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Laicita e simboli religiosi -abbigliamento

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Laicita e simboli religiosi -abbigliamento
Laicità e abbigliamento/simboli
religiosi
Ragazza che indossa il foulard islamico o hijab
āya 59 della sura XXXIII (al-Aḥzāb, "Le fazioni alleate")
« O Profeta! Di' alle tue spose e alle tue figlie e alle donne dei
credenti che si ricoprano dei loro mantelli ("yudnīna ʿalayhinna
min jalābībihinna"); questo sarà più atto a distinguerle dalle
altre, e a che non vengano offese. Ma Dio è indulgente e
clemente! »
Donne con il chador
Donne con il niqab
Donne con il burqa
Ragazzi
ebrei che
indossano
la kippah
Sikh
Il kirpan
Abiti religiosi cattolici
Francia, legge 11/10/2010 n. 1192
• Article 1
• Nul ne peut, dans l’espace public, porter une
tenue destinée à dissimuler son
visage. (Nessuno può indossare, in luoghi
pubblici, un abbigliamento che abbia come
scopo quello di nascondere il suo volto)
Article 4 (modifica il cod. pen.)
• « Art. 225-4-10.-Le fait pour toute personne
d'imposer à une ou plusieurs autres personnes
de dissimuler leur visage par menace,
violence, contrainte, abus d'autorité ou abus
de pouvoir, en raison de leur sexe, est puni
d'un an d'emprisonnement et de 30 000 €
d'amende.
« Lorsque le fait est commis au préjudice d'un
mineur, les peines sont portées à deux ans
d'emprisonnement et à 60 000 € d'amende. »
Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo
Caso S.A.S. contro Francia,
1° luglio 2014
(Grand Chamber)
• 3. The applicant complained that the ban on
wearing clothing designed to conceal one’s
face in public places, introduced by Law no.
2010-1192 of 11 October 2010, deprived her
of the possibility of wearing the full-face veil
in public. She alleged that there had been a
violation of Articles 3, 8, 9, 10 and 11 of the
Convention, taken separately and together
with Article 14 of the Convention.
THE FACTS
• I. THE CIRCUMSTANCES OF THE CASE
• 10. The applicant is a French national who was
born in 1990 and lives in France.
• 11. In the applicant’s submission, she is a
devout Muslim and she wears the burqa and
niqab in accordance with her religious faith,
culture and personal convictions. According to
her explanation, the burqa is a full-body
covering including a mesh over the face, and
the niqab is a full-face veil leaving an opening
only for the eyes.
• The applicant emphasised that neither her
husband nor any other member of her family
put pressure on her to dress in this manner.
12. The applicant added that she wore the
niqab in public and in private, but not
systematically: she might not wear it, for
example, when she visited the doctor, when
meeting friends in a public place, or when she
wanted to socialise in public.
• She was thus content not to wear the niqab in
public places at all times but wished to be able
to wear it when she chose to do so, depending
in particular on her spiritual feelings. There
were certain times (for example, during
religious events such as Ramadan) when she
believed that she ought to wear it in public in
order to express her religious, personal and
cultural faith. Her aim was not to annoy others
but to feel at inner peace with herself.
• 13. The applicant did not claim that she
should be able to keep the niqab on when
undergoing a security check, at the bank or in
airports, and she agreed to show her face
when requested to do so for necessary
identity checks.
• 157. Consequently, having regard in particular
to the breadth of the margin of appreciation
afforded to the respondent State in the
present case, the Court finds that the ban
imposed by the Law of 11 October 2010 can
be regarded as proportionate to the aim
pursued, namely the preservation of the
conditions of “living together” as an element
of the “protection of the rights and freedoms
of others”.
• 158. The impugned limitation can thus be
regarded as “necessary in a democratic
society”. This conclusion holds true with
respect both to Article 8 of the Convention
and to Article 9.
• 159. Accordingly, there has been no violation
either of Article 8 or of Article 9 of the
Convention.
Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo
Affaire AHMET ARSLAN ET
AUTRES c. TURQUIE
23 febbraio 2010
• Il caso riguardava più di cento fedeli di una
confraternita islamica, gli Aczimendi Tarikati,
che a Ankara erano stati arrestati perché
camminavano per strada vestiti con i loro abiti
tradizionali al termine di una cerimonia
religiosa.
