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Introduzione Buongiorno a tutti voi. Vi ringrazio per l`invito e per la

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Introduzione Buongiorno a tutti voi. Vi ringrazio per l`invito e per la
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Introduzione
Buongiorno a tutti voi. Vi ringrazio per l’invito e per la possibilità di partecipare ad
una riflessione certamente opportuna sul futuro delle Province, data la situazione attuale di
forte incertezza ed i segnali in qualche misura contraddittori che arrivano in particolare dal
Parlamento, impegnato nella discussione del disegno di legge ”carta delle autonomie”, cui
farò cenno in questa breve relazione. Per chiarezza anche sui limiti del mio intervento
debbo subito ricordare che Regione Lombardia, come altre regioni, ha impugnato avanti la
Corte costituzionale l’art. 23 del d.l. su richiesta del Consiglio delle autonomie locali e su
conforme posizione espressa autonomamente dalle stesse province lombarde, fin da
subito avverse alla riforma.
Risulta peraltro sia stata fissata al 6 novembre 2012 dalla Corte l’udienza per la
discussione dei ricorsi regionali, con prognosi quindi evidentemente sfavorevole per la
questione sospensiva invocata da alcune regioni. Può essere che la Corte attenda dal
Parlamento un segnale più chiaro in proposito.
Contenuti della legge elettorale per le province
Il prossimo passo della riforma, a completare la manovra, dovrebbe consistere nella
approvazione della nuova legge elettorale per le province; il DDL approvato dal Governo
prevede in sintesi che siano elettori per l'elezione del consiglio provinciale i sindaci e i
consiglieri comunali in carica nei comuni della provincia, così come possono candidarsi
alle elezioni provinciali esclusivamente i sindaci e consiglieri comunali in carica nei comuni
della provincia.
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Referendum Sardegna
l’iniziativa referendaria in Sardegna, svoltasi il 6 maggio 2012, ha dato, com’è noto,
un esito significativo. Il 97% circa dei votanti cui erano sottoposti i quesiti referendari, 5 dei
quali abrogativi, 5 consultivi, ha manifestato la volontà di sopprimere le province di
Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra, Olbia-Tempio attraverso la abrogazione
della l.r. 9/2001. Una percentuale di circa il 66% dei votanti ha espresso un parere
favorevole alla soppressione delle 4 province “storiche” della Sardegna.
Soppressione di talune Province con legge ordinaria
Per spiegare come si è arrivati alla attuale manovra di riordino, può essere utile,
ricordare che già l’art. 15 del d.l. 138/2011 prevedeva, “in attesa della complessiva
revisione della disciplina costituzionale del livello di governo provinciale”, la soppressione a decorrere dalla data di scadenza del mandato amministrativo provinciale in corso alla
data di entrata in vigore del decreto - delle Province con meno di 300.000 abitanti e con
una superficie inferiore a 3000 chilometri quadrati. Prevedeva, inoltre, l’esercizio da parte
dei Comuni ricompresi nella circoscrizione delle Province soppresse dell’iniziativa di cui
all’art. 133 Cost.. al fine di essere aggregati ad un’altra Provincia all’interno del territorio
regionale. L’ostacolo rappresentato dalla procedura costituzionale di revisione delle
circoscrizioni provinciali, da attivarsi anche in caso di soppressione di alcune, rappresenta
a mio avviso il deterrente più significativo rispetto ad un procedimento che avrebbe
probabilmente una razionalità maggiore di quello intrapreso. Tale articolo è stato dunque
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soppresso in fase di conversione del d.l.; in ogni caso la questione non può non essere
affrontata e dovrà misurarsi con questo scoglio anche la proposta formulata dall’UPI che
prevede che siano definiti appositi indici attraverso un accordo in conferenza unificata per
la delimitazione delle circoscrizioni provinciali e che, sulla base di questi, “i comuni del
territorio esercitano l’iniziativa di cui all’art. 133 della costituzione al fine di essere
aggregati alle nuove circoscrizioni provinciali o metropolitane, nel rispetto del principio di
continuità territoriale.”
DDl costituzionale recante “Soppressione di enti intermedi” (CDM - 8 settembre
2011)
La riforma delle province potrebbe inoltre essere affidata al ddl costituzionale licenziato
l’anno scorso dal consiglio dei ministri con i seguenti punti cardine:

soppressione di ogni riferimento costituzionale alle Province;

