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lezione09-04 - Rete Civica di Milano

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lezione09-04 - Rete Civica di Milano
Lezione 9
I crimini informatici
Principi generali in materia penale
• Art. 25 Costituzione
Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che
sia entrata in vigore prima del fatto commesso
• Art. 1 c.p.
Nessuno può essere punito per un fatto che non sia
espressamente preveduto come reato dalla legge nè con
pene che non siano da essa stabilite
• Art. 27
La responsabilità penale è personale
La legge 231/01
Responsabilità dell’impresa anche per gli illeciti
amministrativi dipendenti da reato:
• frode informatica nei confronti dello stato e di
enti pubblici
• distribuzione anche on line di materiale
pedopornografico
• detenzione di materiale pornografico minorile
(sono segnalati solo i casi per i quali rileva l’uso
degli strumenti informatici)
Crimini informatici
Per crimine informatico intendiamo ogni
comportamento previsto e punito dal codice
penale o da leggi speciali in cui qualsiasi
strumento informatico o telematico
rappresenti un elemento determinante ai fini
della qualificazione del fatto di reato.
Crimini informatici
Sulla base di questa definizione, quindi, possono essere
individuate tre categorie di crimini informatici:
• quelli qualificati tali dal codice penale
• quelli previsti da leggi speciali, ad esempio
– riproduzione abusiva di software (art. 171 bis lda)
– furto di dati personali (codice a protezione dei personali)
• quelli riconducibili a fattispecie che si realizzano anche
senza l’uso di strumenti informatici ma che assumono
portata o aspetti diversi in relazione a tale uso, ad esempio
–
–
–
–
–
Estorsione
Furti di dati
Furto di identità
reati finanziari
......
I reati informatici previsti dal codice penale
articoli
Fattispecie
392 cp
Esercizio arbitario delle proprie ragioni con violenza su un sw o sistema inf. o tel.
420 cp
Danneggiamento e distruzione di sistemi informatici e telematici di pubblica utilità
491 bis cp
Falso in documenti informatici
615 ter cp
Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico
615 quater cp
Detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso ai sistemi informatici o telematici
615 quinquies cp
Diffusione di programmi diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico
616 cp
Violazione, sottrazione e soppressione di corispondenza informatica e telematica
617 quater cp
Intercettazione, impedimento, o interruzione di comunicazioni informatiche o telematiche
617 quinquies cp
Installazione di apparecchiature atte ad intercettare impedire o interrompere
comunicazioni informatiche o telematiche
617 sexies cp
Falsificazione, alterazione o sopressione del contenuto di comunicazioni inf. o tel.
621 cp
Rilevazione del contenuto di documenti segreti informatici
623 bis cp
Comunicazioni e conversazioni informatiche: assimilazione
635 bis cp
Danneggiamento di sistemi informatici e telematici
640 ter cp
Frode informatica
Il sistema informatico secondo la giurisprudenza
Cassazione Penale Sez. VI n. 3067 14 dicembre 1999
Deve ritenersi sistema informatico, secondo la ricorrente espressione
utilizzata nella legge 547/93 che ha introdotto i cosiddetti “computer
crimes”, un complesso di apparecchiature destinate a compiere una
qualsiasi funzione utile all’uomo, attraverso l’utilizzazione (anche
parziale) di tecnologie informatiche che sono caratterizzate - per
mezzo di un’attività di “codificazione” e “decodificazione” - dalla
“registrazione” o “memorizzazione” per mezzo di impulsi elettronici,
su supporti adeguati, di “dati”, cioè di rappresentazioni elementari di
un fatto, effettuata attraverso simboli (bit), in combinazioni diverse, e
dalla elaborazione automatica di tali dati, in modo da generare
informazioni, costituite da un insieme più o meno vasto di dati
organizzati secondo una logica che consenta loro di esprimere un
particolare significato per l’utente.
art. 392 c.p.
Esercizio abusivo delle proprie ragioni
con violenza sulle cose
Si ha, altresì, violenza sulle cose allorché un
programma informatico viene alterato,
modificato o cancellato in tutto o in parte
ovvero viene impedito o turbato il
funzionamento di un sistema informatico o
telematico
Esercizio abusivo delle proprie ragioni con
violenza sui sistemi informatici (art. 392 cp)
Pretore di Torino 15 maggio 1996
Deve ritenersi violenza sulle cose tale da integrare
l’elemento della fattispecie di cui all’articolo 392 cp il
comportamento del soggetto il quale, al fine di esercitare un
preteso diritto di esclusiva per l’installazione e gestione
delle componenti di macchinari industriali, altera
surrettiziamente il programma di propria produzione,
installando sugli stessi un “file” di blocco dati in grado di
intervenire automaticamente sul funzionamento del
macchinario, rendendolo del tutto inservibile alla scadenza
delle date prestabilite.
art. 420 c.p.
Danneggiamento ad un impianto di pubblica
utilità
• Chiunque commette un fatto diretto a danneggiare o distruggere
impianti di pubblica utilità, è punito, salvo che il fatto costituisca più
grave reato, con la reclusione da uno a quattro anni.