• Si presentarono vestiti allo stesso modo
anche davanti al Tribunale Penale che doveva
giudicarli
Aczimendi Tarikati
La Corte rileva:
• Che i ricorrenti non erano funzionari pubblici o
incaricati di pubblico servizio;
• Che il luogo in cui circolavano era un luogo
pubblico aperto a tutti e non un edificio
pubblico o nel quale si svolge una funzione
pubblica;
• Non c’è prova che tale abbigliamento
costituisse una minaccia per l’ordine e la
sicurezza pubblica, né un tentativo di
proselitismo forzato.
• Conclusioni: La Corte , “considerato l’insieme
delle circostanze di specie, ritiene che il danno
arrecato alla libertà religiosa dei ricorrenti non
sia fondato su motivi sufficienti in base all’art.
9
Legge Belgio 1 giugno 2011
• “Art. 563bis. Persons who, unless otherwise
provided by law, appear in a place that is
accessible to the public with their faces
completely or partially covered or hidden, such
as not to be identifiable, shall be liable to a
fine of between fifteen and twenty-five euros
and imprisonment of between one and seven
days, or only one of those sanctions.
• However, paragraph 1 hereof shall not
concern persons who are present in a place
that is accessible to the public with their faces
completely or partially covered or hidden
where this is provided for by employment
regulations or by an administrative ordinance
in connection with festive events.”
Circolare ministeriale 14 marzo 1995, n. 4
Rilascio carta di identità a cittadini professanti culti
religiosi diversi da quello cattolico - uso del copricapo
• Con l'intensificarsi del fenomeno
immigratorio, privati interessati hanno
espresso la difficoltà, incontrata dalle donne di
religione islamica presso Uffici comunali e
circoscrizionali di appartenenza, ad ottenere il
rilascio della carta d'identità dietro
presentazione di foto che le ritraggono a capo
coperto….
• …questo Ministero è dell'avviso che nei casi in
cui la copertura del capo in vari modi: velo,
turbante o altro, è imposta da motivi religiosi,
la stessa non può essere equiparata all'uso del
cappello, ricadendo così nel divieto posto
dall'articolo 289 del Regolamento del T.U.L.P.S.
• Invero la cennata disposizione regolamentare
non parla di capo scoperto ma bensì fa
riferimento al cappello cioè ad un accessorio
dell'abbigliamento il cui uso è eventuale e che,
per le sue caratteristiche, potrebbe alterare la
fisionomia di chi viene ritratto.
Diverso è invece il caso in esame ove il
turbante ovvero il velo delle religiose, sono
parte degli indumenti abitualmente portati e
che concorrono nel loro insieme a identificare
chi li porta.
• Ciò premesso si ritiene opportuno, anche alla
luce di possibili richiami al precetto
costituzionale della libertà di culto e di
religione, che le richieste in argomento
debbano trovare favorevole accoglimento
presso le Amministrazioni Comunali, purché i
tratti del viso siano ben visibili.
Corte di Cassazione, sez. III pen,
sent. 4 aprile 2006, n. 11919
• Abstract: Il tentativo di togliere il velo, che la
religione musulmana impone alle credenti,
unitamente alla pronuncia di parole offensive,
integra la volontà lesiva dell'integrità morale
di persone appartenenti a una cultura
religiosa, quale quella islamica, diversa dalla
cattolica dominante nel Paese, determinando
l'applicazione dell'aggravante della "finalità di
discriminazione ed odio etnico razziale e
religioso".
Consiglio di Stato, sez. VI, sent.
19/6/2008, n. 3076
• Abs: L’art. 5 della legge n. 152/1975 vieta l'uso
di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo
atto a rendere difficoltoso il riconoscimento
della persona, in luogo pubblico o aperto al
pubblico, senza giustificato motivo.
La ratio della norma, diretta alla tutela
dell’ordine pubblico, è quella di evitare che
l’utilizzo di caschi o di altri mezzi possa
avvenire con la finalità di evitare il
riconoscimento.
• Tuttavia, un divieto assoluto vi è solo in
occasione di manifestazioni che si svolgano in
luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne
quelle di carattere sportivo che tale uso
comportino. Negli altri casi, l’utilizzo di mezzi
potenzialmente idonei a rendere difficoltoso il
riconoscimento è vietato solo se avviene
“senza giustificato motivo".
