Dieci storie di chi ha ripreso in mano la propria vita
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Dieci storie di chi ha ripreso in mano la propria vita
Redazione: Piazza Cavour 17 - 00193 Roma • Poste Italiane spa – Spedizione in abbonamento postale 70% - Milano IL MAGAZINE PER LA DISABILITÀ / AGOSTO-SETTEMBRE 2014 / NUMERO 8-9 VOLTERRA VIGORSO DI BUDRIO Nella patria della riabilitazione L’officina delle protesi più grande d’Italia DOPO L’INFORTUNIO Dieci storie di chi ha ripreso in mano la propria vita EDITORIALE di Giovanni Paura Direttore Centrale Prestazioni Sanitarie e Reinserimento, Inail Infortuni sul lavoro. Per noi non sono numeri A nche quest’anno la Relazione annuale sugli infortuni lavorativi arriva inesorabile a ricordarci che di lavoro ancora si muore e ci si ammala. Per fortuna i dati offrono qualche elemento di conforto: i decessi e gli incidenti sono fortemente diminuiti nel 2013, l’ultimo anno analizzato dal rapporto. Le morti bianche sono state 660 e gli infortuni 695mila, rispettivamente il 17 per cento e il 7 per cento in meno rispetto all’anno precedente. E, soprattutto, è calato l’indice di sinistrosità, ovvero la percentuale degli incidenti sul numero di lavoratori occupati. Una buona notizia, certo, ma che non deve in ogni caso farci abbassare il livello di guardia. Dinanzi a tali tragedie noi non restiamo a guardare. I tecnici e gli esperti dell’Inail lavorano costantemente per diffondere tra i datori di lavoro e i lavoratori quella cultura della sicurezza, che ancora stenta ad affermarsi. Non è mai troppo insistere sul valore della prevenzione. Purtroppo tutto questo non basta e il nostro primo mandato istituzionale rimane comunque quello di accompa- Il nostro primo mandato gnare i lavoratori e le loro famiglie nel lungo e faticoso percorso che segue rimane quello di accompagnare il trauma dell’incidente. Un dovere che va oltre l’erogazione dei benefici economici indispensabili per l’infortunato e i suoi familiari. E che i nostri i lavoratori e le loro famiglie medici, assistenti sociali ed esperti portano avanti attraverso quella che, nel percorso che segue il trauma con un termine eloquente, definiamo presa in carico dell’individuo. Perché sappiamo bene che rendite, protesi e ausili da soli non sono sufficienti. dell’incidente E che gli infortunati di cui l’Istituto si prende cura ogni giorno ci chiedono innanzitutto di aiutarli a elaborare nuovi percorsi esistenziali. Una sfida difficile per chi vede sgretolarsi di punto in bianco ogni certezza e per noi che ci troviamo a dover dare una risposta alla più difficile delle domande: che cosa sarà ora della mia vita? Per questa ragione abbiamo deciso di raccontare i nostri Centri di eccellenza di Vigorso di Budrio e di Volterra, insieme alle storie di tanti che sono riusciti a rialzarsi dopo l’incidente. Lo abbiamo fatto attraverso un numero monografico della nostra rivista conducendo prima i lettori nelle officine delle protesi e della riabilitazione, dove l’elemento vincente è la soluzione personalizzata che nasce dalla relazione tra tecnici e pazienti. E poi raccogliendo le storie di chi ha vissuto il trauma dell’infortunio sulla propria pelle. In controtendenza rispetto al modello ormai imperante nella professione giornalistica, i nostri corrispondenti hanno lasciato le scrivanie per incontrare direttamente le persone nelle loro case. Perché la nostra idea del giornalismo somiglia alla nostra idea di presa in carico: relazione, prossimità, comprensione delle ragioni dell’altro. SuperAbile INAIL 3 Agosto Settembre 2014 sommario SuperAbile Magazine Anno III - numero otto-nove, agostosettembre 2014 Direttore: Giovanni Paura In redazione: Antonella Patete, Laura Badaracchi e Diego Marsicano Direttore responsabile: Stefano Trasatti Redazione: SuperAbile Magazine c/o agenzia di stampa Redattore Sociale Piazza Cavour 17 - 00193 Roma E-mail: [email protected] Stampa: Tipografia Inail 6 L’arte di fare le protesi. Autorizzazione del Tribunale di Roma numero 45 del 13/2/2012 Un ringraziamento particolare Progetto grafico: Giulio Sansonetti In copertina: protesi al Centro di Vigorso di Budrio (Bologna). Foto di Riccardo Venturi l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro alle assistenti sociali Inail delle Direzioni regionali e delle Sedi territoriali, che hanno collaborato alla realizzazione di questo numero. SuperAbile INAIL non sono numeri di Giovanni Paura il reportage Via Boncompagni 41 - 20139 Milano Hanno collaborato: Laura Pasotti, Jacopo Storni, Michela Trigari (Redattore Sociale); Ilaria Cannella, Francesca Iardino, Monica Marini, Maria Pedroli (Inail) Editore: Istituto Nazionale per EDITORIALE 3 Infortuni sul lavoro. Per noi Il miracolo di Budrio di Laura Pasotti 10 Carmine Iannece, 53 anni, Calitri (Avellino) di L.P. 16 Interfacce neurali e robotica: le nuove frontiere della ricerca di L.P. 18 Enrico Lanzone: «Diamo alle persone una prospettiva di vita» di L.P. 4 Agosto Settembre 2014 24 A scuola di riabilitazione. Le tecnologie di Volterra di Jacopo Storni 26 Aziz Basraoui, 47 anni, Mohammedia (Marocco) di J.S. 28 Manuela Salis, 28 anni, Sassari di J.S. Quell’umanità oltre le tecnologie la vita dopo l’incidente. 10 storie 34 E a Vigorso è sbocciato l’amore. 36 39 42 46 48 50 52 La fortuna di Antonino di Laura Badaracchi In sella o in canoa. Continua il sogno di Brunella di L.B. Body building e manicaretti. La rinascita di Antonio di L.B. Ho aiutato tanti giovani a incontrare lo sport. Nino di Antonella Patete Come un arco ti aiuta a guarire. La missione di Willy di A.P. Io non mi fermo dinanzi a niente. L’entusiasmo di Salvo di A.P. E a un certo punto ho smesso di piangere. Caterina di A.P. Dio mi ha salvato, l’Inail mi ha rimesso in piedi. Thomas di A.P. 54 Ostia, gli albori dello sport paralimpico di A.P. 58 Non tutti i giorni nasce un campione. La tenacia di Vittorio di A.P. 60 Dopo 40 anni è ancora amore. L’ironia di Uber e Irene di A.P. l’intervista 62 Angela Goggiamani Malattie professionali: un fenomeno da non sottovalutare di A.P. 64 Margherita Caristi Servizio sociale: dall’assistenza all’autonomia degli infortunati di A.P. Dulcis in fundo 66 Strissie - I pupassi Realizzare un numero monografico è sempre una scelta impegnativa per una rivista che, pur con il passo lento del mensile, ha l’ambizione di seguire le infinite svolte dell’attualità. Bisogna abbandonare l’agenda per fare un tuffo nelle storie che si è scelto di approfondire. In questo numero siamo andati nei Centri di Vigorso di Budrio e di Volterra per mettere in luce quel lato umano che troppo spesso rimane in secondo piano rispetto all’eccellenza tecnologica. Perché dietro le sperimentazioni di avanguardia nel campo delle protesi e della riabilitazione si nasconde un esercito di tecnici, operatori, scienziati sempre al servizio delle esigenze del paziente. Professionisti abituati a mettere in discussione il loro lavoro, perché sanno bene che anche l’ausilio più avveniristico non serve a nulla senza la profonda convinzione di chi se ne servirà. Il numero ospita anche una serie di storie di infortunati sul lavoro che, con l’aiuto dell’Inail, sono riusciti a riprendere in mano la propria vita sconvolta dall’incidente. Persone di varia età e provenienza geografica e sociale che testimoniano l’infinita ricchezza dell’esperienza umana, anche dopo lo shock di ritrovarsi improvvisamente in un corpo diverso. E che a volte sono riuscite a fare della disabilità sopraggiunta un’occasione di cambiamento ed esplorazione di nuovi mondi. Lungo tutto questo viaggio ci ha accompagnato un fotografo, Riccardo Venturi, che ha immortalato nei suoi scatti il lavoro, le emozioni, l’impegno di tutti quelli che abbiamo incontrato. E che si sono prestati volentieri a raccontarci le loro esperienze. Anche quando si trattava di ripercorrere momenti difficili delle loro esistenze, andando a toccare ferite ancora aperte. A tutti loro va il nostro grazie. di Adriana Farina e Massimiliano Filadoro SuperAbile INAIL 5 Agosto Settembre 2014 L’arte di fare le protesi. Il miracolo di Budrio SuperAbile INAIL 6 Agosto Settembre 2014 IL REPORTAGE Dalle mani cinematiche di legno degli anni Sessanta agli attuali arti robotici, ne ha fatta di strada il Centro protesi Inail di Vigorso di Budrio. Una struttura dove artigianato, ricerca, sfida, innovazione sono all’ordine del giorno. E dove al centro di tutto c’è sempre il paziente, che spesso entra demotivato e sconsolato ed esce con una speranza in più: quella di poter tornare a una vita normale. Ma Vigorso è anche un crocevia di storie dove utenti, operatori, tecnici percorrono insieme un importante tratto di strada. Alla ricerca di una soluzione unica e personalizzata, che vada bene per ogni singolo caso. Viaggio nell’officina protesica fiore all’occhiello del made in Italy Romano, classe 1966, due volte vincitore del World Press Photo, dalla metà degli anni Novanta Riccardo Venturi si occupa soprattutto delle aree in conflitto del pianeta. In Italia ha realizzato un reportage fotografico sulle morti bianche per conto dell’Anmil. Sono suoi gli scatti di questo numero monografico. SuperAbile INAIL 7 Agosto Settembre 2014 L’arte di fare le protesi. Il miracolo di Budrio SuperAbile INAIL 8 Agosto Settembre 2014 IL REPORTAGE Laura Pasotti H eorhiy ha 29 anni. Di origine ucraina, da circa un decennio lavora in Italia, nell’edilizia. A Vigorso di Budrio, in provincia di Bologna, è arrivato solo da qualche mese. Nel giugno del 2013 è caduto da un’impalcatura a Longiano, nel forlivese. Stava tagliando le tubature sul soffitto di un capannone per sostituirle, ma un pezzo si è staccato finendogli addosso e lui è precipitato da quattro metri di altezza. Lesione spinale incompleta, la diagnosi. Heorhiy percorre uno dei corridoi del Centro protesi Inail su una sedia a ruote. Alto, magro, silenzioso, lo sguardo basso. Si ferma davanti a un ambulatorio dove proverà i tutori che gli consentiranno di camminare di nuovo, anche se – sottolinea lui – «in modo diverso». La conseguenza della lesione spinale, infatti, è una paraplegia. Non muove più la gamba destra, mentre la sinistra è paralizzata solo fino al ginocchio. I tutori sfruttano la funzione cinetica del corpo, dei muscoli, per farlo muovere. Dopo aver trascorso quattro mesi al Centro riabilitativo dell’ospedale di Montecatone, vicino a Imola (sempre nel Bolognese), Heorhiy o Giorgio, «il mio nome italiano», è a Vigorso di Budrio per rimettersi in piedi. «Sto imparando a usare i tutori, faccio fisioterapia, vado in palestra ed è finita la giornata», racconta. Ancora qualche mese – il tempo per sistemare le pratiche relative all’infortunio – e poi tornerà in Ucraina, dalla sua famiglia, dalla moglie e dai figli di quattro e sei anni. A chi gli chiede cosa farà una volta a casa, lui risponde: «Messo così, non potrò più fare niente». La depressione e la tendenza a chiudersi in se stessi o in un atteggiamento negativo è molto diffusa – e anche comprensibile – fra chi transita per il Centro protesi, specie tra quelli che, come Heorhiy, stanno imparando a convivere con un corpo diverso solo da poco tem- SuperAbile INAIL 9 Agosto Settembre 2014 L’arte di fare le protesi. Il miracolo di Budrio Carmine Iannece 53 anni Calitri (Avellino) È bastato un attimo. Un comando sbagliato. E l’autobetoniera con cui stava lavorando nell’azienda di famiglia si è portata via tutte le dita del piede sinistro. Al Centro traumatologico ortopedico di Napoli gliele hanno riattaccate, ma l’operazione non è riuscita e il piede è andato in necrosi. Poi un viaggio al Nord, all’Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna, dove gli hanno consigliato di tagliare la gamba a metà polpaccio, anziché solo il piede, perché avrebbero potuto fare «una protesi migliore». Da allora sono passati 30 anni e Carmine Iannece, SuperAbile INAIL 10 Agosto Settembre 2014 53enne di Calitri, in provincia di Avellino, continua a tornare al Nord, destinazione Vigorso di Budrio, dove gli hanno fatto una protesi transtibiale. «Quella nuova ha un piede elettrico», racconta soddisfatto. Particolare fondamentale, perché Carmine non ha mai smesso di lavorare – «se no IL REPORTAGE po. Anche per questo motivo, alla prima visita – oltre al tecnico, al fisiatra e al consulente ortopedico per valutare le potenzialità della persona (anche in base all’età) – ci sono anche uno psicologo e un’assistente sociale. La presa in carico è integrata, sia dal punto di vista motorio che da quello psicologico e ambientale. Al centro ci sono sempre loro, gli utenti. La prima visita è il momento in cui il paziente riceve le corrette informazioni su ciò che il Centro è in grado di offrire. Non sempre tutto è possibile e l’obiettivo principale è non creare false aspettative. Vero è che le protesi di Vigorso di Budrio fanno degli autentici miracoli: consentono alle persone di ritornare al lavoro, di usare un computer, di sciare o anche (solo) di ricominciare a camminare. Basti pensare che la struttura è il fiore all’occhiello del made in Italy, in particolare per quanto riguarda le protesi sportive: sono, infatti, diversi gli atleti presenti alle ultime edizioni delle Paralimpiadi di Londra e Sochi che hanno trovato qui la protesi più adatta per la propria disciplina. Il risultato finale, però, dipende anche dalla collaborazione da parte del paziente e dalla fiducia che ripo- ne nei tecnici, come racconta Antonio Ammaccapane, responsabile del Reparto protesi, andato in pensione il primo luglio dopo aver lavorato per 42 anni a Vigorso di Budrio. «Siamo tecnici e non psicologi, ma dopo tanti anni un po’ di cose sulla psicologia dei pazienti le abbiamo imparate anche noi – afferma –: abbiamo capito che, se si interrompe il rapporto di fiducia tra tecnico e paziente, difficilmente si arriverà a un risultato ottimale». Ovvio che, se i problemi sono reali, si interpella uno psicologo per aiutare la persona a superare le proprie difficoltà. Con alcuni pazienti è più facile perché sono estremamente positivi, come Carcome lo pago il mutuo?» –, è tornato a correre, fa passeggiate in montagna e, soprattutto, va ancora a ballare con la moglie Rosa. «Ci siamo conosciuti quando avevamo 13 anni e non ci siamo più lasciati – dice –. Quando ho avuto l’incidente ci eravamo appena sposati e la nostra prima figlia aveva sei