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Problematiche minorili PP - Dipartimento Tempo, Spazio, Immagine

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Problematiche minorili PP - Dipartimento Tempo, Spazio, Immagine
PROBLEMATICHE
MINORILI
dott.ssa Chiara Benedetti
A.A. 2014/15
Programma
-Introduzione:
dalla
sociologia
alla
psicologia delle relazioni familiari; i
minori nelle famiglie post-moderne; la
tutela del minore; l’indagine del sistema
familiare in ottica transgenerazionale: il
genogramma; la valutazione ed il sostegno
delle capacità genitoriali.
-I minori nelle separazioni conflittuali:
aspetti
psicologici
e
sociali
dei
conflitti di coppia; il disagio del minore
nella
conflittualità
dei
genitori
separati;
la
Sindrome
da
Alienazione
Genitoriale.
-Il maltrattamento e l’abuso di minori:
aspetti
psicologici
e
sociali
del
maltrattamento
intrafamiliare;
le
dinamiche
relazionali
nella
famiglia
maltrattante; la sofferenza del minore
maltrattato e abusato; la valutazione ed
il recupero delle capacità genitoriali nei
casi di maltrattamento e abuso.
-Adolescenti
devianti:
adolescenza
e
trasgressione; fattori di rischio della
delinquenza
minorile
e
influenza
del
contesto familiare; significati affettivi
dei
comportamenti
trasgressivi;
le
risposte degli adulti alla trasgressione
giovanile.
-I
minori stranieri: aspetti psicologici e
sociali dei progetti migratori; le
dinamiche relazionali nelle famiglie
immigrate; essere bambini e adolescenti in
una società multiculturale; minori
stranieri non accompagnati.
-L’adozione e l’affido: l’allontanamento
del
minore
dalla
famiglia;
curare
i
bambini con le relazioni; il percorso di
conoscenza
degli
aspiranti
genitori
adottivi e affidatari; l’abbinamento; il
sostegno alla genitorialità affidataria e
adottiva; la conclusione dell’affido.
Introduzione*
 Crescita delle aspettative nei confronti
dei figli e riduzione del tempo della
cura;
 donne divise tra desiderio di maternità e
mondo del lavoro;
 «indebolimento» della figura del padre
come modello autoritario;
 aumento separazioni e divorzi;
 codice dell’amore come prevalente mezzo
simbolico
di
interscambio
tra
le
generazioni
(«famiglia
affettiva»
come
culla dell’individualismo.)
* Di Nicola P., Famiglia: sostantivo plurale, Franco Angeli, 2008.
 Permissivismo
a
selezione a scuola
casa
e
poca
 Generazione di giovani fragili, con
scarso
principio
di
realtà,
incapaci
di
«autoregolarsi»
e
ripiegati narcisiticamente (secolo
del narcisismo).
 Richiesta
di
istituzioni.
contenimento
alle
Il genogramma: strumento grafico simile ad un
albero
genealogico
utilizzato
per
rappresentare
importanti informazioni sulla famiglia del soggetto e
sulle relazioni nelle tre generazioni.
MINORI NELLE SEPARAZIONI
CONFLITTUALI*
Il divorzio non è causa del cambiamento
delle relazioni familiari e di coppia, ma
ne è una conseguenza. Oggi come un tempo
la relazione di coppia si basa sulla mutua
dipendenza
e
complementarietà
tra
i
coniugi, anche se ne sono cambiate forme
ed intensità.
Non a caso, l’instabilità coniugale tende
a crescere in concomitanza ai diffusi
processi di individualizzazione…
* A.Dell’Antonio, Il bambino conteso. Il disagio infantile nella
conflittualità dei genitori separati, Giuffrè, 1993.
Separazione come crisi
Separarsi vuol dire mettere in discussione
l’immagine
di
sé
che
era
stata
costituita dal ruolo coniugale.
La fatica che ne deriva implica una
maggiore labilità emotiva e acuisce la
conflittualità.
La
conflittualità
può
esplodere
con
particolare violenza dopo la separazione
nelle coppie che hanno comunicato poco,
reprimendo
e
negando
i
propri
sentimenti.
Il “distacco psichico”, che è paragonabile
all’elaborazione di un lutto, non coincide
sempre con la separazione
Distacco psichico = arrivare a vivere
coniuge come appartenente al passato
non più necessario per autodefinirsi.
E’ più difficile se non è consensuale e
permangono
in
interessi
comuni:
particolare i figli!
Anche
gli
“altri”
possono
acuire
conflitto e ostacolare il distacco.
il
e
se
in
il
Separazione come perdita
 Si perdono i punti di riferimento della
vita quotidiana
 Si perde lo status che soprattutto in
alcuni
contesti
culturali
è
particolarmente
importante
per
la
valorizzazione di sé (vedi il ruolo
della Chiesa Cattolica)
 Specialmente
le
persone
con
scarsa
autostima perdono con lo status di
coniugato,
quella
base
sicura
che
conferma
il
valore
della
propria
identità
Nel costituirsi della coppia…
…la sicurezza dei singoli e il loro grado di
distacco emotivo dalla famiglia d’origine sono
fattori fondamentali!
Ognuno dei due coniugi tende a portare con sé nella
vita di coppia i modelli relazionali acquisiti
nella famiglia d’origine e porta quindi anche una
dose di “indifferenziazione”, cioè di dipendenza
emotiva.
Se
i
coniugi
sono
più
differenziati,
cioè
emotivamente più maturi, la loro relazione è
basata su elementi di realtà che permettono un
adattamento reciproco senza che vi siano timori
di perdita. Viceversa, si inserisce il “fantasma”
della famiglia d’origine.
A
volte
il
diverso
livello
di
differenziazione dei coniugi può portare
ad
un
migliore
funzionamento
della
coppia oppure ad una rapida separazione.
Lo stesso
figlio,
coppia…
coniuge
bambino
si può dire per la nascita di un
che può cementare o spaccare la
per vari motivi (ad es. un
non tollera lo spostamento sul
delle attenzioni dell’altro).
Superare la crisi della
essere molto difficile…
separazione
può
Nella fase iniziale è frequente che i
coniugi debbano svalutare l’altro per
valorizzare se stessi…
Solo recuperando un’ottica più realistica
e nuovi motivi di autovalutazione, si
può uscire dalla crisi e dare un
“rilettura” di ciò che è successo in
ottica più integrata (ridimensionando
l’idealizzazione di sé e la svalutazione
dell’altro).
Anche le problematiche dei figli possono
esasperare le tensioni tra i coniugi: il
conflitto
tra
loro
può
sancire
una
continuità, seppur negativa, del rapporto,
che spesso è più tollerabile della fine del
rapporto stesso.
Ci sono anche fattori esterni che possono
rendere
il
divorzio
“costruttivo”
o
“distruttivo”.
 Il rientro di un coniuge nella famiglia
d’origine.
 Appoggio
esterno
della
famiglia
d’origine
(cassa
di
risonanza
dei
sentimenti).
 La presenza di un nuovo partner di uno o
entrambi i coniugi.
Le famiglie ricostituite sono una
molto presente nella nostra società.
realtà
 Il ruolo del partner del genitore non è
sempre chiaramente definito.
 Sono soprattutto le donne a volerlo
definire, conformandosi solitamente a
tre modelli:
• “madre tout court”,
• “l’altra madre”,
• “l’amica”.
 Meno definibili sembrano i ruoli dei
partner maschi, anche se generalmente
essi
tendono
a
ritagliarsi
ruoli
allevanti circoscritti.
Gli atteggiamenti
del partner del
diversi:
dei figli nei confronti
genitore possono essere
 Accettazione
per
bisogno
di
appoggio
e
comprensione
 Rifiuto e competizione indotti dalla marcata
interdipendenza con il genitore affidatario
 Incapacità di tollerare che il nuovo venuto
prenda il posto di colui che se n’è andato
 Indifferenza e provocazione
Nelle famiglie
implicito di
repressione
membri della
dei figli
ricomposte può esistere un accordo
“fedeltà” basato sulla negazione o
di ogni sentimento ostile tra i
famiglia  Ostacolo all’autonomia
La contesa dei figli
Nel processo di separazione i genitori possono
provare per i figli sentimenti molto diversi e a
volte
ambivalenti,
ma
spesso
tendono
a
contenderseli e ad ostacolare il loro rapporto con
l’altro coniuge…
Perché?
Vanno indagati i motivi per cui il figlio è stato
desiderato…




Ciò che si desidera è il bambino?
O il fatto di generarlo?
E lo si desidera per quello che è?
O per quello che rappresenta per l’immagine di
sé?
 O per le reazioni sociali che provoca?
Ancora oggi molte donne desiderano un figlio per
definire la propria identità…
Mentre gli uomini sono motivati dalla prospettiva
di continuazione di sé stessi e delle proprie opere
nei figli…
Vi sono poi casi in cui il bambino è desiderato per
farne dono ad altri (il coniuge o i nonni…)
Più realisticamente possiamo dire che nel
desiderio di avere un figlio intervengono
varie motivazioni personali, più o meno
egoistiche e che dopo la sua nascita,
quando può essere visto come persona,
l’atteggiamento dei genitori può diventare
più altruistico…
Fondamentale è capire qual è il «posto» del
bambino nella famiglia…
Ogni individuo ha nella sua famiglia uno «spazio
psicologico» garantito da regole implicite e
scaturito da una ricerca di equilibrio tra le
esigenze e le aspettative reciproche.
Alla nascita di un bambino l’equilibrio si altera
ed è necessario ridefinire le regole…
Il figlio può diventare oggetto di proiezioni ed
identificazioni da parte dei genitori…sono più a
rischio quei genitori che portano con sé il
fantasma della famiglia d’origine, per cui il
figlio non è visto per quello che è, ma solo per
ciò che rappresenta…(genitore, fratello…)
Nella crisi coniugale gli interessi dei figli
tendono a rimanere in secondo piano (vedi ricerca
di Zussman sull’attenzione e il comportamento dei
genitori nei confronti dei figli in una situazione
di competizione).
Inoltre, in una situazione di competizione il
coniuge sente il bisogno di avere un alleato…
Tale ruolo spesso spetta ad un figlio, che si trova
invischiato nel conflitto dei genitori e si sente
costretto a scegliere da che parte stare, con
l’inevitabile perdita che ne consegue…
(Nei casi estremi si arriva
alienazione genitoriale PAS)
alla
Sindrome
da
Manovre difensive che il genitore mette in
atto per salvare la propria immagine:
 Proiezione , ad esempio di bisogni insoddisfatti
( iperprotezione)o di pensieri e sentimenti.
 Identificazione, spesso con il partner che sta
perdendo. Al bambino-partner è implicitamente
chiesta una fedeltà che può seriamente minare il
suo sviluppo psicologico.
