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LA PIANIFICAZIONE FISCALE
INTERNAZIONALE (PFI)
Definizione
La pianificazione fiscale internazionale o tax planning
può essere definita come il complesso di iniziative di
organizzazione sul piano operativo da parte di
imprese, al fine di rendere ottimale, per le imprese
stesse, l’onere fiscale che ne consegue, considerando
le caratteristiche dei singoli ordinamenti tributari e
dell’ordinamento tributario internazionale in cui
operare, le interrelazioni fra gli stessi, le possibilità
che l’ottimizzazione dell’onere fiscale possa essere
conseguenza del lecito utilizzo delle differenze e
delle interconnessioni fra gli ordinamenti.
Si tratta del complesso di scelte relative alla
adozione di assetti negoziali e organizzativi
volti alla crescita della competitività
internazionale delle imprese, attraverso
l’ottimizzazione del carico fiscale.
I processi di globalizzazione in atto, infatti,
spingono sempre più le imprese a
promuovere la propria attività all’estero.
Obiettivo
L’obiettivo tipicamente perseguito attraverso il
tax planning consiste nella individuazione
delle discipline fiscali di favore esistenti in
alcuni paesi, nella determinazione degli
assetti contrattuali o societari che permettano
di ridurre il peso delle imposte sul reddito
d’impresa e, conseguentemente, nella
localizzazione dell’attività produttiva o
commerciale nei territori ove vige il regime
fiscale favorevole.
Obiettivo
Ottenere legittimamente la
massima possibile riduzione del
carico fiscale globale.
Pertanto, la PFI non configura
alcuna ipotesi di evasione o di
elusione.
La pianificazione fiscale è di per sé
attività perfettamente legittima, anzi
auspicabile, se non, molto spesso,
necessaria, quale parte della
pianificazione aziendale.
Una buona pianificazione aziendale deve, infatti,
tenere conto anche della ottimizzazione dell’onere
derivante dall’adempimento degli obblighi tributari;
onere che deve essere inteso non soltanto come
quello derivante dal pagamento del tributo, ma anche
come quello derivante dagli adempimenti strumentali
al pagamento stesso e dagli oneri di natura
finanziaria connessi all’eventuale discostarsi del
momento dell’effettivo pagamento o del rimborso
dell’ imposta pagata e non dovuta, rispetto a quello
in cui l’adempimento avrebbe dovuto essere
eseguito (connected requirements).
PFI come parte della
pianificazione aziendale
1.
2.
3.
4.
Effettuare la pianificazione fiscale delle
imprese o dei gruppi di imprese significa:
analizzare l’ambiente in cui tale attività
deve svolgersi;
definire gli obiettivi che si vogliono
conseguire;
identificare le modalità mediante le quali
conseguire gli obiettivi;
predisporre i mezzi necessari al loro
conseguimento.
Le scelte di allocazione dell’attività di impresa
sono rimesse al giudizio dell’imprenditore, che
è in linea di massima insindacabile
dall’esterno.
La libertà di scelta dei modi in cui organizzare
e localizzare l’impresa sono particolarmente
tutelate nella UE e tutelate dalla Corte di
Giustizia anche con riferimento ai rapporti
tributari.
La PFI e la competizione fiscale
tra Stati (Tax competition)
La PFI trova il suo humus nelle
differenze degli ordinamenti impositivi
che possono in buona parte dipendere
dalla concorrenza fiscale che si può
sviluppare tra gli Stati.
Gli Stati possono essere sollecitati dalla
necessità di tutelare il risparmio, così come
dalla possibilità di attrarre investimenti a
tutela della integrità del loro bilancio.
La concorrenza fiscale, quindi, non è fatto
tipico della contrapposizione esistente tra
Paesi in via di sviluppo e Paesi sviluppati, ma
è estesa anche agli ordinamenti dei Paesi
sviluppati.
Gli squilibri devono essere superati dagli ordinamenti
mediante l’allineamento normativo che tolga
caratteristiche di particolare attrazione ad istituti
come le Holdings o a strumenti imperfetti per evitare
le doppie imposizioni come in alcuni casi il credito di
imposta, pure eventualmente salvaguardando quegli
aspetti della competizione che possono essere definiti
virtuosi in quanto stimolanti provvedimenti di
allineamento da parte di Paesi che si discostano dal
più generale utilizzo degli strumenti di imposizione.
La competizione fiscale trova un
ammortizzatore quando si manifesta tra Paesi
aderenti ad organizzazioni regionali di Stati
con avanzate caratteristiche di integrazione
economica e politica, quali l’Unione Europea,
soprattutto in considerazione della finalità
primaria per il raggiungimento della quale
l’organizzazione è stata creata.
Esempio: La limitazione ed il controllo
degli aiuti di Stato anche sotto forma di
vantaggi fiscali è materia che attiene
alla tutela della concorrenza ma che
incide sulla valutazione dell’onere
fiscale.
E’ da notare che nell’ambito della Commissione Affari
Fiscali dell’OCSE è maturato un cambiamento di
strategie per contrastare la competizione fiscale,
puntando soprattutto su di un efficace sistema di
scambio di informazioni e sulla evidenza di
condizioni normative che assicurino la trasparenza
delle organizzazioni e dell’attività dei soggetti in
