Il diritto naturale come fondamento dello stato :Grozio
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Il diritto naturale come fondamento dello stato :Grozio
Il diritto naturale come fondamento dello stato :Grozio con la nascita dello Stato moderno, caratterizzato dall'accentramento del potere, da un più vasto ambito di compiti economici ed amministrativi e da una legislazione specifica, si viene con sempre maggior chiarezza a porre il problema della legittimità delle forme che tale Stato assume. Se durante il periodo rinascimentale il potere politico si era delineato come tecnica del dominio e come teoria della sovranità (si pensi alle riflessioni di Machiavelli), fra Cinquecento e Seicento, si comincia ad elaborare una nuova teoria complessiva dello Stato, una filosofia della politica volta ad individuare i fondamenti che lo costituiscono e lo giustificano. In questa riflessione si pone la riflessione dell'olandese Ugo Grozio che, di fronte alla nascita di una pluralità di enti statali tendenti ad organizzare in modo unitario l'attività dei loro sudditi e trasformare il potere statale in una sorta di "macchina" dalla struttura ben definita, recupera la dottrina del diritto naturale, già propria dello stoicismo. Egli fa sua la concezione secondo cui è possibile ritrovare dei caratteri naturali comuni, a partire dai quali dare origine a un insieme di principi razionali accettati da tutti. Fondamento della sua riflessione vi è l'identificazione tra la naturalità e la razionalità, in quanto la ragione costituisce la natura ultima del reale e quindi anche dell'uomo. Grozio pone così le premesse del giusnaturalismo moderno, che afferma l'esistenza di un diritto naturale. Questo vuol dire che, mentre l'antichità con l'espressione "legge naturale" aveva inteso il modo in cui oggettivamente la realtà si organizza, l'età moderna giunge ad ammettere l'esistenza di una sfera individuale fonte di particolari diritti personali; per usare un'espressione di Grozio, il diritto naturale viene dedotto da principi insiti nell'uomo. Nei Prologomeni al diritto della guerra e della pace, egli presenta il nucleo del suo pensiero, che poggia sull'idea della natura razionale e sociale dell'uomo. Grozio ritiene che l'uomo sia un animale caratterizzato da una spiccata tendenza alla vita associata e dalla facoltà di agire "secondo principi generali", e individua l'utilità comune come fine di condotta conforme a ragione, in vista della conservazione della società. La società stessa nasce dalle attitudini specifiche dei singoli uomini, per cui il diritto di un popolo poggia su ciò che appartiene per natura a ciascun individuo. Le azioni che la ragione umana comanda hanno un valore intrinseco e sono obbligatorie per se stesse, al punto che varrebbero anche nel caso che Dio non esistesse o non si preoccupasse degli affari umani. La sovranità popolare acquista efficacia attraverso il principe che lo guida, al punto che egli considera la sottomissione all'autorità comune come un punto che non può essere nesso in discussione. Una costruzione statale artificiale e assoluta:Hobbes Il tema del diritto naturale trova un' ampia e articolata esposizione nella filosofia di Thomas Hobbes, il quale approfondisce la ricerca di Grozio, volta a trovare un fondamento razionale su cui basare la scienza del diritto e su cui definire una convivenza stabile-abbandonando la preoccupazione di accordare le posizioni proposte con l'autorità dei giuristi precedenti e dei filosofi classici. Lo scopo della riflessione di Hobbes è di utilizzare la dimostrazione nell'analisi del diritto, proponendo uno studio della condotta umana che consenta di riconoscerne i principi nella loro universalità e necessità. Egli concepisce lo Stato come una macchina, della quale occorre penetrare le leggi per comprenderne il meccanismo. Fin dalla prefazione al De Cive, lo Stato è paragonato all'orologio, la macchina per eccellenza:"Come un orologio e in qualsiasi altro meccanismo più complesso non si può capire il funzionamento di ciascuna parte e di ciascun ingranaggio, se non si smonta; così nello studiare il diritto