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L`organizzazione dello stato fascista

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L`organizzazione dello stato fascista
L’organizzazione dello stato fascista
Negli anni immediatamente
successivi al delitto Matteotti,
Mussolini edificò lo stato
totalitario, terza via tra
democrazia e socialismo.
Il totalitarismo si pone come
obbiettivo la costruzione di
istituzioni autoritarie, che
nello stesso tempo
conquistino consenso,
coinvolgano le masse,
controllino le coscienze.
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Le strutture dello Stato.
Le leggi con cui Mussolini edificò il regime e con cui
cancellò l’idea dell’equilibrio tra i poteri dello stato
furono definite fascistissime:
- il potere esecutivo viene innalzato al di sopra degli
altri: il capo del governo sceglie e destituisce i
ministri, risponde del proprio operato solo al Re, non
dipende da maggioranze parlamentari;
- il governo può legiferare senza controllo
parlamentare (cioè, assume anche il potere
legislativo);
- soppressione delle autonomie locali: nei comuni, il
sindaco viene sostituito da un Podestà di nomina
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governativa;
- il Parlamento non viene più eletto democraticamente
ma nominato “plebiscitariamente”, cioè accettando o
respingendo in blocco delle liste uniche di candidati
proposti dal governo;
- istituzione del Gran Consiglio del Fascismo, l’organo
costituzionale più importante del paese, che di fatto
concentra in sé il potere legislativo e esecutivo: lo
Stato coincide con il Partito (unico);
- abolizione della libertà di stampa, di opinione, di
associazione, di insegnamento;
- obbligo per gli impiegati e i funzionari dello stato di
iscriversi al Partito;
- istituzione della Milizia Speciale per la Difesa dello
Stato, vera e propria istituzionalizzazione delle
squadracce;
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- istituzione dell’OVRA (Opera di Vigilanza Repressiva
Antifascista), il servizio segreto con il compito di
stroncare il dissenso;
- istituzione del Tribunale Speciale per la Difesa dello
Stato, composto da ufficiali della Milizia (per reati
contro il regime, anche di natura ideologica);
- istituzione del confino di polizia, cioè l’obbligo di
residenza per gli antifascisti in luoghi isolati (per lo
più isole);
- compilazione del Codice Penale Rocco (dal nome del
giurista che lo scrisse), ispirato alla concezione etica
hegeliana per la quale lo Stato ha la preminenza sul
cittadino.
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Gli oppositori antifascisti furono incarcerati, esiliati
all’estero o uccisi: comunque, venivano privati della
cittadinanza e continuamente controllati dagli agenti
dell’OVRA, anche quando erano all’estero, in
particolare a Parigi. Ricordiamo Gramsci, Gobetti, i
fratelli Rosselli, il futuro Presidente Pertini.
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La politica economica.
Il regime abolì la libertà di contrattazione salariale e
delle politiche aziendali, assumendosi il compito di
pianificare l’economia.
I sindacati vennero aboliti (insieme al diritto di
sciopero) e al loro posto vennero istituite le
Corporazioni, associazioni di categoria che
raggruppavano tanto i datori di lavoro che i
prestatori d’opera di un determinato settore
produttivo.
L’ordinamento corporativo (regolamentato dalla Carta
del Lavoro, 1927) aveva lo scopo di armonizzare i
rapporti tra padroni e lavoratori, cioè di comporre i
conflitti sociali all’interno delle istituzioni pubbliche
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Le controversie tra lavoratori e imprenditori erano
sottoposte al giudizio della Magistratura del Lavoro
(1926), che avrebbe dovuto vigilare sulle aziende che
sfruttavano i lavoratori senza controllo: in realtà, sui
contratti collettivi di lavoro obbligatori il regime
vigilò scarsamente (i gruppi industriali, finanziari e
agrari erano protetti dalla Confindustria), e a fare le
spese del nuovo assetto politico furono gli operai.
Dal 1939, il Parlamento fu abolito e sostituito da una
Camera dei Fasci e delle Corporazioni: il supremo
organo politico non rappresenta più i cittadini
elettori, ma lo Stato come organizzazione economica
corporativa. Il totalitarismo raggiunge così il proprio
vertice.
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Altre iniziative del regime, ispirate ad un programma di
ruralizzazione:
- 1925, battaglia del grano: tutte le colture, anche quelle
pregiate, vengono sostituite da quella cerealicola, per
ridurre le importazioni e assicurare il fabbisogno di
grano;
- 1928, bonifica integrale: per riscattare tutto il suolo
italiano a fini agricoli. In Veneto, Puglia, Toscana,
Sicilia, Lazio tutte le zone improduttive o malariche
furono bonificate, colonizzate e coltivate. La più
importante bonifica è quella delle Paludi Pontine, in
Lazio.
