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Storie di Leader
I N T ROD U ZI O N E Napoleone Bonaparte, Nelson Mandela, Steve Jobs, Anita Roddick, Michael Jordan… Cosa hanno in comune? L’attributo di leader. Ognuno, a suo modo, ha realizzato i propri sogni, si è posto obiettivi sfidanti, li ha perseguiti con costanza e determinazione. Questo fa di essi dei modelli a cui ispirarsi. Nelle prossime pagine riportiamo una selezione dei migliori articoli pubblicati finora nella newsletter Leader di te stesso dedicati a chi, per ragioni diverse, rappresentano un modello di leadership. Vi racconteremo la loro storia anche attraverso le loro parole. Pensiamo che non vi sia nulla di meglio che raccontare delle storie per parlare di leadership perché, come dice Tom Peters, Le storie sono ciò che anima il “ragionamento”. Le storie ci “autorizzano” ad agire. Le storie sono fotografie di chi vorremmo essere. Le storie provocano risposte emotive. Le storie mettono in relazione. Le storie siamo noi. 1 N A P OL E ON E B O N APA RT E Un piccolo uomo, un grande leader Quando lo incontrò per la prima volta l'aristocratico principe Von Metternich rimase colpito ed anche deluso da quell'aspetto tanto lontano dall'immagine di un imperatore. Il principe si trovò di fronte un uomo basso, piuttosto goffo e che pareva non conoscere l'etichetta. Nonostante ciò Napoleone Bonaparte fu un grande leader e riuscì a guidare non solo un esercito, ma un intero popolo. Dotato di un carattere forte e determinato, della capacità di prendere decisioni fulminee e di uno spirito strategico, Napoleone Bonaparte costituisce ancora oggi un esempio di leadership e le sue parole contengono insegnamenti preziosi e ci permettono di conoscerlo meglio di quanto non abbiamo fatto studiando su libri di scuola le sue grandi gesta. "L'apprendere non è vergogna, ma maestria". La capacità e l'umiltà di imparare è ciò che permette al leader di adattarsi alle situazioni e di trarre anche dalle sconfitte gli insegnamenti per fare sempre meglio in futuro. "Non sono un dio, non potevo fare tutto da solo: avrei potuto salvare la nazione soltanto con l'aiuto della nazione" Il vero leader sa di non essere un eroe solitario, ma sa che non si compiono grandi opere senza il contributo di coloro che lo circondano. "In ogni tempo, il coraggio e lo spirito hanno moltiplicato le forze fisiche e continueranno a farlo." La forza fisica è senza dubbio una componente fondamentale per un uomo di guerra, eppure Napoleone non ne era particolarmente dotato e dimostrò che questa carenza poteva essere colmata con una straordinaria forza di carattere. "Per giungere alla testa di un esercito, devi avere una gran capacità di conoscere gli uomini." Per guidare un esercito, una nazione o semplicemente un gruppo di persone è necessario possedere una profonda sensibilità e acuta conoscenza delle varie pieghe dell'animo umano. 2 V E RO N E. J OR DAN , JR Sfr utta al massimo ciò che hai Vernon E. Jordan, Jr è una personalità di spicco della società americana, avvocato e leader del movimento per i diritti civili, consigliere di presidenti, senior managing director della società di investimenti Lazard Freres & Co. Nel 2002 ha pubblicato un libro dal titolo "Vernon Can Read! A Memoir" (Vernon sa leggere! Una memoria), dove racconta come, pur muovendo da una situazione non certo favorevole, riuscì ad avere successo e ad affermarsi nella società, soprattutto grazie alla tenacia e determinazione della madre Mary Belle Jordan. viaggiare fosse il modo migliore per imparare e non voleva privare i propri figli di questa opportunità. Era il suo progetto quello che contava. La sua strategia per tirare su i figli neri durante l’infanzia nel Sud segregato derivava dal suo approccio generale alla vita: sfrutta al massimo ciò che hai, fai del tuo meglio quando la posta è alta e aspettati un buon risultato dai tuoi sforzi. Dopo il secondo anno all’università, Vernon iniziò a lavorare come autista alle dipendenze di Robert Maddox, figura di spicco nell’élite bianca cittadina: Direttore della First National City Bank di Atlanta ed ex presidente dell’American Bankers Associations. Ogni giorno Vernon, alla guida di una Caddillac blu quattro porte, conduceva Maddox all’ufficio alla First national City bank e successivamente al Capital City Club, dove Maddox prendeva l’aperitivo e pranzava. Poi, si tornava a casa per il sonnellino pomeridiano. Alle 18.00 poi Vernon vestiva i panni del maggiordomo, ma, avendo a disposizione tutto il pomeriggio, che trascorreva prevalentemente nella biblioteca privata di Maddox. Una bella sfida per un ragazzo nero, come Vernon, che viveva in Georgia poco dopo l’abolizione della schiavitù legalizzata. La maggior parte dei neri non poteva votare. Erano tempi duri per un sognatore. Ma così era mia madre: una donna nera, illetterata, senza istruzione, ma con una laurea a pieni voti alla scuola della vita , venuta dalla campagna georgiana nella grande città di Atlanta a cercarsi un posto migliore. Per lei era un vertiginoso atto di coraggio sognare e aspettarsi che i figli si facessero strada in un mondo che non era stato costruito per loro. La madre di Vernon fece tutto ciò che era possibile per garantire ai propri figli un’istruzione solida e tale da offrire chance di crescita, anche se si trattava di assumere la presidenza del consiglio d’istituto o sborsare 70 dollari per una gita scolastica a Washington. Una bella somma nel 1946 ma Mary Belle Jordan era convinta che Quello fu il primo viaggio in treno e il primo a Washington. Percorsi Pensylvania Avenue, salii sul monumento a Washington e vidi tutti i luoghi famosi che il Distretto i Columbia aveva da offrire. Alla sera i bambini bianchi rimasero in albergo e i bambini neri dormirono in cuccetta in un vecchio studio. Ma per me fu un’esperienza favolosa. E come mia madre aveva predetto, m’insegnò moltissimo. Inoltre, sapevo che un giorno sarei tornato. Shakespeare, Emerson Thoreau, ma anche i discorsi più importanti dell’epoca: quella meravigliosa libreria aveva tutto. Giorno dopo giorno, sedevo à circondato dai libri, dall’atmosfera creata dai volumi e dalle poltrone. Lo stile di vita simboleggiato da quella stanza – la dedizione alla conoscenza e la possibilità di acquistarla – toccò in me una corda che risuona ancora adesso. Mi ricordo di aver pensato: a questo serviva andare all’università, a diventare un membro 3 della comunità in grado di apprezzare un luogo simile. Sentivo di appartenervi. E lo volevo per me e la mia famiglia. Un pomeriggio Maddox sorprese Vernon in biblioteca e gli chiese cosa facesse in quel luogo. Vernon rispose che stava leggendo ed il ricco signore ne fu stupito. Vernon aggiunse che andava all’Università e lo stupore di Maddox crebbe quando seppe che non si trattava di una scuola per persone nere, ma della Depauw University di Greencastle, nell’Indiana notoriamente frequentata da ragazzi e ragazze bianchi. “Studi per diventare insegnante o predicatore?” chiese nuovamente l’anziano signore. “In realtà farò l’avvocato, signor Maddox.” Questi rispose seccamente che non era previsto che i neri facessero l’avvocato. Vernon rispose solo: Io lo farò”. Nonostante ciò iIl vecchio permise a Vernon di proseguire la propria lettura. Quella sera, mentre cenava con i figli e le nuore e Vernon serviva , Maddox disse: “ho un annuncio da fare… Vernon sa leggere” Tutti restarono in silenzo. “E va all’università V ERON E. J ORDAN , JR Sfr utta al massimo ciò che hai con i ragazzi bianchi”. Di nuovo silenzio. Poi commentò: “Sapevo che tutto questo sarebbe accaduto, ma sono contento perché non ci sarò quando succederà”. Anche se ero seccato per il comportamento di Maddox, allora non pensai, né lo penso adesso, che sarebbe servito a qualcosa rimbeccarlo per il suo aggressivo conservatorismo. Ognuno di noi deve decidere quante assurdità può sopportare nella vita e da chi è disposto ad accettarle. Tutto dipende, naturalmente dalla situazione e dalle persone coinvolte. Vernon continuò a lavorare per Maddox anche durante la scuola di diritto. Nel frattempo latteggiamento di Maddox era lievemente mutato, ora l’anziano efacoltoso uomo cil Il carattere dei miei rapporti con Maddox subì un lieve mutamento, una volta che seppe chi io ero realmente. Ogni tanto faceva commenti su un problema di attualità e ne discuteva con me. La cosa durò per tutto il tempo che lavorai per lui durante gli anni dell’università e alla scuola di diritto che frequentai soprattutto perché mia madre pensava che potessi farlo. Anni dopo scortai Charlaune Hunter in mezzo alla folla alla University of Georgia per liberare quell’istituzione dalla segregazione razziale. Un domestico mi desse che lo stesso Maddox stava guardando alla televisione l’evento, accompagnato da una vasta pubblicità. La prima studentessa nera all’università della Georgia. Ora mi rendo conto che quanto desideri nella vita è in funzione di ciò che pensi di meritare e puoi raggiungere. Nonostante le previsioni del mondo banco per me, mia madre aveva voluto che compissi grandi cose perché sentiva che ne ero in grado. E mi fece sempre capire che ero destinato ad un’esistenza più piena di quella in cui ero nato. Il suo messaggio per me fu di insistere sempre. Usa al meglio ciò che hai contro difficoltà apparentemente insormontabili. E mentre vai avanti, trasmetti il tuo ottimismo e la tua fede alla generazione successiva. Oggi consigliere di presidenti. Vernon E. Jordan, Jr Selezione marzo 2003 Da Vernon can read a memory 2001 La sua infermiera mi riconobbe e gli domandò: “Signor Maddox, sa chi è quell’avvocato di colore?” “Non credo” rispose lui “È il suo autista Vernon”. Maddox guardò fisso lo schermo poi commentò: “Lo sapevo che quel negro non avrebbe combinato niente di buono”. 