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I figli tirannici: istruzioni per l`uso

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I figli tirannici: istruzioni per l`uso
I figli tirannici:
istruzioni per l’uso
di Silvia Vegetti Finzi
psicologa clinica e scrittrice
intervento alla Scuola Genitori di Milano
7 febbraio 2013
TRE PREMESSE
1. QUESTO NON È UN MONDO PER BAMBINI
Su un muro di una stazione della Metropolitana Milanese si legge: “IL FUTURO
NON È PIÙ QUELLO DI UNA VOLTA!”.
È vero, ma neppure il presente assomiglia al passato di una volta! Rispetto
all’infanzia degli anni Sessanta o Settanta, che più o meno hanno vissuto gli attuali
genitori, quella dei loro figli è radicalmente diversa: molte cose sono cambiate. E
non sempre in meglio.
Se padri e madri (senza parlare dei nonni) troveranno il tempo e la voglia di
confrontare la loro infanzia con quella dei figli, capiranno molte cose, si
renderanno conto che questo non è un mondo per bambini, e diventeranno più
comprensivi nei loro confronti.
L'ambiente è sempre meno favorevole alla crescita dei piccoli. Il contatto con la
natura è sporadico e ipercontrollato: “Stai fermo, non ti muovere, sali in macchina,
guarda il mondo dallo schermo Tv che è meno pericoloso!”.
Questa è la prima generazione che non conosce le ginocchia sbucciate!!
Fanno tutti molto sport, ma i movimenti spontanei, i rischi, la scoperta del proprio
corpo e del mondo circostante sono per lo più inibiti.
La scuola a tempo pieno, i compiti a casa (troppi!), le attività del “tempo libero”, che
di libero ha ben poco, non lasciano ambiti al gioco, alla fantasia, al sogno.
I “bambini cattivi” sono spesso bambini, stanchi, intossicati per la mancanza di
tempo vuoto, di spazi aperti, di incontri spontanei, di possibilità di provare,
rischiare e, talora, sbagliare per, infine, ricominciare (resilienza).
Non basta adattare i minori a una società che non li prevede, che li considera più
che altro in termini di potenziale di spesa; così come non è sufficiente modificare
la nostra relazione con loro, come propongono gli psicologi. Occorre anche
migliorare, in tutti i sensi, l'ambiente in cui vivono, nella consapevolezza che un
mondo a misura di bambino va bene per tutti.
I genitori, come intermediari tra passato, presente e futuro, possono essere i
migliori operatori di cambiamento.
2. I GENITORI CONOSCONO I LORO FIGLI MEGLIO DI OGNI ALTRO
Questa sera, grazie all'amico Daniele Novara, sono qui con voi in qualità di esperta,
come amo definirmi, “bambinologa”, ma non pretendo di darvi ricette
sull’educazione dei vostri figli, di insegnarvi come comportarvi in “quella
particolare occasione”. Quello che posso fare è mettere a fuoco alcuni problemi,
tratteggiare linee di sviluppo, comunicarvi le convinzioni che ho sviluppato dai
miei studi e dall’esperienza familiare e professionale.
Credo che il dialogo serva a rompere la solitudine in cui si trovano molte famiglie,
e a rendere più competenti i genitori: attivare le loro conoscenze, tenendo conto
che stanno crescendo le nuove generazioni in un mondo che ha perso i riferimenti
della tradizione e non ne ha ancora forgiati dei nuovi. È giusto acquisire
conoscenze, affinare le sensibilità ma, in ultima analisi, solo voi genitori siete i veri
e unici competenti sui vostri figli. Voi che li amate, che li avete messi al mondo e
cresciuti nel modo migliore possibile. Solo voi potete trasformare conoscenze
generali in comportamenti educativi idonei per quel bambino, in quel preciso
momento della sua e della vostra vita.
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Ci vuole coraggio per assumere il ruolo di genitore, per accettare la sfida che un
figlio comporta.