Entrambi i genitori possono mettere in atto
meccanismi
difensivi
e
il
figlio
si
trova
disorientato…
…anche perché è spesso strumentalizzato da uno o
entrambi i genitori (ad es. arma di ricatto o
«spia»)
Ruolo
difficile
spetta
al
genitore
che
si
allontana, poiché il timore di perdere il figlio è
maggiore…
In
questa
situazione
posso
aprirsi
svariati
scenari:
 Il genitore ha una sufficiente autostima per
riprendere
il rapporto in modo diverso ma
ugualmente gratificante
 Il genitore non riesce a mantenere il rapporto
col figlio
 Tenta di recuperare il rapporto con un’ossessiva,
a volte anche molesta, ricerca di contatto col
figlio
 La situazione è complicata dall’atteggiamento del
coniuge
con
cui
il
figlio
vive
e/o
dall’assunzione del ruolo genitoriale da parte di
altre persone.
Il timore di perdere il figlio può riguardare
entrambi i genitori e portare a profonde modifiche
dello
stile
educativo
che
può
divenire
iperpermissivo ma anche troppo rigido.
Possono
subentrare
ricatti
affettivi
o
atteggiamenti che ostacolano il rapporto con
l’altro genitore, nonché vere e proprie lotte tra i
genitori.
Non tutti i figli vengono ugualmente
coinvolti nel conflitto coniugale…
…poiché non tutti i figli rappresentano la stessa
cosa per il genitore.
Ad
esempio
il
primogenito,
oltre
ad
essere
generalmente
più
investito
di
aspettative,
rappresenta la capacità procreativa dei genitori.
Le caratteristiche di cui ogni bambino è dotato
alla nascita innescano risposte diverse da parte
dei genitori e quindi, in ottica circolare, si
vanno
ad
alimentare
dinamiche
relazionali
differenti (ad es. un genitore bisognoso di
conferme tenderà a privilegiare il rapporto con il
figlio più docile e dipendente).
Le conseguenze sul bambino
A seconda della fase evolutiva in cui il figlio è
al momento della separazione, ci possono essere
conseguenze diverse…
In ogni fase, comunque, un adeguato sviluppo
richiede un atteggiamento di disponibilità da parte
dei genitori, la loro capacità di comprendere e
soddisfare le sue esigenze e la loro possibilità di
fornirgli validi modelli di identificazione.
Tali fattori sono seriamente minacciati dall’alta
conflittualità tra i genitori, prima, durante e
dopo la separazione.
La marginalizzazione…
 Se il bambino è molto piccolo ha effetti
immediati su di lui.
 Se il bambino ha già delineato i propri confini e
ha già iniziato a strutturare un’immagine di sé
distinta, la scarsa attenzione può provocare
angosce di perdita e di abbandono ( rischio
sviluppo «falso sé»)
 Se il bambino ha già iniziato un processo di
identificazione
con
un
genitore,
la
marginalizzazione
può
indurre
una
maggiore
dipendenza
e
un
ritardo
nello
sviluppo
dell’autonomia.
Situazione dei bambini ai cui viene prestata
attenzione nella misura in cui vengono inseriti nel
conflitto coniugale…
 I bambini sviluppano autostima attraverso la
propria capacità di destreggiarsi tra opposti
atteggiamenti o di trarre vantaggio dal litigio
dei genitori. Il loro modo di essere ha un senso
infatti solo in funzione del dissidio tra i
genitori.
 Il bambino può scegliere di allearsi con il
genitore che gli appare più disponibile a
soddisfare le sue esigenze, ma può sceglierlo
anche secondo meccanismi più complessi.
 Tali dinamiche hanno una notevole influenza anche
nei processi di identificazione sessuale.
L’allontanamento di un genitore dal nucleo
familiare alimenta nei figli il timore di essere
abbandonati.
- I
più
piccoli
presentano
solitamente
sintomatologie
abbandoniche
(regressione,
irritabilità,
alterazioni
del
sonno
e
dell’alimentazione, malattie psicosomatiche).
- I più grandicelli hanno crisi depressive
ed
esprimono verbalmente i timori di abbandono che
manifestano anche con la ricerca a tutti i costi
di accettazione, anche a costo della propria
autonomia.
- In adolescenza soprattutto possono prevalere
sentimenti
ambivalenti
nei
confronti
dei
genitori.
I figli contesi, talvolta, sentono di doversi
difendere da tentativi di strumentalizzazione,
tramite un atteggiamento passivo ed emotivamente
distaccato, o anche con la messa in atto di
comportamenti di fuga o , se c’è senso di colpa,
anche autolesivi.
Le reazioni di fronte alla contesa dei genitori
diventano più complesse
e diversificate quando
nella famiglia vi sono più figli.
Spesso la competizione tra genitori si trasforma in
competizione anche fra fratelli, con sentimenti
reciproci negativi, di ostilità, invidia e gelosia
oppure di accudimento reciproco.
Il dividere i fratelli può essere positivo in certe
situazioni.
In generale, per il superamento del processo di
crisi è necessario che gli adulti aiutino il
bambino a sentirsi sicuro nella nuova situazione,
ma ciò è possibile solo se entrambi i genitori
riescono a non riflettere il loro conflitto sul
rapporto che hanno con il figlio e lo incoraggiano
a mantenere il rapporto con lui sostenendone gli
aspetti positivi.
Sindrome da alienazione genitoriale
(PAS)
La Sindrome di Alienazione Genitoriale (PAS) è stata
definita da Gardner (negli anni ‘80) come un disturbo
psicopatologico che colpisce i figli minori, tipicamente
a seguito di del coinvolgimento in separazioni molto
conflittuali. La PAS è dovuta a due fattori concomitanti:
la programmazione o indottrinamento di un genitore
(alienante) ai danni dell’altro; l’allineamento dei figli
col genitore alienante.
Questi sono personalmente coinvolti in una campagna di
denigrazione - che non ha giustificazione, e non è
sostenuta
da
elementi
realistici
nei
confronti
dell’altro genitore (alienato), che viene odiato fino ad
essere escluso dalla loro vita. Gardner descrive tre tipi
di PAS: lieve, moderato e grave; otto sintomi principali
e quattro criteri diagnostici aggiuntivi.
Sintomi principali della PAS
1. Campagna di denigrazione
2. Razionalizzazioni deboli, superficiali e assurde
per giustificare il biasimo
3. Mancanza di ambivalenza
4. Il fenomeno del pensatore indipendente
5. Appoggio automatico al genitore alienante
6. Assenza di senso di colpa
7. Scenari presi a prestito
8. Estensione dell’ostilità alla famiglia allargata
ed agli amici del genitore alienato.
Criteri diagnostici aggiuntivi
1. Difficoltà di transizione
2. Comportamento durante le visite presso il
genitore denigrato
3. Il legame col genitore alienante
4. Il legame col genitore alienato prima che
intervenisse il processo di alienazione
Criticità al modello di Gardner
- La PAS non è annoverata dal DSM, e molti
sostengono che vada considerata un
disturbo relazionale, non
psicopatologico.
- E’ necessario distinguere i casi di PAS
da quelli in cui c’è stata incuria o
abuso da parte del genitore rifiutato, e
da quelli in cui la preferenza di un
figlio per un genitore è «normale» o
dovuta ad altre cause.
La mediazione familiare*
 Cos’è la Mediazione familiare?
Un servizio pubblico, gratuito, riservato, diffuso su tutto il
territorio provinciale. E' pensato per tutte le coppie con
figli, in via di separazione, separate o divorziate, che
desiderano essere aiutate a ritrovare un dialogo, a giungere
ad accordi nell'interesse del ruolo di genitori e soprattutto
per il benessere dei figli.
 Chi è il Mediatore familiare?
Il mediatore familiare è un terzo imparziale rispetto alla
coppia che ha l'obiettivo di sostenere la coppia stessa
durante la fase della separazione e del divorzio. All'interno
di questo spazio neutrale il mediatore familiare si propone
dunque come una risorsa specifica - alternativa al sistema
giudiziario - volta a favorire la negoziazione di tutte
quelle questioni relative alla separazione o al divorzio. La
coppia è incoraggiata dal mediatore a strutturare gli accordi
che meglio rispondono alle esigenze di tutti i componenti del
nucleo familiare. La coppia diventa protagonista nella
gestione del proprio conflitto ed indirizza le proprie
risorse per trovare un dialogo il più possibile funzionale ai
cambiamenti che si prospettano per tutta la famiglia. Il
mediatore
familiare
affronta
sia
gli
aspetti
emotivi
(affidamento dei figli, continuità genitoriale, comunicazione
della separazione al nucleo familiare, etc.) che quelli più
strettamente materiali (divisione dei beni, assegno di
mantenimento, casa coniugale, etc.).
*http://www.tribunale.trento.giustizia.it
MALTRATTAMENTO E ABUSO
DI MINORI
“
L’abuso o il maltrattamento sull’infanzia
è rappresentato da tutte le forme di
cattivo trattamento fisico e/o affettivo,
abuso sessulae, incuria o trattamento
negligente nonché sfruttamento sessuale o
di altro genere che provocano un danno
reale o potenziale alla salute, alla
sopravvivenza, allo sviluppo o alla
dignità del bambino, nell’ambito di una
relazione di responsabilità, fiducia o
potere”**.
S.Cirillo, P.Di Blasio, La famiglia maltrattante, Raffaello Cortina,
1989
**WHO, World Report on Violence and Health, 2002.
*
Il danno cagionato è in genere tanto
maggiore quanto più:
- Il maltrattamento resta sommerso;
- Il maltrattamento è ripetuto nel tempo;
- La risposta di protezione alla vittima nel suo
contesto familiare o sociale ritarda;
- Il vissuto traumatico resta non espresso o non
elaborato;
- La dipendenza fisica e/o psicologica tra la
vittima e il soggetto maltrattante è forte;
- Il legame tra la vittima e il soggetto
maltrattante è di tipo familiare;
- Lo stadio di sviluppo ed i fattori di
vulnerabilità della vittima favoriscono
un’evoluzione negativa.
Classificazione
 Maltrattamento fisico*: quando i genitori o le persone
legalmente responsabili del minore eseguono o permettono
che si producano lesioni
fisiche, o mettono i bambini in
condizioni di rischiarle. (di grado lieve, moderato,
severo)
 Maltrattamento
psicologico*:
comportamenti
attivi
od
omissivi che vengono giudicati psicologicamente dannosi in
base a principi comuni e a indicazioni tecniche specifiche
(rifiuto,
terrorismo
psicologico,
isolamento,
umiliazione…).
 Patologie delle cure:
 Incuria, quando le cure sono insufficienti (cibo,
igiene, cure mediche);
 discuria, quando le cure vengono fornite in modo non
appropriato;
 Ipercuria, quando le cure dello stato fisico sono
caratterizzate
da
un’eccessiva
e
persistente
medicalizzazione (ad es. Sindrome di Munchausen per
procura).