condizioni di avvalersene, piuttosto che su norme
penalizzanti nei confronti di soggetti che operano con
residenti in Paesi inclusi nelle cosiddette black lists.
Il tax planning presuppone l’accurata
disamina e applicazione delle norme
giuridiche interne dedicate alle operazioni
internazionali e delle disposizioni contenute
nelle convenzioni internazionali, nonché le
spesso complesse e contrastanti
interpretazioni della giurisprudenza, della
dottrina, e dell’amministrazione finanziaria
circa la definizione di taluni istituti quali la
residenza, la stabile organizzazione.
È opportuno che tale attività sia svolta
congiuntamente da avvocati e dottori
commercialisti (occorrono sia
conoscenze economico-contabili che di
stretta interpretazione giuridica) per
ridurre il rischio di sanzioni penali.
Strumenti preventivi a disposizione dei
contribuenti, spesso poco utilizzati, sono le
varie forme di interpello (ruling) previste dal
nostro ordinamento.
Il mancato utilizzo dell’interpello, così come il
discostarsi motivato dalle risultanze infondate
dello stesso, non comporta una preclusione
alla difesa in sede penale, ma ne può
comportare soltanto una maggiore difficoltà.
Le scelte localizzative delle imprese
producono un impatto di carattere fiscale che
può depotenziare il prelievo dello Stato nel
quale risiede principalmente l’impresa.
Pertanto si riscontrano forme di resistenza
dell’ordinamento tributario nazionale nei
confronti della pianificazione tributaria
internazionale adottata dalle imprese ivi
residenti
Da un lato, emerge l’esigenza di contenere
l’ambito di fruizione dei vantaggi fiscali
dell’international tax planning al fine di
garantire l’integrità sostanziale del prelievo
tributario rispetto alla capacità contributiva
espressa dalle imprese residenti.
In questa prospettiva vengono riguardate con
particolare cautela tutte le scelte allocative
che possono generare veri e propri abusi
rispetto alle modalità ordinarie di produzione
del reddito di impresa.
Si tratta dunque di una serie di istanze
tutte riconducibili al valore dell’interesse
fiscale dello Stato comunità rispetto al
mantenimento di un flusso di entrate
tributarie idonee ad assicurare il
perseguimento degli scopi di utilità
collettiva.
Dall’altro, le ragioni di coerenza verso
l’ordinamento internazionale
impongono il rispetto della sovranità
fiscale degli Stati esteri e, pertanto,
inducono a mantenere una posizione
non aggressiva nei confronti dei
soggetti che aderiscono alle legislazioni
tributarie di favore esistenti in altri
paesi.
I limiti alla PFI derivanti dalle
norme antielusive
È da ritenersi sostanzialmente marginale
l’adoperabilità di clausole generali antielusione
per contrastare il fenomeno di possibili abusi del
treaty shopping (ricorso ad una persona interposta
che si inserisce nel rapporto tra l’interponente ed il
soggetto erogatore del reddito, al fine di
avvantaggiarsi di un trattato di cui altrimenti non
potrebbe beneficiare) o comunque della
localizzazione all’estero di attività di impresa.
Pur essendo diffuso il convincimento che tale clausola
sia in qualche modo presupposta dalle convenzioni
internazionali contro la doppia imposizione.
L’uso di formule ampie di contenimento
della facoltà di localizzazione all’estero
delle attività di impresa rischia di
essere inteso come una limitazione della
sovranità fiscale di altri Stati e, dunque,
come una inaccettabile lesione
dell’ordinamento internazionale.
Viene quindi privilegiato il ricorso a regole
specifiche di restrizione dei vantaggi fiscali
riconnessi ad operazioni di carattere
internazionale.
Le misure anti-abuso sono dunque stabilite
con riferimento ad atti o soluzioni
organizzative ben determinate, nei quali
si suppone un intento elusivo da parte delle
imprese volto a minimizzare artificiosamente
il carico fiscale.
Anche nell’ordinamento comunitario, allorché si è deciso di
avviare una decisa azione di contrasto alla concorrenza
fiscale dannosa mediante il contenimento delle discipline
fiscali privilegiate previste nei territori dell’Unione europea, si è
optato per una soluzione casistica (individuazione specifica
delle normative di favore da abrogare o comunque da limitare)
e non anche per l’introduzione di una clausola generale volta a
precludere gli effetti favorevoli della disciplina agevolata relativa
localizzazione in territori a fiscalità privilegiata.
Esempi: servizi infragruppo, servizi finanziari, società offshore,
regimi settoriali specifici, incentivi fiscali di carattere settoriale.
Clausola dell’effettivo
beneficiario e abusi della PFI
Si è detto che si ritiene rinvenibile, anche se in via
implicita, nelle convenzioni internazionali una clausola
generale antielusiva.
Si tratterebbe del principio dell’effettivo
beneficiario, in virtù del quale il titolare dell’attività
economica o comunque il soggetto a cui va imputato
l’atto o l’attività da cui deriva la produzione di reddito
va individuato in ragione della posizione di effettivo
beneficiario dell’incremento reddituale,
indipendentemente dal soggetto che si pone quale
interlocutore formale delle controparti negoziali.
Indici