pubblico e i doveri dei cittadini, bisogna non certo scomporre lo Stato, ma considerarlo come scomposto nei suoi elementi". Del pari, nell'introduzione al Leviatano, lo scritto più rilevante che ci ha lasciato sulla tematica politica, Hobbes definisce lo Stato come "un uomo artificiale" e opera una dettagliata comparazione tra le parti della macchina naturale rappresentata dall'uomo e quelle della macchina artificiale rappresentata dallo Stato, concludendo che il fiat pronunciato da Dio al momento della creazione sono equiparati " i patti e le convenzioni con le quali le parti di questo corpo politico furono dapprima fatte, messe insieme e unite". La convinzione che guida l'analisi di Hobbes è che l'uomo ha realizzato nello Stato un congegno al tempo stesso complicato, delicato, e utile, il solo che gli permette di sopravvivere, circondato com'è da una natura non sempre amica. Il binomio si cui Hobbes si sofferma è quello anarchia/unità:egli parte dalla considerazione che la sicurezza è il bene più importante; ne consegue che, in una società organizzata, il pericolo maggiore è costituito dalle divisioni interne, che mettono a repentaglio la vita dello Stato quanto l'esistenza dei singoli cittadini. Il presupposto da cui scaturisce la necessità di costruire uno Stato è dato dalla condizione dell'uomo nello Stato di natura,cioè una dimensione i cui elementi costitutivi sono primariamente gli individui singoli non associati. Dallo studio dei principi che regolano le azioni degli uomini risulta che lo Stato è caratterizzato da una situazione di guerra contro tutti, in quanto l'uguaglianza di natura tra gli uomini, unita alla scarsità delle risorse disponibili e al diritto che ciascuno ha su tutte le cose, porta inevitabilmente al conflitto generalizzato. Per uscire dallo Stato di natura viene in soccorso dell'uomo la ragione intesa come una facoltà di calcolo, in grado di prevedere le conseguenze di una certa condotta e di suggerire una serie di regole che hanno lo scopo di rendere possibile una coesistenza pacifica. La legge naturale si configura sotto forma di legge razionale ma, per Hobbes la razionalità dell'uomo è il prodotto di un'attività finita e condizionata dalla situazione nella quale egli si trova ad operare. Le prescrizioni fondamentali della legge naturale sono volte a liberare l'uomo dall'insicurezza e avviandolo verso la realizzazione di quelle attività che rendono confortevole la sua esistenza. L'unico modo per rendere efficaci le leggi naturali, e per far sì che l'uomo agisca secondo ragione è costruire uno Stato su salde basi. Secondo Hobbes gli uomini stipulano tra loro un patto con lo scopo di passare dallo stato di guerra allo stato di pace. Il patto deve essere strutturato in modo da contrassegnare la sovranità che da esso deriva tre caratteristiche fondamentali:l'irrevocabilità, l'assolutezza e l'indivisibilità. Come il patto, anche la sovranità si presenta come irrevocabile ed assoluta. Spetta allo Stato il potere di decidere sulle cose spirituali; la Chiesa in quanto istituzione viene così risolta nello Stato, che ha il diritto di accettarla e di riconoscerla, poiché la religione è intesa come affare di Stato. La nascita del costituzionalismo moderno:Locke il governo e i diritti inviolabili del cittadino. Locke si orienta verso una concezione politica che pone il fine del governo nella conservazione degli interessi dei sudditi e che contrasta qualunque forma di assolutismo, in nome di uno Stato che abbia come obiettivo quello di promuovere e presentare i beni civili. Uno Stato che abbia precisi limiti nella sua azione. Locke fa propria la tesi contrattualistica per cui all'origine della società civile vi è un patto tra gli uomini, ma ha una particolare visione dello stato di natura. Ritiene che la guerra non sia una condizione inevitabile in quanto le norme della ragione mostrano come le norme degli uni appaiono limitate da quelle degli altri. I disordini nascono in forza dalla mancanza di "leggi positive e di giudici forniti da autorità a cui appellarsi". Lo stato di natura non appare malvagio,ma presenta degli inconvenienti