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le tecniche della distribuzione
LE TECNICHE DELLA DISTRIBUZIONE
INTRODUZIONE
Un consumatore attento e consapevole deve essere in grado di fare delle
scelte d’acquisto motivate da reali esigenze, tenendo in considerazione la
qualità dei prodotti, soprattutto in rapporto al prezzo.
Tali scelte terranno in giusta considerazione anche le conseguenze
sull’ambiente, evitando sprechi inutili.
In quest’ottica, il nostro lavoro ci ha insegnato:
•
a capire il significato della pubblicità;
•
a scoprire i segreti dei punti vendita (negozi, supermercati) per
invogliarci ad acquistare;
•
a leggere “gli alimenti” per conoscerli e imparare a nutrirci meglio.
EDUCAZIONE AI CONSUMI
Nel linguaggio comune il termine consumo è stato sempre utilizzato
con significati equivalenti a quello di spreco. L’individuo è costretto
a lavorare per consumare e consumare per lavorare, all’interno di un
circolo vizioso in cui non c’è spazio per la consapevolezza di sé e
dell’altro, per progetti di vita veramente autonomi.
L’educazione ai consumi deve far valere la possibilità e la necessità
di affrontare il problema in termini più realistici, nella prospettiva di
un consumatore più attento e consapevole, più capace di aiutarsi
criticamente all’interno della “giungla” delle proposte del mercato.
Ciò che guida il consumatore ad acquisti e consumi sbagliati non è
soltanto la cattiva conoscenza del mercato o la strutturale
“velenosità” del messaggio pubblicitario, ma anche e soprattutto la
mancanza di un progetto culturale ed esistenziale verso il quale
orientare le proprie scelte.
I CRITERI DELL’EDUCAZIONE AI CONSUMI
Un progetto d’educazione ai consumi dovrebbe articolarsi su tre
piani:
1. CONOSCENZA
2. SOCIALIZZAZIONE
3. PROGETTUALITA’
La dimensione della CONOSCENZA tende in primo luogo a
riscuotere nel consumatore una nuova capacità di percepire le qualità
specifiche degli oggetti di consumo legate alla specificità della loro
forma, consistenza, temperatura.
La dimensione della SOCIALIZZAZIONE recupera da parte sua, la
radice comunitaria insita nel termine stesso di consumo: con-sumo:
uso, assumo insieme.
L’ipermercato, il supermercato, ma anche il mercato rionale sono per
eccellenza luoghi di incontro, confronto, socializzazione. Luoghi di
confronto tra stili di vita caratterizzati da oggetti (alimentazione,
abbigliamento, ecc.) diversissimi tra loro, eppure vicinissimi.
L’educazione al consumo apre alla socializzazione anche quando
diventa “pensare” l’acquisto per un altro: lo è per il genitore che
acquista per il figlio, come per il figlio che acquista per il genitore.
PROGETTARE il consumo significa riappropriarsene, cioè dargli
senso. Significa trasformare con azione da protagonista quello che
potrebbe restare un atto di obbedienza alla moda, all’abitudine, alla
banalità delle istruzioni obbligatorie.
ESSERE REGISTI DEL PROPRIO CONSUMO VUOL DIRE
SAPERE CIÒ CHE SI VUOLE
IL CONSUMATORE può segnalare i suoi sospetti su alimenti mal
conservati all’A.S.L. (unità operativa igiene pubblica) a volte
affiancata al servizio di medicina veterinaria. Anche i N.A.S. (nuclei
anti sofisticazioni) dei carabinieri e gli uffici periferici del servizio
repressioni frodi del Ministero dell’agricoltura hanno competenze
specifiche di controllo sugli alimenti.
TRASFORMAZIONE E CONSERVAZIONE DEGLI ALIMENTI
L’ALTERAZIONE DEI CIBI
Capita spesso di aprire il frigorifero e trovare un frutto rammollito e
ricoperto di muffa o del prosciutto rinsecchito e con un sapore rancido. Gli alimenti, infatti, non si conservano per un tempo illimitato
anche se mantenuti in frigorifero.
Nel nostro tempo, l’enorme
aumento della popolazione ed il
cambiamento delle abitudini di
vita determinano la necessità di
disporre di grandi quantitativi
di cibo che abbia lunga durata e
sia facilmente trasportabile.