mesi: ci siamo fatti forza a vicenda». Di figli poi ne sono arrivati altri quattro. Attualmente Carmine lavora insieme a due di loro e al fratello nell’azienda di famiglia, che oggi si occupa di estrazione di marmo nel Potentino. «Non mi sono mai barricato dietro il mio handicap e ce l’ho messa tutta perché volevo tornare a essere SuperAbile INAIL quello di prima», afferma. «Oggi mi sento integrato al 101%», racconta Carmine, anche se non nasconde che alla sera, quando si toglie la protesi e va a dormire, a volte mentre è a letto pensa che «se venisse a tremare la terra, tutti gli altri si salverebbero mentre io, ora che mi infilo la protesi, è già venuta giù la casa». Ma 11 Agosto Settembre 2014 è solo un pensiero, che non gli toglie il sorriso con cui affronta la vita. Se ne sono accorti anche a Vigorso di Budrio, tanto che quando è al Centro Inail per sostituire la protesi lo mettono in stanza con i più giovani, quelli amputati da poco, per aiutarli, tirarli su di morale e trasmettergli un po’ del suo ottimismo. [L.P.] L’arte di fare le protesi. Il miracolo di Budrio La sua vita è cambiata il 29 dicembre 1975. Figlio di agricoltori, quella sera Vendemiano sta combattendo con una cisterna per i liquami. Mentre la presa cardanica pompa, si allontana per dare da mangiare agli animali. Quando sente che la cisterna è piena, corre ma scivola e Vendemiano Mazzer 54 anni San Polo di Piave (Treviso) dida molto breve dida molto breve finisce dentro la presa con la gamba sinistra. Il padre è ancora in campagna e lui è da solo. Lo trovano due signori arrivati per acquistare un maialino e lo portano all’Ospedale di Oderzo (Treviso), dove gli amputano la gamba sopra il ginocchio. Vendemiano ha 15 anni. «Allora lo psicologo non era un’opzione da prendere in considerazione e ci sono voluti anni per metabolizzare l’accaduto – dice –. I miei non sapevano come comportarsi: parlavano di protesi miracolose che mi avrebbero fatto tornare come prima. Lo dicevano in buona fede e io, ragazzino, ci credevo». La prima protesi è arrivata nel 1976, a Budrio. E non era il “miracolo” che gli avevano prospettato. SuperAbile INAIL 12 Agosto Settembre 2014 IL REPORTAGE mine Iannece (box alle pagg. 10-11) che frequenta Vigorso di Budrio ormai da 30 anni. Nei giorni in cui è al Centro per sostituire la protesi (per legge ogni quattro anni o più spesso, se servono riparazioni), di frequente condivide la stanza con i nuovi amputati, per contagiarli con la sua positività. Carmine ce l’ha messa tutta per tornare a essere come prima e oggi con la sua protesi transtibiale va a lavorare, a fare passeggiate in montagna e a ballare. Per altri, al contrario, è molto difficile accettare la nuova condizione. «Ci sono alcuni pazienti che su 365 giorni, stanno ricoverati per 200», dice Antonio. E allora si prova anche a scherzare, aggiunge Fausto Caprara, alla soglia dei 24 anni al Centro come tecnico. «È un modo per sbloccarli», afferma. Non sempre ci si riesce, ma esistono ottime protesi e, grazie ai progressi della tecnologia, le opportunità a disposizione dei pazienti sono in continua evoluzione. Pasqua Caterina Guida (a fianco) ha 47 anni e da quasi 20 lavora a Vigorso di Budrio come fisioterapista. «Mi piace tantissimo la mia professione, ma soprattutto mi piace quando i pazienti sono contenti», racconta. A volte capita che alcuni mostrino disinteresse o rifiutino il rapporto, «un meccanismo di difesa che attuano per il timore di non farcela – spiega Catia, come tutti la chiamano qui al Centro –. Il nostro compito è stare loro vicino, aiutarli, spronarli, ma senza assecondarli quando assumono un atteggiamento negativo». Catia è nella palestra del Centro protesi – sviluppata insieme al laboratorio per la sperimentazione delle abilità – dove i pazienti «vengono addestrati a camminare di nuovo». C’è chi abbozza qualche passo tenendosi appoggiato alle parallele e chi si misura sul tapis roulant. «Dalla sedia a ruote alla protesi, quando li rimetti in Faceva male e non riusciva a stare in piedi. Figuriamoci camminare. C’è voluto un mese di fisioterapia per fare i primi passi, con il bastone. «Ma l’ho presa bene, perché volevo tornare a essere come prima». Quello che non sarebbe tornato come prima è il lavoro. Così Vendemiano riprende la scuola: il padre lo iscrive all’istituto agrario e, finiti gli studi, lavora in qualche ufficio. Ma non gli piace: la terra è la sua vita ed è lì che torna. Nel frattempo le attrezzature si sono evolute e, pur con la protesi, ricomincia a lavorare. A metà degli anni Ottanta si ritrova titolare dell’azienda di famiglia, la stessa in cui lavora ancora oggi con la moglie Caterina, sposata nel 2003. Prima di allora, l’approccio con l’altro sesso SuperAbile INAIL non è stato facile: «Non pensavo di poter essere attraente per una donna». Con la moglie è stato più facile: ci ha pensato sua sorella a fargliela incontrare e quando sono usciti insieme conosceva già la sua storia. Ora hanno sette ettari di vigneti a San Polo di Piave e producono prosecco doc. Vendemiano ha un ginocchio elettronico 13 Agosto Settembre 2014 (Genium): «La protesi mi permette di usare entrambe le braccia, andare in campagna, tornare a pranzo, uscire di nuovo e la sera cenare, toglierla, lavarla, lavare me stesso e rilassarmi. Senza, non potrei farcela – conclude –. Certo, mi manca correre o giocare a pallone: quando ero ragazzo me lo sognavo di notte, ora mi succede di meno». [L.P.] L’arte di fare le protesi. Il miracolo di Budrio Giuseppe Calò 40 anni Cesano Maderno (Monza-Brianza) Il 22 giugno 2005 Giuseppe Calò è stato investito, mentre andava al lavoro in moto, da una macchina che non ha rispettato la precedenza. Era il giorno del suo compleanno. «Quell’incidente mi ha cambiato la vita», racconta, oggi che ha 40 anni. SuperAbile INAIL Un mese di coma, poi il risveglio. Prima e dopo quel momento c’è il vuoto. Quello che ricorda bene, però, era che non riusciva né a parlare né a camminare. E non muoveva il braccio destro. Da allora ha subìto cinque interventi, di cui uno perché il nervo frenico (che tiene il diaframma) gli schiacciava un polmone, dandogli 14 Agosto Settembre 2014 problemi respiratori. «Ho dovuto ricominciare a camminare, imparare di nuovo a parlare, come i bambini», dice. Suo figlio Lorenzo, all’epoca, aveva due mesi e mezzo e sono «cresciuti» insieme. Prima dell’incidente Giuseppe era responsabile del reparto di taglio e cucito in un’azienda che produceva IL REPORTAGE piedi è una rinascita», aggiunge Catia. Le scene commoventi sono piuttosto frequenti, soprattutto se ad accompagnare gli infortunati c’è qualche parente. Altri pazienti attendono il proprio turno all’ingresso della palestra. Uno di loro è Eugenio Stefanelli, 59enne di Lodi, che nel 1997 è rimasto coinvolto con il suo camion in un maxi-tamponamento in autostrada all’altezza di Calenzano, vicino a Firenze. «Ci sono volute più di quattro ore per tirarmi fuori dalla cabina», ricorda. Il radiatore del mezzo era esploso e il liquido di raffreddamento era sparso sulle sue gambe. Dopo le medicazioni al Pronto soccorso di Prato, Eugenio è stato ricoverato al Centro traumatologico dell’Ospedale Careggi a Firenze, dov’è rimasto per tre mesi. La gamba destra aveva subito uno schiacciamento: «I medici hanno provato a salvarla, ma non c’è stato nulla da fare e nel gennaio del 1998 hanno deciso per l’amputazione sopra il ginocchio», dice. Eugenio racconta di aver reagito in modo positivo; gli piaceva cantare e, nei momenti buoni, sentivano la sua voce dagli altri reparti del Careggi. Ma quando la gamba gli faceva male per la sindrome dell’arto fantasma, «piangevo come un bambino». Poi Eugenio è arrivato a Budrio, «che non sapevo neanche che esistesse», dove ha ricevuto la prima protesi in ferro, pesantissima, «ma io ci sono andato anche a sciare», ammette. Dopo qualche anno, un ginocchio elettrico gli ha permesso di scendere le scale e fare le discese. Eugenio ha ricominciato a lavorare inizialmente come portinaio in una ditta di Lodi – «ma prima macinavo chilometri sul mio camion e non riuscivo a stare lì a non fare niente» –, poi in un’azienda che fa controsoffitti a led e mobili in metallo per le macchine da caffè, dov’è impiegato tuttora. divani; organizzava il lavoro di 20 persone. Ma dopo quel giorno non è più tornato a lavorare. «Sto a casa con mio figlio e mia moglie lavora», spiega. Cucina, ma soprattutto segue Lorenzo anche se ammette di riuscire a fare poche cose con lui. «Ma cerco di fare bene quelle poche, al meglio delle mie possibilità». Tutta la SuperAbile INAIL famiglia gli è stata di grande aiuto, soprattutto il padre, in pensione. Oggi Giuseppe continua ad avere problemi alle gambe e porta un tutore in resina al braccio destro che ha subito una lesione brachiale: ha un deficit in flessione dell’avambraccio. Con il tricipite muove il braccio e l’elastico inserito nel tutore 15 Agosto Settembre 2014 gli permette il movimento del bicipite che, invece, non funziona. Quando si è trattato di scegliere il tutore, ha preferito uno di quelli in resina colorata. L’ha provato, si è fotografato e ha mandato lo scatto a suo figlio con il cellulare. «Mi ha detto: “Papà, sei bellissimo con quel braccio”», racconta. [L.P.] L’arte di fare le protesi. Il miracolo di Budrio Interfacce neurali e robotica: le nuove frontiere della ricerca Costruire un sistema innovativo impiantabile per il controllo di protesi di mano poliarticolata, in grado di restituire la sensibilità perduta. È l’obiettivo di uno dei progetti esterni di ricerca, relativi agli arti superiori, che il Centro protesi Inail di Vigorso di Budrio sta sviluppando insieme ad alcuni partner per il triennio 2013-2016. Com’è possibile? Attraverso un sistema impiantabile di interfacce neurali. Questa la ricerca su cui il Centro è al lavoro insieme all’Università Campus biomedico di Roma: integrare un sottosistema, basato su sensori tattili di SuperAbile INAIL contatto e scivolamento, e un sistema di stimolazione intraneurale in grado di dare alla persona amputata alcune forme tattili e di percezione (per esempio quella di riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio), utili sia per controllare la protesi che per prendere o manipolare oggetti. A Vigorso di 16 Agosto Settembre 2014 Budrio si aspettano, con questi dispositivi, di influire positivamente anche sulla sindrome dell’arto fantasma, che fa sentire dolore nella parte mancante dell’arto amputato. Inoltre il Centro sta sviluppando, in collaborazione con l’Istituto di biorobotica della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, IL REPORTAGE «L’anno scorso – racconta – per la prima volta dall’incidente sono andato al mare e ho fatto il bagno». Per Eugenio è una conquista – «prima mi vergognavo» –, ma a Budrio gli hanno fatto una copertura in silicone che, una volta indossata, fa sembrare la protesi una gamba vera, del colore della sua carnagione e con la peluria, da usare in spiaggia. Oggi Eugenio è consigliere regionale dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi sul lavoro (Anmil) per la Lombardia, va in moto e si dice «contento di essere ancora qua». Le stesse parole potrebbero pronunciarle i circa 11.500 pazienti – infortunati sul lavoro Inail, invalidi civili assistiti dal Servizio sanitario nazionale (dal 1984) e privati, in particolare stranieri, di qualsiasi età e con disabilità motorie anche gravi, affetti da patologie congenite o acquisite e traumatiche – che ogni anno transitano per il Centro protesi Inail di Budrio. Nel 2013 quelli trattati sono stati 11.929 (per un totale di 28.562 prestazioni), di cui circa 2mila in conto all’Asl. La struttura di Vigorso di Budrio, a una trentina di chilometri dal centro di Bologna, esiste dal 1961. È in quell’an- no che il vecchio convalescenziario, comprato nel 1943 dall’Inail, diventa Centro protesi. Oggi ha 90 posti letto accreditati e conta oltre 300 dipendenti, di cui più di 140 in produzione. In oltre 50 anni di attività, a Vigorso è stata mantenuta alta l’attenzione per la riabilitazione, ma si è sviluppato sempre di più il lavoro dell’officina ortopedica per realizzare protesi e ausili all’avanguardia nel mondo. Dalla mano cinematica in legno e dalle protesi di coscia degli anni Sessanta alle moderne mani mioelettriche personalizzate, fino alle protesi d’anca, alle calzature ortopediche, agli ausili per guidare l’auto o alle protesi sportive, la struttura si è affermata nel tempo un dito protesico funzionale, poliarticolato e sensorizzato. Le mani rappresentano una delle parti del corpo più difficili da trattare con protesi, per via dell’esiguità della parte disponibile. Questo progetto riguarderà la realizzazione di un prototipo di protesi falangea su cui poter disporre una sensorizzazione, con particolare attenzione alle dimensioni e all’estetica. Infine il Centro protesi, insieme all’Istituto italiano di tecnologia di Genova, sta realizzando due progetti con significative potenzialità di ricadute industriali: una protesi avanzata manopolso e un esoscheletro per la deambulazione. In particolare questo SuperAbile INAIL dispositivo si rivolgerà a persone con disabilità motoria da mielolesione. Un esoscheletro, insomma, come il Re-walk realizzato in Israele e che è stato in sperimentazione a Budrio come strumento per la riabilitazione, ma più innovativo e tutto italiano: dalla progettazione alla realizzazione. [L.P.] 17 Agosto Settembre 2014 L’arte di fare le protesi. Il miracolo di Budrio Enrico Lanzone: «Diamo alle persone una prospettiva di vita» «Fare in modo che chi ha subito un infortunio possa essere messo in condizioni di parità rispetto alle persone normodotate». È la scommessa del Centro protesi Inail di Vigorso di Budrio per i prossimi anni. Parola di Enrico Lanzone, 50 anni di Genova, dal 2011 SuperAbile INAIL e fino allo scorso giugno direttore del Centro. Come raggiungere questa parità? «Attraverso la tecnologia e l’attenzione che assicuriamo ai nostri pazienti», aggiunge. Tecnologia e rapporto speciale con i pazienti. È questo il segreto del successo del Centro Inail? Direi di sì. Un “segreto” che 18 Agosto Settembre 2014 è nel Dna dell’Inail prima ancora che di Budrio. Qui da noi raggiunge il suo apice perché prendiamo in carico persone con seri problemi di vita a causa di un infortunio sul lavoro o di un’invalidità