che mettono a rischio la pace e la sicurezza e che suggeriscono di abbandonarlo. Lo Stato si delinea come un'istituzione che rende possibile la convivenza tra gli uomini, garantendo quei diritti-alla vita, alla libertà e alla proprietà-che la ragione riconosce come propri di ogni singolo individuo e che sono quindi antecedenti alla nascita dello Stato. Dal momento che allo Stato competono fini essenzialmente civili, ne consegue che esulano dal suo ambito gli interventi in materia religiosa, in quanto la salvezza dell'anima non rientra tra i suoi compiti:deve quindi limitarsi a garantire quelle condizioni di stabilità e libertà che consentono ai singoli individui di meglio orientarsi riguardo alle scelte religiose. Una delle riflessione più dirompenti dell'opera lockiana è quella dedicata alla dissonanza del governo, che può avvenire o per alterazione del potere legislativo-quando l'esecutivo mette in discussione la divisione dei poteri sostituendosi al legislativo o impedendogli doi funzionare-oppure per infrazione della fiducia, quando il potere legislativo oltrepassa i limiti posti alla sua azione e viola i diritti naturali degli individui, soprattutto il diritto di proprietà. In questi casi Locke afferma il diritto di resistenza dei cittadini contro l'oppressione, diritto che li può portare anche all'uso della forza . Come la società civile nasce per gli inconvenienti presenti nello stato di natura, così la crisi della società civile rende possibile lo scioglimento del patto sottoscritto e il ritorno del potere del popolo, che ha diritto di riprendere la sua libertà originaria e di istituire un nuovo legislativo e un nuovo governo. La convinzione, secondo cui l'ordine non è l'antitesi della libertà, ma la sua garanzia, porta Locke a un'appassionata perorazione del diritto dei singolo individui- in caso di governo oppressivo- di ritornare a una condizione in cui l'unico obbligo è quelllo dinnanzi alla propria coscienza, l'unica responsabilità di fronte a se stessi. Stato e libertà: il modello democratico di Rousseau Una significativa ripresa delle tematiche contrattualistiche si trova nel Contratto Sociale di Jean-Jacques Rousseau. Si tratta di una ripresa che, accanto a somiglianza formali, presenta però differenze e inquadra il tema dello Stato in una più ampia situazione storica, superando il dualismo stato di natura/società civile per proporre una scansione articolata in tre differenti motivi. Vi è all'origine uno stato di natura che viene identificato con la condizione del buon selvaggio dalla vita semplice e spontanea, ma tale situazione originaria di serenità e felicità si rovescia in una situazione sociale caratterizzata da conflitti e disuguaglianze: gli uomini sviluppano la civiltà, affinano le capacità intellettuali e tecniche, ma vivono in uno stato di competizione estrema e di ingiustizia. A questa forma di situazione sociale civile, momento di corruzione e di infelicità che Rousseau identifica nella concreta situazione sociale della Francia del suo tempo, si contrappone l'idea di uno Stato democratico,che il filosofo definisce con il termine repubblica. Al centro della riflessione di Rousseau è il tema della libertà dell'individuo, che diventa tale tramite ad una sottomissione totale alla legge. La sovranità non è un potere al di sopra degli uomini, ma la somma del potere di tutti, per cui il massimo di autorità e il massimo di libertà coincidono. Ed è proprio l'aver identificato la libertà nello Stato ciò che segna la profonda differenza di Rousseau rispetto al modello costituzionalistico di Locke, per il quale lo Stato costituiva la cornice all'interno della quale l'iniziativa degli individui poteva svilupparsi e il sovrano aveva unicamente il compito di promuovere e conservare i beni civili, vale a dire i diritti individuali inalienabili. Lo Stato e la storia universale:Hegel Il terzo momento della riflessione di Hegel sull'etica è lo Stato . Esso viene definito da Hegel " la realtà dell'idea etica ", ovvero la piena realizzazione dell'eticità. Lo Stato infatti è per Hegel la più elementare manifestazione della ragione assoluta, colta