4 M A RT I N LU T E R KI N G I have a dream Per coloro che hanno smesso di sognare, perché "tanto i sogni non si realizzano mai", per chi ha perso la forza di credere in un destino migliore, per tutti noi è ancora vivo e risuona come un monito il messaggio di Martin Luter King, l'uomo passato alla storia grazie ad un grande sogno. Nato nel 1929 in una famiglia dalla lunga tradizione pastorale, dopo le lauree in sociologia e teologia diviene pastore. La partecipazione attiva al movimento per i diritti civili costa a King l'incarcerazione, multe e persecuzioni di vario genere, che giungono fino all'attentato. A queste provocazioni King risponde invocando la non violenza. La battaglia non violenta porta i primi frutti: nel 1956 King è uno dei primi passeggeri a salire sugli autobus non più sottoposti al regime segregazionista. Il 28 agosto, di fronte ai partecipanti alla marcia di Washington per l'occupazione e la libertà, Martin Luter King pronuncia uno dei discorsi più celebri della storia. Da esso e dal discorso pronunciato in occasione della consegna del premio nobel, assegnatogli nel dicembre del 1964, sono tratti i seguenti brani. "Non possiamo camminare da soli. E mentre camminiamo, dobbiamo impegnarci con un giuramento: di proseguire sempre avanti. Non possiamo voltarci indietro." "Credo ancora che noi vinceremo : questa fede ci può dare il coraggio di affrontare le incertezze del futuro. Potrà dare nuovo vigore ai nostri piedi affaticati, mentre continuiamo ad avanzare verso la città della libertà". "Amici, fratelli, ho un sogno. Un Sogno grande, un sogno immenso. E sono pronto a morire per vedere realizzato questo Sogno". "I sogni non sempre si realizzano, è vero. Ma non perché siano troppo grandi o impossibili. Perché si smette di crederci." "La grandezza nella vita sta nella grandezza del Sogno in cui si è deciso di credere." "Mi rifiuto di accettare l'idea che l'uomo com'è, nella sua natura presente, sia per ciò stesso moralmente incapace di elevarsi a raggiungere l'eterno uomo come dovrebbe essere che in eterno lo interpella. Mi rifiuto di accettare l'idea che l'uomo sia un semplice relitto e rifiuto, abbandonato alla corrente del fiume della vita in cui è immerso". 5 N E L SO N M A ND E L A La fede del leader La nostra paura più profonda, non è quella d'essere inadeguati. La nostra paura più profonda è d'esser potenti oltre misura. E' la nostra luce, non le tenebre che più di tutto ci spaventa. Chiediamo a noi stessi "Chi sono io per essere brillante, formidabile, pieno di talento e risorse?" Ma di fatto chi siamo noi per non esserlo? Siamo figli e figlie di Dio. Il nostro giocare "al ribasso" non serve al mondo. Non c'è niente d'illuminato nel ridurre noi stessi per far sì che gli altri non si sentano insicuri intorno a noi. Siamo nati per rendere manifesta la gloria di Dio che è dentro di noi. Non è che sia solo in alcuni di noi è in ognuno di noi. Quando permettiamo alla nostra Luce propria di risplendere inconsciamente, accordiamo il permesso ad altre persone di fare lo stesso. Nel liberarci dalle paure, la nostra presenza, automaticamente, libera gli altri. Queste parole suonano come un vero e proprio atto di fede e non potevano che essere pronunciate da un grande leader come Nelson Mandela. Nelson Rolihlahla Mandela nasce il 18 Luglio del 1918, figlio di un capo della tribù Thembu, dimostra fin da giovane un temperamento forte e volitivo. Nel 1944, dopo la laurea in giurisprudenza, diviene membro dell'ANC, African National Congress, il movimento contro l’"Apartheid". Nel 1960 si verifica un evento che segnerà profondamente la sua vita, "il massacro di Shaperville", dove vengono uccisi 69 militanti dell'ANC. Nelson Mandela decide di dare vita ad una frangia militarista dell’ANC, che si propone di sovvertire il regime e di difendere i diritti della popolazione nera con le armi. Nel 1963 viene rinchiuso in prigione con la condanna all’ergastolo, ma questo non gli impedisce di diventare il simbolo della lotta contro la segregazione razziale e di scuotere l’opinione pubblica internazionale con l’affermazione che “più potente della paura per l'inumana vita della prigione è la rabbia per le terribili condizioni nelle quali il mio popolo è soggetto fuori dalle prigioni”. Nel febbraio del 1985, sentendo la pressione di vasti strati dell'opinione internazionale, l'allora presidente sudafricano Botha gli offre la libertà, purché rinneghi la guerriglia. Mandela rifiuta, ma cinque anni più tardi per lui si aprono le porte del carcere e con suo stupore viene accolto da una folla festante, non solo di neri, ma anche di bianchi. L’Africa è cambiata. E questo anche grazie a lui. Nel 1991 è eletto presidente dell'ANC e nel 1993 è insignito del premio Nobel per la pace, mentre l'anno dopo, durante le prime elezioni libere del suo paese (le prime elezioni in cui possono partecipare anche i neri), viene eletto presidente della Repubblica del Sudafrica e capo del governo, restando in carica fino al 1998. La vita di Nelson Mandela è la prova più evidente del potere della fede espressa nel passo soprariporatto. Egli seppe trascinare la popolazione nera, convincendola a lottare per i propri diritti, ma toccò anche il cuore dell’opinione pubblica internazionale e dei grandi della terra, cambiò l’aspetto di un’intera nazione, si liberò dal carcere, uscì vincitore da una battaglia contro le multinazionali farmaceutiche… Come può un uomo fare tutto questo senza la forza derivante da una grande fede? 6 DA LE C AR N E GI E A lezioni di socievolezza Dale Carnegie nacque da una famiglia di agricoltori nel Missouri. Venne educato al Warrensberg State Teachers College. Da venditore e aspirante attore, cominciò ad insegnare comunicazione a New York, nel 1912, e all’età di 24 anni tenne le sue prime lezioni di parlare in pubblico. Erano lezioni volte a mettere delle persone adulte in grado di pensare e immediatamente comunicare ad un pubblico il loro pensiero con la massima chiarezza espositiva, incisività ed equilibrio. Man mano che le classi gli sfilavano davanti, si rendeva conto che quelle persone, più che di lezioni di retorica, necessitavano di imparare l’arte di convivere col prossimo nelle situazioni quotidiane e comprese che relazionarsi con le persone era (e resta ancora oggi) un problema per tanti. I risultati positivi sia nella sfera personale che in quella professionale dipendono più da doti umane come la personalità e la capacità di farsi seguire dalla gente, che non da capacità e conoscenze puramente tecniche. All’epoca non esisteva ancora un manuale “pratico” da seguire in merito a come trattare le persone. Fu così che, nel 1936, venne pubblicato il suo primo libro “Come trattare gli altri e farseli amici”, ancora oggi uno dei libri più letti e tradotti nel mondo. Dalla fase di preparazione alla stesura del libro, Carnegie lesse tutto il materiale possibile: rotocalchi, quotidiani, riviste, resoconti giudiziari, opere di antichi filosofi e moderni psicanalisti, articoli, biografie. Tutto per comprendere come i grandi personaggi si comportavano con gli altri. Intervistò molte persone famose, cercando di capire la tecnica che questi usavano nei rapporti interpersonali. Da tutto questo materiale, Carnegie creò 30 principi comportamentali che inserì nel suo famoso libro. Riguardo a ciò ha sempre ripetuto: “Può sembrare incredibile, ma l’applicazione di queste regole ha spesso rivoluzionato la vita della gente. Se si pensa alla nostra potenzialità effettiva, noi facciamo uso di una piccola parte delle nostre risorse fisiche e mentali. Per dirla molto chiaramente, l’essere umano vive molto, ma molto al di sotto delle sue possibilità. Possiede risorse alle quali non ricorre mai”. Ora vediamo alcuni dei 30 principi di Dale Carnegie per diventare una persona più socievole: 1. Non criticate, non condannate, non recriminate. Nove volte su dieci la gente non accetta critiche sul proprio modo di comportarsi, per quanto sbagliato possa essere. La critica è inutile perché pone le persone sulla difensiva e le induce immediatamente a cercare una giustificazione. È pericolosa perché ferisce l’orgoglio della gente, la fa sentire impotente e suscita risentimento. Il risentimento per le critiche ricevute può demoralizzare i propri collaboratori, i familiari, gli amici, senza contribuire in alcun modo a migliorare la situazione. Invece di condannare l’operato della gente, cercate piuttosto di capirla. Cercate di immaginare perché la gente fa quello che fa. È molto più utile e interessante che criticare, senza contare che genera simpatia, tolleranza e gentilezza. Come dice il dottor Johnson: “Dio stesso non giudica nessun uomo prima che sia arrivata la fine dei suoi giorni”. Perché dovremmo essere più precipitosi noi? 2. Siate prodighi di apprezzamenti onesti e sinceri. John Dewey, uno dei più profondi filosofi degli Stati Uniti, sosteneva che “il bisogno più sentito della natura umana è il desiderio di essere importanti”. Una delle virtù più rare, ma più importanti, è proprio quella di saper gratificare la gente, spesso trascuriamo di lodare i nostri figli per la 7 buona pagella, o incoraggiare le ragazze nei loro tentativi di cucinare. Nei nostri rapporti interpersonali non dobbiamo mai dimenticare che i nostri compagni di vita o di lavoro sono esseri umani e in quanto tali avidi di gratificazioni. Il segreto è di manifestare un po’ di gratitudine, sprizzare scintille di simpatia nella vostra vita quotidiana; vi sbalordirà constatare quante fiammelle di amicizia si accenderanno intorno a voi. Smettiamo per un momento di pensare ai nostri successi, ai nostri desideri. Cerchiamo di notare anche i pregi altrui. E niente adulazione. L’apprezzamento deve essere onesto e sincero. Siate pieni di calore nell’approvare l’operato altrui, siate prodighi di lodi meritate e la gente si godrà ogni vostra parola, ne farà tesoro e la ricorderà per tutta la vita, anni e anni dopo che voi avrete scordato anche che faccia aveva. 3.Suscitate negli altri un desiderio intenso di fare ciò che proponete. Ciascuno prova interesse per ciò che desidera, anche se agli altri non importa niente. Viceversa gli altri sono come noi, e ciascuno s’interessa di quel che piace a lui. La sola via sicura per influenzare una persona consiste nel conversare di quanto le interessa. Se domani vi succederà di dover DAL E C ARN EGI E A lezioni di socievolezza convincere qualcuno a fare qualcosa, chiedetevi: “Come posso fare in modo che questa persona arrivi a desiderare la stessa cosa che voglio io?”. Questa domanda ci impedirà di cacciarci in situazioni senza sbocco e di perderci in futili e controproducenti chiacchiere sui nostri desideri. Un giorno Henry Ford disse: “Se esiste un segreto per il successo, direi che sta tutto nel riuscire a vedere dal punto di vista dell’altra persona, ad uniformarsi all’angolo di visuale altrui”. 4. Interessatevi sinceramente agli altri. Per essere ben accolti ovunque, basta studiare la tecnica del più grande conquistatore di amici che il mondo abbia mai conosciuto. Lo si può incontrare facilmente lungo le vie delle nostre città. Se ti avvicini, comincia a scodinzolare, se ti fermi e lo accarezzi quasi salterebbe fuori dalla pelle per mostrarti quanto gli piaci. E sappiamo che dietro questa dimostrazione d’affetto non si nascondono bieche motivazioni: non vuole venderci niente e neppure ci vuole sposare. I cani ci insegnano che ci si fa più amici in due mesi mostrandosi sinceramente interessati agli altri, che non in due anni tentando di indurre gli altri a interessarsi a noi. Se volete che gli altri vi apprezzino, se volete sviluppare veramente delle amicizie, se volete aiutare gli altri e nello stesso tempo aiutare voi stessi, allora nutrite un sincero interesse per le altre persone. 5. Sorridete. Non sorrisi falsi, stereotipati, che non ingannano nessuno. Ma un sorriso semplice, spontaneo, cordiale, che conquista i cuori. Se volete che la gente sia contenta di stare con voi, bisogna che anche voi dimostriate che siete contenti di trovarvi in loro compagnia. Tutti cercano la felicità e questo è il modo certo di trovarla: controllando i propri pensieri. La felicità non dipende dalle condizioni esterne, ma dal proprio stato interiore. Non è quello che abbiamo o che siamo o dove siamo o che cosa stiamo facendo che ci può rendere felici o infelici. È quello che pensiamo. Un antico proverbio cinese recita: “Un uomo che non sa sorridere non dovrebbe mai aprire un negozio”. Il sorriso è un messaggio di buona volontà. Il vostro sorriso illumina la vita di tutti quelli che vi vedono. Per qualcuno che ha incontrato un sacco di gente cupa, scorbutica, o che ha girato la testa dall’altra parte, il vostro sorriso è come un raggio di sole tra le nuvole. Specie se questo qualcuno è già sotto pressione per problemi di capoufficio, clienti, professori, genitori o figli, il sorriso può aiutarlo a rendersi conto che niente è perduto, che c’è tanta positività al mondo. Perché nessuno ha più bisogno di un sorriso di chi non ne ha più da dare. 6. Ricordate che per una persona, in qualsiasi lingua, il suo nome è il suono più dolce e più importante che esista. Le persone di solito sono più interessate al proprio nome che non a tutti gli altri che esistono sulla terra. Ricordate quel nome e ripetetelo appena vi si presenta l’occasione e avrete fatto un efficacissimo complimento. Molta gente non si ricorda i nomi semplicemente perché non fa alcuno sforzo per tenerli a mente e si scusa dicendo che non ha buona memoria. Cinquanta volte su cento, quando incontriamo uno sconosciuto, gli parliamo per pochi minuti e non riusciamo nemmeno a ricordarci il suo nome quando ci congediamo. Dovremmo essere consci del magico potere nascosto in un nome. E capire che questa singola particolarità è di proprietà esclusiva del suo possessore. I nomi distinguono gli individui. Li rendono unici fra tutti gli altri. Le informazioni che forniamo e le richieste che facciamo assumono importanza particolare se accompagnate dal nome di un individuo. Dalla cameriera al più alto dirigente, il nome è una formula magica, quando dobbiamo trattare con gli altri. 8 7. Siate buoni ascoltatori. Incoraggiate gli altri a parlare di se stessi. Qual è il segreto, il mistero, per uscire vittoriosi da un colloquio d’affari? Prestare la massima attenzione alla persona che parla. Con un ascolto attivo, guardando l’interlocutore come se ascoltaste anche con gli occhi, rispondendovi mentalmente e man mano valutando quello che state ascoltando. Alla fine la persona che ha parlato avrà quasi l’impressione che siete stati voi a parlare. Chiaro e semplice, eppure quanti commercianti pagano affitti da favola, spendono migliaia di euro in pubblicità, preparano vetrine bellissime e non hanno il buon senso di assumere commessi che sappiano ascoltare il cliente con un minimo di garbo, senza interromperlo, contraddirlo, irritarlo e indurlo ad andarsene a mani vuote? Anche la persona più brutale, più litigiosa, più criticona del mondo si calma e si tranquillizza alla presenza di qualcuno che la ascolta con pazienza e simpatia, che rimane silenzioso mentre lei va su tutte le furie e sprizza veleno da tutti i pori. Molta gente non riesce a fare buona impressione perché non ascolta con attenzione, sono così preoccupati di quello che stanno per dire che non si preoccupano certo di ascoltare. Le persone preferiscono avere a che fare con buoni ascoltatori piuttosto che con buoni oratori. Ma la capacità di ascoltare sembra più rara di qualsiasi altra cosa. Così, se volete diventare dei buoni conversatori, siate prima di tutto degli ascoltatori attenti. Per interessare, mostratevi interessati. Fate domande che sapete fanno piacere al vostro interlocutore. Incoraggiatelo a parlare di sé e dei propri successi. E non dimentichiamoci che ascoltare è importante anche in famiglia, almeno quanto sul lavoro. DAL E C