Introduzione Buongiorno a tutti voi. Vi ringrazio per l`invito e per la
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Introduzione Buongiorno a tutti voi. Vi ringrazio per l`invito e per la
1 Introduzione Buongiorno a tutti voi. Vi ringrazio per l’invito e per la possibilità di partecipare ad una riflessione certamente opportuna sul futuro delle Province, data la situazione attuale di forte incertezza ed i segnali in qualche misura contraddittori che arrivano in particolare dal Parlamento, impegnato nella discussione del disegno di legge ”carta delle autonomie”, cui farò cenno in questa breve relazione. Per chiarezza anche sui limiti del mio intervento debbo subito ricordare che Regione Lombardia, come altre regioni, ha impugnato avanti la Corte costituzionale l’art. 23 del d.l. su richiesta del Consiglio delle autonomie locali e su conforme posizione espressa autonomamente dalle stesse province lombarde, fin da subito avverse alla riforma. Risulta peraltro sia stata fissata al 6 novembre 2012 dalla Corte l’udienza per la discussione dei ricorsi regionali, con prognosi quindi evidentemente sfavorevole per la questione sospensiva invocata da alcune regioni. Può essere che la Corte attenda dal Parlamento un segnale più chiaro in proposito. Contenuti della legge elettorale per le province Il prossimo passo della riforma, a completare la manovra, dovrebbe consistere nella approvazione della nuova legge elettorale per le province; il DDL approvato dal Governo prevede in sintesi che siano elettori per l'elezione del consiglio provinciale i sindaci e i consiglieri comunali in carica nei comuni della provincia, così come possono candidarsi alle elezioni provinciali esclusivamente i sindaci e consiglieri comunali in carica nei comuni della provincia. 2 Referendum Sardegna l’iniziativa referendaria in Sardegna, svoltasi il 6 maggio 2012, ha dato, com’è noto, un esito significativo. Il 97% circa dei votanti cui erano sottoposti i quesiti referendari, 5 dei quali abrogativi, 5 consultivi, ha manifestato la volontà di sopprimere le province di Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra, Olbia-Tempio attraverso la abrogazione della l.r. 9/2001. Una percentuale di circa il 66% dei votanti ha espresso un parere favorevole alla soppressione delle 4 province “storiche” della Sardegna. Soppressione di talune Province con legge ordinaria Per spiegare come si è arrivati alla attuale manovra di riordino, può essere utile, ricordare che già l’art. 15 del d.l. 138/2011 prevedeva, “in attesa della complessiva revisione della disciplina costituzionale del livello di governo provinciale”, la soppressione a decorrere dalla data di scadenza del mandato amministrativo provinciale in corso alla data di entrata in vigore del decreto - delle Province con meno di 300.000 abitanti e con una superficie inferiore a 3000 chilometri quadrati. Prevedeva, inoltre, l’esercizio da parte dei Comuni ricompresi nella circoscrizione delle Province soppresse dell’iniziativa di cui all’art. 133 Cost.. al fine di essere aggregati ad un’altra Provincia all’interno del territorio regionale. L’ostacolo rappresentato dalla procedura costituzionale di revisione delle circoscrizioni provinciali, da attivarsi anche in caso di soppressione di alcune, rappresenta a mio avviso il deterrente più significativo rispetto ad un procedimento che avrebbe probabilmente una razionalità maggiore di quello intrapreso. Tale articolo è stato dunque 3 soppresso in fase di conversione del d.l.; in ogni caso la questione non può non essere affrontata e dovrà misurarsi con questo scoglio anche la proposta formulata dall’UPI che prevede che siano definiti appositi indici attraverso un accordo in conferenza unificata per la delimitazione delle circoscrizioni provinciali e che, sulla base di questi, “i comuni del territorio esercitano l’iniziativa di cui all’art. 133 della costituzione al fine di essere aggregati alle nuove circoscrizioni provinciali o metropolitane, nel rispetto del principio di continuità territoriale.” DDl costituzionale recante “Soppressione di enti intermedi” (CDM - 8 settembre 2011) La riforma delle province potrebbe inoltre essere affidata al ddl costituzionale licenziato l’anno scorso dal consiglio dei ministri con i seguenti punti cardine: soppressione di ogni riferimento costituzionale alle Province; attribuzione alle Regioni della competenza a disciplinare, previa intesa con il CAL