Probabilmente qualche volta avete sbagliato, come tutti, ma state tranquilli: i
bambini, e gli adolescenti, capiscono molto bene se avete agito in buona fede e, in
quel caso, sanno essere molto indulgenti nei vostri confronti.
Credo che in questa sala siano presenti anche molti insegnanti, ai quali dedico,
oltre a una espressione di gratitudine profonda per l'ottimo lavoro che svolgono in
condizioni non certo favorevoli, il verso scherzoso di un giovane professore: “Per
insegnare il latino a Giovannino, occorre conoscere il latino... e anche Giovannino”.
3. BAMBINI TIRANNICI NON SI NASCE, SI DIVENTA
Infine non credo che i bambini “tiranni” siano diversi dagli altri, che siano tali per
predisposizione o per temperamento. Si pensa sempre che il piccolo despota
abbia un carattere forte e impositivo, un “caratterino”. Ma ci si può porre al centro
della vita familiare anche facendo le vittime, ammalandosi di disturbi
psicosomatici, lamentandosi sempre.
I bambini che comandano sono diventati tali perché crescono in una famiglia che
lo consente e, al limite, lo richiede. Spesso la coppia non è più una coppia e il figlio
costituisce l'unico punto d'incontro, l’unico motivo per comunicare, per cui si parla
attraverso di lui e di lui.
Non mi soffermerò quindi ad analizzare la personalità del figlio prepotente ma vi
mostrerò piuttosto quali sono le condizioni che favoriscono la prevaricazione
infantile. La mia attenzione è diretta soprattutto a descrivere le posizioni che
ciascuno occupa nella famiglia: la geometria della famiglia e le relazioni che si
stabiliscono tra i suoi vertici.
La famiglia è un sistema unitario, una scacchiera ove ogni mossa può cambiare la
partita intera. Le dinamiche che collegano i suoi membri sono interconnesse e,
anche se non sembra, li coinvolgono tutti.
Da quando la famiglia patriarcale ha modificato la sua conformazione, nulla è più
come prima. Sino a pochi decenni fa lo schema della famiglia era un triangolo con
al vertice il padre. Ma da quando è entrato in vigore il Nuovo Codice di Famiglia, nel
1975, e la patria potestà è stata attribuita a entrambi i genitori, quel modello non
esiste più se non come residuo storico o perché importato dall'immigrazione. Il
film dei fratelli Taviani Padre padrone, del 1977, ne celebra la fine attraverso la sua
trasformazione in mito.
Ora, in quella che viene definita la “società liquida”, esistono tante forme di
famiglia, plastiche, duttili, mobili e complesse. Ne delineerò tre, tre modelli di
riferimento che non corrispondono, sia chiaro, a nessuna famiglia reale, perché la
realtà è sempre molto più articolata e complessa rispetto alle sue stilizzazioni.
Ma ciascuno potrà ritrovarvi alcuni tratti del suo modo di vivere e interagire.
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TRE FORME DI FAMIGLIA
Il primo modello è quello della FAMIGLIA PARITETICA, dove tutti si comportano
come fratelli.
Il secondo è quello della PIRAMIDE ROVESCIATA, dove il posto dei genitori è
occupato dai figli.
Il terzo è quello in cui I GENITORI SI IMMEDESIMANO A TAL PUNTO NEI FIGLI DA
annullare ogni distanza e FONDERSI CON LORO.
Per introdurre il tema, ho pensato di ricorrere a una rappresentazione artistica
perché, come dice Freud: “Sulla via della verità gli artisti ci precedono sempre”.
Vi invito quindi a rivedere alcuni spezzoni di film sui “bambini terribili”: io li ho
presi da alcune sequenze di Caro Diario, il film di Nanni Moretti uscito nel 1993, in
particolare dal secondo episodio Isole, la parte relativa alla sosta a Salina (sono 10
minuti di spezzone).