ARN EGI E A lezioni di socievolezza 8. Parlate di ciò che interessa agli altri. Come suscitare l’interesse della gente? La strada maestra per arrivare al cuore delle persone è quella di parlare delle cose che più le interessano. E Theodore Roosevelt conosceva questo segreto; infatti, tutti coloro che sono stati suoi ospiti, hanno avuto modo di stupirsi per l’enciclopedica cultura del presidente. Che il suo visitatore fosse un cow-boy, un politico di New York o un diplomatico, Roosevelt sapeva di cosa parlare. Come faceva? La risposta è semplice. Se attendeva un ospite, la sera prima stava sveglio fino a tardi, per leggersi l’essenziale su un soggetto che sapeva sarebbe stato gradito al suo visitatore. Parlare tenendo conto degli interessi dell’altra persona è utile ad entrambi gli interlocutori. La certezza che ogni persona è in grado di crescere personalmente e professionalmente, se riesce ad utilizzare maggiormente le capacità e i talenti naturali che possiede, portò Dale Carnegie a sviluppare uno dei più significativi programmi formativi mai creati, il “Dale Carnegie Course”. Quando fondò la sua società nel 1912, sognava di influenzare positivamente e in modo significativo la vita delle persone adulte per mezzo di training in aula. Dall’iniziale visione del suo fondatore La Dale Carnegie Training ha avuto uno sviluppo tale da diventare ormai un simbolo nel business della formazione. Oggi l’azienda è presente in tutti i 50 stati dell’Unione e in 90 Paesi nel resto del mondo tra cui l’Italia. 9. Fate sentire importanti gli altri e fatelo sinceramente. C’è una legge molto importante che regola i rapporti con i nostri simili. Se seguiamo questa legge, non avremo mai problemi, ci porterà amici in abbondanza e felicità duratura. La legge dice: date sempre agli altri la certezza d’essere importanti. Il più grande desiderio della natura umana è quello di essere apprezzati. Si sente bisogno dell’approvazione di coloro con i quali si viene in contatto, si vuole vedere riconosciuta la propria dignità, si vuole la consapevolezza di sentirsi importanti nel nostro piccolo mondo. Niente adulazione falsa, ma approvazione espressa con la massima naturalezza e sincerità. E risulterete subito simpatici alle persone. 9 E N Z O FE R R AR I Un sogno tutto italiano "Sono i sogni a far vivere l'uomo. Il destino è in buona parte nelle nostre mani, sempre che sappiamo chiaramente quel che vogliamo e siamo decisi ad ottenerlo". Sembra una delle tante frasi che provengono da oltreoceano, magari di un personaggio come Martin Luter King, Steve Jobs, Walt Disney, prodotti della mentalità tipica americana per cui tutto è possibile, basta crederci veramente. Eppure, come dimostra la storia dell’autore di questa frase, i sogni non si realizzano solo in America, possono avverarsi anche in una piccola cittadina italiana devastata dalle guerra. Lui è Enzo Ferrari, un grande genio uno dei più grandi esempi di leadership che l’Italia abbia mai conosciuto. Enzo Ferrari nacque a Modena nel 1898. Fin da giovane provò una forte attrazione per il mondo delle corse automoblistiche, di cui entrò a far parte al termine della prima guerra mondiale, prima come collaudatore e poi, dal 1919, come pilota, ottenendo anche una serie di successi con cui attrasse l'attenzione dell'Alfa Romeo. Ma Enzo Ferrari era molto più che un pilota; si occupava anche dello sviluppo e della messa a punto delle macchine e progressivamente questa occupazione prese il sopravvento sulla prima. “Per me le corse sono una passione disse in un’intervista - per altri sono solo affari". E da questa passione per le corse nacque il suo grande sogno, che si realizzò nel 1929 con la fondazione della propria scuderia simbolicamente rappresentata dal cavallino rosso. Come i grandi leader del passato Enzo Ferrari amava la battaglia. Così lo ricorda Mauro Forghieri, ingegnere capo dal 1959 al 1987: “Era più forte nei momenti difficili che nella vittoria, era più forte nella sconfitta, perché amava le corse”. Enzo Ferrari combatté con tutte le proprie forze nel 1944, quando la sua officina venne distrutta dai bombardamenti. In quell’occasione disse: “Se riesco a salvare qualcosa, sono sicuro che un giorno potrò dedicarmi esclusivamente alla costruzione delle macchine da corsa e ogni domenica le mie macchine correranno contemporaneamente in uno o due paesi nel mondo. Non vi sembra importante vincere una o due volte lo stesso giorno?” E combatté perfino quando la Ford realizzò il motore crosword, finché tornò a vincere nel 1964 con la 158, considerata come un monumento alla sua tenacia. A tal riguardo un giornalista disse: "Ferrari si è arrabbiato e la rabbia l'ha ringiovanito di dieci anni”. Per la verità nel petto di quest’uomo continuò a battere fino alla fine il cuore di un giovane, mai sazio di ciò che poteva riservargli la vita. Durante un'intervista fatta quando ormai avrebbe potuto, data l’età, ritirarsi dall’attività, alla domanda: "Qual'è la macchina più importante che ha costruito?" Enzo Ferrari rispose senza alcuna esitazione: “Quella che devo ancora costruire". Il suo pensiero era sempre proiettato in avanti, più avanti degli altri, correva più veloce della realtà. Ogni giorno avrebbe voluto inserire nelle proprie macchine una novità. Seguire i suoi ritmi era spesso un’impresa alquanto ardua per i suoi collaboratori. Negli ultimi istanti di vita si dichiarò onorato di tutti i riconoscimenti ricevuti nel corso della propria carriera, ma disse che la soddisfazione vera era data dalla constatazione di aver realizzato il proprio sogno e riconobbe parte del merito di questo ai suoi collaboratori, che erano 10 riusciti a capire i suoi desideri. Egli scelse i propri collaboratori tra coloro che erano dei veri e propri leader nel proprio settore, i migliori piloti e progettisti presenti sul mercato e pretese da essi sempre il meglio. E di nuovo Ferrari rivive in questo ricordo di Forghieri: “Sapeva infondere una grande carica a tutta la squadra. Spingeva tutti a credere nel risultato... Era un sicuro punto di riferimento. Dopo una corsa andata male magari si sfogava, ma subito dopo era come un padre che ci dava la forza per continuare, per fare del nostro meglio”. Idee chiare, determinazione, tenacia e spirito di squadra, queste sono alcune delle doti principali di un leader, che Enzo Ferrari seppe declinare in modo tutto italiano, con vivacità ed ironia. A N I TA RO DD I C K Il lato femminile della leader ship Siamo soliti pensare che la leadership sia una prerogativa maschile, quasi alla donna sia destinato esclusivamente il ruolo della compagna del leader o della grande donna che però, non si sa perché, sta “sempre dietro un grande uomo”. In realtà esistono molti esempi di leadership al femminile, a cui anche gli uomini possono ispirarsi, come quello di Anita Roddick, una delle donne più ricche d’Inghilterra, fondatrice della catena The Body Shop e nota per l’impegno sociale. Eppure ammette la Roddick: “Non ho mai frequentato una business school, né mi sono mai occupata di questioni finanziarie… per la verità non ho mai neppure letto un libro di economia”. Ma in fondo ciò non l’ha mai preoccupata perché sostiene che “Il business non è una scienza finanziaria, ma ha a che fare con il commercio: comprare e vendere. Riguarda la produzione di prodotti o servizi talmente buoni che le persone sono disposte a pagarli per averli”. Il vero segreto del successo di Anita? Forse è espresso in questa sua frase. “Considero il business non solo come un lavoro ma come un modo onorevole di vivere dove puoi, usando la tua immaginazione, sviluppare lo spirito umano”. Anita Roddick ha sempre avuto ben chiara la propria mission: “fare prodotti che funzionano e che nulla hanno a che fare con le menzogne raccontate alle donne dall’industria cosmetica… Assicurandoci di ridurre al minimo l’impatto ambientale nel processo di produzione, di eliminare le scorie, di restituire qualcosa alla nostra comunità… andiamo là dove il business non andrebbe mai, perché crede che quella non sia la direzione”. Oggi The Body Shop è un’azienda quotata in borsa con oltre 1900 negozi in tutto il mondo. La sua fondatrice viene spesso premiata per il suo impegno a difesa dell’ambiente ed il sostegno di organizzazioni come Greenpeace, Friends of the heart ed Amnesty International. La filosofia di Anita? Se fai una cosa bene, falla meglio. Osa, sii il primo, sii diverso, sii onesto. Come è nato The Body Shop? A questa domanda Anita risponde candidamente: “Avevo bisogno di guadagnare di più per poter mantenere i miei figli