* Malacrea M., Lorenzini S., Bambini abusati, Cortina, 2001.
 Abuso
sessuale:coinvolgimento
in
pratiche
sessulai di soggetti minori che, per ragioni
di immaturità psico-affettiva e per condizioni
di dipendenza verso gli adulti non sono
ritenuti
in
grado
di
compiere
scelte
consapevoli.
 Abuso
sessuale
intrafamiliare
e
intradomestico;
 Abuso
sessuale
intrafamiliare
extradomestico;
 Abuso sessuale extrafamiliare.
 Violenza assistita: qualsiasi atto di violenza
fisica, verbale, psicologica, sessuale ed
economica compiuta su figure di riferimento o
su altre figure significative, adulte o
minori. Il bambino può farne esperienza
direttamente o indirettamente.
 Sfruttamento sessuale di minori per ottenere
prestazioni o ai fini della produzione di
materiale pornografico.
Il modello di riferimento*
Le manifestazioni di trascuratezza, di
violenza fisica o di abuso sessuale sono
il segno di una patologia che investe
non solo l’individuo, ma il
funzionamento globale della famiglia.
L’obiettivo non è solo la comprensione
delle ragioni dell’abuso, ma la
modificazione dei pattern disfunzionali
su cui la violenza si radica per mettere
la famiglia in condizioni di recuperare
le proprie funzioni di allevamento dei
figli.
* Cirillo S., Di Blasio P., La famiglia maltrattante, Cortina, 1989.
Fattori predisponenti (1), fattori di mediazione(2)
e fattori precipitanti(3) nel MODELLO ECOLOGICO
Per uscire dalla rigida dicotomia
famiglia/individuo è stato adottato il
modello fondato sulla metafora del
gioco.
Tale modello permette di integrare il
livello del funzionamento individuale
con quello delle determinanti
socioambientali, attraverso il livello
intermedio relativo ai pattern
relazionali del gruppo familiare.
La presa in carico quando la famiglia
si presenta spontaneamente
 Se è un congiunto che segnala il
genitore maltrattante è necessario fare
attenzione a non colludere con un
sistema che scinde la famiglia in
“buoni” e “cattivi” alleandosi con il
segnalante.
 Se è il maltrattante che denuncia se
stesso bisogna cercare di capire se
l’autodenuncia rappresenta un messaggio
per un altro membro della famiglia.
Le insidie del contesto spontaneo
Si impone sempre un immediato intervento di
protezione del minore per far cessare l’abuso, in
attesa che venga attivata una presa in carico di
altro tipo (ad es. psicoterapia) che possa
eventualmente rimuovere le cause del
maltrattamento.
E’ necessario dunque segnalare immediatamente alla
Magistratura e mettersi in condizioni di
sicurezza!
La relazione con l’utente maltrattante deve essere
da subito inserita in un contesto che è
contemporaneamente di aiuto e di controllo
(l’utente non si sentirà tradito).
La segnalazione è anche uno strumento di aggancio
poiché inchioda i genitori maltrattanti alle loro
responsabilità, smuovendo la condizione di
stallo.
La presa in carico in situazioni di
coazione
Serie di operazioni in sequenza:
a)Referto e rapporto dei segnalanti
b)Il decreto del Tribunale per i minorenni
e i provvedimenti provvisori
c)Definizione dei compiti e integrazione
tra i servizi
a)
Molti operatori credono di poter risolvere il
problema con procedure informali, quali
colloqui falsamente amichevoli o
paternalistici. Questi metodi non producono
risultati duraturi e spesso peggiorano le
conseguenze sulla vittima. Gli operatori
scolastici, sanitari, socioassistenziali non
devono dimenticare che il proprio ruolo di
pubblici ufficiali impone l’obbligo, nei casi
di reati di violenza sui minori, di denuncia
all’autorità giudiziaria. A volte agire in
questo modo non è facile; si tratta di
individuare modalità d’intervento capaci di
superare da un lato la negazione del problema e
dall’altro la semplice incriminazione del
colpevole.
Il primo passo consiste nel raccogliere
rapidamente elementi sicuri attestanti la
violenza.
b) Dopo la segnalazione in alcuni casi la
magistratura minorile disporrà una prima
indagine da parte dei servizi; in altri
sarà già in grado di adottare delle
misure di protezione dei minori e di
avviare un programma di valutazione
della famiglia.
La magistratura minorile non può
svolgere il proprio compito di tutela
senza l’ausilio dei servizi sociali e
viceversa!
c)Per delineare il complesso e dinamico problema
della violenza in famiglia, è necessario
considerare una costellazione di fattori
giuridici, sanitari, sociali e psicologici. I
diversi operatori si rivelano indispensabili in
virtù della loro specificità a patto, però, che
si possano integrare in un programma unitario che
li comprenda e li valorizzi.
La valutazione della famiglia
Il primo passo è quello di compilare una cartella
familiare, per cominciare ad ipotizzare il “gioco
patologico”. Strumento fondamentale a tal fine è
il genogramma.
La cartella familiare permette di decidere anche
chi invitare al primo colloquio di i
Durante il primo colloquio è necessario chiarire
alcuni elementi:
- Tutti i dati oggettivi attestanti il
maltrattamento,
- Doppia trasparenza nei confronti dell’utente e
del Tribunale,
- Condivisione del provvedimento provvisorio,
- Distinzione tra compiti valutativo-diagnostici e
di controllo.
L’esito diagnostico
 Se la prognosi è positiva si prevede un
riavvicinamento graduale o il reinserimento dei
figli in famiglia. Nei casi in cui si prevedano
tempi di recupero lunghi, una buona soluzione può
essere l’affido.
 Se la prognosi è negativa (da subito o nel corso
del trattamento) è necessario predisporre per i
minori soluzioni alternative alla famiglia
d’origine (adozione o affidamento ai parenti o a
comunità).
Giochi familiari tipici delle famiglie
maltrattanti
1) L’incapacità genitoriale come messaggio: il
genitore maltrattante o più spesso trascurante si
presenta come genericamente incapace di allevare
e accudire la prole, solitamente rappresentata da
uno o più bambini molto piccoli. Il ruolo del
bambino maltrattato può essere considerato
trascurabile e il maltrattamento ha un
significato di richiamo nei confronti di un
congiunto che si dimostra disinteressato al
genitore maltrattante (partner o genitore).
2) Capro espiatorio: l’oggetto del maltrattamento,
più che della trascuratezza, è uno specifico
figlio, mentre gli altri ne risultano indenni. I
bambini maltrattati hanno solitamente almeno 2
anni e rafforzano con il loro comportamento i
meccanismi connessi con lo scatenarsi della
violenza.
Il bambino nel processo del maltrattamento
fisico:
1- Il conflitto di coppia,
2- lo schieramento dei figli,
3- La coalizione attiva del figlio,
4- la strumentalizzazione delle risposte del
bambino.
In ottica psicoanalitica…
…i genitori maltrattanti reagiscono con
rabbia, ansia e ostilità all’angoscia di
perdita e di abbandono. Tale timore ha
radici nelle esperienze passate che
tendono ad essere rievocate dalla
coalizione, vera o presunta, che si crea
tra il partner e il proprio figlio.
Nel dicembre 2002 la Regione Veneto ha
approvato il Progetto Pilota di
prevenzione, contrasto e presa in carico
delle situazioni di maltrattamento,
abuso e sfruttamento sessuale dei minori
che ha previsto l’istituzione dei centri
terapeutico-riabilitativi a livello
provinciale e interprovinciale.
I centri regionali di cura e protezione, dei bambini,
dei ragazzi e delle famiglie



Caratteristiche: Equipe multidisciplinare, carattere diurno.
Destinatari:
- I minori allontanati dalle famiglie per maltrattamento o
in situazione di accertato o sospetto abuso e/o
maltrattamento, sia intra che extra-familiare;
- I genitori per il supporto (in caso di maltrattamento e.f.)
o la diagnosi e l’eventuale presa in carico (maltrattamento
i.f.);
- Gli operatori del territorio e gli insegnanti.
Compiti:
- Validazione e valutazione di situazioni di maltrattamento e
abuso;
- Supporto alla genitorialità disfunzionale;
- Presa in carico educativa, terapeutica e sociale del minore
e della sua famiglia;
- Sostegno ai minori nel percorso giudiziario;
- Lavoro di rete con i servizi territoriali;
- Consuelenza agli operatori per i casi dubbi o complessi.
ADOLESCENTI TRASGRESSIVI*
Trasgressività: caratteristica
universale dell’adolescenza
Espressione di un desiderio di
crescita e autonomia o segnale
di disagio?
* A. Maggiolini, E.Riva, Adolescenti trasgressivi, Franco Angeli, 2003.
Comprendere non è giustificare
 La giustificazione genera
deresponsabilizzazione perché spesso
invoca fattori esterni all’individuo;
 La comprensione dei significati
affettivi cerca le ragioni
soggettive, responsabilizza e aiuta
a trovare risposte adeguate
Per crescere un ragazzo deve mettere
in discussione le regole
interiorizzate nell’infanzia
Le regole assumono forme diverse:
- Abitudini (sonno, cibo, igiene);
- Norme (più esplicita);
- Ideali (si passa dalla norma
imposta ad un proprio sistema di
valori)
Famiglia etica  famiglia affettiva
 Famiglia etica: cinghia di
trasmissione dei valori
sociali, più uniformi e
condivisi
 Famiglia affettiva: più
attenta ai bisogni dei bambini
(orari, controllo
sfinterico,inserimento…)
Le regole solo in parte possono essere
trasmesse con l’insegnamento esplicito
verbale.
Soprattutto dall’adolescenza
fondamentale è l’esempio dato dalle
figure parentali e i conseguenti
processi imitativi ed identificatori.
Col passaggio alla vita adulta si
acquista consapevolezza del valore
intrinseco delle regole, che diviene
più indipendente dalle regole
Per la psicoanalisi è fondamentale:
 Rapporto tra soddisfazione e
frustrazione nella regolazione dei
bisogni primari;
 Acquisizione del controllo e
consapevolezza della distinzione
tra dimensione pubblica e privata;
 Proibizione dell’incesto (padre
come terzo e rappresentante della
norma).
Chiarimenti concettuali…
 Super-Io: istanza psichica interna in
cui sono organizzate le regole familiari
interiorizzate;
 Ideale dell’Io: si costituisce dalla
preadolescenza; istanza che rappresenta
un sistema di valori più personalizzato,
frutto del rimaneggiamento delle
immagini idealizzate di sé e dei
genitori, sia delle norme acquisite.