I FATTORI che possono determinare l’alterazione degli alimenti
sono:
1. MICROBIOLOGICI (quando negli alimenti sono presenti
batteri, germi, muffe)
2. BIOLOGICI (quando negli alimenti sono presenti parassiti o
animali infestanti: vermi, insetti e topi)
3. CHIMICI (quando stati mal usati disinfettanti, antiparassitari)
4. FISICI (tutti quegli elementi estranei al prodotto che sono finiti
nel prodotto: frammenti di imballaggio, frammenti di vetro).
Tutte queste tipologie di RISCHIO possono verificarsi per
contaminazione e ad essere contaminati possono essere stati:





gli alimenti di base (esempio: non era sana la carne della salsiccia)
le attrezzature (esempio: l’affettatrice non era pulita)
i contenitori e i locali dove avviene la lavorazione, la confezione, ecc.
il personale
le correnti d’aria.
Il gestore di ogni punto vendita deve elaborare un PIANO DI
AUTOCONTROLLO dichiarando, su appositi moduli, in che modo e
con quali mezzi attua la prevenzione delle possibili contaminazioni
dei prodotti che vende.
GLI ALIMENTI TRATTATI INDUSTRIALMENTE si alterano più
lentamente, però i trattamenti industriali permettono di usare anche
prodotti scadenti: il cattivo gusto e il brutto aspetto vengono mascherati dagli ADDITIVI cioè sostanze chimiche prive di valore nutritivo
che vengono aggiunte all’alimento allo scopo di mantenere le
caratteristiche o per conferire particolari odori e sapori.
Gli ADDITIVI devono essere dichiarati nell’etichetta dopo l’elenco
degli ingredienti.
Possono essere indicati con il loro nome chimico e con una “E”
seguita da un numero.
Per legge devono rispondere ai seguenti requisiti:
non essere tossici alle dosi impiegate
non mascherare alterazioni presenti nell’alimento
essere chimicamente puri
essere facilmente identificabili.
CATEGORIE DI ADDITIVI
1.
CONSERVANTI
• ANTIMICROBICI (vengono utilizzati per impedire le alterazioni dei prodotti
causate da microrganismi, cioè batteri, muffe, ecc.). Si indicano con la lettera
“E” e una numerazione che va da 200 a 299
• ANTIOSSIDANTI (vengono utilizzati per impedire l’imbrunimento del colore
e l’alterazione dell’odore e del sapore). La sigla va da “E 300” a “E 350”
2.
ASPETTO
• COLORANTI (vengono utilizzati per rendere più attraente l’aspetto di un
alimento). La sigla va da “E 100” a “E 199”
• ADDENSANTI e GELIFICANTI (sono utilizzati per rendere l’alimento più
denso). La sigla va da “E 400” a “E 469”
• EMULSIONANTI (servono per miscelare bene le sostanze). La sigla va da “E
470” a “E 490”
• RIVESTIMENTI (servono per ricoprire gli alimenti). La sigla va da “E 900” a
“E 905”
3.
GUSTO
• AROMATIZZANTI (sono utilizzati per dare sapore). La sigla va da “E 600” a
“E 699”
IL MERCATO DEGLI ALIMENTI
Soddisfare i bisogni alimentari di una moderna società significa anche
organizzare adeguate tecniche commerciali di distribuzione e di vendita.
I prodotti da consumare freschi vengono inviati dalle aziende agricole ai
principali centri urbani, nel MERCATO ALL’INGROSSO, enorme magazzino attrezzato per la conservazione delle derrate alimentari. Qui, le autorità
preposte controllano le “merci” dal punto di vista sanitario e del rispetto
delle norme legislative per la vendita.
Le GRANDI AZIENDE si occupano direttamente del trasporto dei prodotti
al mercato generale perché possiedono il personale e i mezzi necessari per
le operazioni di raccolta, smistamento, trasporto e vendita all’ingrosso.
Le PICCOLE AZIENDE si servono di intermediari (più si allunga la catena
dei passaggi intermedi tra la produzione e la vendita e più aumenta il
prezzo della merce).
Il passaggio delle merci è più diretto nel caso delle COOPERATIVE e dei
CONSORZI, perché queste associazioni dei produttori si occupano direttamente di tutte le operazioni.
