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Diabete mellito non insulino

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Diabete mellito non insulino
IL DIABETE
LA PATOLOGIA
Il diabete mellito costituisce una delle principali malattie sociali in Italia per l'ampia
diffusione e per i problemi ad esso associati, tra cui la necessità di assistenza medica
continua e l'inabilità talora derivante da lunghi periodi di malattia. Per sopperire a ciò,
sono state varate specifiche leggi dirette alla prevenzione ed alla cura del diabete, nonché
all'assistenza sociale dei soggetti che ne sono colpiti.
Il diabete è in aumento in molte popolazioni del mondo; negli Stati Uniti si stima che,
sebbene non sempre diagnosticato, il diabete interessi il 7.3% della popolazione totale. Il
ritardo nella diagnosi dipende dal fatto che nel diabete mellito non insulino-dipendente
(NIDDM o TIPO II), la forma di diabete più frequente nelle età avanzate, i sintomi sono
spesso assenti e poco specifici.
La sintomatologia
Il diabete mellito è un disordine del metabolismo caratterizzato da un'elevata
concentrazione di glucosio nel sangue dovuta o ad una carenza di insulina o
all'azione ridotta di quest'ultima.
I più comuni sintomi del diabete sono aumento della sete (polidipsia), aumento della
fame (polifagia), eccessiva minzione (poliuria), talora perdita di peso, visione sfuocata,
stanchezza e, nella carenza grave di insulina, si può avere chetoacidosi: questi sintomi
rappresentano le “MANIFESTAZIONI ACUTE" del diabete mellito. Se non
precocemente diagnosticato e curato, il diabete, infatti, può portare a complicanze gravi
come nefropatie, cecità e malattie cardiovascolari, a causa delle quali il diabete è oggi
una delle principali cause di invalidità e di mortalità in molte popolazioni del mondo.
Prevenire o ritardare la comparsa del diabete nelle persone geneticamente predisposte o
ridurre le complicanze a lungo termine, è oggi possibile con appropriati programmi
terapeutici, adeguati cambiamenti nell'alimentazione, con l'esercizio fisico od altre
positive abitudini di vita.
Nel diabete, il difetto di insulina o di attività insulinica comporta il
mancato utilizzo del glucosio nei tessuti e quindi iperglicemia nel sangue
con :
- concentrazione glucosio superiori a 110 mg/100 ml
(valore normale: 70-110 mg/100 ml),
- rilascio di glucosio nelle urine.
Più in generale il DIABETE è caratterizzato da un complesso disordine
del metabolismo non solo glucidico (glucosio in particolare) ma anche dei
lipidi, dei protidi e idrosalino.
L’INSULINA è UN ORMONE
CHE REGOLA
L’UTILIZZO DEL GLUCOSIO
L'insulina è un ormone proteico che ha il compito di
rendere utilizzabili dall'organismo le sostanze nutritive,
regolando l'uso nelle nostre cellule dei carboidrati, dei
lipidi e delle proteine. L'insulina può essere considerato
un attivatore di alcuni passaggi del metabolismo,
intendendo con quest'ultimo termine il complesso di
reazioni chimiche che trasformano gli alimenti in
energia per l'organismo.
ALCUNI DATI
• NEL 2025, STANDO ALLE PREVISIONI, OLTRE 380
MILIONI DI PERSONE VIVRANNO CON IL DIABETE,
DI CUI LA MAGGIOR PARTE NEI PAESI IN VIA DI
SVILUPPO.
• ATTUALMENTE I MALATI SONO 246 MILIONI, DI CUI
PIU’ DI TRE MILIONI IN ITALIA
• IL COSTO MEDIO ANNUO DEL DIABETICO è STATO
DI 1.792 EURO
Classificazione del diabete mellito
Il diabete mellito (DM) può essere classificato in quattro forme clinicamente diverse:
il diabete mellito insulino-dipendente (IDDM o TIPO I),
il diabete mellito non insulino-dipendente (NIDDM o TIPO II),
il diabete mellito gestazionale (GDM)
il diabete associato ad altre patologie (diabete secondario).
Diabete mellito insulino-dipendente (tipo I)
Il DM TIPO I è caratterizzato da un'inadeguata secrezione di insulina a causa di un
processo autoimmunitario che provoca la quasi totale distruzione nel pancreas
delle cellule b delle isole di Langerhans. Il DM tipo I può a sua volta essere suddiviso
nella classica forma ad insorgenza giovanile (tipo IA) ed in una forma che invece
colpisce soggetti al di sopra dei 30 anni e che può essere frequentemente associato ad
altre malattie endocrine di natura autoimmune (tipo IB). Il meccanismo attraverso cui
si sviluppa il processo autoimmune non è ancora ben chiaro; probabilmente la
predisposizione genetica ha un ruolo chiave nell'indurre la sensibilizzazione del
sistema immunitario con modalità dirette o indirette.