civile, per restituire loro l’autonomia. Qual è il primo impatto per chi arriva da voi? Il Centro protesi appare IL REPORTAGE come Centro altamente specializzato per la ricerca e l’innovazione in campo protesico. Ne sa qualcosa Fiorenzo Tondello (a fianco), 52enne di Bassano del Grappa (Vicenza). Dopo aver subito un’am- dida molto breve come una “cittadina”. Chi arriva qui come paziente si rende conto di non essere da solo, ma insieme a tanti altri e realizza che vivere significa avere relazioni. Il nostro obiettivo è sì rimetterli in piedi ma anche motivarli, dare loro una prospettiva, una passione. Qui prendiamo per mano le persone e le riportiamo alla loro esistenza. Il traguardo più importante raggiunto dal Centro? Nel 2012 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha riconosciuto l’eccellenza e la funzione sociale di Budrio. Un riconoscimento che ha un significato molto ampio, perché lavoriamo per recuperare la disabilità. Siamo la punta di avanguardia per abbattere SuperAbile INAIL putazione transradiale al braccio destro a causa di un infortunio, è rientrato nella sua azienda ma non più in falegnameria. Ora si occupa dell’organizzazione del lavoro grazie a una protesi mioelettrica, azionata usando l’elettricità rilevata dal movimento dei muscoli del moncone, fabbricata a Budrio; inoltre ha iniziato a suonare la chitarra, da autodidatta. Oggi Fiorenzo porta una “BeBionic”, mano robotica («mano Terminator», come scherzosamente la chiamano al Centro) e sulla quale, nonostante le “proteste” di figli e amici, indossa un guanto estetico personalizzato, in silicone. «La scelta della protesi dipende anche dall’uso che deve farne la persona – spiega Gianni Carrieri, tecnico ortopedico –. Le mani poliarticolate permettono movimenti più fluidi, ma sono molto delicate». Bolognese, 45 anni, Carrieri è a Budrio dal 1994 dove si occupa di lesioni transradiali, quelle sotto al gomito. In questi anni ha vissuto le evoluzioni della tecnologia e dei materiali. In particolare, racconta, è l’invaso (ovvero l’interfaccia tra il moncone e la parte elettrica della protesi) ad aver subito grandi cambiamenti. «Nelle protesi transradiali in cui la presa è sopra il gomito le invasature sono diventate più piccole: abbiamo tolto la plastica dove non serviva e le abbiamo fatte minimaliste», spiega. Se prima il moncone era chiuso dentro una specie di scafandro, ora – grazie ad apposite aperture – il paziente si interfaccia con il mondo esterno in modo diverso: per esempio, attraverso fori praticati sul gomito è in grado di percepire le superfici su cui si appoggia. «Anche dal punto di le barriere tra disabili e normodotati. Quali sono le prossime sfide in campo protesico? Abbiamo un bel pacchetto di sfide. A partire dall’esoscheletro, a cui stiamo lavorando con l’Istituto italiano di tecnologia, passando per le protesi per arto superiore insieme al Centro di ricerca 19 Agosto Settembre 2014 della Scuola Sant’Anna, fino ad arrivare al progetto di ricerca con il Campus biomedico di Roma, che ha l’obiettivo di realizzare protesi comandate dal cervello. [L.P.] L’arte di fare le protesi. Il miracolo di Budrio dida molto breve Rosella Treschi 49 anni Pordenone Se ripensa all’incidente che 25 anni fa le è costato l’anulare della mano destra, Rosella dice: «Il destino era lì che mi aspettava». Lavorava in una falegnameria e non le piaceva. Ogni giorno andava in fabbrica e piangeva. Oggi pensa che avrebbe dovuto cogliere i segnali davanti ai suoi occhi e SuperAbile INAIL andarsene prima. C’è voluto un incidente con la rifilatrice per spingerla a lasciare quel posto. «È una macchina a cui bisogna stare molto attenti – racconta –. Io la stavo pulendo, è bastato un attimo e la mano è stata trascinata dalla lama. Quando mi sono tolta i guanti, sono svenuta». All’ospedale le hanno lasciato un piccolo moncone per potervi inserire una 20 Agosto Settembre 2014 IL REPORTAGE vista estetico sono stati apportati miglioramenti, mediante l’uso del silicone che rende la protesi più confortevole», afferma. Oltre a essere impiegato per realizzare coperture realistiche per le protesi, sia di arto superiore che inferiore, il silicone è uno dei materiali utilizzati per le cosiddette protesi estetiche ad alta cosmesi. Capita, infatti, che i pazienti non richiedano protesi funzionali, ma cosmetiche e personalizzate in cui sono riprodotti i dettagli della pelle (vene, peluria, colore, unghie), come nel caso di Rosella Treschi (box a pag. 20). Erika Groccia (nella pagina a fianco), tecnico ortopedico, ci lavora da sei anni, da quando è entrata a Budrio: «Quello delle protesi estetiche è un mondo abbastanza nuovo», spiega. I banchi da lavoro dei tecnici impegnati in questo reparto assomigliano un po’ ai tavoli di esperti di make-up: tavolozze con i colori, fotografie appese, modelli. Le protesi fatte qui sono piccole opere d’arte, tanto che i tecnici che vi lavorano hanno talvolta un background artistico. Ultima tappa è il reparto ausili. Anche in questo caso si studia un programma personalizzato per il paziente. Si sceglie una sedia a ruote elettrica, se è possibile e ce n’è la necessità; si adattano le automobili per essere guidate solo con le mani; si dotano le carrozzine di ruote motrici per chi lavora in campagna e si adattano anche i mezzi agricoli per essere manovrati da una persona che non è più in grado di muovere le gambe o si sposta soltanto su sedia a ruote. Anche in questo campo la tecnologia ha fatto passi da gigante. Qualche esempio? A un paziente tetraplegico i tecnici Inail hanno fornito un “integra-mouse”, dispositivo che gli consente di comandare un computer con le labbra, soffiando invece di cliccare. Nell’ofprotesi e hanno preso un pezzo di tendine da una gamba per ridarle la mobilità. Rosella, allora, aveva 25 anni e ha girato tutta l’Italia per riuscire a tornare come prima. Poi è approdata al Centro protesi di Vigorso. Erano i primi anni Novanta. E non se n’è più andata. «Volevo sentirmi normale e qui mi hanno sempre trattato come una persona normale», dice. Ora porta una protesi estetica. Sul dito poi infila un anello, grande, per mascherare il punto in cui il moncone incontra il silicone della protesi. Periodicamente, torna a Budrio per cambiarla. «Qui – dice – hanno un atteggiamento positivo». E anche lei, dopo quell’incidente, ha cambiato vita. In meglio. Oggi, infatti, SuperAbile INAIL non lavora più in segheria ma tiene corsi di yoga kundalini insieme al marito, conosciuto mentre faceva fisioterapia. « Ho perso qualcosa, ma ho acquisito una coscienza diversa – confida –. Ho capito che bisogna essere felici di quello che si ha. Ecco perché con lo yoga, insieme a mio marito, cerco di aiutare gli altri». [L.P.] 21 Agosto Settembre 2014 L’arte di fare le protesi. Il miracolo di Budrio «Mi ritengo fortunata: per un centimetro non ho avuto una lesione da tetraplegia». Cinzia Giurgola, fiorentina, 53 anni, è da 20 su sedia a ruote a causa di un incidente stradale che le ha provocato una lesione spinale. Era il 1994 e lei, impiegata al ministero della Difesa, viene coinvolta in un Cinzia Giurgola 53 anni Firenze tamponamento mentre va al lavoro. Sul momento non sembrano esserci grosse conseguenze. A distanza di qualche giorno, però, non riesce a stare in piedi. Lastre e risonanza magnetica non rivelano niente, ma lei accusa dolori alla schiena, difficoltà a muoversi, problemi respiratori. Ulteriori esami, al Meyer di Firenze, rivelano SuperAbile INAIL un’emorragia spinale. Cinzia subisce un intervento per rimuoverla, e altri per stabilizzare i problemi polmonari. Ma non camminerà più. Trascorre diversi mesi in ospedale, «senza poter rivedere la mia casa, i miei vestiti e le mie scarpe». Inizia il percorso per l’autonomia, utilizzando sedie a ruote e ausili. A 22 Agosto Settembre 2014 Budrio arriverà dopo qualche anno, perché nel 1994 l’infortunio in itinere non è ancora riconosciuto dall’Inail. Non tornerà più nemmeno a lavorare. «Non c’erano bagni attrezzati né scivoli all’ingresso – racconta –. I dolori neurologici e le difficoltà urologiche mi avrebbero costretta a dare continue spiegazioni, perché stavo male e dovevo usare IL REPORTAGE ficina di Vigorso di Budrio hanno anche sperimentato la guida tramite joystick, che permette ai pazienti di “mettersi al volante” rimanendo sulla sedia a ruote. Un altro esempio è la sedia Genny 2.0, autobilanciante, realizzata da Paolo Badano, disabile, e in dotazione anche al Centro protesi di Budrio. Al primo impatto non sembra nemmeno una carrozzina per persone disabili, ma ricorda i segway, mezzi a due ruote in dotazione a vigili urbani e polizia ferroviaria. Cinzia Franceschini, 42 anni, lavora a Budrio come tecnico dal 2008. Si occupa di ausili; insieme al fisioterapista Massimiliano, sta seguendo Cinzia Giurgola (box a pag. 22) nell’addestramento sulla Genny 2.0. «I nostri utenti hanno grandi aspettative, ma accontentarli sempre non è la cosa migliore», dice. Anche la paziente ha rischiato di non poter avere Genny 2.0: è troppo leggera per manovrarla. Ma alla fine sono riusciti ad adattarla al suo peso. «Non tutti gli ausili vanno bene per ogni persona – spiega ancora Franceschini –: è fondamentale fornire quello giusto in base alla patologia del singolo». Un mix di artigianato e ricerca, in cui al primo posto c’è sempre il paziente: ecco cos’è il Centro protesi Inail di Vigorso di Budrio. «Trent’anni fa la cosa più complessa era fare la protesi – racconta ancora Antonio Ammaccapane, neopensionato ed ex responsabile del Reparto protesi –. “Arte sanitaria” la chiamavano: si faceva tutto a mano, ma la protesi era la stessa per tutti». Ma in 50 anni materiali e tecnologie si sono evoluti, il progetto è più complesso e la difficoltà sta nella scelta dei componenti, anche se l’invaso si fa ancora a mano. «Oggi ci sono persone che corrono e vanno alle Paralimpiadi con le protesi. Certo, è vero che sono pur sempre protesi: le gambe vere – scherza il tecnico Fausto Caprara – ancora non possiamo farle». spesso il bagno: non ero pronta». Così resta a casa per crescere la sua bambina, che all’epoca aveva tre anni. Le difficoltà però sono tantissime, in primis quella di imparare a vivere con un corpo completamente diverso, poi quelle legate alle barriere architettoniche. Il suo appartamento non è più accessibile, ma trovarne uno adatto non è stato SuperAbile INAIL semplice. Per cinque anni, con il marito e la figlia, è stata ospitata dai suoceri, ma anche in quell’abitazione c’erano ostacoli. «Per entrare in bagno bisognava superare un gradino e io dovevo aspettare che mio marito tornasse dal lavoro per poterci andare». Oggi Cinzia racconta di aver accettato la sua disabilità. Se dovesse decidere ora, 23 Agosto Settembre 2014 probabilmente farebbe una scelta diversa rispetto al lavoro: «Lotterei per farmi accettare per quella che sono». Poi però ha trovato Genny 2.0, una sedia elettrica a due ruote autobilanciante. «È una giostra bellissima: ti dà la libertà di movimento che una carrozzina manuale non può fornirti», dice soddisfatta. [L.P.] A scuola di riabilitazione. Le tecnologie di Volterra SuperAbile INAIL 24 Agosto Settembre 2014 IL REPORTAGE Al Centro di riabilitazione motoria Inail si arriva dopo un incidente in fabbrica, una caduta dalle impalcature, un infortunio lungo il tragitto casa-lavoro. Ma la struttura non è una fucina di disperazione. Bensì un laboratorio di speranza dove la rassegnazione può trasformarsi in voglia di vivere. Grazie a una tecnologia di ultima generazione in continuo aggiornamento e, soprattutto, a operatori che conoscono l’importanza della relazione tra personale sanitario e pazienti. E a volte accade il miracolo. Che non è tornare a camminare, ma comprendere e accettare la nuova condizione. Imparando a dare importanza ai valori fondamentali della vita SuperAbile INAIL 25 Agosto Settembre 2014 A scuola di riabilitazione. LE TEcNOLOGIE di Volterra Aziz Basraoui 47 anni Mohammedia (Marocco) «All’ospedale volevo buttarmi dal balcone, ma poi un giovane infermiere mi ha aiutato a cambiare idea». Ha lo sguardo adombrato Aziz Basraoui, marocchino di 47 anni. Fa quasi impressione la sua gamba malmessa. Sotto la pelle è stato trapiantato il muscolo della spalla, una protuberanza visibile e ingombrante, ma forse è l’unico modo perché Aziz possa tornare a camminare. Per adesso non se ne parla e per stare in piedi deve utilizzare le stampelle. Il suo pensiero è inamovibile da quel terribile 25 gennaio 2012, quando un grande masso di marmo gli cadde sulla gamba. Rimase SuperAbile INAIL incastrato per lunghi minuti, i colleghi chiamarono i soccorsi, lui perdeva sangue, tanto sangue. Amava il suo mestiere Aziz, ma adesso non potrà più tornare a lavorare. «Soltanto io posso sapere quello che ho passato. Non potete capire. Un incidente di questo genere ti sconvolge la vita. Per sempre». 