attribuzione alle Regioni della competenza a disciplinare, previa intesa con il CAL e
nel rispetto di alcuni vincoli, “forme associative quali enti locali regionali per
l’esercizio delle funzioni di governo di area vasta”, nonché il relativo ordinamento;

previsione, in sede di prima applicazione, della soppressione delle Province alla
data di cessazione del mandato amministrativo di ciascuna di esse in corso alla
data di scadenza del termine del periodo transitorio (un anno dall’entrata in vigore
della legge costituzionale) e contestuale istituzione delle forme associative;
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
soppressione - da parte dello Stato, delle Regioni e di altri enti territoriali - di enti,
agenzie e organismi, comunque denominati, che svolgono funzioni di governo di
area vasta e divieto di istituirne di nuovi.
Ma chi ha traccia del percorso avviato con l’approvazione del DDL?
L’art. 23 del “d.l. Salva Italia” - alcuni nodi da sciogliere
Il primo effetto “abnorme” della riforma è legato alla disciplina transitoria che
prevede
la
coesistenza
di
realtà
provinciali
svuotate
delle
funzioni
di
amministrazione attiva, ma con organi di governo diversi.
Per citare solo i casi limite lombardi, coesisterebbero Province come Como “a
regime” dal 2013 con le elezioni di secondo livello e Province come Pavia “non a
regime” fino al 2016. Può reggere questo sistema a “geometria variabile”? Può essere
giustificato uno stato di particolare “sospensione” del contesto democratico di
legittimazione attraverso il voto?
Comunque ricordando la premessa iniziale, ovvero il ricorso promosso avanti la
corte costituzionale da RL, il primo problema che si pone per l’amministratore che affronti
l’attuazione dell’art. 23 è il significato da attribuire all’espressione “funzioni di indirizzo e
coordinamento delle attività dei Comuni”, qualificate come funzioni di indirizzo “politico” in
una prima versione della norma, le uniche che permangono in capo alla provincia. Quali
funzioni potrebbero essere ricondotte alla suddetta categoria?
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In concreto, per fare un esempio, le funzioni di pianificazione in ambito territoriale
urbanistico (piani territoriali di coordinamento provinciali) ovvero inerenti l’uso del territorio
(pianificazione delle attività estrattive, cave etc.) o le funzioni relative alla programmazione
di insediamenti industriali rientrerebbero tra le funzioni di indirizzo e coordinamento? E’
chiaro che quanto più si restringe il novero di tali funzioni che possono permanere in capo
alle province, tanto più si complica il processo di “riallocazione” per la necessità di
individuare un livello di governo di “area vasta” senza generare incongrue duplicazioni.
Si prevede che al trasferimento delle funzioni provvedano lo Stato e le Regioni con
legge in base alle rispettive competenze. Ma a chi spetta muovere il primo passo? E’
pensabile che si proceda su binari separati e in mancanza di coordinamento? Come
risolvere, poi, le questioni legate agli intrecci fra competenze statali e competenze
regionali in materie, quali, ad esempio, l’agricoltura, l’industria, il commercio, il governo
del territorio, alcune delle quali fortemente incise dalle materie/non materie trasversali
quali la tutela della concorrenza? Per non parlare della complessità della materia
ambientale quasi del tutto sottratta alla disponibilità del legislatore regionale. Non
sarebbe piuttosto auspicabile che si costituiscano tavoli paritetici di confronto GovernoRegioni? Non sembra essere stata in tal senso la sede più efficace la commissione
mista paritetica per la riforma della Repubblica insediatasi nel mese di gennaio 2012 con
obiettivi “universali” e quindi troppo ambiziosi, che risulta aver cessato le sue funzioni
senza aver affrontato la questione. Dal punto di vista regionale l’occasione potrebbe
essere sfruttata per introdurre elementi di differenziazione fra le Regioni. E’ forse
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realistico sostenere che il tema della riallocazione delle funzioni provinciali possa essere
affrontato e risolto allo stesso modo in una Regione come la Lombardia (circa dieci
milioni di abitanti, oltre 1500 Comuni, superficie di poco inferiore ai 24mila kmq, densità
di oltre 400 abitanti per kmq) e nella Regione Molise (circa 319mila abitanti, 136 comuni,
superficie di circa 4.400 kmq, densità di 72 abitanti per kmq) per fare un esempio? In
quest’ultima si può immaginare che non sia particolarmente sentito il problema
dell’identificazione di un livello di area vasta. Al contrario la prospettiva di una attuazione
non omogenea della norma sul territorio nazionale dovrebbe muovere il Governo a
identificare una sede di opportuna e leale collaborazione per affrontare il tema.
L’inadempimento regionale entro il termine perentorio del 31 dicembre 2012 è
“sanzionato” peraltro col potere sostitutivo da parte dello Stato esercitato con legge nei
termini di cui all’art. 8 della l. 131/03 “La Loggia”. Ma anche l’esercizio del potere
sostitutivo dovrebbe avvenire in base ad un criterio ordinatore delle funzioni difficilmente
ravvisabile in modo omogeneo sul territorio nazionale. Quale può essere la soluzione?
Tutto ai comuni? Pensiamo alle funzioni in tema di viabilità provinciale ed alla rete
lombarda.