Deidealizzazione dei genitori 
perdita dell’immagine di Sé infantile
onnipotente
Lo stile educativo attuale porta
all’evitamento della frustrazione e
al prolungamento dell’onnipotenza
infantile
Adolescenti poco preparati al
confronto col mondo esterno
Superamento dipendenza dagli adulti
Nuovi legami con il gruppo dei
pari; nuove regole condivise;
conformismo e contagio
“Adolescenza lunga” e meno
tutelata dagli adulti
(mancanza di riti iniziatici
collettivi)
I fattori di rischio della
delinquenza minorile
 Vulnerabilità individuale (deficit cognitivi,
handicap fisici, disturbi dell’affettività)
 Disagio familiare (perdite, conflitti, rifiuto o
abuso)
 Disagio relazionale (incompatibilità
temperamentali e di personalità tra bambino e
genitore, processi di attribuzione e valutazione)
 Disfunzione dei sistemi di sostegno sociale
(affiliazione a gruppi devianti, difficoltà
economiche, emarginazione sociale).
Meccanismi di giustificazione e di
deresponsabilizzazione (Bandura):
-
Giustificazione morale
Etichettamento eufemistico
Confronto vantaggioso
Dislocazione della responsabilità
Diffusione della responsabilità
Distorsione delle conseguenze
Deumanizzazione della vittima
Attribuzione di colpe alla vittima
I disturbi del comportamento (DSM IV)
 Il disturbo della condotta
 Il disturbo oppositivo provocatorio
 Il disturbo da deficit di attenzione e
iperattività
Dinamica della personalità delinquenziale
Il punto di vista psicodinamico non si basa sulla
descrizione di comportamenti osservabili, ma cerca di
analizzare vissuti ed esperienze soggettive.
- Freud: azione deviante come modo per esteriorizzare i
conflitti interni.
- Bowlby: correlazione tra un attaccamento difettoso o
carente nella relazione madre-bambino e l’indifferenza
affettiva dell’adulto criminale.
- Anna Freud: rapporto tra stili educativi genitoriali
incoerenti e trasgressività.
- Klein: orientamento criminale e sviluppo di un SuperIo eccessivamente rigido.
- Winnicott: tendenza antisociale collegata alla perdita
e alla deprivazione di una relazione affettiva
originariamente positiva.
Mahron distingue diverse tipologie di adolescenti
devianti:
 Minori caratterizzati dall’impulsività nel
ricorso all’azione: il pensiero non media tra
impulso e comportamento motorio.
 Minori in cui sono le problematiche narcisistiche
a dominare la scena: non sono gli impulsi a
innescare il comportamento delinquenziale, ma il
tentativo di raggiungere o mantenere un’immagine
di sé adeguata (consumo di sostanze, furto di
oggetti)
 Minori in cui sono i vissuti depressivi a
determinare il comportamento deviante
(“delinquenti per senso di colpa” che agiscono
per essere puniti)
 Minori passivi, privi di carica vitale, che
delinquono per sentirsi vivi.
Per Charmet la famiglia interna del giovane
deviante sarebbe caratterizzata
dall’interiorizzazione di una figura materna
depressa, immatura e priva di competenze
educative, che chiede al figlio di consolarla e
vendicarla dei soprusi subiti dagli uomini, e da
una figura paterna assente affettivamente ed
educativamente, spesso violenta, comunque ostile
alla crescita del figlio maschio rivale. L’azione
delittuosa ha lo scopo di rinsaldare il legame di
gruppo, mitigare la profonda disperazione per la
perdita della speranza di uscire indenni dal
labirinto di una crescita bloccata.
Caso di Andrea a pag. 45
Significati affettivi dei comportamenti
trasgressivi
 Mentire: per esibire o per nascondere parti di
sé; gli interlocutori possono cambiare. L’uso
della bugia in adolescenza può essere considerato
come una fisiologica difficoltà di integrazioni
di diversi aspetti di sé, in una fase in cui i
mondi relazionali non sono ancora integrati tra
loro. Saper mentire è l’espressione iniziale
della capacità di tollerare segreto. L’uso
sistematico della bugia in ogni ambito
relazionale può essere sintomo di un “falso sé”,
per cui è l’intera personalità ad essere
falsificata.

Rubare: nei primi furti prevale il desiderio di essere
più che il bisogno di avere; dopo si aggiungono
vantaggi secondari, che finiscono per divenire più
importanti dei motivi inconsci. Spesso le emozioni che
precedono il furto sono la noia e la tristezza, più
che la rabbia e l’aggressività. Cruciale è anche la
questione della dipendenza: dover chiedere viene
vissuto come umiliante conferma della dipendenza
infantile, che il furto cerca di negare ed annullare.
Rubare con scaltrezza può conferire un sentimento di
potenza. Il furto femminile viene solitamente
considerato un segreto intimo, mentre il furto
maschile è esibito per affermare la virilità nascente.
Se il furto è connesso alla dipendenza, esso è
strumentale, mezzo per raggiungere il fine (droga,
situazioni o oggetti irrinunciabili).Nelle situazioni
in cui al furto non segue il consumo ma la rivendita,
si esce dall’ambito dell’agito per entrare in un
circuito più elaborato e cosciente, in cui la
violazione della legge è rivolta ad uno scopo
conveniente.

Aggredire: i maschi lottano o simulano la lotta; le
femmine si attaccano verbalmente, spesso con insulti
che riguardano l’area della sessualità. Oggi forme
socialmente ritualizzate di organizzazione
dell’aggressività virile si trovano soprattutto
nell’agonismo sportivo (in campo e sugli spalti). Da
un punto di vista psicologico l’aggressività può
essere considerata in vario modo:una risposta alle
frustrazioni, una reazione alla paura, il risultato
dell’identificazione con un ideale, oppure il bisogno
di differenziazione nell’ambito di una relazione
simbiotica.




Aggressioni ai genitori tematiche di separazione
Aggressività a scuola  riconoscimento mancato
Risse coi coetanei  affermare la virilità
Aggressioni ai diversi  tematiche persecutorie
Le tematiche spesso si sovrappongono.
(Caso di Lucio pag.73)

Distruggere: attraverso il comportamento distruttivo
gli adolescenti intendono segnalare di esistere (anche
negli adulti “mitomani”), in risposta ad un sentimento
di noia e di vuoto profondo. I danneggiamenti
scolastici più diffusi nella scuola superiore.




Sporcare per trascuratezza
Rompere per protesta
Scrivere per esprimere e comunicare (amore, politica…)
L’eccitamento di gruppo
Mentre la motivazione occasionale è esibizionistica o
aggressiva, quelle più profonde rimandano a:
 Mancanza di senso di appartenenza, vissuto di abbandono e
di svalorizzazione
 Frustrazione e rabbia in seguito ad ingiustizie
 Espressione di bisogni pulsionali, espressivi e
competitivi
L’adolescente che distrugge i propri oggetti quando è
infuriato con i genitori perché non riesce a separarsi
psicologicamente da loro, aggredisce se stesso e loro
fusi con lui, e insieme si punisce per l’incapacità di
rendersi autonomo.
(Caso di Angelo pag.82)
 Violentare.
Il desiderio dei genitori di differenziarsi dalle
precedenti generazioni abolendo i tabù sessuali
porta ad una maggiore comunicazione sulla
sessualità in famiglia, non accompagnata però da
un idoneo linguaggio affettivo. In alcuni casi la
barriera dell’intimità tra genitori e figli
stenta a costituirsi: l’imbarazzo a parlare di
sessualità tra genitori, fondata sul divieto
dell’incesto, serve a proteggere da eccessi di
confusione.
I comportamenti sessuali precoci nelle adolescenti
tendono ad avere lo stesso significato dei
comportamenti devianti maschili: difficoltà nella
gestione dell’impulsività che spesso deriva da
carenze affettive precoci (fame di relazione,
fuga in avanti, richieste di conferma…).
L’aggressione sessuale che coinvolge adolescenti può
essere diversamente caratterizzata:
- Immaturità e ritiro sociale, sessualità infantile che si
ritrova in un corpo da grande (isolata, nascosta,
esercitata singolarmente, a volte omosessuale o agita su
bambini).A volte c’è ritardo mentale (Carlo pag.90).
- Il tentativo di liberare un’identità sessuale sequestrata
all’interno di una relazione materna che non vi dà
accesso o di una figura paterna con cui non ci si può
identificare (Ivan pag.91).
- Celebrazione della nascita sessuale dei singoli
all’interno di un gruppo, fatta di impulsività ed
eccitamento (pag.93)
N.B. Mentre dal punto di vista legale l’azione di gruppo
accentua la gravità dei fatti, da un punto di vista
psicologico l’agire in gruppo è espressione delle
debolezze individuali più che della forza collettiva!
 Spacciare
I motivi soggettivi addotti a giustificazione di
sostanze:
- Bisogno di appartenenza
- Far fronte a difficoltà emotive, come la scarsa
tolleranza del dolore psichico
- Cultura dello sballo
- Espressione della creatività (anni ’70)
- Aggressività conseguente ai conflitti familiari
Il piccolo spaccio è spesso un’estensione del
consumo e viene inteso come condivisione tra
amici ( chi si procura la sostanza acquisisce
prestigio)
In alcuni casi (Marco pag.104) lo spaccio si
colloca all’interno della cultura giovanile,
coniugandosi con il disagio personale e sociale.
In altri casi lo spaccio avviene in contesti
sociali non disagiati, in cui sono le aspettative
dei genitori che portano l’adolescente a cercare
percorsi alternativi (Filippo pag.105)
 I reati di gruppo: ancora incapaci di una morale
autonoma gli adolescenti utilizzano il gruppo
come riferimento normativo. Sottrarsi alle
proposte del gruppo può risultare molto
difficile. La consapevolezza della gravità del
comportamento deviante è spesso molto bassa. In
un clima di noia, di vuoto, nasce l’idea di
un’azione in cui sembra potersi magicamente
avverare una fantasia che accomuna i membri del
gruppo(aggressione di adulti degradati,
l’espropriazione di coetanei con più
possibilità…)Sono ragazzi che non si esprimono
simbolicamente, né attraverso i canali
riconosciuti (musica, scrittura, graffiti…). Il
loro linguaggio è quello dell’azione.
Le risposte degli adulti alla trasgressione
giovanile
E’ importante che gli adulti che si occupano di
adolescenti capiscano che il comportamento
trasgressivo è una forma di comunicazione ai cui
fornire delle risposte.
Il significato che gli adulti attribuiscono al
comportamento degli adolescenti può contribuire a
rinforzarlo (a volte l’intervento penale è
iatrogeno).