mentre mio marito era in Sud Africa”. Anita Roddik nasce nel 1942 da una famiglia di immigranti italiani che gestiscono un caffè a Littlehampton. Dopo il college Anita lavora all’International Herald tribune a Parigi, fa l’insegnante in Inghilterra, lavora per le nazioni unite a Ginevra e poi parte per l’Africa da cui viene espulsa per aver violato le leggi sull’apartheid. Anita torna così nel proprio paese dove si sposa, ha due figli ed insieme al marito decide di aprire un ristorante. Un bel giorno il marito le comunica l’intenzione di prendere parte ad una gara a cavallo dal Sudamerica a New York, che lo terrà lontano per due anni. Anziché farsi abbattere da questa situazione Anita ne trae uno stimolo per costruire qualcosa di veramente importante. Le viene l’idea di creare un’attività nel campo dei cosmetici, ma diversa dalle altre per il fatto di impiegare soltanto ingredienti naturali. Inoltre pensa di vendere i prodotti in confezioni piccole e convenienti per indurre nelle clienti la tentazione di provarli. Anita riesce ad ottenere un prestito bancario, usando il ristorante come garanzia. Il primo negozio sorge a Brighton vicino ad un’impresa di pompe funebri. Le pareti del negozio vengono dipinte di verde, non tanto per una scelta stilistica ma 11 per coprire delle macchie di umidità ed il packaging è ridotto al minimo con materiali riciclabili ed etichette scritte a mano dalla stessa Anita. In fondo qualcuno deve aver pensato che faceva tanto minimal chic. “Avevo solo una scatola con 700 bottiglie ricorda Anita - così chiedevo alle clienti di tornare con la confezione vuota per ricaricarla”. Il negozio di Brighton va molto bene, così la Roddick decide di aprirne un altro e non si ferma neppure quando la banca le rifiuta un finanziamento. Si rivolge ad un uomo d’affari della zona, Ian Mc Glinn, che diviene suo socio al 50% in cambio di un investimento di 4000 sterline. In pochi anni sorgono altri negozi, dapprima affidati in gestione a parenti ed amici finché la Roddick ed il marito decidono di intraprendere la via dl franchising. “The Body Shop non è un “one-womanshow”. È un’operazione che coinvolge migliaia di persone che lavorano insieme per raggiungere obiettivi comuni e trasmettere valori comuni”, quei valori che sul sito the body shop sono introdotti dalla formula made with passion! Concludiamo con una delle frasi preferite di Anita, riprodotta sui camion di The Body Shop. “Se pensi di essere troppo piccolo per provocare qualcosa, prova ad andare a letto con una mosca”. S T E VE J O B S Siate affamati, siate folli A soli 20 anni, insieme a Stephen Wozniak, fondò la Apple che ebbe la sua prima sede nel garage dei genitori e in soli dieci anni divenne una compagnia da due miliardi di dollari con oltre quattromila dipendenti. Già questo renderebbe la storia di Steve Jobs straordinaria. Ma il meglio viene adesso... A trent'anni paradossalmente Jobs venne licenziato dalla società da lui stesso fondata. Così fondò una nuova società, la Next e poi la Pixar, la casa produttrice del primo film di animazione interamente creato al computer, Toy Story, e che oggi è lo studio di animazione di maggior successo nel mondo. Successivamente Apple comprò NeXT e Jobs ritornò a dirigere la Apple, dove, negli ultimi anni ha intrapreso l'avventura degli IPod, l'ultima dimensione in fatto di musica. Cosa gli permise di ottenere simili risultati? Possiamo intuirlo leggendo un discorso pronunciato il 12 giugno del 2005 in occasione della cerimonia annuale per il conferimento delle lauree all'università di Stanford. Sono onorato di essere qui con voi oggi, nel giorno della vostra laurea presso una delle migliori università del mondo. Io non mi sono mai laureato. A dir la verità, questa è l’occasione in cui mi sono di più avvicinato ad un conferimento di titolo accademico. Oggi voglio raccontarvi tre episodi della mia vita. Tutto qui, nulla di speciale. Solo tre storie. La prima storia parla di “unire i puntini”. Ho abbandonato gli studi al Reed College dopo sei mesi, ma vi sono rimasto come imbucato per altri diciotto mesi, prima di lasciarlo definitivamente. Allora perchè ho smesso? Tutto è cominciato prima che io nascessi. La mia madre biologica era laureanda ma ragazza-madre, decise perciò di darmi in adozione. Desiderava ardentemente che io fossi adottato da laureati, così tutto fu approntato affinché ciò avvenisse alla mia nascita da parte di un avvocato e di sua moglie. All’ultimo minuto, appena nato, questi ultimi decisero che avrebbero preferito una femminuccia. Così quelli che poi sarebbero diventati i miei “veri” genitori, che allora si trovavano in una lista d’attesa per l’adozione, furono chiamati nel bel mezzo della notte e venne chiesto loro: “Abbiamo un bimbo, un maschietto, ‘non previsto’; volete adottarlo?”. Risposero: “Certamente”. La mia madre biologica venne a sapere successivamente che mia mamma non aveva mai ottenuto la laurea e che mio padre non si era mai diplomato: per questo si rifiutò di firmare i documenti definitivi per l’adozione. Tornò sulla sua decisione solo qualche mese dopo, quando i miei genitori adottivi le promisero che un giorno sarei andato all’università. Infine, diciassette anni dopo ci andai. Ingenuamente scelsi un’università che era costosa quanto Stanford, così tutti i risparmi dei miei genitori sarebbero stati spesi per la mia istruzione accademica. Dopo sei mesi, non riuscivo a comprenderne il valore: non avevo idea di cosa avrei fatto nella mia vita e non avevo idea di come l’università mi avrebbe aiutato a scoprirlo. Inoltre, come ho detto, stavo spendendo i soldi che i miei genitori avevano risparmiato per tutta la vita, così decisi di abbandonare, avendo fiducia che tutto sarebbe andato bene lo stesso. OK, ero piuttosto terrorizzato all’epoca, ma guardandomi indietro credo sia stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso. Nell’istante in cui abbandonai potei smettere di assistere alle lezioni obbligatorie e cominciai a seguire quelle che mi sembravano interessanti. Non era tutto così romantico al tempo. Non avevo una stanza nel dormitorio, 12 perciò dormivo sul pavimento delle camere dei miei amici; portavo indietro i vuoti delle bottiglie di coca-cola per raccogliere quei cinque cent di deposito che mi avrebbero permesso di comprarmi da mangiare; ogni domenica camminavo per sette miglia attraverso la città per avere l’unico pasto decente nella settimana presso il tempio Hare Krishna. Ma mi piaceva. Gran parte delle cose che trovai sulla mia strada per caso o grazie all’intuizione in quel periodo si sono rivelate inestimabili più avanti. Lasciate che vi faccia un esempio: il Reed College a quel tempo offriva probabilmente i migliori corsi di calligrafia del paese. Nel campus ogni poster, ogni etichetta su ogni cassetto, erano scritti in splendida calligrafia. Siccome avevo abbandonato i miei studi ‘ufficiali’ e pertanto non dovevo seguire le classi da piano studi, decisi di seguire un corso di calligrafia per imparare come riprodurre quanto di bello visto là attorno. Ho imparato dei caratteri serif e sans serif, a come variare la spaziatura tra differenti combinazioni di lettere, e che cosa rende la migliore tipografia così grande. Era bellissimo, antico e così artisticamente delicato che la scienza non avrebbe potuto ‘catturarlo’, e trovavo ciò affascinante. S TEVE J OBS Siate affamati, siate folli Nulla di tutto questo sembrava avere speranza di applicazione pratica nella mia vita, ma dieci anni dopo, quando stavamo progettando il primo computer Machintosh, mi tornò utile. Progettammo così il Mac: era il primo computer dalla bella tipografia. Se non avessi abbandonato gli studi, il Mac non avrebbe avuto multipli caratteri e font spazialmente proporzionate. E se Windows non avesse copiato il Mac, nessun personal computer ora le avrebbe. Se non avessi abbandonato, se non fossi incappato in quel corso di calligrafia, i computer oggi non avrebbero quella splendida tipografia che ora possiedono. Certamente non era possibile all’epoca ‘unire i puntini’ e avere un quadro di cosa sarebbe successo, ma tutto diventò molto chiaro guardandosi alle spalle dieci anni dopo. Vi ripeto, non potete sperare di unire i puntini guardando avanti, potete farlo solo guardandovi alle spalle: dovete quindi avere fiducia che, nel futuro, i puntini che ora vi paiono senza senso possano in qualche modo unirsi nel futuro. Dovete credere in qualcosa: il vostro ombelico, il vostro karma, la vostra vita, il vostro destino, chiamatelo come volete... Questo approccio non mi ha