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La Costituzione della Repubblica Italiana
La Costituzione della Repubblica Italiana La Costituzione è la legge fondamentale della Repubblica, sancisce i diritti e doveri dei cittadini e fissa il complesso di regole relative all'organizzazione e al funzionamento della Repubblica. La Costituzione della Repubblica Italiana è stata approvata dall'Assemblea costituente il 22 dicembre 1947 ed è entrata in vigore il 1° gennaio 1948. (Nella foto : 1947, Il Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola firma il decreto che promulga la Costituzione). "Il Capo provvisorio dello Stato Vista la deliberazione dell'Assemblea Costituente, che nella seduta del 22 dicembre 1947 ha approvato la Costituzione della Repubblica Italiana; Vista la XVIII disposizione finale della Costituzione; Promulga La Costituzione della Repubblica Italiana nel seguente testo:" ART.1 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” L’articolo è volto a sottolineare che l’Italia è una Repubblica di cui tutti hanno il diritto e il dovere di occuparsi. Il termine “repubblica” deriva dal latino res-pubblica che significa “cosa del popolo o di tutti” e analizzando il termine è necessario precisare la differenza fra “pubblico” e “comune”. “Pubblico” è ciò che è di proprietà collettiva, “comune” è invece ciò di cui nessuno ha la proprietà, come l’aria o l’acqua del mare, ma di questi ne viene regolamentato l’uso, come quando si disciplinano le frequenze radio. La forma di governo scelta è stata quella della Repubblica Parlamentare, fra le tre forme di Repubblica (Parlamentare, Presidenziale e Dittatoriale). Essa si caratterizza per la partecipazione del popolo al governo dello Stato, con l’elezione degli organi del potere legislativo da parte di tutti i cittadini. Infatti l’articolo in apertura punta sulla centralità del metodo democratico affinché il Governo e il Parlamento fossero l’espressione della maggioranza dei cittadini: la Repubblica è democratica, cioè “in mano al popolo”, da demos “popolo” e cratos “forza o potere”: La forma dell’Italia come Repubblica democratica viene rafforzata dall’art.139. Il potere supremo del governo appartiene al popolo, che non può esercitare la sovranità arbitrariamente, ma deve rispettare dei limiti a garanzia dei principi democratici (libertà, uguaglianza e fraternità). Il termine “popolo” indica l’insieme degli individui residenti in un determinato territorio, legati all’ordinamento giuridico, da un rapporto stabile costituito dallo status di cittadino, attributivo di diritti e doveri politici e civili. Proprio per ribadire ciò, non è stato utilizzato il termine “Stato”, perché esso finirebbe per indicare il complesso delle strutture burocratiche in mano al Governo. Per il popolo sono previste due forme di partecipazione al governo dello Stato: quella della “democrazia indiretta o rappresentativa” attuata con l’elezione da parte dei cittadini dei loro rappresentanti tramite elezioni (art.55) a suffragio universale (art.44) e quella della “democrazia diretta” che consente un coinvolgimento più immediato dei cittadini nelle decisioni politiche che riguardano l’intera collettività, come nel caso dei referendum, delle petizioni e delle iniziative popolari (art.75). La Repubblica viene fondata sul lavoro, che diventa così il valore fondamentale che qualifica la forma del nostro Stato e che impone il perseguimento di una politica di difesa sociale, tesa ad eliminare le disuguaglianze ed i privilegi economici, attraverso la promozione e la tutela privilegiata di ogni attività lavorativa. L’articolo testimonia che la nostra Costituzione ha un contenuto di accordo tra le forze politiche dell’allora Assemblea Costituente, in quanto da una parte ribadisce i principi cardini dell’ideologia liberale (quando si parla di “Repubblica democratica”), dall’altro sancisce un nuovo modello di democrazia, un nuovo tipo di collegamento tra Stato e comunità: infatti il riferimento al lavoro impone una lettura in chiave socialista o operaistica delle norme costituzionali. Si è voluto, non solo riaffermare quelle garanzie proprie dell’ideologia liberale, tese alla salvaguardia dei diritti inviolabili dell’uomo contro l’abuso dei poteri pubblici, ma anche compiere un ulteriore passo in avanti in direzione della cancellazione di qualsiasi privilegio: in tale ottica si è riconosciuto il diritto al lavoro