Per l'insorgenza giovanile del DM, invece, si è ipotizzato che un'aumentata sensibilità
alle infezioni virali, dovuta a predisposizione genetica, possa indurre alcuni virus (tra cui
quello dell'influenza) ad interagire con un recettore specifico o con HLA (Human
Leucocyte Antigen) posti sulla superficie delle cellule b , scatenando una "anomala"
risposta immunitaria.
Diabete mellito non insulino-dipendente (tipo II)
Il DM tipo II è la forma di diabete più frequente in età avanzata e la sua insorgenza è
spesso correlata all'obesità ed a bassi livelli di esercizio fisico. Si tratta di una patologia
caratterizzata dal precoce invecchiamento delle cellule pancreatiche, che pur
mantenendo la capacità di secernere insulina, mostrano una ridotta sensibilità nei
confronti degli stimoli fisiologici come l'iperglicemia, o da una diminuzione nell'azione
dell'insulina nei tessuti periferici come tessuto adiposo, muscolatura striata e fegato. Una
certa importanza patogenetica nell'indurre tali alterazioni potrebbe essere rivestita dal
polipeptide amiloide insulare o "amilina", costituito da 37 amminoacidi la cui secrezione
da parte delle cellule aumenta abnormemente nei pazienti affetti da DM tipo II o nei
soggetti non diabetici di età avanzata.
L'amilina sarebbe in grado di antagonizzare a livello muscolare la glicogenosintesi
e di ridurre sensibilmente la capacità dell'insulina di stimolare l'assorbimento e
l'utilizzazione del glucosio.
L'ereditarietà nel DM tipo II svolge un ruolo decisamente maggiore rispetto al
DM tipo I; sono stati identificati sul cromosoma 19 alcuni geni che codificano per
l'espressione del recettore specifico dell'insulina e, sul braccio corto del cromosoma
11, un gene la cui disfunzione potrebbe indurre alterazioni correlabili alla genesi del
DM tipo II. Nella Tabella 1 sono elencate le caratteristiche cliniche che differenziano il
DM tipo I dal DM tipo II.
Diabete mellito gestazionale (GDM)
Si definisce diabete mellito gestazionale la forma patologica che si instaura nelle
ultime fasi della gestazione, di solito durante il SECONDO E IL TERZO
TRIMESTRE, quando aumentano i livelli degli ormoni insulino-antagonisti e si
sviluppa resistenza all'insulina: ciò si verifica nel 2-7% di tutte le gravidanze.
Normalmente questa forma di diabete SCOMPARE DOPO IL PARTO, anche se con il
tempo un'elevata percentuale di donne con una storia di GDM sviluppano un DM di tipo
II. Dal 1970 ad oggi, con il miglioramento delle conoscenze e dell'intervento terapeutico,
si è progressivamente ridotta la frequenza di complicanze materne correlabili al diabete in
gravidanza, come l'eclampsia, la gestosi, l'idramnios, il parto distocico, ed anche la
mortalità neonatale.
Diabete mellito secondario
Perché il diabete secondario si manifesti è necessaria la perdita di oltre 1'80% delle
isole di Langherans normalmente presenti nel pancreas. Nei paesi Occidentali il DM
secondario rappresenta lo 0.3-0.5% di tutte le forme di diabete; tale frequenza sale all'
1% nelle popolazioni con elevato consumo di alcol ed al 10-12% nei Paesi Tropicali.
Numerose sono le patologie che, compromettendo il pancreas o producendo una grave
resistenza all'insulina, possono portare al diabete mellito secondario: pancreatite,
pancreatectomia totale o parziale, emocromatosi, malnutrizione e fibrosi calcifica (si
riscontra per lo più nei Paesi Tropicali), endocrinopatie, patologie primitive del recettore
insulinico ed alcune sindromi genetiche (sindrome di Down, sindrome di Turner,
sindrome di Klinefelter).