mai lasciato a terra, e ha fatto la differenza nella mia vita. La mia seconda storia parla di amore e di perdita. Fui molto fortunato - ho trovato cosa mi piacesse fare nella vita piuttosto in fretta. Io e Woz fondammo la Apple nel garage dei miei genitori quando avevo appena vent’anni. Abbiamo lavorato duro, e in dieci anni Apple è cresciuta da noi due soli in un garage sino ad una compagnia da due miliardi di dollari con oltre quattromila dipendenti. Avevamo appena rilasciato la nostra migliore creazione - il Macintosh un anno prima, e avevo appena compiuto trent’anni... quando venni licenziato. Come può una persona essere licenziata da una Società che ha fondato? Beh, quando Apple si sviluppò assumemmo una persona - che pensavamo fosse di grande talento - per dirigere la compagnia con me, e per il primo anno le cose andarono bene. In seguito però le nostre visioni sul futuro cominciarono a divergere finché non ci scontrammo. Quando successe, il nostro Consiglio di Amministrazione si schierò con lui. Così a trent’anni ero a spasso. E in maniera plateale. Ciò che aveva focalizzato la mia intera vita adulta non c’era più, e tutto questo fu devastante. Non avevo la benché minima idea di cosa avrei fatto, per qualche mese. Sentivo di aver tradito la precedente generazione di imprenditori, che avevo lasciato cadere il testimone che mi era stato passato. Mi incontrai con David Packard e Bob Noyce e provai a scusarmi per aver mandato all’aria tutto così malamente: era stato un vero fallimento pubblico, e arrivai addirittura a pensare di andarmene dalla Silicon Valley. Ma qualcosa cominciò a farsi strada dentro me: amavo ancora quello che avevo fatto, e ciò che era successo alla Apple non aveva cambiato questo di un nulla. Ero stato rifiutato, ma ero ancora innamorato. Così decisi di ricominciare. Non potevo accorgermene allora, ma venne fuori che essere licenziato dalla Apple era la cosa migliore che mi sarebbe potuta capitare. La pesantezza del successo fu sostituita dalla soavità di essere di nuovo un iniziatore, mi rese libero di entrare in uno dei periodi più creativi della mia vita. Nei cinque anni successivi fondai una Società chiamata NeXT, un’altra chiamata Pixar, e mi innamorai di una splendida ragazza che sarebbe diventata mia moglie. La Pixar produsse il primo film di animazione interamente creato al computer, Toy Story, ed è ora lo studio di animazione di maggior successo nel mondo. In una mirabile successione di accadimenti, Apple comprò NeXT, ritornai in Apple e la tecnologia che sviluppammo 13 alla NeXT è nel cuore dell’attuale rinascimento di Apple. E io e Laurene abbiamo una splendida famiglia insieme. Sono abbastanza sicuro che niente di tutto questo mi sarebbe accaduto se non fossi stato licenziato dalla Apple. Fu una medicina con un saporaccio, ma presumo che ‘il paziente’ ne avesse bisogno. Ogni tanto la vita vi colpisce sulla testa con un mattone. Non perdete la fiducia, però. Sono convinto che l’unica cosa che mi ha aiutato ad andare avanti sia stato l’amore per ciò che facevo. Dovete trovare le vostre passioni, e questo è vero tanto per il/la vostro/a findanzato/a che per il vostro lavoro. Il vostro lavoro occuperà una parte rilevante delle vostre vite, e l’unico modo per esserne davvero soddisfatti sarà fare un gran bel lavoro. E l’unico modo di fare un gran bel lavoro è amare quello che fate. Se non avete ancora trovato ciò che fa per voi, continuate a cercare, non fermatevi, come capita per le faccende di cuore, saprete di averlo trovato non appena ce l’avrete davanti. E, come le grandi storie d’amore, diventerà sempre meglio col passare degli anni. Quindi continuate a cercare finché non lo trovate. Non accontentatevi. La mia terza storia parla della morte. Quando avevo diciassette anni, ho letto una citazione che recitava: “Se vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo, uno di questi c’avrai azzeccato”. Mi fece una gran impressione, e da quel momento, per i successivi trentatrè anni, mi sono guardato allo specchio ogni giorno e mi sono chiesto: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?”. E ogni volta che la risposta era “No” per troppi giorni consecutivi, sapevo di dover cambiare qualcosa. Ricordare che sarei morto presto è stato lo strumento più utile che abbia mai trovato per aiutarmi nel fare le scelte importanti nella vita. Perché quasi tutto tutte le aspettative esteriori, l’orgoglio, la S TEVE J OBS Siate affamati, siate folli paura e l’imbarazzo per il fallimento - sono cose che scivolano via di fronte alla morte, lasciando solamente ciò che è davvero importante. Ricordarvi che state per morire è il miglior modo per evitare la trappola rappresentata dalla convinzione che abbiate qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione perché non seguiate il vostro cuore. Un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro. Effettuai una scansione alle sette e trenta del mattino, e mostrava chiaramente un tumore nel mio pancreas. Fino ad allora non sapevo nemmeno cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che con ogni probabilità era un tipo di cancro incurabile, e avevo un’aspettativa di vita non superiore ai tre-sei mesi. Il mio dottore mi consigliò di tornare a casa ‘a sistemare i miei affari’, che è un modo per i medici di dirti di prepararti a morire. Significa che devi cercare di dire ai tuoi figli tutto quello che avresti potuto nei successivi dieci anni in pochi mesi. Significa che devi fare in modo che tutto sia a posto, così da rendere la cosa più semplice per la tua famiglia. Significa che devi pronunciare i tuoi ‘addio’. Ho vissuto con quella spada di Damocle per tutto il giorno. In seguito quella sera ho fatto una biopsia, dove mi infilarono una sonda nella gola, attraverso il mio stomaco fin dentro l’intestino, inserirono una sonda nel pancreas e prelevarono alcune cellule del tumore. Ero in anestesia totale, ma mia moglie, che era lì, mi disse che quando videro le cellule al microscopio, i dottori cominciarono a gridare perché venne fuori che si trattava una forma molto rara di cancro curabile attraverso la chirurgia. Così mi sono operato e ora sto bene. Questa è stata la volta in cui mi sono trovato più vicino alla morte, e spero lo sia per molti decenni ancora. Essendoci passato, posso dirvi ora qualcosa con maggiore certezza rispetto a quando la morte per me era solo un puro concetto intellettuale: Nessuno vuole morire. Anche le persone che desiderano andare in paradiso non vogliono morire per andarci. E nonostante tutto la morte rappresenta l’unica destinazione che noi tutti condividiamo, nessuno è mai sfuggito ad essa. Questo perché è come dovrebbe essere: la Morte è la migliore invenzione della Vita. E’ l’agente di cambio della Vita: fa piazza pulita del vecchio per aprire la strada al nuovo. Ora come ora ‘il nuovo’ siete voi, ma un giorno non troppo lontano da oggi, gradualmente diventerete ‘il vecchio’ e sarete messi da parte. Mi dispiace essere così drammatico, ma è pressappoco la verità. Il vostro tempo è limitato, perciò non sprecatelo vivendo la vita di qualcun’altro. Non rimanete intrappolati nei dogmi, che vi porteranno a vivere secondo il pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui zittisca la vostra voce interiore. E, ancora più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione: loro vi guideranno in qualche modo nel conoscere cosa veramente vorrete diventare.Tutto il resto è secondario. Quando ero giovane, c’era una pubblicazione splendida che si chiamava The whole Earth catalogé, che è stata una delle bibbie della mia generazione. Fu creata da Steward Brand, non molto distante da qui, a Menlo Park, e costui apportò ad essa il suo senso poetico della vita. Era la fine degli anni Sessanta, prima dei personal computer, ed era fatto tutto con le macchine da scrivere, le forbici e le fotocamere polaroid: era una specie di Google formato volume, trentacinque anni prima che Google venisse fuori. Era idelista, e pieno di concetti chiari e nozioni speciali. Steward e il suo team pubblicarono diversi numeri di The whole Earth catalog, e quando concluse il suo tempo, fecero uscire il numero finale. Era la metà degli anni Settanta e io avevo pressappoco la vostra età. Nella quarta di copertina del numero finale c’era una fotografia di una strada di 14 campagna nel primo mattino, del tipo che potete trovare facendo autostop se siete dei tipi così avventurosi. Sotto, le seguenti parole: “Siate affamati. Siate folli”. Era il loro addio, e ho sperato sempre questo per me. Ora, nel giorno