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Politiche attive del lavoro

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Politiche attive del lavoro
Corso di Politica sociale
a.a. 2008-09
Lezione 15 aprile2009
A cura di Daniela Teagno
Testi di riferimento:
D. Rei, Sociologia e welfare, Gruppo Editoriale Esselibri, Napoli, II edizione,
2008
M. Ferrera, Le politiche sociali, Il Mulino, Manuali, Bologna, 2006
M. Ambrosini, Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, Manuali, Bologna,
2005 (capitoli 8 e 9)
G. Zincone (acd), Familismo legale. Come (non) diventare italiani, Laterza,
Roma-Bari, 2006 (capitoli 3 e 4)
1
Le politiche del lavoro
Insieme di interventi pubblici rivolti alla tutela
dell’interesse collettivo all’occupazione.
Tali politiche sono strettamente connesse con
altri settori, in campo fiscale, sociale, economico.
Le politiche del lavoro si possono suddividere,
convenzionalmente, in:
Politiche Attive e Politiche Passive.
Politiche passive del lavoro
Concernono le prestazioni monetarie erogate a
favore dei disoccupati.
Tali strumenti di tutela del reddito dei
disoccupati sono chiamati “ammortizzatori
sociali”, e sono presenti in tutti i paesi europei:
costituiscono,
di
norma,
misure
non
discrezionali, essendo prestazioni di natura
assicurativa, che operano in via automatica o
semiautomatica .
I livelli del sistema
degli ammortizzatori sociali
Vi sono 2 schemi o pilastri:
uno schema ASSICURATIVO in cui le prestazioni,
sotto forma di indennità di disoccupazione,
vengono elargite per una durata definita e solo a
fronte di versamento di contributi;
uno schema ASSISTENZIALE “DEDICATO” in cui
sono previsti sussidi di disoccupazione, rivolti a
soggetti che non hanno versato contributi o hanno
esaurito le spettanze. Questi sussidi sottostanno
alla prova dei mezzi (means test).
Lo schema ASSICURATIVO (1)
Criteri di eleggibilità:
*disoccupazione di natura involontaria;
*il lavoratore deve avere determinati requisiti di
anzianità contributiva in relazione ad un dato
periodo di tempo => il versamento dei contributi è
obbligatorio;
*bisogna presentare una domanda per ricevere
l’indennità di disoccupazione;
*vincoli di attivazione (non in tutti i paesi UE), come
la disponibilità a frequentare corsi di
orientamento/formazione professionale o a svolgere
attività lavorative (l’inadempienza comporta sanzioni
con sospensione delle erogazioni).
Lo schema ASSICURATIVO (2)
Finanziamento: i contributi sono versati dai datori
di lavoro e dai lavoratori (in % differenti da paese
a paese); a volte può intervenire lo Stato,
attraverso la fiscalità generale, quando la
copertura non è garantita.
La generosità delle prestazioni è definita da:
importo = è calcolato come % della retribuzione
di riferimento (la media delle retribuzioni di un
dato periodo) il rapporto tra l’importo dell’indennità e la
retribuzione precedente => tasso di sostituzione
durata = varia da pochi mesi ad anni (dipende
dalle legislazioni nazionali). In tutti i paesi UE, di
norma, i parametri dipendono dall’anzianità
retributiva e dall’età anagrafica dell’utente.
Lo schema ASSISTENZIALE “DEDICATO”
Elargizione di sussidi sociali per i lavoratori che
non hanno (più) la copertura assicurativa:
*accesso secondo le modalità dello schema
assicurativo ma
*ammontare forfettario (prova dei mezzi),
*finanziamento tramite la fiscalità generale,
*durata non prefissata ( soggetta dunque a visite
periodiche per accertare lo stato di bisogno).
Politiche attive del lavoro (1)
Interventi che vanno ad incidere direttamente sul
mercato del lavoro creando nuova occupazione o
intervenendo, a scopo preventivo o curativo, sulle
possibili cause della disoccupazione.
L’OCSE [1999] propone 5 gruppi di intervento :
-sussidi all’occupazione
-creazione diretta e temporanea di posti di lavoro
-formazione professionale
-sostegno finanziario e servizi per la nuova
imprenditorialità
-servizi per l’orientamento e il collocamento
lavorativo.