26 Agosto Settembre 2014 IL REPORTAGE «A Jacopo Storni desso come faccio a spiegare ai miei figli che il padre sarà zoppo per tutta la vita?». È una domanda che non smette di tormentarlo, vorrebbe trovare una risposta ma la risposta non c’è. L’istinto sarebbe quello di rassegnarsi a un’esistenza da invalido, ma lui non molla: «In fondo c’è chi sta peggio, basta sapersi accettare». Francesco Furfari cammina appoggiandosi al girello, vacilla ma resiste, segue tenacemente gli esercizi di fisioterapia e legge libri. Legge più che può, divora un volume a settimana, s’immerge nelle vite degli altri, in spazi onirici che lo fanno sognare. Vive lontano dalla famiglia ormai da alcuni mesi, giorno e notte in mezzo ad altre persone con disabilità, esattamente come lui, diventate invalide da un giorno all’altro, da un secondo all’altro, tutte vittime di gravi incidenti sul lavoro. Qui, al Centro riabilitazione motoria Inail di Volterra, in provincia di Pisa, Francesco è uno dei più eruditi. Si capisce da quel libro di Ian McEwan sempre in mano, dal giornale che si fa recapitare tutti i giorni dai volontari della Croce Rossa, da come parla e dal lavoro che fa, anzi, che faceva prima dell’incidente, quel fatale acquaplaning in auto, un martedì mattina come tanti altri, che gli ha cambiato la vita per sempre. Ricercatore informatico al Cnr di Pisa, è patito di computer e sta lavorando ad alcuni sensori applicati al corpo umano per indagare gli stili di vita degli italiani: «Sarà una ricerca rivoluzionaria». Si trova un po’ a disagio dentro questi corridoi, dove passeggiano drammi e disperazioni, dove fisioterapisti e psicologi alleviano traumi e dolori, con passione e con fatica. E con amore, tanto che quando i pazienti lasciano il Centro è difficile staccarsi dopo un lungo periodo d’intimità: «Ci si affeziona e nascono amicizie che vanno oltre la riabiliPrima dell’infortunio faceva trekking e arrampicate, adesso è impossibile. L’unica rinascita potrebbe essere l’amore della moglie, da cui però è separato ma che non ha mai smesso di amare. In un paio d’anni ha perso prima la famiglia, poi l’uso della gamba. Hanno avuto due figli, Andrea e Francesca, il suo orgoglio. Il primo è un baby talento di hockey su ghiaccio: «Andavo a vederlo giocare tutte le domeniche, è un piccolo campione, sono mesi che non vado a fare il tifo per lui. Mi manca da morire». La figlia gli ha regalato un piccolo braccialetto che porta al polso: «Me l’ha dato il giorno che sono entrato qui, non me lo toglierò mai». SuperAbile INAIL Non smette di sperare e qualche volta si sforza di sorridere. Ma quella ferita non gli dà tregua: i dolori lancinanti si susseguono, di giorno e di notte. «Se resto nella stessa posizione per più di 20 minuti, comincio a urlare di dolore. Fino a quando non prendo l’antidolorifico». Notti insonni quelle di Aziz, sormontate 27 Agosto Settembre 2014 da rabbia e disperazione. Pensa ai suoi figli, pensa a sua moglie, pensa ai suoi amici: «Questa situazione mi emargina». Non svanisce mai il ricordo di una vita normale. Adesso però non contempla più l’idea del suicidio: «Nelle ultime settimane sono molto più sereno, anche se sono consapevole che la mia vita non sarà più la stessa». [J.S.] A scuola di riabilitazione. LE TEcNOLOGIE di Volterra Manuela Salis 28 anni Sassari «Se rimango così, non riuscirò ad accettarmi». I suoi dolci occhi stonano con quel braccio paralizzato, la mano ferita e i movimenti quasi impossibili. Il grazioso volto di Manuela Salis, sarda di 28 anni, racconta tutto. C’è la disperazione di una vita cambiata all’improvviso e la speranza flebile che alberga nella fisioterapia quotidiana. «A volte mi sento positiva perché noto dei leggeri passi avanti». Ma al momento i miglioramenti sono troppo pochi per tornare a sorridere. «Non mi sembra vero di avere un braccio in queste condizioni». Ogni volta è un nodo alla gola, un tuffo al cuore di chi si ostina a combattere una battaglia che non potrà mai SuperAbile INAIL vincere. «Quando mi sveglio spero sia stato soltanto un incubo». Ma un incubo non è: quell’incidente in auto è successo davvero. Era il giorno del suo compleanno. Lei però non ricorda niente, soltanto il sorpasso di un’altra macchina. Poi il buio, le immagini di quei momenti nel cono d’ombra della memoria. «Mi sono risvegliata in ospedale». E 28 Agosto Settembre 2014 il trasferimento al Centro specializzato di Monza dove le hanno ricostruito i nervi, recuperati soltanto al 50 per cento. Le viene quasi naturale alzare il braccio, ma quel braccio non si muove e a lei sembra impossibile che sia proprio il suo. «Non mi accetto, non mi accetto», continua a ripetere come un mantra. Lei è così IL REPORTAGE tazione», raccontano Ornella Pierini e Annamaria Tirelli, due fisioterapiste del Centro: «Non trattiamo gli infortunati come pazienti, ma come persone». Fattore decisivo, che stimola gli ospiti e accelera i tempi della riabilitazione. Secondo gli operatori è decisivo guardare la propria disabilità a viso aperto: «Molti evitano di entrare nell’argomento, ma questo non porta benefici a lungo termine – spiega lo psicologo del Centro, Vincenzo Pantaleo –. È proprio attraverso il ricordo che si offre al paziente la possibilità di rielaborare l’incidente e l’invalidità». E a volte succede il miracolo. Accade che, racconta Pantaleo, «le persone capiscano i veri valori della vita ed escano dal Centro Inail più felici di prima, nonostante l’invalidità che in alcuni casi dovranno portarsi dietro per sempre e nonostante il lavoro che talvolta sono costretti ad abbandonare». A Volterra si arriva in seguito a un infortunio sul lavoro: incidenti stradali, in fabbrica, nei campi o nei cantieri. Il destino è il nemico di ognuno di loro, li ha travolti all’improvviso. Ma questa struttura immersa nel cuore della cittadina toscana non è una fucina di disperazione. È semmai un laboratorio di speranza, che trasforma la rassegnazione in voglia di vivere. È il frutto del lavoro di 16 infermieri, 7 operatori sanitari, 13 fisioterapisti, 5 medici. Braccia umili e instancabili, supportate da braccia meccaniche dell’ultima tecnologia. C’è la macchina isocinetica che valuta la forza negli arti, la macchina Multi join system che rafforza la muscolatura e l’innovativa Bte che analizza i movimenti. Tra letti e macchinari, si spera e si vive. Pranzo e cena in mensa, notte nelle stanze per due pazienti, ognuna con un proprio bagno e un proprio televisore. E poi la palestra, la piscina comunale e la sala lettura. Un microcosmo dogiovane, eppure ha già due figli. Vivono a Sassari e le mancano da morire. Parla sempre di loro per esorcizzare la sofferenza. Fuma e naviga sull’iPad per ingannare il tempo. Ha la mano destra immobilizzata: «Sto imparando a usare la sinistra». A volte sembrano battaglie contro i mulini a vento. Mezz’ora di tempo per scrivere due frasi. Una lotta quotidiana. Prima dell’incidente faceva l’infermiera. Giorno e notte a consolare i pazienti, gli anziani, i malati. «Ma quando capita a te, credimi, diventa tutta un’altra cosa». Cerca di fare tesoro dei consigli che dava ai suoi pazienti quando tutto sembrava perduto, ma è durissima. E spesso lo sconforto ha il sopravvento. «Crisi di SuperAbile INAIL pianto ed esaurimento nervoso», mormora Manuela, con la voce rotta dalla commozione. Indossa una felpa avvolgente con sopra scritto “Manu”. Ci sono poche consolazioni, tranne la vera amicizia nata con Anna Cira, la sua compagna di stanza: «Qui nascono vere relazioni umane, quando sei fragile cadono le barriere reciproche». [J.S.] 29 Agosto Settembre 2014 A scuola di riabilitazione. LE TEcNOLOGIE di Volterra SuperAbile INAIL 30 Agosto Settembre 2014 IL REPORTAGE ve vivono quotidianamente 23 pazienti fissi e 23 semiresidenziali, provenienti da tutta la Toscana e da altre regioni dell’Italia centrale. Trascorrono il tempo fra attrezzi e tapis roulant, leggono libri e ascoltano musica sparata dagli mp3. Parlano tra di loro, si scoprono fragili e allo stesso tempo tenaci. Nascono amicizie vere. Nessuno sembra volersi rassegnare. «Possiamo sempre migliorare, basta volerlo», dice Anna Cira De Falco, maestra elementare scivolata in classe durante una lezione. Spalla e ginocchio gravemente contusi. Leggero rossetto sulle labbra e palpebre truccate, cerca di vivere come se tutto fosse normale: «Voglio andare avanti come prima, per non soccombere. Ogni mattina, quando mi alzo, mi guardo allo specchio e mi dico che è tutto ok». Il Centro Inail di Volterra è nato nel 1999 su impulso di Rosy Bindi, a quel tempo ministro della Sanità. Direttore del Centro è Andrea Borghi, arrivato qui dopo un concorso pubblico per infermieri nel 1998, a cui è seguito un concorso interno grazie al quale è diventato coordinatore degli infermieri: «A Volterra c’è l’eccellenza della riabilitazione motoria: siamo costantemente aggiornati sulle ultime tecniche in campo riabilitativo e in campo assistenziale e diamo molta importanza alla relazione umana tra paziente e infermiere». SuperAbile INAIL 31 Agosto Settembre 2014 La vita dopo l’incidente. SuperAbile INAIL 32 Agosto Settembre 2014 Dieci storie SuperAbile INAIL Si fa presto a dire riabilitazione. Eppure ci possono volere mesi, addirittura anni, per rielaborare il trauma dopo un incidente sul lavoro. Percorsi lunghi, complessi, fatti di svolte improvvise e passi indietro. Ma anche di tenacia, inventiva, sperimentazione. Perché ricominciare tutto da capo non è semplice. Lo sanno bene le assistenti sociali e i membri delle varie équipe multidisciplinari dell’Inail, sparsi su tutto il territorio nazionale. Che hanno il compito delicato di accompagnare gli infortunati nella ricerca di nuove strade. Spesso molto diverse da quelle precedenti, ma non per questo meno ricche e interessanti. Con bilanci esistenziali non di rado in attivo. Perché sono in molti ad affermare: «Le cose sono andate diversamente da come mi aspettavo, ma oggi la mia vita non è peggiore di tante altre» 33 Agosto Settembre 2014 La vita dopo l’incidente. dieci storie E a Vigorso è sbocciato l’amore. La fortuna di Antonino «M Laura Badaracchi i è crollato il mondo addosso». La ricorda così, quella giornata drammatica dell’incidente a Guastalla, in provincia di Reggio Emilia, mentre contribuiva alla costruzione di un porto fluviale sul Po. Alto un metro e 85, Antonino Caschetto guidava un muletto per fare l’ennesima gettata di calcestruzzo e il terreno disconnesso ne ha provocato il ribaltamento: «Per circa mezz’ora sono rimasto sotto il mezzo, ma non ho mai perso conoscenza. Sentivo una grande pesantezza alla gamba destra, più che dolore; mi rendevo conto che qualcosa non andava». Era un sabato mattina, il 27 settembre del 2003. «Una bella giornata, poco dopo le sette», ricorda Antonino, che fin da adolescente faceva il carpentiere e aiutava a costruire l’ossatura delle case. Aveva appena sei anni quando, nel 1976, tornò in Sicilia con la sua famiglia dalla Germania, dov’era nato. I suoi genitori cercavano un futuro per lui ad Acquedolci, in provincia di Messina. Poi di nuovo in viaggio verso l’Emilia Romagna per un’occupazione stabile o, quantomeno, non occasionale. La memoria di Antonino torna indietro a undici anni fa: arrivano i vigili del fuoco, poi l’elisoccorso che lo trasporta in ospedale a Reggio Emilia. «Mi hanno fatto firmare e hanno amputato la gamba», dice impassibile, con un filo di voce. A 33 anni si ritrova da solo in quella stanza, con un arto in meno; i parenti arrivano in serata, il tempo di prendere un volo da Catania e di raggiungerlo in terapia intensiva, dove poteva entrare una persona alla volta. «Gli amici e i colleghi mi sono stati vicini – confida –. Ammetto di essermi scoraggiato all’inizio, poi ho reagito: se non mi davo una mossa io, chi poteva scuotermi? Se capitano certe cose, ce le dobbiamo prendere», dice con semplicità. Antonino è un uomo concreto, di poche parole. Ma si illumina quando inizia a raccontare la seconda parte della storia: perché la sua voglia di vivere lo ha trascinato in una strada che non avrebbe mai immaginato di intraprendere. Il moncone della gamba dà problemi se indossa la protesi, quindi viene trasportato a Parma per una plastica, poi torna in Sicilia e nel marzo del 2004 approda al Centro protesi Inail di Vigorso di Budrio, do- SuperAbile INAIL 34 Agosto Settembre 2014 ve rimane oltre due mesi. «Pian piano con la protesi ho cominciato a muovere i primi passi: sono i più importanti, se li sbagli continuerai a fare lo stesso errore per il resto della vita. La sera ero stanco, ma l’indomani ripartivo: fisioterapia, ginnastica, prove ed esercizi di deambulazione». A settembre dello stesso anno torna al Centro e, a parte altri infortunati con cui ha stretto amicizia, una sera – tra officine, ascensori, sala da pranzo e bar – incontra Antonella Boffa. Che quei luoghi li conosceva molto meglio di lui: «Una veterana», scherza. Amputata a Bologna per un osteosarcoma nel ’77, quando aveva solo nove anni, a undici viene portata dai genitori a Vigorso di Budrio per imparare a portare la protesi alla gamba come «invalida civile». Carattere sanguigno, Antonella provava tanta rabbia, «un senti- mento che a volte mi assale ancora. E quando ho conosciuto Antonino ero arrabbiata: dopo due o tre anni, la Asl mi concede di sostituire la protesi per usura, ma c’è sempre qualcosa che non va durante le varie prove». Prima di incontrare Antonella, era noto fra i suoi amici come SuperAbile INAIL 35 Agosto Settembre 2014 La vita dopo l’incidente. dieci storie un “latin lover” single e senza nessuna voglia di avviare una relazione stabile. Ma la donna potentina – anche lei single convinta, fino ad allora – fa breccia nel cuore di Antonino, chiamato a un lungo e paziente corteggiamento prima di conquistarla. «Ero diffidente – ammette lei –. Pensavo volesse un’avventura che sarebbe finita una volta tornati a casa, lui in Sicilia e io in Basilicata». E invece, dopo innumerevoli telefonate e sms, «ho ripreso la patente e sono venuto in macchina a trovarla a Potenza. Dopo un anno, mi sono trasferito nella sua città, abbiamo convissuto e poi ci siamo sposati», dice Antonino, guardandola fisso negli occhi. «Mi ha colpito la sua generosità e dolcezza: è molto rassicurante, non puoi non amarlo. Ha creduto in noi prima che ci credessi io. Ma siamo molto diversi: lui è casalingo e a me piace viaggiare», ribatte Antonella, che lo “trascina” in giro per il mondo. «Lei mi ha dato l’input per costruire una famiglia insieme, una casa: la vita è andata avanti. Antonella dice che ci hanno regalato la vita per incontrarci. Io dico che aver perso una gamba è stato il prezzo che ho dovuto pagare per conoscerla e va bene così». Da qualche anno Antonino ha un ginocchio elettronico; insieme vanno a Vigorso di Budrio per i controlli e la manutenzione di entrambe le protesi: «Affrontiamo sempre in due questo percorso». In sella o in canoa. Continua il sogno di Brunella E ssere un’atleta nella specialità equestre del dressage paralimpico, indossando la prima protesi di gamba costruita appositamente per cavalcare in tutte le discipline, non le bastava. Così Brunella Roscetti, seppure innamorata del suo cavallo diciassettenne Don Castello, soprannominato “Principe”, qualche volta lo “tradisce” per salire sulla canoa e allenarsi in pararowing, il canottaggio paralimpico che in questi ultimi mesi sta raccogliendo nuovi adepti in tutta Italia grazie all’entusiasmo del coach Dario Naccari. «Sono nata a Roma e cresciuta con i cavalli, per i quali nutro una grande passione», racconta Brunella, 46 anni, che nel 2006 ha subito l’amputazione della gamba sinistra in seguito al morbo di Buerger, una forma di vasculite che colpisce le arterie piccole e medie; la patologia degenerativa ostruisce i vasi sanguigni, portando alla necrosi dei tessuti. Dopo