Per dare comunque l’idea delle proporzioni dell’intervento in Lombardia si
consideri che la Regione ha creduto molto nelle Province, avviando, a partire dal
processo innescato dalle leggi “Bassanini” un massiccio conferimento di funzioni alle
stesse. Da una ricognizione effettuata è emerso, infatti, che alle Province sono state
conferite:
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- 169 funzioni di amministrazione attiva
- 53 funzioni di controllo;
- 12 funzioni consultive;
- 74 funzioni di pianificazione e programmazione.
Pur scontando una classificazione dimensionale e concettuale non del tutto
omogenea delle funzioni, si tratta di un trasferimento molto significativo. Le materie in
cui si concentra il maggior numero di funzioni sono: agricoltura, infrastrutture, ambiente,
formazione professionale.
Unitamente alle funzioni amministrative occorre considerare il capitolo risorse
finanziarie
Regione Lombardia aveva già introdotto, nell’anno 2011, il percorso di devoluzione di
capacità fiscale alle Province, prevedendo, con legge regionale, la sperimentazione di
una compartecipazione delle Province al gettito della tassa automobilistica regionale in
sostituzione dei trasferimenti propri regionali correnti aventi natura permanente e
continuativa. L’implementazione di tale percorso dovrà quindi essere profondamente
riadattata, non solo per tener conto del mutato contesto istituzionale ma anche alla luce
dei prossimi sviluppi in ambito di federalismo fiscale.
Anche la normativa statale e regionale inerente il Patto di Stabilità dovrà essere
opportunamente rivista: si dovrà valutare l’ipotesi di un’eventuale armonizzazione delle
differenti discipline. Nel caso in cui, invece, si intendesse mantenere la disciplina
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attualmente prevista per le Regioni (per tetti), dovranno essere necessariamente ampliati i
“tetti” stessi, considerata appunto l’acquisizione di nuove ed ingenti risorse dalle Province.
Stesso discorso riguarderà il debito, la cui attuale disciplina dovrà essere
opportunamente ripensata ai fini della necessaria armonizzazione delle disposizioni
riguardanti i diversi Enti (limiti di indebitamento e introduzione del principio di pareggio di
bilancio nella Carta Costituzionale).
Non dimentichiamo inoltre la necessità di un adeguamento della disciplina contabile
delle Regioni, che dovrà tener conto e considerare tutte le specificità proprie di ciascun
Ente e che, inoltre, comporterà anche la revisione dei sistemi informativi contabili.
Sarà inoltre da valutare ed approfondire la questione riguardante il “senso” e lo
sviluppo del concetto di autonomia impositiva delle Province, se correlato ad elezioni di
secondo livello.
Merita specifica attenzione anche il tema relativo alle risorse umane, nonché il
destino delle partecipazioni societarie attivate dalle Province. Potrà forse stupire, ma
alcune province detengono partecipazioni o controllano un numero di società, agenzie ed
enti strumentali di varia competenza e natura di gran lunga superiore a quelle di RL. E’
ovvio che l’impatto complessivo sulla regione sarebbe insopportabile se non dopo una
razionalizzazione drastica che salvaguardi solo le società strategiche e i pacchetti azionari
significativi (es. autostrade)
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Sul versante della Regione, è altrettanto evidente il livello di complessità che ci si
trova a governare; la riassunzione di una massa di funzioni anche di gestione
amministrativa, che porterebbero a snaturare il ruolo di ente di governo e quindi di
legislazione e programmazione, non può non preoccupare. Si pensi nell’ambito della
formazione professionale ai CFP ceduti alle province e da queste gestite in genere
attraverso aziende/agenzie speciali. Le funzioni che dovessero essere “trattenute” dalla
regione non potrebbero che essere esercitate, laddove compatibili, attraverso la
complessa articolazione degli enti del sistema regionale, quali, ad esempio, ERSAF ed
ARPA a mente dell’art. 48 dello statuto regionale. Quanto ai destinatari delle funzioni
riallocate, l’art. 23 del d.l. “Salva Italia” contempla soltanto i Comuni, dove non
sussistano esigenze di esercizio unitario. Ma come non considerare anche le comunità
montane, preservate in Lombardia dalla cancellazione? E’ chiaro che queste
rappresentano nei territori montani un livello già presente ed operante come forma
associativa di comuni montani, che potrebbe essere ritenuto adeguato per l’assunzione
di talune funzioni. Altrettanto chiaramente questa scelta comporta un livello di
differenziazione dell’assetto nei territori non montani che accresce la complessità
dell’operazione. Altro punto da valutare in prospettiva il ruolo delle autonomie funzionali
e, in particolare, le camere di commercio, cui sono state in passato attribuite funzioni.
Non è stato messo in discussione dal processo “Bassanini” il ruolo delle stesse, cui
potrebbero essere conferite funzioni nell’ambito delle materie delle attività produttive. Ma
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l’art. 23 lo consente? Una serie di “interviste” svolta nei confronti delle strutture interne
alla Giunta regionale per una valutazione empirica sulle ipotesi di riassegnazione di
funzioni ora provinciali, ha portato all’esito qui sinteticamente rappresentato nei “tondi” di
varie dimensioni.
