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Il `600, età d`oro della seta in Piemonte

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Il `600, età d`oro della seta in Piemonte
Il ‘600, età d’oro della seta in
Piemonte
L’Italia centro-settentrionale fu per lungo periodo il “centro” della
lavorazione della seta in Europa, ma si iniziò a risentire della
concorrenza di altri centri di produzione, in particolar modo di Lione
in Francia, dove al tempo di Luigi XIV, conseguentemente alla
grande richiesta di tessuti di seta, si erano sviluppate manifatture
capaci di puntare sull’arma dei prezzi. Esistevano legami
tradizionali fra il Piemonte e la Francia, e già dal ‘500 vi si esportava
una buona percentuale di seta greggia e filata piemontese, poiché la
produzione francese non era sufficiente a coprire la richiesta
interna.
Proprio lo sviluppo delle manifatture francesi fornì lo stimolo allo
stato sabaudo, che con la seconda metà del ‘600, usciva da un
periodo di difficoltà per le tante guerre di cui le terre erano state
teatro e per l’enorme epidemia di peste del Trenta, che avevano
prostrato l’economia del Piemonte. Carlo Emanuele II puntò
sull’industria della seta per la rinascita del suo stato, incoraggiato
in questo anche dagli ottimi risultati ottenuti dalla vicina Francia.
Approfondimenti
Approfondimenti
• Il filatoio idraulico
• Gianfranco Galleani
• Le lettere “Patenti”
• Le “Fabbriche magnifiche”
Il filatoio idraulico
Nelle nostre terre la coltura dei gelsi,
l’allevamento e la produzione di filato
erano estremamente diffusi, però la
filatura a mano non permetteva di
produrre sete “fine e sovrafine”.
Per sviluppare questo settore era
indispensabile che il Piemonte effettuasse
un salto qualitativo, importando il filatoio
idraulico già utilizzato a Bologna. Si
trattava di una macchina estremamente
complessa, che richiedeva manodopera
altamente qualificata sia nella costruzione
che nella gestione, poiché era composta
di migliaia di pezzi quasi tutti in legno.
Essa, mossa dalla forza dell’acqua di un
canale e non da uomini o animali, poteva
con l’aiuto di pochi operai svolgere
meglio il lavoro di torsione dei fili,
riuscendo a sostituire il lavoro di centinaia
di filatrici.
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Filatoio alla
bolognese
Gianfrancesco Galleani
La città di Bologna, naturalmente, proteggeva questa sua macchina e
proibiva l’esportazione delle tecniche ad essa correlate con pene severe.
Si verificò allora ciò che, in termini moderni, viene definito “spionaggio
industriale”, che permise di impiantare a Torino un filatoio lungo la Dora,
sul modello bolognese. Il personaggio che si occupò dell’operazione fu
un certo Gianfrancesco Galleani, forse proprio originario di Bologna o
che in quella città acquisì conoscenze ed esperienza, il quale fu
responsabile dell’impianto del primo filatoio idraulico in Torino, nell’area
dell’attuale Porta Palazzo e che nel 1670 fu incaricato da Carlo Emanuele
II di sovrintendere alla costruzione del complesso di Venaria Reale. Gli
effetti dell’innovazione non furono immediati: dato che la qualità del filato
dipendeva dalla sua omogeneità, sottigliezza e resistenza, occorreva
uniformare innanzitutto la tecnica della trattura, cioè quella prima fase di
lavorazione che permetteva di dipanare il filo dal bozzolo e che nelle varie
zone del Piemonte era condotta con metodi diversi.
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Le “Lettere patenti”
A tale scopo furono promulgate il 14 maggio 1667 le “LETTERE
PATENTI”, che ebbero come obiettivo di regolamentare
l’operazione di trattura secondo un vero e proprio progetto di
riforma che imponeva:
-qualificazione professionale delle filatrici, che dovevano essere
approvate da una commissione di esperti;
-procedure precise nella lavorazione (separazione dei bozzoli di
tipo diverso per garantire uniformità del filo, cambio dell’acqua
nelle bacinelle almeno tre volte al giorno,uno scarto minimo
prefissato ed uno spessore massimo ammesso per il filo);
-modificazione della struttura delle macchine
-controlli su tutto il territorio attraverso “visite” alle filature da
parte di tecnici fra cui Galleani stesso (nel 1670 la visita iniziò
proprio a Carignano, in una sua filanda che aveva dieci fornelletti).
Approfondimenti
Le “Fabbriche magnifiche”
Si verificò un miglioramento generale della qualità
media della produzione, tuttavia il controllo nelle
campagne risultava difficoltoso e si incontravano
resistenze al cambiamento. Si andò di conseguenza
verso l’accentramento della produzione in filande di
grandi dimensioni, dove si potevano attuare sia la
trattura che la filatura e dove il controllo era facilitato
dall’assunzione di personale qualificato.
Galleani stesso fu proprietario di filande, di cui una
proprio a Carignano: “sotto due portici vi erano dieci
fornelletti, et altri ordegni”.
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