COME È FATTO UN SUPERMERCATO
La distribuzione dei prodotti, negli ultimi anni, è passata dal piccolo
negozio al SUPERMERCATO: struttura spersonalizzata imposta per
l’economicità dei prezzi, la varietà dei prodotti, soprattutto inscatolati e
confezionati, la possibilità di servirsi personalmente.
La grande distribuzione si divide in:
SUPERMERCATO: esercizio di vendita al dettaglio di generi alimentari e prodotti per la casa, organizzato a self service, con una superficie
superiore a 400 m2. Sempre più frequenti, però, vi sono banchi di vendita con personale addetto al servizio del cliente
IPERMERCATO: molto più grande, in ampiezza, del supermercato, è
un punto di vendita che occupa una superficie superiore a 2 500 m2,
disposto su un solo piano, con vasto assortimento di prodotti alimentari e non, venduti al dettaglio o a self service.
DISCOUNT: punto di vendita dove le merci sono raccolte in scaffalature senza una particolare cura espositiva, con un numero limitato di
prodotti di marche non famose, prezzi modici e personale ridotto.
Tutto quello che abitualmente acquistiamo in un supermercato può essere
diviso in due categorie:
1. PRODOTTI AD ACQUISTO PROGRAMMATO: lista della spesa
2. PRODOTTI AD ACQUISTO D’IMPULSO: tutti quei prodotti che
entrano nel nostro carrello perché hanno attirato la nostra attenzione.
Nel supermercato, i prodotti non sono disposti a caso lungo le corsie: la
loro distribuzione nelle varie zone segue una precisa strategia basata sugli
studi relativi al comportamento del consumatore nel momento dell’acquisto.
Il PUNTO VENDITA alimentare di un supermercato mostra la
compresenza di due spazi:
 uno spazio aperto al pubblico, visibile dall’esterno, chiamato
FRONTSHOP
 uno spazio chiuso e non accessibile al pubblico, utilizzato solo dal
personale del magazzino e dai fornitori. È chiamato BACKSHOP.
Anche la struttura caratteristica del supermercato può essere divisa in due
zone:
1. zone A BASSA VENDIBILITÀ: sono quelle meno frequentate dal
consumatore, come, per esempio, gli angoli, i primi metri dopo
l’entrata, i corridoi centrali
2. zone A FORTE VENDIBILITÀ: quelle più frequentate dal consumatore; per esempio, quelle vicino alle casse e ai salumi, i corridoi
che corrono lungo il perimetro, gli scaffali a destra rispetto al
percorso che stiamo facendo dall’ingresso, perché spesso si spinge il
carrello con la mano sinistra.
Gli articoli più richiesti, come latte e pane, sono detti a FORTE
DOMANDA e sono disposti nelle zone a BASSA o MEDIA
VENDIBILITÀ. Le zone meno frequentate vengono quindi utilizzate per
prodotti che ci servono pi più e che si vendono senza alcuna “promozione”.
I prodotti ingombranti sono solitamente sistemati in fondo al percorso:
siccome riempiono il carrello, se venissero acquistati subito, si pensa che
scoraggino a fare altri acquisti.
AZIONI PROMOZIONALI
Come azioni promozionali, si distinguono:
 offerte speciali (sconto per un periodo limitato)
 buoni sconto (attraverso giornali, posta, nei prodotti)
 campioni gratis (lancio di prodotti)
 concorsi
 raccolta punti
 cancella e vinci
 regali (offerte 3X2, 4X2)
Le azioni promozionali hanno lo scopo principale di:
 attirare nuovi clienti e aumentare le vendite
 fare acquistare il prodotto in quantità superiore a quella
programmata
 fare acquistare il prodotto oggi e non domani
 aumentare la fedeltà del cliente al prodotto
 indurre all’acquisto di prodotti complementari (esempio: mettere la
panna montata vicino alle fragole)
IL CONFEZIONAMENTO DEI PRODOTTI
Per distribuire facilmente le merci, l’industria alimentare deve
confezionarle utilizzando CONTENITORI PACKING adatti a ciascun
prodotto.