nell'elemento immediato dell'esistenza di un popolo e delle sue istituzioni. Lo sviluppo dialettico dello Stato di articola in tre momenti. In primis, la costituzione dello Stato determina i tre poteri che regolano la vita politica della comunità: il potere legislativo, il potere governativo (esecutivo) e il potere sovrano, che compendia nella figura del monarca l'aspetto dell'individualità (il sovrano è una persona singola, cui spetta la decisione finale) e quello dell'universalità (il sovrano rappresenta lo Stato e decide in base al quadro normativo generale apprestato dal potere legislativo). Per questo Hegel si dice a favore della monarchia costituzionale, nella quale il sovrano non comanda arbitrariamente (e quindi non è pura soggettività), ma fonda la propria volontà sul rispetto della volontà popolare (ossia della componente oggettiva dello Stato). I sudditi fanno infatti sentire la propria voce attraverso l'attività legislatrice delle due Camere in cui si divide il potere legislativo: la prima, riservata al ceto agrario, è espressioni delle componenti politiche più conservatrici e ha la funzione di garantire la continuità con il passato; la seconda, composta dai rappresentanti delle corporazioni in cui si divide il ceto artigianale-manifatturiero, è portavoce delle forze più innovatrici e progressistiche della società civile. In secundis, lo Stato si manifesta come diritto statale esterno , ossia come insieme dei rapporti che lo connettono e lo contrappongono agli altri stati. Avendo consapevolezza di sé come totalità etica, ovvero come massima espressione dell'eticità, nella quale si manifesta l'essenza stessa dell'Assoluto, ogni Stato non riconosce al di sopra di sé nessuna autorità superiore. Non esiste quindi un diritto internazionale che non si risolva semplicemente nei singoli trattati che gli Stati possono sovranamente stipulare ed altrettanto sovranamente infrangere. In caso di divergenza di interessi fra gli Stati, la guerra è il solo modo per dimostrare il diritto dell'uno sull'altro. Il terzo momento dello sviluppo dialettico dello Stato è la Storia universale . Ad essa vengono dedicati gli ultimi paragrafi dei Lineamenti di filosofia del diritto (opera che tratta soltanto dello spirito oggettivo), così come gli ultimi paragrafi della sezione dell' Enciclopedia relativa alla filosofia dello spirito oggettivo. Il momento della storia universale si colloca infatti in una posizione intermedia tra lo spirito oggettivo e lo spirito assoluto, dal momento che in essa gli Stati, che sono la massima espressione dello spirito oggettivo, si manifestano anche come ragione assoluta. Questo processo è illustrato più ampiamente da Hegel nelle Lezioni sulla filosofia della storia naturale che egli tenne a Berlino in più corsi universitari. Lo spirito universale, la ragione assoluta che coincide con l'assoluta realtà, sarà colto nella sua purezza nei diversi momenti della filosofia dello spirito assoluto: l'arte, la religione e la filosofia. Esso può però rivelarsi anche in una maniera più immediata e più concreta nello spirito di un popolo , ovvero in quell'insieme di manifestazioni etiche e istituzionali ( costumi, diritto, religione, costituzione politica etc ) in cui si sviluppa l'esistenza di un popolo. In questa sua determinazione nell'elemento dell'esteriorità oggettiva, della dimensione spazio-temporale, cioè della storia, lo spirito universale prende il nome di spirito del mondo . Ogni spirito di popolo potrà però esprimere più o meno adeguatamente lo spirito del mondo, a seconda della sua maturità etica, rapportata sia al momento dello sviluppo storico in cui fiorisce sia alla sua superiorità o inferiorità rispetto agli altri popoli. In ogni fase del processo storico vi sarà dunque un popolo il cui spirito rappresenta la miglior incarnazione dello spirito del mondo in quel momento, il più alto grado di autocoscienza possibile per lo spirito universale in quel punto del suo processo di realizzazione. In virtù di questa sua superiorità, tale popolo acquista una posizione di egemonia su tutti gli altri, ai quali impone in modo assoluto