LE FAMIGLIE DOVE CRESCONO PICCOLI TIRANNI
La FAMIGLIA PARITETICA
Il primo modello è costituito dalla famiglia paritetica dove tutti si comportano
come fratelli, come coetanei.
In questo tipo di famiglia circolano affetto, tenerezze e premure, ma è come se
tutti si equivalessero. Nessuno dei genitori vuole fare la parte del cattivo,
rinunciare per un attimo a essere amato, sottrarsi alla competizione per l'affetto
dei figli. In quel “campo giochi” mancano le regole, le modalità di comportamento
sono affidate ai bambini, ai loro contradditori desideri, al caso e alla contingenza.
Esempio di rapporti paritetici:
La madre sta sgridando il figlio disordinato. Da un’altra stanza il padre interviene
rimproverando entrambi con tono distante e rassegnato: “Non litigate!!”. Come se
madre e figlio fossero sullo stesso piano, inseriti in un contesto dove l'uno vale l'altro.
Nelle famiglie orizzontali i bambini piccoli sono incoraggiati troppo precocemente
all'indipendenza: “Che cosa vuoi mangiare?”, “Che vestito scegli questa mattina?”.
“Andiamo a nanna?”. L'autonomia non è autodeterminazione, non è fare di testa
propria. In realtà i bambini non sono mai soli, vivono in un contesto sociale, in un
gruppo, e devono imparare a superare l'individualismo e l'egocentrismo infantili.
Da piccoli non sono in grado di decidere con la loro testa che cosa è giusto o
ingiusto, opportuno o meno. L'autonomia ha bisogno di regole di riferimento per
non diventare anarchia.
Accade che i bambini affidati a se stessi, privi di principi e di norme, spaventati
dalle conseguenze dei loro comportamenti, decidano di controllarsi da soli ma,
poiché il loro Super-io è immaturo, assoluto e tirannico, finiscono per farsi
travolgere dai sensi di colpa e per punirsi sino all'autolesionismo.
Emma, 7 anni, picchia la testa contro il muro ogni volta che sbaglia. Fabio, 12 anni, si
strappa le ciglia per punirsi di disprezzare il padre, licenziato per furto. Elena piange e
si dispera convinta che i genitori si siano separati per colpa sua.
Le regole devono essere poche, motivate, modificabili col procedere dell’età dei
ragazzi, coerenti e testimoniate dal comportamento dei genitori.
Dite quello che fate, e fate quello che dite!
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Se vogliamo che le norme siano tali, e non semplici consigli o suggerimenti,
devono però prevedere opportune sanzioni quando vengono trasgredite. Non si
tratta certo delle crudeli sanzioni di un tempo, come stare a lungo inginocchiati
sui ceci, ma di una equilibrata riparazione.
Naturalmente le sanzioni hanno senso solo se i bambini hanno raggiunto una
certa coscienza morale. Sino a 3 anni, quando fanno i capricci, basta distrarli,
portarli altrove o abbracciarli dolcemente se sono in collera.
Progressivamente si può far constatare al bambino il danno prodotto (ad esempio
sporcare il muro della cameretta) e aiutarlo a rimediare, magari lavando la parete.
Se ha offeso un compagno deve chiedergli scusa, se ha preso una cosa non sua
deve restituirla riconoscendo di essersi comportato male. L'importante è che la
contestazione sia immediata e la “riparazione” avvenga quasi simultaneamente
all'errore.
I bambini non vanno mai picchiati perché le botte addestrano ma non educano.
Possono ottenere che il bambino si comporti bene per paura, non per intima
convinzione.
Solo dai 7 anni il bambino si sente responsabile delle sue azioni e capisce che la
colpa risiede nell'intenzione, più che nel danno, che potrebbe anche essere
involontario. Prima può credere che rompere quattro bicchieri inavvertitamente
sia più grave che romperne uno intenzionalmente, per rabbia.