aver insegnato trekking presso il circolo ippico Valle Scurella di Formello e lavorato per 22 anni come responsabile del settore arrivi nel deposito farmaceutico di una grande azienda, per la trentottenne è arrivata la diagnosi SuperAbile INAIL 36 Agosto Settembre 2014 infausta. «Dopo la rabbia, cominciano i problemi pratici che esigono razionalità e quindi, paradossalmente, aiutano a reagire. La disabilità acquisita cambia anche il carattere», racconta. Lei la forza l’ha trovata anche alla filiale del Centro protesi Inail di Roma: «Medici, tecnici, ingegneri mi hanno aiutato a trovare la migliore soluzione possibile. Chiedevo non solo di poter camminare e guidare, ritrovando l’autonomia, ma anche di cavalcare nuovamente. Per farlo mi serviva una protesi diversa da quella che uso quotidianamente, adatta ai movimenti da compiere in sella. Così posso utilizzare entrambe le gambe per equilibrarmi e indirizzare il cavallo con l’aiuto di redini e bacino». Grazie alle competenze dell’ingegner Gennaro Verni e del tecnico ortopedico Franco Mele viene studiata dall’Inail una protesi con uno speciale invaso. Un ginocchio e una caviglia ad hoc per montare a cavallo, “indossati” dall’atleta sui campi di gara in Italia e all’estero, continuamente adattata a lei anche grazie al lavoro delle fisioterapiste: «Ho trovato un’altra famiglia; per loro niente era un problema, mi assicuravano che ce l’avrei fatta». SuperAbile INAIL 37 Agosto Settembre 2014 La vita dopo l’incidente. dieci storie Dal giorno in cui risale a cavallo, Brunella non si ferma più: fonda l’associazione Ragazza in gamba per «aiutare a praticare l’equitazione chi si trova in difficoltà a causa della disabilità». Poi inizia a partecipare a spettacoli equestri e a gare di monta western nella disciplina sportiva del reining (letteralmente, «lavorare di redini»), di cui nel 2010 diventa campionessa regionale con i normodotati. Successivamente arriva sul gradino più alto del podio regionale nel dressage paralimpico, gara in cui cavallo e cavaliere compiono figure armoniose in uno spazio rettangolare. E nel 2012 conquista nuovamente il titolo regionale, fino all’argento vinto lo scorso anno ai Campionati italiani di para-dressage. Al circolo ippico Casale San Nicola, dove Brunella si allena, si respira aria buona e serenità. “Don” dimostra il suo affetto verso la padrona, trangugiando golosamente le zollette di zucchero che lei nasconde nella sua mano: «Con le persone disabili il cavallo stringe un legame particolare, ascolta le loro esitazioni e le sostiene. È un animale straordinario». Brunella alterna le stampelle a una carrozzina a motore: anche la gamba destra è compromessa dalla malattia e non può sforzarla se non per brevi spostamenti. «Non posso stare né troppo seduta, né troppo in piedi», aggiunge. Ogni tre mesi deve fare il day hospital, ma tutto questo non la blocca, anzi. Nel 2013 co- SuperAbile INAIL nosce Dario Naccari, tecnico della Nazionale di para-rowing, neonata sezione della Federazione italiana canottaggio presieduta da Giuseppe Abbagnale. Si rivolge ancora all’Inail che – grazie al tecnico Gianluca Migliore – la sostiene nella messa a punto di una protesi particolare «per bilanciare la barca» e nel gennaio scorso a Brindisi vince l’oro al Campionato italiano indoor con remo ergometro. «Una scommessa con me stessa – dice –. Bisogna essere prima campioni nella vita, poi sul campo. Il mio obiettivo è che un maggior numero di persone disabili possano accedere alle discipline sportive che amano. Perché anche quando c’è una disabilità – che ognuno deve gestirsi e non può far pesare ad altri – niente è perduto». [L.B.] 38 Agosto Settembre 2014 Body building e manicaretti. La rinascita di Antonio O stenta con fierezza il suo fisico asciutto e va ogni giorno in palestra, di buon mattino, per rassodare i muscoli. Poi torna a casa e cucina per tutta la famiglia. Anche se ha un braccio in meno, proprio il sinistro, lui che era mancino. Pur avendo attraversato il tunnel della depressione, Antonio Lanzetta può dire con sicurezza di aver ritrovato la voglia di vivere, dopo quell’incidente sul lavoro successo dieci anni fa, che si è portato via prima la sua mano e poi via via l’arto, fin quasi alla spalla, a causa di una setticemia. Operaio in un’industria conserviera di pomodori, viene investito alla mano e all’addome da un getto d’acqua bollente – temperatura: 125 gradi – a causa dello scoppio di una valvola malfunzionante. Accanto a lui, sempre SuperAbile INAIL e comunque, la moglie Angela: un concentrato di tenacia e coraggio. Non ha mai mollato, anche quando il marito si è rifugiato in comportamenti autodistruttivi e compulsivi, come la bulimia e l’alcolismo. Anche se c’erano due bambini da crescere, Nunzio e Alessio. La protesi? «Il moncone è troppo corto, così è difficile portarla a causa del bretellaggio pesante. Preferisco 39 Agosto Settembre 2014 La vita dopo l’incidente. dieci storie stare senza e ho imparato a scrivere con la destra, anzi a fare di tutto», dice Antonio. Due anni fa, la svolta: grazie alla vicinanza del personale Inail, nella Sede di Nola/Castellammare di Stabia, e all’assistente sociale del Comune Angelo Perrotta, Antonio comincia faticosamente il suo percorso di rinascita a Striano, sempre in provincia di Napoli, non lontano dal paese di Sarno, nel Salernitano – tristemente noto per la frana della montagna che il 5 maggio 1998 seppellì nel fango 137 persone – dov’è nato quasi 40 anni fa. Quando era un ventenne pieno di entusiasmo, ha conosciuto Angela: «Ci siamo fidanzati quasi per scommessa e stiamo insieme da due decenni». Sposati dal 2000, mettono su famiglia e tutto sembra scorrere per il verso giusto. Poi arriva l’infortunio, alle 7 del primo settembre 2004, e l’atmosfera serena si trasforma in un incubo doloroso. «All’ospedale, tutti si preoccupavano della pancia e nessuno pensava alla mano. Me l’hanno fasciata, si è formata una fistola. Sono stato nella camera iperbarica, dove ho perso l’udito all’orecchio sinistro; ho fatto cinque interventi alla mano ma non è servito a nulla. Alla fine mi hanno amputato la mano il primo marzo del 2006, ma l’infezione era salita e ho perso anche il braccio. L’ulti- mo pezzo me l’hanno amputato nel giugno del 2007», ricorda Antonio, che nel Centro Inail di Vigorso di Budrio ha trovato «il top dell’umanità e dell’assistenza, psicologica e fisica». «Se non ci fosse stata la fede, non so come avrei fatto – confi- da Angela –. Quando gli hanno amputato il braccio, ho scoperto di aspettare il nostro secondo figlio. E ho detto ad Antonio: “Gesù ti sta togliendo un pezzo, ma te ne sta dando uno migliore». Eppure la nascita di Alessio non basta a far uscire il marito dal buco nero della depressione: inerte sul letto o sul divano davanti alla tv, mangia continuamente fino a pesare 163 chili. «Lei è stata molto forte e perseverante, mi ha martellato in maniera propositiva e mi ha messo davanti a un out-out: o mi scuotevo, o se ne sarebbe andata con i bambini. Non lo avrebbe mai fatto, ma l’ha detto per farmi reagire». Antonio inizia una dieta, una terapia psicologica e riprende l’attività fisica; in cinque anni, anche grazie al bypass gastrico, dimagrisce gradualmente e raggiunge quota 77 chili: un risultato incredibile. «L’ho fatto per amore della mia famiglia», scandisce sottovoce con gli occhi lucidi. La palestra diventa la sua seconda casa, l’alcool un lontano ricordo. Non solo: Antonio co- SuperAbile INAIL mincia a fare volontariato, organizzando laboratori artistici e di cucina per i ragazzi che partecipano ai campiscuola dell’Age (Associazione genitori) di Striano. Ha scoperto infatti una nuova passione, anzi due: oltre ai fornelli, la realizzazione di mosaici con semi di cereali incollati e dipinti. «I bambini mi chiamavano “maestro” e alla fine dell’esperienza mi hanno scritto bigliettini affettuosi: li conservo tutti gelosamente. Uno di loro ha voluto dirmi “Grazie di esistere”, un altro ha aggiunto: “Anche se hai i tuoi grandi problemi”», racconta. E la sua caparbietà si scioglie ancora una volta in commozione se pensa all’amico Francesco Falco e al professor Giovanni Boccia, che gli hanno fatto assaporare la possibilità di ricominciare una vita sociale, dalla partecipazione alle partite del Napoli allo stadio alle pedalate ecologiche in bicicletta, fino alle mostre delle sue opere artigianali di cui va tanto orgoglioso. «Sono riuscito a mettere un altro tassello per il completamento del puzzle della mia vita: nessun obiettivo è irraggiungibile, grazie a tutti i veri amici che mi danno la carica», riferisce Antonio. Il suo entusiasmo contagioso non si spegne e lo sguardo da “scugnizzo” si riaccende quando gioca con i suoi figli. Perché «la vita non finisce con l’invalidità». [L.B.] 40 Agosto Settembre 2014 SuperAbile INAIL 41 Agosto Settembre 2014 La vita dopo l’incidente. dieci storie Ho aiutato tanti giovani a incontrare lo sport. Le medaglie più belle di Nino Antonella Patete È una storia che comincia male e finisce bene quella di Nino Lisotta, siciliano di Carini in provincia di Palermo, oggi campione di tiro con l’arco, in grado con la sua forza e il suo coraggio di indicare la strada a tanti giovani infortunati sul lavoro e non solo, che possono superare il trauma attraverso lo sport. Tutto ha inizio nel 2002, quan- do Nino esce come ogni mattina per andare a lavorare e resta sulla strada, vittima di un incidente di cui non ha nessuna colpa. Ha 37 anni, un impiego come guardia giurata, una moglie e una figlia piccola, il cui pensiero e il cui amore rischiarerà anche i momenti più bui. Quelli successivi all’incidente, quando sente che il mondo gli è caduto addosso e non riesce ad abituar- si alla vita in sedia a ruote. «Mi ha aiutato tanto la famiglia, soprattutto la vicinanza della mia bambina», dice. Poi un incontro fortunato, di quelli che ti cambiano ancora una volta il corso dell’esistenza. Avviene nel Centro di riabilitazione “Villa delle ginestre”, a Palermo: «Ho conosciuto Willy Fuchsova, allenatore di tiro con l’arco per il Comitato italiano paralimpico. Ha detto che mi avrebbe aiutato a ricominciare. Per me è stato un padre, uno psicologo, un fratello». Viene da un anno duro, Nino: si muove senza certezze in un quotidiano che non sembra promettergli più niente di buono. Per questo afferra l’arco che Willy gli tende, incredulo che in quell’attrezzo possa nascondersi la chiave di volta di un destino che sembra averlo condannato. Invece le cose vanno diversamente. Così oggi, insieme ai tanti successi sportivi e medaglie, ti rac- conta soprattutto di quella riscossa personale che gli ha permesso di ripartire da zero, e di aiutare tanti altri con il suo esempio. Perché c’è Nino Lisotta, il campione che ha partecipato a tre Mondiali e una ParalimpiaSuperAbile INAIL 42 Agosto Settembre 2014 SuperAbile INAIL 43 Agosto Settembre 2014 La vita dopo l’incidente. dieci storie de, quella di Pechino nel 2008. E c’è Nino che incontra gli studenti delle scuole, ha tanti amici in sedia a ruote e, soprattutto, incoraggia i giovani che arrivano al Centro “Villa delle ginestre” dopo un infortunio a rimettersi in gioco attraverso l’attività sportiva. «Abbiamo scritto una pagina della storia paralimpica a Palermo – spiega –. Sono orgoglioso dei tanti ragazzi che siamo riusciti a catapultare nello sport, tirandoli fuori dalle case. In pochi anni siamo passati da 89 a 1.000 iscritti al Cip regionale». Non si stanca mai di raccontare quanto lo sport abbia portato una ventata positiva nella sua vita. Come quella volta che vinse una medaglia d’oro in un confronto con Oscar De Pellegrin, stella del tiro con l’arco paralimpico e portabandiera italiano ai Giochi di Londra 2012. «Quel giorno mia figlia ha portato a scuola il ritaglio di giornale. Per dire che il suo papà non è un handicappato, ma un campione». E tutto questo lo deve a Willy, che lo ha estratto a mani nude dalla melma della depressione. Ma la sua gratitudine va anche ai tanti amici in sedia a ruote che gli hanno sa- puto dare i consigli giusti per tornare a fare le cose di tutti i giorni e all’Inail che lo ha concretamente sostenuto nello sforzo di reinventarsi un progetto esistenziale e di recuperare l’autonomia. Una ventata di fortuna dopo l’accanirsi della malasorte. Perché quella maledetta mattina del 2002 neanche ci doveva andare a lavorare. Sostituiva un SuperAbile INAIL 44 Agosto Settembre 2014 collega. «Mi hanno tamponato da dietro, dopo l’urto non riuscivo a muovere le gambe: ho capito subito che era successo qualcosa di grave». Da lì il giro degli ospedali: prima Palermo, poi Messina, infine la riabilitazione a “Villa delle ginestre”. «Ma il momento più brutto è arrivato tre mesi dopo, quando mi hanno detto che non avrei più camminato». Come se non bastasse, il ritorno a casa è stato drammatico. «Abitavo al primo piano senza ascensore, era come stare agli arresti domiciliari». Poi l’acquisto di una casa più adeguata nel 2006, al piano terra e senza barriere architettoniche, dove Nino, tra alti e bassi, ha ricostruito una nuova vita. Oggi l’arciere di Palermo è un uomo nuovo. Ha rifiutato il la- voro in ufficio perché si sentiva «mortificato» e ha investito tutte le sue energie nello sport. Dopo una dolorosa separazione dalla moglie, vive solo e ha una nuova compagna che pratica anche lei il tiro con l’arco. «Il 2013 è stato un anno fantastico – dice –. Al termine di un perioSuperAbile INAIL do difficile sono riuscito a tornare in gara». Per la seconda volta è stato il suo arco a salvarlo. E anche in questo caso c’era Willy a rassicurarlo e a incoraggiarlo. «Da subito questo sport mi è entrato dentro. A ottobre 2004 la prima gara regionale e due anni dopo la partecipazione al campionato italiano. A volte mi ritengo fortunato, perché grazie alla mia disabilità sono diventato una persona importante. Rappresento la Nazionale italiana nel mondo e sono tra gli otto arcieri paralimpici più forti d’Italia». Nel frattempo le sue giornate trascorrono ricche di impegni: si allena ogni giorno tre ore, è consigliere del Cip regionale, referente del Comitato italiano paralimpico per sport e disabilità, ma fa anche attività di volontariato a “Villa delle ginestre”, dove trasmette innanzitutto la sua fiducia incrollabile nel valore rivoluzionario dello sport. Ogni volta che un giovane scommette sulla pratica sportiva per superare il trauma dell’infortunio, per Nino è come una medaglia appuntata sul petto. Una freccia scoccata verso il futuro, dall’esito imprevisto. Simbolo della vittoria sul destino e della vita ritrovata. 