la sua forza, il suo diritto e la sua cultura. Questo vale però soltanto fino a che il popolo può adeguatamente esprimere l'universale: quando, a causa dell'inarrestabile sviluppo dello spirito del mondo, esso non sarà più in grado di rappresentare la nuova e più elevata autocoscienza spirituale che sta emergendo, questa funzione passerà, insieme al diritto e al dominio assoluto, a un altro popolo. In questo modo gli stessi popoli dominanti appaiono semplici strumenti delle manifestazione dello spirito del mondo, i quali vengono abbandonati al loro destino non appena abbiano consumato la loro energia ed assolto la loro funzione. Così l'individualità della storia (tanto quella nazionale quanto quella personale) obbediscono ad una "astuzia della ragione" universale, della quale persegue i disegni anche quando credi di agire in vista di fini particolari. In base a questi princìpi., Hegel ravvisa 4 fasi fondamentali del processo storico, ovvero 4 mondi storici (dove il termine 'mondo', come nell'espressione 'spirito del mondo', mette in risalto la dimensione esteriore, spazio-temporale in cui si sviluppa la storia). Questi mondi sono connessi al significato unitario del processo storico, in cui si manifesta a poco a poco il carattere essenziale dello spirito, ossia la libertà. E così nel mondo orientale, in cui lo spirito non è ancora pervenuto alla coscienza della propria libertà, ma è ancora intriso di naturalità, gli uomini non sanno di essere liberi: solo uno di loro è libero (il principe, l'imperatore) ma anche lui, esercitando una libertà solo arbitraria e tirannica, non è libero come uomo. Nel mondo greco e nel mondo romano nasce a poco a poco la coscienza della libertà: presso di loro alcuni sono liberi, altri no. La coscienza della libertà dell'uomo in quanto tale, ancora mancante nei due mondi classici, si realizza invece nel mondo cristiano-germanico, in cui il cristianesimo, abbracciato e propagato dalle nazioni germaniche, mostra il valore assoluto dell'umanità tramite il dogma dell'incarnazione. Questo non vuol dire ancora che tutti gli uomini sono liberi, ma solo che si sa che l'uomo in generale è libero: la progressiva realizzazione di questa consapevolezza è la struttura portante della storia europea dall'avvento del cristianesimo fino alla storia del mondo germanico moderno. Ecco allora che Hegel può sostenere, con un'espressione destinata a grande successo, che ' possiamo essere liberi solo se tutti lo sono '. I'ideale razionale di una comunità pacifica:Kant Il progetto filosofico per la pace perpetua Nella riflessione kantiana un ruolo rilevante assume lo Stato che, facendo rispettare il diritto, agisce in modo da rendere compatibile l'esercizio della libertà di ciascun individuo con quello della libertà altrui. Imponendo il rispetto della legge esso può, inoltre, indurre a osservare quel dovere che la legge morale ci mostra come imperativo. Lo Stato nazionale, tuttavia, non è ancora sufficiente per creare le condizioni favorevoli all'esercizio della libertà. Nello scritto Per la pace perpetua Kant osserva come lo Stato abbia in sé un carattere moralmente obbligatorio, in quanto la ragione ci fa scorgere l'insostenibiltà di una prospettiva che faccia ricorso alla guerra, sia nei rapporti tra singoli uomini, sia in quelli tra i vari Stati. Le condizioni che rendono possibile tale progetto sono tre: una costituzione repubblicana, un federalismo degli Stati tra loro, e un diritto cosmopolitico, ossia il diritto di ogni straniero di non essere trattato da nemico nel territorio di un altro Stato. Un ulteriore elemento che deve essere perseguitato è la conciliazione tra la politica e la morale, in vista di un'azione che si radica nella consapevolezza che l'onestà è migliore di ogni astuzia politica, perchè meglio garantisce i diritti di tutti gli uomini. Secondo Kant la costituzione civile do ogni Stato deve essere repubblicana poiché è l'unica che derivi dall'idea del contratto originario su cui ogni legislazione giuridicamente valida di un popolo deve fondarsi. I popoli, in quanto Stati, possono essere considerati come singoli