Inoltre le sgridate non devono mai umiliare il bambino o colpirlo come persona,
non farebbero altro che convincerlo che è cattivo, sbagliato, indegno di essere
amato. Poiché l'errore non risiede in quello che un bambino è ma in quello che fa,
è bene che le prediche non riguardino l'essere ma il fare, l'azione non il soggetto.
Di conseguenza, meglio evitare espressioni come: “Sei sempre il solito!”, “Non
cambierai mai!”, “Mi hai deluso!”. E così pure: “Me ne vado”, “Ti lascio solo”, “Non ti
voglio più bene”.
L'amore non è oggetto di contratto o di ricatto.
Aldo, 9 anni, ha imitato la firma del padre per nascondergli una nota sul diario
inflittagli per l'ennesima distrazione. Dice che non voleva dargli un dispiacere.
Che fare? La prima volta occorre spiegargli che è sempre meglio dire la verità,
anche per chiudere la questione ma, se rifà lo stesso errore, è necessario punirlo.
Altrimenti penserà che la fortuna aiuta i furbi e si confermerà nell'inganno. La
punizione sarà ovviamente proporzionale alla colpa.
Ma solo voi genitori sapete dove e come intervenire, quali soddisfazioni colpire.
Se la punizione è motivata e compresa, e il genitore mantiene un atteggiamento
amorevole, il ragazzo sente che si può chiudere la partita, che ha pagato la sua
colpa e ora può collocare quella disavventura nel passato, senza esserne
ossessionato.
Vale la pena ribadire che le regole non sono sempre e solo negative, non
costituiscono necessariamente sbarre che imprigionano ma cornici che
inquadrano e orientano i comportamenti.
Per i bambini e gli adolescenti, che vivono ancora sotto il segno della onnipotenza,
i limiti sono al tempo stesso un ostacolo e una sicurezza: chiedono di essere
rispettati e, a tempo debito, superati.
Verrà poi un momento in cui l'adolescente si permetterà di fare qualche cosa che i
genitori non vorrebbero che facesse. Anche questo fa parte dei compiti di crescita.
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In alcuni casi non compie nulla di male (Fabio stringe amicizia con un compagno
africano contro il parere dei suoi) altre volte invece sgarra davvero e allora si tratta
di discuterne insieme e, in caso di recidiva, di sanzionare il comportamento che si
ritiene sbagliato. Anche in questi frangenti i genitori si comportino da genitori e i
figli da figli.
La famiglia affettiva tende invece a delegare l'aspetto disciplinare dell'educazione
(il meno piacevole) agli insegnanti che, per far funzionare la comunità “classe”,
sono costretti a imporre regole, divieti e, talvolta, punizioni. In tal modo rischiano
di risultare insopportabili agli allievi.
La contrapposizione tra famiglia indulgente e scuola severa può rendere gli alunni
oppositivi, ribelli, scarsamente motivati all'apprendimento. Spesso la scuola è
sentita come oppressiva e irragionevolmente punitiva, se confrontata alla famiglia
permissiva, alla famiglia “sì”. Una famiglia troppo buona, dove tolleranza,
indifferenza e quieto vivere, spesso si confondono.
In controtendenza verso una eccessiva indulgenza, in contrasto con un’educazione
ideologicamente antiautoritaria, si propone in questi anni la pedagogia del “no”.
Ecco alcuni titoli di libri per educatori: Il no positivo; I no che aiutano a crescere; Se
mi vuoi bene dimmi di no; Come insegnare l'autodisciplina.
Ma l'autodisciplina non è una materia d'insegnamento, è una conquista della
maturità e la si apprende attraverso l'esperienza e l'esempio, non con le prediche.
Vi confesso che guardo con preoccupazione e un modello educativo disciplinare,
basato sul no, che non riconosce le istanze vitali insite nelle richieste infantili e
persino... nelle trasgressioni adolescenziali! Alla fine tutte le norme provocano
eccezioni, si modellano sulle circostanze.