come mezzo di affermazione del singolo e della sua personalità e nello stesso tempo come strumento di progresso materiale e sociale. Annovi Giuseppe & Feola Aniello ART.2 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” L’art. 2 della Costituzione della Repubblica Italiana può essere diviso in due parti: la prima riguarda i diritti dell’uomo, la seconda i doveri. Nella prima parte si dichiara che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo. Riconoscere vuol dire accettare qualcosa che già esiste , diritti che non sono creati dallo Stato ma che esistono indipendentemente da esso. Si ritrovano in queste parole i principi della teoria del “diritto naturale”, seconda la quale ogni uomo possiede , in quanto essere umano, alcuni diritti che lo stato non può negargli in alcun modo. Tali diritti sono i c.d. diritti inviolabili”: tale espressione non sta a significare che lo stato non possa in casi specifici limitare tali diritti, ma tali limitazioni devono essere sempre attuate con atti aventi forza e valore di legge e in relazione a fattispecie ben determinate. Una negazione molto evidente dei diritti dell’uomo fu attuata dal regime fascista. Per fa sì che questa situazione non si ripetesse, nel 1948 l’Assemblea Generale dell’ONU ha approvato la “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”, con lo scopo di impegnare tutti gli stati che vi hanno aderito a far valere nei loro ordinamenti giuridici questi principi. Inoltre viene sottolineata la garanzia della tutela dei diritti, non solo allorchè siano esercitati in ambito individuale, ad es. la libertà di manifestare il proprio pensiero, ma anche quando la loro affermazione ha carattere collettivo, come nelle ipotesi del diritto di riunione. Anche in questo aspetto si può cogliere una reazione alla ideologia fascista che aveva praticamente annullato il diritto di associazione nel timore che potesse costituire una minaccia al regime vigente. I cittadini, così come si vedono riconoscere i diritti inviolabili, inderogabilmente sono tenuti a rispettare i doveri di solidarietà economica, cioè il dovere di pagare le imposte , di solidarietà politica, ovvero il dovere di partecipare alla vita politica del paese, attraverso l’esercizio del diritto di voto, e di solidarietà sociale, cioè il dovere di concorrere con il proprio operato ad eliminare o quantomeno ad arginare le situazioni di disagio sociale. Nell’art.2 è presente la cultura liberale quando si parla dei diritti dell’uomo, quella cattolica quando si parla di personalità e quella socialista quando si parla di solidarietà. Paolo Baldassarre & Angela Ferrante ART.3 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese In questo articolo si distinguono due principi: il riconoscimento dell’uguaglianza in tutte le sue specificazioni e il principio secondo cui lo Stato non si limita a riconoscere i diritti naturali e a punire chi attenta all’ordine delle cose, ma diventa attivo e si impegna a favorire il rispetto e il godimento dei diritti stessi. Tutti i cittadini sono eguali di fronte alla legge implicando, così, un generale obbligo di osservanza della legge stessa al fine di scongiurare abusi di potere da parte dei soggetti pubblici in danno dei privati. La norma inoltre vieta allo Stato di emanare provvedimenti discriminanti in base ad uno o più dei parametri indicati (sesso, razza, religione, ecc). Ciò collima perfettamente con i principi della religione cattolica. Ma non è tutto. Superando la vecchia concezione di Stato liberale che aveva sancito semplicemente il principio di eguaglianza davanti alla legge, la Costituzione italiana definisce la caratteristica di Stato sociale, per assicurare ai cittadini l’effettivo godimento della libertà e dell’uguaglianza rimuovendo gli ostacoli e promuovendo il benessere materiale e sociale. Dopo l’affermazione teorica del principio di uguaglianza il Costituente nella seconda parte dell’articolo ha voluto calarsi nella realtà concreta dove sono molti i fattori di disuguaglianza tra i cittadini. Per eliminare ogni situazione di privilegio che offenda le pari dignità, è previsto l’impegno dello Stato, Questo impegno si concretizza con il valutare situazioni uguali con metodi uguali, considerando i vari aspetti che caratterizzano la vita del cittadino. La condizione sociale ed economica incide a differenziare le pene. Los spirito che informa la Costituzione si preoccupa di creare