• La pena di cui al primo comma si applica anche a chi commette un
fatto diretto a danneggiare o distruggere sistemi informatici o
telematici di pubblica utilità, ovvero dati, informazioni o programmi in
essi contenuti o ad essi pertinenti.
• Se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento dell'impianto o
del sistema, dei dati, delle informazioni o dei programmi ovvero
l'interruzione anche parziale del funzionamento dell'impianto o del
sistema la pena è della reclusione da tre a otto anni
Danneggiamento ad un impianto
di pubblica utilità
Ai fini della sussistenza del reato di attentato a impianti di pubblica
utilità, la nozione di impianto indica il complesso di strutture,
apparecchi, attrezzature e congegni concorrenti ad uno stesso scopo ed
indispensabili per un determinato fine. In tale nozione rientra una
centralina telefonica o armadio di distribuzione, avente la funzione di
convogliare e smistare, attraverso i congegni e i cavi in essa contenuti,
il traffico delle utenze di una determinata area, ai fini del normale
svolgimento del servizio telefonico. (Nella specie, è stata ritenuta
danneggiamento di impianto di pubblica utilità la manomissione di
cavi di una centralina telefonica finalizzata alla perpetrazione di un
furto).
Cassazione Penale Sez. II, sent. n. 8178 del 12-10-1983
art. 615 ter (estratto)
Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico
protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà
espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo è punito con la reclusione
fino a tre anni (...)
art. 615-quater (estratto)
Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto o di arrecare ad altri
un danno, abusivamente si procura, riproduce, diffonde, comunica o
consegna codici, parole chiave o altri mezzi idonei all'accesso ad un sistema
informatico o telematico, protetto da misure di sicurezza, o comunque
fornisce indicazioni o istruzioni idonee al predetto scopo, è punito con la
reclusione sino ad un anno e con la multa sino a lire dieci milioni. (...)
art. 615 quinquies (estratto)
Chiunque diffonde, comunica o consegna un programma informatico da lui
stesso o da altri redatto, avente per scopo o per effetto il danneggiamento di
un sistema informatico o telematico, dei dati o dei programmi in esso
contenuti o ad esso pertinenti, ovvero l’interruzione totale o parziale o
l’alterazione del suo funzionamento, è punito con la reclusione sino a due
anni e con la multa sino a lire venti milioni.
L’accesso non autorizzato (art. 615 cp)
La fattispecie
AZ, già socio di FV, nella società XY, gestrice di contabilità
per conto terzi, nel 1994 era uscito per intraprendere
analoga attività con il commercialista DM, già collaboratore
esterno della società.
Non avendo ottenuto di poter utilizzare come locatario
l’impianto informatico della società, ne aveva copiato i dati
su un analogo calcolatore con l’aiuto di VB, programmatore
presso la società che aveva concesso in uso il programma di
contabilità.
La protezione delle misure di sicurezza
richiesta dalla legge. Sentenza
Cassazione Penale sez. V n. 12732, 7 novembre 2000
1. L’articolo 615 ter comma 1 cp punisce non solo chi si introduce
abusivamente in un sistema informatico o telematico ma anche chi vi
si mantiene contro la volontà esplicita o tacita di chi ha il diritto di
escluderlo.
2. Non si tratta perciò di un illecito caratterizzato dall’effrazione dei
sistemi protettivi, perchè altrimenti non avrebbe rilevanza la condotta
di chi, dopo essere legittimamente entrato nel sistema informatico, vi
si mantenga contro la volontà del titolare.
3. Si tratta di un illecito caratterizzato dalla contravvenzione alle
disposizioni del titolare, come avviene nella violazione di domicilio.
4. Deve ritenersi che ai fini della configurabilità del delitto, assuma
rilevanza qualsiasi meccanismo di selezione dei soggetti abilitati
all’accesso al sistema informatico, anche quando si tratti di strumenti
esterni al sistema e meramente organizzativi, in quanto destinati a
regolare l’ingresso stesso nei locali in cui gli impianti sono custoditi.
art. 615 ter cp
• Con la previsione dell'art. 615-ter cod. pen., introdotto a seguito della
legge 23 dicembre 1993 n. 547, il legislatore ha assicurato la
protezione del "domicilio informatico" quale spazio ideale (ma anche
fisico in cui sono contenuti i dati informatici) di pertinenza della
persona, ad esso estendendo la tutela della riservatezza della sfera
individuale, quale bene anche costituzionalmente protetto. Tuttavia,
l'art. 615-ter cod. pen. non si limita a tutelare solamente i contenuti
personalissimi dei dati raccolti nei sistemi informatici protetti, ma offre
una tutela più ampia che si concreta nello "ius excludendi alios", quale
che sia il contenuto dei dati racchiusi in esso, purché attinente alla
sfera di pensiero o all'attività, lavorativa o non, dell'utente; con la
conseguenza che la tutela della legge si estende anche agli aspetti
economico-patrimoniali dei dati sia che titolare dello "ius excludendi"
sia persona fisica, sia giuridica, privata o pubblica, o altro ente.