e nel rispetto di alcuni vincoli, “forme associative quali enti locali regionali per l’esercizio delle funzioni di governo di area vasta”, nonché il relativo ordinamento; previsione, in sede di prima applicazione, della soppressione delle Province alla data di cessazione del mandato amministrativo di ciascuna di esse in corso alla data di scadenza del termine del periodo transitorio (un anno dall’entrata in vigore della legge costituzionale) e contestuale istituzione delle forme associative; 4 soppressione - da parte dello Stato, delle Regioni e di altri enti territoriali - di enti, agenzie e organismi, comunque denominati, che svolgono funzioni di governo di area vasta e divieto di istituirne di nuovi. Ma chi ha traccia del percorso avviato con l’approvazione del DDL? L’art. 23 del “d.l. Salva Italia” - alcuni nodi da sciogliere Il primo effetto “abnorme” della riforma è legato alla disciplina transitoria che prevede la coesistenza di realtà provinciali svuotate delle funzioni di amministrazione attiva, ma con organi di governo diversi. Per citare solo i casi limite lombardi, coesisterebbero Province come Como “a regime” dal 2013 con le elezioni di secondo livello e Province come Pavia “non a regime” fino al 2016. Può reggere questo sistema a “geometria variabile”? Può essere giustificato uno stato di particolare “sospensione” del contesto democratico di legittimazione attraverso il voto? Comunque ricordando la premessa iniziale, ovvero il ricorso promosso avanti la corte costituzionale da RL, il primo problema che si pone per l’amministratore che affronti l’attuazione dell’art. 23 è il significato da attribuire all’espressione “funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività dei Comuni”, qualificate come funzioni di indirizzo “politico” in una prima versione della norma, le uniche che permangono in capo alla provincia. Quali funzioni potrebbero essere ricondotte alla suddetta categoria? 5 In concreto, per fare un esempio, le funzioni di pianificazione in ambito territoriale urbanistico (piani territoriali di coordinamento provinciali) ovvero inerenti l’uso del territorio (pianificazione delle attività estrattive, cave etc.) o le funzioni relative alla programmazione di insediamenti industriali rientrerebbero tra le funzioni di indirizzo e coordinamento? E’ chiaro che quanto più si restringe il novero di tali funzioni che possono permanere in capo alle province, tanto più si complica il processo di “riallocazione” per la necessità di individuare un livello di governo di “area vasta” senza generare incongrue duplicazioni. Si prevede che al trasferimento delle funzioni provvedano lo Stato e le Regioni con legge in base alle rispettive competenze. Ma a chi spetta muovere il primo passo? E’ pensabile che si proceda su binari separati e in mancanza di coordinamento? Come risolvere, poi, le questioni legate agli intrecci fra competenze statali e competenze regionali in materie, quali, ad esempio, l’agricoltura, l’industria, il commercio, il governo del territorio, alcune delle quali fortemente incise dalle materie/non materie trasversali quali la tutela della concorrenza? Per non parlare della complessità della materia ambientale quasi del tutto sottratta alla disponibilità del legislatore regionale. Non sarebbe piuttosto auspicabile che si costituiscano tavoli paritetici di confronto GovernoRegioni? Non sembra essere stata in tal senso la sede più efficace la commissione mista paritetica per la riforma della Repubblica insediatasi nel mese di gennaio 2012 con obiettivi “universali” e quindi troppo ambiziosi, che risulta aver cessato le sue funzioni senza aver affrontato la questione. Dal punto di vista regionale l’occasione potrebbe essere sfruttata per introdurre elementi di differenziazione fra le Regioni. E’ forse 6 realistico sostenere che il tema della riallocazione delle funzioni provinciali possa essere affrontato e risolto allo stesso modo in una Regione come la Lombardia (circa dieci milioni di abitanti, oltre 1500 Comuni, superficie di poco inferiore ai 24mila kmq, densità di oltre 400 abitanti per kmq) e nella Regione Molise (circa 319mila abitanti, 136 comuni, superficie di circa 4.400 kmq, densità di 72 abitanti per kmq) per fare un esempio? In quest’ultima si può immaginare che non sia particolarmente sentito il problema dell’identificazione di un livello di area vasta. Al contrario la prospettiva di una attuazione non