Le logiche attraverso le quali gli adulti possono
rispondere sono:
-
Logica
Logica
Logica
Logica
di controllo e sanzione (sistema penale)
sociale (servizi socio assistenziali)
educativa (famiglia e scuola)
terapeutica
Ogni logica presenta delle controindicazioni…
- Logica sociale  deresponsabilizzazione
- Logica terapeutica  non sempre c’è un disturbo
di personalità, e quando c’è richiede interventi
molto lunghi
- Logica educativa  spesso non affronta il nucleo
della trasgressività
- Logica di controllo e sanzione  può essere
iatrogena
L’integrazione delle logiche, dei sistemi e delle
professionalità appare tanto più indispensabile
quanto più gravi sono i comportamenti da
affrontare
La funzione parentale: controllare e
proteggere
La combinazione di funzione di attaccamento e
funzione normativa dà vita a diversi stili
educativi:
-
Stile
Stile
Stile
Stile
autoritario
indulgente
trascurante
autorevole
Una buona integrazione fra funzioni affettive ed
etico-normative ha maggiori probabilità di
garantire un equilibrio tra un’immagine positiva
di sé e un’immagine positiva degli altri.
Evitare il conflitto è comunque impossibile in
adolescenza!
La risposta educativa: perdonare o punire
Per la prevenzione educativa dei comportamenti
trasgressivi:
- Combinazione di diversi stili educativi
- Intervento immediato accompagnato da un intervento più
strategico
- La sola punizione innesca circoli viziosi
- Profonda empatia con chi commette trasgressioni
- Dimensione soggettiva della valutazione dei
comportamenti
- Non pretendere di incarnare la legge
- Favorire fin dall’infanzia la socializzazione extrafamiliare
- Se la situazione è grave, chiedere aiuto
- Counseling individuale o familiare
L’inserimento in comunità
E’ anche una misura prevista dal codice penale minorile
nei casi in cui il contenimento familiare non
garantisce un contesto affettivo ed educativo
sufficientemente buono, che funga da fattore
protettivo alla messa in atto di comportamenti
delinquenziali.
A volte gli operatori, travolti dall’urgenza, scelgono le
strutture disponibili, senza valutare la reale
corrispondenza con i bisogni del ragazzo.
Le comunità per adolescenti sono nate in Italia negli
anni ’70 per rispondere alla dilagante
tossicodipendenza. Tali strutture propongono un
contesto in cui viene favorita la dipendenza dal
gruppo  controindicato per i minori devianti, per i
quali sono meglio contesti caratterizzati da regole
chiare e riferimenti adulti significativi, da un
sostegno allo sviluppo di un’immagine positiva di sé
su cui fondare il reinserimento sociale.
Spesso i ragazzi devianti rifiutano la comunità e
preferiscono il carcere, poiché questo fornisce un
etichettamento facile, mentre il lavoro comunitario
richiede un faticoso percorso di crescita.
Inoltre alcuni vivono la comunità come un ambiente che
infantilizza e il carcere come un luogo che rafforza
(gli aspetti devianti e pseudo-adulti del sé). Alcuni
preferiscono dipendere dalla norma rigida del carcere,
a cui sono costretti ad aderire, piuttosto che
dipendere dalle relazioni.
Altri preferiscono il carcere per sostenere le competenze
educative dei genitori.
E’ importante scegliere la comunità più adatta
considerandone il modello d’intervento e l’ideologia
affettiva (maternalizzata, paternalizzata o che usa
le relazioni come sostegno alla crescita)
A volte le permanenze in comunità si concludono con fughe
o espulsioni  leggere il significato affettivo!
L’intervento penale
La separazione dal contesto evolutivo e
l’isolamento si sono dimostrati spesso inutili o
controproducenti nei confronti dei minori
Il nuovo codice di p.p. minorile tenta di
conciliare la necessità di fornire una risposta
all’atto trasgressivo, con l’esigenza di
proteggere il percorso evolutivo dell’adolescente
dall’impatto con il sistema penale stesso,
evitandogli per quanto possibile sradicamenti
dalle realtà affettive primarie e dal contesto
naturale di socializzazione, e salvaguardandone
le esigenze educative e di sviluppo.
Dopo una più o meno lunga serie di trasgressioni rimaste
senza risposta ( onnipotenza e vissuti abbandonici)
può accadere che il ragazzo venga fermato e condotto
al CPA in cui viene accolto da operatori psicosociali.
L’arresto evidenzia l’esistenza di un parere degli adulti
sul reato e ciò rompe l’univocità del punto di vista
della banda. Il ragazzo viene indotto a riflettere.
All’arresto in CPA può seguire un provvedimento di
custodia cautelare a cui il ragazzo può reagire in
modo diverso:
- Risposta depressiva con richiesta d’attenzione e sostegno
da parte degli adulti (ragazzi provenienti da famiglie
deprivanti);
- “Tengono” in carcere ma “deludono” una volta usciti
poiché non hanno interiorizzato le acquisizioni.
- Mettono alla prova la loro leadership organizzando
alleanze, in linea con la cultura carceraria adulta.
La permanenza a casa può essere vissuta dall’adolescente
in modo ambivalente: da una parte il sollievo per
l’evitamento del carcere, dall’altra il disagio di una
relazione stretta e costretta con i genitori (impatto
antievolutivo  reazioni d’ansia e panico)
La messa alla prova, principale innovazione del nuovo
codice di p.p., consiste nella formulazione di un
programma che l’adolescente contribuisce a costruire a
partire dall’ammissione della propria colpevolezza.
Esito positivo  estinzione del reato, esito negativo
 processo al punto di partenza.
E’ lo sfondo di un progetto psicopedagogico che può
essere realizzato con strumenti diversi. Non inibisce
le azioni ma sostiene in modo individualizzato
l’inserimento sociale e la responsabilizzazione
dell’adoelscente. (Mauro pag.163)
La psicoterapia di adolescenti con disturbi
del comportamento
Particolarmente indicato è un intervento
psicologico finalizzato all’individuazione del
significato simbolico sotteso ai comportamenti
trasgressivi.
Un intervento integrato psicologico ed educativo è
ottimale!
In ambito penale richiede la collaborazione di
diverse figure professionali: psicologo,
assistente sociale, educatore e giudice, che
insieme rappresentano la funzione adulta.
MINORI STRANIERI*
«…le famiglie di oggi non sono più quelle di ieri e
quelle di domani lo saranno ancora meno. I nostri
bambini non si trovano più la stessa struttura, le
stesse basi, gli stessi elementi per costruire se
stessi…Vivono l’esperienza della mescolanza e della
molteplicità. Ormai un bambino può nascere in una
famiglia dove i genitori sono solamente due uomini,
due donne o un solo genitore. Può nascere in una
famiglia e crescere in un’altra, ma può anche
passare da una famiglia all’altra o essere affidato
a un altro membro della famiglia. Un bambino può
essere figlio di genitori migranti, di coppie miste
o un minore non accompagnato che arriva in Europa
clandestinamente…»
*- M.R.Moro, I nostri bambini domani. Per una società multiculturale, Franco Angeli, 2011.
- Strategie per l’accoglienza. L’affidamento omoculturale di bambini e ragazzi in EmiliaRomagna. Quaderno 17.
- Materiale gentilmente concesso dalla dott.ssa Nives Martini
Con
uno
sguardo
antropologico
tutti
ingredienti sono culturali, non naturali…
questi
Cultura = un sistema di interpretazioni, complesso
e sublime, che esclude che ve ne sia una sola
possibile; non è mai uno strumento di misura
oggettivo.
Superamento dell’atteggiamento etnocentrico tipico
della nostra cultura…
Diversi tipi di viaggio:
- migrazioni interne
- migrazioni esterne
- rotture senza cambio di luogo (guerre, catastrofi
naturali).
Ragioni per cui si migra:
- motivi politici
- motivi economici
- la ricerca del meglio
Ogni migrazione è potenzialmente traumatica, nel
senso che porterà alla riorganizzazione difensiva,
adattiva e strutturante.
Fattori
sociali
sfavorevoli,
sia
nel
paese
d’origine sia in quello ospitante, sono fattori
aggravanti, così come la modalità d’accoglienza nel
nuovo territorio…
Una
migrazione
racchiude
anche
potenzialità
creatrici; da qui la necessità di identificare i
fattori che permettono di gestire il rischio legato
alla
condizione
di
transculturalità
e
di
trasformarlo in carte vincenti per l’individuo e
per le società.
Le fasi della migrazione
La
migrazione, nei suoi aspetti progettuali e di
realizzazione,
si
inserisce
all’interno
di
una
dimensione
familiare
(e
collettiva),
sia
per
realizzare la partenza, sia per finanziare il
viaggio, sia per i contatti nel Paese d’arrivo.
 Le pre-condizioni (un progetto lontano, un evento);
 Il progetto concreto: la decisione (chi può/chi deve
partire);
 La partenza e il viaggio (i saluti, gli addii,
l’organizzazione);
 L’arrivo e il primo insediamento (chi accoglie?);
 La sistemazione e l’adattamento (i costi della
migrazione, nostalgia e nuove strategie identitarie);
 Il ritorno (“..non si torna mai, si parte sempre!)
Altre variabili significative…











Motivi della migrazione
Area geografica di partenza e di arrivo
Consenso/non consenso della famiglia
Divisione/non divisione della famiglia in
emigrazione
Presenza/assenza di connazionali
Durata della permanenza
Politiche migratorie del paese di accoglienza
Età di partenza
Atteggiamento della popolazione locale nei
confronti degli immigrati
Sentimenti personali prima, dopo, durante la
partenza
Personali capacità di interagire nei confronti
delle difficoltà
Bambini di qui venuti da altrove…




Bambini nati in Italia da genitori stranieri
Bambini/ragazzi ricongiunti (migranti)
Ragazzi non accompagnati (minori “senza”)
Bambini/ragazzi profughi/rifugiati
 Bambini arrivati in Italia per adozione
internazionale
 Figli di coppia mista
Elementi di vulnerabilità
Bambini migranti (“ricongiunti”)
 Vissuto di sradicamento
 Riorientamento spaziale, temporale, affettivo
 Distacco dalle figure affettive di riferimento
(nonni, zii, cugini, fratelli..)
 Necessità di riallacciare legami affettivi con
il/i genitore/i emigrato/i in precedenza
 Discrepanza tra aspettative e impatto con la
realtà
Figli d’immigrati: la 2°generazione
 Isolamento e solitudine delle neo-madri (mancanza
reti d’aiuto femminili)
 Minori controlli ed esami durante la gravidanza
 Appartenenza ad un nucleo familiare
monogenitoriale
 Problemi di cura, custodia e accudimento (fascia
0-3 anni)
 Rischio di separazione dalla madre
 Rischio di “pendolarismo”tra i due paesi
Minori stranieri non accompagnati
 Perdita dei riferimenti affettivi, del ruolo
educativo della famiglia, del controllo sociale
 Rischio di devianza e marginalità
 Frequente mobilità sul territorio nazionale
 Necessità di produrre reddito immediato
 Diffidenza dei nativi e isolamento sociale
 Irregolarità giuridica
Bambini profughi
 Vissuto traumatico dovuto alle condizioni di vita
nel paese d’origine
 Condizioni di viaggio e d’arrivo spesso
drammatiche
 Famiglia “spezzata”
 Cambiamento improvviso, discontinuità rispetto al
passato
 Incertezza e provvisorietà rispetto al futuro
 Vissuto di isolamento e solitudine
 Frequente mobilità sul territorio nazionale o
transnazionale
Rischio transculturale
 Atteggiamento di ambivalenza dei genitori nei
confronti della migrazione (qui/là);
 Impossibilità di presentare al figlio il mondo
“in piccole dosi”;
 Difficoltà nello svolgere il ruolo di guida;
 Richieste
contraddittorie
(buona
riuscita
scolastica/mantenimento della tradizione);
 Esposizione a categorizzazioni negative rispetto
alle proprie origini.