Cassazione Penale Sez. VI, sent. n. 3067 del 14-12-1999
La detenzione abusiva di codici di accesso
(art. 615 quater). La fattispecie
Un soggetto si era abusivamente procurato i codici
segreti contenuti nella Value Card dell’Omnitel
destinati a consentire la ricarica delle Sim Card.
Utilizzava tali codici ricaricando le relative
schede.
La detenzione abusiva di codici di accesso
(art. 615 quater). La sentenza
Sentenza Tribunale di Torino 30 settembre 2002
Individua la fattispecie di cui all’articolo 615 quater la
condotta di colui che si procura abusivamente, al fine di
ottenere per sè un profitto o arrecare ad altri un danno, dei
mezzi idonei all’accesso ad un sistema telematico protetto
da misure di sicurezza, .
E’ inapplicabile alla fattispecie la norme di cui all’articolo
615 ter, in quanto manca l’idoneità dei codici digitati
dall’imputato all’accesso ad un sistema informatico.
La detenzione abusiva di codici di accesso
(art. 615 quater). La sentenza
Cassazione penale n. 4389 27 ottobre 1998
L’articolo 615 quater si applica anche all’ipotesi di
detenzione o di diffusione abusiva delle cosiddette
pic-cards, schede informatiche che consentono di
vedere programmi televisivi criptati attraverso la
decodifica di segnali trasmessi secondo modalità
tecniche di carattere telematico.
contraria
•
Non configura il reato di detenzione e diffusione abusiva di codici di
accesso a sistemi informatici e telematici ( art. 615-quater c.p.) il
possesso di un decodificatore di segnali satellitari e di schede per la
ricezione degli stessi (cosiddette "Pic-card" o "Smart-card"), atteso che
con tali strumenti non si viola alcun domicilio informatico, protetto da
misure di sicurezza, ma si utilizzano irregolarmente servizi di
trasmissione o comunicazione ad accesso condizionato,
contravvenendo in tal modo alle disposizioni sul diritto d'autore di cui
all'art. 6 del D.Lgs. 15 novembre 2000, n. 373, sanzionato solo in via
amministrativa prima dell'entrata in vigore della legge 7 febbraio 2003,
n. 22.
Cassazione Penale Sez. V, sent. n. 22319 del 20-05-2003
Intercettazione, impedimento o interruzioni di comunicazioni
art. 617 quater
“Chiunque fraudolentemente intercetta comunicazioni
relative a un sistema informatico o telematico o
intercorrenti tra piu’ sistemi, ovvero le impedisce o le
interrompe, e’ punito con la reclusione da sei mesi a
quattro anni.”
La condotta punita e’ da ravvedere in ogni attivita’ diretta a
far cessare una comunicazione informatica o telematica
gia’ iniziata (interruzione) ovvero in quella diretta a
ostacolare l’inizio della comunicazione (impedimento)”.
e il netstrike?
art. 617 quater
• Integra il reato di cui all'art. 617-quater cod. pen. la condotta del
titolare di un esercizio commerciale che utilizza, mediante un terminale
POS in sua dotazione, una carta di credito contraffatta, atteso che il
titolare dell'esercizio commerciale è ben legittimato ad usare il
terminale POS e l'accesso abusivo genera un flusso di informazioni ai
danni del titolare della carta contraffatta diretto all'addebito sul suo
conto della spesa fittiziamente effettuata.
Cassazione Sez. IV, sent. n. 44362 del 19-11-2003
La frode informatica
• articolo 640 ter
Chiunque alterando in qualsiasi modo il
funzionamento di un sistema informatico o
telematico o intervenendo senza diritto con
qualsiasi modalità su dati, informazioni o
programmi contenuti in un sistema informatico o
telematico ad esso pertinenti, procura a se o ad
altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito
con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la
multa da lire centomila a lire due milioni.
La frode informatica
La fattispecie
Digitando da un apparecchio telefonico sito in una
filiale italiana della società autorizzata
all’esercizio della telefonia fissa un numero
corrispondente ad un’utenza extraurbana e
facendo seguire rapidamente un nuovo numero
corrispondente a un’utenza estera, due persone
riuscivano ad eludere il blocco del centralino nei
confronti di tali telefonate internazionali, così
abusivamente introducendosi nella linea
telefonica e contestualmente procurandosi ingiusto
profitto con danno per la società di esercizio
telefonico.
Accesso abusivo e frode informatica
Giurisprudenza
• Cassazione penale Sez. VI n. 3067 14 dicembre 1999
Il reato di frode informatica ha la medesima struttura e quindi i
medesimi elementi costitutivi della truffa dalla quale si differenzia
solamente perchè l’attività fraudolenta dell’agente investe non la
persona (soggetto passivo) di cui difetta l’induzione in errore, bensì il
sistema informatico di pertinenza della medesima, attraverso la
manipolazione di detto sistema.