Si ritiene quindi, tecnicamente, che se dovesse essere attuata la riforma, in gran
parte le funzioni dovrebbero essere (ri)assunte dalla Giunta regionale direttamente,
anche per mezzo delle sedi territoriali presenti nelle province lombarde, o attraverso gli
enti del proprio sistema. Vi sono forti dubbi sulla adeguatezza dimensionale del livello
comunale rispetto all’assunzione di funzioni anche molto onerose.
Come procedere quindi alla riallocazione delle funzioni senza aver prima ridefinito
l’assetto delle gestioni associate? Non aiutano i vincoli posti dalla normativa statale in
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tema di gestioni associate obbligatorie; vincoli che mal si adattano alle esigenze di
flessibilità proprie di ciascuna realtà territoriale e che paiono essere definiti senza
traguardare l’attuazione della riforma delle province, con una dissociazione pericolosa
che le regioni dovrebbero colmare.
Il quadro piuttosto articolato degli obblighi associativi in capo ai piccoli comuni
sembra generare un certo scetticismo sulla capacità e volontà degli stessi di conseguire
livelli dimensionali adeguati all’esercizio di funzioni complesse.
Si ricordi anche che, a mente dell’art. 23, comma 21, del d.l. “Salva Italia”, “i
Comuni possono istituire unioni o organi di raccordo per l’esercizio di specifici compiti o
funzioni amministrativi garantendo l’invarianza della spesa”.
Organizzazione territoriale dei servizi pubblici locali
Il tema della riallocazione delle funzioni interferisce con quello dell’obbligo previsto
dall’art. 25 del d.l. 1/2012 (c.d. “decreto liberalizzazioni”) per le Regioni, di organizzare,
entro il 30 giugno 2012, lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza
economica in ambiti o bacini ottimali o omogenei tali da consentire economie di scala e
di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio. Il termine è perentorio
e la sua inosservanza comporta l’esercizio di poteri sostitutivi governativi.
L’ambito territoriale deve coincidere, di norma, con quello provinciale. Le regioni
possono tuttavia individuare, anche su proposta dei comuni, specifici ambiti di
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dimensione diversa, dove le valutazioni economiche e di analisi economica del diritto lo
suggeriscano.
Fermo il termine perentorio del 30 giugno 2012, è fatta salva
- l'organizzazione di ssppll di settore in ambiti o bacini territoriali ottimali già
prevista da discipline di settore vigenti;
- l’organizzazione di ssppll prevista da disposizioni regionali che abbiano già
avviato la costituzione di ambiti o bacini territoriali di dimensione non inferiore a quelle
indicate sopra;
- l'organizzazione di ssppll prevista in attuazione di specifiche direttive europee.
Nel frattempo RL ha regolato con una recente legge un settore molto importante
dell’esercizio di servizi pubblici locali, ovvero il TPL, individuando bacini di riferimento
sovraprovinciali (Pavia è associata a Lodi, Milano, Monza e Brianza). Peraltro la
provincia resta innegabilmente la circoscrizione territoriale di riferimento per la riforma in
itinere di altri settori importanti, quali la disciplina dell’attività di escavazione.
Ddl “Calderoli” e cenni ai contenuto dei nuovi emendamenti
A rendere, se possibile, ancora più complesso lo scenario contribuisce la ripresa
dell’iter parlamentare del disegno di legge recante “Individuazione delle funzioni
fondamentali di Province e Comuni, semplificazione dell'ordinamento regionale e degli
enti locali, nonché delega al Governo in materia di trasferimento di funzioni
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amministrative, Carta delle autonomie locali. Riordino di enti ed organismi decentrati” cui
i relatori Pastore e Bianco hanno presentato emendamenti molto significativi
L’eventuale prefigurata attribuzione di funzioni fondamentali alle Province
accentuerebbe, per un verso, la discrasia fra elezione di secondo livello e concreta
possibilità di svolgimento delle funzioni stesse (di fatto, le province non sarebbero nelle
condizioni di svolgere efficacemente neanche le “sole” funzioni d’indirizzo e
coordinamento), per altro verso, porrebbe questioni problematiche sotto il profilo del
finanziamento di tali funzioni.
Potrebbe verificarsi il paradosso di organi provinciali in condizioni di innalzare la
pressione fiscale senza essere sottoposti ad alcun riscontro elettorale. Non esiste al
mondo un sistema democratico nel quale il potere impositivo è disgiunto dalle verifiche
elettorali e quindi dai cittadini. Si consideri, inoltre, che l’attribuzione di funzioni
fondamentali alle Province pregiudicherebbe ulteriormente il ruolo di governance che
compete alle Regioni rispetto al sistema delle autonomie locali. Altro sarebbe consentire
alle Regioni stesse di attribuire alle Province “funzioni di area vasta” non connotate
come funzioni fondamentali.
“Ddl Calderoli” - A.S. 2259 (cd. Carta delle autonomie locali) approvato in prima
lettura dalla Camera il 30.06.2010, ora all’esame della Commissione Affari
costituzionali del Senato: cenni ai contenuti dei nuovi emendamenti presentati dai
relatori (Bianco e Pastore) in tema di province, città metropolitane e gestioni
associate obbligatorie
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
Non sono stati accolti gli emendamenti “irrinunciabili” presentati dalla Conferenza
delle Regioni.