VULNERABILITA’:
periodi critici e fattori protettivi
 Primi anni di vita (effetto protettivo
nel mantenimento di alcuni patterns
culturali)
 Età scolare (effetto protettivo del
bilinguismo aggiuntivo)
 Adolescenza (strategie di meticciamento)
Interazioni distali e prossimali in
puericultura…
- In
Occidente
prevale
l’interazione
distale
(«mondo a culla»); vengono valorizzati gli scambi
uditivi e visivi a discapito di altri registri…Ai
bambini viene insegnato molto presto a stare da
soli. Importante è la separazione del bambino
dalla madre con cui è in simbiosi.
- Altrove prevale un’interazione prossimale («mondo
senza culla»): i neonati sono guardati poco (aïn
in Maghreb) ma si valorizza il registro corporeo,
cinestetico (massaggi vigorosi…), olfattivo e
gustativo (neonati al curry o al peperoncino). I
neonati dormono con la propria madre e vengono
allattati a richiesta. Il bambino proviene dal
mondo degli antenati, degli dei…e va umanizzato
dalla madre.
Tre dimensioni per comprendere i genitori
venuti da altrove:
 Rappresentazioni
ontologiche,
a
priori,
del
bambino e di ciò che è una madre e un padre.
Nella migrazione conviveranno le rappresentazioni
portate
dai
genitori
e
quelle
del
paese
d’accoglienza.
 Significato attribuito a ciò che accade ad un
bambino nel quotidiano (soprattutto disfunzioni,
sofferenze…)  Teorie eziologiche specifiche di
un tempo e di un luogo, tramandate da una
generazione all’altra (es. jinn)
 Il fare: vi sono mille modi di fare coerenti con
il modo di pensare e di attribuire un significato
a ciò che capita ai bambini. Il fare si lega alla
matrice
ontologica
ed
eziologica
(imporre
consigli è inutile!)
Importanza della lingua madre…
 I bambini figli di migranti che riescono bene a
scuola hanno tutti una buona stima della propria
lingua materna e il 75% di loro è bilingue 
Importanza della prima lingua come supporto per
una buona stima di sé sul piano linguistico e per
la propria identità.
 Presenza di un traghettatore
Per Winnicott ci sono tre tipi di atti nelle cure al
bambino:
 Holding (contenimento, anche culturale);
 Handling (manipolazione e cura tramite i vari
registri sensoriali);
 Object-presenting: «presentare il mondo a piccole
dosi».
Quest’ultimo atto è minacciato dalla migrazione. Se
i genitori non riescono a mostrare al bambino il
mondo a piccole dosi, questo lo incontra tutti i
giorni in modo traumatico.
A volte i figli arrivano a conoscere il mondo
meglio dei genitori  inversione di ruoli e falsa
autonomia
In condizioni di meticciato vanno tenuti presenti
questi fattori:




Vulnerabilità
Competenza
Resilienza
creatività
I minori stranieri non accompagnati*
La definizione di “minore straniero non accompagnato” a
livello legislativo recita:
«Per minore straniero non accompagnato si intende il
minorenne non avente cittadinanza italiana o di altri
stati dell’Unione Europea che, non avendo presentato
domanda d’asilo, si trova per qualsiasi causa nel
territorio
dello
Stato
privo
di
assistenza
e
rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti
per lui legalmente responsabili in base alle leggi
vigenti nell’ordinamento italiano».
Oltre ai minori completamente soli, dunque, rientrano in
tale definizione anche i minori che vivono con adulti
diversi dai genitori, che non ne siano tutori o affidatari
in base a un provvedimento formale, in quanto questi
minori sono comunque privi di rappresentanza
legale in base alla legge italiana».
*I minori stranieri non accompagnati. Problematicità educative e prospettive d’intervento in
un’ottica interculturale a cura di Ivana Bolognesi, Laura Corazza in
Strategie per l’accoglienza. L’affidamento omoculturale di bambini
Romagna. Quaderno 17.
e
ragazzi
in
Emilia-
La definizione di minore straniero non accompagnato
non coincide con quella di minore in stato di
abbandono:
infatti,
un
minore
straniero
non
accompagnato può tuttavia non versare in stato di
abbandono perché, ad esempio, accolto da familiari
entro il quarto grado che però non sono i suoi
rappresentanti legali.
Tipologie di m.s.n.a. presenti sul territorio
italiano:
a) i minori non accompagnati richiedenti asilo, o minori per i
quali sono richieste misure di protezione per motivi umanitari.
A questi soggetti dovrebbe essere applicata una procedura
specifica, che per ora in Italia non si attua a causa della
mancanza di una legge sull’asilo politico;
b) i minori non accompagnati che giungono in Italia per
ricongiungersi con i propri genitori. Questi ultimi però spesso
non hanno i requisiti per poter avviare un ricongiungimento
familiare regolare;
c) i minori non accompagnati sfruttati dal racket, per traffici
illeciti come prostituzione, accattonaggio, lavoro minorile,
trasporto e spaccio di stupefacenti. I minori vengono a volte
rapiti, altre volte partono con il consenso delle famiglie.
Sfortunatamente questa è una realtà abbastanza diffusa. In
questi casi si adottano in Italia delle misure specifiche di
“protezione sociale”;
d) i minori migranti “economici”, provenienti dall’Albania, dal
Marocco e dalla Romania. Arrivano in Italia attraverso la rete
dei trafficanti della malavita organizzata per cercare
lavoro e guadagni, spesso con il consenso delle stesse famiglie.
Approcci differenti:
- Approccio espulsionista basato sulla convinzione che
la famiglia d’origine sia sempre e comunque
terapeutica:
- Moderato (rimpatrio assistito);
- Espulsionista.
- Approccio incorporazionista: favorire le aspettative
del ragazzo e la sua crescita e attivare un processo
di inserimento socio-economico e culturale. In alcuni
casi si favorisce anche la ricomposizione del nucleo
familiare nel contesto d’insediamento prescelto.
- Approccio adozionista: si basa sulla convinzione che,
se
non
si
possono
espatriare
i
ragazzi
e
ricongiungerli
nel
proprio
nucleo
familiare
originario,
diventa
pedagogicamente
necessario
affidarli a famiglie italiane.
- Approccio intermedio: valorizzare e facilitare le
esperienze differenti dalla nostra affinché le
nostre forme culturali e le loro siano negoziate e
armonizzate.  integrazione interattiva anziché
assimilativa.
Posizione
che
pone
al
centro
l’interesse del minore e i suoi desideri, sia che
essi consistano nel ritornare a casa, sia che essi
si fondino su un voler rimanere e implementare il
suo progetto di migrazione. In effetti, ci possono
essere situazioni in cui è molto meglio per il
ragazzo il rimpatrio e situazioni in cui esso
avrebbe conseguenze disastrose e, per questo, la
soluzione migliore sarebbe inserire il ragazzo in
un percorso di formazione nel paese di arrivo,
ricongiungendo se necessario il nucleo familiare.
In questi casi sono necessarie strutture che
operino
nell’ottica
della
cooperazione
internazionale cercando soluzioni compatibili e
collaborando con i servizi nazionali.
Nella ricerca d’identità il m.s.n.a. può mettere in
atto differenti atteggiamenti nei confronti della
società ospitante:
 «Resistenza culturale» (chiusura rispetto alle
altre etnie);
 Completo adeguamento e assimilazione alla cultura
del Paese d’accoglienza;
 «alternanza dell’identità»: il minore si adatta
per molti aspetti alla vita del gruppo di
maggioranza pur mantenendo i tratti della cultura
d’origine.
 Marginalizzazione
(di
frustrazione
o
di
passaggio): non si è più pienamente parte della
cultura e delle tradizioni del proprio Paese di
origine, ma nello stesso tempo non si è parte
della cultura e delle tradizioni del Paese
accogliente.
L’approccio interculturale dei servizi: linee guida
L’approccio interculturale dovrebbe partire:
- dal riconoscimento di un cambiamento che caratterizza di fatto
la nostra società e dalla convinzione che il cambiamento non sia
solo inevitabile, e debba essere in
qualche modo subito, ma ci coinvolga e ci chiami ad essere
soggetti attivi;
- dal presupposto che il cambiamento, se assunto consapevolmente
e affrontato con competenza, sia un fatto che schiude delle
potenzialità di evoluzione della nostra
identità, arricchendo i nostri punto di vista sul mondo e
permettendoci di comprendere meglio una complessità culturale,
sociale, che costituirà il nostro futuro.
Si tratta quindi di sviluppare “un atteggiamento critico che
permetta di decentrarsi rispetto al proprio punto di vista per
sforzarsi di acquisire un etnocentrismo critico: la coscienza
cioè della propria identità in dialogo e in interazione con le
altre
culture”.
Si
tratta
quindi
di
superare
sia
gli
atteggiamenti di assimilazione, attraverso cui si assorbono le
altre culture attraverso la propria cultura, sia la convivenza
statica delle culture, rispettate come “uguali” ma anche
cristallizzate e rese impermeabili l’una all’altra. Un dialogo
interculturale è invece un progetto dinamico di incontro e di
cambiamento per la costruzione di una nuova identità.
Un servizio per tutti, un servizio per ciascuno
E’ necessario rivedere il proprio lavoro:
- coinvolgendo in prima persona gli operatori, nello sforzo di
verificare o cambiare il proprio punto di vista.
- connotandosi come servizio innovativo nelle risposte e nelle
modalità di azione.