della vostra laurea, pronti nel cominciare una nuova avventura, auguro questo a voi. Siate affamati. Siate folli. L A R RY PAG E , S ER G E Y B RI N Google stor y Avevano 25 anni quando, nel 1998, Larry Page e Sergey Brin fondarono la società che non solo avrebbe rivoluzionato Internet, ma avrebbe lasciato un segno profondo nella cultura del nostro tempo. Ne è prova il fatto che il nome di quella società, GOOGLE, sia diventato un verbo di uso piuttosto comune nella lingua inglese, tedesca ed in altre, con il significato di “ricercare un’informazione”. Un sano sprezzo dell’impossibile Questo è il titolo del primo capitolo di Google Story, un libro, scritto dal premio Pulitzer David Vise e da Mark Malseed, un libro che ripercorre la storia di questo strepitoso successo aziendale. La storia di Google ha inizio proprio con l’idea folle maturata da Larry Page di scaricare l’intero web sul suo computer e di fare di questo progetto la sua tesi di laurea. Disse al suo relatore che ci sarebbe voluta solo una settimana, ma dopo un anno ne aveva scaricato solo una parte. Commentando questo racconto con gli allievi di una scuola israeliana che accoglie le più promettenti menti in campo matematico disse: “Quindi l’ottimismo è importante. Dovete essere un pò spregiudicati quando pensate ai traguardi che volete porvi. C’era un detto al College che diceva: ‘avere un sano sprezzo dell’impossibile’. Questa è davvero una bella frase. Dovete provare a fare le cose che la maggior parte della gente non tenterebbe di fare”. Questo spirito permise a Brin e Page di trasformare in soli cinque anni una ricerca di dottorato in un’impresa multimiliardaria di portata globale. Quando l’ambiente conta I creatori di Google sono cresciuti usando il computer negli anni delle scuole elementari, agevolati dal fatto che i genitori usassero il computer e la matematica più avanzata sia a casa che a lavoro. I padri erano stimati professori universitari, la madre di Page era consulente sui database con un master in informatica e Brin proviene da una famiglia che vanta una lunga tradizione di laureati in matematica e microbiologia. Il primo computer in casa Page arrivò nel 1978 e Larry lo ricorda così: “era enorme e costava un sacco di soldi e dopo quell’acquisto quasi non potevamo più permetterci di mangiare”. Larry seguì le orme del padre e del fratello frequentando la University of Michigan ad Ann Arbor, dove studiò ingegneria informatica e frequentò corsi di economia aziendale. Una tappa molto importante della formazione personale di Page è stato anche il programma di sviluppo di leadership offerto agli studenti undergraduate. “Il programma LeaderShape - dice Page - fu un’esperienza affascinante. Un programma di tutta l’università finalizzato a dare agli studenti della University of Michigan la capacità di cui avevano bisogno per diventare leader nella società”. Page e Brin provengono entrambi da famiglie in cui la formazione rivestiva un ruolo di primo piano, era un valore fondamentale, dove la curiosità veniva sollecitata e premiata. A Stanford i due trovarono pane per i loro denti, “un vero e proprio festival di opportunità intellettuali per i curiosi”. “Più me ne andavo in giro a zonzo - ricorda Sergey - e più incontravo qualcosa di valido”. La mission “Non erano partiti con l’intenzione di metter su una società, ma di migliorare la ricerca sul web”. Così un testimone inizia il racconto della nascita di Google. La sua mission è, per certi versi, espressa dal nome, che è l’errata trascrizione di un 15 termine matematico, googol, che significa il numero 1 seguito da 100 zeri. Il sogno di Brin e Page è raccogliere tutto il sapere e le informazioni prodotte dall’umanità e renderli disponibili per chiunque. Questa mission ha caratterizzato il loro particolare approccio al mercato e li ha guidati fino al successo. Fin dalla nascita, infatti, Google non ha mai dato l’idea di voler vendere qualcosa, come dimostra l’inconfondibile pagina bianca, priva di banner e pop up, ma di voler fornire un servizio all’umanità ed è per questo che la gente si appropriò presto di questo motore di ricerca. Google aprì i battenti (di un garage) nel settembre del 1998. A dicembre PC Magazine lo nominò uno dei 100 principali Siti e Motori di Ricerca dell’anno. La sua crescita si deve essenzialmente al passaparola. La dedizione di Brin e Page ad una importante, quanto ambiziosa causa è stata così premiata. Dedizione, grande ambizione e leadership: ecco gli ingredienti cruciali del successo di Google. M I C HA E L J OR DAN Non posso accettare di non tentare Posso accettare di fallire. Chiunque fallisce in qualcosa. Ma io non posso accettare di non tentare. È uno dei passi più significativi di un piccolo saggio, pubblicato nel 1994, dal titolo I can’t accept not trying - Michael Jordan on the pursuit of the excellence. Lì è contenuto il credo di colui che viene ormai unanimemente considerato non solo una leggenda del basket americano, ma anche una delle stelle più luminose del firmamento sportivo a livello mondiale. Michael “Air” Jordan nasce il 17 febbraio 1963 a New York, nel quartiere di Brooklin in una famiglia di umili origini. È un ragazzo molto timido, ma con una grande passione per lo sport, dove dimostra di possedere doti eccezionali, che lo portano a primeggiare non solo nel basket, ma anche nel football americano (come quarterback) e nel baseball (come lanciatore). Nonostante ciò non viene ammesso a far parte della squadra di basket di quella che in America equivale alla scuola media. Ma Michael non ha mai permesso al fallimento di arrestare la propria marcia verso il successo, anzi in quest’occasione, come in molte altre, egli ha saputo trovare proprio nel fallimento un nuovo stimolo per andare avanti e perseguire l’obiettivo che si è posto. Così, dopo un anno di duro lavoro, viene inserito in prima squadra e diventa subito uno dei migliori giocatori del campionato scolastico dello stato. Da qui il percorso è tutto in salita con alcune tappe significative come la vittoria dell’oro alle Olimpiadi di Los Angeles, la rigenerazione di una squadra considerata di basso profilo, i Chicago Bulls, fino all’assunzione del soprannome “Air”, assegnato a Michael Jordan per la sua grandiosa capacità di volare a canestro. Un percorso che ha anche conosciuto battute d’arresto come l’infortunio del 1985 ed il calo di motivazione che portò Michael Jordan al temporaneo ritiro dal basket nel 1993. In ogni caso Michael Jordan è stato fedele al motto “I can’t accept not trying” ed al proprio credo che l’ha portato a diventare ciò che ha sempre voluto essere: un grande campione. Ecco alcuni passi di questo credo: Passo dopo passo. Non vedo altro modo per ottenere qualcosa. Il mio obiettivo finale è sempre stato essere il migliore, ma ho fatto tutto passo dopo passo. Ho sempre stabilito obiettivi a breve scadenza. Se mi guardo indietro ciascuno di questi passi e successi conduce a quello successivo. Ogni volta ho visualizzato dove volevo andare, quale tipo di giocatore volevo diventare. Sapevo esattamente dove volevo andare e mi sono focalizzato sul raggiungimento di quella meta. E quando avevo realizzato quegli obiettivi, me ne ponevo altri. Non mi preoccupa dover chiedere a qualcuno ciò che non so. Non c’è nulla di male nel chiedere aiuto o la direzione giusta. La paura è un illusione. Non ho mai pensato alle conseguenze derivanti dal mancato raggiungimento di una meta. Perché? Perché quando pensi alle conseguenze, pensi sempre ad un risultato negativo. Se mi lancio in una situazione, penso di avere successo e non penso a cosa accadrà se fallisco. Ho capito che se voglio ottenere qualcosa nella vita devo essere aggressivo. Non credo che si possa ottenere qualcosa con un atteggiamento passivo. So che la paura è un ostacolo per alcune persone, ma per me è un’illusione. Io penso che la paura provenga da una mancanza di focus e di concentrazione, soprattutto nello sport. Se tutte le volte che mi sono trovato sulla 16 linea dei tiri liberi avessi pensato ai 10 milioni di persone che mi stavano guardando, non avrei potuto fare nulla. Quindi cercavo di pensare di essere in un contesto a me familiare. Pensavo a tutte le volte che ho realizzato dei tiri liberi e cercavo di riprodurre la stessa emozione e la stessa tecnica che avevo utilizzato centinaia di volte. Così sapevo che stavo facendo la cosa giusta. Il talento fa vincere una partita, ma il lavoro di squadra e l’intelligenza fanno vincere il campionato. In ogni sport ci sono molte squadre che, pur avendo i giocatori migliori, non