Politiche attive del lavoro (2)
Obiettivo specifico delle politiche attive è quello di
evitare che una persona rimanga a lungo disoccupata
(“intrappolata” nel suo stato di disoccupazione),
promuovendo il passaggio ad una tutela attiva
dell’individuo nel mercato del lavoro rispetto ad una
tutela passiva del reddito e del posto di lavoro.
Si parla pertanto di WORKFARE, ossia uno stato
sociale che tende ad aiutare il soggetto a rimanere
attivo e competitivo nel mondo del lavoro, traendo i
benefici dalle assicurazioni legate alla propria
condizione professionale piuttosto che dipendere
dall’assistenza.
Le politiche del lavoro in Italia
Molteplici tipologie di indennità (frutto di una
legislazione particolaristica => difformità nei
trattamenti, discriminazioni).
La prima grande distinzione prevede:
# uno schema rivolto alla disoccupazione totale,
con estinzione del rapporto di lavoro;
# uno schema rivolto alla disoccupazione
temporanea , denominato CIG (cassa integrazione
guadagni), con sospensione dell’orario lavorativo,
senza perdita del posto di lavoro.
Disoccupazione totale
Lo schema rivolto alla Disoccupazione totale
prevede:
•indennità ordinaria di disoccupazione non agricola
•indennità di disoccupazione a requisiti ridotti
•indennità ordinaria di disoccupazione per gli
operai agricoli
•trattamenti speciali di disoccupazione sia per
l’edilizia sia per gli operai agricoli
=> finanziate da contributi a carico del datore di lavoro, corrisposte
dall’INPS con pagamento mensile
•indennità di mobilità
=> finanziate da contributi a carico del datore di lavoro e dello
Stato
Disoccupazione parziale o temporanea
Lo schema rivolto alla Disoccupazione parziale o
sono le aziende che ne devono fare
temporanea (CIG) prevede: qui
richiesta: si viene a configurare una
sorta di negoziazione tra il governo e
le parti sociali.
•trattamento ordinario (CIGO), per
sospensione/riduzione attività a seguito eventi di
natura transitoria;
•trattamento straordinario (CIGS), in caso di crisi
strutturale dell’azienda o di processi di
ristrutturazione/riorganizzazione o procedure
concorsuali (fallimenti, liquidazioni…);
• trattamento di integrazione del salario per i
lavoratori agricoli.
=> finanziati da contributi a carico prevalentemente dello Stato
(anche se è prevista la compartecipazione dei datori di lavoro).
Tassi di disoccupazione
La media europea – dati Eurostat, 2004 - del
tasso di disoccupazione si aggira intorno all’8,1%,
l’Italia è all’8%.
In Italia sono da rilevare alcune peculiarità:
•disparità occupazionale a livello territoriale
(tasso di disoccupazione al sud 15%, nel nord-est 3,9%)
•la disoccupazione riguarda soprattutto i giovani
15 e 24 anni (23,6%), mentre la media europea in
questa fascia di età è del 16,6%
•sono le donne a essere più penalizzate a livello
occupazionale: in Italia il 45,2% della popolazione
femminile risulta occupata, rispetto il 56,8% del
resto d’Europa [tasso di occupazione I 57,6%, UE 64,7%].
Spesa per le politiche del lavoro
In Italia, la spesa per i trattamenti di
disoccupazione equivale all’0,4% del Pil e all’1,6%
della spesa sociale totale
[previdenza: 16,7% del Pil, 68% della spesa sociale totale]
il nostro paese spende poco per le politiche del
lavoro.
In che modo la spesa viene ripartita?
Le spese per le politiche passive hanno sempre
superato quelle per le misure attive. A partire
però dalla metà degli anni ‘90, si inizia a registrare
una diminuzione delle uscite per i trattamenti di
disoccupazione a favore della spesa per la
promozione e la creazione di occupazione.
Ripartizione della spesa
tra le misure PASSIVE del lavoro
In Italia, dati riferiti al 2001 :
35% per l’indennità di disoccupazione non agricola
21 % per l’indennità di disoccupazione agricola
2% per l’indennità di disoccupazione edile
17% per l’indennità di mobilità
13% per i pensionamenti anticipati
12% per la CIG (ordinaria 6%, straordinaria 6%).