Possono formalmente concorrere i reati di accesso abusivo a un
sistema informatico e di frode informatica: trattasi di reati totalmente
diversi, il secondo dei quali postula necessariamente la manipolazione
di un sistema, elemento costitutivo non necessario per la
consumazione del primo: la differenza tra le due ipotesi criminose si
ricava, inoltre dalla diversità dei beni giuridici tutelati, dall’elemento
soggettivo e dalla previsione della possibilità di commettere il reato di
accesso solo nei riguardi di sistemi protetti, caratteristica che non
ricorre nel reato di frode informatica.
Accesso abusivo, frode informatica e comunicazione di codici
Sentenza Trib. Spoleto 8 giugno 2001
• Tizio in concorso con altri e con più atti esecutivi del medesimo disegno criminoso,
alterando il funzionamento del sistema informatico di controllo della Telecom Italia
S.p.a utilizzava senza diritto a fini di collegamenti informatici e telematici la linea
telefonica 167113113 (linea attivata come "numero verde" dal Ministero dell'interno
onde ricevere telefonicamente notizie utili in ordine alla cattura del terrorista Magied
Yousef Al Molqui) e accedeva gratuitamente alle numerazioni della rete telefonica
generale con addebito delle relative chiamate alla Telecom Italia, così occupando la
linea telefonica per collegamenti Internet e telematici gratuiti, e quindi procurando a
se ed a altri ingiusto profitto
640 ter
• Tizio in concorso fra loro più volte e nella esecuzione di unico disegno criminoso al
fine di procurarsi profitto consistente nella utilizzazione indebita e gratuita dei
sistemi informatici e telematici protetti da misure di sicurezza, più volte diffondeva e
comunicava codici e parole chiave atti a consentire l'accesso abusivo ai predetti
sistemi sostituendosi nella identificazione (user's names e passwords) ai legittimi
abbonati.
615 quater
• Tizio con più atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso attraverso il
meccanismo della cosiddetta post selezione, accedeva abusivamente al sistema
informatico protetto da misure di sicurezza della Telecom Italia, ciò al fine di
commettere la frode informatica di cui al capo a) dell'imputazione.
615 ter
Danneggiamento a sistemi
informatici e telematici
• articolo 635 cp (estratto)
Chiunque distrugge, deteriora o rende, in tutto o in
parte, inservibili sistemi informatici o telematici
altrui, ovvero programmi, informazioni o dati
altrui, è punito salvo che il tutto costituisca più
grave reato, con la reclusione da sei mesi a tre
anni.
Danneggiamento a sistemi informatici e
telematici
• Cassazione Penale n. 1282 13 dicembre 1996
Antecedentemente all'entrata in vigore della legge 23 dicembre
1993 n. 547 (in tema di criminalità informatica), che ha introdotto
in materia una speciale ipotesi criminosa, la condotta consistente
nella cancellazione di dati dalla memoria di un computer, in modo
tale da renderne necessaria la creazione di nuovi, configurava
un'ipotesi di danneggiamento ai sensi dell'art. 635 cod. pen. in
quanto, mediante la distruzione di un bene immateriale, produceva
l'effetto di rendere inservibile l'elaboratore. (Nell'affermare detto
principio, la Corte ha precisato che tra il delitto di cui all'art. 635
cod. pen. e l'analoga speciale fattispecie criminosa prevista dall'art.
9 della legge n. 547 del 1993 - che ha introdotto l'art. 635-bis cod.
pen. sul danneggiamento di sistemi informatici e telematici - esiste
un rapporto di successione di leggi nel tempo, disciplinato dall'art.
2 cod. pen.).
Duplicazione abusiva di software (art. 171 bis lda)
• 171-bis. 1. Chiunque abusivamente duplica, per trarne profitto, programmi per
elaboratore o ai medesimi fini importa, distribuisce, vende, detiene a scopo
commerciale o imprenditoriale o concede in locazione programmi contenuti in
supporti non contrassegnati dalla Società italiana degli autori ed editori (SIAE), è
soggetto alla pena della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa da lire cinque
milioni a lire trenta milioni. La stessa pena si applica se il fatto concerne qualsiasi
mezzo inteso unicamente a consentire o facilitare la rimozione arbitraria o l'elusione
funzionale di dispositivi applicati a protezione di un programma per elaboratori. La
pena non è inferiore nel minimo a due anni di reclusione e la multa a lire trenta
milioni se il fatto è di rilevante gravità.
• 2. Chiunque, al fine di trarne profitto, su supporti non contrassegnati SIAE
riproduce, trasferisce su altro supporto, distribuisce, comunica, presenta o dimostra
in pubblico il contenuto di una banca di dati in violazione delle disposizioni di cui
agli articoli 64-quinquies e 64-sexies, ovvero esegue l'estrazione o il reimpiego della
banca di dati in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 102-bis e 102-ter,
ovvero distribuisce, vende o concede in locazione una banca di dati, e soggetto alla
pena della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa da lire cinque milioni a lire
trenta milioni. La pena non è inferiore nel minimo a due anni di reclusione e la
multa a lire trenta milioni se il fatto è di rilevante gravità.