hanno mai vinto un titolo. Nella maggior parte dei casi questi giocatori non sono disposti a sacrificarsi per il bene della squadra. La cosa strana è che alla fine è proprio questa incapacità di sacrificio a rendere più difficile il raggiungimento dei propri obiettivi personali. La cosa che ho compreso nel Nord Carolina e in cui credo è che se pensi ed ottieni risultati come un team, ognuno si prenderà cura dell’altro reciprocamente. I can’t accept not trying è l’ennesima conferma del fatto che nello sport, come nella vita, non basta avere talento per essere un grande campione. È necessario avere credenze di successo! A M B ROG I O F OG A R L’avventura di vivere Chi non ricorda Johnatan Dimensione Avventura? La trasmissione che ha affascinato e fatto sognare alcune generazioni di telespettatori negli anni ’80. Alcuni trentenni forse ricorderanno di aver giocato all’esploratore, immedesimandosi in lui, Ambrogio Fogar, un uomo che ha fatto delle imprese straordinarie la propria mission. Probabilmente molti al posto suo si sarebbero fermati dopo il primo grave incidente con il paracadute o dopo il naufragio che costò la vita al proprio amico, ma lui no. Paradossalmente la sua passione per la vita lo spinse ad affrontare sfide sempre più al limite della sopravvivenza. Una passione che venne messa a dura prova quando nel 1992, durante il raid Parigi-Mosca-Pechino la macchina su cui viaggiava si capovolse e Ambrogio Fogar si ritrovò con la seconda vertebra cervicale spezzata e il midollo spinale tranciato. Da allora ha vissuto per anni su una sedia a rotelle ed attaccato ad una macchina. In un’intervista al Corriere della Sera disse:"All'inizio ho pensato molte volte di morire, ho pregato le mie sorelle di portarmi in Olanda per farla finita. È difficile accettarsi quando non sei più quello di prima: ogni impulso è una frustata, ogni desiderio una ferita, nelle mie condizioni devi chiedere aiuto anche per grattarti il naso". Ma una notte in cui non riusciva a prendere sonno ed osservava il soffitto, ripensando ad alcuni bei momenti della propria gioventù: fece una scoperta importante: stava sorridendo. Allora capì che se avesse voluto avrebbe potuto tornare a sorridere e provare di nuovo belle emozioni. Negli ultimi anni Ambrogio Fogar non ha mai perso la sua passione per la vita e soprattutto la speranza. In questi giorni si stava preparando per affrontare la sua ennesima avventura, un viaggio in Cina dove si sarebbe sottoposto ad un trapianto di cellule staminali. “Non mollo.- diceva - Spero un giorno di tornare a camminare con le mie gambe, non accetto che si arrenda chi ha la vita in pausa e non voglio credere di morire così, immobile”. Nulla avrebbe potuto fermare il suo spirito indomito, tranne la morte che l’ha colto poco prima dell’inizio di questa sua ultima avventura. A noi oggi piace ricordare quelle da lui compiute durante questi anni vissuti intensamente. Ambrogio Fogar nasce a Milano il 13 agosto del 1941. Fin da giovane dimostra di possedere una grande passione per la natura e l’avventura. A soli diciotto anni attraversa le Alpi con gli sci. Poi scopre il volo: effettua più d 50 lanci con il paracadute e neppure un grave incidente gli impedisce di ottenere il brevetto di pilota per piccoli aerei acrobatici. Un’altra grande passione, quella per il mare, lo porta nel 1972 ad attraversare in solitario l'Atlantico del Nord per buona parte senza l'uso del timone. Nel gennaio 1973 partecipa alla regata Città del Capo Rio de Janeiro. Per più di un anno (da novembre del 1973 a dicembre del 1974) è impegnato in una delle imprese per lui più significative: il giro del mondo in barca a vela in solitario, navigando da Est verso Ovest contro le correnti e il senso dei venti. Nel 1978 mentre, con l'amico giornalista Mauro Mancini, cerca di circumnavigare l'Antartide, la sua imbarcazione viene 17 affondata da un'orca e naufraga al largo delle isole Falkland. Per ben 74 giorni la vita dei due navigatori resta appesa ad una zattera fino a che vengono tratti in salvo. Profondamente debilitato dall’avventura Mancini (ha perso ben 40 kg) muore poco dopo il salvataggio. Fogar porterà sempre con se il ricordo dell’amico ed il senso di colpa aggravato da accuse a lui rivolte dalla stampa. Altre critiche piovono a seguito della spedizione al Polo Nord non perfettamente riuscita, compiuta in compagnia del suo fedele cane Armaduk; ma per un uomo abituato ad affrontare le forze della natura è un gioco superare il polverone sollevato da un pugno di delatori. Neppure il successo della trasmissione televisiva Johnatan Dimesione Avventura lo infiacchisce e lo convince a “prendersela un po’ con comodo”. Partecipa a tre edizioni della Parigi-Dakar oltre a tre Rally dei Faraoni e poi al raid Parigi-Mosca-Pechino, dove accade il tragico incidente che cambia letteralmente la sua vita. Ora si tratta di compiere la più difficile delle imprese, la traversata in solitario della propri anima alla ricerca della forza AM BROG I O F OGAR L’avventura di vivere per continuare a vivere e non semplicemente vegetare. L’impresa riesce. Fogar, nonostante tutto riprende a vivere. Collabora con Greenpeace per la difesa delle balene, pubblica articoli e libri. Il mio Atlantico e La zattera hanno vinto il Premio Bancarella Sport e ancora ricordiamo Quattrocento giorni intorno al mondo, Il Triangolo delle Bermude, Messaggi in bottiglia, L'ultima leggenda, Verso il Polo con Armaduk, Sulle tracce di Marco Polo e Solo - La forza di vivere. subire, ma ho imparato a gestire le emozioni e non mi faccio più schiacciare dai ricordi. Non mi arrendo, non voglio perdere". Ed anche ora che se n’è andato, l’ha fatto da vincente, lasciandoci il ricordo delle proprie imprese ed una piccola stella che porta il suo nome: Ambrofogar Minor Planet 25301, a lui dedicata dagli astronomi che l’hanno scoperta. Una stella che brilla come facevano i suoi occhi quando ci parlava dei suoi viaggi e delle sue grandi avventure. Da quest’ultimo è tratto il seguente passo: "In queste pagine ho cercato di mettere tutto me stesso. Soprattutto dopo essere stato così duramente ferito dal destino.Tuttavia ho ancora un ritaglio di vita. E' strano scoprire l'intensità che l'uomo ha nei confronti della voglia di vivere: basta una bolla d'aria rubata da una grotta ideale, sommersa dal mare, per dare la forza di continuare quella lotta basata su un solo nome: Speranza. Ecco, se leggendo queste pagine qualcuno sentirà la rinnovata voglia di sperare, avrò assolto il mio impegno, e un altro momento di questa vita così affascinante, così travagliata e così punita si sarà compiuto. Una cosa è certa: nonostante le mie funzioni non siano più quelle di una volta, sono fiero di poter dire che sono ancora un uomo." Ma non è finita. Nell'estate del 1997 compie un giro d'Italia in barca a vela su di una sedia a rotelle basculante. Nei porti dove si ferma il giro, Battezzato "Operazione Speranza”, Fogar promuove una campagna di sensibilizzazione nei confronti delle persone disabili, destinate a vivere su una carrozzella. Un vero esempio di forza d’animo, a cui Fogar si aggrappato con le unghie e con i denti da quando è venuta meno la forza fisica. In un’intervista spiega: "È la forza della vita che ti insegna a non mollare mai anche quando sei sul punto di dire basta. Ci sono cose che si scelgono e altre che si subiscono. Nell'oceano ero io a scegliere, e la solitudine diventava una compagnia. In questo letto sono costretto a 18 L IB R I C ON S IG L I AT I Leader di te stesso di Roberto Re, Mondadori. Come ottenere il meglio da sé e dagli altri di Antony Robbins, Bompianti. Il milionario di Mark Fisher, Bompianti. Scopri il leader che è in te di Dale Carnagie, Bompianti. CO R SI Leadership seminar, quattro giorni con Roberto Re per prendere in mano le redini della propria vita: avere chiarezza sui propri valori personali e i propri obiettivi e trovare lo scopo della propria esistenza. HRD Training Group FLY (Find the Leader In You) un programma ad hoc nato dall'unione di Emotional Fitness con le serate del Personal Leadership Training, per dare ai partecipanti strumenti semplici e concreti che facciano raggiungere, senza tensione e stress, gli obiettivi personali e professionali. Il tutto affiancato da un programma di coaching personale che aiuti veramente a liberare il leader che è dentro di noi. One to one, audio corso di crescita personale realizzato da Roberto Re. 19 C.so XXII Marzo, 19 20129 Milano Tel. +39 02 542515 Fax +39 02 54115260 www.hrdonline.it www.robertore.com [email protected]