Il trasferimento del reddito dal soggetto
che incassa un provento a favore di un
altro soggetto viene considerato come
elemento presuntivo della mancanza di
un interesse sostanziale all’incremento
economico prodotto.
Segue…

L’assenza di un assetto
organizzativo materiale e comunque
l’insussistenza di un contributo alla
produzione del risultato economico
vengono considerati indici di un ruolo
passivo, di mero intermediario del
soggetto estero rispetto alla
realizzazione del reddito.
Il riconoscimento in pratica di tali
situazioni non è agevole, e ciò conferma
la difficoltà già ricordata di reperire nel
diritto tributario internazionale rimedi
generali contro i possibili abusi della
PFI.
Tale principio può tuttavia essere inteso
quale generico riconoscimento della
prevalenza della sostanza sulla
forma.
Articolazione territoriale dell’impresa
multinazionale e profili fiscali
Nel diritto tributario sono IM i soggetti
passivi persone fisiche o giuridiche che
pongono in essere fattispecie che
presentano collegamenti di natura
reale e/o personale con più di un
ordinamento.
Una distinzione

Impresa multinazionale unitaria:
soggetto che esercita attività
produttiva di reddito di impresa su
base transnazionale avvalendosi di
unità localizzate all’estero prive di
autonoma soggettività giuridica (uffici
di rappresentanza e/o stabili
organizzazioni).