INTERVENTO DIETETICO NEL
DIABETE MELLITO
Gli obiettivi principali della dieta (il termine dieta non deve essere inteso nel senso di
restrizione alimentare, bensì dì regola) per ìl diabete mellìto sono:
a) aiutare i pazienti diabetici a raggiungere e mantenere un miglior controllo
metabolico;
b) prevenire le complicanze acute e a lungo termine
c) migliorare lo stato generale di salute attraverso una corretta alimentazione.
In Italia è stato recentemente rilevato che il 60% dei pazienti diabetici non si attiene
sufficientemente alle prescrizioni dietetiche raccomandate: risulta così complesso il
raggiungimento dei suddetti obiettivi. Fattori di ordine tradizionale, lavorativo e sociale,
nonché il rifiuto psicologico nei confronti di una malattia che richiede continui
sacrifici e moderazione, sono di ostacolo al conseguimento di una corretta terapia
nutrizionale. Il diabetico tende spesso a SOTTOVALUTARE l'efficacia intrinseca della
dieta, convinto di poter compensare gli abusi alimentari con la terapia farmacologica.
Distribuzione dei principi nutritivi
Non vi è motivo per pensare che una persona affetta da diabete abbia un FABBISOGNO
ENERGETICO DIVERSO da quello di una persona sana che presenti le stesse
caratteristiche somatiche, la stessa età e svolga un'equivalente attività lavorativa. In
condizioni normali non esistono quindi presupposti per porre grosse limitazioni alla dieta
di un diabetico, fuorché la necessità di mantenere possibilmente un PESO
ADEGUATO. Tale regola vale soprattutto per i diabetici obesi per i quali sarebbe
opportuno ridurre le calorie raccomandate in modo da ottenere un progressivo
dimagramento fino al raggiungimento del peso ideale; è stato infatti osservato che la
perdita di peso associata con una diminuzione nel grasso corporeo totale provoca un
marcato miglioramento della tolleranza ai carboidrati ed una riduzione della posologia
degli ipoglicemizzanti. Recentemente però, considerati gli scarsi successi da parte dei
diabetici obesi nel mantenimento del peso a lungo termine, l'American Diabetic
Association (ADA) ha stabilito che la terapia nutrizionale deve essere rivolta soprattutto
al raggiungimento degli obiettivi riguardanti il metabolismo glucidico e lipidico e la
pressione arteriosa.
In concomitanza di altre malattie, la dieta andrà opportunamente modificata; ad
esempio in caso di patologie renalì si dovranno ridurre la quota proteica e l'apporto di
potassio e fosfati.
In seguito alla scoperta dell’ INSULINA (1921), quando, per i pazienti affetti da
diabete mellito tipo I, non fu più necessaria una dieta rigorosissima, le raccomandazioni
per l'alimentazione hanno subìto continui cambiamenti. Attualmente non esiste più
una "alimentazione per dìabetìcì" unica, ma una SERIE DI LINEE GUIDA che
nutrizionista e paziente devono concordare al fine di pianificare un regime dietetico
ottimale per la terapia medica e per la prevenzione delle complicanze a lungo termine
del diabete, personalizzando la dieta in base alla singole esigenze di vita del paziente.
L'American Diabetic Association insieme a tutte le principali associazioni
diabetologiche internazionali sono concordi nel raccomandare schemi dietetici basati su
un normale apporto di carboidrati e di FIBRA ALIMENTARE, una rigorosa
limitazione della quota lipidica, con particolare riguardo ai grassi saturi, ed un apporto
fisiologico di proteine. La Tabella 2 riporta come sono variate negli anni le
raccomandazioni nutrizionali per l'alimentazione dei soggetti diabetici.
Le attuali indicazioni dietetiche (Tabella 3) consigliano quindi un apporto energetico
distribuito tra 50-60% carboidrati, 10-20% proteine, 30% lipidi, con due importanti
raccomandazioni: non superare i 300 mg di colesterolo al giorno e limitare il consumo
di sale in quanto si ritiene che un uso eccessivo possa interferire negativamente con la
regolazione dell'equilibrio glicemico.
Indirizzi dietetici per i due tipi principali di diabete mellito
Sebbene le diverse forme di diabete richiedano un trattamento dietetico di volta ìn volta
differente, ìn linea dì principio è opportuno che ìl paziente sappia ripartire I
CARBOIDRATI in modo adeguato nell'arco della giornata: ciò è dovuto al fatto che la
medesima quantità di zuccheri assunta giornalmente viene utilizzata dal diabetico in modo
migliore se somministrata a dosi relativamente modeste ripetute nel tempo piuttosto che
in un unico o duplice carico. Il frazionamento dei pasti nell'arco della giornata consente
inoltre di evitare carichi eccessivi e di prevenire le crisi ipoglicemiche.