Lavorare in un contesto multietnico in prospettiva
interculturale rende necessarie delle attenzioni specifiche:
- nella comunicazione con le persone (verbale e non verbale):
ciò che posso presumere sia “chiaro” o scontato per un utente
italiano può non esserlo per un utente straniero, non solo dal
punto di vista linguistico, ma “culturale”, e magari anche nel
suo aspetto di comunicazione non verbale…(silenzio, sguardo
rivolto verso il basso, sguardo diretto, stretta di mano…);
- nella comprensione/definizione del progetto e della storia di
migrazione del singolo, della coppia, della famiglia, del
minore: per la comprensione dei bisogni e per elaborare una
soluzione, occorre “fare i conti” con i progetti, a breve, lunga
scadenza che possono comprendere il periodo da passare in
Italia, il rapporto con la famiglia rimasta nel paese d’origine,
il cambiamento di ruoli e di compiti nella migrazione…;
- nell’attenzione alle culture e alle storie personali:
sapendo
riconoscere
comportamenti
che
nascono
da
differenti modi di concepire il rapporto con il corpo,
con il tempo, con l’autorità, con l’altro sesso…ma che
sono anche propri dell’identità e del percorso di una
persona. Occorre evitare una sopravvalutazione o una
sottovalutazione della differenza culturale;
- nella capacità di lavorare in rete con altri servizi e
realtà del territorio: vale anche per gli utenti
italiani, ma in particolare per gli stranieri, molti dei
quali tendono ad essere utenti multiproblematici: il
problema di un minore straniero, raramente è il problema
di un minore straniero nel rapporto con i genitori, ma è
il problema del lavoro dei genitori, della casa, del
contesto della famiglia allargata, del permesso di
soggiorno…: questo richiede a maggior ragione conoscenza,
collaborazione e coordinamento tra i servizi;
- nella capacità di lavorare con un territorio e con la
comunità
che
vi
abita.
Lavorare
in
dimensione
interculturale implica il riconoscimento anche del ruolo
della società italiana intorno a noi e dell’importanza di
un dialogo con essa;
- nella ricerca di soluzioni “creative” dei problemi e
della capacità di negoziazione: lavorando con gli
stranieri ci si scontra con pregiudizi, nostri e degli
altri,
stereotipi
che
danno
origine
a
“incidenti
interculturali”.
Sperimentiamo
lo
“spiazzamento”
di
fronte a reazione inaspettate da parte nostra e degli
altri. Spesso la risposta ai problemi ci chiede capacità
innovativa, creativa che nasce dallo sforzo di mettersi
da un altro punto di vista (esercizio non facile...);
- nella flessibilità: disponibilità a interrogarsi a
modalità di funzionamento al servizio più accessibili ad
una determinata utenza, a prevedere una gradualità nel
percorso;
- a partire dall’acquisizione di nuove conoscenze:
normative, sociologiche, antropologiche: per acquisire
consapevolezza di noi stessi, dei fenomeni che avvengono
attorno a noi, dei “paletti” in cui siamo costretti a
muoverci.
Migrazione ed adolescenza: la doppia crisi*
Quando ai cambiamenti indotti dalla migrazione si sovrappongono
i cambiamenti dovuti al passaggio da un’età all’altra della vita
i rischi dell’uno e la vulnerabilità specifica dell’altro
possono determinare gravi scompensi nella persona e sfociare
nella psicopatologia.
L’adolescenza, non v’è dubbio, è l’età migliore o peggiore per
ogni tipo di esperienza, ma non si deve dimenticare che in
questo periodo della vita il problema principale è la ricerca e
il consolidamento del sentimento di identità: se in esso si
introduce un evento come l’emigrazione, per sua natura
destabilizzante, tale sentimento può esserne profondamente
turbato.
Alla base dei diversi tipi di migrazione vi è comunque un
elemento comune, individuabile nell’alterazione dell’equilibrio
precedentemente raggiunto. Da una situazione di sicurezza, di
noto, di conosciuto (non necessariamente positivo o gradevole)
il migrante passa ad una situazione in cui tutto è ignoto,
sconosciuto.
*A cura di Nives Martini in Strategie per l’accoglienza. L’affidamento omoculturale di bambini e
ragazzi in Emilia-Romagna. Quaderno 17.
L’aspetto più colpito in emigrazione è il senso di appartenenza,
poiché tutto l’ambiente circostante è sconosciuto, e lo stesso
migrante è sconosciuto all’ambiente che lo circonda. La perdita
del ruolo all’interno della propria comunità, come membro del
gruppo familiare (padre,figlio, fratello,…), sociale o amicale,
suscita vissuti di “non appartenenza” che possono arrivare a
mettere in dubbio la stessa esistenza.
La migrazione è un’esperienza di traumi cumulativi, il cui esito
potrà essere “catastrofico” se il soggetto si lascerà sopraffare
dagli eventi in causa, oppure, al contrario, di “rinascita”, un
vero e proprio arricchimento, in cui vecchio e nuovo potranno
integrarsi.
Migrazione come metafora dello sviluppo umano.
Il procedere da una fase all’altra della vita - da bambino ad
adolescente, da adulto a vecchio - è caratterizzato da fasi di
transizione in cui le certezze devono essere abbandonate e
devono essere assunte nuove competenze; ciò costituisce per ogni
individuo un’occasione di crescita e al tempo stesso una
minaccia, comportando di per sé una maggior vulnerabilità
psicopatologica.
Quando la “rottura” con il mondo esterno avviene durante
l’adolescenza, il lutto per quanto si è lasciato si
innesta con una fase della vita di per sé caratterizzata
dai cambiamenti e dagli abbandoni; la perdita della
propria casa, della “terra madre”, della famiglia, è
complicata dall’abbandono della posizione infantile e
della non ancora raggiunta maturità. L’adolescente si
trova nella singolare situazione di sentirsi doppiamente
straniero: rispetto al mondo esterno e rispetto a se
stesso. “La presunzione che i ragazzi manifestano di
essere adulti e maturi, presunzione che viene loro
dall’aver compiuto un viaggio importante ed affrontato
tante traversie da soli nonché, forse, dalla cultura di
appartenenza, che riconosce loro più precocemente la
condizione di adulto, si scontra di fatto con una
maturità affettiva che abbisogna ancora del supporto
degli adulti per modulare il movimento ancora incompiuto
verso l’indipendenza, caratterizzato dall’oscillazione
tra spinte in avanti e regressioni” .
L’adolescente immigrato e solo avrà quindi la necessità, per
poter completare in modo sufficientemente armonioso la propria
crescita, di essere sostenuto, curato e guidato da adulti che
sappiano contenere la sofferenza psichica del ragazzo e che
siano in grado di presentargli il mondo esterno “a piccole dosi”
(Winnicott, ’88).
Quando la funzione di accogliere e ricevere i nuovi arrivati è
assicurata da familiari o gruppi di connazionali già stabiliti
nel nuovo Paese vi è la possibilità di esporsi al cambiamento in
modo meno traumatico, poiché al contempo viene mantenuto uno
spazio in continuità con ciò che si è lasciato. Se i
connazionali adulti non sono loro stessi dei neo-arrivati, ma
hanno raggiunto una sufficiente stabilità interiore e una
soddisfacente
collocazione
sociale,
possono
svolgere
una
funzione di sostegno indispensabile al minore
straniero non accompagnato.
ADOZIONE E AFFIDO*
Quali differenze?
* C.A.M. , Nuove sfide per l’affido. Teorie e prassi, Franco Angeli, 2012.(cap. 1-8)
L’intervento tutelante dovrebbe avere due
finalità:
 Salvaguardare il diritto fondamentale di ogni
bambino di essere cresciuto ed educato dai suoi
genitori;
 Prendersi cura dei legami familiari, feriti o
compromessi, con uno sguardo particolare al
futuro dei figli.
Tutto ciò ha senso solo se il contesto di tutela ha
una visione precisa, condivisa ed esplicita dei
diritti che intende tutelare e delle violazioni no
tollerabili.
 Gli interventi di tutela dovrebbero essere
pensati non solo sul piano delle relazioni
familiari affettive, ma anche sul piano delle
relazioni familiari etiche.
 E’ un diritto fondamentale del minore essere
sempre informato del perché dell’intervento di
tutela.
Importanza della rete di servizi e
dell’integrazione di professionalità.
Il progetto di affido consiste nella
collocazione di un minore in una famiglia
affidataria e nella presa in carico della
sua famiglia di origine per l’assistenza e
la cura del disagio cha ha portato il
Tribunale alla decisione di allontanare il
minore.
La mancanza di presa in carico della famiglia
d’origine, come spesso accade, può determinare il
fallimento dell’intero progetto.
Le funzioni del servizio territoriale
 Funzione tutela minori: vigilanza da parte di
tutte le agenzie pubbliche affinché ai minori
siano garantiti, dentro e fuori la famiglia, i
loro diritti. L’equipe interdisciplinare che
lavora a questo livello non dovrebbe occuparsi
del trattamento terapeutico o del sostegno alle
famiglie d’origine, né di famiglie affidatarie,
al fine di mantenere separate le funzioni di
aiuto
e
di
controllo.
Rischi:
solitudine
dell’operatore unico e mancanza di adeguate
procedure.
 Funzione
di
coordinamento:
prendersi
cura
dell’intera visione progettuale di ciascun caso,
del suo monitoraggio in termine di risorse, della
verifica della sua coerenza nel tempo, delle
proposte di modifica. Per il responsabile o
l’A.S.
coordinatore
valgono
le
stesse
incompatibilità della funzione minori.
 Funzione di ascolto, di aiuto alla famiglia di
origine e al minore: si occupa della valutazione
e
del
trattamento,
ascolto
e
cura
delle
difficoltà della famiglia d’origine e/o del
minore, al fine di creare o ripristinare, quando
possibile, adeguate condizioni di crescita per il
minore e di sviluppo per la sua famiglia. Gli
operatori non dovrebbero essere gli stessi della
funzione minori, né occuparsi delle famiglie
affidatarie. Rischio ideologico.
 Funzione
famiglie
affidatarie:
creare
collaborazioni fruttuose tra il servizio tutela e
le famiglie disponibili a diventare affidatarie.
Gli operatori (di solito A.S. e psicologo) non
dovrebbero essere coinvolti come funzione minori
in nessun caso portato dalle famiglie affidatarie
nei gruppi. Rischi: considerare la famiglia
affidataria come un utente.
 Funzione di abbinamento: costruzione dell’ipotesi
di abbinamento e la verifica della sua pertinenza
e fattibilità. Va valutata la compatibilità fra
il
progetto
di
affido
e
alcune
famiglie
affidatarie e fra le esigenze del minore e le
esigenze della famiglia individuata. Risorse: gli
operatori della funzione famiglia affidataria,
della funzione minori e della coppia genitoriale
della
famiglia
scelta.
Rischi:
abbinamento
frammentato e non frutto di collaborazione.
L’esperienza di affidamento riguarda tutte le fasce
di età, compresa quella adolescenziale (15-17) che
risulta proporzionalmente la più numerosa; mentre
le fasce infantili (0-2 e 3-5) sono minoritarie.
La
formazione
di
una
nuova
relazione
di
attaccamento con i caregivers sostituti avvengono
in una fase dello sviluppo in cui i bambini hanno
formato già formato una relazione di attaccamento.
Affido come processo di perdita
La perdita ha una doppia valenza: separazione dai
genitori, dal suo ambiente, dal contesto sociale;
perdita
della
possibilità
di
essere
curato
adeguatamente dai propri genitori.
Nello stesso momento in cui il bambino vive la
perdita in modo acuto, gli viene chiesto di
affrontare un ambiente familiare nuovo.