Impresa multinazionale di gruppo
(IMG):è costituita da due o più società,
dotate di autonoma soggettività giuridica,
variamente collegate, che svolgono attività
produttive di reddito di impresa con livelli più
o meno intensi di collegamento funzionale e
di integrazione determinati dalla
sottoposizione alla direzione unitaria di una
società capogruppo.
Processo economico di espansione e
moduli organizzativi IMG




Esportazione e commercializzazione di
beni o effettuazione di servizi all’estero
Creazione di stabili organizzazioni
all’estero (branch)
Costituzione di una singola controllata
all’estero
Creazione di più società operative e/o di
controllo intermedie
Ognuna di queste scelte
organizzative è oggetto di un
distinto regime tributario.
Ufficio di rappresentanza (art.
5, par. 4, Modello OCSE)
Sede fissa d’affari utilizzata al solo fine di
acquistare merci, di raccogliere informazioni
per l’impresa, di effettuare pubblicità, ricerche
scientifiche, o attività analoghe che abbiano
carattere preparatorio ed ausiliario per
l’impresa.
In questo caso viene esclusa in linea di
principio l’applicabilità della disciplina del
reddito di impresa.
Stabile organizzazione (art.
162, comma 1, Tuir)
Sede fissa d’affari per mezzo della quale
l’impresa non residente esercita in tutto
o in parte la sua attività sul territorio
dello Stato.
Si tratta di una mera articolazione
organizzativa del medesimo soggetto
estero priva di una propria autonoma
rilevanza soggettiva, la quale è però
tenuta ad una serie di adempimenti
tributari al pari di una società
controllata in ragione della forza
attrattiva esercitata rispetto alla
determinazione del reddito di impresa.
Essa è tenuta al rispetto degli obblighi
contabili previsti in genere per le
imprese residenti (art. 14, dpr
600/1973).
Art. 14, co. 5, Dpr n. 600/1973
Le società (…) non residenti che
esercitano attività commerciali in Italia
mediante stabili organizzazioni devono
rilevare nella contabilità distintamente i
fatti di gestione che interessano le
stabili organizzazioni, determinando
separatamente i risultati dell’esercizio
relativi a ciascuna di esse.


La norma in esame :
non obbliga alla tenuta di una separata
contabilità per la S.O. (apposita e anche
materialmente diversa da quella dell’impresa
considerata nel suo complesso), ma soltanto
a una distinta rilevazione, anche nell’ambito
di un’unica contabilità di impresa, dei fatti
attinenti alla stabile organizzazione;
non indica il luogo in cui deve essere tenuta
la contabilità.


Il sistema contabile della stabile
organizzazione estera può essere approntato
principalmente attraverso:
l’utilizzo di giornali sezionali, da tenersi
presso la casa madre in Italia o all’estero;
la predisposizione di un opportuno piano di
schede di mastro e di relativi sottoconti
e di un libro giornale generale sul quale
siano registrate le operazioni relative alla S.O.
Spese generali e costi di direzione
(cc.dd. spese di regia)
Si tratta di spese sostenute dalla casa
madre e ribaltate alla S.O. (o alla
società controllata).
I criteri di imputazione sono individuati
da schemi economici di portata
generale all’interno del gruppo (cc.dd.
cost sharing).
L’art. 7, co. 3, Modello OCSE consente la deducibilità
di tali spese su base analitica (se corredate da
adeguata documentazione contabile) tanto per la
società controllata che per la stabile organizzazione.
Qualora si adotti un meccanismo forfetario, esso
dovrà essere compatibile col principio della libera
concorrenza.
Il Commentario OCSE suggerisce quale criterio di
ripartizione il rapporto tra volume d’affari della
sede nazionale e volume d’affari complessivo.
Società controllata estera
(subsidiary)


I rapporti tributari tra società controllante e società
controllata differiscono da quelli intercorrenti tra casa
madre e S.O.:
Controllante e controllata sono soggetti passivi aventi
distinta capacità giuridica e tributaria
Gli utili della controllata risultano dalla contabilità da
essa autonomamente predisposta e non sono
imputabili alla controllante se non sotto forma di
dividendi, royalties, prezzi di trasferimento, a meno
che non operi la normativa CFC o quella sul
consolidato.