Packing, termine inglese che significa imballare, indica lo studio della confezione
di imballaggio di un prodotto sia dal punto di vista della forma che della
decorazione esterna
Per confezionare bene un prodotto, bisogna considerare molti aspetti. I più
importanti sono:
 l’economicità delle tecniche di lavorazione: il costo della confezione
deve essere sempre contenuto
 adeguatezza delle confezione alle caratteristiche dle prodotto
 ingombro ridotto: l’imballo non deve essere troppo grande rispetto
all’oggetto che contiene
 presentazione: l’aspetto del contenitore ha grande importanza
In alcuni casi è sufficiente un involucro di protezione, in altri casi è
necessario un contenitore resistente alle variazioni di temperatura e di
umidità esterne (vetro, barattoli, ecc.).
Il contenitore ideale deve:
proteggere il prodotto da contaminazioni esterne (microrganismi,
luce, aria, ecc.)
non contaminare il prodotto
mantenere il prodotto integro
essere riciclabile
Sui contenitori va indicato il materiale di cui sono fatti.
Una norma europea impone che sulle ETICHETTE di ogni alimento
liquido ci sia un ESAGONO o un CERCHIO con scritte all’interno due o
tre lettere che identifichino il materiale del recipiente. Ciò facilita la
raccolta differenziata dei rifiuti, permettendo di riciclare correttamente i
contenitori (in Italia si consumano ogni anno: 7 miliardi di bottiglie di
vetro, 3 miliardi di bottiglie di plastica, 4 miliardi di sacchetti di plastica e 2
miliardi di contenitori metallici).
TIPI DI CONTENITORI:
 in vetro
 di carta e cartone (CA)
 accoppiati (PI): sono quelli usati per il latte, succhi di frutta e acqua; non sono
riciclabili
 metallici (AL): possono essere in alluminio (tubetti maionese, vaschette per
alimenti, lattine; sono riciclabili
 metallici a banda stagnata (ACC): sono le “latte”: il contenitore è costituito da
una lamiera di acciaio ricoperta da uno strato di stagno (frutta sciroppata,
pesce, pomodori)
 in plastica: non esiste una plastica universale, adatta a tutti gli alimenti. La
produzione di questi contenitori è regolamentata da precise disposizioni di
legge
 in polietilene (PE): buste flessibili e trasparenti
 in polipropilene (PP): piccoli contenitori
 in polietilentereftalato (PET): per bevande gassate; è sicuro e riciclabile in
polivinilcloruro (PVC): bottiglie per acqua minerale, flaconi; può contaminare
i cibi e nello smaltimento produce sostanze tossiche
 in polistirolo: bicchieri, vaschette per yogurt e gelati
L’ETICHETTA
Orientarsi nel mondo dei prodotti non è un’impresa facile.
L’ETICHETTA rappresenta la carta di identità del prodotto confezionato.
Le indicazioni in essa riportate devono fornire tutte le indicazioni di cui il
consumatore ha bisogno per l’acquisto e per l’uso del prodotto. Occorre,
però, saper leggere e interpretare correttamente le informazioni scritte nelle
etichette.
L’etichettatura dei prodotti alimentari confezionati è diventata obbligatoria
per legge e le norme stabilite dalla Comunità Europea sono contenute in
venti articoli del DPR n. 322 del 18 maggio 1982 entrato in vigore nel
1984.