Duplicazione abusiva di software
Sentenze - il concetto di duplicazione
Pretura di Modena 29 aprile 1999
Le condotte di duplicazione di programmi previste
dall’articolo 171 bis consistono nella realizzazione
di una copia identica del programma che al più
comprende eventuali variazioni introdotte
all’esclusivo scopo di nascondere il plagio. Non è
pertanto configurabile il reato nel caso in cui siano
identiche soltanto le specifiche funzionali del
programma in quanto il termine “duplicare” è in
teoria più rigoroso del termine “copiare”.
Duplicazione abusiva di software
Sentenze - il concetto di duplicazione
• Cassazione penale n. 473 27 aprile 2002
La duplicazione comporta la riproduzione di più
copie di un unico originale, perfettamente
identiche fra loro quanto a contenuto e a
caratteristiche, mentre la nozione di
“riproduzione” ha un significato più ampio e
diffusivo ed è relativa a qualsiasi attività tecnica
idonea a produrre l’effetto di una nuova
destinazione del contenuto del supporto.
Duplicazione abusiva di software
Sentenze - il profitto
Cassazione Penale n. 33303 del 6 settembre 2001
In tema di detenzione di prodotti privi di contrassegno
S.I.A.E., la modifica del primo comma dell'art. 171-bis
della legge 22 aprile 1941, n. 633 (apportata dall'art. 13
della legge 18 agosto 2000, n. 248) che ha sostituito al
dolo specifico del "fine di lucro" quello del "fine di
trarne profitto", comporta un'accezione più vasta, che
non richiede necessariamente una finalità direttamente
patrimoniale, ed amplia pertanto i confini della
responsabilità dell'autore.
Duplicazione abusiva di software
Sentenze - il profitto
• Cassazione Penale n. 33896 19 settembre 2001
Sussiste continuità normativa tra il reato di cui all'art. 171-bis della legge 22
aprile 1941, n. 633 (introdotto dall'art. 10 del D.Lgs. 29 dicembre 1992, n.
518), che sanzionava la detenzione a scopo commerciale, per fini di lucro, di
copie abusivamente duplicate di programmi per elaboratori, e l'art. 13 della
legge 18 agosto 2000, n. 248, che punisce chiunque abusivamente duplica,
per trarne profitto, programmi per elaboratore o, ai medesimi fini, importa,
distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale o imprenditoriale i detti
programmi privi del contrassegno della S.I.A.E., atteso che non vi è stato un
ampliamento della tutela penale, configurando le variazioni lessicali
apportate soltanto una corretta specificazione del campo di applicazione
della disposizione. (La Corte ha in particolare affermato che la sostituzione
della dizione "scopo di lucro" con "scopo di profitto" risulta solo tesa a
superare le questioni interpretative correlate ad ipotesi di vantaggio non
immediatamente patrimoniale, così come quella dell'espressione "detenzione
per scopo commerciale" con "detenzione per scopo commerciale o
imprenditoriale" chiarisce l'ambito della tutela di cui al D.Lgs. n. 518 del
1992, che ha introdotto il citato art. 171-bis).
La diffamazione on line (art. 595 cp)
• Art. 595 cp
Chiunque, fuori dai casi indicati all’articolo
precedente, comunicando con più persone, offende
l’altrui reputazione è punito con la reclusione fino
ad un anno o con la multa fino a lire due milioni.
(...)
Se l’offesa è recata con il mezzo della stampa o
con qualsiasi altro mezzo di pubblicità ovvero in
atto pubblico, la pena è della reclusione da sei
mesi a tre anni o della multa non inferiore a lire un
milione.
Sentenza Cassazione
Sez.III 13-02-2002, n. 2066
Affinchè la divulgazione a mezzo stampa di notizie lesive dell'onore, della
reputazione o della riservatezza di terzi possa considerarsi lecito esercizio del diritto
di cronaca, devono ricorrere le seguenti condizioni: la verità dei fatti esposti, che
può essere oggettiva o anche soltanto putativa, purchè frutto di un serio e diligente
lavoro di ricerca, e che è esclusa quando vengano riferiti fatti veri, ma incompleti;
l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto oggetto della cronaca (c.d. pertinenza);
la correttezza dell'esposizione (c.d. continenza). Quest'ultima condizione va intesa
sia come correttezza formale, sia come limite sostanziale, individuabile in ciò che è
strettamente necessario per soddisfare l'interesse generale alla conoscenza di
determinati fatti di rilievo sociale, e che va accertato in base ad un'indagine orientata
verso il risultato finale della comunicazione e vertente imprescindibilmente, in
particolare, sui seguenti elementi: 1) accostamento di notizie, quando esso sia dotato
di autonoma attitudine diffamatoria; 2) accorpamento di notizie che produca
un'espansione di significati; 3) uso di determinate espressioni nella consapevolezza
che il pubblico le intenderà in maniera diversa o addirittura contraria al loro
significato letterale; 4) tono complessivo della notizia e titolazione.