I redditi prodotti all’estero dalla
controllata godono in capo alla
controllante di sospensione di imposta
fino a che non sono rimessi ad essa,
mentre la produzione dei redditi tramite
una S.O. determina l’immediata
imponibilità in capo alla casa madre.

Ai dividendi, interessi e royalties pagati dalla
controllante alla controllata è applicata la
ritenuta, mentre ciò non avviene per la
corresponsione di fondi tra S.O. e casa
madre.
Il regime impositivo dei rapporti
intragruppo riguarda i pagamenti dei
dividendi, interessi, royalties, nonché
prezzi di trasferimento.
Regime impositivo dei
dividendi transnazionali


Dividendi in uscita (pagati da società
residenti in Italia ad azionisti esteri):
ritenute a titolo di imposta.
Dividendi in entrata (percepiti da
società controllate estere): regime della
participation exemption (95% per i
soggetti Ires residenti e 50,28% per i
soggetti IRPEF residenti).
Si prevede:
 l’esenzione totale per dividendi
distribuiti da società consolidate
 la tassazione totale degli utili distribuiti
da società residenti in Paesi RFP.
Strumenti della PFI: alcuni
esempi
1.
Erosione della base imponibile
(tax base erosion):
consiste nella “estrazione” di utili al
lordo delle imposte da paesi a fiscalità
più elevata a paesi a fiscalità più
ridotta, mediante deduzioni fiscali di
costi in uno Stato (interessi, royalties)
e tassazione di ricavi in altro Stato.
Segue…
Diverse società sono preposte a canalizzare
tali flussi all’interno del gruppo (società
finanziarie e holding, cd. licencing companies,
captive insurance companies).
Quanto più è elevato il differenziale di
aliquote, tanto è maggiore il trasferimento di
utili.
Limitazioni a tali tecniche sono le normative
in tema di prezzi di trasferimento ed in
materia di rapporti con i Paesi RFP.
Società finanziarie
Sono costituite al fine di raggiungere il
seguente vantaggio fiscale:
concentrazione del servizio del debito
(sotto forma di interessi passivi
deducibili) in Stati a fiscalità
relativamente elevata, con correlata
accumulazione degli interessi attivi in
capo a soggetti localizzati in Stati a
fiscalità ridotta.
Segue…
Tali società sono sovente localizzate in
centri finanziari offshore,
caratterizzati da segreto bancario,
controlli ridotti, efficienti servizi
finanziari, accesso al mercato dei
capitali internazionale.
Captive insurance companies
Si tratta di società che all’interno del
gruppo garantiscono la copertura di
svariati rischi delle consociate e
percepiscono da esse le fees,
utilizzando la tecnica della erosione
delle basi imponibili basata sui
differenziali di aliquote.
Segue…
I vantaggi derivano dalla localizzazione
della società in un Paese a bassa
fiscalità con riferimento alla tassazione
delle fees assicurative, nonché dalla
possibilità di dedurre i premi pagati in
capo alle società del gruppo.
Licencing companies
Si tratta delle società destinatarie di royalties
(diritti sulla proprietà intellettuale) costituite
al fine di perseguire la gestione centralizzata
dei flussi remunerativi di intangibles.
I vantaggi fiscali consistono nella
concentrazione delle royalties passive
deducibili in Stati a fiscalità
comparativamente elevate e nella
accumulazione delle royalties attive in capo a
soggetti localizzati in Stati a fiscalità ridotta.
Segue…
Tali società finanziarie sono sovente
localizzate in Paesi RFP.
Società di trading
internazionale

Società intermediaria nell’acquisto o vendita
di beni o servizi alla quale non è applicabile
il regime dei prezzi di trasferimento.
Società preposte alla vendita:
rifatturano beni o servizi ricevuti da entità
operative in Paesi ad elevata fiscalità, al
consumatore finale, senza che le merci
vengano materialmente consegnate alla
società di trading.
Società di trading
internazionale
Questa tecnica consente di spostare i
margini di profitto dal Paese ad alta
fiscalità al Paese a bassa fiscalità.
I Paesi che consentono tale tipo di
struttura sono i Paesi RFP.
Segue…