Scrive Ferrera: l’insieme dei trattamenti della disoccupazione totale
presenta un disavanzo strutturale (i contributi versati non bastano a pagare
le indennità e dunque interviene lo Stato attraverso la fiscalità generale),
mentre la CIG presenta un saldo positivo, cioè l’intero sistema di
ammortizzatori sociali è in grado di autofinanziarsi (le entrate contributive
sono superiori alle uscite).
Oggi, tuttavia, si alzano segnali di allarme in quanto anche il saldo positivc
della CIG non appare più così consolidato.
Ripartizione della spesa
tra le misure ATTIVE del lavoro
In Italia, dati riferiti al 2001 :
-sussidi all’occupazione (incentivi assunzioni +
stabilizzazione dei posti di lavoro) 45%
-contratti a causa mista (ossia di formazione lavoro ed
apprendistato) 26%
-creazione diretta di posti di lavoro 4%
-formazione 13%
-incentivi all’autoimpiego 8%
-potenziamento servizi per l’impiego 3%
-altri 1%. Fino ad oggi gran parte del finanziamento delle politiche attive
del lavoro in Italia è stato attinto dal FONDO SOCIALE
EUROPEO, ma in futuro i finanziamenti si contrarranno in
quanto i programmi comunitari 2007- 2013 prevedono che le
risorse vengano in larga misura orientate ai nuovi paesi membri
dell’est europeo.
Percorso storico…
Le prime forme di aiuto alla disoccupazione sono
nate nell’800 in Inghilterra. I sindacati istituirono
un fondo per chi perdeva il lavoro, si trattava di
una assicurazione volontaria.
Questa pratica si diffuse presto in tutta Europa,
consentendo anche di combattere le pressioni al
ribasso sui salari praticate dai datori di lavoro,
perché i lavoratori disoccupati, sostenuti dalle
casse sindacali, potevano non cedere al ricatto.
Sul finire del XIX sec.la crisi indebolì queste casse
perché vi si ricorreva troppo spesso; intervennero
allora i governi locali, i comuni, organizzando forme
di assicurazione pubbliche volontarie e sussidiate
contro il rischio economico di disoccupazione.
…qualche esperienza
Il Comune di Gand in Belgio nel 1901 prevede
sussidi comunali ad integrazione di quelli forniti
dalle casse sindacali. Nel 1911 in Inghilterra si
assiste alla nascita dell’Assicurazione pubblica
obbligatoria contro la disoccupazione su scala
nazionale, che nel 1919 arriverà anche in Italia
(secondo paese europeo, dunque, ad adottarla).
Seguono fra le due guerre Austria, Irlanda,
Germania, Norvegia, Belgio. Gli altri paesi europei
introducono gli schemi obbligatori nella “fase
d’oro” del welfare.
Nei paesi nordici questo settore rimane
prerogativa dei sindacati.
Altre forme di protezione
Oltre all’assicurazione contro la disoccupazione, nel corso
dell’800 in tutta Europa sono state introdotte altre due
forme di intervento rivolte al mercato di lavoro :
-le norme di regolazione dei rapporti di lavoro
- programmi pubblici volti a favorire l’inserimento
occupazionale (“uffici di collocamento” a controllo statale).
Negli anni ‘30 emerse nei paesi scandinavi un particolare
modello di politica del lavoro (flessicurezza, flexecurity): la
collaborazione tra Stato, Sindacati e Imprese per la
riqualificazione e formazione dei lavoratori in modo da
rendere la disoccupazione una situazione temporanea. Si
definì altresì una legislazione flessibile nei rapporti di lavoro.
Il modello scandinavo tutela il lavoratore nel mercato del
lavoro (più che nel posto di lavoro): questo significa che il
lavoratore può cambiare più volte occupazione ma rimane
“occupato”, non perdendo il reddito.