45 Agosto Settembre 2014 La vita dopo l’incidente. dieci storie Come un arco ti aiuta a guarire. La missione di Willy A llenatore nazionale di tiro con l’arco e commissario tecnico degli Azzurri paralimpici, Willy Fuchsova trascorre molto del suo tempo all’interno del presidio ospedaliero palermitano di “Villa delle ginestre”, dove i pazienti in sedia a ruote per via di un incidente possono praticare – oltre al tiro con l’arco – la scherma e il tennis tavolo. Ed è stato anche, e soprattutto, grazie a lui che Nino Lisotta (vedi pagg. 42-45) e tanti altri hanno ritrovato l’energia positiva per costruirsi un nuovo futuro. Nel ruolo volontario di responsabile della riabilitazione sportiva della struttura, Willy incontra ogni anno decine di giovani. E proprio così ha conosciuto per la prima volta l’arciere palermitano. Poteva essere uno come tanti, invece quell’incontro fortuito si rivelò speciale per entrambi. Forse perché Willy credeva con tutto se stesso nella forza strepitosa dello sport, forse perché Nino non era un tipo facile, ma si intesero nel profondo e col tempo strin- sero un’alleanza fatta di amicizia e continui traguardi sportivi. «All’epoca Nino era molto depresso, non credeva che sarebbe potuto diventare un campione – racconta l’allenatore –. Quando finisci in carrozzina perdi tutto: gli amici, i parenti, la casa in cui non riesci più a vivere. Ti restano solo la mamma e il papà, gli unici che non ti abbandonano mai. È lo sport che ha rimesso in moto tutto». Freccia dopo freccia, il rapporto tra i due è diventato qualcosa di veramente speciale. Per Willy, Nino è più di un amico, quasi un fratello. «Abbiamo un rapporto che va al di là dell’arco. Ci vediamo fuori, la sera, il week-end. Ci aiutiamo tutte le volte che possiamo». Quando nei mesi scorsi l’allenatore ha avuto seri problemi di salute, è stato lui, Lisotta a stargli vicino, a fargli sentire forte la sua presenza anche se non riusciva a essergli accanto fisicamente. «Non poteva raggiungermi perché nel mio condominio non c’è l’ascensore», confida l’allenatore. SuperAbile INAIL 46 Agosto Settembre 2014 Si ritiene uno fortunato, Willy Fuchsova. Magari non naviga nell’oro come gli allenatori di calcio, ma vive del lavoro che ha scelto tanti anni fa quando è uscito dalla Nazionale italiana di tiro con l’arco. Da allora la scommessa è stata quella di far conoscere una disciplina considerata ancora elitaria e, da 16 anni a questa parte, anche di diffonderla tra chi ha subito un infortunio. Perché è stato oltre tre lustri fa che ha messo per la prima volta piede a “Villa delle ginestre”, chiamato dal responsabile sanitario dell’epoca: arrivava dalla Svizzera, dove il tiro con l’arco veniva usato in funzione riabilitativa. «A quei tempi l’unico spazio disponibile era la camera mortuaria – sorride oggi –. Ma io ho subito detto sì, perché mi sembrava un’occasione da cogliere al volo». Un giorno da quelle parti passò un ragazzo di nome Salvatore che aveva subito una grave lesione vertebrale durante una gita a Stromboli. Scivolando da uno scoglio era diventato tetra- SuperAbile INAIL 47 Agosto Settembre 2014 La vita dopo l’incidente. dieci storie plegico. «La sua aspirazione era tirare con l’arco – ricorda l’allenatore –. Il suo fisioterapista era contrario, perché temeva che si potesse illudere. Ma io non vedevo ostacoli insormontabili». Così, giorno dopo giorno, con l’aiuto di ausili autoprodotti, Salvatore è riuscito a sostenere l’arco e a tirare. «Oggi è un ingegnere informatico: ha un lavoro, una ragazza e la patente. Ma tutto è ripartito in quel momento, anche se oggi ha posato l’arco. Lo sport – assicura – raggiunge delle aree del nostro cervello dove né la medicina né la fisioterapia possono arrivare». Attualmente Fuchsova sta allenando la squadra italiana per le Paralimpiadi di Rio de Janeiro 2016, ma a Palermo non ha un campo di tiro con l’arco dove preparare gli atleti. «Ci alleniamo nelle campagne come banditi, eppure ho tre siciliani in Nazionale». A “Villa delle ginestre”, invece, segue 15 giovani con disabilità, di cui sei assistiti Inail. Un traguardo non da poco per il responsabile tecnico paralimpico della Fitarco e per uno sport di così antiche origini. Che in Sicilia presenta una potenzialità ancora tutta da scoprire. Io, disabile, non mi fermo dinanzi a niente. L’entusiasmo di Salvo [A.P.] SuperAbile INAIL 48 Agosto Settembre 2014 I nfortunato Inail, ex maratoneta e da un anno fan sfegatato dell’handbike, Salvo Campanella è pieno di vita, di passione, di entusiasmo sfrenato: 40 anni, una moglie, due figli, è vivo per miracolo. Il 2 luglio del 2012 è precipitato da sette metri di altezza a causa della rottura del piantone di sicurezza della gru, nel cantiere dove lavorava. «Facevo l’impermeabilizzatore – racconta –. Ero uno di quelli che mettono le guaine in galleria. Sono caduto con tutta la cesta». Un vero miracolo, insomma, di cui Salvo non finisce mai di gioire. «Cosa ho provato dopo l’incidente? Mi sono fatto una risata. Intanto sono rimasto vivo, e poi poteva andare peggio». Non dimenticherà mai, infatti, quei momenti. Prima, durante e dopo è rimasto perfettamente vigile e cosciente: il cestello che cade a precipizio e si ferma a 50 centimetri da terra, bloccato dai tubi dell’alta pressione «che hanno un carico di rottura pari a 1.500 chili contro i 3mila del cestello fermo, senza contare l’accelerazione di gravità. Che significa un totale di 6mila chili complessivi». Non sorprende, dunque, che si ritenga fortunato. «Quando ho toccato terra non sentivo più le gambe – ricorda –. Non mi sono fatto niente, dicevo tra me e me, perché non avvertivo dolore. Ma ero già paraplegico». La SuperAbile INAIL consapevolezza però arriva già nel tragitto in ambulanza verso l’ospedale. E così Salvo chiama la moglie e le dice: «Ho avuto un incidente sul lavoro, mi sono fatto male alla schiena, non mi funzionano le gambe, la maratona di New York me la vado a fare in handbike». Il resto della storia è una corsa sfrenata verso la libertà: 18 gior- ni dopo l’incidente Salvo viene trasferito all’Unità spinale di Palermo e, alla fine del mese, comincia la riabilitazione a “Villa delle ginestre”, dove si ferma ancora un paio di mesi. «E poi scappo da qui e vado a cercare una handbike di seconda mano – continua –. Incontro Stefano Rametta e Luigi Palì e cominciamo a correre insieme. A settembre del 2013 vengo convocato dalla Federazione ciclistica italiana, che mi nomina unico responsabile regionale del settore paralimpico». E il bilancio di questa esperienza di vita? «Il mio scopo principale non è diventare famoso – risponde Salvo –, ma quello di fare da esempio. Per tirare fuori dalle prigioni domestiche altri ragazzi disabili dimostrando, con i fatti e non con le parole, che l’handicap sta solo nella tua testa e non nel tuo corpo. Come ha giustamente scritto mio nipote nella sua tesi di laurea – conclude –: la disabilità è uno status mentale del normodotato». [A.P.] 49 Agosto Settembre 2014 La vita dopo l’incidente. dieci storie E a un certo punto ho smesso di piangere. L’ospitalità siciliana nella cucina di Caterina S ono passati più di sette anni dal giorno della «disgrazia». E solo da qualche tempo Caterina Randazzo ha imparato a farci i conti con quella sua nuova vita che non aveva messo in preventivo. Le viene ancora da piangere a pensarci, ma si tira su al pensiero di quante cose riesce a fare ogni giorno per vivere in maniera normale nella sua casa di Montelepre, a 20 minuti d’auto da Palermo. Aveva 51 anni quel 19 giugno del 2007, quando cadde salendo le scale della clinica privata dove lavorava come ausiliare. Era una giornata come un’altra e faceva caldo. Forse l’afa, forse un calo di pressione, fatto sta che Caterina si accasciò proprio quando non avrebbe dovuto. Sbattendo la schiena. Magari un’altra persona avrebbe capito, quando si risvegliò con le gambe rigide e come di legno. Ma non lei, che non aveva nessuna intenzione di rassegnarsi. «Ci ho messo due anni a rendermi conto – ricorda –. Due anni per abituarmi all’idea di ritrovarmi in sedia a rotelle. Gli altri me lo facevano capire in tutti i modi, ero io che non volevo accettarlo». Non ricorda Caterina il momento in cui tutto è divenuto buio intorno a sé, sa solo che a un SuperAbile INAIL 50 Agosto Settembre 2014 certo punto si è trovata per terra a domandarsi cosa le fosse successo. «Non muovevo le gambe, ma non sapevo che se la schiena si rompe non è possibile tornare a camminare». Si ricorda però dei tanti ospedali che ha girato come un’anima in pena. Prima correndo d’urgenza al “Civico” di Palermo, poi nelle varie cliniche per i diversi cicli di riabilitazione. Che Caterina ha iniziato tre mesi dopo l’incidente presso il presidio ospedaliero di “Villa Sofia”, sempre nel capoluogo siciliano. «Ricordo quelle lacrime che scendevano da sole, senza volersi fermare. E se ci penso mi viene da piangere anche ora – dice –. Ho dovuto impormelo e dirmi: basta, ora non piango più». Per fortuna non era sola: nel momento del bisogno e della massima disperazione la famiglia ha fatto cerchio intorno a lei. «C’erano proprio tutti: il marito, le sorelle, le cognate. Quando c’era bisogno di restare la notte con me non si sono mai tirati indietro, non mi hanno abbandonata». E soprattutto c’erano i figli Giuseppe, Gioacchino e Giulia, che si sono assunti compiti e responsabilità che non avevano mai avuto in precedenza. Ma Caterina non si dava pace. Cercava e sperava, sperava e cercava. Forse poteva trovare un nuovo centro, una nuova terapia o un medico che esprimesse un parere inedito. E mentre cercava senza sosta, imparava, senza neppure accorgersene, ad affrontare la sua nuova condizione. «Partii per l’Istituto di Montecatone, a Imola, dove fui sottoposta a due operazioni. E lì ho imparato a diventare più autonoma». Però che non avrebbe più camminato non lo voleva proprio accettare. «Cominciai a capire qualcosa qualche mese dopo all’Unità di riabilitazione di Sciacca – prosegue –. C’era un ragazzo che aveva subìto un incidente due mesi prima. Era giovane, si era appena sposato, e cominciava a muovere qualche passo». A quella vista Caterina interrogava i suoi familiari: «Perché non mi avete portato qui prima?», chiedeva. Non le andava giù l’idea di aver perso del tempo prezioso, magari anche l’opportunità di tornare in piedi. Allo stesso tempo iniziavano ad affacciarsi i primi dubbi. «Fu la moglie del medico a parlare chiaro», ricorda. L’affrontò a viso aperto e le disse: «Caterina, rassegnati. Piangi se vuoi, ma piangi una volta per tutte». E lei reagì arrabbiandosi, e gridando. Tornò a casa desolata, andò a vivere nella bella abitazione in cam- pagna che affaccia sul golfo di Palermo e cercò di nascondere il suo stato d’animo ai familiari. Continuava a vivere in quell’appartamento al piano terra ed evitava di farsi vedere in sedia a ruote in giro per Montelepre. Nel pieno della disperazione, però, cominciava a farsi strada il desiderio di ritornare alla sua vecchia vita. Le mancavano la sua casa e le sue occupazioni, riemergeva in nuove forme quello spirito combattivo che dopo l’incidente le aveva impedito di rassegnarsi all’idea di non poter più camminare. «All’inizio andavo al centro commerciale con mia sorella, SuperAbile INAIL 51 Agosto Settembre 2014 La vita dopo l’incidente. dieci storie mi distraevo facendo la spesa. Poi cominciai a fare tutto quello che potevo fare, e dove non arrivavo mi fermavo». Presto tornarono nella casa in paese, al primo piano, collegata alla strada da una lunga scala. La quotidianità non era facile. Intervenne l’Inail, dotando l’appartamento di una piattaforma elevatrice che permetteva a Caterina di entrare e uscire comodamente di casa. Attraverso il Centro protesi di Vigorso di Budrio ha ottenuto la patente speciale e poi, sempre grazie all’Istituto, è riuscita ad adeguare la cucina alle sopraggiunte necessità. Con il top cottura e il lavello adattati e i pensili a elevazioni elettrica, Caterina ha ripreso a preparare da mangiare per la famiglia e la sua cucina è tornata a essere il cuore pulsante della casa. È qui che nei giorni di festa si riuniscono tutti: il marito, i figli, le nuore. Ed è qui che Caterina torna a sentirsi pienamente a suo agio, dopo la tensione di un’intervista che la costringe ancora una volta a fare i conti con gli ultimi anni della sua vita. Tolto di mezzo il taccuino, si rilassano anche i figli e le nuore che facevano capolino inquieti mentre lei raccontava la sua storia. Sul tavolo compaiono gli album delle loro recenti nozze e le paste buonissime portate a casa dal marito Vincenzo. È la manifestazione più sincera dell’ospitalità siciliana, il momento più atteso del pomeriggio. Hai la sensazione che il peggio sia passato, davanti la famiglia, l’affetto dei figli, la ritrovata quotidianità della vita domestica. [A.P.] Dio mi ha salvato, l’Inail mi ha rimesso in piedi. La seconda vita di Thomas SuperAbile INAIL 52 Agosto Settembre 2014 A ma ridere, andare in giro, trascorrere il tempo con gli amici, Thomas Freeman. Trentanove anni, liberiano di Monrovia, è arrivato in Italia nel 2002 attraversando il Mediterraneo a bordo di un barcone per fuggire dalla guerra che dal 2000 al 2004 ha devastato il suo Paese. Ma la sua gamba sinistra l’ha persa in Italia a causa di quello che oggi definisce uno «stranissimo» infortunio sul lavoro. Di quelli che ti lasciano a lottare tra la vita e la morte, e ti cambiano per sempre il corso dell’esistenza. Giunto a Palermo con un permesso di soggiorno come richiedente asilo politico, grazie alla sua straordinaria voglia di vivere Thomas è riuscito rapidamente a integrarsi nel tessuto economico e sociale cittadino: tanti amici italiani e africani, una fidanzata siciliana e soprattutto un lavoro come meccanico e gruista all’interno di un’officina. Fino a quando, un lunedì sera del 2003, andando a prendere un’automobile da demolire è rimasto vittima dell’incidente che gli è costato quasi la vita. «La macchina è caduta dalla gru e io sono stato schiacciato sotto il suo peso – ricorda –. Mi sono svegliato dopo due mesi