La mia proposta è allora di prediligere - tra il “sì” e il “no”- il “sì, ma...” una terza via
che apre all'ascolto, al dialogo, alla contrattazione, alla mediazione.
In ogni caso i genitori devono mantenere una posizione verticale rispetto ai
figli, non perché sono autoritari (“Si fa così perché lo dico io!!!”) ma perché sono
autorevoli.
E l'autorevolezza non s'impone con la forza, né si difende con il potere ma la si
riceve come riconoscimento di un comportamento corretto e coerente rispetto
agli altri e a se stessi.
Molti genitori ritengono di essere aperti e democratici (soprattutto i padri)
ponendosi su un piano di amicizia rispetto ai figli adolescenti. Ho udito tanti padri
dichiarare: “Sono il miglior amico di mio figlio”, ma non ho mai udito un ragazzo
dichiarare: “Sono il miglior amico di mio padre”.
Ciò non toglie che possano e debbano fare insieme tante cose: condividere un
hobby, uno sport, un tifo, giocare e sfidarsi. Ma sempre mantenendo la propria
posizione, riconoscendo la dissimmetria delle generazioni. Non va bene, ad
esempio, che si chiamino per nome, che si scambino termini oltraggiosi, anche se
apparentemente innocui e colloquiali, come “Ma sei scemo ?”.
La FAMIGLIA A PIRAMIDE ROVESCIATA
Il secondo modello è rappresentato dalla famiglia a piramide rovesciata, dove il
figlio prende il posto del genitore: dorme nel lettone, viene interpellato per
questioni più grandi di lui, si assume responsabilità che non gli competono.
Spesso i coniugi si disprezzano a vicenda, non riconoscono la posizione genitoriale
dell'altro e preferiscono sostituirlo con il figlio o la figlia.
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Troppo precocemente adultizzato, il figlio fuori posto stenta a trovare una propria
autonomia: rimane un adulto bambino.
Capita anche, come racconta Nanni Moretti, che il figlio sia posto sull'altare di
famiglia, che sia trattato come una divinità domestica alla quale tutti si devono
inchinare con devozione. I parenti e gli amici di famiglia sono costretti a sorbirsi
dettagliati resoconti dei suoi sviluppi (si è tolto il pannolino, usa il cucchiaio, ha
pronunciato la prima frase). Mai che venga in mente che le stesse cose capitano a
tutti.
Crescendo pretenderà la stessa ammirazione e, non ricevendola, sentirà ferita la
sua esagerata autostima. Un eccesso di gratificazioni si traduce spesso in un
eccesso di frustrazioni. Nel caso di genitori separati, è frequente che la casella
lasciata libera da quello non convivente sia occupata dal figlio o dalla figlia.
Fin da piccolo Luigi, quando il padre è in viaggio di lavoro, s’infila nel letto
matrimoniale accanto alla madre. Ora, che ha 12 anni, e che nessuno riesce a
spostarlo di peso per portarlo addormentato nella sua cameretta, il padre si è
rassegnato a dormire lui nella stanza del figlio.
Leggete cosa dicono poi, da grandi, i figli costretti dalle circostanze ad assumere la
parte del partner mancante: si tratta del racconto di un adulto che ricorda, con
dolore, di aver dovuto occupare il posto lasciato vacante dal padre per sostenere
la madre, eterna bambina viziata (da S. Vegetti Finzi, Quando i genitori si dividono.
Le emozioni dei figli, Oscar Mondadori, Milano 2005).
I GENITORI CHE SI IMMEDESIMANO A TAL PUNTO NEI FIGLI DA FONDERSI CON
LORO
La terza conformazione di famiglia a rischio figlio tiranno è quella dove i genitori
s'immedesimano nel figlio: genitori che non tollerano di vederlo deluso o
frustrato, che sono sempre e comunque dalla sua parte, che si comportano da
irragionevoli “sindacalisti” della loro preziosa creatura.