La famiglia affidataria deve essere preparata a
condividere
con
empatia
reazioni
di
shock,
negazione, protesta, disperazione, distacco.
L’affido, a differenza dell’adozione, provocando un
continuo
confronto
tra
famiglie
diverse
e
l’alternarsi di caregivers, spinge il bambino a
conflitti nella definizione dell’identità di sé
come figlio.
L’affido dovrebbe essere sia
un’esperienza riparativa che
elaborativa.
Riguardo la recuperabilità della
genitorialità…
Se vi è una prospettiva di cambiamento della
famiglia d’origine e le relazioni meritano di
essere mantenute, si può procedere all’affido
familiare. Viceversa, la soluzione più opportuna è
l’adozione.
Tuttavia, il recupero della famiglia di origine non
è mai del tutto realizzabile del tutto inattuabile.
Si tratta quindi di valutare i limiti e le risorse
dei genitori al fine di poter costruire un progetto
di affido che contempli la possibilità di sostenere
adeguatamente la genitorialità d’origine; tale
lavoro potrà esitare in un recupero sufficiente a
ipotizzare un rientro del bambino, o in un recupero
sufficiente a garantire al bambino la fruibilità di
una genitorialità residua.
Quello che deve essere perseguito è un
obiettivo di co-genitorialità.
Infatti,
affinché
il
bambino
possa
sentirsi appartenere a entrambi i gruppi
familiari, deve sentire che i caregivers
reciprocamente si riconoscono.
Indicazioni
per
genitorialità
la
valutazione
della
 Una buona valutazione deve avere una cornice
ecologica che prenda in considerazione i diversi
aspetti personali, relazionali e contestuali che
influiscono sul buon funzionamento familiare e
sullo sviluppo del bambino.
 Il focus della valutazione deve essere la
genitorialità.
 Ciò
che
comprendiamo
del
funzionamento
relazionale della famiglia, del funzionamento
mentale
del
singolo
genitore
deve
essere
riportato alla capacità di assolvere i compiti
evolutivi legati alla genitorialità.
Le
funzioni
di
protezione,
sensibilità
e
responsività, sebbene siano competenze di base di
una buona genitorialità, devono essere integrate da
altre
importanti
abilità:
l’attitudine
a
rappresentarsi in modo realistico e accurato il
bambino, la capacità di sostenere la funzione
riflessiva,
la
disposizione
a
un
adeguato
rispecchiamento emotivo, il sostegno all’autonomia
e alla capacità di autoprotezione del figlio.
I genitori devono essere sostenuti nel sviluppare
tali funzioni.
Due
caratteristiche
sono
comuni
a
numerosi
programmi di sostegno: l’home visiting e il video
feedback.
Principi guida per il sostegno all’affido
 Garantire un sufficiente livello di apertura
comunicativa
 Favorire l’elaborazione della perdita
 Assicurare l’integrazione del sé attraverso un
buon livello di co-genitorialità
 Salvaguardare la continuità degli affetti
La
terapia
dei
bambini
trae
enormi
vantaggi dal coinvolgimento delle figure
di riferimento, sia nel caso in cui questo
produca movimenti positivi degli adulti,
sia nel caso in cui, da parte degli
stessi, si verifichi il fallimento delle
istanze di accudimento e di empatia verso
i bambini.
Nella fase di reperimento delle famiglie
affidatarie è necessario costruire una
forte coerenza tra le rappresentazioni
proposte in fase di promozione e le fasi
successive.
Il percorso di conoscenza della famiglia
candidata all’affido
Gli operatori devono effettuare una prognosi sulla
capacità del nucleo familiare di prendersi carico
di un bambino che vive una situazione di difficoltà
e di rispondere alle sue esigenze affettive,
educative e di cura.
Attenzione ad alcuni costrutti!
E’ importante tenere insieme, in modo coerente, le
due
dimensioni
che
caratterizzano
tutti
gli
affidatari senza essere contraddittorie: costituire
delle risorse preziosissime per i minori in
difficoltà ed essere, allo stesso tempo, persone
portatrici di specifici bisogni esistenziali che
stanno alla base della loro candidatura.
Le motivazioni all’affido…
 Famiglie solidali
 Famiglie genitoriali
E’
sempre
importante
capire
se
oltre
alle
motivazioni altruistiche vi siano altre istanze più
profonde e inconsce che muovono degli adulti verso
l’opzione
dell’affido
(ad
es.
movimenti
identificatori nei confronti dei bambini che
soffrono). Eventuali istanze autoriparative devono
essere comprese e tenute in considerazione.
Un modello di valutazione in sette aree:
operare un bilancio tra risorse e limiti
valutati su diverse aree, con l’idea, che
salvo alcuni casi particolari, non vi siano
famiglia inidonee all’affido, ma che per
ogni candidatura vada compreso quale minore
e per quale progetto quel nucleo potrebbe
essere di aiuto.
1- Il profilo di personalità dei due partner:
comprendere in maniera sufficientemente precisa e
puntuale qual è il modo di funzionare interno ed
esterno delle persone candidate. In particolare
indagare la qualità dell’integrazione tra la
funzione emotiva e quella cognitiva, la capacità di
entrare in contatto con i propri stati interni, lo
stile di attaccamento, la capacità di tollerare la
sofferenza,
l’espressione
delle
emozioni,
il
funzionamento del pensiero, l’adattamento sociolavorativo.
2- Le competenze genitoriali: sono strettamente
connesse all’esperienza avuta come figli e al tipo
di elaborazione di essa che si è riusciti a fare.
Verificare lo stile educativo e di accudimento che
la persona pensa di utilizzare con il minore,
rispetto alle seguenti dimensioni:
-
Normativa
Accuditiva
Ludica
comunicativa
3- La relazione di coppia: la qualità del rapporto
di
coppia
ha
ricadute
molto
importanti
sul
benessere degli individui e sulla loro competenza
genitoriale, sia come fonte di sostegno e confronto
nell’occuparsi dei figli, sia come relazione
romantica che offre conforto e protezione. Fornisce
inoltre
un
supplemento
d’informazioni
sulle
caratteristiche individuali. Vanno indagate le
seguenti aree:
 Comunicazione
 Presenza dei figli e assunzione del ruolo
genitoriale
 Sostegno reciproco
 Processi decisionali
 Interessi comuni
L’indagine sarà condotta mediante la ricostruzione
della storia di coppia e la sua evoluzione.
4- La relazione con le famiglie estese e con il
contesto di vita
5- La motivazione e la disponibilità all’affido:
La motivazione:
- Carattere generale, normali attese che la relazione con un
minore
può
suscitare:
accudimento,
gioco,
aspetti
educativi e scolastici
- Peculiari e soggettive motivazioni che li hanno portati a
pensare, più o meno consapevolmente, che attraverso
l’affido
determinati
loro
bisogni
potevano
essere
soddisfatti.
La disponibilità:
-
Tipologia di affido
Genere ed età del minore
Numero di minori
Caratteristiche psico-affettive e relazionali
Caratteristiche del progetto d’affido
Caratteristiche della famiglia d’origine
6- La preparazione all’affido: non va sottovalutata
l’importanza di creare proposte di formazione
strutturate che aiutino i candidati ad entrare,
cognitivamente
ed
emotivamente,
nella
realtà
dell’affido, dando loro strumenti concettuali,
emotivi e relazionali per meglio affrontarla.
Elementi da indagare:
- Capacità di stare nel ruolo di affidatari e fare gioco di
squadra
- Capacità di affrontare realisticamente e positivamente le
diversità
- Capacità di accudire un bambino «ferito»
- Atteggiamento nei confronti della famiglia di origine (che
deve
poter
essere
autenticamente
comprensivo
e
compassionevole). Tale capacità è strettamente correlata
al grado di comprensione che ciascun individuo ha
raggiunto nei confronti dei propri genitori.
7- La presenza di figli: deve essere attentamente
compresa la situazione dei minori già presenti nel
nucleo onde evitare che per aiutare un minore se ne
danneggino altri. Le aree da indagare sono:
-
Presenza di specifiche problematiche evolutive
Stile di attaccamento
Relazione con i genitori
Aspettative nei confronti del futuro minore affidato
Consapevolezza delle specificità di cui sarà portatore.
L’approfondimento delle sette aree può essere
generalmente realizzato in 3/5 colloqui, oltre alla
visita domiciliare e a un ultimo colloquio di
restituzione.
Solitamente gli operatori coinvolti sono uno
psicologo
e
un
A.S.
(ma
anche
l’educatore
professionale può essere utile) che conducono i
colloqui insieme o separatamente. In ogni caso è
importante che ci sia un adeguato scambio di
informazioni.
I colloqui vanno preferibilmente fatti con la
compresenza dei due partner (per dare un messaggio
chiaro, per valutare l’interazione, per evitare
difficoltà nella gestione delle informazioni).
Generalmente non vengono somministrati test, per
non enfatizzare la connotazione valutativa.
La restituzione va sempre garantita alla famiglia,
evitando di dare rimandi a tutto campo, e riferendo
le osservazioni a caratteristiche più o meno
direttamente cruciali per l’esperienza di affido.
La buona prassi prevede che venga richiesta la
documentazione medica attestante la buona salute
dei candidati e quella giudiziaria attestante
l’assenza di condanne e/o procedimenti pendenti con
la giustizia.
Le famiglie «speciali»…







Nuclei monoparentali e single
Coppie senza figli
Famiglie adottive
Famiglie ricostituite
Famiglie colpite dalla perdite di un figlio
Coppie omosessuali
Le famiglie di altra etnia
Criteri di abbinamento:





Spazio di crescita
Diversificazione dalle precedenti esperienze
Compatibilità tra le differenza
Continuità delle risorse
Rilevare e tenere conto delle preferenze della
famiglia affidataria
 Attenzione da porre all’elemento più fragile del
sistema affidatario
Bibliografia
a) MINORI NELLE SEPARAZIONI CONFLITTUALI
A.Dell’Antonio, Il bambino conteso. Il disagio infantile nella
conflittualità dei genitori separati, Giuffrè, 1993.
b) MALTRATTAMENTO E ABUSO DI MINORI
S.Cirillo, P.Di Blasio, La famiglia maltrattante, Raffaello
Cortina, 1989
c) ADOLESCENTI DEVIANTI
A. Maggiolini, E.Riva, Adolescenti trasgressivi, Franco Angeli,
2003.
d) MINORI STRANIERI
M.R.Moro, I nostri bambini domani. Per una società
multiculturale, Franco Angeli, 2011.
e) ADOZIONE E AFFIDO
C. Artoni Schlesinger, Adozione ed oltre, Borla, 2006.
oppure
C.A.M. , Nuove sfide per l’affido. Teorie e prassi, Franco
Angeli, 2012. (cap. 1-8)
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