Società preposte all’acquisto: acquistano
beni e servizi da terzi per poi rivenderli ad
altre società del gruppo ad un costo
maggiorato del profitto.
Le società del gruppo vendono poi i beni e
servizi a consumatori finali realizzando ridotti
margini di utili.
Accentrando gli acquisti si ottengono migliori
prezzi, termini di consegna e condizioni di
acquisto, oltre che profitti soggetti a
tassazione ridotta.
Rimedi normativi contro l’abuso
della PFI: la disciplina delle Cfc
Con la disciplina delle Controlled foreign
companies (Artt. 167 e 168 Tuir) si procede a
sterilizzare i possibili benefici fiscali che un
gruppo di imprese italiano può ritrarre dalla
delocalizzazione artificiosa delle proprie
attività in un paradiso fiscale.
I redditi prodotti da controllate (art. 167) e da
collegate (art. 168) residenti o localizzate in
Paesi RFP sono attratti in Italia.
Segue…
Si ricorre al principio di trasparenza
quale criterio di imputazione del reddito
direttamente in capo ai residenti in
Italia per attività prive di radicamento
territoriale.
Obiettivo
Impedire che la localizzazione nei
territori a fiscalità privilegiata sia
preordinata a sottrarre i relativi redditi a
tassazione nel nostro ordinamento.
Esimente (art. 167, co. 5)

Al fine di ottenere la disapplicazione della
regola delle Cfc, potrà essere presentata
un’istanza di interpello preventivo diretta a
dimostrare:
Che il soggetto partecipato svolge una
effettiva attività industriale o commerciale
come propria principale attività, nello
Stato o nel territorio nel quale ha sede.
Segue…

Che dalle partecipazioni detenute non
deriva alcun risparmio di imposta
Effettiva attività: precisazioni
Il soggetto controllato deve svolgere
effettivamente un’attività commerciale
ai sensi dell’art. 2195 c.c., come
principale attività, con una struttura
organizzativa idonea allo svolgimento
della stessa oppure alla sua autonoma
preparazione e conclusione (art. 5, co.
3, dm 21.11.2001, n. 429).
Ai fini dell’esenzione risulta
indispensabile la sussistenza di un
rapporto fra insediamento produttivo e
lo stato estero che possa integrare quel
radicamento territoriale che giustifichi la
localizzazione della controllata. (Lupi)
L’A.F. richiede che sia fornita la
documentazione atta a dimostrare la
sussistenza di una struttura organizzativa
idonea allo svolgimento dell’attività suddetta:
esistenza di un management operativo, la
disponibilità di locali aziendali e di magazzino,
esistenza di personale dipendente, contratti
commerciali. (cm 23.5.2003, n.29/E)
Documenti richiesti a corredo
dell’istanza di disapplicazione
disciplina Cfc







Bilancio e relativa certificazione
Prospetto descrittivo dell’attività esercitata
Contratti di locazione immobili adibiti a sede
degli uffici e dell’attività
Contratti di lavoro
Copia delle fatture
Conti correnti aperti presso istituti locali
Etc.
Esterovestizione delle attività
di impresa
Gli abusi derivanti dalla localizzazione
estera di attività di impresa (cd.
esterovestizione) sono contrastati da
una presunzione relativa di
localizzazione in Italia della residenza di
società ed enti controllati da soggetti
italiani e costituiti in territori a bassa
fiscalità al ricorrere di determinate
condizioni (art. 73, co.5 bis 5 ter, Tuir).
La residenza effettiva, secondo la
norma in oggetto, è da determinarsi in
base alla sede dell’amministrazione
(luogo dal quale provengono gli impulsi
volitivi inerenti la gestione della
società).
Si presumono, salvo prova contraria,
residenti in Italia le società o enti che
hanno stabilito la sede legale o
amministrativa all’estero e che
detengono direttamente partecipazioni
di controllo ai sensi dell’art. 2359, co. 1,
c.c., in una società o ente commerciale
residenti in Italia qualora, in alternativa:


Siano assoggettati al controllo, anche
indiretto, ai sensi dell’art. 2359, co. 1,
c.c., da parte di soggetti residenti nel
territorio dello Stato italiano
Siano dotate di un organo di gestione
composto prevalentemente da
amministratori residenti in Italia.
La norma prevede l’inversione dell’onere
della prova a carico del contribuente.
Questi dovrà dimostrare l’esistenza di
elementi di fatto e di situazioni o atti idonei a
provare un concreto radicamento della
direzione effettiva nello Stato estero (Circ. 4
agosto 2006, n. 28/E).
In definitiva: la società estera si
considera residente se è controllata,
anche indirettamente, da soggetti
residenti in Italia.
Effetti della presunzione


Assoggettamento della società estera
agli obblighi tributari (sostanziali e
strumentali) previsti dalla normativa
italiana
Possibile modifica nella determinazione
del reddito imponibile e dell’imposta
dovuta.
Regime del transfer pricing
Normativa volta a contrastare l’abuso
della PFI dovuto allo spostamento di
materia imponibile da un ordinamento
all’altro per effetto della modifica dei
prezzi di trasferimento intragruppo, con
lo scopo di ridurre il carico fiscale
complessivo sul gruppo di imprese.
Sulla base di una regola di derivazione
internazionale (art. 9, Modello OCSE), è
così previsto che, in deroga al principio
della rilevanza del corrispettivo
contrattuale, al fine di individuare le
componenti reddituali si deve assumere
il criterio del valore normale dei beni
o servizi oggetto delle transazioni
intragruppo (art. 110, co. 7, Tuir)
La norma prevede che si debba trattare
di operazioni effettuate da un’impresa
residente (ovvero da una stabile
organizzazione di impresa estera) con
una società non residente, direttamente
o indirettamente riconducibili ad un
medesimo gruppo.
Nel caso in esame il corrispettivo contrattuale
è considerato un elemento inidoneo a
misurare l’effettiva portata reddituale della
transazione commerciale, stante la
mancanza di un contrasto di interessi tra
le parti negoziali che possa portare ad un
valore fondato sulla valutazione delle leggi del
mercato.
Si assume il criterio del valore normale
in quanto parametro di misurazione
oggettiva dell’effettivo valore espresso
dalla operazione intragruppo.
Qualora sia operata in capo ad una società
una rettifica del reddito in base alla disciplina
del transfer pricing ne deriva l’esigenza di
procedere ad aggiustamenti corrispondenti in
capo alla controparte negoziale al fine di
evitare il rischio di una doppia imposizione
(art. 9, co. 2, modello Ocse).
L’aggiustamento della componente reddituale
è ammesso a condizione che rientri
nell’ambito del prezzo di libera concorrenza
(principio dell’arm’s lenght).
Al fine di ridurre le controversie
vengono utilizzati accordi preventivi tra
contribuente ed Amministrazione
finanziaria per la determinazione dei
prezzi, i cosiddetti APA (Advance Pricing
Arrangernents o Advance Price
Agreements).
Nei diversi Paesi esistono varie procedure
intese a determinare preventivamente i prezzi
di trasferimento.
In Italia è stato introdotto il ruling
internazionale, di cui all’art. 8, d.l. n. 269
del 2003 ed in vigore dal 2004, per il quale è
possibile determinare tra imprese con attività
internazionali ed Amministrazione accordi di
valenza triennale, non solo in materia di
prezzi di trasferimento.
Indeducibilità dei corrispettivi pagati
ad imprese localizzate in paradisi
fiscali (art. 110, co. 10 Tuir)
Con una norma di portata generale è
stata introdotta una clausola diretta a
contenere la prassi simulatoria di
compensi erogati a favore di soggetti
situati in paradisi fiscali mediante la
indeducibilità delle componenti negative
dal reddito di impresa imponibile in
Italia.
Non sono ammessi in deduzione i costi