Spesso stanchi, delusi, privi di prospettive personali (di questi tempi è tutt'altro
che raro), si identificano totalmente coi figli, con i loro impulsi, con le loro
insofferenze, con i loro problemi.
Incapaci di guardarli con distacco, di assumere,se è il caso, un punto di vista critico,
di osservarli con ironia, di distinguere ciò che avrebbero fatto loro da ciò che ha
fatto lui. Sanno solo confermarli.
Il bambino diventa allora un prolungamento dei genitori, uno strumento di
compensazione o di autorealizzazione.
Se assomiglia a me è bravo, pensa il genitore tutt'uno col figlio, se è diverso da me mi
preoccupa, non va bene, non mi piace. Ad esempio, un padre attivo ed efficiente si
irrita di fronte a un figlio introverso, sedentario e malinconico che, sentendosi
disprezzato, cercherà in ogni modo di contrastare quello che è il suo
temperamento. A costo di scoraggiarsi e di perdere fiducia in se stesso.
Dobbiamo ricordarci che il figlio è un “altro” rispetto ai genitori, sempre diverso da
come lo avevamo sognato, e va compreso e amato nella sua singolarità. Non
costringiamolo a vivere per procura!
Le depressioni in età evolutiva, persino nella prima infanzia, sono spesso il frutto di
richieste indebite o eccessive.
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L'iperprotezione dei figli rende spesso le famiglie ostili alla scuola, agli insegnanti,
e sospettose dei coetanei dei ragazzi perché temono che il gruppo dei pari li
allontani da loro, li renda diversi da come li avrebbero voluti.
In nome della loro felicità (come se si potesse dire che cosa sia la felicità degli altri!)
li manipolano in ogni modo. Di conseguenza isolano il figlio che vorrebbero
aiutare, lasciandolo privo di riferimenti e di confronti extrafamiliari, necessari per
raggiungere l'autonomia e l'indipendenza.
Il genitore che amministra la vita del figlio senza concedergli margini di libertà,
come fosse una sua proprietà, è anche quello pronto a difenderlo a spada tratta
rifiutandosi di ammettere che possa sbagliare.
Sono gli stessi genitori che si schierano immediatamente contro tutti coloro che si
oppongono al volere delle loro creature. Sono cittadini affetti da un “familismo
proprietario” che non conosce il senso della Scuola e dello Stato.
Esempi tratti da recenti episodi di cronaca: madri all'assalto della discoteca che
aveva respinto i loro ragazzi; difesa del figlio che ha problemi di apprendimento
rispetto agli insegnanti (non spiegano bene!) e ai compagni (lo distraggono).
Difficile trovare un genitore che riconosca il bullismo del figlio (non è colpa sua, lo
provocano, lui poverino si difende). Quando un insegnante, parlando con un
genitore, formula qualche critica sull'alunno, si accorge ben presto che padre e
madre si sentono coinvolti in prima persona, come se stesse valutando loro, non il
ragazzo.
Spesso questi figli, invasi dai genitori, svolgono una funzione di compensazione.
Viviamo anni difficili: il futuro è collassato, il lavoro, scarseggia, le prospettive
latitano. Di conseguenza viene spontaneo operare un iperinvestimento sui figli, di
attendersi da loro il successo che non abbiamo raggiunto noi.
Si cerca in ogni modo di garantire loro condizioni privilegiate, in vista di una ardua
competizione lavorativa. Il curriculum di un giovane americano valorizza persino
la scuola materna.
Ma quali competenze saranno più apprezzate in futuro? C’è molta enfasi sulla
meritocrazia, ma di quali meriti si tratta? Bastano le tre “I” della Moratti: Internet,
Inglese, Impresa? I primi due dovrebbero certo essere acquisiti da ciascuno, ma vi
sono meriti che non possono essere definiti e valutati con altrettanta facilità.