abrogazione dei commi 14, 18 e 19 dell'art. 23 della legge 214/2011: ciò significa
che restano fermi solo i commi relativi all’elezione indiretta dei consigli provinciali
e dei relativi
presidenti, sono tolte di mezzo le disposizioni sulle funzioni
esclusivamente di indirizzo e coordinamento e sull'obbligo per lo Stato e per le
regioni di svuotare le province delle altre funzioni amministrative
entro il 31
dicembre dell’anno in corso;

riconoscimento delle funzioni fondamentali delle province quali “funzioni di area
vasta”: ad es. tutela e valorizzazione dell’ambiente, per gli aspetti di competenza;
pianificazione territoriale provinciale di coordinamento; pianificazione dei trasporti
e dei bacini di traffico e programmazione dei servizi di trasporto pubblico locale;
gestione delle strade provinciali;

contestuale riaffermazione del ruolo di programmazione e coordinamento delle
regioni nelle materie loro spettanti;

affermazione del principio secondo il quale le funzioni fondamentali di province e
comuni non possono essere attribuite a enti, società o agenzie statali o regionali
e di enti locali (assente la salvaguardia di Arpa);

prevista la possibilità per le Regioni di spostare a livello comunale le funzioni
fondamentali delle province, previo accordo con gli enti interessati e previo
accordo in Conferenza unificata;
15

introduzione ex novo dell'obbligo per le province con popolazione inferiore a
300.000 abitanti (200.000 nelle zone prevalentemente montane) di esercitare le
funzioni fondamentali in forma associata tramite convenzione con una o più
province limitrofe della stessa regione;

previste la definizione, con legge regionale, d'intesa con il Governo e sentito il
CAL, delle dimensioni ottimali per l'esercizio delle funzioni provinciali e la
contestuale individuazione, nelle materie di cui all’art. 117, commi terzo e quarto,
Cost., delle funzioni da esercitare in forma obbligatoriamente associata (quale sia
il rapporto rispetto alla previsione di cui al punto precedente non è chiaro).