Inoltre:
- 1926, orario di lavoro ridotto a nove ore;
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- 1933, istituzione dell’I.R.I. (Istituto per la
Ricostruzione Industriale), lo strumento con cui lo
Stato intervenne nell’economia, nelle banche,
nell’industria per nazionalizzare quei settori
produttivi che necessitavano dell’aiuto dello Stato.
Più in generale, va detto che il regime puntò ad un
ripiegamento protezionistico dell’economia: lo sforzo
di riportare la lira a “quota novanta” (novanta lire
per una sterlina) riuscì, ma determinando una
deflazione e una maggiore difficoltà alle esportazioni
(se la lira vale di più anche le merci aumentano di
prezzo, e non riescono a battere la concorrenza), con
conseguente danneggiamento della produzione
nazionale:
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si fece allora ricorso al protezionismo (che avvantaggiò i
grandi settori siderurgici grazie alle commesse
governative) e addirittura all’autarchia, cioè
all’annullamento delle importazioni, per supplire con
la produzione interna a tutte le esigenze di mercato.
Nei confronti del grande capitale, il fascismo da un lato
ne tentò la sottomissione agli interessi dello stato,
dall’altro gli assicurò protezione interna, controllo
sociale, una politica estera aggressiva, una moneta
forte.
Il fascismo, che era stato liberista e per questo era
piaciuto ad agrari e industriali, tornò su posizioni
protezionistiche come ai tempi di Crispi.
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La propaganda e l’istruzione
Lo stato totalitario ha bisogno di strumenti di controllo
delle opinioni e delle coscienze; inoltre, deve
coinvolgere le masse in un sentimento di
appartenenza nazionalista, al fine di creare una
comunità forte e coesa.
Perciò il regime fascista diede importanza alla
propaganda, per la quale creò un apposito ministero,
il Min-Cul-Pop (Ministero della Cultura Popolare):
furono fatti grandi investimenti nella radio, nel
cinema, nell’architettura, nelle mostre, nelle
pubbliche celebrazioni per diffondere l’idea di
grandezza, di forza, di tutti quei valori cari al
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fascismo.
L’inquadramento collettivo e la
coercizione psicologica
trovavano svariate
espressioni: le organizzazioni
giovanili (figli della lupa,
balilla, avanguardisti,
giovani fascisti, GUF, giovani
italiane, ognuna con le
proprie divise e il proprio
rituale), la ginnastica
pubblica nei luoghi di
lavoro, le adunate oceaniche
quando il Duce parlava dal
balcone di Piazza Venezia.
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Nel 1923, Giovanni Gentile
riordinò la struttura
scolastica con una riforma
che privilegiava gli studi
classici (fondamento della
classe dirigente), costituiva
una scuola classista
(istruzione per le campagne,
per i centri urbani, per le
signorine di buona
famiglia,etc…); sviliva il
pensiero scientifico e
sottovalutava l’istruzione
professionale.
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La politica interna
Lo sforzo del fascismo fu quello di dare risposta
dall’alto a tutti i bisogni assistenziali, associativi ed
organizzativi della società civile. Vanno ricordate
alcune iniziative del regime:
- creazione dei dopolavoro per l’organizzazione del
tempo libero;
- organizzazione capillare delle attività sportive, sia a
livello dilettantistico che agonistico;
- organizzazione della cultura attraverso i littoriali,
convegni di orientamento delle attività creative.
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La Chiesa cattolica si era
avvicinata moltissimo al
fascismo per diversi motivi: il
P.P. di don Sturzo aveva scelto
l’opposizione; il fascismo
aveva eliminato il conflitto
sociale con le corporazioni e
combatteva i due nemici della
Chiesa, il liberalismo e il
comunismo.
Poiché il regime si presentava
come il difensore dell’ordine, si
poté finalmente ricomporre
l’annosa questione romana.
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Nel 1929 furono firmati i Patti Lateranensi, trasferiti
poi nella Costituzione repubblicana (1946) e
rinegoziati parzialmente nel 1984 (governo Craxi). I
Patti si compongono di un Trattato e di un
Concordato.
Trattato: istituzione della Città del Vaticano;
riconoscimento da parte della Chiesa dello Stato
italiano; risarcimento finanziario per i territori
espropriati alla Chiesa dopo il 1870.