Date da ricordare
(dal 1919 agli anni ‘70): Italia
1919 Assicurazione
pubblica
obbligatoria
contro la disoccupazione [fino ad allora era
riconosciuto come evento da tutelare solo l’infortunio sul
lavoro, introdotto nel 1898]
1945 CIG (1941 solo per il Nord Italia)
1949 Legge Fanfani (L.264/49): monopolio
pubblico sul collocamento
1955 Apprendistato (L.25/55)
1962 Contratto di lavoro a tempo determinato
(L.230/62)
1968 CIGS
1970 Statuto dei Lavoratori (L.300/70)
=> Anni ‘70: segnati da crisi economica e tensioni sociali
La legge Fanfani del 1949
Tale legge prevedeva il monopolio pubblico sul collocamento
che era competenza del Ministero del Lavoro. Il ministero
agiva sul territorio con uffici provinciali allora definiti
Uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione
(UPLMO). Era stata definita una procedura molto rigida
per il controllo degli avviamenti da parte dello Stato,
vietando a chiunque altro la mediazione tra domanda ed
offerta di lavoro. Esisteva la richiesta o “chiamata
numerica” e la “chiamata nominativa”. La prima prevedeva
che i lavoratori si iscrivessero alle liste di collocamento ed
attendessero il loro turno mentre i datori di lavoro
(soprattutto nel caso delle grandi imprese/industrie) erano
obbligati ad assumerli, previa richiesta agli uffici
provinciali; la seconda, che era prevista per le aziende con
meno di cinque dipendenti e per particolari qualifiche,
comportava la scelta diretta da parte dei datori di lavoro.
Gli anni ’80: sfide
(1)
Negli anni ‘80 in tutta Europa imperversa una
profonda crisi sociale ed economica.
I Governi europei sono chiamati a rispondere a
varie sfide:
•CONGIUNTURA ECONOMICA NEGATIVA
•AUMENTO DELLA SPESA PUBBLICA
•TRASFORMAZIONI CHE RIGUARDANO LA
STRUTTURA DEL MERCATO DEL LAVORO (processi di
ristrutturazione industriale e ammodernamento tecnologico, che
portano riduzione del personale, soprattutto quello di bassa
qualifica. Il calo dei lavoratori dell’industria porta anche alla perdita
di visibilità politica della classe operaia. Di contro, crescita della
piccola imprenditoria e del lavoro autonomo, sviluppo del “terziario”,
cioè dei servizi, con conseguente aumento della partecipazione delle
donne al mercato del lavoro).
Gli anni ’80: risposte alle sfide
(2)
Iniziative dei Governi europei:
RIDUZIONE TRASFERIMENTI MONETARI per
il sostegno del reddito dei lavoratori
NUOVI STRUMENTI DI SOSTEGNO SOCIALE
PER SOSTENERE RISTRUTTURAZIONI
INDUSTRIALI: contratti di solidarietà (in F e
in I), prepensionamenti (in D, F, E e I).
DEREGOLAMENTAZIONE DELLE CONDIZIONI
DI ENTRATA (contratti atipici)/USCITA
(allentamento vincoli licenziamento) DAL
MONDO DEL LAVORO.
QUALIFICAZIONE/RIQUALIFICAZIONE
DELLE RISORSE UMANE.
Flessibilità e lavoro atipico
Da un pdv economico il dibattito sulla flessibilità è
iniziato, lanciato dall’OCSE, agli inizi anni ’80
quando il modello fordista inizia a perde terreno.
I sociologi si occupano di flessibilità solo dalla
fine degli anni ’80 partendo dalle forme
particolare
o
atipiche
dell’occupazione
(soprattutto quelle che riguardano le donne).
Alcuni studiosi (come Gallino) si esprimono in
modo critico: il lavoro atipico richiede alla persona
di adattare ripetutamente l’organizzazione della
propria esistenza (nella settimana, nel mese,
nell’anno, per tutta la vita) alle esigenze
produttive. Alcuni autori chiamano i lavoratori
atipici i SALARIATI DELLA PRECARIETA’.
I costi della flessibilità
Quali sono gli effettivi oneri che si pagano in nome
della flessibilità?
•Mancata previsione per il futuro non solo
professionale ma anche esistenziale e famigliare.
•Impossibilità di fare carriera e di accumulare
esperienza professionale.
•Distruzione dell’identità e dell’integrazione della
persona dovuta alla destrutturazione degli aspetti
spaziali e relazionali del lavoro.