Generalmente si consigliano TRE PASTI PRINCIPALI (colazione, pranzo e cena)
accompagnati da due/tre spuntini da assumersi a metà mattina, pomeriggio ed
eventualmente prima di coricarsi, ai diabetici insulino-dipendenti, e soltanto TRE
PASTI, eventualmente con uno spuntino, ai non insulino-dipendenti in quanto per
costoro esiste generalmente la necessità di normalizzare il peso corporeo. Logicamente la
dieta deve essere sempre personalizzata in base alla terapia farmacologica, ai ritmi di
lavoro e di vita del paziente va corretta nel tempo in relazione alle analisi cliniche di
controllo. In Tabella 4 sono elencate le principali raccomandazioni dietetiche per le due
forme principali di diabete mellito.
IL CONTRIBUTO DEI SINGOLI NUTRIENTI
ALLA DIETA DEL DIABETICO
Apporto proteico
La quantità di proteine che i nutrizionisti consigliano di assumere deve essere
sufficiente ad assicurare la normale crescita, lo sviluppo ed il mantenimento delle
funzioni dell'organismo. Per questo motivo i LARN raccomandano per l'uomo adulto un
apporto proteico di 0.8-1 g/kg di peso corporeo, pari a circa il 10-20% del fabbisogno
energetico giornaliero; questo apporto deve essere distribuito in modo equivalente tra:
-proteine di origine animale, fornite soprattutto da pesce, coniglio, pollo e tacchino ed
in seconda istanza da carni rosse, insaccati e formaggi;
-proteine di origine vegetale, fornite principalmente da legumi e cereali.
In caso di insufficienza renale, malattia talora associata al diabete, sì consiglia di
modificare opportunamente la dieta riducendo la quota proteica.
Apporto lipidico
I lipidi possiedono alcune caratteristiche particolari che ne condizionano l'impiego
nella dieta dei diabetici. E già stato detto in precedenza che, soprattutto nei
diabetici obesi, LA PERDITA DI PESO consente un miglior controllo glicemico
ed una riduzione della posologia degli ipoglicemizzanti; questo può essere ottenuto
sia AUMENTANDO L’ATTVITA’ FISICA sia riducendo il contenuto di grassi
totali nell'alimentazione. Inoltre, i medici raccomandano di ridurre la quota
lipidica ìn quanto esiste una frequente associazione tra malattia diabetica ed
alterazioni del metabolismo lipidico (ipertrigliceridemie, ipercolesterolemie e
dislipidemie). Per ridurre il rischio di queste malattie, di solito si raccomanda che
non oltre il 30% dell'energia giornaliera totale provenga dai grassi, di cui non
oltre il 10% da acidi grassi saturi. Si debbono pertanto privilegiare gli acidi
grassi mono e polinsaturi derivati da grassi di condimento (soprattutto olio di
oliva, mais o arachidi), pesce e legumi; il colesterolo alimentare non dovrebbe
superare i 300 mg al giorno.
Apporto glucidico
Dal punto di vista della dieta per soggetti diabetici, i carboidrati vanno suddivisi in:
- zuccheri semplici: monosaccaridi e disaccaridi a rapida azione iperglicemica;
- zuccheri complessi: amidacei che dovrebbero comportare una risposta
iperglicemica post-prandiale meno intensa e più diluita nel tempo (questa
affermazione è però stata recentemente contestata, vedi indice glicemico);
- fruttosio: pur essendo uno zucchero semplice, determina solo un modesto e
tardivo rialzo della glicemia e non richiede una quota supplementare di insulina
per essere utilizzato dai tessuti periferici;
- fibra alimentare: migliora la tolleranza ai carboidrati e riduce i valori glicemici
post-prandiali, riducendo l'assorbimento intestinale di zuccheri.
Le attuali linee guida raccomandano che il contributo dato dai carboidrati al fabbisogno
energetico giornaliero sia pari a 50-60%, di cui l'80% deve essere fornito soprattutto
da amidi, ovvero pasta e pane integrali o legumi ed in seconda istanza da riso e
patate, alimenti meno ricchi di fibra; il 20% deve essere sotto forma dì zuccheri
semplici presenti in frutta, latte, fruttosio, e per i diabetici non obesi ed in buone
condizioni di equilibrio metabolico anche in gelati e dolci. In Tabella 5, sono elencati gli
alimenti contenenti carboidrati, il cui consumo da parte dei soggetti affetti da diabete
mellito, sulla base della quantità e qualità degli zuccheri in essi presenti, può essere
consigliato o vietato.