e le altre componenti negative che
derivano da operazioni effettuate con
imprese residenti o domiciliate in paesi
a fiscalità privilegiata.
L’operazione intercorsa con i paradisi
fiscali viene pertanto considerata alla
stregua di una operazione inesistente,
stante la presunzione della mancanza
di una effettiva sostanza
economica in ragione della
localizzazione territoriale.
Tale regola di indeducibilità, originariamente
limitata alle sole transazioni intragruppo, è
stata estesa a tutte le operazioni anche se
poste in essere con soggetti non appartenenti
al medesimo gruppo.
L’ambito applicativo della norma risulta,
pertanto, più ampio rispetto a quello previsto
dalla disciplina del transfer pricing o delle Cfc.
.
La regola della indeducibilità non trova
applicazione quando le imprese residenti
forniscano la prova che le imprese estere
svolgono prevalentemente una attività
commerciale effettiva ovvero che le
operazioni poste in essere rispondono ad un
effettivo interesse economico e che le
stesse hanno avuto una concreta esecuzione»
(art. 110, co. 110).
Prima di procedere all’emissione dell’atto di
accertamento, l’amministrazione finanziaria
deve notificare all’interessato un avviso con
cui si chiedono chiarimenti entro 90 giorni in
ordine alla dimostrazione della prova
contraria.
Qualora le prove siano giudicate inidonee a
vincere la presunzione relativa di inesistenza
delle operazioni poste in essere con la società
estera, verrà emesso l’atto di accertamento
(art. 110, co. 110, ultimo periodo).
Tale articolato meccanismo normativo è
stato esteso anche alle prestazioni di
servizi, rese da professionisti (e non
dunque solo da imprese) che siano
domiciliati o residenti in territori a
fiscalità privilegiata non appartenenti
all’Unione europea (art. 110, co. 12
bis).
Qualora all’impresa estera si applichi la
disciplina delle Cfc, non trova
applicazione la regola della
indecucibilità dei costi: l’impresa italiana
potrà dedurre regolarmente le
componenti negative derivanti dalle
operazioni economiche intercorse con
tale soggetto (art. 110, co. 12).
Paradisi fiscali (Tax Heavens)
Si tratta di Paesi e territori i cui regimi
tributari, se confrontati con altri,
evidenziano rilevanti privilegi.
In senso più tecnico è preferibile parlare
di Paesi a regime fiscale
privilegiato.
Paradisi fiscali sarebbero quelli in cui
non sono applicate affatto imposte sui
redditi o sono applicate in misura
assolutamente marginale (ad es, le
Isole Cayman, Bahamas e Bermuda);
Centri offshore sarebbero sia i Paesi nei
quali le imposte sui redditi sono applicate
esclusivamente con riferimento a redditi di
fonte interna, mentre non sono applicate (o
lo sono ad aliquote minime) sui redditi di
fonte estera (es. Hong Kong, Panama,
Liberia), sia Paesi che prevedono regimi fiscali
privilegiati per certe tipologie societarie o per
redditi derivanti dallo svolgimento di
determinate attività economiche (es. il
Liechtenstein, il Lussemburgo, l’Irlanda).
In molti Paesi quelli a fiscalità
privilegiata sono indicati in specifichi
elenchi Black List cui si contrappongono
in alcuni casi le White List dei Paesi
considerati a fiscalità normale, come
oggi in Italia.
I criteri di valutazione dei Paesi a fiscalità
privilegiata, elaborati nell’ambito dell’OCSE,
sono negli ultimi anni sostanzialmente mutati,
essendo mutate le strategie per contrastarli.
Attualmente il discrimine è rappresentato
dall’esistenza di regole procedurali dirette a
consentire lo scambio di informazioni.
In Italia la White List si basa non solo
sull’adeguato scambio di informazioni
con lo Stato estero, ma anche sul livello
di tassazione colà applicato, che deve
essere non sensibilmente inferiore a
quello applicato in Italia.
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