le condizioni per rimuovere gli ostacoli che impediscono l’effettiva uguaglianza fra i cittadini, favorendo pari opportunità e un sistema di protezione sociale garantito per tutti. In questo modo si tende ad instaurare quel concetto di solidarismo politico, economico e sociale di cui in più parti è permeata la nostra Costituzione. Luisa Berarducci & Pasquale Ferrarese ART.4 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.” L’articolo 4 della Costituzione Italiana fa esplicito riferimento all’articolo 1 e in particolare alla frase con la quale si da inizio ai principi fondamentali di essa: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. L’articolo si suddivide in due parti: nella prima si evidenziano i diritti dei cittadini in merito al lavoro, nella seconda i doveri che essi hanno. L’articolo 4 dichiara che “la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro”, ciò significa che tutti i cittadini hanno il diritto al lavoro e la Repubblica riconosce e promuove questo diritto, ma non garantisce il suddetto diritto. È compito della Repubblica far crescere le situazioni favorevoli e realizzare le condizioni che rendano effettivo per tutti questo diritto. È altresì chiaro che tutti hanno il dovere di essere in qualche modo utili agli altri, ognuno ha cioè il “dovere di svolgere secondo le proprie possibilità, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. La Repubblica però non impone al cittadino quale attività svolgere, bensì lo lascia libero di scegliere l’attività da svolgere secondo le proprie possibilità e le proprie inclinazioni. Con questo articolo viene riconosciuto il lavoro quale valore costituzionale, l’articolo in esame presenta un’influenza liberalista (concetto di progresso) e una socialista (concetto di lavoro). Correlati al diritto al lavoro sono gli articoli 35, 36 e 37 della Costituzione Italiana. ART.5 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.” L’articolo 5 della Costituzione repubblicana definisce il modello italiano di Stato regionale in cui, alle comunità territoriali (le Regioni) vengono riconosciute sfere di autonomia nel campo dell’amministrazione, della legislazione, della finanza. La Repubblica riconosce nella Costituzione il fatto che l’Italia presenti al suo interno situazioni diverse. Non dimentichiamo che fino a metà del secolo scorso siamo stati divisi in tanti stati, che proveniamo da dominazioni straniere diverse, che parlavamo dialetti diversissimi l’uno dall’altro che abbiamo costumi diversi. Oltretutto nel 1946, al termine della Seconda Guerra Mondiale, in Sicilia ci furono episodi di insurrezioni separatiste. Per tutelare queste caratteristiche e queste esigenze diverse, sono riconosciute all’interno dello Stato, le Regioni. Le Repubblica è la somma di tante piccole comunità (Comuni, Province, Regioni), che le riconoscono il diritto di provvedere per quelle necessità che sono comuni a tutti. L’uomo è arrivato ad accettare lo Stato allargando via via il suo bisogno di associazione: dall’uomo alla famiglia, al quartiere, al comune. E’ chiara, quindi, l’influenza della cultura cattolica che mette in rilievo il valore della persona (personalismo). Tuttavia i due aggettivi apposti alla parola Repubblica ribadiscono il principio di unitarietà dello Stato italiano. Inoltre questo principio è tutelato dall’art. 139 in cui si vietano modifiche costituzionali che possano mettere in pericolo l’unità nazionale. Nell’ultimo comma si definisce il modello fondato sull’autonomia e sul decentramento incaricando le Regioni di una funzione di programmazione e di coordinamento delle autonomie locali (Comuni, Province). Nel momento in cui si affermano principi di autonomia e decentramento è evidente l’ispirazione alla cultura liberale e democratica che esalta il valore della libertà. Giovanni Colangelo & Giulio Valente ART.6 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.” La legittima aspirazione delle minoranze a vedere tutelata la propria specialità culturale, storica e linguistica, in altre parole la loro identità, costituisce espressione di rilievo degli attuali valori della democrazia. In tal senso interviene l’articolo 6 della Costituzione Italiana il cui principio ispiratore è per l’appunto quello liberale democratico (il termine “tutela” racchiude in se questo principio). Con il suddetto articolo la Repubblica Italiana si impegna a salvaguardare con disposizioni particolari