individui che, vivendo nello stato di natura (cioè nell'indipendenza da leggi esterne), so ledono a vicenda già solo per il fatto della loro vicinanza e ognuno dei quali, per la propria sicurezza, può e deve esigere dall'altro di entrare con lui in una costituzione analoga alla civile, nella quale può venire garantito ad ognuno il proprio diritto. Questa sarebbe una federazione di popoli. Al contrario invece ogni Stato ripone piuttosto la sua maestà nel non essere appunto sottoposto a coazione legale esterna di sorta, e lo splendore del sovrano consiste nell'avere al suo comando loti migliaia disposti a sacrificarsi per una causa di cui ad essi non importa nulla. Per gli Stati che stanno tra loro in rapporto reciproco non può esservi altra maniera razionale per uscire dallo stato naturale senza leggi, che è soltanto stato di guerra, se non rinunciare, come i singoli individui, alla loro libertà selvaggia ( senza leggi), consentire a leggi pubbliche coattive e formare uno Stato di popoli che si estenderebbe sempre di più ed abbraccerebbe tutti i popoli della terra. Seguendo la riflessione kantiana, l'impulso a raggiungere la felicità si realizza solo a partire dalla costruzione di una società politica universale in grado di porre sotto la medesima legislazione i diversi Stati e nella quale diventa attuabile un effettivo equilibrio tra libertà individuale e diritto comune. La filosofia politica:Fichte Rivoluzione francese, Stato liberale e società autarchica Il pensiero politico fichtiano si svolge attraverso fasi evolutive diverse, sulle quali esercitano il loro influsso le vicende storiche contemporanee, dalla Rivoluzione Francese, che Fichte, agli inizi, difende dagli attacchi del pensiero reazionario, alle guerre napoleoniche e all'invasione della Germania, che stimolano lo sviluppo della sua filosofia in senso nazionalistico. Fichte mostra di condividere una visione contrattualistica e antidispotica dello Stato, particolarmente sensibile al tema della libertà di pensiero. In particolare, simpatizzando con gli eventi francesi e civettando con posizioni giacobine e rousseauiane, Fichte, afferma che lo scopo del contratto sociale è l'educazione alla libertà, di cui è corollario il diritto alla rivoluzione. Infatti, se lo Stato non permette l'educazione alla libertà, ciascuno ha il diritto di rompere il contratto sociale e di formarne un altro, che possa fornire migliori garanzie e che sia in grado di garantire un sistema politico giusto. Un sistema, tra l'altro, dove la proprietà risulta essere il frutto del lavoro produttivo. Nell'abbozzo di discorso politico contenute nelle Lezioni della missione del dotto Fichte scorge il fine ultimo della vita comunitaria nella società perfetta, intesa come insieme di esseri liberi e ragionevoli, e considera lo Stato come un semplice mezzo in vista di essa, finalizzato al proprio annientamento, in quanto lo scopo di ogni governo è di rendere superfluo il governo. Il fine dello Stato è di rendere inutile se medesimo, a favore di una società di persone libere e responsabili. Nei Fondamenti del diritto naturale secondo i principi della dottrina della scienza, in cui Fichte si sofferma più organicamente sul problema giuridico-politico, egli fa dello Stato il garante del diritto. I diritti originari e naturali dell'individuo sono:la libertà, la proprietà e la conservazione che possono essere garantiti solo dallo Stato. Lo Stato, dunque, realizza e garantisce il diritto naturale. Nello Stato commerciale chiuso il filosofo afferma che lo Stato deve rendere impossibile la povertà, garantendo a tutti i cittadini lavoro e benessere. Polemizzando contro il liberismo e il mercantilismo e difendendo il principio secondo cui nello Stato secondo ragione tutti devono essere subordinati al tutto sociale e partecipare con giustizia ai suoi beni, Fichte perviene a una forma di statalismo socialistico e autarchico. Lo Stato ha il compito di sorvegliare l'intera produzione e distribuzione dei beni. Per svolgere il suo compito in tutta la libertà ed efficienza, lo Stato deve organizzarsi come un tutto chiuso, senza contatti con l'estero.