La diffamazione in rete
Le sentenze
• Tribunale di Oristano (ordinanza) 6 giugno 2000
Non sono applicabili alla diffamazione in internet
le disposizioni relative alla diffamazione a mezzo
stampa o quella di cui all’articolo 30 della legge
223/90 relativo alla diffamazione attuata con il
mezzo televisivo.
La diffamazione in rete
La sentenza
• Cassazione 27 dicembre 2000
Il reato di diffamazione si consuma al momento di
percezione dello stesso da parte di un soggetto che sia
terzo rispetto all’agente ed alla persona offesa per cui, nel
caso di diffusione di un messaggio diffamatorio tramite
internet, il reato in questione si consuma quando esso è
stato concretamente percepito da terzi.
Qualora l’immissione del messaggio sia avvenuto
all’estero sussiste la giurisdizione del giudice italiano in
base alla teoria dell’ubiquità sancita dall’articolo 6 cp in
forza del quale si considera commesso nel territorio dello
Stato quando sul reato si sia verificata in tutto o in parte
l’azione o l’omissione ovvero l’evento che ne sia
conseguenza.
La diffamazione in rete
La sentenza
• Tribunale Teramo 6 febbraio 2002
Se manca la prova della effettiva diffusione del
messaggio con percezione da parte di più persone,
secondo i principi generali del diritto penale, in tale
situazione deve ritenersi integrata l'ipotesi del tentativo, in
quanto l’imputato con l'apertura del sito e l'inserimento
delle notizie e messaggi realizzò una condotta idonea
tecnicamente e volta in modo non equivoco a diffonderli.
Pornografia minorile
600-ter. Pornografia minorile.
Chiunque sfrutta minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni
pornografiche o di produrre materiale pornografico è punito con la reclusione da sei
a dodici anni e con la multa da lire cinquanta milioni a lire cinquecento milioni.
Alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico di cui al
primo comma.
Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, con qualsiasi
mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga o pubblicizza il materiale
pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o
informazioni finalizzate all'adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli
anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire
cinque milioni a lire cento milioni.
Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo,
consapevolmente cede ad altri, anche a titolo gratuito, materiale pornografico
prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto, è punito
con la reclusione fino a tre anni o con la multa da lire tre milioni a lire dieci milioni.
Sentenza Cassazione
Sez. III, sent. n. 2842 del 27-09-2000
Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 600-ter, commaterzo, cod. pen. (distribuzione, divulgazione o pubblicizzazione del
materiale pornografico di cui al precedente comma primo con qualsiasi
mezzo, anche in via telematica), se da una parte non basta la cessione
di detto materiale a singoli soggetti, dall'altra è sufficiente che,
indipendentemente dalla sussistenza o meno del fine di realizzare
esibizioni pornografiche o di produrre il relativo materiale, questo
venga propagato ad un un numero indeterminato di destinatari, come,
ad esempio, si verifica nel caso in cui venga effettuata la cessione a più
persone di fotografie pornografiche di minori mediante l'uso di una
cosiddetta "chat line" (sistema di comunicazione in tempo reale che
permette agli utenti di scambiarsi messaggi e altre informazioni in
formato digitale e che è strutturato come uno spazio virtuale, suddiviso
in tante stanze (canali) in cui diversi soggetti possono dialogare).
Sentenza Cassazione
Sez. Penale 3 febbraio 2003
Perchè si concretizzi il reato di divulgazione o
distribuzione di materiale pornografico occorre
che l’agente inserisca le foto pornografiche
minorili in un sito accessibile a tutti, al di fuori di
un dialogo “privilegiato”, o le invii ad un gruppo o
lista di discussione, da cui chiunque le possa
scaricare, o le invii bensì ad indirizzi di persone
determinate ma in successione, realizzando una
serie di cessioni multiple a diverse persone; non è
sufficiente l’invio a singoli soggetti, anche per via
telematica.
Incitamento all’odio razziale
Legge 654/75 (di ratifica di convenzione internazionale)
Gli Stati contraenti condannano ogni propaganda ed ogni organizzazione che s'ispiri a concetti ed a teorie
basate sulla superiorità di una razza o di un gruppo di individui di un certo colore o di una certa origine
etnica, o che pretendano di giustificare o di incoraggiare ogni forma di odio e di discriminazione razziale,
e si impegnano ad adottare immediatamente misure efficaci per eliminare ogni incitamento ad una tale
discriminazione od ogni atto discriminatorio, tenendo conto, a tale scopo, dei principi formulati nella
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e dei diritti chiaramente enunciati nell'articolo 5 della
presente Convenzione, ed in particolare:
a) A dichiarare crimini punibili dalla legge, ogni diffusione di idee basate sulla superiorità o sull'odio
razziale, ogni incitamento alla discriminazione razziale, nonché ogni atto di violenza, od incitamento a
tali atti diretti contro ogni rasa o gruppo di individui di colore diverso o di diversa origine etnica, come
ogni aiuto apportato ad attività razzistiche, compreso il loro finanziamento;
b) A dichiarare illegali ed a vietare le organizzazioni e le attività di propaganda organizzate ed ogni altro
tipo di attività di propaganda che incitino alla discriminazione razziale e che l'incoraggino, nonché a
dichiarare reato punibile dalla legge la partecipazione a tali organizzazioni od a tali attività;
c) A non permettere né alle pubbliche autorità, né alle pubbliche istituzioni, nazionali o locali,
l'incitamento o l'incoraggiamento alla discriminazione razziale.