i cittadini di lingua diversa. Nel nostro Stato esistono regioni a statuto speciale (Friuli, Trentino, Valle d’Aosta) che hanno particolari forme di autonomia, atte a permettere una maggiore capacità di difesa del proprio patrimonio culturale e una maggiore salvaguardia delle minoranze linguistiche; in particolare gli statuti di queste regioni dispongono di specifiche norme a protezione di queste minoranze linguistiche, utilizzando due modelli: quello del bilinguismo, con la possibilità di insegnare e di utilizzare sia l’italiano che la lingua materna; quello del separatismo linguistico, con scuole differenziate e con l’utilizzo della propria lingua nei rapporti con l’autorità pubblica. Nonostante ciò, questi due modelli vengono utilizzati solo per le minoranze più numerose, come quella tedesca in Trentino-Alto Adige, quella francese in Valle d’Aosta, quella slovena in Friuli Venezia Giulia. Questo articolo della Costituzione vieta ogni forma di discriminazione basata sulla diversità della lingua, poiché il principio di tolleranza prevede una tutela positiva delle minoranze etniche volta a salvaguardare la loro identità, e a consentire un’effettiva partecipazione di questi gruppi alla vita politica e sociale dello Stato. L’articolo 6 include in se il principio di conservazione della lingua materna, in quanto, anche se lo Stato impone la lingua italiana, esso salvaguarda le varietà linguistiche permettendo a queste comunità di utilizzare l’idioma originario, carattere fondamentale della propria storia. Tuttavia non sempre le previste norme trovano riscontro nella realtà legislativa italiana. La presenza di questo punto nella Costituzione italiana ha inoltre favorito l’immigrazione, fenomeno attualmente molto diffuso, essendo la nostra penisola meta ogni anno di un gran numero di immigrati. Donatella dell’Orco & Mauro Pizzi ART.7 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.” L’art.7 della Costituzione stabilisce che “lo Stato e la Chiesa cattolica sono ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”, aggiungendo che i loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Con questa norma i nostri costituenti ribadivano la validità, nella situazione italiana dell’immediato dopoguerra, dell’assetto di rapporti fra Stato e Chiesa realizzato con i Patti del ’29. Con essi si concludeva in Italia l’era del separatismo-che considerava la Chiesa nulla più di un soggetto dell’ordinamento dello Stato, la cui attività era perciò regolata dal diritto interno- e si apriva una nuova stagione nella quale i due enti, riconosciuta la reciproca sovranità e indipendenza, entravano in rapporto fra loro come soggetti dell’ordinamento internazionale. In questa direzione spinse anche l’esigenza di non creare, tra le forze laiche e marxiste da un lato e cattoliche dall’altro, una frattura che, oltre a compromettere i difficili equilibri politici del momento, avrebbe potuto impedire la stipulazione di un duraturo patto costituzionale fra tutti i partiti della Resistenza. E’ da notare che l’art.7 non si limita a riaffermare il principio concordatario, ma offre una specifica “copertura costituzionale”ai Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929. Dispone infatti il comma due che tali Patti possono essere modificati solo con procedimento di revisione costituzionale (art.138), salvo che non intervenga un accordo fra lo Stato e la Chiesa, nel qual caso è sufficiente una legge ordinaria. Nel 1984 lo Stato italiano ha rinnovato il Concordato con la Chiesa cattolica. Il nuovo Concordato si ispira a principi di maggiore indipendenza reciproca fra Stato e Chiesa e di maggiore rispetto per la libertà religiosa di tutti i cittadini. L’istruzione religiosa è sempre garantita nelle scuole dallo Stato ma è impartita soltanto a coloro che ne fanno richiesta e non è più considerata fondamento e coronamento dell’istruzione. Alla Chiesa si riconosce ancora il diritto di celebrare e di pronunciare sentenze di annullamento valide anche per lo Stato,purché in armonia con le leggi italiane. In questo senso emergono dall’art.7 le tendenze liberal-democratiche. Rossana dell’Orco & Francesca Simone ART.8 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze. “ Per la Costituzione, nella Repubblica italiana, tutte le confessioni religiose sono eguali davanti alla legge. La religione cattolica non è più considerata la sola religione di Stato dal 1984, anno