Indice glicemico
L'iperglicemia postprandiale rappresenta il problema più importante nel trattamento
del diabete mellito; molteplici sono i fattori che influenzano le diverse risposte
glicemiche ai cibi: la quantità e la qualità degli zuccheri in essi contenuti, i trattamenti
industriali ai quali vengono spesso sottoposti gli alimenti, le modalità di cottura, le
interazioni con grassi, proteine e fibre alimentari che possono interferire sulla velocità
di assorbimento intestinale dei carboidrati. Per molti anni si è ritenuto che i carboidrati
complessi producessero un aumento minore della concentrazione di glucosio nel
sangue rispetto al glucosio stesso o ad altri carboidrati semplici, detti "zuccheri rapidi",
in quanto la digestione e l'assorbimento dei composti amidacei richiede tempi più lunghi.
Oggi questo modo di pensare ha perso gran parte del suo significato dal momento
che, da studi a medio e lungo termine condotti su soggetti affetti da diabete mellito di
tipo I o di tipo Il, SEMBRA non risultino differenze significative nelle risposte
glicemiche dopo assunzione di quantità equivalenti di glucosio o di carboidrati
complessi quali pane, riso o patate.
Tuttavia, considerata la scarsità degli studi eseguiti, non vi sono sufficienti prove per
decidere con certezza la reale equivalenza metabolica di zuccheri semplici e complessi;
inoltre, non si hanno dati per il momento che assicurino l'assenza di complicanze a lungo
termine.
Resta pertanto ancora valido il concetto di INDICE GLICEMICO inteso come un
metodo per valutare le diverse risposte glicemiche ai cibi contenenti carboidrati, ossia
l'aumento della glicemia in seguito all'ingestione di una dose equivalente (50 grammi)
di alimenti ricchi in carboidrati. L'indice glicemico è descritto dalla seguente formula:
INDICE
area sottesa dall’incremento glicemico dopo l’assunzione di un certo alimento
x 100
=
GLICEMICO
area sottesa dall’incremento glicemico dopo l’assunzione di pane bianco
In alcuni casi al posto del pane bianco, quale riferimento, si usa il GLUCOSIO; si
indicherà in seguito come convertire le due misure (Tabella 6).
L'adozione di questo parametro ha permesso di assumere un atteggiamento più
permissivo nei confronti del trattamento dietetico dei soggetti diabetici: un'assunzione
moderata di gelato o di dolci, per esempio, può essere concessa a complemento del
pasto di diabetici, nell'ambito di una dieta equilibrata, senza causare preoccupanti
variazioni dei parametri metabolici. Queste concessioni tra l'altro consentono una
maggior gratificazione ed una miglior adattabilità nei confronti della dieta. In Tabella 6
è indicato l'indice glicemico di alcuni alimenti.
Fibra alimentare e frutta
Per quanto concerne la quantità di fibra alimentare da assumere quotidianamente, per le
persone affette da diabete mellito valgono le stesse raccomandazioni formulate per i
non diabetici; si consiglia, cioè, di includere nella propria dieta cibi naturalmente
ricchi di fibre solubili in modo da assumere giornalmente 20-40 g/die di fibra
proveniente da fonti alimentari diverse quali verdura, legumi, cereali e frutta. È stato
dimostrato che l'assunzione di fibra in quantità >_20 g/die è in grado di svolgere
un'azione ipolipidemizzante ed ipocolesterolemizzante, oltre ad un'azione modulante
sui picchi glicemici ed insulinemici post-prandiali; tutto questo permette ai pazienti
diabetici di ottenere un miglior controllo glicemico.
LA FRUTTA è un alimento molto ricco di fibra, ma contiene anche zuccheri semplici,
ragion per cui fino a pochi anni fa il consumo era ristretto solo a poche varietà, come per
esempio la mela. Attualmente non vi sono più restrizioni in tal senso, quindi un diabetico
può mangiare qualsiasi tipo di frutto purché tenga sempre in considerazione i limiti
prefissati per gli zuccheri semplici. In Tabella 7 vengono elencate alcune caratteristiche
nutrizionali, con particolare riguardo verso gli zuccheri semplici, di alcuni tipi di frutta: il
soggetto diabetico dovrà tenerne conto per una dieta corretta.