[Luciano Gallino, Il costo umano della flessibilità, Editori
Laterza, Roma-Bari, 2001]
La “flessicurezza”
La <flessicurezza>, ovvero la flessibilità non
precaria, comporta una duplice sicurezza (e
“del posto”e “sul mercato”): è una politica
adottata con successo in Danimarca e Svezia.
Essa garantisce comunque 1. un lavoro decente,
coperto da diritti, con un reddito sufficiente e
2. una protezione sociale appropriata, con
sussidi al reddito e iniziative di formazione e
assistenza finalizzate al reinserimento nel
mondo del lavoro durante i periodi di
disoccupazione.
Anni ‘90: il decennio della svolta
La firma a Maastrich (1992) del trattato
dell’Unione Europea impegnava l’Italia in un
processo di risanamento dei conti pubblici e di
controllo dell’inflazione. I vincoli “imposti”
dall’Europa influenzarono i principali
provvedimenti di riforma del mercato del lavoro e
permisero il rilancio delle esperienze di
concertazione (protocolli, patti per il lavoro, patti
sociali, cui seguirono atti legislativi).
La L. 196/1997 (“pacchetto Treu”): riordino del
settore della formazione professionale, creazione
di nuova occupazione, regolazione dei contratti
per la fornitura del cd lavoro interinale.
Lo stato di disoccupazione
Si intende (d.lgs 181/2000) la posizione di chi risulta:
•senza occupazione
•immediatamente disponibile a svolgere un’attività
lavorativa nonché a seguire il percorso di ricerca di una
nuova occupazione proposto dal CpI del territorio in cui si è
domiciliati.
Si perde lo stato di disoccupazione:
• per mancata presentazione, senza giustificazione, alla
convocazione del CpI
•rifiuto, non giustificato, di una congrua offerta di lavoro
(contratto con durata oltre 8 mesi, 4 mesi se giovani, e
ubicazione nel raggio di 50 Km dal domicilio del lavoratore)
•accettazione di un’offerta di lavoro a tempo determinato o
interinale con durata oltre 8 mesi, 4 mesi se giovani
•reddito annuale lordo superiore 7.500 euro (4.500 es
autonomo)
La legge 30/2003
Tale legge, nota come Legge Biagi, ha inciso lungo
due direzioni:
1. ampliamento processo della“flessibilizzazione
in entrata” per favorire l’inserimento dei
soggetti deboli e combattere la piaga della
occupazione sommersa
2. liberalizzazione e ammodernamento dei CpI,
attraverso la compartecipazione di attori
pubblici e privati.
CONTRATTI LAVORATIVI “ATIPICI”
Forme che non
Forme di lavoro
Forme di lavoro
Forme di lavoro
costituiscono veri e
subordinato
autonomo
in associazione
propri contratti di
lavoro
>Lavori Socialmente
Utili
(L.S.U.)
>Tempo determinato
>Collaborazione
coordinata e
continuativa
>Associazione in
partecipazione
>Tempo parziale
>Lavoro a progetto
formativi e di
>Soci di cooperativa >Tirocini
orientamento
>Apprendistato
>Prestazioni di lavoro >Impresa familiare
occasionali
>Piani di Inserimento
Professionale
(P.I.P.)
>Contratto di
>Prestazioni
di lavoro occasionali
di tipo accessorio
>Lavoro volontario
formazione-lavoro
(solo nel pubblico)
>Contratti di
inserimento
>Lavoro intermittente
o a chiamata
>Somministrazione di
lavoro (interinale)
>Lavoro ripartito
contratti oggetto della
L.30/03
Contratto di formazione e lavoro/
di inserimento
FORMAZIONE e LAVORO: contratto di lavoro
subordinato, già introdotto alla fine degli anni
‘70 e poi modificato, stipulato a tempo
determinato ed è previsto per persone tra i 1632 anni. Dal 2004 questo tipo di contratto vale
solo più per le pubbliche amministrazioni .
Per i privati ora si parla di CONTRATTO DI
INSERIMENTO (legge 30/2003, legge Biagi).