• Quanto al “velo che copre il volto”, o in
particolare al burqa, si tratta di un utilizzo che
generalmente non è diretto ad evitare il
riconoscimento, ma costituisce attuazione di
una tradizione di determinate popolazioni e
culture. Il citato art. 5 consente, dunque, nel
nostro ordinamento che una persona indossi il
velo per motivi religiosi o culturali; le esigenze
di pubblica sicurezza sono soddisfatte dal
divieto di utilizzo in occasione di
manifestazioni e dall’obbligo per tali persone
di sottoporsi all'identificazione e alla
rimozione del velo, ove necessario a tal fine.
Resta fermo che tale interpretazione non
esclude che in determinati luoghi o da parte di
specifici ordinamenti possano essere previste,
anche in via amministrativa
regole comportamentali diverse incompatibili
con il suddetto utilizzo, purché trovino una
ragionevole e legittima giustificazione sulla
base di specifiche e settoriali esigenze.
Tribunale di Cremona. Sentenza 19 febbraio 2009:
"Simboli religiosi ed esclusione della configurabilità del
reato di porto ingiustificato di armi od oggetti atti ad
offendere".
• Abstract: Il porto del pugnale kirpan
costituisce un segno distintivo di adesione ad
una regola religiosa e, quindi, una modalità di
espressione della fede religiosa Sikh, garantita
dall’art. 19 Cost. oltre che da plurimi atti
internazionali, perciò non costituisce reato.
• Nella fattispecie il Tribunale di Cremona ha
assolto un indiano sikh dal reato di porto
ingiustificato di armi od oggetti atti ad
offendere (art. 4 l. 18 aprile 1975 n. 110) per
avere portato con sé fuori dalla propria
abitazione un pugnale kirpan della lunghezza
complessiva di 17 cm (di cui 10 di lama),
calzato in un fodero.
• L’indiano era stato fermato dalle forze
dell’ordine mentre si trovava all’interno di un
centro commerciale, vestito con una tunica
bianca e con un turbante. Una volta fermato,
aveva subito giustificato il porto del pugnale
kirpan affermandone la natura di simbolo
religioso:
una circostanza ha trovato riscontro durante il
processo, dove è risultato provato, anche
grazie a un certificato del Consolato generale
dell’India, che per i sikh il kirpan è simbolo
della resistenza al male e che deve essere
sempre portato in modo visibile.
(L’art. 4, II co. L. 110/75 punisce coloro che
portino fuori dall’abitazione un coltello “senza
giustificato motivo”)
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
• Caso MANN SINGH c. FRANCIA (n. 24479/07)
Il ricorrente è un francese di origine indiana al
quale le autorità francesi avevano negato il
rilascio di una copia della patente di guida, in
quanto le foto da lui fornite lo ritraevano con il
turbante sikh.
• La legge francese stabilisce che le foto per la
patente di guida debbano ritrarre il soggetto a
capo scoperto.
• Il ricorrente accusa tale norma di essere lesiva
del suo diritto di libertà religiosa.
• La Corte dichiara improcedibile il ricorso.
(La Corte) relève que la photographie
d’identité avec «tête nue», apposée sur le
permis de conduire, est nécessaire aux
autorités chargées de la sécurité publique et
de la protection de l’ordre public, notamment
dans le cadre de contrôles effectués en
relation avec les dispositions du code de la
route, pour identifier le conducteur et
s’assurer de son droit à conduire le véhicule
concerné. De tels contrôles sont nécessaires à
la sécurité publique au sens de l’article 9 § 2
de la Convention.
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
Phull c. Francia (11/1/2005 n. 35753/03)
• Cittadino britannico di religione sikh che
all’aeroporto di Strasburgo, ai controlli di
sicurezza, era stato obbligato a levarsi il
turbante.
• Ricorso per violazione della libertà religiosa e
della libertà di circolazione.
• La Corte rigetta il ricorso per entrambi i
motivi:
« D'une part, les contrôles de sécurité dans les
aéroports sont sans aucun doute nécessaires à
la sécurité publique au sens de cette
disposition. D'autre part, les modalités de leur
mise en œuvre en l'espèce entrent dans la
marge d'appréciation de l'Etat défendeur,
d'autant plus clairement qu'il ne s'agit que
d'une mesure ponctuelle.
• Quant au second grief, la Cour estime qu'en
tant que tels, les contrôles de sécurité
auxquels les passagers sont astreints dans les
aéroports avant d'embarquer ne sont pas
constitutifs de restrictions à la liberté de
circulation ».
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