commercio provinciali. La
definizione di “operai” non è più generica, ma
individua correttamente tali soggetti.
 Nel caso del Veneto, tale rilevazione mostra
una struttura più matura.
 85.000 gli addetti complessivi:
- Venezia:
- Vicenza:
- Treviso:
- Verona:
- Padova:
- Belluno:
- Rovigo:
( Udine:
17.569
15.900
9.347
8.638
5.619
4.211
2.803
21.793 )
Una qualche cautela va avanzata sul dato
veneziano.
Vi era stato sì un incremento delle attività
manifatturiere della città lagunare, ma si
trattava di iniziative minute e “leggere”.
L’unica “impresa” di rilievo era l’antico
Arsenale della Serenissima, che aveva
ripreso in forza la produzione di naviglio
mercantile.
Le aree “forti” rimanevano sempre il Vicentino
e il Trevigiano.
Questo ruolo “forte” si evidenziava con il
graduale affiancamento dell’energia da
vapore alla forza motrice idraulica.
In entrambi i tipi di energia Vicenza
sopravanzava le altre province, seguita (però
a varie lunghezze) dal Trevigiano, ma non da
Venezia, dove l’energia umana era ancora
prevalente…
alcune province venete
secondo la “statistica”
1883-91
 VICENZA:
- primato tessile (laniero soprattutto, ma
non solo)
- attività agroalimentari
- officine minerarulgiche e metallurgiche
- officine meccaniche
 VENEZIA:
- scarsa capitalizzazione
e scarso uso di energia
- miriade di piccoli impianti
- officine meccaniche e di carpenteria
- officine navali di piccola dimensione
- l’Arsenale
- attività “chimiche”...
- attività tessili
 TREVISO:
- varietà delle tipologie mercelogiche, con
una buona rappresentazione di tutte le
produzioni manifatturiere
 VERONA:
- industria agroalimentare
- lavorazione marmo
- lavorazione del legno (mobilio)
- forte propensione all’interscambio con
l’estero
Il panorama complessivo che esce dalla
“statistica” 1883-91 mostra come il tessuto
produttivo regionale fosse costituito, salvo
il polo laniero vicentino, essenzialmente
da imprese di piccola dimensione.
La “cifra” del Veneto manifatturiero è perciò,
fin dagli inizi, territorio di piccola impresa…
Le radici
della piccola impresa
 l’accumulazione primitiva
 la vocazione ad intraprendere: le origini
“contadine” e dell’intermediazione minuta
 vivacità e diffusione territoriale
 la specializzazione: i proto-distretti
Le varie “ondate”
di crescita
della piccola impresa
 anni ’80 e ’90 dell’Ottocento
 periodo giolittiano
 anni Trenta del Novecento
 periodo della Ricostruzione
 seconda metà anni Sessanta
(e decenni successivi…)
IL VENETO
e l’età del “decollo”
slides lezione 05.04.2012
 Nonostante l’espansione negli ultimi due
decenni dell’800 della piccola impresa,
il vero “decollo” industriale del Veneto arrivò
solo con l’avvento dell’energia elettrica, o
meglio con la sua utilizzazione a fini
produttivi.
 Fino alla fine dell’800, l’energia elettrica (che
cominciò a diffondersi nel paese, e quindi
anche in Veneto, a partire dal 1885-86)
venne utilizzata solo a fini di illuminazione.
Bisognò attendere la messa a punto dei
motori elettrici per rivoluzionari i sistemi
produttivi.
 Fino alla introduzione dei motori “a
comando singolo”, quello della produzione
di elettricità fu un business diffuso, stante
l’iniziale basso costo d’accesso...
 E fu un business intrapreso dai c.d.
autoproduttori (aziende che producevano
energia elettrica per illuminare i propri
reparti di lavorazione), ma presto anche da
operatori mercantili per vendere questa
nuova fonte di illuminazione ai privati, e
infine dagli enti locali per illuminare le
strade.
 La svolta “capitalistica” arrivò in Veneto
tra il 1900 e il 1905, con un ritardo
non eccessivo rispetto Lombardia e
Piemonte.
 1900: nacque la Società Anonima per la
utilizzazione delle forze idrauliche del
Veneto (meglio nota come “Cellina”, dal
nome del suo primo impianto localizzato
in Friuli sull’omonimo corso d’acqua).