in cui fu stipulato un accordo di modificazione dei Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929, che regolavano i rapporti fra Stato italiano e Vaticano(Pio XI). Con questo nuovo concordato si afferma il principio della libertà religiosa:tutte le confessioni religiose diventano “egualmente libere davanti alla legge”, compresa quella cattolica. Però equiparando la Chiesa cattolica alle altre confessioni religiose, si considererebbe marginale la sua enorme influenza storica sulla vita politica e spirituale del paese e la sua incessante pretesa di sovranità e di completa indipendenza dallo Stato. Perciò, attraverso l’espressione “le confessioni religiose diverse dalla cattolica”, la nostra costituzione mantiene nettamente distinta la posizione della Chiesa cattolica da quella delle altre religioni:mentre la prima è riconosciuta come ordinamento sovrano ed equiordinato alla Stato (art.7), che intrattiene con essa rapporti di diritto internazionale, le seconde godono di autonomia, ma non di sovranità. Esse possono organizzarsi secondo propri statuti, hanno il diritto di celebrare i propri riti, di avere luoghi di riunione, di professare le proprie idee, purché non svolgano attività contrarie all’ordinamento italiano. I rapporti fra lo Stato e queste confessioni “sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze”; le intese, pur non essendo atti di diritto internazionale, come invece i concordati stipulati con la Chiesa cattolica, sono comunque atti bilaterali che implicano una posizione paritaria tra lo Stato e le confessioni:come queste ultime non devono contrastare con gli istituti giuridici italiani, lo Stato, a sua volta, non deve sopprimere l’autonomia e la libertà organizzativa delle confessioni acattoliche e non può neppure regolarne unilateralmente l’attività e i rapporti con se stesso. Queste intese sono tuttavia atti che implicano una posizione paritaria fra Stato e confessione ed escludono quindi un ordinamento gerarchico fra esse. L’articolo 8 si ispira a ideali democratici e liberali in quanto esprime la libertà di religione e di organizzazione. Giovanna de Mango & Francesca Simone ART.9 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione” Con questo articolo la nostra Repubblica finanzia, promuove e incoraggia gli studi, al fine di farci comprendere la natura dell’uomo (cultura), incentiva la comprensione e lo studio delle leggi dell’universo (ricerca scientifica) e la progettazione e costruzione di strumenti atti a migliorare la qualità della vita (ricerca tecnologica). Con la formazione di parchi e riserve naturali e con l’istituzione del corpo forestale dello Stato, la Repubblica protegge la terra italiana, le creature che vivono (animali) e crescono (piante) su essa e il patrimonio forestale. Per preservare dall’oblio l’immenso patrimonio artistico (palazzi, quadri, statue e bellezze naturali) e il patrimonio storico (monumenti), la Repubblica finanzia le opere di restauro, mantenimento e conservazione di queste opere. (L’Italia ha nel proprio territorio il 60% dell’intero patrimonio artistico mondiale). Questo articolo è di ispirazione liberale e ha contribuito alla creazione dei seguenti ministeri ed enti: Ministero dei beni culturali, Ministero della ricerca scientifica, Ministero per la tutela ambientale, sottosegretariato della protezione civile, Centro Nazionale Ricerche (CNR). Collegati a questo articolo sono gli articoli 33 e 33 della Costituzione Italiana. Davide di Pierro ART.10 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici L’articolo 10 della Costituzione si occupa della tutela del cittadino e dello straniero. Nella parte iniziale si afferma che l’insieme delle leggi che sono alla base dell’ordine della Repubblica, cioè le leggi dell’ordinamento giuridico, sono state fatte nel rispetto delle regole fissate da tutte le nazioni civili. Le leggi italiane quindi sono state fatte in maniera da non essere in contrasto con l’insieme degli indirizzi, delle regole internazionali. Con questa iniziale affermazione si esprime quindi il rispetto per quei rapporti “inter nationes” che ci sono istituiti durante il corso della storia e di convivenza civile. Anche le leggi riguardanti la condizione giuridica dello straniero sono adattate alle norme e ai trattati internazionali; Nella seconda parte dell’articolo viene analizzata la condizione dei rifugiati politici, cioè di coloro i quali non