omogenea della norma sul territorio nazionale dovrebbe muovere il Governo a identificare una sede di opportuna e leale collaborazione per affrontare il tema. L’inadempimento regionale entro il termine perentorio del 31 dicembre 2012 è “sanzionato” peraltro col potere sostitutivo da parte dello Stato esercitato con legge nei termini di cui all’art. 8 della l. 131/03 “La Loggia”. Ma anche l’esercizio del potere sostitutivo dovrebbe avvenire in base ad un criterio ordinatore delle funzioni difficilmente ravvisabile in modo omogeneo sul territorio nazionale. Quale può essere la soluzione? Tutto ai comuni? Pensiamo alle funzioni in tema di viabilità provinciale ed alla rete lombarda. Per dare comunque l’idea delle proporzioni dell’intervento in Lombardia si consideri che la Regione ha creduto molto nelle Province, avviando, a partire dal processo innescato dalle leggi “Bassanini” un massiccio conferimento di funzioni alle stesse. Da una ricognizione effettuata è emerso, infatti, che alle Province sono state conferite: 7 - 169 funzioni di amministrazione attiva - 53 funzioni di controllo; - 12 funzioni consultive; - 74 funzioni di pianificazione e programmazione. Pur scontando una classificazione dimensionale e concettuale non del tutto omogenea delle funzioni, si tratta di un trasferimento molto significativo. Le materie in cui si concentra il maggior numero di funzioni sono: agricoltura, infrastrutture, ambiente, formazione professionale. Unitamente alle funzioni amministrative occorre considerare il capitolo risorse finanziarie Regione Lombardia aveva già introdotto, nell’anno 2011, il percorso di devoluzione di capacità fiscale alle Province, prevedendo, con legge regionale, la sperimentazione di una compartecipazione delle Province al gettito della tassa automobilistica regionale in sostituzione dei trasferimenti propri regionali correnti aventi natura permanente e continuativa. L’implementazione di tale percorso dovrà quindi essere profondamente riadattata, non solo per tener conto del mutato contesto istituzionale ma anche alla luce dei prossimi sviluppi in ambito di federalismo fiscale. Anche la normativa statale e regionale inerente il Patto di Stabilità dovrà essere opportunamente rivista: si dovrà valutare l’ipotesi di un’eventuale armonizzazione delle differenti discipline. Nel caso in cui, invece, si intendesse mantenere la disciplina 8 attualmente prevista per le Regioni (per tetti), dovranno essere necessariamente ampliati i “tetti” stessi, considerata appunto l’acquisizione di nuove ed ingenti risorse dalle Province. Stesso discorso riguarderà il debito, la cui attuale disciplina dovrà essere opportunamente ripensata ai fini della necessaria armonizzazione delle disposizioni riguardanti i diversi Enti (limiti di indebitamento e introduzione del principio di pareggio di bilancio nella Carta Costituzionale). Non dimentichiamo inoltre la necessità di un adeguamento della disciplina contabile delle Regioni, che dovrà tener conto e considerare tutte le specificità proprie di ciascun Ente e che, inoltre, comporterà anche la revisione dei sistemi informativi contabili. Sarà inoltre da valutare ed approfondire la questione riguardante il “senso” e lo sviluppo del concetto di autonomia impositiva delle Province, se correlato ad elezioni di secondo livello. Merita specifica attenzione anche il tema relativo alle risorse umane, nonché il destino delle partecipazioni societarie attivate dalle Province. Potrà forse stupire, ma alcune province detengono partecipazioni o controllano un numero di società, agenzie ed enti strumentali di varia competenza e natura di gran lunga superiore a quelle di RL. E’ ovvio che l’impatto complessivo sulla regione sarebbe insopportabile se non dopo una razionalizzazione drastica che salvaguardi solo le società strategiche e i pacchetti azionari significativi (es. autostrade) 9 Sul versante della Regione, è altrettanto evidente il livello di complessità che ci si trova a governare; la riassunzione di una massa di funzioni anche di gestione amministrativa, che porterebbero a snaturare il ruolo di ente di governo e quindi di legislazione e programmazione, non può non preoccupare. Si pensi nell’ambito della formazione professionale ai CFP ceduti alle province e da queste gestite in genere attraverso aziende/agenzie speciali. Le funzioni che dovessero essere “trattenute” dalla regione non potrebbero che essere esercitate, laddove