Capitale sociale: 6 milioni di lire…
Tra i soci, comparivano molti di quelli che
avevano partecipato alla Società Veneta
del Breda.
 La “Cellina” – che nel giro di pochi anni
costruì centrali a Cellina, Malnisio, Giais e
Predesalto (potenza complessiva 18.000
kW), e poi a Fadalto e Nove per altri 20.000
kW) – rappresentò un punto di snodo
strategico tra capitalismo veneto e finanza
nazionale.
 Ciò grazie alla Banca Commerciale Italiana
(BCI), la più importante banca “mista” italiana,
che divenne azionista della “Cellina”
attraverso la “Società per lo sviluppo delle
imprese elettriche in Italia”.
 Cosa sono le banche “miste”?
 1905, sorse poi una nuova impresa, destinata
a divenire in breve tempo la terza società
elettrica del paese.
 Si trattava della SADE-Società Adriatica di
Elettricità, nel cui capitale entrarono diversi
soci della stessa “Cellina”, e soprattutto la
“Società per lo sviluppo delle imprese
elettriche” della BCI.
 Della società fu promotore e organizzatore
Giuseppe Volpi, uomo d’affari veneziano che
svolse poi un ruolo cruciale anche nella vita
pubblica del paese.
GIUSEPPE VOLPI
e la Sade
 alcune indicazioni biografiche...
 dalle 300mila lire di capitale iniziale (1905)
ai 22,5 milioni del 1914: vale a dire una
capitalizzazione superiore a quella della FIAT
 la strategia della crescita:
- tra finanza e razionalizzazione impiantistica
- il rastrellamento delle concessioni e la
costruzione della rete (Mestre, Stra, Padova,
Vicenza,Verona, Treviso, Belluno, Udine,
Rovigo; e poi Ravenna, Forlì, Bologna...)
 LA SADE DELLE ORIGINI:
- un obiettivo “fallito”? vale a dire la
elettrificazione di tutte le regioni adriatiche.
Sì e no…
- più che una “impresa”, essa fu una sorta
di confederazione tecnico-finanziaria o, se
vogliamo, una holding che subito si orientò
a business apparentemente eterogenei,
poi sempre integrandoli nel ciclo della
produzione e della distribuzione di energia
elettrica
 G. Volpi fu uno degli attori nella paziente
costruzione di una lobby “elettrica”, in grado di
condizionare l’azione governativa nel settore.
 Il governo (e cioè lo Stato) aveva più che una
voce in capitolo, dato che l’attività elettrica
sfruttante le risorse idriche demaniali era
sottoposta allo strumento della “concessione”, e
quindi a una rigida disciplina pubblica.
 Volpi costituì una solida alleanza con le altre
grandi concessionarie interregionali (Edison,
SIP, SME), entrando nei loro Consigli di
Amministrazione, e chiamando loro
rappresentanti nel CdA Sade.
 Giuseppe VOLPI, fu davvero il protagonista
della definitiva integrazione del “periferico”
capitalismo veneto con i grandi circuiti della
finanza nazionale, completando la strategia
avviata da A. Rossi e da V.S. Breda…
 Ma fu solo “integrazione”?
NO! giacché Volpi interpretò, e guidò, la
stagione della modernizzazione italiana:
ovvero il passaggio dall’industria tradizionale
ai settori avanzati, in quel momento
rappresentati dall’industria elettrica e dalla
nascente industria chimica.
PORTO INDUSTRIALE DI VENEZIA
(località Marghera)
1917-1922
 Un momento cruciale della modernizzazione
italiana interpretato da Volpi fu la
realizzazione del Porto Industriale di Venezia.
 Si trattò dell’esito ultimo di un lungo dibattito
sulla rinascita del capoluogo lagunare, ancora
alla ricerca di una perduta identità…
 Febbraio 1917: Volpi dà vita al “Sindacato di
studi per imprese elettro-metallurgiche e navali
nel Porto di Venezia”…
 Questo “Sindacato” aveva una composizione
molto articolata, risultato delle alleanze che
Volpi aveva saputo costruire. Oltre alla SADE
ne facevano parte: “Cellina”, Soc. veneta di
navigazione a vapore, Soc. Veneta per
costruzione ed Esercizio ferrovie secondarie,
Franco Tosi, Officine di Battaglia, Savinem,
Almagià, Società italiana di costruzioni, Credito
Industriale, Pile Pilla e un variegato numero di
capitalisti e finanzieri privati.