“NON CONTA SOLO QUELLO CHE SI PUO CONTARE” sta scritto su un muro
dell'Università di Cambridge. In una società fondata sull'individualismo, non si
possono imporre parametri generali, validi per tutti. Importante è valorizzare le
disposizioni e i talenti personali, incentivare la creatività, insegnare la capacità di
lavorare con altri, di ammettere le frustrazioni, di rischiare, accettando di sbagliare
per poi ricominciare.
Vedo invece diffondersi il rischio che i genitori si sostituiscano ai figli: che scelgano
per loro la scuola, la lingua straniera, gli amici, lo sport, i viaggi, la professione; che
centellinino i margini di autonomia dei ragazzi, “per il loro bene” naturalmente.
Ma in queste famiglie il “noi” e il “loro” si confondono.
L'eccesso di aspettative, di risultati eccellenti può provocare sentimenti di
inadeguatezza: non ce la faccio a essere come voi mi volete! Emerge, in questa
tarda modernità, un sentimento che si credeva scomparso: la vergogna.
Mentre nella società autoritaria l'imperativo interiore era “Non devo”, ora è
piuttosto: “Non posso”, nel senso di “non ce la faccio a essere come mi volete”.
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L'ideale irraggiungibile diventa facilmente persecutorio.
Di conseguenza sta emergendo un nuovo tipo di nevrosi che è il contrario della
ribellione sessantottina. Un male di vivere contraddistinto dalla passività che si
esprime come ritiro dalla competizione, inattività, isolamento, caduta del
desiderio, nessuna richiesta: una morte a piccole dosi.
Anche questa è una forma occulta di dittatura filiale perché coinvolge i genitori
emotivamente, li costringe a immedesimarsi nel rifiuto esistenziale del figlio che li
preoccupa, li colpevolizza e li deprime. “Dove ho sbagliato?” si chiedono senza
trovare una motivazione convincente perché è difficile ammettere di “amare
troppo”, di essere vicini al figlio sino a colludere con lui.
Credo che l'antidoto consista nel concedere progressivamente ai ragazzi fiducia,
autostima (senza inflazione di lodi), libertà, autonomia, indipendenza,
responsabilità.
Ancora una scritta letta su un muro di periferia: “POSSIAMO FARE A MENO DI
TUTTO, MA NON DEL DOMANI”.
E il domani è dei giovani!
Ogni generazione, anche nei momenti più difficili (pensiamo al dopoguerra) ha
sempre trovato in sé le risorse per superare i problemi del proprio tempo. Non c'è
ragione di considerare quest'ultima come una eterna minorenne da affidare per
sempre a un tutore. Se è difficile stare accanto a un bambino che cresce è ancor
più difficile lasciare che pian piano si allontani da noi, che diventi se stesso.
Non sequestriamo quindi l'avvenire ai veri detentori del futuro: i giovani.
Il futuro è una dimensione del tempo che non c'è: per esistere, prendere forma,
deve essere animato dal desiderio, prefigurato creativamente in vista di una sua
possibile (anche se non garantita) realizzazione.
MA PER COSTRUIRE IL FUTURO OCCORRE ACCETTARE L'ATTESA, SAPERE
ASPETTARE SENZA DI-SPERARE. Purtroppo la pazienza non ha spazio nel mondo
della fretta, è una virtù che non abita più qui. Eppure, come scrive Oscar Wilde: “Se
si dovesse costruire la casa della felicità, la stanza più grande sarebbe la sala l'attesa”.
Ma perché i giovani attendano, anche nel senso attivo di “attendere a”, che si
occupino in prima persona del loro futuro, senza delegarlo ad altri, occorre che,
nella staffetta della vita, gli adulti siano disposti a concedere loro il testimone, che
lo detengano nelle loro mani, che a tempo debito ne abbiano il possesso e la
responsabilità.
Due cose devono dare i genitori ai loro figli:
SALDE RADICI PER CRESCERE E ALI PER VOLARE LIBERI.
È con questo augurio che vi ringrazio e, salutandovi, auguro a tutti: BUONA VITA!
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