compatibili, attraverso la complessa articolazione degli enti del sistema regionale, quali, ad esempio, ERSAF ed ARPA a mente dell’art. 48 dello statuto regionale. Quanto ai destinatari delle funzioni riallocate, l’art. 23 del d.l. “Salva Italia” contempla soltanto i Comuni, dove non sussistano esigenze di esercizio unitario. Ma come non considerare anche le comunità montane, preservate in Lombardia dalla cancellazione? E’ chiaro che queste rappresentano nei territori montani un livello già presente ed operante come forma associativa di comuni montani, che potrebbe essere ritenuto adeguato per l’assunzione di talune funzioni. Altrettanto chiaramente questa scelta comporta un livello di differenziazione dell’assetto nei territori non montani che accresce la complessità dell’operazione. Altro punto da valutare in prospettiva il ruolo delle autonomie funzionali e, in particolare, le camere di commercio, cui sono state in passato attribuite funzioni. Non è stato messo in discussione dal processo “Bassanini” il ruolo delle stesse, cui potrebbero essere conferite funzioni nell’ambito delle materie delle attività produttive. Ma 10 l’art. 23 lo consente? Una serie di “interviste” svolta nei confronti delle strutture interne alla Giunta regionale per una valutazione empirica sulle ipotesi di riassegnazione di funzioni ora provinciali, ha portato all’esito qui sinteticamente rappresentato nei “tondi” di varie dimensioni. Si ritiene quindi, tecnicamente, che se dovesse essere attuata la riforma, in gran parte le funzioni dovrebbero essere (ri)assunte dalla Giunta regionale direttamente, anche per mezzo delle sedi territoriali presenti nelle province lombarde, o attraverso gli enti del proprio sistema. Vi sono forti dubbi sulla adeguatezza dimensionale del livello comunale rispetto all’assunzione di funzioni anche molto onerose. Come procedere quindi alla riallocazione delle funzioni senza aver prima ridefinito l’assetto delle gestioni associate? Non aiutano i vincoli posti dalla normativa statale in 11 tema di gestioni associate obbligatorie; vincoli che mal si adattano alle esigenze di flessibilità proprie di ciascuna realtà territoriale e che paiono essere definiti senza traguardare l’attuazione della riforma delle province, con una dissociazione pericolosa che le regioni dovrebbero colmare. Il quadro piuttosto articolato degli obblighi associativi in capo ai piccoli comuni sembra generare un certo scetticismo sulla capacità e volontà degli stessi di conseguire livelli dimensionali adeguati all’esercizio di funzioni complesse. Si ricordi anche che, a mente dell’art. 23, comma 21, del d.l. “Salva Italia”, “i Comuni possono istituire unioni o organi di raccordo per l’esercizio di specifici compiti o funzioni amministrativi garantendo l’invarianza della spesa”. Organizzazione territoriale dei servizi pubblici locali Il tema della riallocazione delle funzioni interferisce con quello dell’obbligo previsto dall’art. 25 del d.l. 1/2012 (c.d. “decreto liberalizzazioni”) per le Regioni, di organizzare, entro il 30 giugno 2012, lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica in ambiti o bacini ottimali o omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio. Il termine è perentorio e la sua inosservanza comporta l’esercizio di poteri sostitutivi governativi. L’ambito territoriale deve coincidere, di norma, con quello provinciale. Le regioni possono tuttavia individuare, anche su proposta dei comuni, specifici ambiti di 12 dimensione diversa, dove le valutazioni economiche e di analisi economica del diritto lo suggeriscano. Fermo il termine perentorio del 30 giugno 2012, è fatta salva - l'organizzazione di ssppll di settore in ambiti o bacini territoriali ottimali già prevista da discipline di settore vigenti; - l’organizzazione di ssppll prevista da disposizioni regionali che abbiano già avviato la costituzione di ambiti o bacini territoriali di dimensione non inferiore a quelle indicate sopra; - l'organizzazione di ssppll prevista in attuazione di specifiche direttive europee. Nel frattempo RL ha regolato con una recente legge un settore molto importante dell’esercizio di servizi pubblici locali, ovvero il TPL, individuando bacini di riferimento sovraprovinciali (Pavia è associata a Lodi, Milano, Monza e Brianza). Peraltro la provincia resta innegabilmente la circoscrizione territoriale di riferimento per la riforma in itinere di altri settori