 Giugno 1917: l’attività del Sindacato,
essenzialmente gruppo di pressione nei
confronti delle autorità governative e del
Parlamento, venne di fatto superata dalla
costituzione della “Società Porto Industriale
di Venezia”, con un numero di soci
decisamente incentrato sulla finanza del
Nord-Ovest (il c.d. triangolo industriale
Milano-Torino-Genova), ma con la
riconosciuta leadership di Volpi.
 La costituzione di tale Società era la prova
palese dell’accordo che Volpi aveva raggiunto
con il governo, dal quale egli aveva ottenuto il
“via libera” alla realizzazione del Porto
Industriale. Un successo che testimoniava del
peso politico da questi ormai raggiunto.
 Fu infatti alla “Società Porto Industriale” che il
governo affidò la concessione a costruire e
gestire il Porto Industriale, anche se il braccio
operativo fu poi rappresentato da una nuova
società (“Società cantieri navali ed acciaierie”),
creata a fine 1917.
 La “Società cantieri navali ed acciaierie”,
vedeva tra i soci, oltre alla SADE in posizione
minoritaria, la Terni, l’Ilva, le Acciaierie di
Piombino, l’Ansaldo, la Franco Tosi ecc., vale
a dire le più importanti aziende siderurgiche
del paese.
 Nel Consiglio di Amministrazione erano
personalmente presenti, assieme ovviamente
al Volpi, i loro capi, ovvero gli esponenti di
punta del capitalismo italiano dell’epoca:
Max Bondi, Dante Ferraris, Pio Perrone,
Rocco Piaggio, Giovanni Orlando ed
Eugenio Tosi. Il “sogno” di Rossi era ora
compiuto!
 L’operazione implicava un forte intreccio
capitale privato-Stato: non casualità, ma esito
ultimo delle capacità aggregative del Volpi…
 Tale intreccio si esplicò non tanto nella
concessione a “costruire e a gestire”, già
presente sia nelle concessioni ferroviarie
ottocentesche, sia nei servizi “a rete” degli
enti locali, quanto attribuendo ad un soggetto
privato (e cioè’ alla “Società Porto
Industriale”) un “potere pubblico”, vale a dire
la potestà di esproprio diretto dei terreni
necessari all’operazione.
 La guerra, o meglio la rotta di Caporetto,
interruppe la realizzazione del progetto.
La stessa Venezia era direttamente
minacciata dal pericolo dell’avanzata austrotedesca.
Bisognò attendere la fine della guerra, con la
vittoria italiana e la capitolazione degli Imperi
centrali, perché l’operazione potesse davvero
decollare.
La realizzazione del Porto
 1919: avvio dei lavori
 1922: primi stabilimenti
 in un decennio (1922-1932): gli investimenti
produttivi passarono da 22,5 milioni di lire a
514 milioni, con un trend di crescita che già
prefigurava la Marghera del dopoguerra, e
cioè una delle maggiori concentrazioni del
paese in termini di valore aggiunto per
addetto.
 il significato? Si trattava della prima vera
pianificazione territoriale europea di un
insediamento industriale !
 a fine 1932 l’area già contava 60 stabilimenti,
con 5.500 addetti, e 24.000 HP di potenza
(4,3 HP/addetto: una delle più elevate d’Italia)
 era approdata in Veneto l’industria ad alta
intensità di capitale, mutando decisamente la
composizione settoriale della regione…
IL PORTO INDUSTRIALE DI VENEZIA
DIVENTAVA COSI’ IL TERMINALE
DELLA GRANDE INDUSTRIA
DEL NORD-OVEST
all’epoca,
l’apparato produttivo consisteva in:
 11 stabilimenti chimici
 16 impianti siderurgici e cantieristici
 3 stabilimenti per la raffinazione del petrolio
 2 impianti termoelettrici…
 e poi imprese attive nell’edilizia, nelle
lavorazioni alimentari, nei trasporti, e nei
pubblici servizi
 significativa presenza di un indotto
industrializzante…
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