Gli elementi che compongono un’etichetta sono:
denominazione di vendita: ci dice che cosa è contenuto nella confezione. La
denominazione non deve essere confusa con nomi di fantasia che non
descrivano il prodotto ma hanno solo funzione pubblicitaria
composizione-elenco degli ingredienti: descrive ogni sostanza, compresi gli
additivi, impiegata nella preparazione del prodotto alimentare. L’elenco deve
essere fatto in ordine decrescente di peso. L’elenco non è necessario quando
si tratta di prodotti alimentari costituiti da un solo ingrediente
peso netto: indica la quantità in peso per i prodotti solidi, e in volume per i
liquidi, al netto della confezione. Se un alimento è conservato in un liquido
(per esempio, la mozzarella), l’etichetta deve indicare sia il peso sgocciolato
(escluso il liquido) sia quello complessivo. La e che compare dopo il peso
significa che questo è conforme alle normative europee data di scadenza e
termini di conservazione: indicano le date entro cui il prodotto va consumato
se mantenuto nelle condizioni di conservazione adeguate
modalità di conservazione: un prodotto può deperire prima del termine
previsto se non è stato correttamente conservato
istruzione per l’uso: devono essere indicate quando, per la preparazione
dell’alimento, vanno eseguite particolari procedure
luogo di origine e provenienza: questa informazione è obbligatoria per alcuni
prodotti, come per esempio il vino a denominazione di origine controllata
(DOC) e in tutti quei casi in cui la mancanza di questa informazione può
disorientare il consumatore
nome o marchio, sede del fabbricante e di confezionamento: servono agli
organi di controllo per individuare facilmente il produttore e lo stabilimento
di produzione. Tutte le indicazioni devono essere scritte in lingua italiana,
indelebili e facilmente leggibili
codice a barre: è un numero accompagnato da un insieme di linee verticali
che si chiama codice EAN (European Article Numbering) ed è una
numerazione europea dell’articolo. In Italia, viene rilasciato da un Istituto
milanese che si chiama INDICOD e gestisce il registro internazionale dei
codici. È costituito da una trentina di barre verticali di diverso spessore e da
una serie di tredici cifre di cui: le prime due rappresentano il paese di origine;
le successive cinque identificano la ditta produttrice; le ulteriori cinque si
riferiscono al codice del prodotto confezionato; l’ultima è una sorta di
elaborazione matematica che verifica l’esattezza dell’intero codice.
ETICHETTA NUTRIZIONALE
È un’etichetta in cui sono riportati il valore energetico dell’alimento,
espresso in chilocalorie, e la sua composizione relativa ai seguenti principi
nutritivi: PROTEINE, CARBOIDRATI, GRASSI. Possono essere aggiunti
dati relativi agli ZUCCHERI, alle VITAMINE e ai SALI MINERALI solo
se presenti in quantità elevate.
I produttori non sono tenuti a riportare tutti i dati che sono stati elencati.
Sono invece obbligatori nei prodotti dietetici.
L’etichettatura dei prodotti alimentari, nonché la loro
presentazione e relativa pubblicità, sono disciplinate dal
D. L. 27 gennaio 1992, n. 109, in attuazione delle direttive
della Comunità Europea 89/345 e 189/396 CEE.
IL PROCESSO DI DEFINIZIONE DELLA QUALITÀ
I consumatori sono sempre più sensibili e attenti verso le tematiche riguardanti la
qualità.
Ma che cosa significa QUALITÀ?
È affidarsi alle norme ISO 9000 emanate dalla International Standards
Organization e che rappresentano lo standard internazionale per la garanzia di una
qualsiasi qualità predefinita.
La prima pubblicazione delle norme ISO 9000 risale al 1987 e, in Italia, sono state
recepite nel 1994.
La qualità deve soddisfare esigenze sia di carattere primaria (salute e sicurezza) sia
di carattere accessorio. Le aziende devono avere la capacità di comprendere i
bisogni del consumatore e di fornire un prodotto che lo soddisfi totalmente.
Il cliente ha sempre ragione.
L’azienda deve impegnarsi a una severa attività di prevenzione che consiste in
precisi controlli del prodotto e in eventuali azioni correttive sulle sue componenti.
Nel settore agroalimentare, il concetto di qualità non è limitato al prodotto ma
comprende anche la capacità organizzativa del produttore a conseguire la qualità.
I PUNTI PRINCIPALI DELLE NORME ISO 9000
 la soddisfazione del cliente mediante la prevenzione delle non conformità in
tutte le fasi del processo fino all’assistenza post-vendita;
 la politica della qualità, di competenza della direzione esecutiva dell’azienda
e non di gerarchie di più alto o basso livello;
 l’esigenza di un personale addestrato per le attività ispettive e per
l’esecuzione delle attività direzionali e di controllo (gestione delle risorse);
 il riesame del sistema qualità da eseguire per verificare che la politica e i
requisiti prefissati siano stati raggiunti secondo le norme di riferimento;
 la predisposizione da parte del fornitore di un manuale della qualità e di
procedure operative che coprano i requisiti del sistema qualità della norma
ISO di riferimento;
 la pianificazione della qualità per definire e documentare come verranno
soddisfatti i requisiti per la qualità;
 le azioni preventive e correttive, come requisito essenziale e la dettagliata
predisposizione delle procedure per le azioni preventive;
 le prescrizioni per il riesame del contratto per assicurare che i requisiti siano
concordati prima dell’accettazione.
LA RISTORAZIONE
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