potendo esercitare la propria libertà di pensiero nel proprio paese sono costretti a rifugiarsi in altri paesi. Viene riservata allo straniero un’accoglienza umana e civile, infatti gli si riconosce il diritto d’asilo e si afferma che chi è perseguitato nel suo paese per le sue idee politiche o religiose può trovare ospitalità nel nostro paese e non può essere estradato, cioè riconsegnato al paese straniero che vorrebbe condannarlo. Si può dire quindi che l’articolo 10 della Costituzione non è altro che la concretizzazione di uno dei valori fondamentale più antichi e più diffusi della storia dell’umanità: il rispetto e la difesa dell’ospite che si trova in casa nostra. Giulia di Pierro ART.11 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo” L’articolo 11 sancisce il principio pacifista adottato dall’Italia che non solo “esclude” ma “ripudia” (termine ancora più forte e perentorio) la guerra come strumento per la risoluzione dei conflitti fra i popoli. La norma vieta le guerre di aggressione, cioè quelle con le quali si lede l’indipendenza o l’integrità territoriale di un altro Stato, o si vuole imporre con la forza un certo ordinamento ad un’altra popolazione, non solo nel caso di dichiarazioni formali dello stato di guerra, ma anche in tutti i casi di lotta armata che si distinguono dalle guerre in senso tecnico solo sotto il profilo formale, ma non per le conseguenze che comportano. Per questo motivo la norma vieta anche di venire militarmente in aiuto di un altro Stato che lotti, nel proprio territorio, contro un movimento di liberazione nazionale. Si pensi al movimento separatista basco in Spagna, o a quello di liberazione della Palestina in Israele. Dalle disposizioni date in questo articolo e dalla lettura degli artt. 78 e 87, che si riferiscono alla dichiarazione dello stato di guerra, si desume che l’unico tipo di guerra ammesso é la legittima difesa per respingere un attacco armato che minacci l’esistenza e l’indipendenza politica italiana. Questa interpretazione é avvalorata dal dovere di difendere la Patria sancito dall’art. 52. Il principio della limitazione della sovranità é sancito dal Costituente per affermare la volontà di partecipare come membri responsabili alla comunità internazionale, accettando quelle limitazioni alla libertà giuridica e di azione imposte dall’adesione dello Stato alle organizzazioni internazionali che promuovono la pace e la giustizia fra le nazioni. Esemplificativo è il caso dell’O.N.U. (Organizzazione delle Nazioni Unite) il cui scopo è appunto quello di promuovere la pace e la giustizia fra le nazioni, o della N.A.T.O. sorta per la difesa comune dei paesi aderenti. Le limitazioni sono consentite nella misura in cui tutti gli Stati membri, in condizioni di parità, conferiscano e riconoscano determinati poteri alle istituzioni sovranazionali. La Corte costituzionale ha ritenuto che l’adesione dell’Italia alla Comunità europea (CE) rientrava tra le limitazioni di sovranità previste dall’art. 11. In base a questa interpretazione ha considerato legittimo un parziale trasferimento agli organi comunitari dell’esercizio della funzione legislativa, nonché di poteri amministrativi e giurisdizionali, con il limite del rispetto dei principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e dei diritti inviolabili della persona. Come culture ispiratrici dell’art. 11 si possono individuare sia quella cattolica che quella liberale. Il rifiuto di un’aggressione attraverso il ricorso alla violenza armata è un invito alla pace che fa parte della cultura cattolica. Nel preservare la libertà degli altri popoli è insito invece un principio di rispetto delle libertà che è di origine liberale. Daniele di Pilato & Giulia Paternostro ART.12 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni La Costituzione italiana non ha modificato i colori della bandiera nazionale, simbolo del Risorgimento e dell’Unità d’Italia. Si è limitata a restituirla all’integrità, eliminando al suo centro lo scudo di Casa Savoia. La bandiera italiana è una variante della bandiera della rivoluzione francese, nella quale fu sostituito l'azzurro (simbolo del mare) con il verde che, secondo il simbolismo massonico, simboleggiava la natura ed i diritti naturali (uguaglianza e libertà). Il rosso stava invece a significare il sangue dei martiri e dei morti in guerra ed il bianco la neve delle Alpi (cioè i confini della nazione). Non si