di coma e quando ho visto che mi mancava una gamba l’ho presa molto male. È stata la mia fidanzata Loredana a firmare per l’amputazione». Si sentiva disperato Thomas: dopo essere scampato alla guerra e al deserto della Libia, SuperAbile INAIL dopo aver visto i suoi compagni di viaggio morire a bordo di una carretta del mare mentre solcava furtiva il Mediterraneo, non gli sembrava possibile che il peggio dovesse arrivare in Italia. Proprio quando gli pareva di aver ritrovato tutto (o quasi): l’amicizia, il lavoro e l’amore. «Non accettavo la situazione – prosegue –. Sono stato sempre un tipo molto attivo, ero disperato. Fino a che non ho incontrato l’Inail, che mi ha restituito la speranza: “Dio ti ha aiutato, noi ti rimetteremo in piedi”, mi hanno detto». Poco tempo dopo a Vigorso di Budrio è arrivata la protesi che oggi gli permette di camminare, guidare lo scooter e insegnare kick-boxing. Oggi che la sua vita è ripartita, Thomas ancora si sente ferito dal comportamento del suo datore di lavoro, con cui è entrato in causa per una complicata faccenda di risarcimenti e diritti negati. Per il resto prova a giostrarsi in una complicata vita familiare, fatta di tre figli di cui uno ancora in Ghana con la zia e gli altri due a Pordenone con la madre ed ex compagna. Ma soprattutto Thomas ha tanti amici, che non lo lasciano mai solo. «A Palermo mi trovo bene – conclude –. Parlo quattro lingue e aiuto tante persone africane, soprattutto a trattare con i loro datori di lavoro. Il mio sogno per il futuro? Aprire un’attività di import ed export, che unisca l’Africa all’Italia». [A.P.] 53 Agosto Settembre 2014 La vita dopo l’incidente. dieci storie Ostia, gli albori dello sport paralimpico O ggi è ancora possibile incontrarli il martedì mattina, specie se il tempo è bello, sotto i porticati che fronteggiano la stazione “Stella polare”, a Ostia, patria dello sport paralimpico italiano e non solo. Le vecchie glorie dei Giochi per disabili si danno appuntamento dinanzi alla sede dell’Ascip, l’Associazione sportiva culturale italiana paraplegici, nata nel 1975 per promuovere il grande valore dello sport come strumento di riabilitazione e reinserimento nella società. Approdati giovanissimi al Centro per paraplegici (Cpo) dell’Inail diretto dal professor Antonio Maglio, pioniere italiano della sport-terapia, tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso si trasferirono a Ostia, alle porte di Roma, per rimettere in moto le proprie vite. Erano operai, agricoltori, pastori provenienti da varie regioni italiane che il neuropsichiatra Maglio riuscì a coinvolgere in un progetto rivoluzionario. Fino a farne campioni nazionali e mondiali nelle diverse discipline: scherma, nuoto, tennis tavolo, tiro con l’arco, per dirne solo alcune. «Dobbiamo tut- to all’Inail – afferma il maestro Vittorio Loi, schermidore d’eccezione, cinque Giochi come atleta e altrettanti come tecnico della Nazionale azzurra –. L’Istituto ci ha permesso di praticare lo sport, tornando a essere persone come le altre. Grazie alla pratica sportiva abbiamo girato l’Italia e il resto del mondo, recuperando tutto quanto pensavamo di aver perso». «Il dottor Maglio è stato un pioniere e forse lo sarebbe ancora oggi: quello dello sportterapia è infatti un concetto estremamente moderno», dichiara David Fletzer direttore dell’Unità operativa complessa (Uoc) Centro spinale del Centro paraplegici di Ostia (Cpo), in capo alla Asl Roma D. Il Cpo è nato nel 1957 come la prima struttura italiana dedicata alla cura delle persone con lesione midollare per iniziativa dell’Inail e dal 1978 è sotto l’egida del Servizio sanitario nazionale e regionale. «Ma noi continuiamo a credere nel valore della pratica sportiva: ancora oggi si esercita la scherma, il tiro con l’arco, il tennis tavolo e il calcio balilla. Inoltre abbiamo un medico e un fisioterapista completamente dedicati alla sport-terapia. È im- SuperAbile INAIL 54 Agosto Settembre 2014 pressionante il valore terapeutico dello sport: a volte l’attività sportiva permette di conservare l’autonomia e, nel tempo, di allungare la vita». Un concetto, quest’ultimo, di cui era profondamente convinto il dottor Maglio, che nel 1960 organizzò a Roma la prima vera Paralimpiade della storia. Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale Maglio aveva avuto modo di apprezzare l’operato del neurologo tedesco Ludwing Guttmann, il promotore dei Giochi di Stoke Mandeville, che si tennero per la prima volta alle porte di Londra del 1948. Fuggito in Inghilterra dopo l’inizio delle persecuzio- ni naziste degli ebrei, il neurologo fu messo a capo dell’Unità spinale dove venivano ricoverati i reduci di guerra che avevano subito lesioni midollari. E subito si rese conto che per guarire le ferite non solo fisiche riportate sul campo di battaglia occorreva aiutare i soldati a tornare a una vita normale. Obiettivo che SuperAbile INAIL Guttmann raggiunse attraverso l’esercizio fisico e l’organizzazione dei Giochi di Stoke Mandeville. Questa straordinaria intuizione fu ripresa da Maglio qualche anno dopo e servì a restituire la speranza a tanti che consideravano la propria vita finita. E che a Ostia ritrovarono 55 Agosto Settembre 2014 La vita dopo l’incidente. dieci storie uno scopo, una socialità, una famiglia. Come Aroldo Ruschioni, classe 1932, che approdò sul litorale romano nel 1957, all’età di 25 anni. Originario di Macerata, era rimasto infortunato mentre lavorava come elettromeccanico tornitore nella ditta del padre. «Non avevo mai praticato sport prima – racconta oggi –. Ma qui a Ostia ti sentivi quasi obbligato a sperimentarti nelle varie discipline. Le soddisfazioni e le medaglie sono arrivate in un secondo momento». Oggi Aroldo è il più anziano del gruppo di Ostia e l’unico ad aver preso parte alla Paralimpiade romana, da cui riportò un oro, un argento e un bronzo, rispettivamente nel tennis tavolo doppio, nella sciabola a squadra e nel dorso. Erano però solo le prime medaglie di una lunga carriera internazionale, culminata con il ruolo di tedoforo alle Olimpiadi invernali di Torino 2006, dove ebbe l’onore di portare la fiaccola cerimoniale. Olver Venturi, invece, è un simpatico signore di quasi 70 anni, molti dei quali trascorsi a Ostia dove arrivò per la prima volta l’8 giugno del 1961, reduce da un incidente sul lavoro mentre assemblava le cassette di frutta. Aveva appena 16 anni e mezzo quando giunse al Cpo direttamente da Lugo di Romagna, in provincia di Ravenna, dove era nato e cresciuto. «Dopo SuperAbile INAIL 56 Agosto Settembre 2014 le prime cure al Centro traumatologico di Bologna, l’alternativa era tra Vigorso di Budrio e Ostia – ricorda –. Ma al Centro protesi non c’era posto e così mi hanno mandato qui: ed è stato un bene perché ho conosciuto mia moglie, che all’epoca faceva l’infermiera». Insieme all’amore Olver conobbe lo sport e, dopo poco più di un anno, era già a Stoke Mandeville dove si guadagnò la prima medaglia d’oro nella scherma a squadre. Non male per uno come lui, che appena qualche mese prima aveva dovuto rimettere in discussione un’intera esistenza. E che oggi vanta la partecipazione a cinque Olimpiadi e il titolo di campione italiano di tennis tavolo per undici anni. «Attualmente insegno ping pong al Cpo due volte a settimana, il martedì e il giovedì», dice. Dedica le sue energie a quelli che arrivano, provando a spiegare loro, con l’esempio concreto, che se qualcosa è finito per sempre qualcos’altro può ancora cominciare. Una lezione che anche Francesco Deiana ha dovuto imparare sulla propria pelle, quando nel 1960 giunse a Ostia dalla sua Sardegna. Aveva 27 anni e fino a quel momento aveva fatto il pastore: viveva a Olbia, in provincia di Sassari, ed era caduto dalla bicicletta mentre trasportava il latte al deposito. Lo portarono di corsa all’ospedale cittadino e una SuperAbile INAIL settimana dopo lo trasferirono a Iglesias, dove rimase sei mesi. «Gli altri se ne andavano e io restavo sempre là – afferma –. Poi sono arrivato a Ostia e mi sono un po’ tranquillizzato, perché vedevo che c’era anche chi stava peggio di me». Nelle corsie del Cpo Francesco incontrò il dottor Maglio. Gli domandò se avesse mai praticato qualche disciplina e lui rispose che gli piacevano il calcio e la pesca sportiva. «Qui potrai fare sport», sentenziò il medico. E così cominciò un’avventura imprevista e fulminante, come arciere e nuotatore: nel 1961 era a Stoke Mandeville e tre anni dopo alle Olimpiadi di Tokio, da cui tornò a casa con un oro stile libero, un argento rana e una fidanzata giapponese. Che lo raggiunse in Italia alla fine di tre lunghi anni di fitta corrispondenza epistolare per sposarlo e restare con lui per oltre un decennio, fino a quando un «brutto male» non se la portò via. Per fortuna c’era il percorso che Antonio Maglio aveva indicato e che ha accompagnato la sua esistenza anche nei momenti più bui. Regalandogli la partecipazione a quattro diverse Olimpiadi, di cui l’ultima a Toronto nel 1976. «Ho avuto la possibilità di viaggiare, andare ovunque, conoscere il mondo – tira le somme oggi –. Senza lo sport la mia vita non sarebbe stata la stessa». [A.P.] 57 Agosto Settembre 2014 La vita dopo l’incidente. dieci storie Non tutti i giorni nasce un campione. La tenacia di Vittorio È stato imbattibile Vittorio Loi con la sua spada. Rapido, agile, determinato. Non c’era nessuno o quasi che potesse tenergli testa. Perché attraverso quella spada che gli era piovuta tra le mani un po’ per caso si riprendeva la vita che pensava di aver perso. Quando arrivò al Centro paraplegici di Ostia era distrutto nel corpo e, soprattutto, nello spirito. Era nato a Nurri, in provincia di Nuoro, nel 1942 e non aveva ancora compiuto 20 anni quel 9 settembre del 1961 quando cadde dal camion mentre caricava la legna. Faceva l’agricoltore, ma voleva cambiare vita e due giorni dopo sarebbe partito per la Germania, dove la sua richiesta di lavoro era stata accolta da una fabbrica. Le cose andarono diversamente. «Eravamo zappatori – dice –. Pensavo che tutto fosse finito». Nei momenti di disperazione che seguirono l’incidente prese in considerazione tutto, anche l’idea di farla finita. A Ostia l’incontro con il dottor Maglio fu decisivo. «Parlavano di fare sport, a me sembravano matti», dice oggi, col senno di poi. Ma quella proposta lentamente si SuperAbile INAIL 58 Agosto Settembre 2014 insinuò in lui, fino ad assumere la forma vaga di una speranza. Nel frattempo nacque l’amicizia con Francesco Deiana, sardo come lui, che era arrivato a Ostia l’anno precedente e con cui a partire dal 1965 condivise un appartamento. «Francesco era come un fratello, chiacchieravamo a lungo e lui mi raccontava le sue imprese sportive. A me pareva impossibile». Gli sembrava tutto troppo difficile, ma quel modo di affrontare la vita lo affascinava. «Mi sono buttato sulla scherma e ce l’ho fatta: sono diventato imbattibile. Avevo l’istinto di vincere. Ho partecipato a cinque Olimpiadi come atleta e a cinque come tecnico della Nazionale di scherma disabili. Ho perso il conto delle medaglie». La prima Olimpiade è a Tokio nel 1964, poi a Tel Aviv nel 1968 vince due ori e due argenti nel fioretto e spada a squadre. Nel 1972 a Heidelberg porta a casa tre ori e nel 1974 a Toronto un argento e due bronzi. Ma è anche campione mondiale di scherma dal 1962 al 1974 e campione italiano dal 1974 al 1979. Le ultime medaglie arrivano nel 1980 ad Arnhem, in Olan- da, dove conquista un bronzo nell’individuale a sciabola e un argento nel fioretto a squadra. Da quel momento Loi abbandona l’agonismo, ma non la passione per la spada. Nello stesso anno, infatti, consegue il brevetto di istruttore e il diploma di maestro di scherma all’Accademia nazionale di Napoli e dodici mesi dopo diventa tecnico della Nazionale italiana di scherma disabili. Può insegnare SuperAbile INAIL a tutti, in piedi o in sedia a ruote: non ci sono distinzioni. «Ma la vera sfida è da seduti – spiega –. In piedi hai più vie di fuga, in carrozzina non puoi arretrare». E il suo contributo resterà nella storia di questa disciplina paralimpica. Perché oltre a essere un maestro e un campione, Vittorio ha progettato le pedane di scherma conosciute nel mondo come “italiane”, che consentono maggiore autonomia allo schermidore attraverso un sistema di ancoraggio che non fa perdere l’equilibrio. Oggi Vittorio ha 72 anni, ma quello che può dare allo sport paralimpico è ancora tanto. È membro della Commissione internazionale per la scherma in carrozzina (Iwfc), organo tecnico della Federazione internazionale di sport disabili nella quale ricopre il ruolo di responsabile per il regolamento e per il materiale dal 1981. Ma ama ancora venire al Cpo per insegnare scherma due mattine a settimana, il martedì e giovedì. In quel Centro dove la sua vicenda di uomo e di atleta ha avuto inizio e dove altri campioni possono nascere. Con la forza dell’esempio, della volontà e della speranza. [A.P.] 59 Agosto Settembre 2014 La vita dopo l’incidente. dieci storie Dopo 40 anni è ancora amore. L’ironia di Uber e Irene L ei è affilata, intelligente, incisiva. Lui bonario, ironico, incline a prendere la vita così come viene. Se questa è la realtà o l’apparenza poco importa, fatto sta che i coniugi Uber Sala e Irene Monaco insieme sono una spasso. Una vita l’una accanto all’altro all’insegna dell’amore e dello sport. E di un dialogo irridente e serrato, che vince la noia e consolida la tolleranza reciproca, pane quotidiano per una coppia di lunga data. Vivono in una villa alle porte di Ostia, fatta di ampi spazi accessibili e di pareti tappezzate di coppe e medaglie. Che parlano da sole della loro storia e della loro comune passione. Perché, come dice Irene, «noi ci siamo conosciuti nello sport». E nello sport hanno imparato ad amarsi e ad apprezzarsi, per poi unire i loro destini in un matrimonio solido come l’impegno sportivo che ha contrassegnato le loro esistenze. Lei è nata nel 1940, lui sei anni dopo, nel 1946. Lei è un’invalida civile, lui un infortunato sul lavoro, arrivato a Ostia a 18 anni a causa di una caduta da un’impalcatura. «Lavoravo in cantiere come elettromeccanico. Sono finito sotto a un montacarichi. Pensavo che la SuperAbile INAIL 60 Agosto Settembre 2014 storia fosse finita lì, e invece...». Irene era figlia di un dirigente Inail, è nata a Roma, ma i suoi