Incitamento all’odio razziale
Legge 654/75
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell'attuazione della disposizione
dell'articolo 4 della convenzione, è punito:
a) con la reclusione sino a tre anni chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla
superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di
discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;
b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, incita a commettere o
commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o
religiosi;
È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi
l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o
religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta
assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell'assistenza,
con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali
organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione
da uno a sei anni
legge 962/67
Reati di genocidio
Chiunque pubblicamente istiga a commettere alcuno dei delitti preveduti negli articoli da 1 a 5, è
punito, per il solo fatto della istigazione, con la reclusione da tre a dodici anni.
La stessa pena si applica a chiunque pubblicamente fa l'apologia di alcuno dei delitti
preveduti nel comma precedente.
Sentenza Cassazione
Sez. I, sent. n. 7298 del 23-07-1985
Il reato previsto dall'art. 8 della legge n. 962 del 1967 è un
reato di pura condotta che viene sanzionato per la sua
intollerabile disumanità, per l'odioso culto dell'intolleranza
razziale che esprime, per l'orrore che suscita nelle coscienze
civili. Ne consegue che la condotta idonea ad integrarne gli
estremi non è già quella capace di generare un improbabile
contagio di idee e di propositi genocidiari, ma quella di
manifestare chiaramente l'incondizionato plauso per forme
ben identificate di fatti di genocidio per cui ne rispondono
coloro che si richiamino ai campi di sterminio, o attuino lo
squallido umorismo dello slogan, "saponette, saponette"
allusivo alla tecnica di distruzione delle spoglie carnali delle
vittime.
Sentenza
• Tribunale Milano 30 marzo 1992
La libertà di manifestazione del pensiero, garantita dall’articolo 21
della Costituzione, va correlata con tutte le altre previste nella
vigente legge fondamentale dello Stato ed in particolare con il
principio di pari dignità ed eguaglianza dei cittadini senza
distinzioni di razza, di cui all’articolo 3 della Costituzione stessa.
Non è lesivo della dignità professionale il comportamento del
giornalista che, in un articolo a propria firma, si riferisce ad aluni
operatori finanziari di origine ebraica, giocando sul rilievo di alcune
particolari caratteristiche somatiche proprie di chi fa parte di tale
gruppo etnico, non avendo egli il proposito di dare a tali soggetti
una connotazione negativa, ma al contrario di caratterizzarli
fortemente in positivo, esaltandone le capacità economiche e
finanziarie.
Pubblicazioni e spettacoli osceni
artt. 528, 529 cp
art. 528 Chiunque, allo scopo di farne commercio o distribuzione
ovvero di esporli pubblicamente [c.p. 266], fabbrica, introduce nel
territorio dello Stato [c.p. 4], acquista, detiene, esporta, ovvero mette
in circolazione scritti, disegni, immagini od altri oggetti osceni [c.p.
529] di qualsiasi specie, è punito con la reclusione da tre mesi a tre
anni e con la multa non inferiore a lire duecentomila [c.p. 29] (2).
Alla stessa pena soggiace chi fa commercio, anche se clandestino,
degli oggetti indicati nella disposizione precedente, ovvero li
distribuisce o espone pubblicamente.
art. 529 Agli effetti della legge penale, si considerano osceni gli atti e
gli oggetti che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore.
Non si considera oscena l'opera d'arte o l'opera di scienza, salvo che,
per motivo diverso da quello di studio, sia offerta in vendita, venduta
o comunque procurata a persona minore degli anni diciotto
Sentenza Cassazione
Sez. U., sent. n. 5606 del 17-05-1995
Il commercio dell'osceno, se realizzato con particolari modalità di riservatezza e di
cautela, idonee a prevenire la lesione reale o potenziale del pubblico pudore, non
integra l'ipotesi delittuosa prevista dall'art. 528 cod. pen. (Nella specie, la Corte ha
rigettato il ricorso del pubblico ministero avverso la sentenza assolutoria pronunciata
nei confronti del titolare di un esercizio commerciale ove videocassette di contenuto
pornografico venivano offerte in vendita in un locale attiguo al negozio, nel quale
potevano accedere soltanto coloro che ne avessero fatto espressa richiesta e che
avessero raggiunto la maggiore età; nell'affermare il principio di cui sopra, le
Sezioni Unite hanno precisato che l'osceno, in sé e per sé, è irrilevante agli effetti
della legge penale e che ciò che delimita il lecito dall'illecito è la sola possibilità di
una sua diffusa percepibilità, configurandosi la "pubblicità", intesa come idoneità
dell'osceno ad essere percepito da un numero indeterminato di persone, prima
ancora che come elemento costitutivo della fattispecie penale, quale presupposto
della stessa tutela del pudore).