Lavoro interinale/
somministrazione di lavoro
LAVORO INTERINALE o in “AFFITTO” (“pacchetto Treu”,
1997): qui una IMPRESA DI FORNITURA di lavoro temporaneo
assume uno o più LAVORATORI mettendoli a disposizione di
un’altra impresa (IMPRESA UTILIZZATRICE) per le sue
esigenze di produzione, che solitamente sono temporanee.
Tale contratto con la legge 30/2003 prende nome di contratto di
SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO SUBORDINATO.
Lavoro para-subordinato
Il Lavoro PARA-SUBORDINATO riguarda i
collaboratori e i consulenti, per i quali è stato
costituito un apposito fondo previdenziale
INPS (avviato con la RIFORMA DINI del
1995), è la forma più diffusa nei rapporti di
lavoro atipico.
I contratti noti come CO.CO.CO
(collaborazione coordinata e continuativa)
con la L. 30/2003 sono sostituiti dai
contratti di lavoro a progetto (CO.PRO.)
Altra forma diffusa tra le forme
parasubordinate è la prestazione di lavoro
occasionale.
CENTRI PER L’IMPIEGO
Dopo un lungo periodo di monopolio dello Stato gli uffici di collocamento
vedono una prima liberalizzazione collegata al pacchetto Treu (che
autorizzava alcuni soggetti privati, ovvero le agenzie del lavoro
interinale, alla somministrazione di manodopera).
Il decreto legge 469/97, noto come legge Bassanini 1, segna la svolta
fondamentale; esso ha tra le sue finalità:
•trasferire funzione e compiti nell’ambito delle politiche attive del
lavoro dallo Stato alle Regioni e agli Enti Locali
•i soggetti privati possono svolgere, previa autorizzazione ministeriale,
attività di mediazione tra domanda ed offerta di lavoro
•i vecchi uffici di collocamento vengono sostituiti dai Centri per
l’Impiego (CpI).
Tale “rivoluzione copernicana” nell’ambito del lavoro trova
proseguimento nella legge Biagi 30/2003 che
•ribadisce il mantenimento di responsabilità di regioni e province in tale
ambito
•definisce le agenzie per il lavoro ovvero soggetti autorizzati a svolgere
attività di somministrazione, intermediazione , selezione e
ricollocazione del personale .
Lavoro atipico e povertà
Il lavoro atipico è legato spesso alle forme di
povertà (una retribuzione si dice povera
quando è al di sotto dei 2/3 del valore mediano
dei redditi da lavoro dipendente a tempo
pieno).
In Italia nel 2001-2002 le posizioni lavorative
atipiche erano quasi SETTE MILIONI, pari al
32% sugli occupati regolari.
Nuove figure sociali di lavoratori
a tutela ridotta.
Incrociando, in una tabella di contingenza, i livelli di
garanzie sociali con quelli dell’inserimento nel mercato del
lavoro, si possono ottenere – come si può vedere nel testo
di Dario Rei (Sociologia e Welfare, 2008, p. 177) - delle
tipologie relative a nuove figure sociali di lavoratori a
tutela ridotta.
Garanzie di
Welfare
FORTI
Garanzie di
Welfare
DEBOLI
Garanzie di
Welfare
ASSENTI
Inserimento
lavorativo
FORTE
Inserimento
lavorativo
DEBOLE
Inserimento
lavorativo
ASSENTE
Nuove figure sociali di lavoratori
a tutela ridotta.
Incrociando, in una tabella di contingenza, i livelli di
garanzie sociali con quelli dell’inserimento nel mercato del
lavoro, si possono ottenere – come si può vedere nel testo
di Dario Rei (Sociologia e Welfare, 2008, p. 177) - delle
tipologie relative a nuove figure sociali di lavoratori a
tutela ridotta.
Garanzie di
Welfare
FORTI
Garanzie di
Welfare
DEBOLI
Garanzie di
Welfare
ASSENTI
Inserimento
lavorativo
FORTE
Inserimento
lavorativo
DEBOLE
Inserimento
lavorativo
ASSENTE
INTEGRATI
FLESSICURI
ASSISTITI
ATIPICI
VULNERABILI
MARGINALI
AUTARCHICI
PRECARI
DISAFFILIATI
Fly UP