importanti, quali la disciplina dell’attività di escavazione. Ddl “Calderoli” e cenni ai contenuto dei nuovi emendamenti A rendere, se possibile, ancora più complesso lo scenario contribuisce la ripresa dell’iter parlamentare del disegno di legge recante “Individuazione delle funzioni fondamentali di Province e Comuni, semplificazione dell'ordinamento regionale e degli enti locali, nonché delega al Governo in materia di trasferimento di funzioni 13 amministrative, Carta delle autonomie locali. Riordino di enti ed organismi decentrati” cui i relatori Pastore e Bianco hanno presentato emendamenti molto significativi L’eventuale prefigurata attribuzione di funzioni fondamentali alle Province accentuerebbe, per un verso, la discrasia fra elezione di secondo livello e concreta possibilità di svolgimento delle funzioni stesse (di fatto, le province non sarebbero nelle condizioni di svolgere efficacemente neanche le “sole” funzioni d’indirizzo e coordinamento), per altro verso, porrebbe questioni problematiche sotto il profilo del finanziamento di tali funzioni. Potrebbe verificarsi il paradosso di organi provinciali in condizioni di innalzare la pressione fiscale senza essere sottoposti ad alcun riscontro elettorale. Non esiste al mondo un sistema democratico nel quale il potere impositivo è disgiunto dalle verifiche elettorali e quindi dai cittadini. Si consideri, inoltre, che l’attribuzione di funzioni fondamentali alle Province pregiudicherebbe ulteriormente il ruolo di governance che compete alle Regioni rispetto al sistema delle autonomie locali. Altro sarebbe consentire alle Regioni stesse di attribuire alle Province “funzioni di area vasta” non connotate come funzioni fondamentali. “Ddl Calderoli” - A.S. 2259 (cd. Carta delle autonomie locali) approvato in prima lettura dalla Camera il 30.06.2010, ora all’esame della Commissione Affari costituzionali del Senato: cenni ai contenuti dei nuovi emendamenti presentati dai relatori (Bianco e Pastore) in tema di province, città metropolitane e gestioni associate obbligatorie 14 Non sono stati accolti gli emendamenti “irrinunciabili” presentati dalla Conferenza delle Regioni. abrogazione dei commi 14, 18 e 19 dell'art. 23 della legge 214/2011: ciò significa che restano fermi solo i commi relativi all’elezione indiretta dei consigli provinciali e dei relativi presidenti, sono tolte di mezzo le disposizioni sulle funzioni esclusivamente di indirizzo e coordinamento e sull'obbligo per lo Stato e per le regioni di svuotare le province delle altre funzioni amministrative entro il 31 dicembre dell’anno in corso; riconoscimento delle funzioni fondamentali delle province quali “funzioni di area vasta”: ad es. tutela e valorizzazione dell’ambiente, per gli aspetti di competenza; pianificazione territoriale provinciale di coordinamento; pianificazione dei trasporti e dei bacini di traffico e programmazione dei servizi di trasporto pubblico locale; gestione delle strade provinciali; contestuale riaffermazione del ruolo di programmazione e coordinamento delle regioni nelle materie loro spettanti; affermazione del principio secondo il quale le funzioni fondamentali di province e comuni non possono essere attribuite a enti, società o agenzie statali o regionali e di enti locali (assente la salvaguardia di Arpa); prevista la possibilità per le Regioni di spostare a livello comunale le funzioni fondamentali delle province, previo accordo con gli enti interessati e previo accordo in Conferenza unificata; 15 introduzione ex novo dell'obbligo per le province con popolazione inferiore a 300.000 abitanti (200.000 nelle zone prevalentemente montane) di esercitare le funzioni fondamentali in forma associata tramite convenzione con una o più province limitrofe della stessa regione; previste la definizione, con legge regionale, d'intesa con il Governo e sentito il CAL, delle dimensioni ottimali per l'esercizio delle funzioni provinciali e la contestuale individuazione, nelle materie di cui all’art. 117, commi terzo e quarto, Cost., delle funzioni da esercitare in forma obbligatoriamente associata (quale sia il rapporto rispetto alla previsione di cui al punto precedente non è chiaro). abrogazione dell’art. 16 del d.l. 138/2011 relativo all’esercizio in forma associata di tutte le funzioni e di tutti i servizi da parte dei comuni con popolazione fino a 1000 abitanti (cd. “comuni polvere”). Resta la riduzione del numero dei componenti i