Concordato: il cattolicesimo è religione di stato, nonché
materia di insegnamento nelle scuole; il matrimonio
religioso assume anche valore civile; il suo
annullamento presso la Sacra Rota lo scioglie anche
per lo stato; i vescovi giurano fedeltà allo stato;
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i sacerdoti spretati sono esclusi dal pubblico impiego;
viene riconosciuta l’Azione Cattolica, un’associazione
di laici in rapporto stretto con la gerarchia
ecclesiastica (unica associazione di massa non fascista
riconosciuta dalla legge)

Fu un grande successo politico per Mussolini, sia
all’estero che in Italia: lo stesso Papa Pio XII definì
Mussolini l’uomo della Provvidenza, “l’uomo del
dialogo non impedito da preoccupazioni di tipo
liberale”.
Nello stesso tempo, i Patti sancirono la definitiva
scomparsa dell’antifascismo cattolico, i cui esponenti
(lo stesso Sturzo) furono costretti a lasciare il paese.
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La politica estera
Sul piano internazionale, l’Italia faceva parte della
Società delle Nazioni; inoltre, a Mussolini veniva
riconosciuto il merito di avere sconfitto il bolscevismo
e di avere ripristinato l’ordine in Italia.
Nel 1925, il Congresso di Locarno, tra Germania ed ex
nemici, sancì la rinuncia all’uso delle armi nelle
reciproche relazioni, demandando alla Società delle
nazioni il compito di dirimere le contestazioni.
Nasceva il cosiddetto spirito di Locarno,
atteggiamento ottimista dell’Europa che sembrava
superare definitivamente le tensioni post-belliche; la
Germania stessa entrava nella Società delle Nazioni.
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In realtà, già nel 1927 Mussolini affermava che “lo
spirito di Locarno è morto e sepolto”: il carattere
aggressivo della politica italiana si manifestò secondo
una vera e propria escalation:
- 1923 (prima di Locarno): occupazione dell’isola di
Corfù (estensione nell’area balcanica ai danni della
Jugoslavia);
- 1926: patto di mutua assistenza con l’Albania;
- 1934: attacco militare all’Etiopia. L’Italia, dopo la
sconfitta di Adua sotto il governo Crispi, aveva con
l’Etiopia un conto in sospeso. Il paese africano era
l’unico del continente ad avere difeso la propria
indipendenza e avviato la modernizzazione (ferrovie,
strade, ospedali, abolizione della schiavitù).
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Tra il ‘35 e il ‘36, nei sette mesi di guerra, si misurò
l’incapacità della comunità internazionale di
difendere veramente la pace: Francia, Inghilterra,
USA, URSS si limitarono a condanne formali
dell’aggressione italiana, ma nessuna nazione
intervenne concretamente per fermare il conflitto.
Solo la Germania appoggiava l’Italia (per averne in
cambio il via libera all’occupazione dell’Austria),
insieme alla gerarchi cattolica italiana.
Gli Italiani si macchiarono di crimini efferati: l’uso di
gas letali sulla popolazione civile, sui pascoli, sul
bestiame; l’impiego massiccio di carri armati e
aviazione (armi di cui l’Etiopia non disponeva)
causarono 200.000 morti contro i 4.000 italiani.
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Nel maggio 1936 Mussolini proclamò la “rinascita
dell’Impero sui colli fatali di Roma” e lo stesso
Vittorio Emanuele III acquisì il titolo di Imperatore
dell’Africa Orientale Italiana (Etiopia, Eritrea,
Somalia): in circa dieci anni di presenza, gli Italiani
lasciarono un discreto livello di modernizzazione e di
infrastrutture.
Ma la conquista determinò anche in Italia il diffondersi
di una cultura razzista convinta della superiorità
dell’uomo bianco, della pericolosità degli incroci
razziali e della convivenza tra etnie diverse.
Nel 1938 l’Italia seguirà la Germania nella politica di
persecuzione antisemita: 
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il Manifesto degli Scienziati Razzisti tentava di definire
i caratteri biologici e psicologici della razza italica:
nobiltà di volto, solidità ed armonia di architettura
corporea, potere di adattamento, spiccato senso etico e
intuito politico e giuridico.
A differenza degli USA (paese di negri ed ebrei,
disgregatore di civiltà), l’Italia voleva difendere la
propria purezza etnica: le Leggi Razziali espulsero
docenti e alunni ebrei dalle scuole e dall’università,
espulsero dal paese gli ebrei stranieri (perdita
culturale ed economica), limitarono il diritto di
possesso e l’esercizio delle professioni; nasceva
persino la rivista Difesa della Razza. L’Italia si
preparava a dare il proprio contributo alla Shoah.
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