Sentenze
La rappresentazione di pellicole cinematografiche, a contenuto intrinsecamente
osceno, in speciali sale a ciò destinate (cosiddette a luce rossa) non concretizza il
reato di cui all'art. 528 cod. pen.; infatti la società attuale, parallelamente alla
evoluzione dei concetti di pudore e di osceno, riconosce che specifiche
manifestazioni in particolari circostanze (luoghi aperti al pubblico, e non pubblici,
sicuramente identificabili, nei quali possa essere impedito l'accesso a taluni soggetti)
possano essere realizzate senza provocare lesione dei comuni sentimenti di
riservatezza, decoro, pudore.
Sez. III, sent. n. 14018 del 13-12-1986
In tema di pubblicazioni e spettacoli osceni, di cui all'art. 528 c.p., la messa in
circolazione può attuarsi anche in relazione ad un unico oggetto, stante la distinzione
tra distribuzione, che presuppone una pluralità di oggetti o frammenti di un unico
oggetto, e messa in circolazione, che si attua allorché gli oggetti, o l'oggetto,
vengono fatti uscire dalla sfera di custodia del detentore per farli entrare nella
disponibilità di altri. Conseguentemente l'invio a mezzo fax di una pubblicazione
oscena rientra nella nozione di messa in distribuzione, atteso che trattasi di
espressione ricomprendente tutte le possibili modalità di diffusione.
Sez. III, sent. n. 26608 del 12-07-2002
Istigazione a disobbedire alle leggi
artt. 415, 266 cp
art. 415 Chiunque pubblicamente istiga alla disobbedienza delle leggi di ordine
pubblico ovvero all'odio fra le classi sociali, è punito con la reclusione da sei mesi a
cinque anni
art. 266 Chiunque istiga i militari a disobbedire alle leggi o a violare il giuramento
dato o i doveri della disciplina militare o altri doveri inerenti al proprio stato, ovvero
fa a militari l'apologia di fatti contrari alle leggi, al giuramento, alla disciplina o ad
altri doveri militari, è punito, per ciò solo, se il fatto non costituisce un più grave
delitto, con la reclusione da uno a tre anni.
La pena è della reclusione da due a cinque anni se il fatto è commesso
pubblicamente.
Le pene sono aumentate se il fatto è commesso in tempo di guerra.
Agli effetti della legge penale, il reato si considera avvenuto pubblicamente quando
il fatto è commesso:
1. col mezzo della stampa, o con altro mezzo di propaganda;
2. in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone;
3. in una riunione che, per il luogo in cui è tenuta, o per il numero degli intervenuti,
o per lo scopo od oggetto di essa, abbia carattere di riunione non privata.
Sentenze Cassazione
Per leggi di ordine pubblico debbono intendersi non solo quelle che tutelano la sicurezza pubblica, ma, in
senso più ampio, i principi fondamentali dello Stato, tradotti nell'ordinamento giuridico in norme
precettive, munite di sanzioni anche di carattere non penale, tra i quali rientrano quelli che autorizzano lo
Stato a procurarsi i mezzi finanziari per assicurare alla generalità, attraverso le imposizioni e la
riscossione dei tributi, servizi pubblici, secondo le determinazioni delle leggi tributarie. Ne consegue che
risponde del delitto di cui all'art. 415 cod. pen. in riferimento al D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 colui il
quale istiga i contribuenti a non effettuare il pagamento delle imposte dirette e li inciti alla cosiddetta
obiezione fiscale relativamente alle spese militari, consistente nell'autoriduzione tributaria per quella
parte di imposta destinata agli armamenti, e ad omettere, quindi, il versamento del corrispondente
importo.
Sez. III, sent. n. 11181 del 23-11-1985
contraria
Ai fini della sussistenza del delitto di istigazione alla disobbedienza a leggi di ordine pubblico, previsto
dall'art. 415 cod. pen., per leggi di ordine pubblico devono intendersi quelle che tendono a garantire la
pubblica tranquillità e la sicurezza pubblica; conseguentemente tra esse non possono ricomprendersi le
leggi fiscali, come del resto si evince dalla circostanza che il legislatore ha ritenuto di dover introdurre
nell'ordinamento una norma specifica - e cioè l'art. 1 del D.Lgs.C.P.S. 7 novembre 1947 n. 1559 - con la
quale penalmente sanzionare, limitatamente a talune ipotesi, l'attività di chi istighi a non pagare le
imposte o a ritardarne o a sospenderne il pagamento. (Nella specie, la Cassazione ha escluso che
l'istigazione a non effettuare il pagamento delle imposte dirette possa integrare il delitto di cui all'art. 415
cod. pen.).
Sez. I, sent. n. 16022 del 17-11-1989
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