sa precisamente quando fosse stata utilizzata per la prima volta; Napoleone la adottò il 15 maggio 1796 per le Legioni lombarde e italiane. Nell'ottobre dello stesso anno il tricolore assunse il titolo di bandiera rivoluzionaria italiana ed il suo verde, proclamato colore nazionale, divenne per i patrioti simbolo di speranza per un migliore avvenire: con questo valore fu adottato dalla Repubblica Cispadana il 7 gennaio 1797, qualche mese dopo da Bergamo e Brescia e poi dalla Repubblica Cisalpina. In quell'epoca le sue bande erano disposte talvolta verticalmente all'asta con quella verde in primo luogo, talvolta orizzontalmente con la verde in alto; a cominciare dal 1° maggio 1798 soltanto verticalmente, con asta tricolorata a spirale, terminante con punta bianca. Nella metà del 1802 la forma divenne quadrata, con tre quadrati degli stessi colori racchiusi l'uno nell'altro; questo cambiamento fu voluto dal Melzi (vice presidente della Repubblica Italiana) per cancellare ogni vincolo rivoluzionario legato alla bandiera. Abolito alla caduta del Regno Italico, il tricolore fu ripreso, nella sua variante rettangolare, dai patrioti dei moti del 1821 e del 1831. Nel 1831 Mazzini la scelse come bandiera per la sua Giovine Italia, e fu subito adottata anche dalle truppe garibaldine. Durante i moti del '48/'49, sventolò in tutti gli Stati italiani nei quali sorsero governi costituzionali: Regno di Napoli, Sicilia, Stato Pontificio, Granducato di Toscana, Ducato di Parma, Ducato di Modena, Milano (dove, durante le Cinque giornate, il re di Sardegna Carlo Alberto assicurò al Governo provvisorio lombardo che le sue truppe, pronte a venire in aiuto per la seconda guerra d’indipendenza, avrebbero marciato sotto le insegne del tricolore), Venezia e Piemonte. In quest'ultimo caso alla bandiera fu aggiunto nel centro lo stemma sabaudo (uno scudo con croce bianca su sfondo rosso, orlato di azzurro). Il 14 marzo 1861 venne proclamato il regno d’Italia e la bandiera continuò ad essere per consuetudine il Tricolore. In seguito, il 24 settembre 1923 il Regio Decreto n. 2072 lo adottò come bandiera nazionale. La variante sabauda divenne bandiera del Regno d'Italia fino al referendum istituzionale del 2 giugno 1946, quando nacque la Repubblica Italiana e lo scudo dei Savoia fu tolto. Nel 1947, l’anno successivo, il Tricolore venne introdotto nella Costituzione repubblicana. Grazia di Pinto La presente Costituzione è promulgata dal Capo provvisorio dello Stato entro cinque giorni dalla sua approvazione da parte dell’Assemblea Costituente, ed entra in vigore il 1° gennaio 1948. Il testo della Costituzione è depositato nella sala comunale di ciascun Comune della Repubblica per rimanervi esposto, durante tutto l’anno 1948, affinché ogni cittadino possa prenderne cognizione. La Costituzione, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica. La Costituzione dovrà essere fedelmente osservata come Legge fondamentale della Repubblica da tutti i cittadini e dagli organi dello Stato. Data a Roma, addì 27 dicembre 1947. ENRICO DE NICOLA Controfirmano: Il Presidente dell’Assemblea Costituente: UMBERTO TERRACINI Il Presidente del Consiglio dei Ministri: ALCIDE DE GASPERI Visto: il Guardasigilli GRASSI FRATELLI D'ITALIA Testo di Goffredo Mameli (1827 - 1849) Musica di Michele Novaro (1818 - 1885) Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta; dell'elmo di Scipio s'è cinta la testa. Dov'è la Vittoria? Le porga la chioma; ché schiava di Roma Iddio la creò. Stringiamoci a coorte! Siam pronti alla morte; Italia chiamò. Noi siamo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi. Raccolgaci un'unica bandiera, una speme; di fonderci insieme già l'ora suonò. Stringiamoci a coorte! Siam pronti alla morte; Italia chiamò. Uniamoci, amiamoci; l'unione e l'amore rivelano ai popoli le vie del Signore. Giuriamo far libero il suolo natio: uniti, per Dio, chi vincer ci può? Stringiamoci a coorte! Siam pronti alla morte; Italia chiamò. Dall'Alpe a Sicilia, dovunque è Legnano; ogn'uom di Ferruccio ha il core e la mano; i bimbi d'Italia si chiaman Balilla; il suon d'ogni squilla i Vespri suonò. Stringiamoci a coorte! Siam pronti alla morte; Italia chiamò. Son giunchi che piegano le spade vendute; già l'Aquila d'Austria le penne ha perdute. Il sangue d'Italia e il sangue Polacco bevé col Cosacco, ma il cor le bruciò. Stringiamoci a coorte! Siam pronti alla morte; Italia chiamò.