Bevande consentite
Acqua
Rappresenta la bevanda base per i soggetti diabetici; non esiste alcun motivo
ragionevole per limitarne l'assunzione, se non in caso di particolari patologie, quali ad
esempio alterazioni della funzione cardio-circolatoria, renale o gastrointestinale. È
consentita l'assunzione di acque oligominerali, riservando quelle ricche in bicarbonati ai
soggetti diabetici con tendenza alla chetoacidosi.
Tè e caffè
Non sono vietati purché vengano poco zuccherati.
Bibite comuni
L'assunzione di queste bevande dovrebbe essere limitata; non solo è sconsigliato il
consumo di bevande gassate, che contengono quantità consistenti di zucchero (10-20 g
di glucosio per 100 mL), ma anche i succhi e le spremute di frutta ai quali si deve
preferire la frutta fresca perché più ricca di fibra e per il maggior effetto saziante. Queste
bibite sono particolarmente utili nel caso di crisi ipoglicemiche, di attività sportiva e
sforzi fisici; è consentito l'uso di bevande dolcificate con sostanze artificiali
(edulcoranti).
Bevande alcoliche
Quantità moderate di alcol non provocano nessun problema sul controllo
glicemico e sul metabolismo lipidico nei pazienti diabetici; ne è sconsigliata però
l'assunzione a digiuno in quanto, diminuendo la produzione di glucosio epatico, può
provocare l'insorgenza di crisi ipoglicemiche. Ai diabetici normopeso è consentito
quindi il consumo durante i pasti di una modesta quantità (150-200 mL) di un
vino secco; sono sconsigliati invece i vini bianchi dolci, gli spumanti ed i vini
liquorosi. Anche la birra, che contiene una discreta quantità di zuccheri semplici (circa
il 3 % di maltosio), dovrebbe essere assunta preferibilmente ai pasti e non a digiuno.
ALIMENTI DIETETICI PER DIABETICI
Edulcoranti
Ai pazienti diabetici, soprattutto se obesi, si può consigliare l'assunzione di edulcoranti
in sostituzione del saccarosio, con lo scopo principale di dolcificare i cibi e le bevande
senza fornire energia e senza aumentare le concentrazioni di glucosio nel sangue.
Se usati con moderazione, gli edulcoranti sono privi di rischi per la salute; esistono, però,
opportune indicazioni per il consumo di alcuni di essi che, per norma di legge, devono
essere riportate in etichetta. Alcuni dolcificanti, come l'isomaltitolo o il mannitolo, a dosi
>10-20 g/die possono avere effetti lassativi, mentre l'aspartame deve essere assunto
con cautela dai fenilchetonurici perché fonte di fenilalanina. In Figura 1 e in Tabella 8
sono riportate le strutture chimiche e le proprietà dei principali edulcoranti.
Alimenti dietetici
Esiste, inoltre, sul mercato una vasta gamma di prodotti alimentari (Tabella 9)
appositamente studiati per i diabetici; si tratta di pane, pasta, grissini, fette
biscottate e dolciumi vari, come marmellate, gelati e cioccolato, a basso contenuto
di amidi, nei quali il saccarosio è stato sostituito del tutto o parzialmente con una
più abbondante componente proteica o con altre sostanze dolcificanti, come il
FRUTTOSIO o il sorbitolo.
Il consumo di questi prodotti non è determinante dal momento che, per prevenire
le complicanze a lungo termine del diabete, basterebbe seguire una dieta semplice
ed equilibrata, non molto diversa da quella che ogni persona "sana" dovrebbe
adottare abitualmente. In realtà l'uso di questi alimenti può consentire al diabetico di
soddisfare piccoli peccati di gola, senza penalizzare troppo il regime dietetico e
permettergli così di consumare un quantitativo leggermente superiore di quegli
alimenti il cui apporto deve essere di norma limitato (pasta, pane e grissini, dolci,
ecc.).
LA TERAPIA FARMACOLOGICA NON BASTA
SI ALLA DIETA: la prima cosa da fare è ridurre il peso,
soprattutto quello dell’addome. Le cellule che formano il grasso
che avvolge i visceri alimentano la resistenza all’insulina, che a
sua volta genera l’aumento della glicemia, la pressione alta e
alti disturbi metabolici. Ottimo rimedio è la dieta mediterranea
equilibrata.
SI ALL’ATTIVITA’ FISICA: 150 minuti di attività fisica a
settimana riducono il rischio di ricorrere ai farmaci
ipoglicemizzanti nel 58 % dei casi. Un’altra soluzione: una
camminata di 30 minuti al giorno
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