arrivavano dalla Sicilia. «A cinque anni e mezzo ho contratto la poliomielite, fino al 2000 ho camminato con il tutore, poi sono passata alla carrozzina. Nel 1963 ho cominciato con lo sport, praticando nel tempo undici discipline diverse». Uber, invece, ha scelto il tiro con l’arco. «Si provava di tutto prima di scegliere. Ho sperimentato anche il nuoto, ma alla fine sono diventato un arciere». Un arciere che, dopo essersi messo alla prova nelle varie competizioni nazionali e internazionali, è diventato prima allenatore e poi commissario tecnico della Nazionale paralimpica. Irene sembrava tagliata per la competizione e ancora oggi pun- zecchia Uber: «Tiravamo insieme di scherma, ma vincevo sempre io». Lavorava e si allenava: aveva un impiego presso l’azienda dei telefoni di Stato, ma soprattutto amava le sfide con se stessa. Tiro con l’arco, atletica leggera, scherma, tennis tavolo e nuoto sono state solo alcune delle sue passioni. Che a fine carriera le hanno regalato una trentina SuperAbile INAIL di medaglie. «Ho tenuto a lungo il record nel lancio del disco – ricorda –. Uber mi ha introdotto nel mondo del tiro con l’arco, che mi ha riservato grandi soddisfazioni. Ho gareggiato anche con i normodotati. Poi sono passata al compound, un tipo di arco molto usato nei Giochi olimpici». Nel 1999 Irene ha smesso di praticare sport, mentre Uber ha continuato ancora per un po’. Di quella lunga fase della loro vita in comune non restano però solo i tanti riconoscimenti che rivestono le pareti di casa Sala. Rimane anche la sensazione di aver costruito un patrimonio di esperienze condivise che cementano un’unione durata quasi mezzo secolo. E che rimane forte anche oggi che la loro vita risente degli acciacchi dell’età. Da quando Uber non guida più, trascorrono tanto tempo nel loro giardino pianeggiante e pieno di fiori. La sera, specie d’inverno, guardano lo sport in tv: anche quello paralimpico, ma non solo. E così, anche se le cose cambiano, loro continuano a volersi bene. «Lo sport ci ha dato un motivo di spensieratezza», dice Uber. Sua moglie lo guarda di sottecchi, e questa volta lo sguardo tradisce affetto piuttosto che ironia. [A.P.] 61 Agosto Settembre 2014 L’intervista. angela goggiamani Malattie professionali: un fenomeno da non sottovalutare In aumento le denunce per le patologie di origine lavorativa: oggi sono oltre 50mila, il doppio di cinque anni fa. Un’emergenza “nascosta”, che può condizionare fortemente la vita dei lavoratori «N on esiste lavoro il quale, per le condizioni in cui si effettua, non possa essere causa di danno alla salute», scriveva nel diciassettesimo secolo Bernardino Ramazzini, il padre della medicina del lavoro. E infatti non solo gli infortuni ma anche le malattie professionali colpiscono i lavoratori: un fenomeno che non sempre emerge nella sua evidenza, ma che può condizionare fortemente la vita di chi ne rimane vittima. La dottoressa Angela Goggiamani attualmente è responsabile della Sovrintendenza sanitaria centrale dell’Inail e da oltre 30 anni è impegnata sui temi della medicina del lavoro, in qualità di medico presso l’Istituto. Le abbiamo chiesto di aiutarci a fare luce su un aspetto che, in forma lieve o grave, minaccia tutti i lavoratori. Partiamo dai numeri: qual è oggi la situazione delle malattie professionali nel nostro Paese? Nel 2013 le denunce sono state circa 51.900, vale a dire circa 5.500 in più rispetto al 2012. Ma se si guarda al 2009 sono aumentate di poco più del 47%. Inoltre il medesimo lavoratore può essere colpito da più malattie professionali, per cui abbiamo circa 39.300 “ammalati”. Tuttavia, il fenomeno potrebbe essere sottostimato per molti motivi, tra cui il fatto che – viste le problematiche della crisi del mondo del lavoro – i lavoratori potrebbero evitare di denunciare l’insorgere della patologia per paura di perdere la propria occupazione. Questo il presente. Ma cosa accadeva in passato? Nel periodo dell’accellerazione dell’industrializzazione post-bellica, quindi a partire dagli anni Cinquanta, l’Italia ha vissuto delle vere e proprie epidemie di malattie professionali quali, per esempio, le silicosi, le emopatie benzoliche, le ipoacusie da rumore e il saturnismo, ovvero una patologia causata dall’esposizione al piombo. Negli anni Settanta, dunque, si contavano circa 80mila denunce l’anno, effetto di azioni di prevenzione non sufficientemente efficaci. Successivamente il quadro è cambiato per l’intervento di nuovi fattori: da un lato, una maggiore prevenzione in ambito industriale; dall’altro, la riduzione del confine tra la “fabbrica” e l’ambiente esterno. Ciò significa che l’aumento dei rischi extralavorativi, cioè legati agli stili di vita, ha prodotto una riduzione del confine tra il rischio dell’ambiente di lavoro e il rischio dell’ambiente di vita, producendo una sorta di sommatoria degli effetti di tali fattori sulla salute dei lavoratori. In questo senso, il caso dell’amianSuperAbile INAIL 62 Agosto Settembre 2014 to è emblematico: non si tratta più di un problema legato solo alle patologie professionali a esso correlate, ma è diventato un’emergenza ambientale. Dopo averne vietato l’estrazione, l’utilizzo e la commercializzazione agli inizi degli anni Novanta, a tutt’oggi rimane il problema dello smaltimento, con ricadute anche sulla salute dei non lavoratori. Quali sono le patologie maggiormente invalidanti? Sono sicuramente i tumori prima causa di morte per malattia professionale nei lavoratori, ma anche alcune patologie respiratorie per la loro ingravescente evoluzione. Esistono, tuttavia, delle malattie all’apparenza “poco invalidanti”, ma in realtà con notevoli ripercussioni rispetto all’attività svolta dal lavoratore. Pensiamo a un muratore con un’ernia discale: non si tratta di una patologia di per sé generalmente grave sotto il profilo clinico, ma questo lavoratore certamente avrà grandi difficoltà a espletare i compiti che normalmente è chiamato a svolgere. Occorre, dunque, invertire l’ottica e modificare l’ambiente di lavoro non solo per prevenire il “danno”, ma per adattarlo in maniera tale da permettere il proseguimento dell’attività lavorativa a chi è portatore di una disabilità. Vengono riconosciute anche patologie come lo stress e l’ansia? Le malattie professionali di natura psichica sono giunte alla nostra osservazione alla fine degli anni Novanta: il caso ben noto riguardava alcuni lavoratori dell’Ilva sui quali venne operato un vero e proprio “mobbing strategico”, al fine di portarli all’estromissione dalla azienda. A partire da questi primi casi l’Inail ha intrapreso uno studio approfondito su come l’organizzazione del lavoro possa incidere sul benessere psicofisico dei lavoratori. Tuttavia, dopo un periodo di boom, attualmente questo tipo di denunce sono circa 500 all’anno, con percentuali di indennizzo mediamente di poco inferiori al 10%. Ciò accade perché l’Istituto non riesce a trovare degli elementi oggettivi di prova sull’esistenza di un rischio lavorativo per il riconoscimento della patologia. Si spera che la valutazione dello stress lavoro-correlato negli ambienti di lavoro, così come previsto dalla attuale normativa, sia uno strumento valido per prevenire tali malattie. Esistono malattie invalidanti che colpiscono in primo luogo le lavoratrici? La prima cosa da dire è che meno di un terzo delle malattie professionali denunciate riguardano il genere femminile. Se poi andiamo a guardare la SuperAbile INAIL 63 Agosto Settembre 2014 tipologia di malattie professionali a cui le donne sono più frequentemente esposte, scopriamo che nella stragrande maggioranza dei casi (oltre l’85%) sono malattie osteoarticolari e muscolo-tendinee, come tendiniti, sindromi del tunnel carpale, patologie dei dischi intervertebrali. Quindi si tratta di malattie che possono non essere di per sé particolarmente invalidanti, ma che possono comunque avere una forte ripercussione non solo nella vita lavorativa, ma anche in quella sociale e familiare, visto che l’universo femminile costituisce un “capitale umano” che si spende per la cura dei bambini, degli anziani e della casa. Va ricordato però che anche le donne vengono colpite da malattie estremamente gravi: pensiamo per esempio alle vittime dell’amianto dell’industria tessile. Ci sono delle malattie emergenti che possono essere sottovalutate? Il caso dell’amianto ci ha insegnato che qualsiasi sostanza o qualsiasi nuova tecnologia deve essere attentamente esaminata anche prima di essere impiegata. Oggi si parla molto di nanotecnologie e si studiano attentamente le ripercussioni che potrebbero avere sulla salute. È questa la lezione che abbiamo appreso. Si parla molto di reinserimento lavorativo dopo l’infortunio. E dopo la malattia professionale? Dal punto di vista sanitario e normativo, infortuni sul lavoro e patologie professionali sono sullo stesso piano. In realtà anche per queste malattie esiste un problema di ritorno al lavoro: bisogna fare in modo che il rientro avvenga cercando di rimuovere i fattori che hanno causato la patologia e operando ogni intervento possibile nell’adattamento dell’ambiente con azioni riguardanti anche l’organizzazione del lavoro. L’intervista. margherita caristi Servizio sociale: dall’assistenza all’autonomia degli infortunati Figure centrali nel processo di reinserimento sociale e lavorativo, gli assistenti sociali dell’Inail svolgono un ruolo di prima linea nella presa in carico. Con una consapevolezza precisa: viene prima il progetto di vita, poi l’ausilio O ltre 100 figure su tutto il territorio nazionale, età media 45 anni, prevalentemente donne senza l’esclusione di alcuni uomini, ma soprattutto con un obiettivo preciso: aiutare gli infortunati sul lavoro a elaborare nuovi progetti esistenziali, ritornando per quanto possibile alle loro abitudini di vita e di lavoro. È questo l’identikit degli assistenti sociali dell’Inail, figure chiave nel processo riabilitativo delle persone che hanno subito un incidente sul luogo di lavoro. Abbiamo chiesto a Margherita Caristi, assistente sociale presso la Direzione Centrale Prestazioni Sanitarie e Reinserimento, di spiegarci il ruolo, i compiti, le sfide di questa professione. Come funziona il servizio sociale dell’Inail? Attualmente gli assistenti sociali sono 112 a fronte dei 139 previsti. L’Istituto sta provvedendo, infatti, all’assunzione delle figure mancanti sulla base delle graduatorie ancora attive dopo l’ultimo concorso. Si tratta di figure collocate soprattutto nelle diverse Sedi territoriali dell’Inail, nelle Direzioni regionali, nella Direzione Centrale Prestazioni Sanitarie e Reinserimento e presso il Centro protesi di Vigorso di Budrio e la sua filiale di Roma. Com’è cambiato negli anni il ruolo dell’assistente sociale? Si è modificato notevolmente non solo in conformità all’evoluzione delle normative di riferimento, ma anche sulla base di una diversa prospettiva culturale che riguarda la disabilità e che ha modificato sensibilmente approcci, strumenti e modalità. Oggi la questione della tutela e dell’esigibilità dei diritti ha sostituito l’approccio di tipo assistenziale, che un tempo caratterizzava in modo prevalente il sistema di welfare. Lo stesso Regolamento per l’erogazione agli invalidi del lavoro di dispositivi tecnici e di interventi per il reinserimento nella vita di relazione, emanato nel 2011, promuove il ritorno della persona nei propri ruoli sociali. E questo ritorno deve essere attivo. Quindi non ci si limita più ad assistere l’infortunato, ma SuperAbile INAIL 64 Agosto Settembre 2014 si vuol fare in modo che la persona possa gestire autonomamente la propria vita e progettarla secondo i propri desideri. Un passaggio dall’assistenzialismo all’autonomia, in altre parole... Sì, perché se prima le modalità di risposta erano soprattutto di natura economica e assistenziale, oggi prevale un’ottica di erogazione di servizi ed elaborazione di progetti per la persona. È un lavoro che va costruito dal basso e che deve nascere sia da una concertazione territoriale, sia da una volontà condivisa all’interno dell’équipe multidisciplinare composta dall’assistente sociale, dal dirigente medico e dal responsabile dell’area lavoratori. A parte la relazione con gli assistiti, esiste un rapporto con gli enti locali, le strutture sanitarie e le organizzazioni di promozione sociale dei territori? Il rapporto col territorio fa parte del lavoro dell’assistente sociale, che si occupa della persona all’interno del suo contesto di appartenenza. Questo rapporto si concretizza soprattutto nella realizzazione di progetti comuni e, in particolar modo, nelle azioni per il reinserimento sociale e lavorativo. Per esempio, esistono raccordi con i Comuni laddove sono necessari interventi di sostegno e di assistenza domiciliare e altri servizi necessari alla persona e al suo nucleo familiare ma non di competenza Inail. Inoltre importanti sinergie sono state stipulate con le Province per quanto riguarda la predisposizione di tutti quegli interventi mirati a permettere la ricerca SuperAbile INAIL 65 Agosto Settembre 2014 di un’occupazione più idonea. Anche con il Terzo settore, che spesso è convenzionato con le Regioni, esistono relazioni di grande interesse e ricchezza. Quali sono le problematiche principali con cui si confronta il servizio sociale? L’infortunio sul lavoro è un evento improvviso e traumatico, che piomba nelle vite delle persone spezzando le loro attività quotidiane e i loro progetti per il futuro. Si tratta di un trauma sia per il diretto interessato che per la sua famiglia. Non a caso il nuovo Regolamento, attualmente in fase di revisione, amplia ai familiari la platea dei destinatari degli interventi di sostegno. Inoltre all’erogazione degli ausili e delle protesi, tradizionalmente di competenza dell’Istituto, sono state aggiunte azioni di supporto e sostegno all’autonomia e al reinserimento nel contesto familiare, sociale e lavorativo. Un altro aspetto fondamentale è poi il rapporto di fiducia con l’assistente sociale, che spesso diventa il punto di riferimento sia degli utenti che dei familiari. E questo è un motore importantissimo: una relazione fiduciaria aumenta notevolmente le possibilità di realizzare nel concreto un progetto di autonomia e di reinserimento sociale e lavorativo. [A.P.] dulcis in fundo SuperAbile INAIL 66 Agosto Settembre 2014