consigli e le giunte; abrogazione dei commi da 25 a 31 del d.l. 78/2010 in tema di esercizio in forma associata delle sole funzioni fondamentali da parte dei comuni con popolazione compresa fra 1.001 e 5.000 abitanti; previsto lo svolgimento in forma obbligatoriamente associata – esclusivamente mediante unioni ex art. 32 del tuel o convenzioni - di quasi tutte le funzioni fondamentali da parte dei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti (3.000 se appartenenti a comunità montane); 16 fissato in 10.000 abitanti il limite demografico minimo per le unioni, salvo diverso maggior limite individuato dalle regioni; prevista l’individuazione con legge regionale, previa concertazione con i comuni interessati nell’ambito del CAL, della dimensione territoriale ottimale e omogenea per lo svolgimento, in forma obbligatoriamente associata, delle funzioni fondamentali da parte dei comuni con dimensione territoriale inferiore a quella ottimale. Organi: sindaco metropolitano, giunta e consiglio; possibilità di prevedere in sede statutaria che il sindaco metropolitano sia il sindaco del comune capoluogo; individuate quali funzioni fondamentali le stesse funzioni fondamentali delle province, nonché, fra le altre, l’organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano, la pianificazione delle reti infrastrutturali, la mobilità e la viabilità metropolitane. Le disposizioni del d.l. “Salva Italia” in tema di Province pongono questioni così rilevanti da non poter essere affrontate e risolte se non attraverso un serrato confronto e una forte collaborazione istituzionale, in particolare, fra Stato e Regioni. Non si sta ragionando, infatti, di una semplice sperimentazione, ma dell’avvio di un complesso e intricato processo di riorganizzazione e del conseguente spostamento di ingenti risorse umane, strumentali e finanziarie. Un processo senza ritorno che non tollera tardivi ripensamenti né esitazioni. 17 E’ evidente che tale processo - per l’incidenza che può avere sul rapporto tra cittadini e istituzioni soprattutto in termini di qualità delle prestazioni e di contenimento della spesa pubblica - non può essere lasciato in sospeso né calato dall’alto. Del pari evidente come, in un contesto di gravi incertezze, le Regioni non possano essere lasciate sole “in mezzo al guado”. La situazione appare “destabilizzante” almeno sotto due punti di vista: a) stato di sospensione della democrazia nelle Province commissariate o in via di commissariamento nel senso che non si dà ai cittadini la possibilità di eleggere direttamente il consiglio e il presidente della rispettiva provincia; b) venir meno di punti di riferimento importanti, quali sono appunto le province, in relazione all’esercizio di funzioni anche strategiche che, almeno formalmente, le province stesse hanno ancora in capo. Si aggiunga che il percorso di attuazione della normativa statale, oltre a scontare serie incertezze quanto alla tenuta e all’esito finale, non prevede alcun ruolo significativo per le Regioni, chiamate unicamente a riallocare funzioni nelle materie di competenza, senza disporre di un quadro generale di riferimento e orientamento: non risulta infatti , ad oggi, come già detto, che lo Stato si stia attivando per la riallocazione delle funzioni nelle materie di propria competenza. Nell'ambito di un convegno svoltosi nell’ambito del Forum PA il capo dipartimento per le riforme istituzionali Deodato ha ribadito che nel percorso dei attuazione dell'art.23 del il governo sta di fatto ripensando alcuni aspetti: 18 1. non è in discussione la governance prefigurata dall'art.23; 2. il governo è d'accordo nel riattribuire alle province alcune funzioni fondamentali di area vasta nell'ambito della carta delle autonomie (UPI insiste anche per Lavoro ed Edilizia scolastica); 3. i ddl costituzionali che il governo segue con favorevole attenzione hanno come comune denominatore la competenza regionale (parere favorevole UPI) e la riduzione delle province sulla base di parametri demografici (da 30 a 60 province soppresse); 4. la commissione per l'attuazione del federalismo sta per emanare una raccomandazione al governo per accelerare la riforma delle province; 5. il governo sta per presentare un emendamento alla carta delle autonomie locali finalizzato ad attivare un percorso procedimentale, d'intesa con le Regioni, per la razionalizzazione e la soppressione di enti intermedi .(consorzi ed altri enti).