abrogazione dell’art. 16 del d.l. 138/2011 relativo all’esercizio in forma associata
di tutte le funzioni e di tutti i servizi da parte dei comuni con popolazione fino a
1000 abitanti (cd. “comuni polvere”). Resta la riduzione del numero dei
componenti i consigli e le giunte;

abrogazione dei commi da 25 a 31 del d.l. 78/2010 in tema di esercizio in forma
associata delle sole funzioni fondamentali da parte dei comuni con popolazione
compresa fra 1.001 e 5.000 abitanti;

previsto lo svolgimento in forma obbligatoriamente associata – esclusivamente
mediante unioni ex art. 32 del tuel o convenzioni - di quasi tutte le funzioni
fondamentali da parte dei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti (3.000 se
appartenenti a comunità montane);
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
fissato in 10.000 abitanti il limite demografico minimo per le unioni, salvo diverso
maggior limite individuato dalle regioni;

prevista l’individuazione con legge regionale, previa concertazione con i comuni
interessati nell’ambito del CAL, della dimensione territoriale ottimale e omogenea
per lo svolgimento, in forma obbligatoriamente associata, delle funzioni
fondamentali da parte dei comuni con dimensione territoriale inferiore a quella
ottimale.

Organi: sindaco metropolitano, giunta e consiglio;

possibilità di prevedere in sede statutaria che il sindaco metropolitano sia il
sindaco del comune capoluogo;

individuate quali funzioni fondamentali le stesse funzioni fondamentali delle
province, nonché, fra le altre, l’organizzazione dei servizi pubblici di interesse
generale di ambito metropolitano, la pianificazione delle reti infrastrutturali, la
mobilità e la viabilità metropolitane.
Le disposizioni del d.l. “Salva Italia” in tema di Province pongono questioni così
rilevanti da non poter essere affrontate e risolte se non attraverso un serrato confronto e
una forte collaborazione istituzionale, in particolare, fra Stato e Regioni.
Non si sta ragionando, infatti, di una semplice sperimentazione, ma dell’avvio di un
complesso e intricato processo di riorganizzazione e del conseguente spostamento di
ingenti risorse umane, strumentali e finanziarie. Un processo senza ritorno che non
tollera tardivi ripensamenti né esitazioni.
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E’ evidente che tale processo - per l’incidenza che può avere sul rapporto tra
cittadini e istituzioni soprattutto in termini di qualità delle prestazioni e di contenimento
della spesa pubblica - non può essere lasciato in sospeso né calato dall’alto. Del pari
evidente come, in un contesto di gravi incertezze, le Regioni non possano essere
lasciate sole “in mezzo al guado”.
La situazione appare “destabilizzante” almeno sotto due punti di vista: a) stato di
sospensione
della
democrazia
nelle
Province
commissariate
o
in
via
di
commissariamento nel senso che non si dà ai cittadini la possibilità di eleggere
direttamente il consiglio e il presidente della rispettiva provincia; b) venir meno di punti
di riferimento importanti, quali sono appunto le province, in relazione all’esercizio di
funzioni anche strategiche che, almeno formalmente, le province stesse hanno ancora
in capo.
Si aggiunga che il percorso di attuazione della normativa statale, oltre a scontare
serie incertezze quanto alla tenuta e all’esito finale, non prevede alcun ruolo significativo
per le Regioni, chiamate unicamente a riallocare funzioni nelle materie di competenza,
senza disporre di un quadro generale di riferimento e orientamento: non risulta infatti ,
ad oggi, come già detto, che lo Stato si stia attivando per la riallocazione delle funzioni
nelle materie di propria competenza.
Nell'ambito di un convegno svoltosi nell’ambito del Forum PA il capo dipartimento
per le riforme istituzionali Deodato ha ribadito che nel percorso dei attuazione dell'art.23
del il governo sta di fatto ripensando alcuni aspetti:
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1. non è in discussione la governance prefigurata dall'art.23;
2. il governo è d'accordo nel riattribuire alle province alcune funzioni fondamentali
di area vasta nell'ambito della carta delle autonomie (UPI insiste anche per Lavoro ed
Edilizia scolastica);
3. i ddl costituzionali che il governo segue con favorevole attenzione hanno come
comune denominatore la competenza regionale (parere favorevole UPI) e la riduzione
delle province sulla base di parametri demografici (da 30 a 60 province soppresse);
4. la commissione per l'attuazione del federalismo sta per emanare una
raccomandazione al governo per accelerare la riforma delle province;
5. il governo sta per presentare un emendamento alla carta delle autonomie locali
finalizzato ad attivare un percorso procedimentale, d'intesa con le Regioni, per la
razionalizzazione e la soppressione di enti intermedi .(consorzi ed altri enti).
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